Memorie biografiche di Don Giovanni Bosco

 

raccolte dal sacerdote salesiano Giovanni Battista Lemoyne

 

(Giovanni Battista LEMOYNE voll. I-IX, Angelo AMADEI vol. X, Eugenio CERIA voll. XI-XIX, Indice anonimo dei voll. I-VIII e Indice dei voll. I-XIX a cura di Ernesto FOGLIO)

 

Vol. IX, Ed. 1917, 1000 p.

 

 

 

PROTESTA DELL'AUTORE

 

                Conformandomi ai decreti di Urbano VIII, del 13 marzo 1625 e del 5 giugno 1631, come ancora ai decreti della Sacra Congregazione dei Riti, dichiaro solennemente che, salvo i domini, le dottrine e tutto ciò che la Santa Romana Chiesa ha definito, in tutt'altro che riguardi miracoli, apparizioni e Santi non ancora canonizzati, non intendo di prestare, nè richiedere altra fede che l'umana. In nessun modo voglio, prevenire il giudizio della Sede Apostolica, della quale mi professo e mi glorio di essere figlio obbedientissimo.

 

 

CAPO I. 1868 - Don Bosco scrive la storia di un santuario dedicato a Maria SS. nella diocesi d'Acqui - Lettera a Don Bosco del Custode di questo santuario - Don Bosco affida a D. Giovanni Bonetti la revisione e correzione de' suoi manoscritti destinati alla stampa - D. Bonetti dotto e forbito scrittore: tutti i suoi studi sono ispirati da sentimenti di pietà: sua diligenza nel raccogliere ogni parola di Don Bosco: segni di sua stima per Domenico Savio e Michele Magone - Consigli o fioretti a lui dati da Don Bosco e ciò che il buon padre gli disse nel destinarlo alla casa di Mirabello - Santi proponimenti - Numero dei membri della Pia Società sul finire del 1867

 

                SUL finire del 1867, o sul principio del 1868, D. Bosco terminava un lavoro al quale, nei brevi ritagli di tempo libero, da tre anni aveva incominciato ad attendere. Egli non si rifiutava mai quando trattavasi di glorificare Maria SS. La sua penna aveva già descritto e si apparecchiava a descrivere le apparizioni, i santuari, le grazie della Madonna alla Salette, a Lourdes, a Spoleto e in altri luoghi; ed ora consegnava le sue memorie storiche del Santuario della Vergine Santa posto nella Pieve del villaggio [2] di Ponzone, diocesi d'Acqui, al Sacerdote Poggio Giuseppe che lo aveva pregato di prendersi questo incarico.

                Il Santuario della Pieve venne eretto in tempo antichissimo, certamente prima dell'anno mille dell'era volgare e forse la sua fondazione rimonta fino ai primi secoli della Chiesa. Ciò non deve recar stupore, poichè si crede, e non senza fondamento, che S. Pietro siasi portato in Acqui e nelle regioni all'intorno e abbia ammaestrato le popolazioni nella religione cristiana essendo in viaggio per evangelizzare le Gallie. Dopo di lui venne San Siro, suo discepolo, il quale, come il suo maestro, colla predicazione e coi miracoli, finì di convertire i popoli Acquensi e Liguri. Dai due missionarii taumaturghi fu certamente radicata in quelle terre la divozione alla Madre Santissima del Salvatore Gesù, e forse non è molto posteriore a quei tempi il Santuario suddetto, del quale una tradizione costante ed universale così racconta l'origine.

                Una famiglia di Ponzone aveva una figliuola muta. Onesta per ordine de' genitori conduceva sovente l'armento alla pastura sul colle, vicino al ripiano dove sorge presentemente il Santuario. Ed ecco un bel giorno comparire dinanzi a lei una Signora magnificamente vestita e di una bellezza celestiale. Un soave sorriso le fioriva sulle labbra, dagli occhi suoi spirava una bontà, una dolcezza ineffabile. A questa comparsa la buona fanciulla rimase come estatica e, guardandola, sentivasi innondare l'anima da un mare di gioia. Ben tosto ella capì che quella bella Signora non poteva essere che la Regina del Cielo.

                 - Va' a casa, le disse Maria SS. e avverti i tuoi genitori che dicano agli abitanti del paese e del vicinato che innalzino in questo luogo un tempio in mio onore.

                E disparve.

                La buona fanciulla, discese tosto dal monte, presentossi ai suoi parenti e, come se non fosse mai stata muta, prese a parlare liberamente, a raccontare la comparsa di Maria SS,  [3] e le parole udite dalle sue labbra materne. I genitori rimasero strabiliati dall'evidente miracolo della muta che aveva acquistata la loquela, credettero, e con essi tutti gli abitanti dei paesi vicini, e in breve s'innalzò il sacro edifizio. Da quel tempo fino ai nostri giorni innumerevoli furono le grazie spirituali e temporali concesse da Maria SS. ai suoi devoti.

                Don Bosco aveva cercato documenti, visitato archivii, consultato memorie ecclesiastiche e pare che siasi anche recato a Ponzano.

                Al presente il Santuario si innalza sul ripiano del monte ed è chiuso all'intorno da una forte muraglia con un'alta porta arcuata d'ingresso. La chiesa è d'una sola navata assai grande, di bello e maestoso disegno, ricca di stucchi e pitture, con cinque altari e sul maggiore la statua di Maria SS. tenuta in somma venerazione da tempo immemorabile.

                Intorno all'opuscolo scritto da Don Bosco noi abbiamo il seguente documento.

 

W. G. M. e G.

 

                               Rev.mo sig. Don Bosco,

 

                Ho ricevuto il manoscritto contenente la storia di questo Santuario. Per ubbidire a quanto la S. V. Rev.ma si compiacque significarmi nella sua venerat.ma ultima, l'ho letta e riletta: e parendomi che vi fosse qualche cosa da aggiungervi o da cambiarvi, benchè sì poco adatto per tale oggetto, confidato nell'assistenza di Maria, Sede della Sapienza, mi son messo a ricopiarla facendovi in questa copia quelle aggiunte e variazioni che nella mia ristretta cognizione mi parevano del caso, e lasciando così intatto l'originale. Sperando fra pochi giorni d'aver finita questa copia alquanto diversa dall'originale, ho stabilito di venire io stesso a presentare l'una e l'altra alla S. V. Rev.ma per darle spiegazioni a viva voce dei motivi delle mutazioni fatte (lasciandone però interamente il giudizio alla di lei saggezza e per intenderla su diverse cose alla detta storia relative.

                Prima però di costì recarmi io la prego ad avere la bontà di significarmi al più presto, se la S. V. rev.ma si troverà a casa sul principio dell'entrante settimana, epoca in cui, a Dio piacendo, sarei disposto a venire costì; inoltre se crede ben fatto, che io per guadagnar tempo ed a scanso di maggiori disturbi, presenti prima a Monsignor Vescovo di Acqui, per la formalità della revisione, la detta storia. [4] Da ultimo vorrei pregarla ad aver la bontà di darmi ospizio, se le fosse possibile, in cotesto Oratorio nel poco tempo che dovrò fermarmi, onde possa aver maggior facilità e campo di sbrigarmi al più presto, sia per la critica stagione in cui siamo, che per le occupazioni che ho.

                Pregando di cuore la SS. Vergine che si degni ampiamente rimunerarla per quanto essa si affatica per questo suo Santuario, la riverisco ben distintamente, raffermandomi intanto con profondo rispetto di V. S. Rev.ma

                Dal Santuario di N. S. della Pieve, 13 novembre 1866.

 

Um.mo Servo

P. POGGIO GIUSEPPE.

 

                Don Bosco aveva consegnata copia del suddetto manoscritto a D. Giovanni Bonetti, poichè è fra i quaderni di questi che noi l'abbiamo trovata. A Don Bonetti, prima ancora che fosse sacerdote, egli rimetteva le sue opere destinate alla pubblicazione perchè le rivedesse e correggesse, e talvolta perchè le completasse. E così continuò per tutto il tempo di sua vita.

                Don Bonetti era in ciò il suo braccio destro, infaticabile. Valente scrittore, egli era minutissimo nelle correzioni, delle quali i suoi manoscritti sono così tempestati, che molte pagine riescono quasi indecifrabili. Lasciò un gran numero di prediche e pare non salisse mai in pulpito senza averle scritte, ovvero ordinate con una larga traccia, e sempre con ricchezza e precisione di dottrina.

                Avendo Don Bosco perduti, come si è già detto, più quaderni di una sua storia universale della Chiesa, Don Bonetti ebbe incarico di colmare egli quella lacuna; e incominciò il suo lavoro verso il 1862, continuandolo per molti armi. Ma di questo non ci rimane che la prima Epoca in due volumi manoscritti, comprendenti 1261: pagina con citazioni bibliche, patristiche e di autori ecclesiastici e profani senza numero. Don Bosco di sua mano vi poneva molte postille. Ma la moltitudine delle occupazioni troncò infine un'opera [5] che lo stesso Santo Padre, come vedremo, desiderava fosse compiuta specialmente in sostegno della infallibilità del Capo della Chiesa.

                Don Bonetti aveva pure scritto, in omaggio a Don Vittorio Alasonatti, la vita del Beato Cherubino Testa, che rimase inedita: e più tardi compose anche una Vita di Maria Vergine, e la Vita e dottrina di Gesù Cristo narrata e spiegata secondo il Vangelo ad una famiglia fedele e in difesa contro gli assalti degli empi. Di altri suoi scritti, pubblicati nelle Letture Cattoliche, parleremo a silo tempo.

                Don Bonetti univa alla scienza un grande spirito di pietà che, Don Bosco aveagli impresso nel cuore fin dal 1855 allorchè era entrato nell'Oratorio. Le iscrizioni, poste da lui sopra la copertina dei suoi quaderni di scuola, sono parole uscite dalla bocca e dalla penna di Don Bosco.

                Su quelli del ginnasio si legge: - Frequente ricorso a Maria - Fuga rigorosa demonio - Maria, mater tua - e in questi egli notò l'etimologia e la spiegazione di parole latine, greche e qualcuna ebraica, data da Don Bosco ai giovani, in pubblico e in privato e nelle prediche nel 1857.

                Su quelli dei corsi di Filosofia sta scritto: - Sedes sapientiae ora Pro me - Da mihi animas caetera tolle. - Per godere piena libertà di spirito, bisogna staccare intieramente il cuore dalle cose di questa terra. - Chi si dilunga dagli amici e dai parenti, si accosta a Dio ed agli angeli suoi (Kempis). - E più volte: - Savio Domenico era mio compagno e condiscepolo: dunque: Si ille, cur non ego?

                Gli era pure carissimo ed invocava il nome di un altro santo giovinetto, quello di Michele Magone, del quale era stato assistente. Di lui conservava, tra le sue carte, come preziosa reliquia i compiti di scuola, che ora son riposti negli archivi.

                In fine sui quaderni di Teologia si legge: - Viva Maria: Viva Domenico Savio: Viva Don Bosco. - Diabolus te semper occupatum inveniat (S. Gerolamo). - Dulcedo multiplicat anticos et mitigat inimicos. [6] In una busta, sulla quale è l'indirizzo autografo di Don Bosco: Al sig. chierico Bonetti, abbiamo trovato piccole striscie di carta, sopra ognuna delle quali è scritto un fioretto o consiglio spirituale. Eccoli con ordine.

                 - Reciterai una Salve Regina per l'Opera della Propagazione della Fede.

                 - Sentirai una Messa per la conversione dei peccatori.

                 - Reciterai il salmo Miserere per la conversione degli scandalosi.

                 - Reciterai la terza parte del Rosario con le Litanie per la conversione degl'infedeli, eretici e scimastici.

                 - Praticherai qualche austerità corporale o qualche astinenza nel cibo per i peccatori intemperanti.

                 - Reciterai un atto di speranza con una Salve per quelli che si trovano in disperazione, o in qualche grande sventura.

                 - Offrirai il tuo cuore a Gesù ed a Maria,

                 - Reciterai gli atti di Fede, Speranza e Carità per i bisogni di Santa Chiesa.

                 - Ascolterai una Messa per la conversione dell'Inghilterra.

                 - Farai una visita a Gesù Sacramentato per risarcire tutte le offese che riceve nel Divino Sacramento.

                 - Dinnanzi all'altare di Maria Vergine reciterai le litanie della R. V. con una Salve per tutti i tuoi compagni.

                 - Farai qualche elemosina per l'opera della propagazione della Fede.

                 - Reciterai cinque Pater, Ave e Gloria in onore della Passione di N. S. Gesù Cristo.

                 - Reciterai le sette allegrezze di Maria Vergine, con le Litanie, per tutti i Ministri di Dio.

                 - Reciterai il Veni Creator per ottenere dallo Spirito Santo lumi e grazie per te e per tutti i peccatori.

                 - Reciterai 7 Ave Maria in onore di Maria Vergine Addolorata per ottenere da Lei la sua protezione in vita, e principalmente in punto di morte per te e per tutti i tuoi parenti.

                 - Appena tentato dirai: Gesù mio, misericordia; Maria, aiutatemi.

                 - Farai una Comunione in onore dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria per tutti i Confratelli, sì vivi che defunti.

                 - Reciterai la terza parte del Rosario per tutti i tuoi benefattori, sì spirituali che temporali.

                 - Reciterai 3 Ave Maria per ottenere per te o per tutti i tuoi parenti la perseveranza finale.

                 - Reciterai il Veni Creator per ottenere i sette doni dello Spirito Santo. [7]

                 - Dirai l'Ave Maris Stella per tutti quelli che si trovano in disgrazia di Dio.

                 - Pregherai la SS. Vergine onde t'inspiri quale sia la tua vocazione.

                 - Chiederai a Gesù ed a Maria queste tre virtù: umiltà, purità e carità, recitando tre Ave Maria con tre Gloria Patri.

                Don Bonetti lasciò pur memoria di due avvisi datigli da Don Bosco:

                “La divozione al SS. Sacramento ed a Maria SS. saranno due potenti sostegni per te e per tutti quelli ai quali la inculcherai”.

                “Maria sia la tua celeste protettrice adesso e per sempre; nelle sue mani io raccomando l'anima tua”.

                In un altro suo foglio si legge: “Prima di partire da Mirabello il 27 novembre 1863 Don Bosco mi disse:

                Desideravi che io ti mettessi alla prova, ora vi sei. Potremo ora vedere a quale uffizio in particolar modo ti chiami il Signore. Io pensai e penserò a te e finchè il Signore mi darà vita mi adoprerò a fare la tua felicità non solo spirituale ma temporale ancora. Tu sta' allegro e se qualche fastidio od afflizione, sia dell'anima sia del corpo, viene a sorprenderti, scrivimi ed io ti toglierò da ogni pena. Il tuo patrimonio è in via di aggiustamento; ti avvertirò di quanto occorrerà. Mi raccomando di aiutare Don Rua. Iddio ti benedica”.

                È il ch. Bonetti, generosamente secondando l'impulso che gli dava Don Bosco, così scriveva, fermo nel mantenere i suoi proponimenti:

 

Mirabello, 25 aprile 1864.

 

                1° Voglio adoperarmi con ogni impegno di ottenere un'intima unione con Gesù e Maria, facendo frequenti Comunioni spirituali e calde giaculatorie.

                2° Voglio fare grande stima di ogni più piccola azione, di ogni più breve orazione, animandomi a compierla bene col pensiero che così facendo aggiungo ad ogni volta una bella rosa, o gemma preziosa alla mia corona celeste. Maria, siate mia mamma. [8] Noi noteremo come da eguale spirito di pietà, di lavoro e di sacrificio, era animata la maggior parte dei confratelli. Qui abbiam detto specialmente di lui pel motivo che da poco tempo abbiamo scoperte queste e altre sue note riguardanti gli anni dei quali abbiamo già esposti gli avvenimenti in queste Memorie, e perchè si conoscano sempre meglio i suoi rapporti con Don Bosco.

                Gli altri membri della Pia Società Salesiana, di molti dei quali avremo occasione di scrivere, sul finire del 1867 erano quasi cento, compresi quelli dei collegi di Mirabello e di Lanzo. I sacerdoti erano quattordici, i chierici teologi quarantotto, parte coi voti, parte ascritti od aspiranti: alcuni, velluti da varie diocesi, erano desiderosi di ritornarvi, e Don Bosco li manteneva agli studi e li provvedeva gratuitamente di tutto. Ventitré erano gli studenti di filosofia, dei quali dodici non avevano ancor messa la veste clericale, poichè Don Bosco pensava di fondare altrove un liceo per loro. Finalmente tre soli i coadiutori professi.

                Un avviso che D. Bosco dava a tutti è quello ripetuto in una lettera indirizzata a Mirabello:

 

                               Caro Don Bonetti,

 

                Ti mando alcuni fogli del can.co Gliemone. Ho ricevuto con piacere la tua lettera.

                Coraggio, i tuoi sforzi siano diretti a conservare l'unità di volere tra superiori, perchè vogliano tutti una, cosa sola, salvare molte anime e tra esse l'anima propria.

                Dio ti benedica ed abbimi tutto tuo,

                Torino, il penultimo del 1863,

 

Aff.mo in G. C.

Sac. BOSCO GIOVANNI.

 

 

CAPO II. Desiderio innato nell'uomo di Conoscere l'avvenire - Le predizioni delle anime Pie - Parlata di Don Bosco ai giovani nell'ultimo giorno dell'anno - Sogno: Predizioni pel 1868: morte di tre giovani: stato delle coscienze nell'Oratorio: la strenna: peste, lame e guerra - Testimonianze sull'esatta relazione del sogno e sull'avveramento delle morti di tre giovani - Altro annunzio di morituri in quest'anno - Motivo delle Predizioni di questo sogno.

 

                SIAMO coll'esposizione delle Memorie biografiche di Don Bosco alla fine del 1867, e noi, insieme co' suoi fatti meravigliosi e continui, abbiamo eziandio riportati i sogni che egli ci espose colla rivelazione dello stato di molte coscienze e con predizione avverata di avvenimenti particolari e generali. Egli era persuaso che quanto diceva era la verità e di questa sentivano la certezza tutti quelli di buon volere, ed erano la massima parte, che non avevano la mente ingombra da pregiudizi o il cuore turbato da passioni incalcolabile fu il bene spirituale che ne ricavarono gli alunni, mentre un preziosissimo vantaggio era anche l'avere la mente e la fantasia difesa da pericolosi pensieri. L'annunzio che Don Bosco avrebbe raccontato un sogno era un avvenimento nell'Oratorio, e i giovani impazienti e irrequieti aspettavano il momento di udirne la narrazione.

                Infatti è naturale nell'uomo il desiderio di conoscere in qualche modo il futuro, specialmente quando i tempi corrono [10] per lui infelici[1]. Di ciò rendono continua testimonianza le storie di tutti i popoli. E niuno dee farne le meraviglie, ed assai meno degli altri possono riderne coloro che vanno mendicando predizioni dalle sonnambole e dagli spiritisti; mentre i buoni cristiani si limitano ad ascoltare anime pie, riputate care a Dio e favorite da lui di speciali comunicazioni.

                Non neghiamo possibile, ed anche facile, l'errore dei buoni cristiani in questo loro supposto, ma intorno a ciò la prudenza c'insegna essere due gli estremi da evitare. L'assoluta incredulità a qualsiasi profezia, fuorchè alle autentiche della Bibbia, esclusine i commentarii; e l'assoluta credulità a tutte le profezie, che persone anche probe e dabbene riferiscono per tali.

                Contro ambedue gli estremi sta l'ammonimento di San Paolo, che esorta a non spregiare le profezie, ma a provarle: Prophetias nolite spernere; omnia autem probate: (Thess. V, 20, 21), al che tanto contravviene chi le disprezza, quanto chi le ammette alla leggera e senza esame. Queste parole dell'Apostolo assicurano, che anche fuori delle bibliche si possono dare vere profezie. E ciò si conferma dal fatto del dono profetico, il quale, al pari di altri divini carismi, fiorì sempre nella Chiesa, e dalla Chiesa fu sempre riconosciuto. [11]

                Pertanto, come nessun cattolico può agli altri imporre una fede più che umana nei vaticini umanamente autorevoli e sicuri; così nessuno può ragionevolmente imporre una incredulità recisa, per quelli che si dicono improbabili e fantastici. Dove non interviene il giudizio della Chiesa, la credenza dei vaticini privati è liberissima. Piuttosto che caso di fede, si ha a dire caso di sano criterio e di buon senso.

                Premesse queste osservazioni, veniamo al nostro Venerabile.

                La sera del 31 dicembre del 1867 Don Bosco radunò i giovani in chiesa e salito sul pulpito dopo le orazioni così parlò:

                Sogliono in questi giorni i parenti dare la strenna ai loro figliuoli, gli amici darsela fra di loro. Così anch'io sono solito di fare ogni anno, dando in questa sera un ricordo ai miei cari giovani che serva di norma per l'anno venturo.

                Io adunque stava pensando da alcuni giorni quale strenna darvi, o miei cari figliuoli, e malgrado ogni mio sforzo non trovava nella mia testa un pensiero che facesse all'uopo. Anche la notte scorsa, essendo già coricato, andava pensando e ripensando tra me che cosa dirvi di salutare in questa sera per l'anno 1868, ma non poteva concentrarmi in un punto solo. Quando dopo molto tempo, agitato sempre dalla più viva preoccupazione, mi trovai come uno che sia fra il sonno e la veglia, in quel tempo nel quale sente ed è quasi conscio di se stesso. Era un sonno nel quale uno può conoscere quello che fa, udire quello che si dice e rispondere se interrogato. In tale stato incominciai ad essere in balìa di un sogno che non era sogno. Mi pareva sempre di essere in mia camera. Faccio per uscirne e al posto del poggiuolo mi trovai innanzi ad un bel giardino nel quale si vedevano piante senza numero di stupende rose, cinto intorno da un muro, sopra il cui ingresso era scritto a caratteri cubitali: 68.

                Un portinaio mi introdusse nel giardino e là vidi i nostri giovani divertirsi, gridare e saltellare allegramente. Molti si affollarono a me d'intorno e parlavamo insieme di tante cose. C'incamminammo tutti per quel giardino e dopo un tratto di via, lungo il muro del medesimo vidi in un canto molti giovani affollati che cantavano e pregavano con alcuni preti e chierici. Mi avvicinai di più a quei giovani, li guardai e non li conosceva ancora tutti bene, anzi in gran parte mi erano nuovi: e udii che cantavano il Miserere e le altre preghiere dei defunti. Fattomi loro dappresso dissi:

                 - Che cosa fate qui? Perchè recitate il Miserere? Quale è la causa del vostro lutto? È morto forse qualcheduno? [12]

                 - Oh! risposero: ella non lo sa?

                 - Io non so niente.

                 - Preghiamo per l'anima di un giovane che è morto il tal giorno, alla tal ora.

                 - Ma chi é?

                 - Come? replicarono: non sa chi é?

                 - Eh! no!

                 - Che non l'abbiano avvisato? - si dissero a vicenda. Poi rivolti a me: - Ebbene sappia che è morto il tale! - e mi dissero il nome.

                 - Come? È morto il tale?

                 - Sì, è morto, ma ha fatto una buona morte, una morte invidiabile. Ha ricevuto con grande soddisfazione ed edificazione nostra tutti i Sacramenti. Rassegnato alla volontà di Dio, dimostrò i più vivi sentimenti di pietà. Ora preghiamo per l'anima sua accompagnandolo alla sepoltura, ma speriamo che sia già in possesso del cielo e che preghi per noi. Anzi siamo certi che è già in paradiso.

                 - La sua fu dunque una buona morte? Sia fatta la volontà di Dio. Imitiamo le sue virtù e preghiamo il Signore che conceda anche a noi la grazia di fare una buona morte.

                Ciò detto, mi allontanai da costoro, circondato sempre da una folla di giovani. Ci siamo di nuovo incamminati per quel giardino e, fatto un lungo tratto di strada, siamo giunti vicini ad un bellissimo prato verdeggiante. Io intanto diceva fra me: - Come va questo? Ieri sera mi coricai nel mio letto e adesso mi trovo con tutti i giovani sparsi qua e là in questo giardino?

                Quand'ecco un'altra turba numerosa di giovani disposta in circolo, in mezzo a cui vi era qualche cosa che io non sapeva distinguere quello che fosse. Vidi però che erano inginocchiati; gli uni pregavano, gli altri cantavano. Mi avvicinai e vidi che attorniavano una bara, udii che recitavano le preghiere dei defunti e cantavano il Miserere. Domandai: - Per chi pregate?

                Essi tutti melanconici mi risposero:

                 - È morto un altro giovane ed ha fatto una buona morte. Ha ricevuto con edificazione nostra i Santi Sacramenti e ha dimostrato sensi di grande pietà. Adesso lo portano già alla sepoltura. Stette infermo otto giorni e vennero a vederlo anche i suoi parenti.

                Domandai allora il nome del morto e mi fu detto. Rimasi molto addolorato nell'udirlo, ed esclamai:

                 - Oh che mi rincresce! era uno che mi voleva tanto belle e non ho potuto dargli l'ultimo addio... e neanco l'altro ho veduto prima che morisse... Muoiono tutti adesso? ... Un morto qui e l'altro là! ... Ma possibile? Solamente ieri ne morì uno... e quest'oggi un altro ...

                 - Che cosa dice? mi fu risposto: uno morto poco fa e l'altro adesso? Le pare poco tempo, eppure sono più di tre mesi dacchè è morto il primo, il tal giorno, nella tal ora. [13] Al sentir queste cose pensai tra me: Sogno o non sogno? Mi pareva di non sognare e non sapeva che cosa dire di ciò che udiva.

                E continuammo ad inoltrarci tutti in mezzo a quei boschetti e dopo non breve cammino ecco che odo cantare di bel nuovo il Miserere. Arresto il passo e con me si fermano quelli che mi accompagnavano e vedo un'altra schiera numerosa di giovani che si avvicinava. Chiesi a coloro che mi erano al fianco:

                 - Che cosa fanno quei giovani? Dove vanno?

                Venivano da un luogo poco lontano ed erano tutti sconsolati e cogli occhi lagrimosi:

                 - Che cosa avete? - dissi loro, essendomi affrettato ad incontrarli.

                 - Ah se sapesse! ...

                 - Che cosa ci fu dunque?

                 - È morto un giovane.

                 - Come? dappertutto veggo morti? E chi è quel vostro compagno che si portò alla sepoltura?

                E i giovani con atti di grande meraviglia:

                 - Come! Non sa ancor nulla? Non sa che è morto il tale?

                 - È morto anche lui?

                 - Sì, poveretto. I suoi parenti non sono andati a visitarlo ..... ma .....

                 - E che ma? Non ha forse fatto una buona morte?

                 - Ah no! Ha fatto una morte per nulla desiderabile.

                 - Non ricevette i Sacramenti?

                 - Dapprima non voleva riceverli e poi li ricevette, ma con poca voglia e non dando segni di vero pentimento, cosicchè rimanemmo poco edificati di lui, anzi dubitiamo molto della sua eterna salute e ci rincresce assai che un giovane dell'Oratorio abbia fatto una così brutta morte.

                Allora io cercai di consolarli, dicendo:

                 - Se ha ricevuti i Sacramenti speriamo che si sia salvato. Non bisogna disperare della misericordia di Dio. È così grande! - Ma non riuscii a infonder loro questa speranza ed a consolarli.

                Mentre, addolorato e colla mente turbata, pensava in qual tempo que' giovani fossero morti, apparve all'improvviso un personaggio che non conosceva e che, avvicinatosi, mi disse

                 - Guarda: dunque sono tre!

                Lo interruppi:

                 - E tu chi sei che mi parli con tanta famigliarità dandomi del tu, senza avermi veduto mai? 

                 - Ascoltami, rispose, e poi ti dirò chi sono. Tu vuoi una spiegazione di ciò che hai visto?

                 - Sì, che cosa significano questi numeri?

                 - Hai visto, lui rispose, il numero 68 scritto sulla porta del giardino?  [14] Significa l'anno 1868. In quest'anno i tre giovani che ti furono indicati dovranno morire. Come hai visto, i due primi son ben preparati; il terzo tocca a te prepararlo.

                Io, pensando se proprio dovesse essere vero che nel 1868 dovranno morire que' tre cari figliuoli, soggiunsi:

                 - Ma come tu puoi dirmi questo?

                 - Sta' attento all'esito e vedrai - mi rispose.

                Alla sicurezza e all'amabilità del dire conobbi allora in quel personaggio un amico e proseguii con lui la strada assorto nelle parole che aveva udite:

                 - Ma sogno io forse? gli andava dicendo: pure qui non c'è sogno: sono desto! Io vedo, io sento, io conosco.

                E quegli mi disse:

                 - Sta bene: questa è realtà.

                Ed io:

                 - Realtà? Ti prego adunque di essermi cortese. Mi hai detto dell'avvenire, ed ora parlami del presente. Quello che io desidero si è che tu mi dica qualche cosa da riferire ai miei giovani domani sera come strenna.

                Ed egli:

                 - Di' ai tuoi giovani che siccome que' due primi erano preparati perchè frequentavano colle debite disposizioni la santa Comunione in vita, così anche in punto di morte la ricevettero con edificazione di tutti. Ma quell'ultimo non la frequentava in vita, mentre era sano, e perciò in punto di morte la ricevette con poca soddisfazione. Di' loro che se vogliono fare una buona morte frequentino la salita Comunione con le dovute disposizioni, e che la prima disposizione è una confessione ben fatta. La strenna adunque sia questa: “La Comunione devota e frequente è il mezzo più efficace per fare una buona morte e così salvarsi l'anima”. Ora seguimi e sta' attento.

                E s'inoltrò alquanto per un sentiero del giardino. Io lo seguiva quando a un tratto vedo raccolti in un largo spazio aperto i miei giovani radunati. Mi fermai ad osservarli. Io li conosceva tutti e mi sembrava fossero tutti, come tante volte li aveva visti, senza alcuna diversità. Però, esaminatili alquanto più (la vicino, vidi cosa che mi riempì di maraviglia ed orrore. Di sotto al berretto di molti spuntavano dalla fronte due cornette Gli uni le avevano più lunghe, gli altri più corte; quali le avevano intere, e quali rotte; parecchi non avevano più che il segno di averle avute, perchè erano perfettamente rotte alla radice e più non si vedevano spuntare o crescere, ad altri invece non potevasi impedire che le corna crescessero, ma rotte che erano, tornavano fuori ancor più grosse, riproducendosi sempre. Taluni poi non solo avevano le corna, ma quasi non fossero paghi di averle, davano delle grandi cornate ai compagni. Ve ne erano pure di quelli che avevano un sol corno in mezzo al capo, ma [15] di una straordinaria grossezza, e questi erano i più terribili. In fine ve n'erano altri, la cui fronte candida e serena non era stata mai deturpata da simile deformità .....

                E qui noterò che io potrei dire a ciascheduno di voi in particolare quello che faceva nel giardino.

                Dilungatomi alquanto dai giovani, accompagnato solamente dalla mia guida, giunto ad un certo luogo elevato, vidi in vaste regioni moltissima gente che si azzuffava: erano militari. Per un lungo tratto di tempo combattevano accanitamente senza compassione al mondo. - Molto era il sangue sparso. Io vedeva chiaramente gli infelici che cadevano al suolo sgozzati. Chiesi al mio compagno :

                 - Come va che questi uomini si uccidono, furiosamente in questa maniera?

                 - Grande guerra, esclamò la mia guida, nel 1868; e questa guerra non terminerà se non dopo un grande spargimento di sangue.

                 - La guerra sarà forse nei nostri paesi? Che gente è questa? Sono italiani, o forestieri?

                 - Guarda quei militari e dalle vestimenta conoscerai a quale nazione appartengano

                Li guardai attentamente e vidi che erano di varie nazioni. La maggior parte non aveva la divisa dei nostri soldati, ma ve n'erano anche degli italiani:

                 - Ciò significa, soggiunse la guida, che a questa guerra parteciperanno anche gli italiani.

                Siamo partiti allora da quel campo di morte e camminando per breve tratto passammo in altra parte del giardino; quand'ecco sento gridare a grandi voci:

                 - Fuggiamo di qui, fuggiamo: fuggiamo di qui, se no moriremo tutti.

                E vidi molta gente che fuggiva gridando e, in mezzo a questa, gran numero di persone sane e robuste cadere a terra in un istante e morire.

                 - E che cosa hanno costoro che vogliono fuggire? - chiesi a qualcuno di quelle turbe.

                 - Il colera ne fa morire tanti e se non fuggiamo moriremo anche noi - mi fu risposto.

                 - Ma che cosa è ciò che io vedo, dissi al mio condottiero. Per ogni dove regna adunque la morte?

                 - Grande colera, esclamò, nel 1868!

                 - Come è possibile? Il colera d'inverno? E muoiono già benchè faccia così freddo?

                 - A Reggio di Calabria ne muoiono già adesso 50 al giorno!

                Andammo avanti ancora e vedemmo una moltitudine sterminata di gente, pallida, abbattuta, smunta, sfinita, coi panni laceri. [16] Io non poteva intendere la cagione dello sfinimento e della macilenza di quella moltitudine e chiesi al mio amico:

                 - Che cosa hanno costoro? Che cosa vuol dire questo?

                 - Grande carestia, mi rispose, nel 1868. Non sai che costoro non hanno di che togliersi la fame?

                 - Come? io dissi; in questo stato per la farne?

                 - È così veramente!

                Io intanto osservava quelle turbe che gridando - fame! fame! cercavano pane da mangiare e non ne trovavano, cercavano di che togliersi la sete che loro ardeva le fauci e non trovavano acqua.

                Allora, pieno di sgomento, dissi al mio compagno:

                 - Ma dunque in quest'anno tutti i mali piombano sulla nostra misera terra? E non vi sarebbe mezzo per allontanare dagli uomini tutte queste sventure?

                 - E sì che vi sarebbe questo mezzo, purchè tutti gli uomini insieme si ponessero d'accordo nell'astenersi dal commetter peccati, nel far cessare la bestemmia, nell'onorare Gesù Sacramentato, nel pregare la Beata Vergine da loro adesso abbandonata indegnamente.

                 - E questa fame e siccità sarà di cibo corporale o spirituale?

                Mi rispose: - E dell'uno e dell'altro. Gli uni ne mancheranno perchè non vogliono, gli altri perchè non possono averlo.

                 - E l'Oratorio avrà anche da soffrire di questi mali? Anche i miei giovani morranno dal colera?

                La mia guida mi guardò da capo a piedi; dopo mi disse: - Condizionatamente: cioè se i tuoi giovani saranno tutti d'accordo nel tenere lontana da loro l'offesa di Dio coll'onorare Gesù Sacramentato e la Beata Vergine, saranno salvi; perchè con queste due salvaguardie si ottiene tutto e senza di queste si ottiene niente. Se facessero altrimenti moriranno anch'essi. Bada però che un solo che faccia peccati mortali può bastare per attirare lo sdegno di Dio ed il colera sopra l'Oratorio.

                Chiesi ancora: - E i miei giovani hanno forse anch'essi da soffrire la mancanza di cibo?

                 - Pur troppo! anche i tuoi giovani soffriranno gli effetti della carestia.

                 - A me sembra che almeno la carestia sarebbe caduta solamente sopra Don Bosco, perchè tocca a me di pensare e provvedere al loro cibo. Se mancherà pane nella nostra casa, i giovani non ci penseranno certamente.

                 - La sentirai tu la fame e la dovranno anche sentire i tuoi giovani. I loro parenti o benefattori dovranno stentare per pagare la loro pensione e somministrar loro le tante altre cose necessarie. Molti più nulla potranno pagare e la casa, mancando di mezzi, non potrà più soccorrerli nei loro bisogni. E così anch'essi patiranno.

                 - Ma soffriranno anche mancanza di cibo spirituale?  [17]

                 - Sì; alcuni perchè non vorranno averlo, altri perchè non potranno.

                Così dicendo andavamo sempre avanzandoci in quel giardino. Ma tutto ad un tratto vidi il cielo ricoprirsi di neri nuvoloni che minacciavano una vicina tempesta. Si era levato un vento orribile. Io guardava attorno e in lontananza vidi i giovani che s'erano messi a fuggire Lasciata la guida, correva per raggiungerli e pormi in salvo con essi; ma ben presto li perdetti di vista: lampi e tuoni si succedevano. Pareva che da un momento all'altro dovessimo essere tutti inceneriti dal fulmine. Cadde quindi una turbinosa e dirottissima pioggia. Non aveva mai visto un temporale così violento: io mi aggirava per quel giardino cercando i miei giovani e un qualche ricovero ove riparare, ma non trovava né quelli, né questo. Tutta la regione era disertata. Cercavo la porta per uscire e malgrado la mia fretta non lui riuscì di giungervi, che anzi sempre più dalla medesima lui allontanava in ultimo cadeva una grandine così spaventosa che non ne vidi mai di simile per grossezza. Alcuni granelli, caduti sul mio capo, lui percossero con tanta violenza che mi svegliarono e mi trovai sul letto. Vi assicuro che io era molto più stanco allora, che quando andai a riposo.

                Queste cose io vidi, come vi dissi, sognando, e non voglio dirvele affinchè le crediate come cose vere, ma siccome da questo si può imparare qualche cosa, approfittiamone. Teniamo come sogno quello che non fa per noi, ma teniamo per cose vere quelle che possono servire per nostra utilità, tanto più che siccome sono già accadute cose che si erano dette altra volta, potrebbero accadere anche questa volta. Approfittiamone teniamoci preparati alla morte, preghiamo, Maria SS. e teniamo da noi lontano il peccato.

                Vi lascio in ultimo per strenna questa massima: - La frequente devota confessione e Comunione è un gran mezzo per salvarci l'anima.

                Buona notte!

                Don Bosco narrò questo sogno in due sere. La suesposta narrazione è del chierico studente di Teologia, Stefano Bourlot, che ne lasciò apposita memoria colla sua firma, in data 29 gennaio 1868.

                E scrisse in calce alla medesima: “Del sogno di Don Bosco io faccio semplice relazione e tale e quale mi parve d'averla udita e con lo stesso ordine, senza però ripetere esattamente tutte le parole da lui proferite, perchè non le ricordo bene. Ma so con certezza che il senso è quello da me esposto, e tanto basti”. [18] A dimostrare l'importanza di questo testimonio e il valore della sua mente, diremo come ordinato sacerdote, e mandato da Don Bosco missionario in America, gli venne affidata l'immensa e turbolenta parrocchia della Boca a Buenos Aires, che allora era il covo delle sette anticristiane. Ed egli colla sua attività, fermezza di carattere, parola franca e leale, sempre improntata allo spirito di fede, e coll'ardente sua carità, vinse le volontà ribelli. Riformò la popolazione, amato dai buoni, temuto dai tristi, specie quando col suo periodico Cristoforo Colombo si fece arbitro dell'opinione pubblica alla Boca, dove eresse un grandioso tempio, un collegio per giovanetti e un altro per fanciulle, con oratorii festivi, associazioni cattoliche di mutuo soccorso, e la società delle Conferenze di S. Vincenzo de' Paoli. Avendo nella sua parrocchia 60.000 e più mila italiani, ne aveva imparati i dialetti, e celebrava solennemente le feste dei patroni delle singole provincie italiane destando così in quelli la fibra del patriottismo, ed attiravali alla chiesa con processioni di sommo splendore, che ricordavano i patrii costumi. Nell'esercizio del ministero parrocchiale fu infaticabile, ed eroico nell'assistere gli ammalati.

                Don Bourlot adunque, giovane serio e sagace, era da poco tempo entrato nell'Oratorio per ascriversi alla Pia Società. Egli provava una certa ripugnanza a prestar fede ai sogni di Don Bosco, a lui narrati dai compagni anziani, e quindi con spirito di critica stette osservando ciò che questa volta sarebbe accaduto, riguardo alle morti dei tre giovani e alle circostanze che dovevano accompagnarle. Quindi, con Don Gioachino Berto e Don Giuseppe Bologna, si mise di proposito a constatare per iscritto gli avvenimenti a mano che accadevano, tutti e tre firmando il verbale ogni volta che una profezia si avverava, e rimanendo stupiti della mirabile precisione colla quale si svolgevano le cose preannunziate da Don Bosco.

                Ma questi verbali andarono pur troppo smarriti in un [19] trasloco di carte, fatto da chi non ne intendeva il valore e restò un solo foglio che tratta della morte del primo giovane. Per buona sorte, tornato Don Bourlot dall'America per qualche tempo, mentre ci indicò qualche piccola addizione da farsi al sogno, ci diede pur notizia sulla fine degli altri due giovani e ci rilasciava la seguente dichiarazione in data 12 ottobre 1889: “Posso assicurare con giuramento che la morte annunziata dei tre figli di Don Bosco si è avverata, come potrebbero testificarlo D. Berto e Don Bologna”. E ci aggiungeva che sebbene non ricordasse il cognome del secondo e del terzo, tuttavia poteva assicurare che uno di questi incominciava colla B ed era un fabbro ferraio, che morì all'ospedale, e Don Bosco ne ricevette l'ultima confessione.

                Non mancheremo d'illustrare la testimonianza di Don Bourlot confrontando con essa le memorie biografiche del Venerabile da noi raccolte, alcune note di Don Rua, ed i Necrologii, e ne presenteremo il risultato al lettore, narrando gli avvenimenti del 1868.

                Intanto notiamo come l'annunzio della morte di quei tre non escludesse altri che fossero per essere chiamati all'eternità in quell'anno. Infatti ci attestò Agostino Parigi aver Don Bosco detto qualche giorno dopo, che altri sei sarebbero passati di vita e che ad un compagno che temeva di essere in questo numero aveva risposto: - Sta' tranquillo: il Signore non ti vuole ancora. - E così avvenne.

                Erano dunque nove quelli che dovevano andare all'eternità fra 800 e più persone che si trovavano in casa. Ma perchè il sogno accennava solamente a tre? La loro successiva dipartita doveva compiersi nello spazio quasi intiero dell'anno: e la morte degli altri sei ad intervalli, della quale ignoravansi le circostanze, avrebbe costretto, come uno svegliarino, quelli dell'Oratorio a riflettere sovente al sogno e alla descrizione fatta riguardante lo stato delle coscienze.

                L'avveramento delle tre morti del sogno è sufficiente per testimoniare la veracità dell'annunzio dei tre flagelli. [20] Così talvolta i profeti d'Israele vaticinavano avvenimenti che si sarebbero avverati anche dopo qualche secolo, ma intanto con una seconda profezia di un fatto impreveduto imminente, confermavano la veracità della prima. E anche su questo punto torneremo nuovamente.

 

 

CAPO III. Don Bosco è trattenuto nell'Oratorio dalla neve - Discorsi famigliari: norme ai chierici per la predicazione - Letture Cattoliche - Lettere a due sacerdoti lucchesi: Don Bosco raccomanda le Letture Cattoliche ed i lavori della Chiesa di Maria Ausiliatrice: promette preghiere ad un nuovo parroco - Lettera al cavaliere Oreglia: gli dà commissioni per varie persone di Roma: a Torino àvvi caro di pane, neve e freddo: previsione di malanni: la Madonna provvede per la chiesa e per la casa - Altra lettera alla Presidente di Tor de' Specchi per un altare da erigersi nella chiesa di Maria Ausiliatrice - Al Direttore del Collegio di Lanzo: ringrazia i giovani delle lettere d'augurio: raccomanda la carità vicendevole e la visita frequente al SS. Sacramento; consigli al Direttore.

 

                NEI primi giorni di gennaio Don Bosco scriveva al nobile giovanetto Ottavio Bosco di Ruffino:

 

                               Carissimo Ottavio,

 

                La neve caduta e quella che densa va cadendo mi priva del piacere di godere questa sera la cara tua compagnia a pranzo. Debbo pertanto limitarmi ad augurarti buon viaggio, e dimani farò per te una speciale preghiera nella Santa Messa.

                Auguro ogni bene a te, alla signora Maman e sorella Giulia e raccomandandomi alla carità delle preghiere di ognuno mi professo con sentita gratitudine nel Signore,

                Torino, 3 del 68.

 

Aff.mo amico

Sac. GIOVANNI BOSCO. [22]

 

                L'assenza quasi totale dei visitatori, causa quelle intemperie le quali lo costringevano a rimanere in casa, gli procuravano molte ore tranquille; ed egli impiegavale nell'intrattenere in privato gli alunni sulle circostanze del sogno e nel dare spiegazioni e consigli a quanti ne lo richiedevano. Specialmente i preti e i chierici godevano di poter conversare con lui, poichè avevano sempre qualche cosa da imparare.

                Una di quelle sere vi fu chi gli domandò in qual modo un prete, specie se novello, potrebbe cavarsi d'impaccio caso mai, in angustia di tempo, fosse invitato a fare un panegirico. Don Bosco gli rispose:

                 - Sarà bene prevenire questi casi, ed io ti consiglierei che fin d'ora tu incominciassi a preparare alcune prediche le quali possano, in un bisogno, valere per qualunque circostanza. Per es. componi la prima predica sulla Madonna prendendo a dimostrare: 1° la Madonna essere Madre di Dio; 2 ° la Madonna madre nostra. È un argomento che vale per tutte le feste di Maria. Così pure in previsione generica di qualche altro panegirico togli a trattare di una virtù, quale sarebbe la carità, o l'obbedienza, o la preghiera, o la purità, ecc.; in modo che con qualche particolare addizione possa servire per qualunque santo, presentandolo come modello di questa o quella virtù che tu hai scelta pel tuo soggetto.

                Altri gli chiesero qualche avviso sul metodo di predicare con profitto delle anime ed egli disse loro:

                 - Non solo devesi studiare e ordinare l'argomento del quale si ha a trattare, ma è da tener conto del tempo nel quale si deve salire in pulpito. La chiesa stessa ci ordina di celebrare le feste temporibus suis e il predicatore deve assecondare le intenzioni della Chiesa. Per esempio per l'Avvento e pel salito Natale si dovrebbe aver di mira di preparare argomenti che possano disporre gli uditori a far sante accoglienze a Gesù Bambino. Così nella quaresima la predicazione dovrebbe aver lo scopo di condurre alla penitenza i peccatori, per la salvezza dei quali Gesù ha data la sua vita sulla croce. Per la Pentecoste [23] si può trattare dei doni dello Spirito Santo, della fondazione della Chiesa, dei miracoli dell'Apostolato, delle vittorie dei martiri, delle glorie del Papato, ecc., ecc.

                E continuava:

                 - Il predicatore deve badare agli uditori i quali possono essere classificati: riguardo all'età, riguardo alla condizione sociale, riguardo alla coltura.

                “Se gli uditori sono giovanetti, bisogna che l'oratore si abbassi al livello della loro intelligenza e non dia pane a chi non ha denti per masticarlo, ma latte, come dice S. Paolo a que' di Corinto. Con questa sorte di uditori cerchi il predicatore di far entrare nelle loro menti la verità per mezzo di esempi, di fatti, di parabole e farà profitto. E per qualunque argomento ne troverà sempre. Il suo libro di testo sia il catechismo, il quale dovrebbe pur servire come tale per ogni sorta di persone.

                Riguardo alla condizione degli uditori deve saper regolare il suo dire secondo il posto che quelli occupano nella società. Certamente che non si deve dire ai poveri ciò che è necessario inculcare ai ricchi, né ai servi o ai dipendenti ciò che si è obbligati ad esporre ai signori; oltre i precetti comuni, sono imposti da Dio varii e diversi doveri alle varie classi sociali. Ma il miele della carità temperi l'amarezza del rimprovero. Non si offendano le persone con ironie o invettive; specialmente nelle piccole borgate non si dica parola che possa essere giudicata allusiva alla condotta di qualche individuo. Si ometta pure ogni accenno a cose politiche. Si cerchino testimonianze di ciò che si espone, dalla Santa Scrittura e specialmente dai fatti e dalle parole di N. S. Gesù Cristo; e così nessuno potrà aversela a male, se certe verità sembreranno un po' dure. Parlando per es.: ai ricchi dell'obbligo che hanno di fare elemosina, senza inveire sulla durezza dei cuori, basterà senz'altro narrar la parabola del ricco Epulone.

                Riguardo alla cultura l'oratore sacro deve adoperare quelle maniere di esporre che possano essere senza alcuna [24] difficoltà intese, se l'uditorio è composto di persone rozze.

                Con queste bisogna adattarsi al loro linguaggio, pensare com'esse pensano, trasportarsi nell'ambiente dove vivono: il campo, l'officina, il laboratorio e le varie professioni manuali. Così faceva il Divin Salvatore predicando alle turbe della Galilea, composte da agricoltori, pastori e pescatori. Se gli uditori sono colti, senza dubbio va più ornato il discorso, ma nei limiti che sono prefissi alla parola evangelica. Il maggior ornamento si è una grande chiarezza, nelle parole, nei pensieri, negli argomenti. L'oratore sacro attinga la sua eloquenza non dalla sapienza del mondo, ma parli secondo lo spirito di Dio. E non divaghi in polemiche. Fare in pulpito le obbiezioni dottrinali e poi scioglierle, non è un metodo da tenersi, imperocchè un certo numero di uditori, seguendo l'impulso di un certo spirito di contraddizione, si mettono, anche senza avvedersene, dalla parte dell'obbiezione e ascoltano come giudici. Ciò impedisce talora, che si riesca a produrre tutto l'effetto desiderato. E bisogna anche notare che talvolta le risposte alle obbiezioni non sono sempre capite, ma spesse volte fraintese; e in certe menti restano impressi più gli errori che le verità opposte. Queste controversie si debbono lasciare ai dottori, forniti di ingegno non comune e di scienza acquisita con lunghi e pazienti studi. Questi le tratteranno, in modo, tempo e luogo conveniente, nelle grandi città ove se ne scorga il bisogno, e ad uditorio preparato a seguire lunghi e sottili ragionamenti.

                Se in un paese vi fossero eretici, il predicatore badi a non inasprire menomamente gli erranti. Le sue parole spirino sempre carità e benignità. Si confutino i loro errori e sofismi provando semplicemente con solidi argomenti le verità contestate. Prevenendo le obiezioni, si tolgono le armi dalle mani dei nemici. I testi scritturali che sogliono addurre falsati per combattere, esponiamoli nel loro vero senso, e procediamo con questi a svolgere la nostra tesi. Le invettive non ottengono le conversioni: l'amor proprio si ribella. Era questo il [25] metodo che teneva S. Francesco di Sales e che era da lui consigliato. Egli narrava che i protestanti correvano in folla ad udirlo e dicevano che loro piaceva, perchè non lo vedevano infuriarsi come i loro Ministri”.

                Intanto era stato pubblicato il fascicolo di gennaio delle Letture Cattoliche, col titolo: I Papi da S. Pietro a Pio IX. Fatti storici.

                In questo libretto si rendono manifeste le grandi azioni del Papato: lo zelo e l'eroismo dei Papi nel sostenere le persecuzioni dei pagani: nella propagazione della luce evangelica nell'universo: nel combattere le eresie: nell'arrestare, addolcire, convertire i popoli barbari, invasori anche dell'Italia: nella difesa dei popoli contro i loro oppressori: nel fondare e sostenere in ogni parte della terra infinite opere di beneficenza per ogni specie di miserie: nel bandire le crociate contro i Turchi: nel proteggere le scienze, le lettere, le belle arti e l'industria: nella lotta contro lo spirito rivoluzionario che sconvolge ogni ordine morale, religioso e civile: nel difendere la legittimità e inviolabilità del potere temporale, dei vantaggi del quale fanno anche testimonianza Bossuet, Fleury e Napoleone I.

                In ultimo, sotto il titolo di Varietà, si narra dell'Abate Domenico Sire che il giorno del Centenario dei Principi degli Apostoli aveva presentato al Papa, unite in gran numero di voltimi ricchissimi per oro, argento, pietre preziose e molte miniature e tipi e calligrafie, trecento traduzioni in lingue vive e parlate in tutta la superficie del globo della Bolla Ineffabilis Deus sul dogma dell'Immacolata Concezione di Maria Santissima.

                Il Papa! Ecco il tema che Don Bosco desiderava svolgere incessantemente, perchè la supremazia e la gloria del Vicario di Gesù Cristo stesse in cima ai pensieri dei fedeli. Perciò, nelle sue lettere, pur trattando di molti affari, raccomandava sovente l'associazione alle Letture Cattoliche.

                Così rispondeva ad un foglio che aveagli mandato da Lucca il sacerdote D. Raffaele Cianetti. [26] Carissimo sig. Don Cianetti,

 

                Ho ricevuto la sua cara lettera e mentre esprimo il mio rincrescimento sulla perdita del Rettore di S. Leonardo, godo molto sulla provvidenziale disposizione ch'Ella ci sia sottentrato come Curato e che lo zelante D. Bertini sia stato scelto a novello Rettore. Spero che il bene delle anime non abbia niente a soffrirne, anzi tutto andrà di bene in meglio.

                Ho pregato e farò pregare per la vedova che raccomanda il figlio dissipatello; spero che la elemosina fatta per la chiesa di Maria Ausiliatrice, le deboli nostre preghiere, le fervorose di Lei e della madre contribuiranno a muovere la bontà del Signore a favore di esso. La prego di dare al medesimo la medaglia ivi acclusa.

                Non mancherò di fare speciali preghiere per la signora di lei madre e per la inferma sua sorella. V. S. poi abbia di mira tre classi di persone: fanciulli, vecchi, ammalati; coltivando questi, guadagnerà tutto il rimanente.

                Adesso le mando nota dei lavori che rimangono a compimento della nostra chiesa. Può ella trovare mezzi e persone che vogliano assumersi qualcuno dei capi ivi notati a proprio conto e spese in onore di Maria Ausiliatrice? Noti che Maria è una generosa pagatrice e gli oblatori avrebbero un potente antidoto contro al colera e contro ad altre disgrazie.

                Altra cosa riguardo alle Letture Cattoliche. Ora ch'è al Sacro Ministero può con maggiore facilità promuoverle e raccomandarle.

                Quando verrà di nuovo a passare qualche giorno fra noi? la sua camera è sempre preparata. Preghi per me e per questi nostri giovanetti e mi creda nel Signore

                Di V. S. Car.ma,

                Torino, 2 del 68,

 

aff.mo in G. G.

Sac. GIOVANNI BOSCO.

 

                Anche al nuovo Rettore di S. Leonardo in Lucca, Don Salvatore Bertini, mandava le sue congratulazioni e i suoi incoraggiamenti, per averlo l'Arcivescovo scelto ad ufficio così importante.

 

                               Car.mo sig. Don Bertini, Rettore,

 

                Con sommo piacere ho ricevuto la notizia della sua nomina a Rettore di S. Leonardo. Deo gratias. Io ci vedo il merito da una parte e la [27] gloria del Signore dall'altra. Il suo zelo non abbisogna di raccomandazioni o di incoraggiamenti, ma se le deboli nostre preghiere potranno recarle qualche conforto l'assicuro che le avrà quotidiane. I tempi sono difficili, ma Dio non cesserà di essere sempre con noi. Dal canto mio poi desidero che compia la fatta promessa di venir a passare qualche giorno con noi. Parleremo di più cose. La sua camera è pronta.

                Le raccomando in modo particolare le Letture Cattoliche che fu tutta opera sua in Lucca: ora faccia di sostenerla: Don Cianetti credo che non mancherà di coadiuvarla.

                Raccomandando me e li miei poveri giovanetti alla carità delle sante sue preghiere, ho il piacere di potermi con gratitudine professare

                Di S. V. Car.ma,

                Torino, 2 del 68,

 

aff.mo in G. C.

Sac. GIOVANNI BOSCO.

 

                Il giorno dopo scriveva al Cav. Federico Oreglia di S. Stefano chiedendo se a Roma era finita la stampa del Centenario di S. Pietro, come egli aveva disposto, perchè il fascicolo fosse impresso sotto gli occhi di que' revisori ecclesiastici; e dava notizie dello stato dell'Oratorio.

 

                               Carissimo sig. Cavaliere,

 

                Belle la sua lettera; ci darò esecuzione. Intanto osservi se si è fatta la stampa del nostro Centenario di S. Pietro e me ne mandi copia.

                Le mando lettera del Conte Bonsiglione che all'indirizzo aveva il mio nome. La commissione per l'Unità Cattolica sarà fatta; li 104 fr. sono presso di me.

                Vada a portare al P. Chemeni Rettore del Collegio Nazzareno questa lettera. È propenso per la casa; gli porti copia della nota dei lavori da farsi; parli dei libri e delle Letture Cattoliche; egli lui ha scritto più volte in proposito.

                Alla Presidente di Torre de' Specchi dia la lettera e le dica che pel giorno dell'Epifania i nostri giovani faranno la loro comunione, io dirò la messa secondo la pia di lei intenzione.

                Il cav. Villanova è in mia camera; saluta e sollecita la sua venuta.

                Le miserie tra noi crescono orribilmente; il pane è a 50 centesimi al chilo; in tutto circa dodicimila franchi al mese ed abbiamo due mesi da pagare; mezzo metro di neve con freddo intenso e la metà dei giovani vestiti da estate: preghiamo.

                Fame, sete, morti e forse anche guerra saranno il programma di quest'anno. [28] Veda se può mandarmi il progetto colle osservazioni di Vigna e vedremo quello che si può fare.

                Scriverò presto altre cose.

                Grazie del danaro che ci promette: sarà però acqua sopra fauci diseccate; ma è sempre acqua; ovvero balsamo.

                Nella casa stanno tutti bene e la salutano. Maria SS. è la sola provveditrice che quasi provveda per la Chiesa e per la casa.

                Ossequio a lei e a tutte le persone che mi ha nominato; e Dio la benedica e mi creda coi saluti del sig. Cerato, che è qui con noi,

                Torino, 3 del 1868.

 

aff.mo in G. C.

Sac. GIOVANNI BOSCO

 

                La lettera che il Cavaliere recò alla Reverenda Signora Madre Maddalena Galleffi, Presidente del Monastero di Tor de' Specchi, diceva:

 

Torino, 3 del 68.

 

                               Reverenda signora Madre,

 

                Il Cav. Oreglia mi dà notizia che la persona proposta ad aiutarmi a fare un altare in onore di Maria Ausiliatrice è la S. V. Rev.da unitamente alle sue figlie religiose. Se può, compia l'opera caritatevole. Maria pagherà doppiamente perchè per la critica annata che corriamo noi stentiamo di pane ed abbiamo ancor la metà dei giovanetti vestiti da estate in questa cruda stagione. Sicchè aiutandoci per la chiesa, aiuta indirettamente tutta la famiglia: e poi Maria Ausiliatrice è generosa e, fra le altre paghe, avranno un potente antidoto contro al colera.

                Ad ogni modo io fo' l'ambasciata a nome di Maria Ausiliatrice e prego di tutto cuore questa celeste benefattrice, affinchè inspiri e doni mezzi per compiere l'opera proposta.

                Dio benedica Lei e tutta la sua religiosa famiglia e doni a tutti lunga serie di anni di sanità e di vita felice col paradiso in fine. Amen. Con gratitudine mi professo

 

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI BOSCO.

 

                Di quei giorni il Venerabile desiderava pur rispondere alle molte lettere d'augurio che aveva ricevuto per le feste Natalizie e pel Capo d'Anno, anche dai collegi di Mirabello e di Lanzo. Scriveva a que' di Lanzo. [29]

 

                               Carissimo Don Lemoyne,

 

                A suo tempo ho ricevuto la tua lettera e quelle collettive ed anche speciali di codesti nostri giovanetti. Io le ho lette colla massima consolazione, e, debbo dirlo, restai più volte commosso a tanti vivi segni di affetto e di benevolenza. Mi rincresce di non aver tempo di fare ad uno ad uno la propria risposta: ciò spero di poter fare fra non molto tempo in persona.

                Intanto ti prego dir loro da parte mia tre cose:

                1° Che io vi ringrazio tutti della buona volontà e della affezione che mi avete dimostrato oltre ogni mio merito. Io studierò di compensarvi col raccomandarvi ogni giorno nella S. Messa, come se vi avessi tutti meco attorno.

                2° In quest'anno io ho assolutamente bisogno che dal primo superiore all'ultimo della casa regni la carità nel sopportare pazientemente le molestie altrui e di darvi sempre dei buoni avvisi e consigli tutte le volte che si presenterà l'opportunità. Questa è la chiave che apre la porta alla felicità pel corso di tutta l'annata.

                3° Si promuova la frequente visita al SS. Sacramento, come mezzo efficace, anzi come solo mezzo per tener lontani i molti flagelli che in quest'anno ci sovrastano e in pubblico e in privato.

                Queste cose siano a tempo opportuno debitamente spiegate e fatte argomento di morali osservazioni, secondo che ravviserai opportuno.

                Quest'anno abbiamo bisogno di impedire le letture cattive e di promuovere le buone, e perciò io avrei vero piacere che tutti i nostri cari allievi fossero associati alle Letture Cattoliche, mentre tutti i superiori ed anche i giovani procurassero di proporle e di propagarle presso a tutte le persone da cui si può sperare buona accoglienza della proposta. Unisco qui alcuni programmi. Tu e Sala, nelle lettere più importanti, unite un programma con qualche parola di raccomandazione.

                Tu vigila, in omnibus labora, opus fac evangelistae, ministerium tuum imple: argue, obsecra, increpa in omni patientia et doctrina et in perdifficilibus rebus dic constanter: Omnia possum in eo qui me confortat.

                Dio benedica te, le tue fatiche, i maestri, gli assistenti, e i giovani tutti: pregate per me che vi sarò sempre .

                Torino, 8 gennaio 1868,

 

aff.mo in G. G.

Sac. GIOVANNI BOSCO

 

 

CAPO IV. Singolare domanda di Don Bonetti a Don Bosco - Don Bosco manda una strenna della Madonna ad ogni individuo del Collegio di Mirabello - Lettere di un chierico a Don Bosco con ringraziamenti per la strenna - Scrive alla Contessa Callori di essere stato alquanto ammalato: visitò il figlio nel collegio di Valsalice e gliene dà notizie: scusa la lentezza dell'edizione di un libro: sospende il disegno della fondazione di un liceo: costo elevato del Pane; necessità di riparare dal freddo i suoi alunni: spera di vederla a Casale - Dal Magazzino dell'amministrazione militare sono mandate all'Oratorio coperte da letto - Carità di Don Bosco.

 

                SE la lettera di Don Bosco aveva riempito di allegrezza e mossi a far buoni propositi gli abitanti del Collegio di Lanzo, commosse molto di più gli alunni di Mirabello un'altra sua lettera che per circostanze non ordinarie era vivamente aspettata. Sul fine del mese di novembre il direttore Don Giovanni Bonetti aveva scritto a Don Bosco:

 

                               Carissimo sig. Don Bosco,

 

                Nell'avvicinarsi la novena di Maria Immacolata uno strano pensiero mi balenò alla mente. L'ho afferrato e glielo espongo. Ho pensato adunque che di noi la Madonna è chiamata madre e degli angioli invece è detta regina, e che per conseguenza noi di Lei siamo figli, non sudditi e servi. Difatti non per essi ma per noi furono dette quelle parole: Ecce filius tuus: ecce mater tua. Ciò posto io dissi: è indubitato che l'amor di un figlio deve essere assai più veemente, che non quello di un suddito per fedele che sia, e perciò l'amor nostro verso Maria non dev'essere inferiore a quello degli angioli. Sebbene gli angeli [31] al presente possano amar Maria più di noi, ciò avviene perchè si trovano in istato di beatitudine; ma ciò nonostante noi come figli abbiamo più diritti, maggiori titoli, più forti obbligazioni, che non essi, di amarla e venerarla, specialmente per i grandi benefizi che ci ha fatti.

                Pertanto, cosa che a prima vista sembra troppo ardimentosa io ho proposto ai nostri figli di Mirabello di mandare agli angioli una sfida nel celebrare la novena e la festa dell'Immacolata Concezione, eccitandoli ad un tempo di adoperarsi a tutto loro potere per superare in questi giorni que' celesti spiriti nello slancio e nell'amore verso questa dolcissima Madre nostra. Alla difficoltà che mi si fece, che gli angioli non hanno passioni, non tentazioni, e che ci avrebbero vinti, ho risposto e dimostrato che anzi le nostre passioni e tentazioni ci avrebbero posti nella cara necessità di vincere più facilmente la sfida, purchè coll'aiuto di Gesù e di Maria che non ci manca le avessimo superate; e che Dio nel giudicare tra noi e gli angioli avrebbe tenuto conto di questi maggiori nostri sforzi.

                Comunque sia, o bene o male, io ho fatto la proposta che fu dai giovani accettata. Oggi si è incominciata la novena con non piccolo slancio e un buon numero mi paiono pronti a vincere o morire. Mi è necessaria tutta la prudenza di un generale per temperare o ben dirigere il loro ardore.

                Però colui che si trova negli imbrogli sono io. Mi domandarono chi sarebbe stato il testimonio della sfida tra noi e gli angioli. Ed io con una confidenza, forse un po' troppo grande, risposi che lasciava il pensiero alla Madonna di far conoscere in qualche modo l'esito della sfida. Io temo con ciò d'aver tentato Iddio. Perciò io mi rivolgo alla S. V. che voglia venirmi in aiuto. In che modo? Con uno dei soliti sogni, cui pregherò Maria a mandarle durante questa novena.

                In questo sogno o in qualche altra cosa equivalente sarebbe da desiderarsi che V. S. vedesse i giovani di Mirabello, o tutti o in parte vincitori, oppure accarezzati dalla Beata Vergine mostrantesi di loro soddisfatta per la novena. Nel terminare della medesima o pel dì della festa V. S. ci farebbe un grande servizio e metterebbe l'incoronamento all'opera se a nome di Maria ci mandasse a dire l'esito per noi glorioso.

                Deh! adunque signor Don Bosco, per pietà, non mi lasci nell'imbarazzo, ma mi venga in aiuto per tempo.

                L'ammalato che le aveva raccomandato è tosto guarito. Se ne aggravò un altro (un certo Stella) nipote del Can. Manfredi di Voghera. V. S. lo raccomandi.

                Gli altri stanno tutti bene. Il numero preciso dei giovani qui presenti, senza quelli che ancora aspettiamo, è di 145, dieci meno dell'anno scorso. Preghi per noi. Sono con tutto l'affetto

 

Sac. GIOVANNI BONETTI. [32]

 

                Don Bosco dovette sorridere a questa lettera, ma trattandosi di eccitare sempre meglio la divozione figliale degli alunni verso Maria SS., dopo essersi certamente a Lei rivolto con fervorose preghiere, ebbe fiducia di essere esaudito. Tuttavia non affrettò la risposta, ma lasciò trascorrere la festa dell'Immacolata e invitò Don Bonetti a mandargli l'elenco dei nomi di tutti i giovanetti del Collegio, di coloro che erano addetti alla casa, e dei membri della famiglia Provera. Ogni nome doveva essere posto in capo ad una riga, perchè egli potesse scrivervi a fianco un motto, o un avviso, o una lode, o un rimprovero in nome della Madonna. Si noti che di quegli alunni, molti nuovi li aveva visti una sol volta, ed altri gli erano perfettamente sconosciuti, perchè entrati dopo la sua visita, fatta in novembre. D. Bonetti si affrettò a mandargli la lista richiesta in fogli che nel rovescio dovevano restare in bianco. Ripetevasi il fatto della strenna ricevuta dai giovani dell'Oratorio per l'anno 1862. Don Bosco, riempiuti di propria mano quei fogli, li trasmise a Mirabello colla seguente lettera:

 

Torino, 7 dei 1868.

 

                               Carissimo Don Bonetti,

 

                Ho fatto un poco ritardare la risposta che la Madonna fa ai giovinetti di Mirabello, prima di sfidare gli Angeli.

                Non ho potuto prima perchè il dettato era alquanto lungo. Vedrai che ci sono delle osservazioni molto severe, ma niuno le prenda in mala parte; se ha riflessi a fare, li faccia alla Madonna stessa. Quello, che è certo si è che niuno può dire: “Questa strenna non fa per me”.

                Nasi, Chicco, Cascati, Belmonte e qualcheduno altro, mi scrissero lettere che ho letto con vero piacere; le tengo sul tavolino per far loro la risposta.

                Le risposte sono molto concise e la colpa è tua. Perchè nel mandarmi il catalogo dei giovani non hai fatto tenere maggior distanza da un nome ad un altro? Aiuta adunque a leggere lo scritto; ciascuno tenga il biglietto; andando poi a Mirabello io procurerò di spiegare a ciascuno più diffusamente quanto ivi è appena indicato.

                Che Dio mandi copiose benedizioni sopra i giovani e sopra i cari [33] Superiori di Mirabello. Io non do strenna, perchè non voglio miscere sacra profanis. Vale.

                Pregate pel

Vostro aff.mo

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                PS. - Si raccomandino e si propongano le Letture Cattoliche, e nelle lettere, ove par bene, si metta un programma.

 

                Don Bonetti ricevette quegli scritti, li tracopiò in un suo quaderno, notando solo le iniziali dei nomi; quindi tagliò l'originale in tanti listini quanti erano i nomi, e li distribuì secondo il loro indirizzo a ciascun individuo della casa. I primi sembrano destinati ai superiori, maestri ed assistenti.

                Ecco gli avvisi, inviati da Don Bosco.

                Parla sovente e con carità coi tuoi subalterni.

                Se vuoi volare alto, comincia dal basso: Humilitas totius aedificii spiritualis fundamentum.

                Procura sempre di praticare coi fatti quello che ad altri proponi colle parole.

                Quaere primum regnum Dei: sursum corda.

                In patientia felicitas et salus tua.

                Cave ne ponas manum ad aratrum et respicias retro.

                Le piccole croci della terra sopportate formeranno nuove corone di gloria in cielo.

                Multis modis vocat nos Deus ad se; in patientia tua possidebis animam tuam.

                Placentia superiori, placent et Deo tuo. Perge!

                Ama nesciri.

                Non multa, sed quae Deo, non tibi, placent, agenda sunt.

                Homines vident quae parent, Deus autem intuetur cor.

                Nondum caepisti: et quae coepisti Dei non sunt.

                An pergis? quid vis? Pete, ora, et operare.

                Consacra al Signore la tua sanità e l'avrai.

                Excita somnolentos et teipsum si calumniatus fueris.

                La meditazione e la Comunione saranno i tuoi salvatori.

                Si vinum bonum, opera bona, feceris, laetificabis cor Dei et hominum. Se dovrai rendere conto a Dio delle parole, dei pensieri, che non sarà delle opere?

                Si cum bonis bonus eris, cum perversis perverteris.

                Satage ut per bona opera vocationem certiorem facias.

                Perchè non eseguisci le promesse? Dove vanno i proponimenti?  [34]

                Se farai la meditazione e la lettura spirituale, vincerai l'accidia e quel vizio che ti ho detto.

                Comincia: Dio non è contento di te.

                Qui dicit bene et male agit, erunt ci mala in interitu.

                La carità, l'umiltà sono le ali che ti solleveranno verso Dio.

                Non basta cominciare: bisogna perseverare anche con sacrifizio. Gesù Cristo sia tuo amico: fuggi i compagni dissipati.

                Tanto i cattivi consiglieri quanto i consigliati corrono gran rischio di rovina.

                A Dio dispiace la tua accidia. Perchè non fai bene la tua meditazione e la lettura spirituale?

                I cattivi consigli ti tirano addosso l'ira di Dio: cangia vita, sei in tempo.

                Apri tutto il tuo cuore al Direttore e frequenta con fervore la Comunione.

                Coraggio, se vuoi avere il premio. Don Bosco ti dirà il resto.

                Se non ritorni indietro, ti metti per una strada che ti conduce alla perdizione.

                Cessa di essere matto, ma coi fatti sii luce di buon esempio.

                Da cattivi consiglieri sei male consigliato. Ascolta il confessore. Se non ti inetti a praticar l'umiltà, tu perdi la più bella delle virtù. Chi dà o riceve cattivi consigli, diviene servo e schiavo del demonio. I mali passati ti servano di lezione per l'avvenire.

                Inchoantibus proemium promittitur, perseverantibus datur.

                Ti attende un gran premio; non badar alla fatica.

                La frequente Comunione e le meditazioni faranno la tua fortuna. L'arroganza e il tempo perduto saranno due spine in punto di morte.

                Va' coi buoni e sta' ai consigli del confessore.

                Fuggi le vanità e la pigrizia. Fa' qualche visita a Gesù Sacramentato. Occupa il tempo; frequenta la Comunione: sii obbediente.

                Piglia animo: opera il bene; bada a nessuno.

                Se vuoi il premio continua la frequente Comunione.

                Chi fa cattivi discorsi è ministro di Satanasso. Eméndati.

                Ricorri sovente a Maria e va' avanti.

                Va' coi buoni, frequenta la comunione, fa' coraggio.

                Perchè pensi tanto a casa? Perchè non pensi più all'anima?

                Pratica i proponimenti della Confessione.

                Attendi alla meditazione e lettura spirituale. Ti sono indispensabili. Frequenta la Comunione.

                Dio vuole qualche cosa di più: amalo: frequenta la Comunione.

                Sei ancora in tempo, ma guai se differisci: fuggi l'ozio.

                Ama più l'anima, meno il corpo: coraggio, mentre sei in tempo.

                Il mondo t'inganna: ascolta Dio che ti tiene preparato un gran premio. [35]

                La tua freddezza e la tua indifferenza ti espongono a grave pericolo di perdizione.

                Guardati dai cattivi consiglieri: fatti amico il Direttore e il tuo maestro.

                Fatti animo, frequenta la Comunione, fuggi l'ozio. Maria ti chiama, ascòltala e bada a nessuno.

                Sii più umile, fa' meglio la meditazione.

                Cercati buoni consiglieri, altrimenti sei in gran pericolo. Lava spesso l'anima e pratica i consigli del confessore.

                Non nascondere il veleno in seno: cercati migliori compagni.

                Abbi maggior confidenza co' tuoi superiori eseguita i loro consigli. Fuggi l'ozio e fa' meglio la meditazione.

                Meno buffone, più divoto e più diligente.

                 Sei a tempo; fa' bene e bada a nessuno.

                I tuoi fratelli attendono da te buoni esempi e buoni consigli.

                Meditazione, lettura spirituale, frequente comunione saranno la tua fortuna se le farai bene.

                Se non abbandoni il vizio che tu sai, ti prepari un tristo avvenire. Fiducia ai tuoi superiori: pratica i consigli del confessore.

                Il mondo paga male; frequenta i buoni compagni e la S. Comunione. Perchè non rimedi al passato? perchè durare nel vizio? Ricorri a Maria che ti aiuterà.

                Il mondo inganna. Dio solo darà il vero premio: chiamalo.

                I consigli de' tuoi superiori siano regola delle tue azioni.

                Una buona insaponata all'anima e poi fuggi il vizio.

                Sii buon vicino col buon esempio e frequenta la Comunione.

                Dio non è contento di te: ci vuole un radicale cambiamento. L'ubbidienza e la diligenza ti assicurano la strada del paradiso.

                Non badar alla fatica, ma al premio che Dio dà a chi serve per lui

                La mansuetudine e l'obbedienza sono di assoluta necessità.

                Va' coi buoni e fuggi i compagni dissipati.

                Non fai male, ma non basta; Dio vuole che operi il bene.

                Apri il cuore ai tuoi superiori e avrai consigli per rimediare

                Chi giuoca di testa, paga di borsa: si i più obbediente.

                Pratica i proponimenti che fai in confessione.

                La collera e lo scandalo han fatto temere assai di te; emèndati.

                Perchè pensi a tante cose e badi sì poco all'anima?

                Tu dai cattivi consigli e pensi troppo al corpo: emèndati.

                Il paese delle risse sai dov'è? Pazienza ed obbedienza.

                Chi è pigro in vita, piangerà al punto di morte il tempo perduto.

                Un vizio ti prepara un gran disastro, se non ti emendi.

                Più sincero; occupa meglio il tempo e fuggi ecc.

                Le Comunioni e le meditazioni saranno la tua fortuna.

                Non attendi abbastanza all'anima, né sei più diligente.

                Sii più costante nelle promesse che fai a Dio. [36]

                La tua pigrizia e la tua volubilità sono i tuoi amici?

                Occupa il tempo, da’ più buon esempio, e Dio ti aiuterà.

                Dio vuol da te maggior diligenza nei tuoi doveri.

                Va' con buoni compagni e fuggi l'ozio: coraggio!

                Pensa meno a casa: bada più all'anima ed alla scuola.

                Bada a nessuno, fa' bene, va' coi buoni.

                Fuggi la pigrizia: sta' più raccolto in chiesa.

                Fuggi i compagni dissipati: sii più diligente.

                Pensa ai tuoi doveri, ma bada più alle cose dell'anima.

                Più carità coi compagni; combatti il vizio che tu sai.

                Maria vuole da te più diligenza ne' tuoi doveri.

                Sii più divoto in chiesa e attento nello studio.

                Usa maggior attenzione nella meditazione e nella lettura spirituale.

                Rispetto ai Superiori e frena la collera.

                Maria ti vuole divoto e ubbidiente.

                O cangiare o aspettarti cattivo fine: sei a tempo.

                Il tempo che perdi ti conduce al vizio: e se continui così dove vai?

                La tua pigrizia dispiace al Signore. Comincia ad essere diligente.

                Le cose possono nascondersi al mondo, ma non a Dio. Sincerità.

                Sii più attento nella scuola e più divoto a Maria.

                Troppo dissipato; sii più diligente; ricorri a Maria.

                La bocca che mentisce, dà la morte all'anima.

                Dimentica il passato e fa' vita nuova in avvenire.

                Seguita gli avvisi e i consigli de' tuoi superiori.

                Carità coi compagni, rispetto ai superiori, più attenzione in chiesa.

                Se hai cominciato bene, continua; ubbidienza e divozione.

                Studia di andare coi compagni amanti della pietà.

                Frequenta i Sacramenti. Sta' attento alla lettura spirituale.

                Apri tutto il tuo cuore al Direttore e fa’ come ti dice.

                La divozione e lo studio ti faranno felice.

                Occupa meglio il tempo: sii più divoto in chiesa.

                Se parli fuori di tempo, rechi danno all'anima e al corpo.

                La tua negligenza dispiace a Dio. Occupa meglio il tempo.

                La divozione in chiesa ti porterà molte benedizioni.

                Ascolta i tuoi superiori e non la sbaglierai.

                La lettura spirituale e l'ubbidienza ti terranno per la buona strada.

                Perchè disturbi in chiesa? Sii più divoto in avvenire.

                La tua dissipazione dispiace al Signore. Quando cangerai?

                Le risa e le negligenze recano molto danno all'anima tua.

                Se non cessi dalle negligenze e dalle risse, Dio non ti darà il provento in fin di vita.

                Procura di essere un poco più obbediente e poi tutto andrà bene.

                Qual ricompensa si merita il pigro e il negligente?

                Più divozione e più carità coi tuoi compagni. [37]

                Se vuoi andare avanti, usa carità co' tuoi scompagni; rispetta i superiori.

                L'attenzione nella scuola e la divozione in chiesa ti faranno accetto a Dio.

                Va' dalla formica e medita il 7° comandamento del decalogo.

                Non basta cominciare, ma fare sforzi per continuare.

                Lascia le menzogne; le negligenze spiacciono a Dio,

                Vuoi diventare buono? Sii devoto in chiesa, attento nella scuola.

                Colla negligenza e colla loquacità rechi danno all'anima.

                Per te l'ubbidienza è tutto. Ricorri a Maria.

                Vuoi assicurarti la buona strada? Sii obbediente.

                Se non fuggi la pigrizia, vanno male le cose dell'anima e del corpo.

                Il demonio ti vuol condurre alla pigrizia: non ascoltarlo.

                Va' coi buoni, fuggi i dissipati e farai bene.

                Se non cangi radicalmente, sei per una cattiva strada.

                I consigli del tuo confessore e del tuo maestro saranno la tua fortuna.

                Vuoi diventar buono? Sii devoto in chiesa, attento nella scuola.

                Se non cominci adesso, sarai in pericolo per l'avvenire.

                Se sarai divoto di Maria avrai la salute dell'anima e del corpo.

                Domanda un consiglio al Direttore e séguilo.

                Hai cominciato? Va bene; ma bisogna continuare.

                I nove biglietti che seguono pare fossero destinati al personale di servizio.

                Da' molta importanza alle cose di religione.

                Se sopporti gli altri, essi sopporteranno te. Più religione.

                Adesso puoi e non vuoi; verrà un tempo che vorrai e non potrai.

                Chi pensa molto al corpo e poco all'anima, cade nel laccio del demonio.

                Con maggior frequenza ai Sacramenti puoi assicurarti la via del Cielo.

                Dio nel Vangelo condannò un servo pigro. Coraggio.

                Non vuoi si mormori di te? Non mormorare tu degli altri.

                Col rispetto e l'obbedienza ti farai un gran bene.

                Sei fedele e lavora per amor del Signore, che ti pagherà bene.

                Questi altri erano destinati per i membri della famiglia Provera, che Don Bosco nella sua riconoscenza considerava come suoi figli spirituali.

                Un sacco di pazienza coi giovani. [38]

                Si sopportino i difetti altrui.

                Nel lavoro si cerchi la gloria di Dio.

                Faccia delle parrucche in ogni tempo e luogo; bastoni quando vi è opportunità (al vecchio padre).

                Coraggio; in fine si pagherà tutto.

                Coi fatti, colle parole insegni la religione alla sua famiglia (alla madre? ).

                Aiuti il papà a correggere ed avvisare, ma non dimentichi se stessa.

                Dopo le fatiche e le battaglie ti è preparato un gran premio.

                Veglia sulla sanità spirituale e temporale di te e della tua famiglia.

                Fece epoca in Mirabello tale distribuzione, e mentre i giovani meditavano i loro biglietti aspettando una visita di Don Bosco, egli riceveva lettere di rendimento di grazie, una tra le altre piena di così ingenuo affetto che crediamo bene riportarla.

 

Mirabello, 15 gennaio 1868.

 

                               Rev.mo sig. Don Bosco,

 

                Quanti baci a quella cara strenna! Ella esce dalle mani di Don Bosco, cui la dettò la Madonna stessa. Ma io anche vorrei darle la strenna; se l'accetta, io per me la dono di cuore. Ho udito parlar sì bene della Società dei chierici e preti, che io non vedo il momento in cui avrò la fortuna d'entrarvi. Questo può essere un semplice e passeggero impeto del mio cuore e se così fosse Ella lo conosce più di me; onde ho pensato di mettermi intieramente nelle sue mani, perchè so in quali mani mi metterà. Don Bosco conosce il mio interno, sa di che cosa io sia capace; disponga Don Bosco. Ora per altro la prego colle lagrime agli occhi di una consolazione. Il mio cuore, un tempo, talora era lieto talmente che venivo tentato perfin di superbia; talora triste al sommo, sicchè non poteva trovar pace. Ma che gioia quando manifestata la cosa al mio confessore, questi mi assicurò che nulla avevo a temere pel passato! Quando però potei venire a confessarmi da lei, lo sa, Don Bosco, ho avuto certe domande che lui diedero alquanto a pensare. Ora è poco tempo che ho inteso dal sig. Direttore, che esortato da Don Bosco ad avvisare quelli che fanno confessioni sacrileghe, interrogando del come, aver lei risposto che quando interrogati negano, basta per essi un avviso generale: ci pensino. Questo pensiero mi fa tremare. Per carità, Don Bosco, mi esponga lo stato di mia coscienza; son pronto ad obbedirla in qualunque cosa. Temo che il mio Don Bosco abbia voluto avvisare in quel modo anche me. Per carità lui consoli; lui dica, mi dica tutto; io lo farò, lo farò. [39] Mi scusi, caro Don Bosco, se le ho fatto perdere troppo tempo; è troppo il desiderio di ottenere le grazie suddette. Le spero dal dolce suo cuore e con questa speranza le bacio la mano con affetto di figlio.

 

Um.mo Ch. CARONES.

 

                Cessato il cader della neve e rese praticabili le strade Don Bosco recavasi al Collegio di Valsalice per visitare un, figlio della Contessa Callori che colà attendeva agli studii; quindi ne scriveva alla madre che passava una parte dell'inverno nel suo palazzo a Casale, comunicandole altre notizie importanti, e dicendole delle cause che ritardavano la pubblicazione del libro il Cattolico Provveduto per le pratiche di pietà.

 

                               Benemerita signora Contessa,

 

                Millanta cose a dirsi e non si scrive mai, ecco il modo di trattare; ma adesso prenderemo una cosa per volta, e questo lo fo dopo essere stato alcune settimane incomodato nella sanità. Ciò soltanto a Lei, come madre, perchè quei di casa non sanno niente, altrimenti sarebbero in apprensione. Ora va bene.

                Sono stato due volte a Valsalice; ma fui sempre sfortunato. La prima c'era nessuno, perchè tempo di passeggiata. Andai altra volta ad ora diversa e quel giorno capitò anche il cangiamento dell'ora alla passeggiata. Ho però potuto parlare con Emanuele, che ho veduto bene di sanità, ma non colla solita tranquillità. Voleva poi ritornare per parlare un poco a lungo, ma non ho più potuto. Ora se Ella effettuasse quello che accennò colla Marchesa Fassati, bene; altrimenti ci andrò, e adesso, avendo ora e giorno fisso per parlare, sono sicuro di non più fare la gita invano. Se può, mi dica una parola a questo proposito.

                Il famoso libro ha fatto un sonno un po' lungo. Mons. Gastaldi, che è Revisore Ecclesiastico incaricato, dimenticò l'originale a Torino e per questa ragione non ci fu più dato fino ai primi di questo mese. Adesso si lavora con tutta energia e spero che guadagneremo una parte del tempo perduto.

                Ora le dirò che questo libro raggiungerà le pagine 800 e se si metterà ancora la vita dei santi principali avremo pagine 900: troppo voluminoso. Io sarei pertanto di parere: omettere le vite di questi santi, che forse potranno poi stamparsi a parte, e i vespri con altre piccole cose di aggiunta stamparli con carattere più piccolo e così portare il nostro libro a settecento cinquanta pagine circa. Ella ci penserà e io farò come dirà la mamma. [40] Il pensiero di un liceo, di cui sentesi gravemente la necessità, per quest'anno dobbiamo sospenderlo.

                Dobbiamo fare tutti gli sforzi per andare avanti in queste annate di grave miseria. L'anno scorso in questi giorni il pane era pagato cent. 26 al chilogramma; ora è fissato a 50, sicchè Don Rua ogni mese invece di cinque mila deve pensare a 9 mila; di più Lanzo e Mirabello sono in perdita sulle pensioni. Qui abbiamo la metà dei giovani vestiti ancora da estate.

                Ciò fa sospendere ogni spesa non ancora in corso.

                Perciò quanto Ella potrà fare nella sua carità, lo faccia per aiutarci ed andare avanti quest'anno colla speranza di tempi migliori per altre imprese.

                Avrà ricevuto la lettera che il Conte Borromeo mi ha scritto sull'ex - sindaco di Vignale: lasciamo che Pilato reciti il Suscipiat. Ci parleremo poi.

                Il sig. Conte o Lei farebbero bene di participarlo, affinchè lo sappia, che essi sonosi adoperati per questa onorificenza.

                Se Ella venisse a Torino fra non molto tempo, mi farebbe piacere di dirmelo, affinchè non colga l'epoca di sua assenza nel passaggio che sul principio di febbraio prossimo, o forse prima, farò a Casale.

                Signora Contessa, io raccomando ogni giorno nella Santa Messa Lei, il sig. di lei marito e tutta la famiglia. Ella preghi anche per la povera anima mia e mi creda con vera gratitudine

                Di V. S. B.

                Torino, 10 del 1868,

 

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI BOSCO.

 

                In questa lettera Don Bosco accenna ad un liceo. Si trattava di fondare a Torino un nuovo istituto per l'educazione della gioventù, il quale però doveva essere destinato ad uso liceo per ritirarvi gli alunni studenti dell'Oratorio, che finiti i corsi ginnasiali volessero intraprendere quelli di filosofia, e non solo essi, ma quanti altri si fossero presentati. Un certo numero sarebbe stato degli appartenenti alla Pia Società, o di quelli che avrebbero mostrato desiderio di appartenervi. Il liceo avrebbe avuto superiori è insegnanti proprii. Per dar colore alla cosa e compimento all’opera, avrebbe avuto aggiunta una piccola scuola per studenti di grammatica e qualche laboratorio per artigiani: mentre sarebbe stato quasi [41] il principio di un noviziato, come poi si ebbe a S. Benigno Canavese. E gli alunni, non indossando ancora la veste clericale, non avrebbero dato causa a invidia o a opposizioni.

                Ad un'altra lettera della Contessa Callori il Venerabile rispondeva con un biglietto.

 

                               Mia buona Mamma,

 

                Dirò anch'io: pazienza. Desideravo proprio passare qualche momento con il sig. Raniero... Forse farò con lettera.

                Stassera non potrò andare perchè impegnato.

                Ogni bene alla buona Mamma e a tutta la sua famiglia da parte del povero ma riconoscentissimo

 

Discolo.

 

                Nelle lettere al Cavaliere, alla Presidente di Tor de' Specchi, e alla Callori Don Bosco scriveva che una parte dei giovani era ancora vestita da estate; ma ciò non toglieva che fossero provvisti da lui di maglie di lana. Insieme aveva annunziato al Cavaliere: “Nella casa stanno tutti bene.” Egli non si dava posa un istante per provvederli di ciò che loro mancava, supplendo anche all'incuria di certi parenti che non mantenevano le loro promesse.

                Nel settembre del 1867 aveva supplicato il Ministro della Guerra, per ottenere vestiarii e coperte da letto fuori d'uso esistenti nei regii magazzini dello Stato. Il Ministro aveva accolto la domanda, e poichè non tutti gli oggetti destinati per l'Oratoiio erano stati consegnati a Don Bosco, questi ne aveva sollecitato l'invio e ne riceveva pronta risposta.

                Magazzino principale dell'Amministrazione Militare nel Dipartimento di Torino - Ufficio del Contabile.

 

Torino, 10 gennaio 1868.

 

                               Ill.mo e Rev.mo Signore,

 

                Fra i vari oggetti che il Ministero della Guerra con dispaccio delli 10 ottobre u. s. n° 7754 ordinava venissero elargiti a beneficio dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, di cui la S. V. Ill.ma è benemerito Direttore,  [42] eranvi assegnate N. 20 coperte di cotone, di cui all'epoca della somministranza fattale il Magazzino ne era, come tuttora, letteralmente sprovvisto.

                Ora però trovandosi in fondo alcune coperte di lana da campo che per l'attuale stagione sembra possano essere più adattabili che non quelle di cotone, se la S. V. crede di accettarle, può disporre per il ritiramento di N. 20 delle medesime, a saldo della elargizione concessa dal prefato superiore dicastero.

                Tanto mi pregio significarle in riscontro al foglio di stamane, protestandole in pari tempo i sensi del massimo mio ossequio con cui mi onoro di essere,

                Della S. V. Ill.ma e Rev.ma,

 

Dev.mo ed Obbl.mo Servitore

A. BACCHINO.

 

                Il Venerabile era adunque in continue strettezze finanziarie, ma queste non impicciolivano il suo cuore che si commoveva vedendo le miserie dei poverelli che a lui tendevano la mano. Narra Don Rua nelle sue memorie.

                “Il 10 gennaio 1868 Don Bosco sul far della sera camminava per la città, quando fu raggiunto da un poverello che si fece a chiedergli l'elemosina. Nella giornata aveva dovuto spendere quanto denaro possedeva, né più altro gli restava che una pezza da lire una. Mosso a compassione del poverello gli dice: - Non mi rimane altro che questa moneta; prendetela e il Signore vi benedica. Prima però di recarvi a casa, passate al Santuario della Consolata a dire una Salve Regina affinchè la Madonna mi mandi altri aiuti. - Ciò detto si separò. Un'ora dopo una persona gli rimise un pacco proveniente da Roma, senza neppur dirgli quale fosse il contenuto. Credette Don Bosco che vi si rinchiudessero alcuni mazzetti d'immaginette. Ma che? Giunto a casa sciolse i legacci ed aprendolo vi trovò la somma di lire 1600 in biglietti di banca che servirono tanto bene a rimarginare alcune partite di debito che aveva”.

                Il plico, come si vedrà, gli era stato spedito dal Conte De Maistre.

 

 

CAPO V. Fiducia dei fedeli nella preghiera e benedizione di Don Bosco. Lettera di Don Bosco al Cav. Oreglia: Ha ricevuto le oblazioni dei benefattori Romani: morte di varii benefattori torinesi: neve e freddo eccessivo in Piemonte: ringraziamenti alla Presidente di Tor de' Specchi Per la generosa offerta di un altare: varie commissioni - Lettera del Cavaliere a Don Bosco: Gravi malattie in Ronza: il Duca Salviati e il Card. Consolini si interessano per l'affare di Vigna Pia: morte del fratello del Cardinale: medaglie di Maria Ausiliatrice distribuite agli infermi - Don Bosco parla del modo col quale si dovrebbe regolare un direttore salesiano nella casa da aprirsi in Roma - Don Francesia dà al Cavaliere notizie dell'Oratorio e delle predizioni di Don Bosco: il ch. Mazzarello si trova agli estremi: confessioni generali - Morte del ch. Mazzarello: è la prima predetta dal sogno: circostanze sorprendenti di essa - Don, Bosco al Cavaliere: ha ricevuto le osservazioni sul progetto di Vigna Pia e le studierà: le medaglie di Maria Ausiliatrice che si van coniando: la proposta di un istitutore per una nobile famiglia: introdurre in Roma il Giovane Provveduto e la Storia d'Italia nel Collegio Romano: è alquanto probabile il ritorno di un Principe a casa sua: chiedere una benedizione al S. Padre: notizie dell'Oratorio: morte di Don, Frassinetti, Priore di Santa Sabina in Genova - Il Padre Oreglia a Don Francesia: osservazioni sopra certi racconti: l'affare Margotti: notizia del bene che fa il fratello Federico: Roma si fortifica - Don Bosco al Cavaliere: è morto il ch. Mazzarello, [44] l'incisione di Maria Ausiliatrice per un libro di preghiere: notizie di Torino: gli manda una circolare con programma delle Letture Cattoliche: lo invita alla festa di San Francesco di Sales - La circolare - Altra lettera al Cavaliere: i gravi debiti dell'Oratorio: ringrazia i benefattori romani e Pregherà per loro: cospicua offerta di un signore guarito dalla Madonna: domanda di una decorazione per l'abate Soleri: il freddo in Torino triplica la mortalità: nessun infermo nelle nostre case - Il Cavaliere manda a Don Francesia notizie di Ronza - Don Bosco al Direttore di Lanzo che si trova a Genova: gli manda un plico da consegnare all'Arcivescovo Charvaz per ottenere da lui una commendatizia: una preghiera ad un Canonico perchè accetti di promuovere le Letture Cattoliche: una nota dei lavori da farsi nella chiesa di Maria Ausiliatrice, da presentare a chi possa assumerne qualcuno a sue spese - Letture Cattoliche: SEVERINO, OSSIA LE AVVENTURE DI UN GIOVANE ALPIGIANO - L'Unità Cattolica ne dà l'annunzio - Parole di Don Bosco su questo fascicolo.

 

                CHI volesse tener conto di tutte le lettere che noi possediamo nelle quali si manifesta venerazione a Don Bosco come ad un santo, confidenza illimitata nelle sue preghiere, persuasione che egli fosse uno dei servi prediletti di Maria, dovrebbe stampare un epistolario interminabile. A quando a quando ritorniamo su questa affermazione, perchè indica una prima causa delle generose offerte che Don Bosco riceveva per le sue opere e per la chiesa di Maria Ausiliatrice. Ci piace spigolare da qualche lettera alcuni periodi.

                Da Chambéry (Savoia) il sig. Victor d'Oncieu il 4 gennaio scriveva a Don Bosco raccomandando alle sue preghiere una giovane gravemente ammalata per etisia: “Più volte ho fatto soggiorno in Torino, nel qual tempo mi fu agevole giudicare da me stesso tutto il bene che voi avete fatto. Oltre [45] a ciò una delle mie parenti, la Contessa Melzi di Milano, mi ha sovente parlato di voi e di molte guarigioni miracolose ottenute dalle vostre fervorose preghiere. Tutto ciò mi ha deciso a prendermi la libertà di rivolgermi a voi per la nostra povera inferma Abbiamo già messa al collo dell'inferma una medaglia di Nostra Signora Ausiliatrice, che ci fu donata da Madama d'Oncieu, madre della Contessa Melzi”.

                E Madama d'Oncieu il 20 febbraio 1868, implorando le preghiere di Don Bosco per ottenere una grazia importantissima, scriveva: “Io vi debbo dire, signor Abate, che le medaglie di Maria SS. Ausiliatrice, con la promessa di un dono per la vostra chiesa, hanno preservato dal colera molte persone e intiere comunità. Una persona gravemente ammalata e avanzata negli anni, si trovò meglio subito dopo aver messo al collo la medaglia che la Contessa Melzi le aveva portata l'estate scorsa: ed oggigiorno è perfettamente guarita. Vedete adunque, Padre mio, che noi dobbiamo nutrire certa speranza di essere esauditi per mezzo delle vostre ferventi preghiere”.

                Da Carate Brianza la signora Carolina Brambilla Rasini l'8 gennaio 1868 faceva sapere a Don Bosco: “La ringrazio di cuore della bontà che ha avuto di ricordarsi di me e di quella povera anima afflitta che le raccomandai. Faccio le pratiche che mi ha indicato e tengo preziosa quell'immaginetta... Confido molto nell'efficacia delle sue orazioni... Giovanni sempre si ricorda di lei, la ringrazia della sua buona memoria, le ritorna un milione di rispettosi saluti, con mille augurii e benedizioni su lei e sopra il suo istituto che con tanto zelo regge”. Il sig. Giovanni Brambilla aggiungeva un poscritto: “Oh quante cose sono avvenute in quest'anno dopo che ci siamo parlati. Povero Oratorio di S. Luigi! Dio lo ha permesso, ma io non diffido nella giustizia di Dio ed ho fede che potrò riaverlo. La malignità degli uomini me lo ha tolto, ma la bontà di Dio me lo darà”.

                Don Davide Sesia, coadiutore titolare, scriveva a Don Bosco da Lacchiarella (Milano) il 12 marzo 1868:  [46] “Felicissimo fu l'esito della sua benedizione che impartì e delle preghiere che impose ad una signora di questa parrocchia prepostale, la quale si trovava già da molto tempo molestata da una malattia grave non poco e pericolosa. Terminati i sei mesi che furono dalla S. V. M. B. assegnati e adempite tutte le opere che le furono ingiunte, ella si trovò guarita perfettamente, per cui gratias agamus Domino Deo nostro, Immaculatae Virgini Mariae, et Tibi...”.

                Don Bosco alla sua volta, ringraziando la Madonna di tutto il bene che operava in favore de' suoi devoti, dava notizie dell'Oratorio al Cav. Federico Oreglia.

 

                               Carissimo sig. Cavaliere,

 

                Dirò le cose di mano in mano che si presentano alla mente. Acchiudo una lettera che viene da Modena.

                Abbiamo ricevuto fr. 1600 dal Conte De Maistre ed altri franchi 1087 dal P. Unda che la carità dei Romani per mezzo di V. S. carissima ha inviato per questa casa. Ne abbiamo immediatamente fatto le parti tra i più pressanti nostri creditori, tra i quali Avvezzana. Ora ci rimane la gratitudine verso questi caritatevoli oblatori, per cui non mancheremo di pregare ogni giorno Iddio affinchè sopra loro scendano copiose le benedizioni del cielo e specialmente che Maria Ausiliatrice tenga dalle loro famiglie lontano il flagello della malattia che molti temono anche in quest'anno.

                Tra noi morirono molte persone di sua conoscenza e benefattori di questa casa. Il Conte Quaranta Senatore del Regno; la contessa Lomellini con sua sorella Eccellenza Gattinara; contessa Buffa Antonielli di anni 18, sposata da pochi mesi; la contessa Mella - Berzetti nipote del Marchese Fassati: sono tutte benefattrici che Dio chiamò da questa alla vita beata. Noi abbiamo qui fatto il solito servizio religioso che consiste in messa, comunioni dei giovani, corona del rosario pure insieme. Ella faccia di costà la sua parte. Spero che essi pregheranno dal cielo affinchè Dio ci mandi altri benefattori.

                Qui continuiamo con un freddo molto intenso: oggi toccò 18 gradi; malgrado il fuoco della stufa il ghiaccio in mia camera non poté fondere. Abbiamo ritardato la levata dei giovani e siccome la maggior parte è vestita ancora da estate, così si posero indosso due camicie, giubba, corpetto, due paia di calzoni, cappotti da militari: altri si tengono le coperte da letto sulle spalle lungo la giornata e sembrano tante mascherate da carnevale. Malgrado questo, stamattina al tempo della ricreazione, che tra i nostri giovani è tanto animata, non vi era [47] nemmeno uno in cortile. Abbiamo disposto che gli artigiani vadano nel laboratorio, gli studenti nello studio, e, chi vuole, nel nostro refettorio. In mezzo a tante calamità i nostri giovani sono allegri e contenti e non abbiamo uno in infermeria da più mesi. Deo gratias!

                Ringrazi tanto la Presidente di Torre de' Specchi: dica che io intendo che quella somma sia impiegata per l'altare di S. Giuseppe o per quello dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria, come a lei piacerà di più. Per vera pagatrice lascerò Maria Ausiliatrice; dal canto mio intendo che poco per volta i nostri giovani facciano tante comunioni, quanti sono i franchi dei duemila scudi e ciò per invocare le benedizioni del cielo sopra quel santo Monastero di Torre de' Specchi.

                Scrivo un biglietto per la Marchesa Marini che prego di volerle portare.

                In quanto al suo ritorno, se può sistemare le cose della Contessa Calderari da potersi porre in libertà, venga per S. Francesco di Sales, in cui ho piacere di vedere raccolta tutta la nostra famiglia. In questo momento giunge mezzo gelato il cav. Villanova, che domanda di lei e mi dà incarico di salutarla, ecc.

                Faremo in comune speciali preghiere per la Contessa Melingen, per la benemerita Maria Vitelleschi, per il Marchese Cavalletti e per quelli che mi nomina nella sua lettera.

                Oggi 13, il freddo 21 gradi cent., neve 60 centimetri, nessun giovane ammalato. Tutti la salutano. Altra lettera presto. Dio benedica le sue opere e mi creda nel Signore,

                Torino, 12 gennaio 1868[2],

Aff.mo amico

Sac. G. Bosco.

 

                Prima forse che questo foglio giungesse a destinazione, Don Bosco riceveva dal Cavaliere nuove raccomandazioni di preghiere. È mirabile la fiducia che si aveva dai Romani nelle preghiere del Servo di Dio!

Roma, 15 del 1868.

 

                               M. R. Don Bosco,

 

                Il dottore Tancioni, che è, come la sua famiglia, portatissimo per Don Bosco, sta gravemente ammalato: la Madre Presidente di Torre de' Specchi è pure salassata tre volte: il Marchese Cavalletti è in pericolo di vita. Tutte queste persone si raccomandano molto alle sue preghiere. Io consiglio a tutti la novena e qualche offerta ..... [48]

                La Duchessa di Sora rinnova con molta premura le sue istanze per sapere se Don Turchi possa convenire ai suoi figli... Insiste perchè il loro precettore si è già licenziato.

                Spero di poter fare adottare nelle scuole notturne di Roma il Giovane Provveduto...

                Il Duca Salviati mi disse che avrebbe egli stesso mandato a lei copia delle osservazioni per Vigna Pia.

                Fui oggi dall'Em.mo Card. Consolini che mi parlò con molto interesse di Don Bosco e di Vigna Pia: io non mi sbilanciai in verun senso e mentre per mantenere la conversazione ne diceva il mio parere, feci ben capire che io non aveva da lei nessun mandato in proposito, e che Lei stessa avrebbe veduto le osservazioni fatte dalla Commissione e risposto tosto a quelle che le fossero comunicate dal Duca Salviati. Mi parlò assai del Marchese suo fratello, della sua morte, e ciò sempre piangendo come un ragazzo. In fine mi diede dieci scudi di elemosina per la casa; mi trattenne oltre a due ore e volle ancora abbracciarmi quando mi alzai congedandomi. Dico queste cose onde veda di quanto affetto Lei è amata da questo Cardinale, giacchè è chiaro che questi segni di affezione non vengono a me che vide appena due volte.

                Io poi non faccio che visitare ammalati, dai quali sono cercato come se fossi un medico. Mi ero portato una buona porzione di medaglie benedette da Lei e già mi sono tutte state prese. Se Lei potesse comunicarmi un po' della sua abilità, parmi che si potrebbero avere molte elemosine. Il numero degli ammalati è straordinario: non vi è famiglia dove non ve ne siano almeno due. I miei padroni di casa, i signori Gualdi, che mi danno l'alloggio gratis, sono tutti in letto ed io faccio loro ciò che posso. Speriamo che Maria SS. Ausiliatrice vorrà benedire quel poco che io faccio col fine di continuare alla meglio la prosperità dell'Oratorio. La Presidente di Torre de' Specchi mi promise definitamente di impegnarsi per mettere insieme i duemila scudi. Non sarà tutto insieme, ma poco per volta.

                Mi faccia il piacere di mandarmi due righe per la Marchesa Marini che mi promise 400 scudi e che già me ne diede cento. Essa ha molte afflizioni e si raccomanda massime per la salute de' suoi figli e per la loro buona educazione.

                Spero d'aver presto un'udienza dal Santo Padre.

                Il Padre Ambrogio, Priore dell'Ospedale di San Gallicano, va male assai: fui già più volte a trovarlo, prese la medaglia e si raccomanda. Esso cogli altri sovradetti faranno qualche cosa se guariranno.

                La Marchesa Maria Vitelleschi è pure in letto per forte raffreddore con febbre. Essa teme di morire: due sue parole d'incoraggiamento le farebbero bene assai. La Marchesa Clotilde è sempre piena d'angustie per sé e per la sua famiglia, ma tuttavia non dimentica l'Oratorio, per cui fa tutto ciò che può per aiutarci e farci aiutare. La Contessa [49] Vinci la vidi oggi e la riverisce con suo figlio. Per oggi basti. Preghi per me. Mi creda di cuore,

 

Suo aff.mo Servo

FEDERICO OREGLIA.

 

                La notizia dell'interesse che il Cardinale Consolini avea manifestato per il progetto di chiamare i figli dell'Oratorio alla direzione di Vigna Pia, aveva cagionato piacere a Don Bosco. Il Venerabile desiderava ardentemente di avere una stanza fissa in Roma per la sua Pia Società. Prevedeva, è vero, ostacoli di vario genere, ma si lusingava di poterli superare. Don Rua nelle sue note di cronaca il febbraio del 1868 scriveva:

                “Si parlava un giorno di accettare la direzione di una casa in Roma, donde si erano ricevuti inviti ed esibizioni in proposito. Questa casa dipendeva da un'altra amministrazione estranea alla Pia Società. Qualcuno dei Salesiani faceva difficoltà mostrando come eravi pericolo di attirarsi l'invidia, di venir in urto coll'amministrazione e fors'anco di perderne nella buona opinione che colà si aveva della Congregazione. Rispose Don Bosco che con facilità si sarebbe riuscito ad evitare l'invidia e gli altri inconvenienti col non cercar mai di farla da maestri, bensì da scolari; accettar volentieri e con umiltà le osservazioni che ci verranno fatte, e seguendole per quanto sarà compatibile coi nostri regolamenti”.

                Intanto incominciavano ad avverarsi le predizioni di Don Bosco.

 

20 gennaio 1868.

 

                               Carissimo sig. Cavaliere,

 

                La sua mancanza si fa più e più sentire non solo da noi ma anche in Torino... Che direbbero se sapessero che ella si rese assai benemerito coll'assistere all'amputazione di tante gambe a tanti garibaldini? ...

                Le cose di casa vanno ancora bene, sebbene il diavolo lavori ora di qua ora di là. La strenna annuale fu importante per l'annunzio che avremo presto tre morti. Il primo buonissimo e assai cattivo l'ultimo. Mentre poi se ne parlava, e sa con quanta ansietà, ecco la novella [50] che il ch. Mazzarello a Lanzo erasi testé coricato e si trovava agli estremi Don Bosco assicurava che non avrebbe il morituro fatto l'esercizio della buona morte, fatto appunto giovedì scorso ultimo. La paura era grande come pure l'aspettazione, e tale annunzio ha dato una così grave scossa ai giovanetti nostri che si contano con una mano quelli che non fecero l'esercizio. Tutti volevano fare la confessione generale. Il Signore dà sempre forza soprannaturale alle parole del suo Servo.

                Il grave freddo è diminuito, ma è cresciuto l'articolo pane...

                Or ora fu qui Mons. Gastaldi e chiese delle sue notizie e mi lascia di riverirla. Visitò la chiesa e ne fu assai contento...

 

Sac. FRANCESIA.

 

                Il 22 gennaio moriva nel Collegio di Lanzo il ch. Giuseppe Mazzarello di Mornese e colla sua morte incominciava ad avverarsi il sogno. Era il primo dei tre predetti e giova ricordare alcune speciali circostanze che accompagnarono il suo decesso. La prima si è che morì a Lanzo, dove i giovani non erano ancor tutti conosciuti da Don Bosco, come indicava chiaramente il sogno. La seconda, ancor più meravigliosa, è l'aver detto Doli Bosco al ch. Stefano Bourlot, come questi attesta, prima ancora di aver notizia della malattia di Mazzarello, essere un chierico che doveva morire per il primo. Terza circostanza è l'aver Don Bosco annunziato in pubblico, prima che Mazzarello si ammalasse, incominciare con la lettera M il cognome di colui che pel primo sarebbe andato all'eternità.

                Don Rua nella sua cronaca osserva:

                “Essendosi infermato il ch. Mazzarello Giuseppe nel collegio di Lanzo, quando se ne parlò a Don Bosco, sebbene non lo avesse veduto infermo, ed il medico mostrasse speranza di guarirlo, egli tuttavia ne parlò in modo agli astanti che da essi si ritenne tosto come spedito”.

                Alla vigilia di questa morte Don Bosco rispondeva al l'ultima lettera del Cavaliere Oreglia. Era deciso che la nuova chiesa sarebbe stata consecrata nel 1868. Quindi aveva dato ordine che si coniassero speciali medaglie per la sospirata funzione: da una parte dovevano avere la facciata della [51] chiesa con la scritta: Chiesa di Maria Ausiliatrice; nell'esergo Torino; e sul rovescio l'effigie caratteristica di Maria Ausiliatrice con l'invocazione: Maria, aiuto dei Cristiani, pregate per noi. Le medaglie da distribuirsi ai fedeli, più piccole e più sottili, recavano da una parte l'effigie di Maria Ausiliatrice e dall'altra il simbolo del SS. Sacramento.

                Anche di questo scriveva D. Bosco al Cavaliere mentre gli dava commissioni per i signori romani, con notizie dell'Oratorio e l'annunzio della morte di benefattori.

 

                               Carissimo sig. Cavaliere,

 

                La mia lettera che possa servire di risposta ad alcune cose contenute nell'ultima. Dica adunque a tutte le persone che mi ha raccomandato che io ed i nostri giovanetti facciamo speciali preghiere per gli ammalati affinchè riacquistino la primiera sanità, pei sani affinchè siano in tale stato conservati. Ho ricevute le osservazioni sul progetto di Vigna Pia; qui non vi è conclusione né proposta: studieremo e poi vedremo. Ivi pure era la medaglia di Maria Ausiliatrice che ho esaminata e fatta esaminare da molti. In generale fu trovata bella, ma fu quasi da tutti osservato: 1° il gambo dell'ostensorio troppo piccolo; 2° il collo della Madonna sia un tantino elevato sopra le spalle; 3° la parola Auxilim è abbreviazione inesatta: perciò se si può si metta Auxilium, altrimenti si scriva Auxiliu. Se non si può correggere almeno si metta Auxilim.

                Se poi la medaglia commemorativa è già in corso, mi dirà quello che ha dato per scrivere, affinchè possa osservare se va d'accordo colle altre cose.

                Don Turchi presentemente non è in libertà; io proporrei il sig. Don Molinari di Brescia che giudico molto adattato più che l'altro. Gli ho già scritto in genere senza nominare persone. Domani credo aver risposta; la comunicherò tosto. È pure un buon precettore Don Provera, che fu precettore dei figli del conte Callori, finchè andarono in collegio. Dopo l'uno interpellerò l'altro, ma senza legarmi.

                Va bene se si può introdurre il Giovane Provveduto nelle scuole serali: non v'è speranza che la Storia d'Italia sia introdotta nel Collegio Romano invece di quella che l'anno scorso fu cotanto biasimata dallo stesso P. Angelini?

                Se vede la Duchessa di Sora, le dica che l'anno scorso ho parlato con personaggio esigliato in sua villa Ludovisi. Si disse cosa difficile che egli avesse potuto ritornare in casa propria ad eccezione di un caso solo. Allora quel caso e quel fatto sembrava quasi impossibile. Ora una serie di avvenimenti l'hanno reso alquanto probabile. [52] Se andrà all'udienza del Salito Padre, dimandi la benedizione per noi, e nel licenziarsi, come grazia speciale, dimandi la sua protezione speciale per la nostra Società.

                Ora passiamo alle cose nostre. Ogni giorno parecchie cose speciali che altamente onorano Maria Ausiliatrice. In casa nostra niun ammalato; appetito in grado superlativo; il grissino è a centesimi 80 al chilogramma. Il freddo si è calmato Abbiamo avuto circa un metro di neve che adesso va fondendo.

                I tipografi sono senza lavoro. Sempre si dimanda di Lei; ogni giorno c'è un andirivieni di carrozze che hanno per iscopo di sapere la sua venuta. Venendo, se può, passi per Firenze, chè la Marchesa Nerli ha una commissione confidenziale ad affidarle. Giardino[3], capo dei compositori, fu più giorni ammalato e per più settimane fu assente dalla tipografia; ora è ritornato. A Lanzo Mazzarello vuole andare in paradiso. A Mirabello ottima sanità; Don Bonetti fu qui e le offre i suoi saluti. Il suo capo correttore non è ancora venuto; forse...

                Quivi è un biglietto per la principessa Borghese. Ella, facendo una copia di quelle cose che rimangono a compiersi, con questa lettera la metta entro una busta, la indirizzi e la faccia pervenire. Mi dia notizie di casa Grazioli e specialmente di D. Ruggeri. Per oggi basta.

                I saluti a tutti, sani ed infermi, e sopratutto alla madre Galleffi ed alla casa Vitelleschi ed al suo ostiario, cui prego di fare un bel regalo da parte mia. Preghi per noi e specialmente pel

                Torino, 21 gennaio 1868.

Suo aff.mo amico

Sac. G. Bosco.

 

                PS. - È morto D. Frassinetti priore di Santa Sabina. È pur morto il Conte Farcito. Ambedue benefattori di questa casa. [53]

 

                Anche D. Francesia per altri motivi teneva corrispondenza col Padre Oreglia, il quale, rispondendo, si manifestava della sua opinione nel giudicare certi racconti di autori religiosi; gli dava notizie di ciò che si pensava, si faceva e si temeva in Roma; e gli parlava dell'Unità Cattolica. Il Teologo Margotti riguardo al concorso dei cattolici alle urne per le elezioni politiche, aveva proclamato il principio: Né eletti, né elettori. Ma l'Autorità ecclesiastica di Torino, non approvando lo zelo del giornalista cattolico, gli aveva dato consiglio di smettere quel programma. Il Teol. Margotti obbedì, ma dopo pochi giorni, per avviso venutogli dal Vaticano, riprese a sostenere la sua tesi.

 

Roma, 24 gennaio 1868.

 

                               Rev.do e carissimo prof. D. Francesia,

 

                La ringrazio della cortesissima sua del 20 corrente. Feci la sua commissione all'autore del Tigranate e di D. Ciccio e speriamo che si emenderà e correggerà. Al P. Bresciani dicevano lo stesso. Questi poeti di prosa e di verso son tutti così. Vedono le cose aeree e in nube e non si accorgono che le vestono di parole che poi muovono altrimenti menti che essi non vorrebbero. Come vede, io penso come lei. E per parlarle in confidenza sappia che anche nei nostri convitti non tutti questi libri sono permessi. Questi autori chiarissimi dicono che non iscrivono per fanciulli. Ma tutti siamo fanciulli. Nella diversità però delle opinioni, non volendo tiranneggiare, conviene contentarsi del risultato delle due forze: letteraria intrinseca e censoria estrinseca. E in quanto a me godo e ringrazio quando si accresce la seconda. Il che ella fece per la sua parte. Deo gratias.

                Quanto all'affare delle elezioni ella saprà ciò che qui si pensa delle noterelle dell'Osservatore Romano e Giornale di Roma. Così penso anch'io indegnamente. E così spero che ricomincerà, non dico a pensare (che sempre pensò così), ma a scrivere Don Margotti. Qui si è persuasi che non si concluderà nulla di buono e si comprometteranno anzi i cattolici.

                Godo in sapere le buone notizie sue e de' suoi. Dio li benedica e protegga sempre. Qui Federico è sempre in affari buoni sotto ogni rispetto. Parla sempre di partire. In quanto a me son ben lieto di vederlo. Tutti ne parlano bene e fa del bene assai e finora non so che sia andato in nessun ballo in questo carnevale. Dico questo perchè siamo in carnevale e per ischerzo. Ha fatto molto bene coi Garibaldini e segue a farne coi malati e coi sani. E credo che ne fa anche pei [54] cari suoi dell'Oratorio e nostri; dico nostri dell'Oratorio, coi quali dividiamo di cuore e i trionfi e le pene.

                Qui ci andiamo fortificando in curribus et in equis e non ci mancherà l'in nomine Domini, specialmente se Don Bosco pregherà per noi, come certo fa. I pericoli si addensano: questo è chiaro, e il mese di ottobre non fu che una prefazioncella.

                La ringrazio del libretto per la posta. Ci servirà. Ebbi pure tempo fa una sua bella iscrizione al Vallauri.

                La prego di raccomandarmi all'egregio Don Bosco, la cui penna mi pare avere riconosciuta in atto di rischiarare il suo carattere, che è però chiarissimo. Ma godo di quel suo cenno di presenza...

 

G. OREGLIA.

 

                Mentre questa lettera giungeva all'Oratorio, una di Don Bosco era spedita a Roma.

 

                               Carissimo sig. Cavaliere,

 

                Non sappiamo più nulla di lei; dunque parliamo noi. Legga la lettera di Don Molinari e poi mi dica qualche cosa: la condotta e la scienza sono garantite.

                A Lanzo (22) morì il caro chierico Mazzarello, uno dei più bei fiori del nostro giardino che Dio vuole trapiantare in paradiso. È pure morto il barone Dupré, fratello del nostro amico. La sepoltura ha luogo questa mattina

                Se mai potesse disporre che la incisione di Maria Ausiliatrice potesse servire per mettere in principio del libro delle preghiere, che è a buon porto, sarebbe cosa opportunissima.

                Riceverà alcune lettere con alcuni programmi delle Letture Cattoliche. È tardi, ma è meglio che non mai.

                Mons. Galletti predica la novena del B. Sebastiano Valfré a San Filippo; popolo immenso, chiesa piena. Mercoledì avremo di nuovo a Torino Mons. Gastaldi. Il sig. Anglesio è priore della festa di S. Francesco di Sales, che faremo domenica prossima. Ci sarà anch'ella?

                Il Cav. Villanova è in mia camera e la saluta. Vale in Domino et valedic.

 

                Gennaio, 1868.

Aff.mo in G. C.

Sac. G. Bosco.

 

                Le lettere circolari per la diffusione delle Letture Cattoliche, di cui Don Bosco mandava copie al Cavaliere, erano [55] state distese dallo stesso Servo di Dio nella forma seguente lasciando al segretario la cura di completarla con le citazioni.

 

                               Ill.mo Signore,

 

                Crediamo fare cosa gradita a V. S. Ill.ma coll'inviarle un programma delle Letture Cattoliche per accennarle la regolare continuazione delle medesime con alcuni miglioramenti che possono renderle vie più amene, popolari e di pronto recapito. Corrono esse l'anno XVI di pubblicazione e la direzione colle parole e coi fatti venne sempre mai confortata dalle Ecclesiastiche Autorità. Fra gli altri l'Em.mo Card. Vicario di Roma in apposita circolare intorno a queste Letture con data del '22 maggio 1858, ha quanto segue. La Santità di N. S.... (Giurisdizione. V. Guida).

                Lo stesso Sommo Pontefice in una lettera indirizzata al Direttore delle Letture Cattoliche ebbe l'alta degnazione di esprimersi intorno alle medesime colle seguenti parole: Nihil hac agendi, ecc. (V. anno 8, f. 2, pag. X).

                Noi pertanto ci facciamo animo di raccomandarle eziandio caldamente al noto zelo, alla singolare di lei sollecitudine con preghiera di volerle raccomandare e diffondere ne' luoghi e fra le persone presso cui nella sua prudenza giudicherà tornare a maggior bene di nostra santa cattolica Religione.

                Intanto, a nome della direzione, le auguro ogni celeste benedizione ed assicurandola della profonda gratitudine ho l'onore di potermi professare,

                Della S. V. Ill.ma,

Obbl.mo Servitore

Per la Direzione

Sac. GIO. Bosco.

 

                Il Cavaliere, avuto il plico, dava relazione a Don Bosco del suo operato, gli esponeva i motivi che lo trattenevano a Roma per qualche tempo ancora, e ne riceveva la seguente risposta.

 

                               Carissimo sig. Cavaliere,

 

                Veduta la sua lettera convengo sulla convenienza che ella rimanga a Roma. Faccia dunque tutto quello che può a maggior gloria di Dio. Ma sappia che noi abbiamo due mesate di pane da pagare, ed i provveditori di materiali per la chiesa ci mandano le note a furia; questo per sua norma, chè quando possa ci mandi quel denaro che la carità dei Romani ci largisce. Intanto ringrazi tutti quelli che ci hanno fatto [56] carità, assicuri che noi facciamo preghiere per loro e per gli ammalati raccomandati; anzi domenica faremo la festa di S. Francesco di Sales, ed io intendo che messe, preghiere, comunioni siano indirizzate a Dio per ottenere sanità e prosperità per tutti i Romani ammalati che ci fecero o hanno in animo di farci carità per condurre a termine le nostre imprese.

                Mentre scrivo ho alquanto sospeso per ricevere un biglietto di mille franchi. È un signore che un mese addietro venne qui colle stampelle e sostenuto da un domestico. Egli riconosce la sua perfetta guarigione da Maria Ausiliatrice, cui aveva fatto le solite preghiere, con promessa di far qualche cosa per la chiesa. Questi mille franchi serviranno per tacitare dimani Rusca, che, come sa, è il principale provveditore delle pietre della chiesa.

                Le unisco qui un bigliettino per l'abate Soleri, antico mio allievo di morale. Esso questo autunno ci pagò un debito di 3000 franchi, ed ora desidererebbe di avere qualche decorazione da Roma; cavaliere di S. Silvestro, di S. Gregorio il Grande, e simili. Si cerchi adunque qualche agente di affari ecclesiastici e gli dica che promuova, e che per avere il Breve si pagheranno le tasse occorrenti, fossero anche cento e più scudi.

                Se poi ci fossero difficoltà insuperabili me lo scriva tosto e cercherò qualche altra provvidenza.

                Nella casa niun ammalato; lo stesso a Lanzo e a Mirabello. Il freddo ritornò indietro e stamane toccava i 14 gradi sotto zero. I medici dicono che questo freddo purifica l'aria e porterà sanità, ma intanto la mortalità in Torino è triplicata.

                Intanto, caro sig. Cavaliere, stia sicuro che nella casa noi conserviamo la più fraterna affezione per lei, e da che ella partì per Roma io non ho mai dimenticato di raccomandare ogni giorno nella santa Messa la sua sanità, il bene dell'anima sua; e così continuerò affinchè Dio ci aiuti ad essere veri amici in terra e compagni un giorno della vera felicità in cielo. Ella non dimentichi di fare ogni giorno la sua meditazione e la sua lettura spirituale. Dio ci conservi tutti nella sua santa grazia. Amen.

 

                Torino, 29, 1868.

Aff.mo amico

Sac. GIOV. Bosco.

 

                PS. - Credo che le medaglie possano essere di minor costo, se si riducesse lo spessore alla metà del modello che mi ha inviato. Ci pensi.

 

                Il Cavaliere, riscontrando questa lettera, scriveva anche a D. Francesia che aveagli chieste novelle di Roma e annunziata la morte del ch. Mazarello. [57]

Roma, 1° febbraio 1868.

 

                               Carissimo Don Francesia,

 

                Per mancanza di combattenti la battaglia è finita e qui per mancanza di soggetti si è finito di fare operazioni chirurgiche ai feriti, chè chi al cimitero, chi al beato regno tutti se ne andarono. Non mancano però le occupazioni perchè l'inverno qui fu abbastanza crudo e perchè ogni famiglia contò almeno due o tre ammalati. Vi sarebbero delle belle grazie fatte da Maria Ausiliatrice da contare, ma per questo mi riserbo quando le cose siano più sicure e complete. Lei preghi e faccia pregare quei buoni ragazzi onde io non abbia ad essere l'ostacolo alle grazie del Signore. Il primo dei tre è già morto; per quello si può cantare il Benedictus. Non vorrei essere il terzo

 

Aff.mo FEDERICO.

 

                In quel frattempo Don Bosco aveva mandato a Genova il direttore del Collegio di Lanzo per raccogliere offerte, e gli scriveva:

 

                               Carissimo Don Lemoyne,

 

                Eccoti due pieghi: uno pel canonico Fantini. In questo vi sono carte dirette ad ottenere dall'Arcivescovo di Genova una commendatizia per la nostra Società.

                Nell'altro si rimette un manoscritto e si fa domanda di dar mano a promuovere le Letture Cattoliche in luogo di Don Frassinetti. Parlando con D. Giacinto Bianchi, guarda se lo puoi indurre a venire a far con noi la festa di S. Francesco di Sales domenica; trova la scusa che hai bisogno di essere, accompagnato, ecc.

                Va' a fare una visita al Can. Canale e sta attento a quello che ti dice; gli aveva mandato una nota (dei lavori da eseguirsi nella chiesa) simile a quella che ti unisco. Sentirai se manifesterà qualche buona disposizione.

                Mando qui due di queste note. Chi sa se Guelfi padre (Via Fossatello) con qualchedun altro non possano assumersi qualcuno di questi lavori a proprio conto. Per tua norma D. Bianchi si è già assunta una lampada ed un presbitero a sue spese.

                Abbi per altro gran cura della tua sanità; e se il camminare ti dà incommodo, manda questi pieghi senza tuo disturbo.

                Domanda un poco alla tua signora madre se sapesse accennarti qualche persona cui potersi indirizzare con qualche speranza di buon risultato per questi lavori. [58] Mille ossequi ai tuoi venerati genitori e famiglia. Dio li benedica e li conservi ad multos annos e tu credimi sempre

                Torino, 29 gennaio 1868,

Aff.mo amico

Sac. GIOVANNI BOSCO.

 

                Intanto pel febbraio si distribuiva il fascicolo delle Letture Cattoliche: Severino, ossia avventure di un giovane alpigiano, raccontate da lui medesimo ed esposte dal sac. Giovanni Bosco. È un giovane che dopo aver frequentato l'Oratorio, si ascrive alla setta dei Valdesi, e, straziato dai rimorsi, ritorna in seno alla Chiesa Cattolica. L'intreccio del racconto è una continua confutazione delle menzogne de' protestanti.

L'Unità Cattolica del 19 febbraio 1868 dava l'annuncio di questo opuscolo.

 

                LE LETTURE CATTOLICHE DI TORINO. - La seconda dispensa delle Letture Cattoliche di Torino narra le avventure di un giovinetto caduto vittima delle trame dei Valdesi. Chi narra questi fatti è lo stesso Don Bosco, il quale, in mezzo alle tante sue occupazioni, trova tempo di pubblicare qualche grazioso ed importante racconto. Perchè mentre egli narra, non inventa; racconta cose vere e delle quali ha alle mani gli autentici documenti. Vi è adunque in esso la forma dilettevole del racconto, e la istruttiva sostanza della verità. Questo volumetto, che andrebbe così bene nelle mani della gioventù tanto avida di racconti, non costa che 25 centesimi. L'annua associazione poi alle Letture Cattoliche importa franchi 2, 25.

 

                Don Bosco, nel 1876, discorrendo di un nuovo racconto che meditava di scrivere per far vedere i mali che le vacanze autunnali arrecano ai giovani incauti e i mezzi per passarle bene, constatava il grande vantaggio che recavano questi libretti, e faceva varie dichiarazioni sopra Severino. Disse il nome de' due ministri che attorniavano il povero giovane e affermò che, eccettuate alcune piccole particolarità che non rompono per niente il filo del racconto, le avventure di Severino erano rigorosamente storiche. “Io, soggiungeva, posseggo [59] anche gli atti autentici e i documenti di tutto ciò che riguarda un compagno nell'apostasia di Severino, che morì nell'ospedale valdese di Genova. A quando a quando viene a trovarmi suo fratello e ci siamo intrattenuti sii varie dolorose circostanze d'allora”.

 

 

CAPO VI. Don Bosco domanda ai Vescovi lettere commendatizie per ottenere da Roma l'approvazione della Pia Società - Presenta la supplica al Vescovo di Casale con un cenno storico intorno alla Società di S. Francesco di Sales - Decreto del Vescovo di Casale che approva conte diocesana la Pia Società - Festa di S. Francesco di Sales e la conferenza generale: Ogni direttore dà un resoconto del suo collegio: Don Bosco approva ciò che D. Pestarino fa a Mornese: è soddisfatto di Mirabello e insegna il modo di correggere i giovani discoli: per Lanzo indica la maniera d'introdurre la Compagnia dell'Immacolata: dice poche cose dell'Oratorio, gli pare che vada bene, e fa alcune osservazioni riguardo a' suoi collaboratori; raccomanda lo spirito di sacrifizio e l'osservanza delle regole; afferma essere un bene che i giovani conoscano i doveri imposti dalle regole ai superiori; annunzia che a Novara e a Roma due case aspettano la Pia Società e che il Vescovo di Casale l'approva come diocesana: ricorda il sogno del pergolato di rose e di spine; esorta ogni salesiano a cercar di guadagnare alla Pia Società qualche nuovo confratello.

 

                GLI Oratorii festivi, l'Ospizio di Valdocco, i Collegi, le Letture Cattoliche, la costruzione della Chiesa di Maria Ausiliatrice erano opere di straordinaria importanza, ma quella che sopra ogni altra stava a cuore del Servo di Dio ed era da lui tenuta per assolutamente necessaria era l'approvazione della Santa Sede alla sua Pia Società. [61] Dalla stabilità di questa dipendeva la vita assicurata e la prosperità delle altre opere già così bene avviate.

                Ma per raggiungere questo scopo era mestieri, come per il collaudo, primieramente ottenere dai Vescovi lettere commendatizie.

                Le aveva infatti chieste e ottenute dai Vescovi di Fossano ed Alessandria verso il fine dell'anno scorso; e sul principio del 1868 erasi rivolto a quel di Casale al quale inviava anche un cenno storico della Pia Società.

 

CENNO STORICO INTORNO ALLA SOCIETÀ

DI S. FRANCESCO DI SALES.

 

                Questa Società nel sito Principio era un semplice catechismo che il Sac. Bosco Giovanni, col consenso e consiglio del Teol. Luigi Guala e Cafasso Giuseppe, ambidue di sempre gloriosa memoria, cominciava in apposito locale annesso alla chiesa di San Francesco d'Assisi. Lo scopo era di raccogliere i giovanetti Più poveri ed abbandonati e trattenerli nel giorni festivi in esercizi di Pietà, in cantici sacri ed anche in piacevoli ricreazioni. Si avevano specialmente di mira quelli che uscivano dalle carceri, che trovavansi esposti a maggiori pericoli. La prova riuscì soddisfacente, ed un vistoso numero di giovani interveniva quanto comportava la capacità del luogo.

                L'anno 1844 il sac. Bosco andò alla direzione spirituale dell'Ospedaletto di S. Filomena presso al Rifugio, ed allora col consenso dell'Arcivescovo si consacrò al divin culto una parte di quell'edifizio che servì qualche tempo per le sacre funzioni. Per due anni l'Oratorio non poté stabilirsi in località fissa; ma nel 1846 si prese a Pigione, di poi si comperò il sito dove in progresso di tempo venite edificata l'attuale chiesa e casa detta Oratorio di S, Francesco di Sales. Quivi l'Arcivescovo Fransoni, di cara e felice memoria, intervenite, più volte per amministrare il sacramento della Cresima e per fare altre sacre funzioni, dava eziandio [62] facoltà di fare tridui, novene, ammettere a ricevere la Cresima, la S. Comunione, che valesse anche per l'adempimento del Precetto pasquale. Pel gran numero di giovanetti che intervenivano l'Arcivescovo acconsentì e consigliò l'apertura di un novello Oratorio a Porta Nuova, dedicato a San Luigi, nel 1847; altro in Vanchiglia nel 1849; e finalmente quello di San Giuseppe a S. Salvario nel 1859. In questi locali furono poco per volta introdotte le scuole domenicali, di poi serali ed anche diurne. Fra i giovani che intervenivano, se ne incontravano parecchi cui non si poteva provvedere senza somministrare ricovero, vitto, vestito. Di qui nacque la casa di S. Francesco di Sales, dove sono raccolti circa 800 fanciulli.

                La tristezza dei tempi e la diminuzione delle vocazioni persuasero di coltivare giovani di niuna o di scarsa fortuna per lo stato ecclesiastico; di qui la categoria: degli studenti nella casa di Torino, nel collegio convitto di Lanzo e nel piccolo seminario di Mirabello, dove hanno istruzione religiosa e scientifica oltre ad altri quattrocento giovanetti, di cui maggior parte aspiranti allo stato ecclesiastico.

                Il Superiore di questi Oratorii in certo modo fu sempre l'Arcivescovo, dal cui parere e consiglio ogni cosa dipendeva. Per altro i sacerdoti che occupavano di tutto proposito il sacro loro ministero negli Oratorii, solevano riconoscere il sacerdote Bosco per loro superiore, senza legami di voti, ma colla semplice promessa di occuparsi in quelle cose che egli avesse giudicato a maggior gloria di Dio.

                Mons. Arcivescovo Fransoni raccomandò più volte che si studiasse qualche mezzo per assicurare l'esistenza degli Oratorii dopo la morte dell'esponente. L'anno 1852 il Superiore ecclesiastico, di moto proprio, approvava in genere le regole che si osservavano negli Oratorii, costituiva il sacerdote Bosco capo di essi, compartendogli tutte le facoltà necessarie ed opportune per queste instituzioni.

                Le calamità dei tempi obbligando l'Arcivescovo a risiedere fuori di diocesi, pure questi non cessava di raccomandare una [63] instituzione che assicurasse la conservazione dello spirito e della pratica degli oratorii. Nel 1858 consigliava il sac. Bosco di recarsi a Roma per aver lumi speciali dal Sommo Pontefice sul modo di concepire una instituzione religiosa in faccia alla Chiesa, ma che i suoi membri fossero altrettanti liberi cittadini davanti alle leggi

                Il Sommo Pontefice accolse con bontà e con grande premura l'ideata instituzione, e stabilì le basi, aiutò a sviluppare i singoli articoli e, coll'aiuto del Card. Gaude, l'antico regolamento della Società fu portato al tenore della copia che si unisce. Il medesimo Pio IX con parecchie sue lettere particolari dava avvisi e consigli perchè ogni cosa riuscisse bene e chiese egli stesso che le Regole fossero presentate alla Santa Sede per l'apostolica sanzione, appena fossero state per qualche tempo messe in pratica. L'Arcivescovo Fransoni lesse in Lione il Regolamento, poi scrisse una lettera in cui notava alcune cose, di cui si tenne esatto conto. Inviava di poi le Costituzioni, raccomandando al suo Vicario Generale che facesse quanto occorreva per venire ad una regolare approvazione delle medesime. La morte del compianto Pastore interruppe ogni pratica a questo proposito. Mons. Vicario Generale Capitolare giudicò meglio di attendere il novello Arcivescovo per l'opportuna approvazione e intanto fece una splendida Commendatizia, che unita a quella di parecchi altri Vescovi, fu inviata a Roma l'anno 1864.

                Il Santo Padre accolse ogni cosa con paterna premura, mandò le Costituzioni, l'analogo Memoriale e le Commendatizie dei Vescovi alla Congregazione dei Vescovi e Regolari. Pochi mesi dopo l'autorevole Congregazione emanava un decreto, di cui si unisce copia, col quale collodava e commendava le costituzioni e si riserbava, de more solito, a tempo più opportuno il dare l'apostolica sanzione ai singoli articoli. Ma attese le speciali circostanze dei tempi veniva costituita la Società nella persona del Rettore generale, che doveva durare a vita e passare nel successore, che doveva in carica durare dodici anni.

                Così questa Società sarebbe in genere approvata; ora la Santa Sede sta attendendo per verificare se la Società corrisponda al [64] suo scopo per venir di poi alla definitiva approvazione. Mons. Calabiana, di V. E. antecessore, si degnava di raccomandarla presso la Santa Sede, e toccava specialmente il punto che in codesta diocesi di Casale esiste un piccolo Seminario amministrato e diretto da questa Società.

                Ora si dimanderebbe con umile preghiera che il Vescovo di Casale :

                1° Tenuto conto che questa istituzione ha una casa in questa Diocesi, casa che fu fondata e sostenuta dal suo antecessore che l'ha eziandio più volte collodata, raccomandata e che l'avrebbe definitivamente approvata nei singoli articoli se la Divina Provvidenza non l'avesse chiamato altrove;

                2° Tenuto conto delle varie commendatizie latte da altri Vescovi e dei vantaggi che ne ebbe questa diocesi Casalese fin dalla sua instituzione e pei molti giovani ricoverati in Torino ed avviati alle arti od istradati al Santuario;

                3° Tenuto conto della collaudazione, commendatizia e costituzione del Superiore generale dalla Congregazione de' Vescovi e Regolari;

                Sia per dare un novello segno di benevolenza alla nascente Società, che così di molto appianerebbe la via alla definitiva approvazione dei singoli articoli delle costituzioni della Società, aggiungendo un voto affinchè questa Società sia quanto prima approvata dalla Santa Sede, con quelle modificazioni che fossero giudicate a maggior gloria di Dio e a salute delle anime.

                Il sottoscritto a nome di tutti i soci offre i sentimenti della più viva gratitudine, assicurando la E. V. che per tutto il tempo che durerà tale Società essi non mancheranno di invocare le benedizioni del Cielo sopra di chi si è verso loro dimostrato così largo benefattore.

                A nome di tutti il sottoscritto invoca la santa sua benedizione e si professa colla più profonda venerazione

                Di V. E. Rev.ma,

Obbl.mo Servitore

Sac. G. Bosco.[65]

 

                Il Vescovo di Casale accoglieva benignamente la domanda e faceva consegnare a D. Bosco questo Decreto Commendatizia, col quale approvava la Pia Società come Congregazione diocesana e la raccomandava agli altri Vescovi ed allo stesso Sommo Pontefice.

 

NOS PETRUS MARIA FERRÈ

Dei et Apostolicae Sedis gratia

Ecclesiae Casalensis Episcopus et Comes.

 

                Sicuti praecipuum est Episcoporum munus a Vinea Domini totis viribus malas erbas eradicare, ita maxima est eis cura adhibenda ut bonae arbores, quae bonos fructus facere pertentant, in eadem Vinea serantur, colantur atque custodiantur. Cum autem Divina Providentia factum sit ut Societas a sancto Francisco Salesio dicta, nova plantatio, in Nostra hac Dioecesi constitueretur, eam omni prorsus animi favore prosequi Nobis est in consilium.

                Acceptis itaque epistolis supplicatoriis una cum constitutionibus quas Joannes Bosco sacerdos, eiusdem Societatis Superior Generalis, Nobis obtulit, optimum in Domino factum Nobis est visum hanc eamdem Societatem rite adprobare.

                Istius enim Societatis Constitutiones quindecim capitibus constant; Capitula autem in articulis dividuntur. Finis est sociorum sanctificatio praecipue per exercitium christianae charitatis erga adolescentulos diebus festis derelictos; pauperiores vero quibusdam domibus receptos alere; et si bonum Ecclesiae postulaverit, iuniorum seminariorum curam suscipere, quemadmodum in hac Nostra Dioecesi, in pago cui est nomen Mirabello iam pridem est factum, ubi centum circiter et quinquaginta parvuli ad scientiam ac pietatem informantur, quemadmodum eos decet qui in sortem Domini sunt vocati. Deinde sacris praedicationibus, cathechesi, bonorum librorum diffusioni, ut animarum lucrum socii obtineant, operam dabunt.

                Attente igitur hisce Constitutionibus perlectis, fine ac forma memoratae Societatis consideratis, peculiari quoque benevolentia permoti erga Domum iam antea in hac Dioecesi constitutam, ut ipsa magis atque magis firmetur, eiusdemque fructus uberiores evadant;

                Habita ratione Commendationum Antecessoris Nostri qui cani erigendam curavit et etiam atque etiam commendavit;

                Adhaerentes Sacrae Congregationis Episcoporum et Regularium Decreto, quo hanc Societatem, attentis litteris Commendationis plurimorum Episcoporum, Maximus Ecclesiae Pontifex amplissimis verbis laudare et commendare dignatus est uti Congregationem Votorum simplicium sub regimine Superioris Generalis;  [66] Hisce demun omnibus attente consideratis ac perpensis, Societatem a sancto Francisco Salesio dictam commendandam atque adprobandam esse duximus, uti praesenti Decreto commendamus et tailiqiiam Dioecesanam Congregationem adprobamus secundum constitutiones Nobis relatas.

                Insuper cum ex memorato Decreto constet Superiorem Generalem eiusdem Societatis esse rite constitutum, Nos benevolenti animo parati sumus omnes facultates et privilegia eidem concedere, quae necessaria aut opportuna videbuntur, ad maiorem Dei gloriam et ad bonum Societatis promovendum.

                Verunitamen cum supralaudata Sacra Episcoporum et Regularium Congregatio absolutam Constitutionum adprobationem ad opportunius tempus distulerit, volumus omnes correctiones ac reformationes, additamenta, quae Sancta Sedes in his Constitutionibus inserere iudicaverit, eadem admittantur, in Constitutionibus accomodentur et observentur, sicuti et Nos admittimus et observare intendimus.

                Dum autem hanc Societatem apud omnes Catholicos Episcopos commendamus, ut opere ac consilio eam firmiorem reddant eique pro viribus faveant, Supremum Ecclesiae Antistitem demissis praecibus enixe obsceramus, ut absolutam Apostolicam Constitutionum adprobationem huic Societati concedere tandem dignetur.

                Hanc denique probationem esse tantum Dioecesanam declaramus, salva aliorum Episcoporum iurisdictione.

                Datum Casali, in Aedibus Nostris Episcopalibus, die 19 ianuarii, anni 1868.

 

PETRUS MARIA Episc.

 

Can. BRIATTA Cancell. Episcopalis.

 

                Per altri Vescovi Don Bosco preparava copie del suddetto cenno storico, variando i motivi delle suppliche secondo portavano le particolari circostanze dei luoghi e delle persone. Il 29 gennaio le spediva all'Arcivescovo di Genova.

                Avviate queste pratiche il giorno 2 di febbraio, festa della Purificazione di Maria SS., celebravasi nell'Oratorio eziandio quella di S. Francesco di Sales. Il giorno dopo si radunò la Conferenza generale della Pia Società, della quale riferiamo testualmente l'interessante resoconto.

                “3 febbraio 1868. - Don Bosco tenne alla sera conferenza in sua camera a tutti i Direttori riuniti delle varie case [67] ed ai confratelli dell'Oratorio. Ogni Direttore, e pel primo Don Pestarino di Mornese, fece la sua relazione.

                Don Bosco approvò quanto si fa in Mornese per allontanare la gioventù dai pericoli delle serate carnovalesche, disse di quanta consolazione gli sia stata la sincera pietà di quei contadini, li ringraziò vivamente delle offerte fatte alla sua nuova chiesa, e incoraggiò Don Pestarino, zelante amico di quei buoni paesani, a continuare nella santa impresa.

                Si mostrò soddisfatto dello zelo spiegato dai Superiori del Seminario di Mirabello e degli utili provvedimenti escogitati per trarre i giovani alla pietà e alle Compagnie del SS. Sacramento e dell'Immacolata Concezione. Richiesto di consiglio intorno al modo di correggere alcuni giovani discoli, disse che il superiore, chiamatili tutti in disparte, esponga loro amorevolmente la sua afflizione per la loro mala condotta, li animi al ravvedimento e nello stesso tempo li affidi alle cure del loro professore, il quale spesso ribadendo il medesimo chiodo, vedrà di trarli dalle loro cattive abitudini.

                Passando a parlare del collegio di Lanzo, insegnò il modo d'introdurre anche in esso la compagnia dell'Immacolata Concezione. In mancanza di giovani atti all'uopo si formi questa compagnia fra i chierici. Essi a poco a poco inizieranno gli allievi, e col tempo potrà sussistere detta società senza di loro.

                Venendo da ultimo all'Oratorio di S. Francesco di Sales disse poche cose intorno al suo andamento. Fece notare essere molto difficile farsene un giudizio esatto, perchè i giovani sono in numero stragrande e tra gli studenti si hanno gli artigiani. Tuttavia in generale sembrargli che tutto proceda bene, anche avuto riguardo al minor numero dei chierici assistenti. Doversi eziandio calcolare che sopra una certa parte di questi si può far poco capitale per l'assistenza, essendo stati accolti dai seminarii e quindi inesperti e non avvezzi ancora alla nostra vita.

                Ma anche il numero dei buoni confratelli diminuisce. [68] Dalla festa dì S. Francesco di Sales dell'anno scorso si sono perduti due grandi nostri campioni che avrebbero fatto molto bene; e di questi due non si saprebbe dire quale avrà ricevuto maggior premio in paradiso. L'uno, cioé il ch. Giuseppe Mazzarello, era buono di naturale, serio nei propositi e obbediente; l'altro, cioé D. Enrico Bonetti, seppe vincere se stesso e superare tutte le difficoltà, quantunque fosse d'indole focosa.

                Pertanto dichiarò che ciò che molto importava uni che tutti i Salesiani si facessero molto coraggio e che fossero disposti a fare molti sacrificii per amor del Signore. Esorto i preti ed i chierici ad essere i primi nell'osservanza delle Regole della Casa e che tutti procurassero di avere un'esatta conoscenza di queste. A tal fine raccomandò al sig. Direttore degli studi di trovar modo per leggere ogni settimana un tratto del regolamento ai preti, ai chierici e ai giovani insieme radunati. Rigettò la proposta, fatta da qualcuno, di nascondere ai giovani le regole a cui debbono sottostare i chierici e i preti . I giovani, egli disse, avrebbero motivo di lagnarsi quando si vedessero essi soli stretti da regole e da doveri. In pubblico bisogna essere riserbati nel parlare di fatti, quando questi siano riprovevoli; ma parlar chiaro a tutti in fatto di leggi.

                Entrando poi a parlare della nostra Società, annunziò l'offerta fattaci di due case, una a Novara, l'altra a Roma, la cui apertura sarebbe di molta convenienza, sia materiale, sia morale, pel favore che ci acquisterebbe da persone ragguardevoli.

                Dopo la lettura del Decreto con cui Mons. Vescovo di Casale approva la nostra Pia Società nella sua diocesi, Don Bosco riferì le congratulazioni dei Vescovi Galletti e Castaldi. Quest'ultimo disse essere tale approvazione come una scintilla la quale con immenso incendio, distruggendo tutti gli ostacoli che ancor si frappongono, farà che la nostra Congregazione sia fra breve in ogni parte ricevuta. Mons. Galletti volle una copia di quel Decreto. Gli fu data colla speranza che molti altri prelati si uniranno a lui per favorirci. [69]

                Parlando degli ostacoli, Don Bosco accennò ad un sogno avuto nei primi tempi della Società, nel quale vide i membri di questa camminare per un lungo viale tutto pavimentato di spine, chiuso dall'uno e dall'altro lato con pareti di rose e spine, ma colla vòlta, o pergolato, intrecciato di sole rose. Spiegò che i confratelli non solo debbono camminare sulle spine delle privazioni e delle fatiche, ma sono punzecchiati e impediti nel loro operare dalle spine degli ostacoli e delle contraddizioni. Il demonio, nemico di ogni bene, suscita ostacoli quanti può contro coloro che vogliono farlo e quel che è più, vedete malizia infernale, fa che questi ostacoli li pongano persone pie e con sante intenzioni, le quali, ingannate miseramente, traggono molti in inganno. - Ma combattiamo da forti e con costanza, egli esclamò, e colla grazia del Signore trionferemo di tutti e di tutto. Solo con grandi fatiche riescono le grandi imprese. La vòlta di rose significa che il nostro premio è in cielo e che solo a quello dobbiamo tendere con tutte le nostre forze.

                - Ed ora, continuò, pensiamo ad accrescere il nostro personale: ma per averlo bisogna che tutti ci facciamo tutti impegno di guadagnare qualche nuovo confratello. Ciò dipende principalmente dai Direttori delle case. Bisogna che essi procurino di guadagnarsi e mantenere la confidenza di que' giovanetti, che vedono chiaramente poter essi fare in avvenire un gran bene. E questo l'unico mezzo per trarli nella Pia Società. Io ve lo dico per esperienza, posso assicurarvi che se vi è un giovane che facendo i suoi studi abbia sempre avuto una confidenza illimitata col suo superiore e direttore, facilmente si riuscirà a guadagnarlo. Vedendo nel suo Direttore, non il superiore, ma il padre, verserà il suo cuore nel cuore di lui, e farà quanto questi gli consiglia di fare. Così porrà affezione alla casa, senza conoscere ancora la Società ne praticherà le regole, e, conosciutala appena, l'abbraccierà per non lasciarla mai, tolto il caso che perdesse quella confidenza. Al contrario vi sono giovani che vengono [70] qui, fanno tutti i loro studi, non si ha niente a dire sulla loro condotta, saranno buoni, meriteranno buoni voti; ma se non hanno questa confidenza, non si potranno avere che due decimi di speranza che eglino siano per entrare o per restare con noi. La ragione sta in questo che riguardarono il loro Direttore non come un padre, ma come un superiore, che invigila sulla loro condotta esterna e non di più. Da ciò si prenda norma per giudicare la necessità di ispirare affetto per conoscere le propensioni degli allievi e degli altri dipendenti.

                In fine conchiuse - chi sa se ci troveremo ancora tutti a questa adunanza l'anno venturo e se nessuno di noi sarà dal Signore chiamato all'eternità? Io spero che ci ritroveremo ancor tutti, ma ciò è nelle mani di Dio e noi teniamoci preparati alla morte.

                Don Bosco tolse la seduta colla recita di un De profundis per i cari confratelli defunti”.

 

 

CAPO VII. D. Bonetti scrive al Cavaliere che gli ottenga un'indulgenza e una reliquia di S. Stanislao: Don Bosco è aspettato a Mirabello - Lettera di D. Francesia al Cavaliere: Don Bosco è andato a Milano: le sue preghiere guariscono un'inferma: altre meraviglie: teatro per gli esterni nell'Oratorio: i lavori nella nuova chiesa - Don Bosco al Cavaliere: gli dà commissioni: gli dice che la Pia Società è approvata dal Vescovo di Casale come diocesana: grazie strepitose della Madonna: prezzo delle medaglie di Maria Ausiliatrice: ha scritto per Vigna Pia - Va a Mirabello: predice il giorno nel quale un insegnante guarirà dal mal di gola - È a Casale per ringraziare il Vescovo del suo decreto - Aneddoti in ferrovia - Supplica il Ministro della Guerra per avere un sussidio - Visita il Collegio di Lanzo - Il Card. Corsi scrive a Don Bosco di essere egli pronto a fargli la Commendatizia: lo consiglia a chiederla alla maggior parte dei Vescovi del Piemonte e all'Arcivescovo di Fermo, molto influente in Roma - Importante documento circa la fondazione della Compagnia di S. Giuseppe - Influenza del sistema educativo di D. Bosco.

 

                I Direttori erano ritornati alle loro case il giorno 4 febbraio e Don Bonetti, sempre pieno di fervore per il bene dei suoi alunni, da Mirabello scriveva al Cavaliere:

 

Mirabello, 7 - 2, 1868.

 

                               Signor Cavaliere,

 

                La prego di mandarmi qualche bel regalo per me e per questi miei cari giovani. Se va a trovare il nostro amabilissimo Santo Padre,  [72] gli dica come noi gli vogliamo tanto bene. Gli domandi qualche bella cosa per noi, per es. un'indulgenza che ci ponga nella dolce necessità di fare una bella festa ad onore di Lui che tanto amiamo. Quest'anno occorre il centenario di S. Stanislao. Io desidero di farlo celebrare molto bene da questi giovani, onde avere occasione di innamorarli delle sue virtù. Perciò V. S. mi farebbe un caro piacere di provvedermi una reliquia di questo amabile santino. Stiamo tutti bene. Temiamo che qualcuno di noi, secondo il sogno di Don Bosco, debba morire. Giovedì Don Bosco sarà qui .....

 

Sac. BONETTI.

 

                Il sogno di Don Bosco pel 1868 era conosciuto, e siccome il ch. Mazzarello era morto a Lanzo, temevasi che simile sorte pendesse anche sul capo di qualcuno di Mirabello; cioè che il sogno non riguardasse i soli allievi dell'Oratorio. Nello stesso tempo a Mirabello si aspettava con viva ansietà l'arrivo di Don Bosco per avere la spiegazione delle strenne.

                Egli però, tenuta la conferenza ai Salesiani, era andato a Milano e D. Francesia dava al Cavaliere qualche cenno di questo viaggio.

 

Torino, 14 febbraio 1868.

 

                               Carissimo sig. Cavaliere,

 

                Don Bosco fu la settimana scorsa a Milano ove stette da lunedì fino al mercoledì. Ebbe alloggio all'Arcivescovado. Il suo fu un vero trionfo. Quel palazzo fu continuamente invaso dalla moltitudine. A ciò che dicono quelli di Milano, ha fatto stupire molti che un povero prete destasse adesso tanto entusiasmo. Ne avvenne poi una singolare.

                Giovedì mattina, riposato appena dal lungo viaggio, Don Bosco ricevette un dispaccio dal sig. Guenzati, che raccomandavagli di celebrare una messa per una sua parente attempata e moltissimo inferma. Ebbene, all'indomani, nell'ora stessa in cui Don Bosco disse la santa Messa, la povera inferma si levava da letto, immagini con quanto piacere e stupore di tutti i parenti. Da un'altra persona per simile guarigione desiderata ed ottenuta quasi ipso facto, si ricevette 500 lire di elemosina per la prima rata.

                Insomma, se io le avessi a raccontare tutte le belle meraviglie che si svolgono sotto i nostri occhi, io entrerei nell'uno e via uno e non la finirei più. Il periodico La Vergine, piazza Poli, N.11, di Roma, ha pubblicato una mia lettera in cui si parla della guarigione veramente prodigiosa di Bonetti, giovanetto di Lanzo. [73] Della chiesa materiale spingiamo avanti i lavori, ma forse non potranno essere ultimati, che al mese di maggio, se non verso al fine e forse chi sa .....

                Giovedì venturo (20 febbraio) daremo rappresentazione diurna per appagare il desiderio di tanti e tanti che erano stati esclusi dal nostro teatrino per mancanza di locale .....

 

Sac. FRANCESIA.

 

                Don Bosco ritornato da Milano scriveva a Roma, esaltando la bontà di Maria Ausiliatrice.

 

Torino, 11 - 2 - 1868.

 

                Carissimo sig. Cavaliere,

 

                La principessa Borghese ha risposto picche per la chiesa. Finora la Duchessa di Sora non scrisse nulla per Don Molinari. Se non si prende una decisione, egli forse abbraccerà altro partito. Il conte Scotti offrì qualche cosa a Mons. Manacorda per la chiesa. Ho scritto un bigliettino anonimo a Mons. Berardi. Le cose della nostra società van prendendo buona piega; il Vescovo di Casale l'approvò definitivamente come Congregazione diocesana.

                Ogni giorno cose una più strepitosa dell'altra di Maria Ausiliatrice per la chiesa. Ci vorrebbero volumi; ci parleremo poi di tutto. Quando verrà? Qui le medaglie secondo il modello datomi da lei costerebbero circa due centesimi l'una; non vi sarebbe più la spesa del porto ed il dazio.

                I saluti di tutta la casa; riverisca la marchesa Villarios e le dica che si faccia buona e che preghi per noi. Noi per lei.

                Dio benedica lei e le sue fatiche. Amen.

                Ho scritto al Duca Salviati per Vigna Pia; credo che accetteremo; a noi conviene; vada a far visita; ascolti attento e mi scriva. Deo gratias!

 

Aff.mo amico

Sac. Bosco GIOV.

 

                Il giorno 13 arrivava a Mirabello. Pensate quali accoglienze! Il Venerabile assicurò tutti che il sogno delle morti predette non riguardava pulito i giovani del Piccolo Seminario: e la spiegazione delle strenne e le confessioni lo tennero occupato dal mattino alla sera. I giovani erano entusiasmati o commossi per la concordanza delle sue parole collo stato [74] delle loro anime. Ed egli ricordando loro le glorie del collegio, i santi loro compagni defunti, invitavali ad imitare le virtù di Ernesto Saccardi, di Francesco Rapetti e di Giuseppe Allievo di anni 11, figlio dell'illustre professore di pedagogia, morto a Milano in età di 11 anni il 5 luglio del 1867, e del quale D. Bonetti aveva scritto e recitato un magnifico elogio funebre.

                In quei giorni avvenne un fatto grazioso, di cui Don Giovanni Garino ci lasciò relazione:

                “Era l'anno 1868 ed io mi trovava nel Collegio di Mirabello Monferrato presso Casale, in qualità di professore di IV ginnasiale. Il mattino 3 febbraio, giorno di S. Biagio, mi recai come gli altri a farmi benedire la gola. Uscito di chiesa cominciai a sentirmi dolor di gola non tanto leggero; sicchè penava assai a trangugiare la saliva. Don Bosco giorni dopo si trovava a Mirabello, ed io presentatomi a lui con un mio compagno (credo sia Don Albera) questi disse a Don Bosco: - Signor Don Bosco, sa che S. Biagio ha fatto una bella grazia a Garino (era ancora chierico); andò a farsi benedire che non aveva mal di gola, e ne uscì col male! - Don Bosco, sorridendo, dissemi che me lo tenessi sino all'Annunziata (25 Marzo) . E così fu. Continuava alla meglio a far un po' di scuola, e con molto stento, quando il 25 marzo dello stesso anno, dopo pranzo, mentre mi tratteneva con alcuni miei scolari nel cortile, ecco che di un tratto mi sento libero pienamente dell'incommodo, che da S. Biagio in poi più non mi aveva lasciato.

                Allora mi ricordai delle parole di Don Bosco, e raccontai la cosa ai miei scolari, i quali, benchè già pieni d'ammirazione per Don Bosco, la concepirono dipoi sempre più grande”.

                Da Mirabello il Venerabile si recò a Casale, come aveva scritto alla Contessa Callori, e si portava a ringraziare il Vescovo che aveva approvata come diocesana la Pia Società di S. Francesco di Sales.

                In questo viaggio gli accadde uno di que' lepidi incontri, de' quali abbiam fatto memoria altre volte. Si noti che nelle [75] parti di Alessandria, Casale, Vercelli, Novara, si tengono grossi mercati, ai quali accorrono negozianti di bestiame, cereali, vini e di altri generi, gente molte volte materiale e sboccata. Don Bosco adunque si trovò in ferrovia, nello stesso scompartimento con un di costoro, che per aver letto libercoli e giornali empi credono poter combattere la religione col dire le più sciocche assurdità. Negano i miracoli di Gesù Cristo, spiegandoli a modo loro, dicendo ad esempio che con un po' di economia si poteva benissimo saziare da chiunque cinque mila persone con cinque pani e pochi pesci! Quel viaggiatore apparteneva proprio alla categoria di simili dottori. Difatti dopo alcune parole intorno a cose indifferenti, ammiccando al prete, fece cadere il discorso, com'era di moda, in materia di religione e da una cosa all'altra venne ai miracoli del Vangelo. Diceva che essi si possono spiegare naturalmente, e in prova, parlando del miracolo di S. Pietro che per comando di Gesù Cristo camminò sulle acque: - Che miracolo v'ha qui! esclamava. Omai si sa che le acque del Mar Morto sono tanto spesse che le navi non vi possono vogare; è dunque facile a un uomo il camminarvi sopra senza miracolo, poichè forse il bitume aveva là formato una crosta spessa che gli impediva di sommergersi.

                Don Bosco, che fino allora aveva taciuto, gli diede uno sguardo di compassione, e lasciata da parte ogni altra risposta si limitò a dirgli:

                 - Signore, ella prende un granchio a secco. Sappia che Gesù Cristo non si trovò mai co' suoi discepoli sul Mar Morto. Ella confonde il Mar Morto col Mare di Galilea, detto anche Mare di Tiberiade o Lago di Genezaret, che è lontano dall'altro circa 70 miglia!

                A queste parole tutti i viaggiatori ruppero in una sonora risata e quel pover'uomo confuso e stizzito borbottò:

                 - Io ho parlato come ho letto; ma, se è così, confesso di essere stato ingannato.

                E Don Bosco:  [76]

                - Mi permetta un'osservazione. Se invece di leggere certi libri coi quali si cerca di strappare la fede dal cuore del popolo, lei andasse ad ascoltare le spiegazioni del Vangelo dal suo parroco, non direbbe certi spropositi.

                Altra volta il nostro buon Padre si trovò in faccia a un viaggiatore, il quale ad alta voce prese a difendere un prete stato punito, secondo lui, ingiustamente dal Vescovo, e soggiungeva: - Sono passati i tempi dell'Inquisizione: ora anche il prete è un libero cittadino; e chi ha dato il diritto al Vescovo di sospenderlo dalla messa?

                Don Bosco lo interruppe e gli disse:

                 - Sappia che il diritto al Vescovo glielo ha dato Gesù Cristo in persona; e se il Vescovo ha sospeso quel tale, avrà avuti i suoi motivi. E chi ha stabilito lei giudice dei successori degli Apostoli?

                 - Ma mi han detto che quel Vescovo non è come gli altri, abusa del suo potere, è nemico della libertà.

                 - In grazia, mi risponda: Il Vescovo ha tolto la messa a molti?

                 - Non credo. Solamente a quel tale.

                 - E sa dirmi il motivo per cui non la toglie agli altri?

                Quegli non rispose più a tono, ingarbugliò qualche parola, e Don Bosco soggiunse:

                 - Perchè tutti gli altri preti fanno il loro dovere!

                E abbassando la voce, sicchè i vicini non l'udissero, continuò:

                 - In quanto al suo protetto sappia che il Vescovo lo sospese perchè non è di que' preti che frequentano la chiesa, non va in confessionale, non sale mai sul pulpito. Se vuole trovarlo vada al caffè, lo vedrà con allegre compagnie; usa vestire abiti indegni di un ministro di Dio. Egli fu già avvisato molte volte dal suo Vescovo di mutar costume, ma non obbedì e fece peggio. Ed ella, signor mio, prende la difesa d'una tal persona? Ed ella acconsentirebbe che questo disgraziato salisse l'altare per offerirvi il divin Sacrifizio? Se così [77] fosse, non aggiungerei più parola, poichè sarei certo di non parlare con un cattolico.

                Quegli rimase silenzioso per qualche istante e poi ripigliò:

                 - Ma io per verità non lo conosco quel prete ed ho solo udito, quanto ho detto, da varii miei amici.

                 - E allora, concluse Don Bosco, vada più cauto nel parlare, specialmente contro i Prelati della Chiesa ai quali dobbiamo la massima riverenza. Sappia che essi conoscono il loro dovere più di noi, e lo fanno coscienziosamente.

                Ritornato da Casale a Torino, con una santa insistenza, che Dio solo conosce quanti sacrifizi di amor proprio sovente richiedesse, Don Bosco scriveva a un addetto al Ministero della Guerra per ottenere sussidii a suoi allievi, che dallo stesso Ministero gli erano stati raccomandati. È sempre degna di nota la delicatezza di certe frasi.

 

                               Ill.mo Signore,

 

                Le miserie ognora crescenti tra noi in quest'anno mi spingono a fare ricorso alla provata carità di V. S. Ill.ma, che ho già tante volte esperimentata. Il numero dei poveri giovanetti raccomandati da cotesto Ministero è alquanto cresciuto, ma quello che ci pone in vere strettezze è il caro dei viveri. L'anno scorso, quasi in quest'epoca, pagavamo il pane 30 centesimi il chilogramma, ora è quasi duplicato; lo stesso dobbiamo dire degli altri commestibili.

                Per questo mi raccomando caldamente alla nota di lei bontà, affinchè si degni venire eziandio in quest'anno in aiuto di questi poveri giovanetti e di accordare quel maggior sussidio che a lei sarà beneviso.

                Con questi giovanetti non mancherò di professarle la più sentita gratitudine ed invocare ogni giorno le benedizioni sopra di lei, mentre con pienezza di stima ho l'alto onore di potermi professare

                Di V. S. Ill.ma

 

                Torino, 15 febbraio 1868,

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

                Spedita questa supplica, nella settimana dopo la Domenica di sessagesima, si recava a far visita al Collegio di Lanzo,  [78] ove per tre giorni dedicavasi indefessamente al bene spirituale di que' suoi cari alunni. Tornato a Torino, riceveva questa risposta del Card. Corsi, Arcivescovo di Pisa.

 

                               M. R. Signore,

 

                Conosco già da qualche anno il gran bene che opera in mezzo al popolo co' suoi Oratorii la Società di S. Francesco di Sales; e nel vederne i progressi non cesso di ringraziare il Signore che la benedice e la feconda, e di ammirare lo zelo di chi n'è fondatore e Capo e di tutti gli infaticabili Cooperatori. Quindi nulla vi può essere per me di più caro che il favorirla nel miglior modo che mi sia concesso; e per questo son pronto alla commendatizia che V. S. R. mi richiede col pregiato foglio del 10 corrente.

                Crederei per altro molto conveniente ed opportuno che avanti della mia, V. S. provvedesse ed esibisse la Commendatizia, se non di tutti, almeno della più parte dei venerandi Prelati del Piemonte, non che quella dell'Em.mo sig. Cardinale Deangelis Arcivescovo di Fermo, la quale potrebb'essere di gran peso, stante che Sua Eminenza per la lunga sua dimora in Torino si presenta come giudice più competente e apprezzatore più autorevole del valore e del merito della medesima. È anche da osservarsi che il prefato Eminentissimo, dovendosi ora recare a Roma, potrebbe crescere colla sua presenza e colla sua influenza l'efficacia delle stesse sue lettere di raccomandazione.

                Quando la cosa sia di questo modo iniziata, mi ripeta l'avviso, ed io non tarderò a secondare per la parte mia i santi di Lei desiderii.

                Sono veramente lieto nell'apprendere che V. S. e i suoi nella loro carità non hanno dimenticato la mia pochezza, e che seguitano ad avermi presente nelle loro orazioni. Quanto maggiori sono i bisogni che mi stringono in questi tempi, tanto più vivo è il senso della gratitudine che le professo, nell'atto che con piacere e verace stima mi ripeto.

                Di V. S. M. R.

 

                20 febbraio 1868,

Aff.mo di tutto cuore

C. CORSI, Arciv. di Pisa.

 

                               Sig. Don Gio. Bosco - Torino.

 

                Gli alunni studenti dell'Oratorio avevano intanto incominciato a santificare il mese di S. Giuseppe, il gran santo nel quale Don Bosco aveva una viva fiducia. Li emulavano gli artigiani, specie quelli che erano aggregati alla Compagnia [79] del Santo Patriarca, coll'osservanza delle regole di questa, approvata da Don Bosco, e con speciali pratiche di pietà.

                Noi abbiamo riportate le regole suddette nel VI volume di queste Memorie a pag. 194: ma qui come documento storico crediamo opportuno di conservarne colla stampa il primo schema, da noi ritrovato nel 1912 e che si temeva perduto. Il ch. Giovanili Bonetti sul principio del 1859 lo aveva proposto ad un'eletta di giovani artigiani e, avuta la loro approvazione, lo presentava a Don Bosco.

 

 

REGOLE DELLA COMPAGNIA DI S. GIUSEPPE.

 

                Noi Bonetti Giovanni, Imoda Ferdinando, Garzena Carlo, Giani Giovanni, Salvi Severino, Fassino Antonio, Lachi Luigi, Enria Pietro, Tos Luigi, Doglio Alessandro, Chiansello Bartolomeo, Bianco Agostino. Perona Giuseppe, Tosi Luigi, Cibrario Stefano, desiderosi di farci ognor più buoni e di animare col nostro buon esempio e colle parole i nostri compagni sulla strada della virtù, volentieri ci uniamo in questa pia Società per appagare facilmente questo nostro pio desiderio. Abbandonati intieramente nelle mani dell'amorosissima nostra Madre Maria SS., e del purissimo suo Sposo S. Giuseppe, nostro special Patrono, proponiamo di menare una vita del tutto esemplare. Siccome tutti siamo già ascritti alla Compagnia di S. Luigi Gonzaga, così avremo per principal scopo l'esatta osservanza delle regole di questa Compagnia, che sono le seguenti:

                1° Evitare tutto ciò che può recare scandalo, procurare di dare buon esempio in ogni luogo, ma specialmente in chiesa.

                2° Ogni quindici giorni accostarsi ai SS. Sacramenti della Confessione e Comunione ed anche con maggior frequenza, sopratutto nelle maggiori solennità dell'anno.

                3° Fuggire come la peste i cattivi compagni, e guardarsi bene dal far discorsi osceni.

                4° Usare somma carità coi compagni perdonando facilmente a qualunque offesa.

                5° Grande impegno per il buon andamento dell'Oratorio, animando gli altri alla virtù colle parole, ed a farsi ascrivere alla Compagnia.

                6° Quando un Confratello si troverà infermo, ciascuno si farà premura di pregare per lui e anche aiutarlo nelle cose temporali nel modo possibile.

                7° Mostrare grande amore al lavoro ed all'adempimento dei proprii doveri prestando esatta ubbidienza a tutte le persone superiori.

                Oltre le suddette regole adotteremo ancora le seguenti:  [80]

                1° Non si riceverà alcuno nella Compagnia, senza che sia già ascritto a quella di S. Luigi.

                2° Veduto che un compagno tiene una buona condotta nell'Oratorio sarà proposto alla conferenza. Se alcuno non avrà cosa da osservare in contrario, gli si farà la proposta. Se accetterà, gli si daranno, a leggere le regole, oppure ne sarà a puntino informato dal Presidente .e da alcun altro confratello. Quindici giorni dopo verrà presentato alla conferenza.

                3° La domenica che segue la presentazione di qualche nuovo confratello, tutti faranno la santa Comunione per lui, pregando il Signore che gli dia la grazia di essere un buono ed esemplare confratello.

                4° Ogni settimana sceglieremo un quarto d'ora per adunarci insieme. Si invocherà al principio lo Spirito Santo col Veni, ecc. con la giaculatoria Sancte Joseph, ora pro nobis. Fatta una breve lettura spirituale, si tratterranno quelle cose che crederemo di maggior gloria di Dio, più vantaggiose all'anima nostra e a quella dei nostri compagni. Si scioglierà la conferenza coll'Agimus e con la giaculatoria “Gesù, Giuseppe e Maria, io vi dono il cuore e l'anima mia”.

                5° All'ora stabilita ci recheremo con sollecitudine al luogo destinato per la conferenza, abbandonando di cuore per amore di Maria SS. quel poco di ricreazione, cui Ella sicuramente accetterà come un grazioso omaggio di noi suoi cari figli. Se alcuno per qualche accidente non vi potrà intervenire, sarà dal Presidente, o da un confratello, reso informato di quello che si trattò nella conferenza.

                6° Non tralasceremo mai alcuna pratica di pietà per qualunque diceria o burla che ci venisse fatta da cattivi compagni, ma contenti di far cosa piacevole a Dio ed ai nostri superiori proseguiremo costanti sulla strada del bene.

                7° All'ora delle funzioni, suonato il campanello, senza più oltre fermarci, ci porteremo in chiesa, traendo con bella grazia con noi quelli che si trovassero insieme.

                8° In chiesa procuriamo di metterci fra mezzo coloro che parlano o stanno divagati, affinchè essi pure dal nostro modesto contegno siano animati al raccoglimento ed alla preghiera. Ci faremo poi un grande studio di non uscir mai di chiesa eccetto che siamo costretti da grande necessità.

                9° Ogni prima domenica del mese ci accosteremo ai SS. Sacramenti per ottenere la conversione di quei nostri compagni che fossero per disgrazia in peccato mortale.

                10° Sul lavoro o in conversazione, presentandosi propizia occasione con un buon consiglio o con un atto di disapprovazione di impedire qualche peccato, non la lasceremo sfuggire.

                11° Vedendo o sapendo che alcuno dei confratelli mancò gravemente contro alcuna delle nostre regole, privatamente lo avviseremo con grande carità; e ciò faremo vicendevolmente. [81]

                12° Accetteremo con sommissione ed umiltà quegli avvisi che ci verranno dati da alcuno dei confratelli non dimostrando mai il minimo dispiacere con colui che ci avvisa.

                13° Non ci faremo mai a disprezzare alcuno dei nostri compagni, e tanto meno a lanciargli contro parole improprie od offensive. Insomma schiveremo fra noi ogni contesa in cui ci potessimo offendere l'un l'altro, riguardandoci tutti come veri fratelli.

                14° Finalmente, siccome vogliamo col nostro buon esempio servire di specchio e di modello a tutti i nostri compagni, così osserveremo con tutta esattezza le regole della casa, non dando mai segno di disapprovare quello che ordinassero i superiori, fissandoci bene in mente che tutto quello che essi ci comandano o ci proibiscono è per nostro bene.

                Di tutto cuore preghiamo il nostro Direttore di esaminare queste regole e di togliere o di aggiungere quello che gli parrà bene.

                Tutto sia a maggior gloria di Dio.

                Quanta sapienza pedagogica è riflessa in questo semplicissimo regolamento. Pare dettato da Don Bosco medesimo!

 

 

CAPO VIII. L'Arcivescovo di Torino è fermo a negare le ordinazioni ai chierici dell'Oratorio, se non passino almeno un anno in Seminario - Mons. Gastaldi e Mons. Galletti lo persuadono a desistere - Si tenta di far uscire dalla Pia Società gli ordinandi - Sacre ordinazioni e doglianze dell'Arcivescovo - Non è vero che i chierici di Don Bosco non studiano - A Roma sono ultimate le fortificazioni: si spera nelle preghiere di Don Bosco - Morte del ch. Petiva - Scuola di musica nell'Oratorio - Don Francesia scrive al Cavaliere che Petiva non è il secondo del sogno, e aver detto Don Bosco esservi un giovane che non farà più l'esercizio della buona morte - Don Bosco prepara la pubblicazione dei Classici Italiani Purgati - Scrive al Cavaliere di alcuni debiti soddisfatti: gli dice di lettere ricevute o da scrivere: gli dà notizie della sua nobile famiglia: molte note da pagare.

 

                CONTROVERSIE assai disgustose dimostravano la necessità che l'Istituto di Don Bosco ottenesse un'approvazione definitiva. Il Venerabile desiderava che quest'anno fossero promossi alle sacre ordinazioni tre de' suoi chierici appartenenti alla Diocesi di Torino, Francesco Dalmazzo, Giacomo Costamagna, e Paolo Albera. Quindi nel mese di gennaio aveva mandato una seconda volta Don Cagliero a visitare Mons. Arcivescovo per spiegargli le sue intenzioni e conoscere quelle di Sua Eccellenza. L'Arcivescovo accolse cortesemente l'inviato, ma si mostrò fermo nel volere che i chierici dell'Oratorio, prima di essere ordinati, entrassero in Seminario e vi dimorassero almeno un anno. [83] Era un non voler riconoscere in nessun modo la Pia Società di S. Francesco di Sales, già collaudata dalla S. Sede e un esigere pei suoi membri ciò che non si esigeva per alcuni chierici diocesani, di famiglia signorile, che avevano licenza di compiere gli studi stando nelle case loro.

                Don Cagliero ripeté a Monsignore le ragioni esposte nell'udienza avuta nel dicembre, e l'Arcivescovo gli rispose:

                 - Ciò non toglie il mio decreto.

                 - Dunque V. E. vuole la distruzione dell'Oratorio?

                 - Voglio i miei chierici solamente.

                 - Con tutto il rispetto, Eccellenza, torno ad osservare che ciò vale lo stesso che distruggere l'Oratorio, perchè non si danno scuole senza maestri, n'è convitti senza assistenti. Per noi è questione di vita o di morte; ed è questione d'esistenza, è questione di diritto, perchè ognuno ha il diritto alla propria esistenza. E poi il bene che ha fatto alla diocesi l'Oratorio è patente: conti i preti istruiti ed educati nell'Oratorio.

                 - Vi ringrazio, rispose Monsignore, de' beneficii che avete fatto alla diocesi, ma ora vi voglio ossequenti al mio decreto.

                 - Allora è cosa finita: torno all'Oratorio e dirò a Don Bosco: prendiamo il nostro breviario e portiamo a Monsignore le chiavi dell'Oratorio, lasciandogli l'incarico di condurre avanti l'opera nostra. Sono però 800 giovani, ai quali da qui innanzi dovrà pensare Vostra Eccellenza.

                 - Ma io... io... - rispondeva assai turbato l'Arcivescovo - Voi mi mettete in un bivio... eppure... eppure ho stabilito... e non debbo recedere .....

                Don Cagliero si persuase che Monsignore fosse sobbillato da altri e indotto ad opporre quella resistenza, quindi continuò con rispetto e coraggio:

                 - Deh! Monsignore, pensi alle conseguenze... alle dicerie che si faranno... ai giovani che si dovranno rimandare alle loro case... a quelli che potranno rimanere abbandonati in mezzo ad una strada... alla disapprovazione dei buoni. [84] E l'Arcivescovo sempre più impensierito:

                 - Ma insomma... ma insomma... Sedete, vi prego.

                Facendo atto di scusa al replicato invito e chiesta licenza di fare una dichiarazione più esplicita, Don Cagliero proseguì:

                 - Io, con altri, mi son fatto prete per consiglio di Don Bosco, ma prima di esserlo non avrei mai creduto che i primi oppositori al bene sarebbero stati quegli stessi dai quali sperava appoggio. Era meglio che io mi fossi dato a maneggiai la zappa! Avrei lavorato, mi sarei ingegnato in un modo o nell'altro, ma senza tante amarezze. Valeva la spesa che Don Bosco si accingesse ad un'opera di tanto vantaggio per la stessa diocesi, per vederla così presto distrutta?

                Ciò detto, chiese licenza di ritirarsi. L'udienza era durata circa un'ora. Più di quaranta persone stavano in anticamera e attendevano impazienti di essere introdotte presso l'Arcivescovo. Al veder uscire Don Cagliero fu un mormorio generale:

                 - Ma lei è stato in udienza un tempo abbastanza lungo!

                E D. Cagliero, volgendo lo sguardo attorno, non seppe contenersi dall'esclamare:

                 - Loro vengono a parlare ciascuno per sé; io son venuto a parlare per quaranta!

                Non era riuscita la visita di Don Cagliero, ma sposavano la causa di Don Bosco i Vescovi di Saluzzo e di Alba. Mons. Gastaldi aveva scritto più volte all'Arcivescovo per raccomandargli calorosamente di lasciar tranquillo Don Bosco. Era anche venuto in Valdocco per conoscere lo stato della questione, e recatosi in Arcivescovado esortò Monsignore a non opporre più difficoltà alle sacre ordinazioni dei chierici dell'Oratorio. Anche Mons. Galletti s'interpose e cercò di dimostrare che la Pia Società di S. Francesco di Sales era canonicamente costituita e che eran validi i voti che taluni dei chierici di Don Bosco avevano già emessi.

                L'Arcivescovo, vinto da queste insistenze, si arrese a conferire [85] le sacre ordinazioni ai chierici Albera, Costamagna, e Dalmazzo nella seconda metà di quaresima.

                Ma per questi non eran finite le prove. Ritiratisi in Seminario per attendere ai Santi Spirituali Esercizi, il Teologo Soldati, direttore spirituale, come aveva già fatto con altri chierici dell'Oratorio, usò anche con loro ogni argomento per indurli ad abbandonare la Congregazione. Questi maneggi ottennero però l'effetto contrario. D. Francesco Dalmazzo, che era ancora alquanto indeciso se dare o non dare definitivamente il nome alla Pia Società di Don Bosco, disgustato da quel modo di procedere, esclamò:

                 - Appunto perchè non vogliono mi farò Salesiano!

                Il 25 marzo i tre chierici suddetti ricevettero dall'Arcivescovo stesso la tonsura e i quattro ordini minori; e da lui furono pur insigniti dell'ordine del suddiaconato il 28 dello stesso mese, sebbene compiuta la sacra funzione non mancasse alla presenza dei chierici del Seminario di proferire parole pungenti contro i nostri, contro la nostra Pia Società e contro Don Bosco, quasi volessero capricciosamente sottrarsi alla sua giurisdizione.

                Sta il fatto, e ci duole il doverlo rilevare, che Mons. Riccardi era allora totalmente contrario a che la Pia Società Salesiana avesse ad ottenere definitiva sanzione dalla S. Sede; e che dopo tante parole in proposito e i documenti esistenti in Curia egli giunse ad asserire di non saper nulla dell'esistenza della Pia Società di S. Francesco di Sales.

                Contuttociò il 6 giugno, sabato delle tempora della SS. Trinità, Sua Eccellenza promoveva al diaconato i tre nuovi suddiaconi: e in seguito permetteva che Don Francesco Dalmazzo fosse ordinato sacerdote da Mons. Balma il 19 luglio, Don Paolo Albera a Casale da Mons. Ferré il 2 agosto; ed egli stesso promoveva al presbiterato D. Giacomo Costamagna il 19 settembre, come vedremo.

                In quel tempo un'altra prova affliggeva i chierici dell'Oratorio, la voce che essi, preoccupati nella scuola e nell'assistenza,  [86] non attendevano, com'era doveroso, allo studio della Teologia. La voce, sparsa da chi non vedeva di buon occhio Don Bosco, era giunta anche all'Arcivescovo, che ne mosse lagnanza al Venerabile.

                Ed ecco il chierico Stefano Bourlot, che era il tipo della franchezza e della lealtà, presentarsi in curia per chiedere di essere ammesso co' suoi compagni all'esame semestrale di Teologia. Il Teol. Gaude con altri gli disse:

                 - Ma voialtri di Don Bosco non studiate!

                 - E perché?

                 - Perchè siete occupati in mille altre cose e non frequentate le scuole del seminario.

                 - Mi scusi: si può attendere ad una cosa e alle altre.

                 - Non è possibile.

                 - Gli esami però che abbiamo preso, finora furono coronati da buoni voti, mai inferiori a quelli dei Seminaristi.

                 - Sì, sì; ma è una preparazione affrettata, superficiale.

                 - Il fatto sta che noi rispondiamo come i chierici del Seminario.

                 - E che cosa avete studiato?

                 - Gli stessi trattati dettati dai Professori del Seminario, eccettuato il Banaudi sull'Eucaristia.

                 - E perchè non seguire anche questo?

                 - Perchè altri autori parvero preferibili.

                Il Teologo, esposta la domanda all'Arcivescovo, ebbe il suo consenso, e il giorno 22 febbraio 13 chierici dell'Oratorio si presentarono agli esami in Seminario. Al ritorno trovarono Don Bosco che li aspettava in porteria col cappello in testa: e appena li vide, li interrogò:

                 - Come sono andati gli esami?

                 - Benissimo; abbiamo quasi tutti optime, Giuseppe Cagliero peroptime, rispose Bourlot; e io con D. Domenico Vota e Pietro Norza egregie con lode.

                 - Ne sei sicuro?  [87]

                 - Sicurissimo: ho visto il foglio dei voti: siamo i primi sopra tutti i chierici del Seminario.

                 - Deo gratias! - rispose il Venerabile, vado a portare all'Arcivescovo la risposta alla sua lettera.

                E Don Bosco andò. Lo stesso Monsignore che aveva presieduto agli esami e non conosceva personalmente i chierici di Don Bosco, ne aveva fatto gli elogi. Egli credeva che uno di quelli che avevano ottenuto la lode fosse Bourlot del Seminario, cugino di quello dell'Oratorio: e dovette ricredersi innanzi alla realtà della cosa.

                Mentre incominciavano ad appianarsi queste difficoltà, da Roma P. Oreglia scriveva a Don Francesia: “Si avvicinano i tempi cattivi. Le fortificazioni a Roma sono ormai finite. Resta a vederle alla prova. Colle orazioni di Don Bosco speriamo che faranno buona prova. Nisi Dominus custodierit civitatem, frustra vigilat qui custodit eam. Tutto tranquillo finora. Anche il Carnevale. Forestieri assai: allegria poca”.

                Ma se era poca allegria a Roma, questa soprabbondava nell'Oratorio. Teatrino, giuochi, rottura delle tradizionali pignatte, lotteria, musica, avevano tutti occupati i giovani negli ultimi tre giorni di carnevale. Quella gioia era un effetto della pace del cuore, rassicurata coll'esercizio della buona morte, col quale si erano suffragate le anime sante del purgatorio, in specie quella del ch. Petiva, morto in que' giorni nell'Ospedale di S. Luigi in Torino.

                Secondo Petiva, educato nell'Oratorio, essendo molto valente nella musica, era stato capo scuola di questa nobile arte, per più anni dal 1858. A tale scuola potrebbe competere il nome di accademia musicale, perchè per iniziativa di Don Bosco essa diede e dà sempre distinti organisti, compositori di musica e cantori per le sacre funzioni, per ogni parte della terra. Fra i primi suoi allievi e maestri furono Don Cagliero Giovanni, D. Giuseppe Lazzero, D. Luigi Chiapale, Giuseppe Buzzetti, Giacomo Rossi, Giovanni Turchi, Callisto Cerruti, e Giuseppe Dogliani; e Bersano, Tomatis, Reano, Fumero,  [88] Brunetti, Dassano e cento altri che alla lor volta furono maestri a migliaia di discepoli.

                Ma il ch. Petiva dopo varii anni, per certi suoi disegni, congedatosi da Don Bosco, veniva per qualche tempo ospitato nel piccolo Seminario di Mirabello, ove per più mesi rendeva qualche servizio; finchè allontanatosi anche di là, dopo varie vicende, infermatosi per mal di petto, si era ricoverato nell'ospedale. Don Rua così scrive nella cronaca:

                “Aggravandosi Petiva nella sua lunga infermità, desiderava di essere visitato da Don Bosco. Il buon padre, malgrado le gravi sue occupazioni, andò a trovarlo due volte, ricevette la sua confessione e gli somministrò tutti i conforti che gli abbisognavano. Singolare però fu che Petiva fino allora aveva sempre nutrito ferma fiducia di potersi ristabilire e nella primavera uscire dall'ospedale. Ma dal momento che ricevette la prima visita, cambiò intieramente modo di pensare; sicchè in appresso più non parlava che della prossima sua morte ed il suo pensiero era sempre rivolto a ben prepararvisi. Don Bosco gli aveva parlato in maniera che senza spaventarlo, senza annunziargli apertamente la morte, gli aveva fatto capire che i motivi su cui appoggiava la sua speranza erano illusorii; ciò aveva fatto con tanta destrezza ed unzione che l'infermo non mostrossi mai atterrito dell'idea della morte: anzi dopo la seconda visita di Don Bosco, mostrossi contento di presto morire, rassicurato da Don Bosco che dopo la sua morte sarebbe andato tosto in paradiso. Né furono fallaci le parole di Don Bosco, ché, pochi giorni dopo, colle più belle disposizioni spirò la sua anima nel bacio del Signore”

                Saputasi nell'Oratorio la sua morte, siccome alcuni lo credevano ancora appartenente alla Pia Società supposero che poteva essere dei tre morti visti da Don Bosco nel sogno. Ma Don Francesia scriveva a Roma al Cav. Oreglia:

                “Il povero Petiva è morto con una tale rassegnazione da farsi invidiare da tutti. Don Bosco però assicura che non è il secondo che doveva fare il fagotto per l'eternità. Disse però [89] di un altro che ieri fece l'esercizio di buona morte che deve essere l'ultimo per lui. Si allieti dunque, perchè lei non lo sarà per certo (il secondo)... Intanto lo avviso che la stampa della grammatica greca del Teol. Pechenino è terminata... Si dà nuovo impulso alla Biblioteca (della gioventù italiana)... Si distese già il programma ……”

                Don Bosco pensava già a dar vita all'associazione mensile dei Classici Italiani purgati per uso delle scuole.

                Altre notizie mandava Don Bosco al Cavaliere, al quale diceva chiaramente che le strettezze dell'Oratorio rendevano quel tempo opportuno per chi voleva grazie dalla Madonna.

 

                                Carissimo sig. Cavaliere,

 

                Tempo bello, freddo scomparso, siamo in primavera, ed ella sempre a Roma. Non mi lamento però perchè ci manda Cantù. Ho ricevuto i franchi 1300 e li ho ricevuti in momento che Don Rua era in faccende per danari per Avvezzana. Mille franchi furono dati a lui, il resto ad uno scalpellino. Deo gratias. Bellissimo l'episodio di quella visita singolare! Se mi scrivono me la caverò come potrò. Scriverò una lettera alla Contessa Folchi. Notate le messe della Contessa Calderari cui ringrazii e dica che noi qui preghiamo ogni giorno per lei. Ho ricevuto lettera da Mons. Fratejacci, cui risponderò presto: andiamo d'accordo. Manderò qualche anonima a P. Oreglia, cui faccia i più cordiali saluti.

                Si dice da molti che starà ella sempre a Roma, io dico sempre di no; ma ad ogni momento si domanda di lei. Ho veduto sua madre, che mi raccomandò tanto suo fratello, per cui facciamo speciali preghiere. Sono lieto di sapere le buone notizie che mi fa sperare.

                Io sono ingolfato nelle spese, note molte da saldare, tutti i lavori da ripigliare. Faccia quel che può, ma preghi con fede: credo tempo opportuno per chi vuole grazie da Maria! Noi ne vediamo ogni giorno una più commovente dell'altra e con questo mezzo andiamo avanti.

                La contessa Digny, contessa Uguccioni, Marchesa Nerli dimandano di lei e mi dicono se venendo da Roma passerà a Firenze.

                Tutta la casa è in salute e le augurano ogni bene. Non dimentichi la meditazione al mattino. In nome del Signore mi dico,

 

                Torino, 3 marzo 1868.

Aff.mo amico

Sac. GIOVANNI BOSCO. [90]

                Omai si diceva piano e forte che il Cav. Oreglia non sarebbe più tornato all'Oratorio. Don Bosco, pieno di carità con tutti, non risparmiò le sollecitudini più delicate perchè quel suo caro figlio spirituale perseverasse nella vocazione abbracciata. Lo vedranno i lettori dalle numerose sue lettere.

 

 

CAPO IX. Risposta di Vescovi alle suppliche di Don Bosco - Commendatizia - del Vicario Generale capitolare di Acqui; del Vescovo di Asti con una sua lettera - Dell'Arcivescovo Cardinale di Ancona e dell'Arcivescovo di Torino - Lettera confidenziale di Mons. Riccardi al Card. Quaglia sulla commendatizia da lui consegnata a Don Bosco - Sue osservazioni trasmesse allo stesso Cardinale intorno alle Costituzioni della Pia Società - Don Bosco chiede licenza all'Arcivescovo di mandare un Prete a dir messa in un Istituto di Suore.

 

                MAN mano che i Vescovi ricevevano le suppliche di Don Bosco chiedenti le Lettere Commendatizie per l'approvazione della Pia Società, giungevano a lui le risposte quasi tutte favorevoli, che riferiamo per ordine di tempo.

                Il Vicario Capitolare di Acqui scriveva:

 

                FRANCESCO CAVALLERI, DOTTORE D'AMBE LEGGI, CANONICO PREVOSTO DI QUESTA CHIESA CATTEDRALE DI ACQUI, CAVALIERE DEI SS. MAURIZIO E LAZZARO, VACANTE LA SEDE VESCOVILE VICARIO GENERALE CAPITOLARE.

 

                Viste ed esaminate le Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales, di cui è superiore generale il zelantissimo sacerdote Don Giovanni Bosco;

                Informati che, laddove detta Società venne già stabilita e messa alla prova, grandissimo è il vantaggio sia spirituale sia temporale che ne traggono le Parrocchie, gli Ospedali, le carceri e la tenera gioventù al cui bene sono particolarmente diretti gli sforzi dei benemeriti e lodevolissimi membri della medesima;  [92] Considerato il tenore del Decreto della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari 23 luglio 1864, con cui il Sommo Pontefice Pio IX amplissimis verbis memoratam Societatem laudavit atque commendavit;

                Ritenuto pure che giusta il prelodato Decreto parrebbe quasi definitivamente costituita la ridetta Società nella persona del summenzionato Superiore Generale, che deve durare in carica per tutta la vita;

                Sicuri di recare un gran bene alla Religione nostra santissima, non possiamo a meno anche noi di encomiare altamente la più volte nominata Società di S. Francesco di Sales, e far voti perchè la S. Sede degnar si voglia di approvarne in modo definitivo le Costituzioni, onde si possa assicurarne l'esistenza in faccia alla Chiesa, conservare l'unità di spirito e di disciplina, e così promuovere ognora più il maggior bene a cui tende.

 

                Acqui, 28 febbraio 1868.

 

CAVALLERI, Vic. Gen. Cap.

 

                P. BATTAGLIA, Segretario.

 

                Il Vescovo di Asti:

Asti, 4 marzo 1868.

 

                M. R. e Carissimo sig. Don Bosco,

 

                Mi approfitto della gentilezza del rev.mo sig. Canonico Molino per mandare alla S. V. Molto Rev.da e la Commendatizia chiestami e le remissorie pei due chierici Merlone e Fagnano. Io spero che questi due buoni giovani continueranno zelanti nella Congregazione di San Francesco di Sales; ma quando per circostanze straordinarie se ne dovessero separare, e desiderassero ritornare in patria, non sarà loro difficile l'ottenere dal rev.mo Mons. Vescovo di Casale la facoltà. Io intanto auguro di cuore a Lei, che possa ottenere da Roma ciò che piamente desidera a vantaggio della cristiana gioventù; ed ai carissimi chierici Merlone e Fagnano, che possano riuscire due buoni ministri di Dio; e raccomandandomi alle loro orazioni di cuore me le professo

aff.mo come fratello

CARLO, Vescovo d'Asti.

 

                CAROLUS SAVIO, DEI ET APOSTOLICAE SEDIS GRATIA, EPISCOPUS ASTENSIS ET PRINCEPS, SS. D. N. PII PAPAE IX PRAELATUS DOMESTICUS AC PONTIFICIO SOLIO ASSISTENS.

 

                Visis Constitutionibus Piae Societatis Taurini erectae sub invocatione S. Francisci Salesii Nobis oblatis a R. D. Sacerdote Johanne Bosco, Societatis eiusdem Fundatore ac Rectore;  [93] Viso item Decreto S. Congregationis Episcoporum et Regularium dato sub die 23 Iulii 1864;

                Quum adolescentes non pauci huis Nostrae Dioecesis praeteritis annis et in praesens adhuc apud antedictam Societatem sub disciplina praelaudati Sacerdotis Johannis Bosco pie ac religiose in artibus addiscendis, vel etiam in clericali militia excolenda, educati sint et edoceantur;

                Requisitioni Nobis desuper factae libenti animo annuentes, memoratae Societati hoc laudis testimonium concedimus eamque omni quo decet obsequio SS. Domino Nostro Papae humiliter commendamus

 

                Dat. Astae, die 4 martii 1868.

 

CAROLUS, Episcopus.

 

SCOPELLO Pro - Cancell. Ep.

 

                Il Card. Antonucci, Arcivescovo - Vescovo di Ancona:

 

                               Carissimo Don Bosco,

 

                A seconda del suo desiderio manifestatomi con il suo foglio del 10 febbraio p. p. ho scritto con sommo piacere al Santo Padre l'acclusa lettera commendatizia e la dirigo a lei, a sigillo alzato, affinchè dopo di averla letta e chiusa possa inoltrarla al suo alto destino.

                Mi raccomandi al Signore e mi creda sempre con vera stima e sincero attaccamento,

 

                Ancona, 6 marzo 1868,

 

Il suo aff.mo di cuore

A. B. Card. ANTONUCCI Arc. V.

 

 

ALLA SANTITÀ DI NOSTRO SIGNORE PIO PAPA IX.

 

                                Beatissime Pater,

 

                Inter caetera charitatis Instituta quae extremis hisce temporibus ad Dei gloriam Catholicaeque Ecclesiae utilitatem surrexerunt, peculiari quadam existimatione dignam sum semper arbitratus Congregationem illam, quae a Sancto Francisco Salesio nomen habet, a Sacerdote Joanne Bosco Augustae Taurinorum fundatam. Quae quidem exiguis licet initiis exorta, quod meis vidi oculis dum S. Sedis Nuntii munere decoratus illic immorabar, brevi temporis intervallo adeo altas defixit radices ut ad spiritualem animarum profectum, imprimisque ad Christianae adolescentium educationis incrementum mirabiliter creverit ac pullulaverit. Equidem ea tempestate in deliciis habebam [94] illa loca invisere, viridariorum ad instar amoena ac spatiosa, vulgo Oratori Festivi, quae summa mei animi laetitia veram salutis arcam semper reputavi, quia innumeri adolescentes derelicti ac pauperes in ea diebus festis collecti, solerti atque pia Praesidis eiusque operariorum, qui modo centenarium numerum attingunt, industria, mane S. Missae Sacrificio aderant, reficiebantur Sacramentis, divinique verbi pabulo nutriebantur, dum vespertinis horis, persolutis pietatis exercitiis, ludis ac oblectamentis sese exhilarabant.

                Nec inter tam angustos limites sese continebant Fundatoris ac sacerdotum studium et sollicitudo. Eorum enim cura quaedam Domus seu Hospitia aperta sunt, in quibus mille et amplius adolescentes aut gratuito, aut pertenui mercede recepti, non modo scientia et Religione instituuntur, verum etiam in aliquo artis genere exercentur: eo quidem fine ut praeter tutum ad pietatem iter habeant etiam quo futuris annis honeste vitam traducant.

                Inter hos non desunt nonnulli qui, studiorum curriculo rite absoluto, Ecclesiasticam militiam arripiant.

                Interea Antistitum desideriis etiam obsequentes Congregationis huius Sacerdotes, quocumque Christianae Religionis urgeat necessitas, in urbibus, pagis, carceribus et nosocomiis qua cathechesibus, qua concionibus, qua aliis pietatis exercitiis, prout mihi indubiis constat documentis, indefesso zelo, summoque animarum lucro adlaborant. Memorata enim Societas sicut singularem Episcopis subiectionem et reverentiam profitetur, sic Summum Pontificem et Sedem Apostolicam devotissimo obsequio ac observantia prosequitur.

                Nec minori laude digna est haec Societas, quod sua cura aliquot abbine annis ad hunc usque diem sanae doctrinae libelli in lucem prodeant tamquam antidotum adversus nefariorum scriptorum colluviem, quae singulis horis in rudes ac idiotas impune diffunduntur.

                Nec mirum si hanc Congregationem tam bene de Christiana Republica meritam complures Episcopi apud se desideraverint, suumque iam in sinum receperint.

                Tot uberes ac praeclari fructus nulla ex alia ratione videntur esse repetendi quam ex directionis unitate ac ab unione illa, quae mirum in modum elucet inter ea membra, quibus ipsa constat Societas, quaeque in unum veluti corpus colligata sub Constitutionibus reguntur magnam prudentiam ac pietatem redolentibus.

                Ideo non sine animi mei consolatione percepi vigore Decreti S. Congregationis Episcoporum et Regularium sub die 23 Iulii 1864 a Sanctitate Vestra praefatam Societatem uti Congregationem Votorum Simplicium sub regimine Moderatoris Generalis amplissi is verbis fuisse laudatam ac commendatam.

                Quamobrem maioris Dei gloriae incensus desiderio, animarumque utilitate extimulatus, ac etiam in grati animi mei argumentum erga piam hanc Societatem, quae modo non paucos huius civitatis ac Dioecesis [95] infortunatos adolescentes orphanos propter ultimam Choleramorbi tristissimam invasionem tam liberaliter ac peramanter alit et instituit, humillimis precibus Sanctitatem Vestram exoro, ut praefatae Societatis Regulas a me attente perlectas dignetur approbare, quae per Apostolicam Auctoritatem veluti super firmissimo erecta fundamento, iuxta propositum sibi finem ad Ecclesiae Catholicae emolumentum valeat perdurare.

                Interim Apostolicam benedictionem adprecatus, Vestros SS. Pedes humiliter deosculor.

                Sanctitatis Vestrae,

 

                Dat. Anconae, Pridie Nonas Martii MDCCCLXVIII.

 

Humillimus, Obsequentissimus et Addictissimus

Famulus Subditus et Creatura

 

ANTONIUS BENEDICTUS Cardinalis ANTONUCCI, Archiepiscopus, Episcopus Anconitanus et Humanensis.

 

                L'Arcivescovo di Torino:

 

                ALESSANDRO OTTAVIANO RICCARDI, DEI CONTI DI NETRO, PER LA GRAZIA DI DIO E DELLA SEDE APOSTOLICA ARCIVESCOVO DI TORINO, ECC.

 

                Nulla standoci più a cuore che di promuovere la gloria di Dio e promuovere con tutte le nostre forze la salute del prossimo, ci tornò gratissimo ricevere dal Sac. Don Giovanni Bosco vive istanze, affinchè volessimo raccomandare alla S. Sede la Pia Società di S. Francesco di Sales, di cui Egli è Supremo Rettore, per la definitiva erezione della medesima in Congregazione religiosa.

                Considerando adunque il fine che la Pia Società si propone, e vedendo il bene che essa fa principalmente nel raccogliere e addottrinare nella S. Legge di Dio tanti poveri giovanetti, che sarebbero, abbandonati e in pericolo di correre la via della perdizione:

                Visto i decreti di approvazione della medesima, emanati dal Nostro Predecessore Mons. Fransoni di f. m. i quali, quantunque si riferiscano alla Società quando non si proponeva che di catechizzare i ragazzi nei giorni festivi e raccoglierli per iniziarli ad un'arte o mestiere, tuttavia tornano a gran lode della medesima;

                Ritenuto che il S. Padre per organo della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari degnava di lusinghiere parole la Pia Società e le dava quasi un principio di approvazione, nominandone superiore generale a vita il Sac. Don Giovanni Bosco e riconoscendola quale Congregazione con voti semplici sotto la giurisdizione degli Ordinarii Diocesani, differendo a tempo più opportuno l'approvazione delle Costituzioni in allora presentate:  [96] Considerando che molti Vescovi degnavano già di appoggiare presso la S. Sede la domanda ad essa inoltrata dal Sac. Don Bosco per l'approvazione della Società, in vista del bene che opera e che potrebbe operare maggiore se fosse dalla Sede Apostolica approvata; volendo dare una prova della benevolenza nostra al Sac. Bosco ed alla Società da cui è capo, approviamo anche noi quanto dal nostro antecessore di f. m. venne operato a riguardo della medesima e facciamo vive istanze alla S. Sede affinché, esaminate e corrette le Costituzioni proposte dal Sac. Don Bosco superiore generale e che formano in oggi la base della Società, si degni di approvarle e dare così stabile e definitiva esistenza per parte della Chiesa alla Congregazione suddetta, nel modo e forma che alla S. Sede parrà beneviso, parendoci che ciò non possa riuscire che di vantaggio alla Chiesa e di bene al prossimo.

 

                Dato a Torino, dal nostro Palazzo Arcivescovile, addì 7 marzo 1868.

ALESSANDRO, Arcivescovo.

C. ASTENGO ANDREA, Seg.

 

                Consegnata a Don Bosco questa Commendatizia, nella quale già chiare apparivano alcune riserve, l'Arcivescovo di Torino così scriveva confidenzialmente al Cardinale Prefetto della Congregazione dei Vescovi e regolari, che era allora l'Em.mo Card. Angelo Quaglia:

 

                               Eminenza Reverendissima,

 

                Il Sac. Don Giovanni Bosco Institutore e Rettore della Pia Società di S. Francesco di Sales, mi faceva vive istanze affinchè gli rilasciassi una commendatizia per ottenere dalla S. Sede che la Società predetta venisse approvata come Congregazione religiosa a norma delle Costituzioni da esso lui presentate. Volendo quanto è da me secondarlo in questo suo desiderio, per quella sola parte che io credo la sua istituzione vantaggiosa alla Chiesa, gli rilasciai la commendatizia che unisco per copia. Da essa Vostra Eminenza Rev.ma può rilevare che la mia approvazione si riferisce alla Società, quando non si proponeva altro scopo che raccogliere e catechizzare i ragazzi ed avviarli a qualche arte o mestiere e che, se ne imploro la erezione in Congregazione religiosa, subordino questa domanda ad una savia revisione e correzione delle Costituzioni da farsi dalla S. Sede. E, veramente se io non fossi persuaso che codesta Sacra Congregazione modificherà essenzialmente le Costituzioni presentate, non mi sarei giammai indotto a questo passo, per quanto la mia opposizione avesse potuto recarmi dei gravi dispiaceri, giacchè crederci tradire il mio dovere [97] di Vescovo se io lui facessi patrocinatore di una Congregazione, che ove fosse approvata tal quale si propone, non potrebbe riuscire che a gravissimo danno della Chiesa, della Diocesi e del Clero.

                Nell'interesse pertanto della Congregazione medesima e più ancora nell'interesse della Chiesa, credetti bene fare a parte le osservazioni più ovvie che mi si presentarono nel leggere le Costituzioni proposte, notando pure in margine alcuni articoli di esse che lui sembrano bisognevoli di riforma.

                Temendo poi che la mia ragione avesse potuto ingannarmi, volli sottomettere le Costituzioni in discorso all'esame del Sig. Durando Maria Antonio, Visitatore della Missione, uomo sperimentato e dotto, stimato ed apprezzato da tutti, il quale trovò egli pure che erano meritevoli di riforma.

                Tutte queste osservazioni pertanto sottometto alla savia considerazione di V. Eminenza Rev.ma, affinchè si degni di averle presenti quando codesta Sacra Congregazione sia chiamata ad esaminare le Costituzioni di cui è caso. Ben vorrei che la Pia Società trovasse modo di perpetuarsi ed estendersi, ma vorrei pure che si restringesse allo scopo per cui venne istituita, e che si vedesse di eliminare qualunque inconveniente che dalla sua erezione in Congregazione Religiosa tic può nascere. Anzi vorrei fare ancora una preghiera a codesta Sacra Congregazione e sarebbe che prima di dare qualunque approvazione si degnasse di incaricare qualche persona estranea, pia, dotta, sperimentata, e pratica di educazione della gioventù, di venir sul luogo ed esaminare le cose e riferirne. Questa ispezione fatta all'insaputa di tutti potrebbe forse rivelare molti inconvenienti che sfuggirono alle mie osservazioni e illuminare la S. Congregazione che potrebbe così con maggior cognizione di causa emendare e rifare le Costituzioni, adattandole ai bisogni delle Costituzioni medesime e dei tempi nei quali viviamo

                E nella fiducia che sia l'Eminenza Vostra Rev.ma, come codesta S. Congregazione, terranno conto di quanto ho avuto l'onore di rappresentarle nell'interesse della Chiesa e della Pia Società, colgo ben di buon grado la favorevole occasione per aver l'onore di rassegnarmi con profondo rispetto e pari considerazione,

                Di Vostra Eminenza Rev.ma,

 

Um.mo, Dev.mo, Obbl.mo Servitore

ALESSANDRO, Arcivescovo di Torino.

 

                Torino, 14 marzo 1868.

 

Osservazioni intorno alle Costituzioni proposte dal Sac. Don Giovanni

Bosco per la Congregazione di S. Francesco di Sales.

 

                I. - L'approvazione data dall'Arcivescovo di Torino e da chi aveva l'amministrazione della diocesi (Cost. pag. 3 e 4) non riguardava [98] che i primi due scopi propostisi dalla Pia Società, quello cioè dell'istruzione religiosa nei giorni festivi ai ragazzi dell'Oratorio e l'altro di raccogliere i ragazzi abbandonati per avviarli ad un'arte o mestiere. E così avesse continuato sempre allo stesso modo. Volendo ora la Società trasformarsi in Congregazione ed estendere la sua sfera di azione, è necessario che si abbia di mira così il suo intrinseco modo di essere, come il fine che si vuole proporre, esaminandone attentamente le Costituzioni per vedere se corrispondono a questo fine, senza punto badare alle approvazioni anteriori. A me sembra che ove la Congregazione eliminasse lo scopo, in cui pare àvvi di preferenza, di educare il giovane clero, sostituendosi per dir così ai Vescovi, e si restringesse: 1° Agli oratorii domenicali; 2° a raccogliere i fanciulli abbandonati, ecc. per incamminarli ad un'arte o mestiere; 3° a somministrare a quelli che mostrano maggior attitudine i mezzi di potersi istruire; 4° ad essere i soci a disposizione dei rispettivi Vescovi per catechizzare le popolazioni delle campagne, e venire in aiuto ai curati; 5° ad evulgare buoni libri a mitissimo prezzo; - sarebbe assai meglio.

                II. - La Congregazione secondo l'art. 1° del n. 3° consta di sacerdoti, chierici e laici. Questi laici non si dice che siano oblati, cioè conversi; oppure una classe di socii perfettamente eguale agli altri, aventi i medesimi diritti e che potrebbe per conseguenza pervenire alla direzione della Società, non essendone esclusa dalle Costituzioni. Non è detto se possono continuare nello stato laicale, anche quando sieno definitivamente professi, o vengano eletti a qualche carica. In una parola un laico può divenire Superiore Generale, e può eleggere altri laici al governo della Congregazione.

                III. - I socii devono, secondo le Costituzioni, scientiarum studio se ipsos perficere prima di attendere alla cura degli altri. Ma non si accenna neanco di passaggio quali studii dovranno fare i laici e quali i chierici. Il tutto quindi sarà rimesso all'arbitrio del superiore, cui si riferisce dalle Costituzioni autorità troppo estesa ed arbitraria, e il quale potrebbe, in caso di bisogno, presentare agli ordini sacri chierici che non avessero fatto gli studii necessari per la carriera ecclesiastica e senza la dovuta vocazione ed educazione. Starà poi sempre a lui solo prescrivere gli anni da dedicarsi agli studii ecclesiastici, il come dovranno essere fatti, se nei seminari vescovili o sotto professori speciali, se ciascuno alunno in privato, o tutti riuniti. Non è provvisto nelle Costituzioni, se gli alunni della Società debbano durante gli anni di studio essere liberi dall'attendere all'istruzione altrui, o se siano obbligati a prestare servizio siccome i socii non studenti e non chierici. L'uso attuale è che molti dei chierici fanno da Prefetti o Maestri ai ragazzi ricoverati e non possono applicarsi quindi agli studii ecclesiastici, compiono questi studii in privato, e senza professori speciali. Una parte di essi frequenta le scuole del Seminario,  [99] perchè obbligati dall'Ordinario Torinese, ma àvvi a credere tutto che liberi dalla sua dipendenza faranno come gli altri e come pare sia lo spirito dell'Istituto. Questo sistema non può che tornare di grave danno alla Chiesa ed al clero. Non essendo infatti i socii chierici obbligati che per un triennio possono liberamente abbandonare la Congregazione e si avrà così un clero che non sarà istruito, né educato convenientemente.

                IV. - Nell'art. 4° del n.4. è detto che i chierici e i sacerdoti che possedono patrimonio, o benefizi semplici, li riterranno anche dopo i voti. Mentre si provvede con queste disposizioni al bene materiale della Congregazione e dei socii si dannifica grandemente la diocesi, perchè il clero essendo investito di essi nell'unico fine di avere ministri che possano servire la diocesi, dando il nome alla Congregazione, non restano più al servizio di essa e tuttavia continuano a godere i benefizii, togliendo ai Vescovi i mezzi di provvedersi di altri in loro vece.

                V. - Non pare conveniente che la Congregazione si assuma il còmpito di tenere giovani che aspirano al Ministero ecclesiastico, come sembra si abbia di mira all'art. 5° del n. 3, quando per altro non siano alunni della medesima. I chierici non appartenenti alla Congregazione dovrebbero dipendere esclusivamente dagli 5° Stabilire di questi Seminarii non può che tornare a pregiudizio dell'autorità vescovile, fomentare divisione nel clero, rallentare la disciplina, danneggiare gli studii. Si dovrebbe quindi rimettere i giovani che aspirano al Ministero Ecclesiastico ai rispettivi Vescovi appena assumono l'abito clericale, affinchè siano da essi educati secondo lo spirito delle rispettive diocesi. La Congregazione dovrebbe contentarsi di prepararli al chiericato, a meno che il Vescovo non credesse conveniente di affidarle il Seminario Vescovile.

                VI. - Non è provvisto perchè i chierici della Congregazione abbiano patrimonio ecclesiastico per la Sacra Ordinazione, giacché, secondo l'art. 4° del n. 8, si vorrebbero far ordinare a norma dei privilegi degli Ordini Regolari. È tuttavia necessario che ne siano provveduti potendo uscire a piacimento od essere mandati via. Mentre poi si accorda ai Superiori la facoltà di espellerli, ai socii quella di uscire, non si provvede per gli Ordinarii che devono accettarli, i quali potranno trovarsi così nel duro caso di dover accettare nel loro clero soggetti che non avrebbero forse mai ammesso a farne parte ecc. ecc., e che per giunta saranno senza patrimonio.

                VII. - All'art. 3° del n. 13 è detto che per venire ammesso alla Congregazione si dovrà fare un anno di tirocinio, ma non si dice né dove, né come. Sarà quindi comune il tirocinio degli alunni chierici e dei laici ed eguale la educazione data a tutti e gli alunni chierici saranno mescolati non solo co' socii laici, ma coi ragazzi, coi quali in oggi i socii convivono.

                VIII. - Dall'art.7° dello stesso numero apparisce che faranno [100] parte della Congregazione eziandio quelli che vorranno entrarvi anche solo per causa di studii. Questi non avendo altra intenzione che con i loro studii non potranno certo avere lo spirito che si richiede nei chierici e tuttavia formeranno un corpo solo con essi.

                IX. - Non si può comprendere a che cosa possa riuscire una Congregazione composta di tanti elementi così disparati e che non possono avere unità di fine. Il Collegio di Torino è già un caos fin d'ora, essendo mescolati artigiani, studenti, laici, chierici e sacerdoti. Lo diventerà sempre più estendendo la sua sfera di azione.

                Per le altre osservazioni si vedano le annotazioni fatte in margine ai rispettivi articoli della copia delle Costituzioni che si unisce.

 

                Torino, dall'Arcivescovado, addì 1° marzo 1868.

ALESSANDRO, Arcivescovo.

 

                Le annotazioni erano fatte da Monsignore in margine al libretto delle Regole stampate nel 1864, che noi abbiamo riferite in appendice al N. 7 nel vol. VIII, pag. 1058: ed erano le seguenti:

 

Pag. 3 (N. 2) Eiusdem Societatis origo. - Ved. Osservazioni a parte.

~      4 (N. 2) - Vedi osservazioni a parte.

~      6 (N. 3) art. 1 e 3 - Vedi osservazioni a parte.

~      7 (N. 3) art. 5° - Vedi osservazioni a parte.

~       (In fine) - Non tutti attendono agli studii classici.

~      9 (N. 4) Art. 4° - Vedi osservazioni a parte.

~        (N.4) Art. 5° Non sarebbe conveniente che il Superiore Generale desse conto annuale al Capitolo, onde evitare qualunque frode?

~    10 (N. 4) Art. 9° - Vedi osservazioni a parte.

~    11 (N. 5) Art. 6° - Non è troppo? - Mi pare che una obbligazione di tale natura ecceda i limiti del giusto. La coscienza si apre al Confessore.

~     12 (N.6) Art. 2° - Ancora non esistono celle, ma i socii convivono coi ragazzi.

~     15 (N. 8) Art. 3° - Le ultime parole di questo articolo rendono illusoria la giurisdizione vescovile.

~         (N. 8) Art. 4° - Vedi osservazioni a parte.

~     16 (N. 9) Art. 2° - Contrario all'articolo 10 del N. II°.

~         (N. 9) Art. 4° - Di quasi impossibile esecuzione.

~     17 (N. 9) Art. 7° - Gli articoli aggiungendi potrebbero ledere i diritti dei Vescovi; non dovrebbero quindi aver valore senza l'approvazione della S. Sede. [101]

~      (N. 9) Art. 8° - Non sarebbe meglio che gli succedesse di diritto il Prefetto già cognito degli affari?

~ 18 (N. 10) Art. 1° - Vedi osservazioni a parte.

~ 19 (N. 10) Art. 3° - Ultima parte - Vedi osservazioni a parte.

~ 19 (N. 10) Art. 5° - Verso il fine. Nel caso che dopo la 2° e 3° votazione non si ottenessero le due terze parti dei voti quid agendum? La regola non prevede questo caso.

~ 23 (N. 12) Art. 2° - Non si capisce che cosa spetti all'Ordinario diocesano e che cosa al Rettore.

~ 25 (N. 13) Art. 3° Vedi osservazioni a parte.

~     (N. 13) Art. 4° E dopo il terzo triennio.

~ 26 (N. 13) Art. 5 Sarebbe contrario all'articolo che mette i laici come socii.

~     (N. 13) Art. 7° - Vedi osservazioni a parte.

~ 27 (N. 13) Art. 10°' - Non si dice quali voti, se o perpetui o temporanei. Eppure è di grande importanza dichiararlo.

~  28 (N. 14) Art. 2° - La restrizione pare troppo estesa e può dare occasione a gravi disordini. Non si dice poi se il confessore debba essere socio e se debba essere approvato dall'Ordinario.

~  33 (N. 16) Appendix de externis, Art1°' - Vedere se questi affigliati siano ai nostri tempi di convenienza.

 

                Questo incartamento fu spedito alla Sacra Congregazione dei Vescovi senza che Don Bosco ne avesse notizia.

                Mancanza di conoscenza del vero stato delle cose, sospetti sulle intenzioni di Don Bosco, pregiudizi, timori di pericoli che non esistevano, false interpretazioni di articoli, esigenze che pel momento non si potevano soddisfare, giudizi azzardati, avevano dettate quelle osservazioni. L'Arcivescovo però teniamo a ripeterlo non agiva per mal animo, ma per i ragguagli inesatti e i commenti di certi dottori antiquati e ostili a Don Bosco.

                E vero che la Pia Società non era ancora intieramente formata, è pur vero che qualche sua regola aveva bisogno di essere ritoccata, ma il gran bene che aveva già prodotto manifestava ad evidenza, a chi voleva vederlo, come fosse animata dallo spirito del Signore.

                E Don Bosco, in questi giorni, come aveva sempre fatto, [102] dava una prova di doverosa deferenza al Superiore Ecclesiastico.

 

                               Rev. sig. Don Bosco,

 

                La Suor Clarac, delle Suore della Carità, mi dice che la S. V. M. R. desiderava il mio assenso perchè un suo sacerdote si recasse all'Oratorio aperto dalla medesima a celebrare ed a fare qualche istruzione. Non avendo motivo di dissentire, annuisco pienamente alla fattami domanda.

                Il Signore le conceda ogni benedizione e mi creda di Lei

 

                Torino, 16 marzo 1868,

Dev.mo Servo

ALESSANDRO, Arcivescovo.

 

                Suor Luigia Clarac aveva fondato in Torino l'Istituto di S. Maria.

 

 

CAPO X. Letture Cattoliche: LE MERAVIGLIE DELLA MADRE DI DIO INVOCATA SOTTO IL TITOLO DI MARIA AUSILIATRICE - La prefazione dell'opuscolo - Lettera di Don Francesia al Cavaliere: il fascicolo Severino la furori: i lavori della Chiesa: le grazie di Maria SS.: le medaglie: i preparativi per la gran festa: le conseguenze dell'andata di Don Bosco a Mornese l'anno scorso - Nomina di Cardinali: Mons. Eustachio Gonella - Don Bosco scrive al Cavaliere di presentare al Cardinal Gonella e agli altri nuovi Cardinali gli ossequi di tutta la Pia Società: chiede notizia de' suoi amici di Ronza: ricorda la festa del III Centenario della nascita di S. Luigi - Altra sua a Mons. Ricci col quale si congratula di un nuovo onore al quale fu elevato dal Papa - Don Francesia al Cavaliere: dà notizie dell'Oratorio; Don Bosco, escluso da una ripartizione di beneficenza fatta alle opere Pie, riceve cospicua somma da Milano: numerose offerte de' fedeli in questi giorni: i lavori della Chiesa Procedono bene: Don Bosco è chiamato al letto di molti infermi - Circostanza straordinarie della morte repentina di Rossi Spirito, predetta da Don Bosco. Non è il secondo del sogno - Don Francesia annunzia questa morte al Cavaliere - La Marchesa di Villarios scrive a Don Francesia di questo fatto - Padre Oreglia a Don Francesia: dà consiglio di accettare Vigna Pia non ostante che sia un'opera umile e difficile: teme un ottobre come l'anno [104] passato: aspetta lettera da Don Bosco: andata a Roma del Teol. Margotti.

 

                PEL mese di marzo si era distribuito agli associati delle Letture Cattoliche un fascicolo intitolato: Il volo dell'Angelo, di Umberto Le Bon, versione italiana del Sac. Pietro Bazetti. Trattava dell'efficacia della preghiera, per ottenere dal Signore il trionfo della Chiesa e ogni altra grazia, con belle citazioni di autori religiosi, parabole, leggende e fatti storici.

                Pel mese di aprile il fascicolo in corso di stampa portava il titolo: Pensieri e detti sugli affari del giorno, con appendice sulla vita di famiglia di Giacomo Bonomo: due opuscoletti riuniti. Il primo dimostrava che il buon senso si altera nel popolo, specie nelle questioni religiose, per l'ignoranza e per la malefica influenza dei giornali cattivi: il secondo diceva della felicità che si trova nella famiglia cristiana, e dei modi di conservare la gioia domestica.

                Pel mese di maggio Don Bosco riservava un suo libretto di circa 184 pagine, che ormai aveva finito di scrivere, in onore di Maria SS.: Le meraviglie della Madre di Dio invocata sotto il titolo di Maria Ausiliatrice, raccolte dal sacerdote Giovanni Bosco. Sul frontispizio aveva aggiunto le parole: Aedificavit sibi domum (Prov. c. IX, V. I). MARIA SI EDIFICO' ELLA STESSA UNA CASA.

                Diceva nella prefazione:

 

                Il titolo di Auxilium Christianorum attribuito all'augusta Madre del Salvatore non è cosa nuova nella Chiesa di Gesù Cristo. Negli stessi libri santi dell'antico testamento Maria è chiamata Regina che sta alla destra del suo Divin Figliuolo vestita in oro e circondata di varietà: Adstitit Regina a dextris tuis in vestitu deaurato, circumdata varietate: salmo 44. Questo manto indorato e circondato di varietà sono altrettante gemme e diamanti, ovvero titoli con cui si suol appellare Maria. Quando pertanto chiamiamo la Santa Vergine aiuto dei cristiani, non è altro che nominare un titolo speciale, che a Maria conviene come diamante sopra i suoi abiti indorati. In questo senso [105] Maria fu salutata aiuto dei cristiani fino dai primi tempi del Cristianesimo.

                Una ragione per altro tutta speciale per cui la Chiesa vuole negli ultimi tempi segnalare il titolo di Auxilium Christianorum è quella che adduce Mons. Parisis colle parole seguenti: “Quasi sempre quando il genere umano si è trovato in crisi straordinarie, fu fatto degno, per uscirne, di riconoscere e benedire una nuova perfezione in questa ammirabile creatura, Maria SS., che quaggiù è il più magnifico riflesso delle perfezioni del Creatore”. (Nicolas, pag. 121).

                Il bisogno oggi universalmente sentito di invocare Maria non è particolare, ma generale; non sono più tiepidi da infervorare, peccatori da convertire, innocenti da conservare. Queste cose sono sempre utili in ogni luogo, presso qualsiasi persona. Ma è la stessa Chiesa Cattolica che è assalita. È assalita nelle sue funzioni, nelle sacre sue istituzioni,  nel suo Capo, nella sua dottrina, nella sua disciplina; è assalita come Chiesa Cattolica, come centro della verità, come maestra di tutti i fedeli.

                Ed è appunto per meritarsi una speciale protezione del Cielo che si ricorre a Maria, come Madre comune, come speciale Ausiliatrice dei Re, e dei popoli cattolici, come cattolici di tutto il mondo!

                Così il vero Dio era invocato Dio di Abramo, Dio d'Isacco, Dio di Giacobbe e tale appellazione era diretta ad invocare la divina misericordia a favore di tutto Israele, e Dio godeva di essere in questa guisa pregato, e portava pronto soccorso al suo popolo nelle afflizioni. Nel corso di questo libretto vedremo come Maria è veramente stata costituita da Dio aiuto dei Cristiani; e come in ogni tempo tale siasi dimostrata nelle pubbliche calamità, specialmente a favore di quei popoli, di quei Sovrani, di quegli eserciti, che pativano o combattevano per la Fede.

                La Chiesa pertanto, dopo aver più secoli onorata Maria col titolo di Auxilium Christianorum, in fine istituì una speciale solennità in cui tutti i cattolici si uniscono con una sola voce a ripetere le belle parole con cui è salutata questa augusta Madre del Salvatore: Terribilis ut castrorum acies ordinata, tu cunctas haereses sola interemisti in universo mundo.

                La Santa Vergine ci aiuti tutti a vivere attaccati alla dottrina ed alla fede di cui è capo il Romano Pontefice vicario di Gesù Cristo, e ci ottenga la grazia di perseverare nel santo divino servizio in terra per poterla poi un giorno raggiungere nel regno della gloria in cielo.

 

                Quindi, coi simboli del Vecchio Testamento, coi fatti del Santo Vangelo, coi gloriosi monumenti storici di tutti i secoli, colla divozione e gratitudine dei popoli beneficati, il Venerabile argomenta dapprima quanto convenga alla Vergine il [106] titolo di Ausiliatrice della Chiesa e dei fedeli. Poi dice del disegno e del principio dei lavori di una nuova chiesa in Torino in onore di Maria Auxilium Christianorum; descrive la posa della pietra fondamentale, e la continuazione e il termine del sacro edifizio, i mezzi portentosi coi quali fu edificato, la sua mole maestosa, l'immagine quivi esposta alla venerazione dei fedeli e tutto l'interno del nuovo tempio. Infine dà la spiegazione delle principali cerimonie che si usano nella consacrazione delle chiese, riferisce i dite inni liturgici per le feste che saranno celebrate, e finalmente narra alcune grazie ottenute per intercessione di Maria Ausiliatrice.

                Quest'opuscolo, in preparazione alla dedica della chiesa doveva riuscire di gradimento agli associati, dai quali gli scritti di Doli Bosco erano accolti sempre con gioia.

                Mentre gli operai s'industriavano a compiere nella chiesa i lavori di maggior premura. Don Francesia scriveva al Cav. Oreglia, e gli faceva osservare per prima cosa la naturalezza delle voci che si spargevano, per la prolungata sua permanenza in Roma.

 

Torino, 5 marzo 1868.

 

                                Carissimo sig. Cavaliere,

 

                Ella non disse uno sproposito, quando scrisse che qualcuno teme che Ella abbia defezionato da noi. Ad onore del vero io fili sempre di parere contrario. Ma che vuole? Ella pure è un po' causa di queste strane voci. Tutti i suoi amici esterni che frequentano la casa, venendo tra noi domandano subito sue notizie, e dopo tre, quattro, o più volte si meravigliano a sentire sempre che V. S. è a Roma. Ed è allora che tirano la conseguenza di cui ella faceva a noi lagnanza...

                Il fascicolo Severino continua a fare furore, e fa aumentare ogni giorno più gli associati. Non che il medesimo Aristarco, il prof. Vallauri, mi ebbe a dire che il Severino sarà forse la miglior cosa uscita dalla penna di Don Bosco, e che egli l'aveva dovuto leggere in un fiato solo. Tanto lo aveva innamorato quello scrivere di Don Bosco...

                Venendo alla chiesa, il lavoro progredisce di molto e non pare ormai da mettersi in dubbio che per maggio si potrà aprire al pubblico. Quanto ci fece meraviglia sentire come V. S. ha già commissionato trentamila medaglie! Sarà una vera pioggia! Ho poi qui molte e molte altre grazie di persone che ottennero la guarigione ad intercessione [107] di Maria Ausiliatrice. Per disporre il tutto in quel giorno solenne dell'apertura io credo non solo utile, ma necessaria la sua presenza. Ella conosce noi e sa quanto sia grande la nostra abilità in queste faccende. Ci sarebbero tante cose ora a provvedere anche per la stampa. Don Bosco prepara il fascicolo, ma sarebbe anche a pensarsi per le copie di esso in pulito ed in lusso; perchè io credo che bisogna uscire un po' dal povero in tal circostanza. Ci sarebbero le iscrizioni latine ed italiane, ecc., ecc. e mille altre cose che non sfuggirebbero al suo occhio. Del resto, mentre ognuno qui avidamente lo aspetta, sappiamo che ella spende assai bene ed a prò della Casa il suo tempo, e ne lo loda e ringrazia. Ci congratuliamo con lei di tutte le liete avventure e gliene auguriamo molte e molte più, sicchè le benedizioni dei Romani sieno eguali ai desiderii dei Torinesi.

                La salute dei nostri giovani va bene e, tranne alcune piccole indisposizioni recate dalla stagione, lo stato igienico non presenta nessun timore. Dello stato politico anche va bene. Don Bosco non mi volle ancora dire nulla su quanto desiderava anche a nome del P. Giuseppe: forse risponderà egli stesso direttamente.

                Sa che Don Bosco fu a Mornese e quali accoglienze ebbe. Ora però il processo girato per le parole dette, per le cose fatte, va avanti. Ma il paese non poteva essere più indignato e concorde ed il Sindaco e tutta la Giunta servì di coppa e di coltello il Prefetto. Forse si metterà una pietra sopra e buon giorno .....

                Iddio, o caro cavaliere, lo benedica assai, assai ed assai; e nel presentarle i saluti particolari di Don Rua e di Don Savio ed in genere di tutti, accolga i sensi veri di cristiana affezione

 

dell'aff.mo come fratello

Sac. FRANCESIA.

 

                In quei giorni Pio IX aveva stabilito di elevare all'onore della sacra Porpora Mons. Annibale Capalti, segretario della Sacra Congregazione di Propaganda Fide, nato a Roma nel 1811; Mons. Edoardo Borromeo, maggiordomo di Sua Santità, nato in Milano nel 1822; Mons. Luciano principe Bonaparte, protonotario apostolico, nato in Roma nel 182o; Mons. Innocenzo Ferrieri, Arcivescovo di Sida, Nunzio Apostolico presso Stia Maestà Fedelissima, nato in Fano nel 1810; Mons. Raffaele Monaco La Valletta, Assessore della S. Romana e Universale Inquisizione, oriundo di Chieti e nato in Aquila nel 1827; Mons. Lorenzo Barili, Arcivescovo di Tiana, Nunzio Apostolico presso S. M. Cattolica, nato in Ancona nel 1801;  [108] Mons. Giuseppe Berardi, Arcivescovo di Nicea, Sostituto della Segreteria di Stato e Segretario della Cifra, nato in Ceccano nel 1810; Mons. Eustachio Gonella, Arcivescovo Vescovo di Viterbo e Toscanella, nato in Torino nel 1811.

                I nuovi Cardinali sarebbero stati preconizzati nel Concistoro segreto del 13 marzo; nel pubblico Concistoro del 16 marzo il Pontefice avrebbe dato loro il Cappello Cardinalizio[4].

                Don Bosco, avuta notizia della nomina di detti Eminentissimi, scriveva al Cav. Oreglia.

 

                                Carissimo sig. Cavaliere,

 

                Il Conte Fresia va a Roma e mi dice se può lasciare qui da quattro a cinquecento franchi per esigerli di poi al suo arrivo in questa città. Ho detto che avrei scritto a lei e che secondo la risposta avrei fatto. Mi sembra persona molto buona e caritatevole. È pure in Roma il Conte Soranzo che desidera vederla, se pure non si sono ancora  [109] incontrati. Non so dove dimori, ma i domestici del Card. Consolini lo sanno.

                Il Cav. Marco con suo fratello cav. Giov. Batt. Gonella colle rispettive famiglie sono a Roma per l'occasione in cui il fratello Arcivescovo di Viterbo sarà proclamato Cardinale. Ella faccia in modo, diretto o indiretto, di avvicinarsi e a nome di tutti i nostri sacerdoti, chierici e stabilimenti, faccia felicitazioni ed augurii. Lo stesso faccia cogli altri neo cardinali, e si presenti come incaricato ad hoc.

                Dica alla Contessa Calderari che godo del miglioramento de' suoi bambini; noi continueremo a pregare e speriamo che quanto prima saranno tutti ristabiliti nella loro primiera sanità a consolazione di lei e de' suoi amici. Lo stesso facciamo per la madre pregando Dio a renderla, al più tardi che a Dio piacerà, un giorno beata nella gloriosa eternità.

                Desidero pure di saper notizie del conte e contessa Bentivoglio, cui desidero di scrivere, se non sarà di disturbo. Mi dia eziandio notizie del sig. Conte Vimercati; da Natale non ho più saputo niente. Padre Vasco, P. Delorenzi, la marchesa Villarios, casa Vitelleschi godono migliore sanità?

                Affettuosi ossequi a tutti e da parte di tutti e mi creda nel Signore

 

                Torino, 9 marzo 1868,

 

Aff.mo amico

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                PS. - Abbiamo fatto solenne novena; oggi è gran festa pel terzo centenario della nascita di S. Luigi, avvenuta il 9 marzo 1568.

 

                Altra lettera, come sempre squisitamente compita sotto ogni riguardo, egli inviò a Roma, per mezzo del Conte Fresia, indirizzata a Sua Ecc. Rev.ma Mons. Ricci, nominato Cameriere segreto di Sua Santità.

 

                               Rev.mo Monsignore,

 

                Fra le molte persone che godono grandemente del novello onore cui Sua Santità testé ha elevato V. S. Rev.ma, si degni annoverare anche il povero D. Bosco, che conserva di Lei la più cara rimembranza. Dio La faccia progredire fino alle prime dignità della terra, ma in modo che possa poi raggiungere la felicità del cielo.

                Chi porta questa lettera è il sig. Conte Fresia che va a Roma per divozione. È un buon cristiano ed un fermo cattolico. Se può dargli qualche indirizzo per appagare meglio la sua pia curiosità, farà eziandio un piacere grande a me stesso. [110]

                Dio la benedica; preghi per me e per la mia famiglia e lui creda colla più profonda gratitudine,

                Della S. V. Rev.ma,

 

                Torino 26 marzo 1868,

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Prima che il conte Fresia si recasse a Roma, D. Francesia aveva scritto al Cav. Oreglia il 15 marzo:

 

Metà Quaresima 1868.

 

                               Carissimo sig. Cavaliere,

 

                Giacchè V. S. è ancora a Roma abbia la rassegnazione di leggere questa mia nuova lettera. Della tipografia poche notizie e quasi tutte buone. Della casa non abbiamo a lagnarci; i nostri giovanetti godono ottima salute e specialmente poi i chierici, che tutti sono in piena attività. A Pasqua avremo D. Chiapale e chi sa se ella udrà la prima sua messa: dopo, D. Merlone e D. Dalmazzo, che appunto si troveranno sacerdoti all'apertura della chiesa.

                Giorni sono Don Bosco lamentavasi così sottovoce colla direzione della Società di Gianduia, che l'aveva di nuovo messo in disparte dall'elemosina, come se egli Don Bosco non fosse indirizzato a bene pubblico, o non ne avesse bisogno. Valsero questi lamenti, poichè il Signore in quella appunto che i giornali annunziavano che il Cottolengo, gli Artigianelli avevano ricevuto ciascuno la sua quota in lire 2300, il Signore, dico, mandava a Don Bosco il doppio cogli interessi e l'aggio, con una somma di 6000 lire da pia persona milanese. Mentre però Don Bosco ringrazia e di molto cuore il Signore e la pietosa elemosiniera, non desidera che si dica forte la cosa, per impedire forse non so che cosa. E non finisce qui! Forse in tutto l'anno non vi fu tanto fuoco nel mandare a noi elemosine come in quello che i filantropi mondani agitano il cielo e la terra per mettere su piccola somma. Don Bosco ne è veramente stupito; non che nella sola settimana scorsa in oblazioni straordinarie abbiamo raccolto circa 10.000 lire. Così la chiesa andrà avanti.

                Ieri, giovedì, fu a visitarla un sig. Fino, fratello del mercante da carta, che ha promesso l'opera sua per decorare con affreschi una cappella, che sarebbe dedicata ai Santi Protettori di Torino. Un'altra persona s'incarica di fare un pavimento elegante in una delle sagrestie; mentre da tante e tante parti arrivano persone a prendere misure ora per l'altare, ora per la balaustra ed ora per i gradini dell'altare tare per fare, a quel che sembra, un tappeto. [111] Lunedì prossimo venturo metterassi mano a fare i confessionali, essendo tutte terminate le porte.

                Se le avessi a descrivere il vero entusiasmo che regna a Torino tra i buoni per la nostra chiesa, Ella ne giubilerebbe assai. Ma questo amo meglio che lo venga Ella a vedere e secondare. Cosa poi singolare che si vede oggidì è la venerazione sempre crescente nei nobili per Don Bosco. Non cade uno infermo che non voglia Don Bosco, quasi direi, prima del medico: e la accerto io che non ha poco a fare per poter contentare tutti. Fatto sta che assai raramente abita tra noi.

                Don Margotti si prepara per andare a Roma e passarvi la settimana santa... Teme alquanto da qualche male impressionato per quel famoso Chi ne sa più di noi riguardo alle elezioni politiche, che destò tanto fracasso nel mondo. Ma si sa da tutti che egli così scrisse per obbedire a chi di ragione .....

Sac. FRANCESIA.

 

                Di quei giorni accadeva nell'Oratorio un fatto strepitoso. Don Bosco aveva asserito non essere Petiva il secondo del sogno, ma aveva anche aggiunto che un altro sarebbe passato all'eternità, prima del seguente Esercizio di buona morte. Si era agli ultimi giorni di febbraio e, secondo il consueto, un mese dopo si sarebbe ripetuto l'Esercizio. Ed ecco con sorpresa di tutti, ci narrò Mons. Pasquale Morganti, Arcivescovo di Ravenna, allora alunno dell'Oratorio, fin dai primi di marzo Don Bosco annunziava in pubblico che il futuro esercizio di buona morte si sarebbe anticipato di quindici giorni, e precisamente si sarebbe fatto il giorno 19 marzo, festa di S. Giuseppe: e il motivo di quella disposizione essere che prima di quel giorno doveva morire un giovane della casa, il quale però avrebbe fatta la salita Comunione la stessa mattina della sua morte: e raccomandava che tutti stessero preparati e facessero una buona confessione.

                Il giorno 18 nel pomeriggio, non essendo nessun ammalato in casa, grandi erano le dicerie, specialmente tra gli alunni. Questi sottovoce, per non essere uditi dai superiori, dicevano:

                 - Questa volta Don Bosco l'ha sbagliata. Siamo all'esercizio di buona morte e ci troviamo tutti in buona salute. La profezia fa fiasco!  [112] Alle 6 di sera i confessori erano al loro posto in chiesa, e gli alunni, cosa insolita, uscivano dallo studio e dal laboratorio poco disposti a confessarsi e si sbandavano nei cortili, invece di andare a prepararsi per la confessione. Don Francesia cercava di mandarli in chiesa, ma vedeva sulla faccia di molti un certo sogghigno che non sapeva spiegare. Vari, al suo invito, entravano in chiesa da una porta e uscivano dall'altra; richiamati da un cortile, si sbandavano nell'altro. Mai erano apparsi così restii, come quella sera.

                Conosciutone il motivo, cercò di persuaderli, di ragionarli, ma egli pure era imbrogliato. La profezia di Don Bosco non accennava infatti ad avverarsi e certuni, accolti da poche settimane nell'Oratorio, ne traevano argomento per deridere tutto ciò che avevano udito di mirabile, intorno a Don Bosco. Tra gli artigiani specialmente faceva assai male siffatta diceria.

                Venendo l'ora della cena, quelli della prima mensa vanno in refettorio, e non lo trovano preparato: mancava il vino. Si cerca di Rossi Spirito, cantiniere e refettoriere, e non si trova, né si sa ove sia andato. Dalla cucina se ne die' avviso al Prefetto Don Rua che chiese chi avesse visto per ultimo il Rossi. Cipriano Audisio rispose che alle due pomeridiane era stato in cantina con lui per lavare le botti, e ve l'aveva lasciato.

                Si va alla cantina, e la si trova chiusa: si chiama, si picchia e infine si sforza la porta; si entra, si guarda di qua e di là e finalmente si vedono per terra le scarpe di Rossi. Allora si esaminano le botti vuote. Il poveretto era infondo ad una di queste, ove imprudentemente era disceso, asfissiato, morto e ancor caldo. Viene estratto e portato fuori! La voce corre come un lampo, i giovani si affollano a vedere il doloroso spettacolo, i mormoratori ammutoliscono confusi, tutti son presi da arcano spavento, e corrono a confessarsi, cosicchè D. Bosco dovette ascoltarli fin quasi alla mezzanotte. Anche i più increduli furono convinti dello spirito profetico del Venerabile.

                Citiamo fra i testimoni del fatto il Card. Cagliero. [113] Don Rua scrisse nel necrologio:

                “18 marzo . - Muore Rossi Spirito da Saliceto in età di 26 anni. L'ubbidienza e la pietà erano i suoi caratteri distintivi. Aspirava alla carriera ecclesiastica, ma non avendo memoria ed intelletto sufficiente dovette abbandonar gli studii. Dimorando presso i parenti, diventò monomaniaco. Avuta la venturosa sorte di rientrar nell'Oratorio, senz'altro rimedio che una cieca obbedienza al suo Direttore, guarì perfettamente. Morì di morte repentina, ma non improvvisa, giacchè lo stesso giorno erasi accostato alla comunione ed era sempre ben preparato”.

                Ma neppur questo era il secondo del sogno. Don Bosco, interrogato in proposito qualche tempo dopo la morte del ch. Mazzarello, aveva riposto che il secondo non avrebbe fatto più di tre volte l'esercizio di buona morte, che la sua malattia sarebbe stata di otto o dieci giorni, che i suoi parenti sarebbero venuti a vederlo, ma egli non l'avrebbe assistito negli ultimi momenti: così scrisse Don Bourlot. E la morte di Rossi era stata repentina.

                Don Francesia così informava il Cavaliere sull'avvenimento.

 

19 marzo 1863.

 

                               Carissimo sig. Cavaliere,

 

                Scrivo di nuovo notizie di morte. Rossi Spirito ieri a quest'ora era ancor vivo ed ora è già morto. Andò ieri in cantina con l'intenzione di lavare una botte vuota, ma si ruppe una doga ed egli cadde dentro e restò asfissiato. Dopo tre ore di vane ricerche finalmente si poté scoprire, ma appena ancora caldo. Noti che ieri era l'ultimo giorno stabilito da Don Bosco per una morte, e siccome si verificò con tanta terribile esattezza così lo sbigottimento fu immenso. Oggi appunto si faceva l'esercizio della buona morte ed uno non doveva più farlo e non lo fece propriamente. Ma sa quanto Rossi Spirito fosse veramente buono, ed alla mattina aveva fatta la sua S. Comunione. Così per l'anima sua non c'è nulla da temere; e cotesta morte fu di salutare avviso per noi. Stamane la Comunione fu proprio generale. Si poté contare che uno o due al più si rifiutò di accostarsi ai Sacramenti; gli altri fecero tutti un buon bucato. Don Bosco ebbe cotesta notizia dolorosa con molta sensibilità e si mostra assai abbattuto ..... [114] Scriverò alla Villarios un fatto assai singolare avvenuto nel principio di questa settimana.

                Mons. Gastaldi promette lavori per la tipografia... Vale, o dulcissime caput.

 

Sac. FRANCESIA.

 

                La Marchesa di Villarios, saputo di questa morte, scriveva a Don Francesia.

 

Roma, 23 marzo 1868.

 

                               M. R. Don Francesia,

 

                Il nostro cavaliere mi ha fatto consapevole del nuovo prodigio operatosi in questi giorni per l'annunzio della morte di quel povero giovane, avvenuta in modo così inaspettato! ... Davvero che essi hanno la sorte di vivere in mezzo ai prodigi e cose straordinarie; le continue grazie ottenute da Maria Ausiliatrice e le offerte colossali che ricevono, sono cose e fatti da far sbalordire! Beati loro! Oh quanto sarei felice se nel bel mese di maggio mi fosse concessa la grazia di fare una gita a Torino per l'apertura della nuova chiesa! Ma ne vedo proprio l'impossibilità! ...

                L'ottimo cavaliere pare davvero che dopo Pasqua si disponga a partire, se non si frappongono altri incagli...

                Quanto fa e quanto ottiene pare incredibile.

 

VILLARIOS.

 

                Altre lettere da Roma recavano all'Oratorio notizie intorno a Vigna Pia e ne chiedevano altre importanti da Torino.

 

Roma, 18 marzo 1868.

 

                               Rev. e Carissimo Don Francesia,

 

                Saprà che Federico è a S. Eusebio per 8 giorni di esercizi in comune con altri assai. M'incaricò di riscuotere la sua posta. Ebbe adunque la lettera da V. S. a lui indirizzata: ieri gliela portai a S. Eusebio. L'aperse e ne uscì quella diretta a me. Leggendola dinnanzi a Federico toccai con lui dell'argomento precipuo e trovai che Federico è molto contrario al progetto della Vigna Pia. Ma le sue ragioni ella le saprà o potrà saperle se, secondo che ella desidera, le dirò quello che penso.

                In primo luogo non mi fa difficoltà il timore di gelosie o invidie. Queste accompagnano sempre ogni cosa buona o cattiva. Ed anche Don Bosco a Torino ne sa qualche cosa. Non perciò lascerebbe le sue opere pie in Torino. Dunque questo non dee fare difficoltà. [115] In Roma poi città salita, le gelosie e le invidie al bene saranno, sempre caeteris paribus, minori che per tutto altrove. La maggioranza numerica e di peso sarà sempre zelante del belle più qui che non altrove. La natura poi dell'opera della Vigna Pia è tale che poco ammette le invidie. Il sito è remoto dalla città, l'aria poco sana. Il tutto molto modesto. Credo che nulla là ci è da eccitare invidie. Penso anzi che coloro che ci si trovano cercano di abbandonare quel luogo e chi ci andrà, se non ha molto zelo e molto buono spirito, non ci durerà. Non credo dunque che la ragione, che il timore di gelosie e d'invidie possa esser fondato.

                Aggiungo che trattandosi di Vigna Pia mi pare difficile che la proposta di cederne la cura a Don Bosco sia venuta senza previa intelligenza con l’io. Ciò deve rassicurare, confortare, e se non altro escludere troppi timori.

                Posto poi che Don Bosco, come ella lui scrive, sia fisso, nel sì, io non esiterei ad unirmi al si. Il fondatore ha i lumi necessarii al buon successo della sua opera inspiratagli dal Signore.

                Posto poi che la cosa non riuscisse, ci sarà sempre tempo e modo di ritirarsene, come se ne ritirano ora quelli che l'hanno.

                Questo sì bisogna persuadersi che non è opera né gloriosa né comoda ma umile, aspra e difficile. Il luogo è in campagna, la campagna è malsana; saranno come nel deserto; non in Borsa; ma come fuori di ogni abitato. Valdocco è una reggia in paragone. Ma secondo me questo non deve essere una difficoltà. Anzi troverei difficoltà se fosse diversamente. Le quercie hanno da piantarsi molto profonde. Questa offerta della Vigna Pia è l'offerta d'un sacrifizio, di una pena, di un mezzo esiglio. Forse esagero, ma è meglio aspettarsi il peggio e trovare il meglio, che non viceversa. Concludo che non c'è, secondo me, da aspettarsi invidie, e che in ogni caso nel dubbio starei col parere di Don Bosco a Priori e senz'altro esame.

                Mi riservo però a scriverle occorrendo ciò che potrò sapere di meglio. Se non scrivo altro, è segno che persevero nel giudizio detto.

                Grazie delle notizie. Mi dica poi il suo parere sull'articolo che vedrà sull'Istruzione nella Civiltà Cattolica.

                Mi raccomandi a S. Giuseppe.

                Sono il suo

Um.mo Servo

GIUSEPPE OREGLIA.

 

R0MA, 23 marzo 1868.

 

                               Rev.mo e Carissimo Don Francesia,

 

                Ringrazio anticipatamente Don Bosco di quanto ella mi dice che mi scriverà di Loggie e gli dico che conto su quella lettera; e siccome [116] Lei è suo, così se egli manca, mancherà anche Lei. Dunque senz'altro scriva. Qui ci aspettiamo per aprire una seconda edizione, con aggiunta, dell'ottobre passato. Siamo certi dell'esito trionfale. Ma quanti resteranno per via? Basta: sarà quello che Dio vorrà. Aspetto lettera da Don Bosco.

                Federico finì i suoi esercizi bene; e pensa a ritornare. Lo credo in piena regola. Aspettiamo Don Margotti e credo che sarà ricevuto benissimo. Certo quella sua volata fu molto alta, ma poi la calata fu molto ben fatta. L'una e l'altra meritoria. Dunque Deo gratias e post factum lauda. E credo che il fatto fu molto utile e Margotti deve essere lieto che quando pare errare, fa del bene.

                Di nuovo le ricordo la sua lettera di Don Bosco. L'aspetto. Ella la promise: ella la faccia mandare .....

 

OREGLIA.

 

                Don Bosco lo accontentò.

                Altro biglietto scriveva Padre Oreglia a Don Francesia il 2 aprile.

                “La ringrazio dell'ultima sua del 30 marzo e della precedente del 25 in cui era la Loggia della quale la ringrazio. Segua pure a scrivere così. Giova molto. - Nota manus”.

 

 

CAPO XI. Pazienza cogli avversari - L'Arcivescovo nell'Oratorio Mons. Galletti e Mons. Gastaldi studiano il modo di approvare la Pia Società - Favori spirituali concessi dal Vescovo di Casale a Don Bosco, ai Superiori del Collegio di Mirabello: concessioni ai chierici per gli studii e per gli esami Lettera di Don Bosco al Cavaliere: gli manderà una domanda formale da presentarsi al Santo Padre per indulgenze: aspetta notizie di una oblazione promessa per un altare: la consacrazione della chiesa si farà in giugno: invita Mons. Vitelleschi a venire in Torino per tale festa: la presenza del Cavaliere è necessaria all'Oratorio: dà notizie degli ordinandi al sacerdozio - Postilla di Don Francesia che annunzia la morte del giovane Croci - Non è ancora il secondo del sogno Don Bosco al Cavaliere: manda parole di conforto e di ringraziamento a varie persone: appena ottenute le indulgenze spedisca il Rescritto: si preparano feste meravigliose per la consecrazione della chiesa - Ringraziamenti ad una contessa di Milano per le offerte - Don Bosco abolisce le vacanze pasquali degli alunni e riduce a un solo mese le vacanze autunnali - Don Francesia al Cavaliere: ha scritto al Conte Vimercati per la visita a lui fatta dal Santo Padre: elegante indirizzo che presenta l'Oratorio al Card. Gonella: infermità di una benefattrice; il Marchese di Villarios la visita all'Oratorio; la Pasqua degli artigiani ed effetti mirabili di una Predica di Don Bosco: il Cattolico provveduto per le pratiche di pietà - Risposta del Conte Vimercati a Don Francesia: ebbe grande consolazione dalla visita del [118] Papa: sente la morte vicina: spera nelle preghiere di Don Bosco - Don Bosco al Cavaliere: lo ringrazia degli augurii pasquali: procuri che le indulgenze siano concesse in perpetuo coi Rescritti firmati dal Santo Padre: celebra messe per due esimie benefattrici: commissioni per Firenze: il caro dei viveri lo mette in desolazione: spese enormi per la chiesa, ma la Madonna continua a far grazie - Una guarigione meravigliosa: una lite vinta - Persuasione nei fedeli che la Madonna nulla neghi alle preghiere di Don Bosco.

 

                A Roma non si ignoravano da Padre Oreglia le opposizioni che qualche Vescovo faceva alla Pia Società e perciò il 2 aprile scriveva anche a D. Francesia: “Pazienza cogli avversari che sono certamente putantes obsequium se praestare Deo, e ci fanno del bene sempre, quando sono mossi (come sempre sono o permessi) dall'alto. Dunque allegria e coraggio; e specialmente oremus ad invicem”.

                Era questa la regola che guidava Don Bosco in mezzo alle tribolazioni, la causa costante della sua tranquillità; e il Dio delle consolazioni era largo di queste con lui.

                Mons. Riccardi, invitato sovente, veniva a compiere funzioni religiose nell'Oratorio. La domenica di Passione 29 marzo amministrava il Sacramento della Confermazione nella piccola chiesa di S. Francesco di Sales. I cresimandi erano quasi tutti giovani esterni che frequentavano i catechismi della quaresima, e il loro contegno e la moltitudine dei loro compagni fecero contento l'Arcivescovo. Dopo la funzione Don Bosco, col berretto in mano, lo accompagnò a prendere un caffè, e quindi fino alla carrozza, senza mai coprirsi benchè l'aria fosse fredda.

                Il 20 marzo Mons. Galletti, Vescovo d'Alba, scriveva a Don Rua raccomandandogli, a nome della povera madre, l'allievo Tomaso Cagliano, pio e studioso giovanetto, perchè lo tenesse gratuitamente, sino al fine de' suoi studi. E concludeva:  [119]

                “Lo prego di presentare al venerando Don Bosco un mio cordialissimo ossequio, baciandogli una volta la mano in nome mio ed assicurandolo che siamo per accordarci con Monsignor di Saluzzo, intorno al modo di dare una piena approvazione uniforme alla benemerita loro Società”.

                Il Vescovo di Casale dava a Don Bosco novella prova della sua benevolenza, concedendo varie facoltà a Don Bosco e ai Superiori del piccolo Seminario di Mirabello, e autorizzando i chierici studenti di teologia e di filosofia a compiere i corsi nell'interno dell'istituto e a subirvi gli esami.

 

                Nos PETRUS MARIA FERRÈ, Dei et Sedis Apostolicae gratia Ecclesiae Casalensis Episcopus et Comes.

 

                Rev.mo D.no Ioanni Bosco Fundatori ac Generali Superiori Societatis S. Francisci Salesii, cuius institutum in oppido huius Dioecesis Casalensis nomine Mirabello erectum veluti Seminarium Dioecesanum Decreto Nostro diei 7 mensis ultimo elapsi declaravimus, favere summopere volentes, praesentibus litteris ad Beneplacitum Nostrum auctoritate Nostra ordinaria:

                1. Facultatem eidem facimus absolvendi ab omnibus peccatis et censuris in hac Dioecesi reservatis, non exceptis iis quae si non exprimantur non censentur sub generali facultate comprehendi.

                2. Concedimus ut ipse vel per se vel per Moderatores Seminarii Loci Mirabello queat Confessarios extra Dioecesanos ab eorum Ordinariis adprobatos vocare, ut personis in dicto Seminario degentibus et ab externo quoque ibi advenientibus Sacramentum Poenitentiae administrent.

                3. Consentimus ut Clerici repetiti Seminarii, Philosophiae atque Theologiae operam dantes, quotannis ibi sub eorum institutoribus experimenta ac pericula subeant, neque teneantur ordini se accomodare Tractationum, qui in maiori Dioecesis Seminario observatur.

                Casali, in Palatio Episcopali, die 4 mensis aprilis 1868.

 

PETRUS MARIA, Episc.

 

Can. BRIATTA Cancell. Episc.

 

 

                Altra consolazione che provava Don Bosco, era l'avvicinarsi del tempo nel quale sarebbe consecrata la chiesa di Maria Ausiliatrice. Scriveva al Cavaliere Oreglia:  [120]

 

                               Carissimo sig. Cavaliere,

 

                Ho ricevuto la lettera che ha inviato colla data di ottobre o di dicembre 1867, unitamente alle sue scritte prima e dopo gli esercizi spirituali. E va tutto bene quanto mi scrive. In quanto alle indulgenze riceverà una domanda formale pel Santo Padre. La presidente Galeffi mi ha scritto che è disposta di fare, sembra, oltre all'altare ancora qualche altra cosa. È deciso che darà, oppure ha già dato qualche cosa dei due mila scudi che aveva fatto sperare? Ella brama una mia lettera e prima di scriverle avrei bisogno di essere chiarito di queste cose.

                La Contessa Calderari mi ha scritto e mi ha fatto piacere: le dirà che non mancherò di raccomandare ogni giorno nella santa Messa Lei e tutta la sua famiglia, ma essa abbia molta fede e speri molto nella bontà del Signore.

                Ella poi veda se può fissare un tempo pel suo ritorno. L'Arcivescovo avrebbe fissata la consacrazione della chiesa per la prima quindicina di giugno. La festa durerebbe 9 giorni: un Vescovo farebbe ogni giorno una predica, un altro la funzione religiosa. Si immagini quante cose a farsi! Avrei perciò vero bisogno di lei. Passata questa epoca, se occorre, ella può ritornare a Roma.

                L'anno scorso Mons. Vitelleschi mi diede qualche speranza di venirci a fare una visita in quella occasione. Favorisca di andarlo a pregare da parte di tutti noi a venirci a fare la consacrazione e, se fosse troppo lunga tale funzione, farei soltanto una predica con un pontificale. Lo preghi e lo inviti anche da parte dell'Arcivescovo di Torino.

                Noti per altro che vi è urgenza assoluta del suo ritorno e perciò mi basta, come ha scritto, che per Pasqua sia a Torino o per la strada di venirci.

                Siccome noi dobbiamo pensare a pagare Osdà, così ella mi dica in tutta confidenza quanto lasciò già sfuggire scherzando, se cioè ha denari depositati in qualche sito sopra cui calcolare, oppure se dobbiamo studiar modo di provvedere.

                Saluti tutti quelli che sani od ammalati si raccomandarono alle deboli nostre preghiere; li assicuri tutti che noi li raccomandiamo ogni giorno al Signore.

                Nelle case godiamo buona salute. Abbiamo il ch. Dalmazzo, Albera, Costamagna, Fagnano, Merlone che si preparano per la Messa.

                Dio la benedica, Cavaliere, e benedica le sue fatiche e le sue intenzioni.

                Preghi pel suo in G. C.

 

                Torino, 25 marzo 1868,

Aff.mo amico

Sac. G. Bosco.

 

                PS. - Favorisca di fare un passo al Banco Nicoletti; dimandi al sig. Nicoletti, ottimo amico, sul modo di far pervenire un bel dipinto regalato alla chiesa nuova. [121] La lettera di Don Bosco aveva quest'aggiunta:

                Don Bosco lascia una pagina vuota col permesso di riempirla... Il giovane Croci della Svizzera, così buono ed allegro, è morto l'altra sera a sua casa. Aveva fatto malattia in Torino; riavutosi appena, suo padre lo volle per forza condur via... forse il viaggio... forse però era da Dio chiamato... Le notizie politiche su R. ingrossano e su tal proposito scriverò al P. G. Che fuga!

 

Sac. G. B. FRANCESIA.

 

                Neppure il giovanetto Croci era il secondo del sogno, come affermò Don Bosco, il quale era sempre in faccenda per sbrigare mille commissioni e preparare le feste della consacrazione della nuova Chiesa. Tornava a scrivere al Cavaliere:

 

                               Carissimo sig. Cavaliere,

 

                Prendo atto del suo ritorno pel 1° maggio. Dica alla signora Contessa Calderari che mi rincresce molto che Dio le mandi tribolazioni, ora nella sanità, ora nelle sostanze: ma ogni cosa è per la maggior gloria di Dio ed io non mancherò di fare speciali preghiere per lei e per tutta la sua famiglia. Non manchi di andare a riverire da parte mia il droghiere Cinti Carlo, di cui mandò la lettera. Lo riverisca e lo ringrazi tanto.

                Qui unita vedrà la memoria da presentarsi al S. Padre pel giorno di sua udienza.

                In quanto alla vendita della sua cascina faccia secondo la convenienza; non siamo in necessità e perciò tale vendita deve solamente farsi, quando Ella il giudichi opportuno pel prezzo.

                Appena abbia ottenute le indulgenze, prenda copia del rescritto e poi mandi tosto l'originale per posta per farlo stampare nel libretto appositamente preparato. Ella non può farsi un'idea della festa che faremo, a Dio piacendo, in quell'occasione della consacrazione. Vedrà. Dia l'unito biglietto alla Marchesa Villarios e l'altro alla presidente Galeffi.

                Oggi ho veduto il conte della Margherita colla contessa e di poi incontrai mad. Audisio, che tutti mormorano per la dilazione del suo ritorno; io li assicurai tutti pel i' maggio prossimo. I mentovati signori la salutano con tutti quelli della casa. Io non mancherò di pregare per tutte le persone e per gli affari che mi raccomanda.

                D. Savino Buchi mi scrive che ha dato scudi 20 al Conte Vimercati,  [122] altri alcune piccole somme. Furono a lei consegnate o forse dimenticate? Dio lo benedica, sig. Cavaliere, e con lei tutti i nostri benefattori. Preghi per me che le sono

 

                Torino, 3 aprile 1868.

 

Sac.. Bosco GIOVANNI.

 

                Il giorno dopo mandava i suoi ringraziamenti, con promessa di preghiere per un infermo, alla contessa Caccia Dominioni di Milano che aveagli spedite offerte per la chiesa.

 

                               Benemerita signora Contessa,

 

                A suo tempo ho ricevuto il danaro in L. 115 con qualche aggiunta che mi mandò per la chiesa, e credo ne avrà avuto quietanza. Di ogni cosa la ringrazio nel Signore.

                Ho pure ricevuto la lettera che mi annunzia la malattia del Rev. P. Tersi. Ho subito disposto che si facessero, e si fanno tuttora, speciali preghiere nella nostra comunità. Spero che Dio avrà ascoltato la nostra ed altra assai più fervorosa preghiera e che il P. Tersi, se non lo è ancora totalmente, sarà quanto prima guarito.

                La ringrazio in modo particolare della raccolta fatta, e che va aumentando a favore della chiesa. Faccia coraggio; i lavori progrediscono alacremente e quanto prima avrà l'orario del giorno della consacrazione e dell'ottavario solenne per quella bella solennità.

                Dio benedica Lei e tutta la sua famiglia e in questi santi giorni La colmi di sue grazie. Preghi per me che Le sono con gratitudine,

 

                Torino, 4 aprile 1868,

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                In questo mese un'importante innovazione aveva luogo negli istituti della Pia Società.

                Fino a quest'anno nelle feste di Pasqua si concedevano agli alunni circa 8 giorni di vacanza nei quali potevano ritornare alle case loro, e le lunghe vacanze autunnali erano interrotte da un mese di scuola pel quale i giovani erano invitati a ritornare nell'Oratorio o nei proprii collegi.

                Don Bosco, avendo osservati i non leggeri disturbi che provenivano da questo sistema, quindici giorni prima delle [123] feste pasquali mandò avviso che fin da quest'anno eran abolite le vacanze di Pasqua e perciò che la Settimana Santa si sarebbe passata in collegio. Così i giovani in quegli otto giorni restarono tutti a suo carico, anche quelli che pagavano pensione; ma egli non badava a spese, trattandosi del loro bene morale. E gli alunni, benchè avessero desiderato ardentemente quelle vacanze, si rassegnarono con facilità al volere del Superiore; tanto era vivo il sentimento dell'obbedienza. Anzi quelle Feste Pasquali trascorsero con grande allegrezza, perchè senza scapito dei Divini Uffici, vi furono speciali divertimenti, mensa più fornita del solito, ed una lunga passeggiata a suon di banda, che però non si rinnovò negli anni seguenti.

                Visto il buon esito di quella disposizione, circa un mese dopo diramava la seguente circolare per mezzo dei singoli direttori:

                Dietro replicate istanze di molti rispettabili padri di famiglia e dopo molti inviti d'uomini esperimentati nell'educare la gioventù, ho creduto bene prendere la seguente deliberazione. Le vacanze in tutto l'anno saranno ridotte ad un solo mese; dai 15 di settembre ai 15 di ottobre. Questa determinazione fu presa per i seguenti motivi:

                1° I collegi più stimati d'Italia e nei quali fioriscono maggiormente gli studii non concedono che un solo mese di vacanza agli alunni;

                2° L'esperienza di più anni che i giovani, passando tre mesi lontani dalla scuola, perdono una gran parte del profitto fatto nel corso dell'anno scolastico;

                3° Il guadagno di tempo in quelli che già maturi di età avessero or bisogno di percorrere più rapidamente il corso degli studi.

                Spero che la S. V. vedrà di buon grado questa modificazione fatta unicamente in vista del profitto maggiore che ne potranno ricavare i giovani, ai quali portiamo tutta la nostra benevolenza nel Signore, a cui onore e gloria abbiamo dedicato e dedichiamo le nostre povere fatiche.

                Durante i mesi più caldi si procurerà che si prolunghi la ricreazione e si facciano più frequenti le passeggiate per mantenere ai giovanetti quella sanità necessaria del corpo perchè possano attendere con tutto l'impegno possibile ai loro studii. E questo anche per conforto dei parenti.

 

Um.mo Servitore

                Il Direttore. [124] Delle vacanze pasquali abolite e di altre novità, nonchè di un triduo predicato da Don Bosco ai suoi giovani in preparazione all'adempimento del precetto pasquale, Don Francesia ragguagliava il Cavaliere Oreglia.

 

8 aprile 1868.

 

                               Carissimo sig. Cavaliere,

 

                Ho scritto al sig. Conte Vimercati per la nuova visita avuta dal Santo Padre .....

                Abbiamo stampato e legato alquanto elegantemente un indirizzo per il Card. Gonella. Il lavoro è veramente ben fatto e, dopo essere esposto qui a Torino nella chiesa di S. Filippo, partirà per Roma lunedì p. v. Esso sarà presentato a quanto dicesi dal Teol. Margotti e dal Baron Bianco e da qualchedun altro Torinese di costà, Sappia che la spesa è tutta della Casa nostra. Don Bosco volle far vedere la sua riconoscenza per casa Gonella e non risparmiò spesa nessuna. La sola roba vedrà che passa le lire cinquanta e la fattura di qualche giorno. Della stampa non dico nulla, chè io credo passerà ancora la legatura.

                A Don Bosco ed a me tornò amarissima la notizia della ricaduta della povera Contessa Calderari. Egli parlò di certe promesse non adempiute e a queste attribuì la causa della malattia. E come ora farglielo sapere? La Contessa non manca di buona volontà: ma se se ne fosse dimenticata?

                Fu qui già due volte il Marchese Villarios con una lunga sequela di Dame di casa Riccardi. Visitò la casa, la chiesa, con tutta diligenza e meraviglia. La prima volta trovò Don Bosco, la seconda me solo che però m'impegnai di fargli tutti gli onori dovuti. Lo dica alla Marchesa sorella, che temeva non venisse. Questo la persuaderà che i suoi affanni furono dal Signore rivolti in contento. Stette qui quel giorno un'ora e mezzo, osservando ogni cosa colla massima curiosità. Promise che domenica di Pasqua sarebbe tornato a vedere il nostro teatro. Ad ogni modo è venuto a vedere l'Oratorio; ciò che tanto premeva alla Marchesa; che venga più o non venga poco monta.

                Ho scritto pochi giorni sono alla Presidente Suor Galeffi ringraziandola della carità che opera continuamente verso l'Oratorio.

                Alle vacanze di Pasqua i giovani non andarono a casa; le passarono con noi. Ieri, 7, gli artigiani fecero Pasqua e con frutto. Il frutto però si deve ripetere, dopo la grazia di Dio, alle devote e commoventissime prediche di Don Bosco. Lunedì a sera doveva farla sul giudizio particolare e dopo aver potentemente scosso gli animi con vive pitture di quel fatale istante, egli stesso fu così commosso che dovette interrompere la predica. Quel momento fu solenne. Piangeva Don Bosco e tutti piangevano i giovani, cosicchè quella sera, vigilia della [125] Pasqua, fu veramente serata di lavanda generale. I più grossi pezzi artigiani vollero Don Bosco per confessore, che dopo predica dovette confessare fino alle 11 e alla mattina dalle sei fino alle nove, sempre soli artigiani. Oh cotesto fervore potesse continuare!

                Non possiamo ancora avere le litografie dei quadro, per cui dobbiamo sospendere il libro delle preghiere che finalmente fu battezzato col nome di Cattolico Provveduto.

Sac. FRANCESIA.

 

                Lo stesso aveva mandato congratulazioni al Conte Vimercati per una visita fattagli dal S. Padre nel suo palazzo presso S. Pietro in Vincoli, e il nobile signore gli rispondeva:

 

Roma, 11 aprile 1868.

 

                               Molto Reverendo e mio carissimo in G. C.,

 

                Replico due versi alla preziosa sua che ho gradito tanto. Certo che la visita del Santo Padre fu per me di una somma consolazione. Dio sia benedetto e ringraziato! Pare che presto mi voglia chiamare in Vaticano. Qui da me si fermò più di tre quarti d'ora. Ammise al bacio del piede tutta la famiglia religiosa e la mia gente di casa. Del resto la mia salute non vantaggia punto; anzi continuando a soffrire dei disturbi nervosi resto sempre più abbattuto di forze fisiche ed anche di spirito. Dio sia benedetto! Veggo chiaro che la morte non può che essere vicina. Sia fatta la santissima volontà di Dio! Dunque la di lei carità e quella dell'ossequiatissimo Don Bosco e delli giovinetti tutti, sempre meglio s'infiammi a prò della povera ima mia. Spero assai nelle preghiere di Don Bosco.

                Mi scriva e mi conforti chè ne ho gran bisogno.

                Tutto suo in G. C.

Dev.mo aff.mo Servitore vero

GIO. VIMERCATI.

 

                PS. - Tutta la mia gente di casa le bacia la mano e le si raccomanda.

 

                Anche Don Bosco continuava la sua corrispondenza con Roma. Urgevano gli ultimi preparativi per la gran festa, ed era desiderata la presenza del Cavaliere nell'Oratorio; e il Venerabile tornava a ricordarglielo assai delicatamente, in mezzo a nuove commissioni da fare in Roma ed altre per Firenze. [126]

 

                               Carissimo sig. Cavaliere,

 

                I suoi augurii tornarono a tutti gratissimi e li ricambiamo con tutto l'affettò del cuore. In questi giorni non abbiamo mancato di fare anche una preghiera speciale per lei, affinchè Dio le conservi la sanità ed una ferrea volontà di farsi santo.

                Cominciamo dalle indulgenze. Se è possibile che siano segnate dal Santo Padre si faccia quanto si può, perchè egli le conceda in perpetuo, mentre gli uffizi per ordinario le concedono ad tempus. Quelle indulgenze sono tutte del grado che suole firmare il Santo Padre. Ora si avrebbe un motivo, chè gli uffizi sono chiusi.

                Da più giorni celebro la santa Messa per la Duchessa di Sora e per la signora Contessa Calderari: spero che Dio ascolterà le nostre preghiere e finora Maria Ausiliatrice non ci mandò mai via colle mani vuote. Le saluti ambedue e le esorti ad avere fede.

                Legga le due lettere ivi unite, di poi le sigilli e le faccia pervenire a destinazione.

                Venendo da Roma veda se può stare almeno un paio di giorni a Firenze per passare dall'Arcivescovo, dalla Digny, dalla Marchesa Nerli, dalla Uguccioni, dal P. Bianchi, ecc., che lo attendono. Io vado di qui disponendo le cose: forse le faranno qualche oblazione. Per sua norma la Digny ha già raccolti ed inviati oltre due mila franchi per una cappella a S. Anna. La Marchesa Nerli Michelangnolo, e ne vuole il segreto, mandò fr. sei mila per un altare. Gli Uguccioni hanno più volte inviato somme di fr. 100. Ciò per sua norma. La Marchesa Gerini da molto tempo dà più niente: dice che non può: ha già fatto.

                Ho molti affari che vogliono la sua presenza: spero che Dio la rimanderà in buona salute e potremo lavorare.

                Il caro del pane ci mette nella desolazione. Fra Lanzo, Mirabello, Torino, ogni mese montano a fr. 12.000 di solo pane.

                Abbiamo spese enormi per la chiesa; ma qui la Madonna continua a concedere colla massima abbondanza grazie agli oblatori e così possiamo continuare.

                Mons. Vitelleschi ha fatta qualche risposta? Farà umili saluti alla Marchesa Villarios e a tutta la famiglia Vitelleschi: dica loro che al giorno di Pasqua i nostri giovanetti faranno la loro comunione con preghiere particolari, per ottenere a questi nostri insigni benefattori sanità e perseveranza nel bene.

                Preghi anche per la povera anima mia e mi creda nel Signore

 

                Torino, 10 aprile 1868,

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco [127]

                Di quei giorni Don Rua consegnava alla cronaca vari fatti, che mostravano come la Madonna cooperasse al compimento della sua chiesa.

                “Intorno alle feste di Pasqua trovavasi il cav. Bertagna, da Castelnuovo d'Asti, ridotto agli estremi. Già da buon pezzo andava declinando, da parecchie settimane giaceva immobile in letto ed era dichiarato spedito dai medici che ne avevano cura. Inutili vedendo i mezzi umani si volse ai soprannaturali. Mandò elemosina di alcune messe da celebrarsi ad onore di Maria Ausiliatrice e si raccomandò alle preghiere di Don Bosco e de' suoi figli, promettendo qualche offerta se otteneva guarigione. Cominciò tosto a migliorare così sensibilmente che tutti ne rimasero maravigliati. Riconoscente mandò stoffe preziosissime per farne ornamento alla nuova chiesa. Ora continua a star meglio di giorno in giorno; e vedremo se abbiasi a temere dei pronostici dei medici, i quali non potendosi persuadere che ancora potesse guarire, dicono che tale miglioramento è solo una piccola rappezzatura, ma che se non è una settimana sarà l'altra, se non è un mese sarà l'altro, ma che deve in breve soccombere.

                Circa lo stesso tempo vidi comparire nell'Oratorio una grossa scatola contenente parecchi bellissimi fiori per la chiesa; m'informai della provenienza e seppi che erano regalati da una persona la quale da parecchi anni aveva una lite, né mai poteva venire ad un risultato, malgrado le gravi spese a cui doveva soccombere. Raccomandatasi a Maria Ausiliatrice e alle preghiere di Don Bosco, tenne in pochi giorni il desiderato intento e fece la sua offerta, per la favorevole conclusione della lite.

                30 aprile. - Io ricevetti lettera da persona di nobilissima dignità e famiglia con cui mi prega a raccomandare a Don Bosco di fare qualche speciale orazione a fine di ottenere la guarigione di una sua bambina inferma, intorno a cui i medici non sanno che farsi. La persona che scrive è tanto fiduciosa nelle preghiere di Don Bosco, da dire espressamente che essa ritiene per certo e per esperienza che qualunque cosa Don Bosco domandi alla Vergine Maria, la ottiene senz'altro”.

 

 

CAPO XII. Don Bosco vagheggia il disegno di un liceo per gli studenti di Filosofia - Progetto di questo nuovo Istituto, accettato da una benefattrice, pronta a far donazione di una sua casa in Torino - Lettera di Don Bosco alla Contessa Callori: presto le manderà copia del Cattolico Provveduto: si stampa la vita di S. Paola: la ringrazia di una sua offerta: modificazione del progetto del liceo: pensa ad un edifizio presso l'Oratorio: la sua più grande consolazione è la benevolenza del Vescovo di Casale: domenica in Albis gli alunni faranno la Comunione per lei - Il Card. Gonella ringrazia Don Bosco degli indirizzi di congratulazione ricevuti - Don Bosco va a Lanzo: notti agitate - Sogno: giovani che saltano un torrente con varia fortuna e le belve in un prato fra gli alunni - Preparativi in Torino pel matrimonio del Principe Umberto - Don Francesia dà notizia di questo al Cavaliere: i lavori della chiesa progrediscono - Le nozze del principe ereditario: l'esposizione della S. Sindone: feste cittadine - Il segreto di confessione - Una dama di Corte della Regina di Portogallo visita D. Bosco, il quale le dona un'immagine: anche la Regina desidera un simile dono - Un biglietto della dama suddetta a Don Bosco, per raccomandare un signora portoghese inferma - Parlata di Don Bosco alla sera: modo di celebrare il mese di maggio: i giovani si raccontino a vicenda fatti edificanti o le meraviglie della Madona: le comunioni e i fioretti - Sua lettera alla Contessa Callori: le manda il Cattolico Provveduto e due immaginette:  [129] ogni giorno del mese quattro giovanetti faranno la comunione per lei.

 

                IL 10 gennaio Don Bosco aveva scritto alla Contessa Callori. “Il pensiero di un liceo, di cui sentesi gravemente la necessità, per quest'anno dobbiamo sospenderlo”. Tuttavia questo progetto, lungamente vagheggiato gli stava a cuore e perciò non cessava di studiare il modo di attuarlo.

                Due insigni benefattrici lo assicuravano del loro appoggio. La Contessa Callori era pronta a dare sussidio; e la signora Angela Chirio a donare un edifizio. Uno schema di convenzione era già da più mesi stato scritto da Don Bosco e approvato dalla donatrice.

 

 

PROGETTO ISTITUTO CHIRIO.

 

                La signora Angela Chirio, nata Giaume, nel desiderio di fondare un'opera stabile che possa tornare della maggior gloria di Dio ed a vantaggio delle anime e che nel tempo stesso tomi di utilità all'anima sua e di suffragio all'anima del compianto suo marito, di sua spontanea volontà e secondo il movimento del suo cuore si è deliberata di fare donazione di una sua casa, posta lungo il viale della Regina del valore di fr. 5.000 di reddito annuo, come segue:

                1° La donazione di questa casa senz'altra condizione, se non coll'obbligo che il novello Istituto si chiami Istituto Chirio, per così ricordare il nome della famiglia del marito suo di sempre cara memoria. Non pone altra condizione per evitare le difficoltà e complicazioni che potrebbero insorgere davanti alle leggi civili e specialmente all'Autorità Ecclesiastica.

                2° Affinchè gli allievi possano avere il sito indispensabile per un cortile in cui fare ricreazione e un po' di ginnastica, la prelodata signora Chirio darà una parte del giardino dietro stante alla casa, ma in quella misura e in quel tempo che sarà beneviso alla signora donatrice.

                3° Il donatario si assume tutte le spese che potranno occorrere per alzare, ampliare e riattare i locali, provvedere le suppellettili; pagherà le tasse di ogni qualità e farà tutte le spese necessarie alla manutenzione, uso e conservazione dell'edifizio.

                4° Saranno pure a totale carico del donatario le spese di vitto, vestito Ad altro che sia necessario pel buon andamento dell'Istituto,  [130] pei banchi di scuola, pel salario delle persone di servizio, tanto nell'impianto presente, quanto in avvenire.

                5° Il donatario provvederà e pagherà il Direttore, l'economo, i maestri, gli assistenti e tutto il personale che occorrono pel buon organamento e progresso di un Istituto scientifico, quale deve essere questo.

                6° Tutte le incombenze da compiersi per la legalità degli insegnanti, relazioni colle autorità scolastiche civili e religiose e spese annesse, saranno a totale carico del donatario acquirente.

                7° Sebbene la pia donatrice non intenda di porre alcuna condizione, tuttavia pel desiderio che l'Istituto conseguisca il suo scopo, qualora sua vita durante il locale cangiasse scopo e non fosse più destinato a beneficio della gioventù, intende che ritorni in piena ed assoluta proprietà della donatrice. Nel qual caso però, non volendo alcuna cosa che riesca a peso altrui, renderà indenne il donatario di tutte le spese che a questo scopo avrebbe fatto.

                8° La medesima signora donatrice non intende di obbligarsi ad alcuna spesa che possa occorrere per la conservazione dei locali e sostentazione del convitto; tuttavia nel fare le sue opere di carità procurerà anche di estenderle al nuovo Istituto che considererà sempre come opera sua propria.

                9° Intende pure che gli allievi in perpetuo recitino mattino e sera un Pater, Ave e Gloria secondo la sua intenzione e facciano un modesto funerale, tanto nel giorno del decesso del suo marito, quanto nel giorno in cui, al più tardi che a Dio piacerà, la stessa donatrice venisse chiamata alla vita eterna per godere il frutto della sua carità.

 

                Dall'esimia signora erano state aggiunte le seguenti condizioni in foglio a parte.

                1° La novella fondazione si chiamerà Istituto Chirio, per così ricordare la sempre cara memoria del marito defunto e sarà posta sotto la speciale protezione di S. Benedetto e di S. Michele Arcangelo.

                2° La signora Chirio Angela intende di acquistare il diritto di nominare a suo piacimento quattro giovanetti a pensione gratuita, o nel novello Istituto, oppure nell'Oratorio di S. Francesco di Sales. Questi giovanetti devono avere l'età e quel grado d'istruzione prescritta per essere accolti come artigiani o come studenti e potranno dimorare nell'Ospizio fino a compimento del corso ginnasiale, se studenti; o finchè abbiano appreso un mestiere, se artigiani.

                3° Il diritto di nomina sarà della stessa signora Chirio esercitato sua vita naturale durante; dopo di lei la nomina passerà al Sac. Giovanni Bosco e a' suoi credi. La nomina dovrà essere fatta a preferenza fra i parenti di lei; e qualora non ve ne fosse alcuno, sarebbero [131] scelti tra i più bisognosi di Torre Pellice, perciocchè ella intende di fare un benefizio alla sua patria, cui ha sempre portato grande affezione.

                4° Il Sac. Bosco però sarà il vero ed assoluto padrone dell'Istituto e non sarà mai tenuto a dare conti ad alcuno intorno alla sua amministrazione e alla scelta degli accettandi e in altro che a quello scopo sia relativo.

                Erano sorte intanto gravi difficoltà che avrebbero cagionato lunghi indugi a danni al progetto; e Don Bosco il 12 aprile, scrivendo con filiale confidenza alla Contessa Callori, tra l'altro le manifestava in proposito un suo nuovo disegno, formato coll'assenso della signora Chirio.

 

                                Benemerita signora Contessa,

 

                Oggi è Pasqua e rimanendomi un momento di tempo dopo le sacre funzioni lo impiego ad aggiustare un poco i miei conti con V. S. B. Vedo che non posso raggiungere il pareggio, ma almeno supplicherò per un benigno condono, ovvero una sanatoria, che Ella certamente in questi giorni non mi vorrà rifiutare.

                1° Perdono della risposta di cui sono debitore e che ho trascurato anche in cose di rilievo.

                2° Perdono del ritardo del libro, che finalmente è compiuto e si sta legando e ne avrà copia quanto prima. Quando ne veda il volume, dirà che ci voleva proprio tempo e pazienza.

                3° Santa Paola si stampa con alacrità e di mano in mano che la pia letterata ci manda l'originale si fa subito consegnare ai compositori .

                4° Don Cagliero portò da parte sua fr. 1.000 quale tratto della solita sua carità. A questo riguardo è bene che abbia la bontà di dirmi se debba notare questa somma fra quelle che promise, o dirò meglio, fecemi sperare per gli angeli da mettersi sui campanili, di cui uno è già terminato, l'altro in costruzione; oppure sull'altro scopo del Liceo.

                5° A Proposito del liceo mi trovo nel caso di fare una modificazione. Una signora darebbe vicino alla Gran Madre di Dio un locale, ma è pigionato per più anni e bisognerebbe dare una forte indennità ai pigionanti; il che unito alla spesa dell'impianto porterebbe ad un vero sbilancio.

                Io avrei preso un temperamento: fare adattare una parte di edifizio qui vicino e destinarlo a ciò. Si avrebbe diminuzione di spesa, il personale sarebbe in un momento là e qui, ed ogni cosa si compierebbe sotto gli occhi miei. Questo anno ho già fatto una prova ed ho già preso 25 filosofi che studiano e mi danno molta soddisfazione nella [132] moralità. Le cose modificate in questo senso non fanno cangiare lo scopo della sua beneficenza e la volontà di farla?

                6° Ella mi dica quel che vuole, quale madre accorta ad un figlio sbadato; io prenderò tutto in buona parte, anzi intendo che Ella faccia quello che può, quello che vuole, con facoltà di venire a sospendere quando inaspettate ragioni tale cosa persuadessero. In quanto alla mora dei pagamenti ogni cosa si lascierebbe come ha scritto; cioè a maggio, luglio, novembre ed anche con altre variazioni che le tornassero di qualche comodità.

                7° Il Vescovo di Casale è tutto benevolo per le nostre case e ci fa tutto il bene che può; è questa la più grande consolazione che in questi momenti io possa avere.

                8° Per darle una tenue prova della nostra gratitudine, domenica in Albis celebrerò la santa Messa ed i nostri giovanetti faranno la loro Comunione con preghiere particolari seconda la pia di Lei intenzione.

                Dio la benedica, Benemerita signora Contessa, e con Lei benedica tutta la sua famiglia e tra le altre cose le conceda anche la grazia e la pazienza di leggere questa letteraccia, mentre mi raccomando alla carità delle sue preghiere e mi professo con gratitudine profonda

                Di V. S. B.,

 

                Torino, 12 aprile 1868,

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

                Il giorno 13, lunedì dopo Pasqua, Don Bosco andava a Lanzo, ove eragli recapitata una preziosa risposta.

 

                               Rev. sig. Don Bosco,

 

                Le cortesi congratulazioni che la S. V. mi porgeva a suo nome e dei molti sacerdoti e chierici dell'Oratorio di Valdocco, di S. Luigi, di Lanzo e di Mirabello, mi riuscirono graditissime e son lieto di porgerne a Lei e a tutti per suo mezzo i miei più sinceri ringraziamenti. I quali in particolar modo prego V. S. di porgere ai chierici del piccolo Seminario di Mirabello, donde eziandio mi giunse l'ultimo del p. p. mese un affettuosissimo indirizzo. Mi raccomando alle preghiere di tutti per poter meglio corrispondere ai miei nuovi doveri, e spero che in ciò fare la cortese carità loro non vorrà mancarmi.

                Rinnovando pertanto i miei ringraziamenti, coi sensi della stima più distinta e di vero affetto, mi onoro di rassegnarmi

                Di Lei, Rev.mo Signore,

 

                Roma, 13 aprile 1868,

Dev.mo Obbl.mo Servitore

EUSTACHIO Card. GONELLA. [133]

                Don Bosco era a Lanzo per riposarsi. Essendo assai sofferente di sanità, non poté intrattenersi coi giovani. Alla notte non poteva quietare per un succedersi continuo di sogni che da circa dieci giorni lo conturbavano. Andava a riposo alle 11 di sera colla speranza di dormire profondamente per la veglia prolungata, e non essere tormentato; ma a nulla serviva tale precauzione. Uno di questi sogni riguardava il Collegio di Lanzo e lo raccontò a quel Direttore il mattino della sua partenza, giorno 17, incaricandolo di esporlo alla comunità. Il direttore lo accompagnò a Torino, dovendo andare a predicare gli esercizi Spirituali a Mirabello, e di là mandò ai suoi alunni relazione di quanto Don Bosco gli aveva detto:

 

18 aprile 1868.

 

                                Miei cari figliuoli del Collegio di Lanzo,

 

                Nella fretta di partire non potei salutarvi come avrei desiderato, ma ora giunto in Torino vi scrivo ciò che avrei voluto dirvi. Ascoltatemi adunque e state attenti perchè è il Signore che vi parla per bocca di Don Bosco.

                L'ultima notte che Don Bosco fu a Lanzo dormì un sonno molto agitato. Voi sapete che la mia camera è vicina alla sua; ora due volte io mi svegliai di soprassalto senza saperne il motivo: mi sembrava di aver udito un urlo prolungato che faceva spavento. Mi alzai seduto sul letto, tesi l'orecchio e quel rumore veniva precisamente dalla camera di Don Bosco. Al mattino pensai su ciò che avea udito e mi determinai a farne parola a Don Bosco: - È vero, mi rispose, perchè stanotte ho fatto sogni che veramente mi attristarono. Mi sembrava di essere alle sponde di un torrente non largo, ma dalle acque spumanti e torbide. Tutti i giovani del Collegio di Lanzo mi circondavano e tentavano passare sul lido opposto. Molti prendevano la rincorsa, saltavano e riuscivano a pie' pari all'asciutto dall'altra parte. Che bravi ginnastici neh! Ma altri la sbagliavano; chi batteva dei piedi proprio sull'orlo della ripa e ricadendo indietro era strascinato via dall'acqua; chi facea un tonfo in mezzo alla corrente e spariva; chi percuotendo dello stomaco o della testa sui sassi sporgenti in mezzo alle onde, si spaccava la testa, ovvero il sangue gli usciva di bocca. Don Bosco osservava per lungo tempo questa scena dolorosa, gridava, avvisava che prendessero lo slancio con prudenza, ma inutilmente. Il torrente era sparso di corpi che precipitando di cateratta in cateratta andavano a sfracellarsi contro una rupe che si alzava allo svolto del [134] fiume, dove l'acqua era più profonda e là sparivano in un vortice.

                Abyssus abyssum invocat.

                Quanti poveri miei figliuoli, che adesso stanno ascoltando la lettura di questa mia lettera, sono nell'acqua in pericolo di perdersi per sempre! Ma perchè giovanetti così vispi, così allegri, così valorosi in saltare, riuscivano così male in questa prova?

                Perchè mentre saltavano avean dietro qualche sciagurato compagno, il quale faceva loro il gambetto, o li tirava indietro pel cappotto, o con un urtone li cacciava capovolti avanti, così che rotto lo slancio fallivano il salto.

                E questi poveri infelici (che sono pochi però) che fanno le parti del diavolo, che cercano rovinare i loro compagni, ascoltano anche essi in questo momento la lettura della mia lettera. A costoro io dirò colle parole stesse di Don Bosco: Perchè coi vostri discorsi cattivi volete accendere nel cuore dei compagni la fiamma di quelle passioni che poi dovranno consumarli in eterno? Perchè insegnate il male a certuni che forse sono ancora innocenti? Perchè colle vostre burle e con certi vostri patti vi ritirate dai Sacramenti e non volete ascoltare le parole di chi vi può mettere sulla strada del Paradiso? L'unica cosa che guadagnerete sarà la maledizione di Dio. Ricordatevi le minacce fulminate da Gesù Cristo e che io tante volte vi ho ripetute! Miei cari figliuoli! Sentite. Anche voi, causa del male agli altri, siete i miei cari! Anzi avete nel mio cuore un posto distinto, perchè più di tutti ne avete di bisogno. Lasciate il peccato, salvate l'anima vostra. Se io dovessi immaginarmi che un solo di voi andrà perduto, non avrei più un momento di pace in tutto il tempo di mia vita! Perchè la salute vostra è il solo pensiero della mia mente, è il solo affetto del mio cuore, è il solo affanno dei miei giorni! Farvi buoni Cristiani! Aiutarvi a guadagnare il paradiso! Mi ascolterete, non è vero?

                Non fa bisogno che io vi spieghi il sogno: l'avete già capito. La riva sulla quale si trova Don Bosco è la vita presente. La riva opposta l'eternità, il paradiso. L'acqua del torrente che stravolge e strascina i giovani è il peccato che conduce all'inferno.

                Don Bosco adunque a tale spettacolo, vinto dall'angoscia, fece degli sforzi, gridò, si svegliò e pensò tra sé: - Oh se potessi avvisare certuni, che riconobbi, come lo farei volentieri, ma domani mi tocca partire!

                Così dicendo si riaddormentò e gli parve trovarsi in un gran prato ove eravate tutti voi: giuocavate, saltavate; ma, cosa spaventevole a vedersi! Nello stesso prato passeggiavano e correvano bestie feroci di tutte le specie. Leoni cogli occhi di fuoco, tigri che tiravano fuori gli unghioni e raspavano la terra, lupi che quatti quatti si aggiravano fra i diversi crocchi di giovani, orsi che con ghigno ributtante seduti sulle zampe di dietro aprivano le zampe anteriori per abbracciarvi.

                In qual brutta compagnia voi eravate! Ma di più! Qual brutto governo queste belve faceano di voi!  [135] Queste belve si slanciavano sopra di voi furiosamente. Alcuni di voi eravate stesi per terra e vi stavan sopra que' mostri, e colle unghie e coi morsi vi dilaniavano, stracciavano ed uccidevano. Altri fuggivano disperatamente inseguiti da esse e si ritiravano intorno a Don Bosco domandando aiuto! Alla presenza di Don Bosco le belve indietreggiavano. Altri però procuravano di difendersi da queste da soli, ma non vi riuscivano, perchè era troppa la forza di quelli animali; e così restavano sbranati. Ed altri, guardate che insensati! invece di fuggire si fermavano ad aspettare quei mostri e loro sorridevano, facevano moine e sembrava avessero gusto di essere strangolati dagli orsi. Il povero Don Bosco correva qua e là, si sforzava di chiamare intorno a sé gli uni e gli altri, gridava. Ma aveva un bel gridare, perchè mentre molti lo obbedivano, alcuni non lo ascoltavano. Il prato era sparso di cadaveri dei poveri giovanetti uccisi e dei corpi dei feriti. I loro gemiti, i ruggiti, gli urli degli animali feroci, le grida di Don Bosco si mescolavano stranamente. Ed in mezzo a queste violente commozioni Don Bosco si svegliò per la seconda volta.

                Ecco il sogno e voi sapete che razza di sogni sono quei di Don Bosco. Voi potete immaginarvi il mio crepacuore nell'udir questo racconto. Se prima mi pesava immensamente dividermi da voi, dopo udito questo sogno, sarei tornato indietro sull'istante, se il dovere dell'obbedienza non mi avesse trattenuto. Bisognerebbe che vi volessi meno bene ed allora sarei più tranquillo!

                Chi sono questi leoni, tigri, orsi? Sono il demonio colle sue tentazioni. Alcuni le vincono perchè ricorrono alla guida, altri ne sono le povere vittime, acconsentono alle suggestioni; altri amano il peccato, il demonio e si mettono da per se stessi nelle sue unghie! Figliuoli! Vi farete coraggio? Vi ricorderete sempre che avete un'anima da salvare?

                Don Bosco di più mi soggiunge: - Io li ho veduti tutti questi giovani: ho conosciuti certi volponi! Ma il mio segreto lo tengo per me e non lo dirò ad alcuno. La prima volta che potrò ritornare a Lanzo dirò a ciascuno la parte sua. Questa volta il mal di denti mi ha impedito di parlare con tutti; un'altra volta che io venga avviserò chi deve essere avvisato.

                Quindi, o miei cari figliuoli, io so nulla, perchè Don Bosco nulla mi ha detto. Ma se ora so nulla, verrà un giorno nel quale saprò tutto. Sarà il giorno del giudizio. Sarà doloroso per me dopo aver lavorato tanto, dopo aver consumato la mia gioventù per voi, dopo avervi amati con tutto il mio cuore, dover forse essere divisi da qualcuno di voi per tutta l'eternità! Se non incominciate adesso ad amare il Signore, da vecchi non lo amerete: Adolescens iuxta viam suam, etiam cum senuerit, non recedet ab ea.

                Figliuoli, figliuoletti miei, non disprezzate le mie parole, che sono del caro Don Bosco. I pochi giorni della vostra vita spendeteli nel [136] guadagnarvi il Paradiso. Pregate perchè i miei esercizii vadano bene, perchè le prediche possano far frutto.

Vostro aff.mo in G. G.

Sac. LEMOYNE G. B.

 

                Don Bosco ritornava nell'Oratorio, mentre in Torino Governo e Municipio erano intenti a preparare le feste per le nozze di S. A. R. il Principe Umberto, primogenito di S. M. il Re Vittorio Emanuele II, con S. A. R. la principessa Margherita, figliuola del defunto Duca di Genova, fratello dello stesso Re. Per assistere al matrimonio giunsero il 20 aprile da Berlino il Principe ereditario di Prussia e da Parigi il Principe Napoleone, che era stato preceduto dalla sua consorte, la principessa Clotilde, e dalla regina di Portogallo, Maria Pia, ambedue sorelle dello sposo.

                Don Francesia dava notizie al Cavaliere di questi preparativi e di ciò che accadeva nell'Oratorio.

 

Torino, 18 aprile 1868.

 

                               Carissimo sig. Cavaliere,

 

                Don Bosco fu assai male in salute nei giorni scorsi e andò a Lanzo per ristorarsi. Lo stato generale di casa non è cattivo, anzi piuttosto buono; alcuni male d'occhi ci hic finis. Ieri arrivò Sua Maestà Maria Pia dal Portogallo, ricevuta assai freddamente dalla popolazione...

                Il lavoro pel fascicolo di Maria Ausiliatrice è ormai tutto composto, sebbene ancor nulla sia stampato. A quante vicende non va soggetto! revisori ecclesiastici lenti e lentissimi, sebbene il lavoro sia già stato tutto riveduto da Mons. Galletti.

                Nella chiesa i lavori vanno sempre bene. Il pavimento del presbitero è riuscito bellissimo ed è già terminato. I due altari laterali si collocano di questa settimana, come pure entro il mese si potranno mettere a posto alcuni confessionali... Non ho più visto il Marchese Villarios che forse sarà partito .....

Sac. FRANCESIA.

 

                Il 19 aprile cominciarono i festeggiamenti principeschi con una serata di beneficenza tenuta in un teatro. Il 21 si sottoscrisse [137] il contratto nuziale, al quale assistettero i principi stranieri, il Corpo diplomatico e i gran dignitari dello Stato e della Corte. Il 22 fu celebrato prima il matrimonio civile nella gran sala regia; e poi il matrimonio religioso nella Metropolitana, dall'Arcivescovo di Torino, assistito da quello di Milano e dai Vescovi di Udine, Mantova e Savona. L'Arcivescovo aveva ottenuta, non senza difficoltà, che si mostrasse ai popoli la SS. Sindone con l'antica pompa, invitandovi i Vescovi subalpini, e che si desse campo ai fedeli di accorrere a venerarla, lasciandola per tre giorni esposta nella Metropolitana. Anche i giovani dell'Oratorio vi furono condotti.

                Nello stesso tempo attraevano i cittadini corse di cavalli, concerti musicali davanti al palazzo reale, tornei, tombole popolari, splendide luminarie e sfolgoranti fuochi artificiali in piazza d'armi. Le novelle di questi spettacoli si ripetevano nell'Oratorio e diedero occasione a D. Bosco di dar nuova prova della sua esemplare prudenza. Un distinto ecclesiastico, allora alunno dell'Oratorio, così testificò con giuramento:

                “Nell'anno 1868 all'epoca del matrimonio del principe ereditario Umberto di Savoia, io con due altri miei compagni, eludendo la vigilanza dei superiori siamo usciti dall'Oratorio a tarda sera per vedere l'illuminazione della città. Uno de' miei compagni dormiva sopra la sagrestia dell'antica chiesa, e questa aveva una finestra che metteva in un retro cortile. Passando per l'inferriata guasta di questa finestra potemmo calarci di là e prendere il largo. Nel seguente sabato io che mi confessava a Don Bosco, esposi con ingenuità il mio fallo in tutte le sue circostanze. Egli si limitò a una buona sgridatina, facendomi conoscere il male che avevo commesso con quella grave disobbedienza, aggiungendo in fine: - Guarda un po' in che pericolo ti sei messo! ... Se i superiori venissero a saperlo, saresti mandato via.

                Ma egli non si serviva mai per nulla di ciò che in confessione aveva da me saputo a questo riguardo. Il mio compagno continuò a dormire nel medesimo luogo: l'inferriata della [138] finestra rimase sempre quale era, ed io non ebbi altri rimproveri. Il fallo però non si ripeté mai più! Era tale la persuasione che i giovani avevano della sua prudenza e della sua delicatezza per tutto ciò che riguardava la confessione, che con piena confidenza essi confessavano i segreti delle loro mancanze di preferenza a lui, che ad altri”.

                Le feste ufficiali non erano ancor terminate, quando si presentò a Don Bosco Donna Eugenia Telles de Gama, Dama di Corte di S. M. la Regina di Portogallo, desiderosa di far la sua conoscenza con un sacerdote, del quale aveva udito parlar molto nel suo paese. S'intrattenne lungo tempo con lui e ritornata al palazzo reale fece vedere alla sua Regina un'immagine della Madonna, ricevuta in dono dal Servo di Dio e le parlò di lui con entusiasmo come si parla di un santo. Maria Pia guardò quell'immagine con molto rispetto e poi esclamò: - Siete fortunata! Oh se avessi coraggio di superare le leggi di Corte, vorrei io pure andare da D. Bosco e chiedergli una immagine.

                Prima di lasciar Torino quella Dama mandò a Don Bosco un suo biglietto di visita sul quale aveva scritto in lingua francese: “Io non ho tempo di scrivervi con tranquillità, ma la vostra bontà è così grande, che io mi prendo la licenza di indirizzarvi questo biglietto e domandarvi un grande favore. Io sono certa che quella Dama inferma della quale vi ho parlato, sarà felicissima se voi le donaste un'immagine con qualche scritta, come avete fatto per me. Il suo indirizzo é: A madama la Contessa de Murça, via Formosa, 139, Lisbona, Portogallo. - Però se preferite indirizzarla a me al Palazzo Reale a Torino bisognerà allora che io la riceva prima di venerdì, perchè io credo che partiremo il 26 alle quattro e mezzo del mattino. Mille ringraziamenti per tutto”.

                Finite le feste clamorose in città, Don Bosco disponeva gli animi de' suoi allievi alle grandi feste religiose che preparava per Maria Ausiliatrice.

                Il 29 aprile, alla sera, sotto i portici diceva:  [139]

                “Domani a sera incomincia il mese di maggio consecrato a Maria. In questo mese ciascheduno guardi di raccontare ai suoi compagni un esempio; se sarà sulla Madonna è meglio, se non si ha in pronto sulla Madonna, se ne racconti un altro che sia di stimolo al bene; se non se ne ha pronto nessuno, si domandi ad un compagno che ce lo narri lui, e se il compagno dicesse non aver esempi alla memoria, allora gli si domandi: - Qual fioretto fu dato per quest'oggi? L'hai già fatto?

                E ciascuno frequenti la comunione sacramentale, se può; se non può, la faccia almeno spirituale, perchè il Signore la gradisce anche molto. Ma desidererei che chi va al mattino alla S. Comunione, non si faccia vedere dissipato lungo il giorno. Come vedete, non vi domando cose difficili. Ciascheduno faccia tutto quel che può per essere diligente in tutti i suoi doveri di studio e di pietà. E faccia eziandio quei fioretti che ogni sera si proporranno”.

                Nello stesso tempo mandava alla Contessa Callori, una delle prime copie del Cattolico Provveduto.

 

                               Benemerita signora Contessa,

 

                Ecco il libro; compatisca il ritardo. Avvi pure la lettera con una immaginetta pel Bimbo; la spieghi, se non capisce. L'altra immaginetta è per la damigella Gloria, cui farà tanti saluti.

                Faccia coraggio, signora Contessa, per tutto il Mese Mariano farò un memento speciale per Lei nella santa Messa e quattro giovanetti faranno alternativamente quattro Comunioni ogni mattina.

                Fede e speriamo molto.

                Dio benedica Lei, il sig. di Lei marito e tutta la sua famiglia; preghi per me che le sono nel Signore

 

                Torino, 30 aprile 1868,

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

 

CAPO XIII. Don Bosco continua a chiedere commendatizie ai Vescovi Per la Pia Società - Scrive due volte al Vescovo d'Ivrea, ma non ottiene risposta - Riceve le commendatizie dei Vescovi di Parma, Novara, Reggio Emilia, Mondovì e Alessandria; dell'Arcivescovo di Lucca, con una lettera di ringraziamento, per le notizie che Don Bosco gli aveva dato di tre giovani Lucchesi suoi alunni; del Card. Arcivescovo di Fermo e del Vicario Capitolare di Susa; del Vescovo di Guastalla e del Vescovo d'Albenga - Don Bosco la estrarre copia del decreto di Mons. Fransoni, che lo aveva costituito direttore spirituale dei tre Oratorii festivi in Torino.

 

                DON Bosco aveva nel mese di aprile continuato a sollecitare le commendatizie vescovili per l'approvazione della Pia Società. Aveva scritto in proposito anche a Mons. Moreno, Vescovo d'Ivrea, per attestargli la sua stima e il suo rispetto, e per tentare di rappacificarlo coll'Oratorio.

 

                               Eccellenza Reverendissima,

 

                Prego V. E. Rev.ma a dimenticare per un momento alcuni dispiaceri passati, cagionati da motivi materiali, e di osservare se giudica bene per la maggior gloria di Dio di secondare la mia dimanda.

                L'affare di cui si tratta è quello stesso di cui ho un tempo parlato con V. E. e le mando copia delle cose principali affinchè veda l'oggetto per cui le scrivo. La Società di S. Francesco di Sales è già stata collaudata dalla Santa Sede, ed ora mi sarebbe di sommo giovamento una commendatizia dei Vescovi della nostra Provincia Ecclesiastica in cui ciascuno scrivesse quello che giudica meglio di commendare,  [141] affinchè sia ottenuta la definitiva approvazione. Io pertanto fo' rispettosa, ma calda preghiera all'E. V. affinché, come favore speciale, voglia unire anche la sua commendatizia da mandarsi alla Congregazione dei Vescovi e Regolari.

                Se mai per qualunque suo prudenziale motivo, che sempre rispetterò, non giudicasse di accondiscendere a questa mia dimanda, la pregherei solamente ad usarmi la cortesia di farmi scrivere a sua comodità una parola per mia norma.

                Come ho sempre fatto in passato non mancherò di fare per l'avvenire, di pregare cioè il Signore Iddio che la conservi ad multos annos in sanità e in vita felice, mentre colla più profonda gratitudine ho l’onore di professarmi,

                Di V. E. Rev.ma,

 

                Torino, 15 aprile 1868,

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI BOSCO.

 

                Dopo più di un mese non vedendo alcuna risposta il Venerabile rinnovò al Vescovo d'Ivrea le sue istanze.

 

                               Eccellenza Reverendissima,

 

                Qualche tempo fa indirizzava a V. E. Rev.ma un piego in cui fra le altre cose contenevasi una dimanda in favore di una società religiosa sotto il titolo di S. Francesco di Sales. Ora dovendo dare principio alla pratica delle cose che ne formano l'oggetto, le farei rispettosa preghiera di farmi scrivere una sola parola su tale riguardo, unicamente per mia norma; cioè se debba ancora attendere, oppure se per alcuni suoi ragionevoli motivi intenda non farlo.

                Comunque Ella sia per fare, la prego di voler gradire che le auguri ogni celeste benedizione e credermi colla più grande venerazione, della E. V. Rev.ma,

 

                Torino, 28 maggio 1868,

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Anche questa lettera rimase senza risposta. Quel silenzio doveva essere penoso per Don Bosco; ma gli altri Vescovi continuavano a confortarlo e incoraggiarlo, mandandogli magnifiche commendatizie, che riportiamo in ordine di data.

                Il Vescovo di Parma:  [142]

 

                Fr. FELIX CANTIMORRI, ORDINIS CAPUCCINORUM, SS. D. N. PII PP. IX PRAELATUS DOMESTICUS AC PONTIFICIO SOLIO ASSISTENS, DEI ET APOSTOLICAE SEDIS GRATIA EPISCOPUS PARMAE ET COMES, EIDEMQUE SANCTAE SEDI IMMEDIATE SUBIECTUS, S. A. I. ORD. CONSTANTINIANI S. GEORGII MAGNUS PRIOR.

 

                Sacrosancta Ecelesia, Quam Dominus Noster Iesus Christus sibi acquisivit sanguine suo, est illud mysticum corpus, in quod, omnibus gratiarum ac virtutum thesauris, perenniter influit Divinus ipse Redemptor, constitutus a Patre eiusdem Caput, ut de plenitudine eius omnes accipiant, estque ager uberrimus ad quodlibet pretiosum semen recipiendum maxime aptus, ubi germinant flores et fructus ingenita suavitate Deo et hominibus gratissimi.

                In hoc vastissimo campo, Spiritus Paraclitus, cuius custodiae ac gubernationi illum tradidit Jesus, novos fructus, novosque flores serit, atque educat, iuxta temporum, ut ita dicam, varietates: hoc est iuxta varias humanae Societatis conditiones, quae in diuturno saeculorum ausu, in bonas vel malas vicissim immutantur. Dominus iste Spiritus, variis Ecclesiae saeculis viros suscitavit zelo ac virtutibus praecellentes, qui ad se innumeros pertraxerunt asseclas, et strenua ex iis composita phalange, ita eos consociato foedere sibi devinxerunt, ut semper Ecclesiae in variis necessitatibus laboranti succurrerent, nunc profligando perduelles hereticos, nunc redimendo captivos; modo paternis curis et officiis orphanos sublevando, modo vero iuvenes erudiendo, vel nobiliores conditionis in collegiis, vel tennis fortunae pueros in popularibus scholis instruendo.

                Hoc saeculo sub variis civilis regiminis moderatoribus longe lateque furens impietas, ausa est contra Regulares ordines arcum tendere, ac telo emisso, ipsis infigere aculeum, eorumque iuribus civilibus bene valere iussis, omnibus bonis suis expoliavit ac adminicula eripuit, quibus pia eorum congregatio et venerabilis coetus servaretur. Contra hosce satanicos impetus passim ubique erumpentes, Spiritus Sanctus novos ordines excitavit, qui sanctae vitae regulis optime constitutis, exigunt, ut quilibet suorum membrorum semetipsum propria expoliet bonorum administratione, et ita a se abiiciat temporalium, bonorum sollicitudinem, ut eam totaliter transferat in Superioris personam; simulque ex alio capite cuilibet gregali suo ius proprietatis relinquant in faciem civilis auctoritatis et hoc modo vindicant Instituto bonorum temporalium possessionem, quae ad religiosam Societatem, cui feliciter nomen dederunt, valeat sustentandam.

                Porro inter eiusmodi Instituta praecipue recensetur illud quod noviter fundavit Augustae Taurinorum, sub titulo Societatis S. Francisci Salesii, spectabilis Sacerdos Joannes Bosco. Hoc in Cap. 4. suarum Constitutionum, membra sua propriorum bonorum administratione [143] exuit, eaque privat peculiari usu, sive pecuniae, sive aliarum mobilium rerum, sed ipsis ius proprietatis integrum relinquit, quod provide inservit ad ea bona conservanda in utilitatem et commodum possidentis, et ad ea sarta tectaque tuenda adversus leges civiles.

                Hisce attentis inauditae ac novae virtutis praeclaris exemplis, quum praeterea compertum sit nobis, Sanctam Apostolicam Sedem, ad quam unice spectat religiosorum ordinum approbatio, praefatam Institutionem amplissimis verbis commendasse, Decreto diei 23 Iulii anno 1864, votis plurium. Sacrorum Antistitum vota nostra coniungendo, audemus enixas et humillimas preces porrigere Sanctissimo Domino Nostro Pio IX, ut pro sua benignitate, firmitatem ac stabilitatem huic Societati a S. Francisco Salesio dictae tribuere dignetur, eam solemniter approbando: qua approbatione suffulta, in tam luctuosa antiquorum Ordinum dispersione, possit ipsis succedere ad bonum spirituale in fideli populo promovendum, Parochos adiuvando in salutari eorum ministerio, iuventutem, maxime inopem, ad cultum ingenii et ad studium pietatis recte informando, eamque sibi relictam et in via pereuntem, ad se convocando, eiusque duris necessitatibus etiam temporalibus subsidiis providendo. Quod quidem nobis constat de nonnullis adolescentulis pauperibus huius Nostrae Dioecesis qui in dicto Instituto per summam charitatem providentissime excepti sunt, simulque ad honestam vitae professionem et ad Christianam virtutem alti ac enutriti.

 

                Datum Parmae, die 9 aprilis 1868.

Fr. FELIX Episc.

 

                Il Vescovo di Novara:

 

                JACOBUS PHILIPPUS GENTILE, PATRITIUS GENUENSIS, DEI ET APOSTOLICAE SEDIS GRATIA, EPISCOPUS NOVARIENSIS, SS. D. N. PII IX P. M. PRAELATUS DOMESTICUS ET SOLIO PONTIFICIO ASSISTENS, REGIS NOSTRI AUGUSTISSIMI AB ELEEMOSYNIS, PRINCEPS S. IULII, HORTAE ET VESPOLATI, EQUES MAIORIBUS INSIGNIBUS SS. MAURITII ET LAZARI DECORATUS.

 

                               Beatissime Pater,

 

                In tanta rerum calarnitate, quae ubique locorum disperdit lapides Sanctuarii, Sacra Ephebea clauduntur, omnibus demum datur pessum, quae ad virtutem et ad Religionem faciunt, nihil potius, nihil optatins esse debet, quam, ut illud contingat, quod nonnunquam summa Dei misericordia factitatum vidimus, nempe ut aliquis exurgat, qui veluti naufragii colligat lapides disiectos.

                Iam vero quae mens et quis animus sit Theologi Bosco Taurinensis Tibi, B. P., ad aures sane est perlatum, quinimo probe novisti [144] cum tam humaniter cum es allocutus. Ex hac Dioecesi saepe multi iuvenes sese ad eum contulerunt, et Ipse illis extitit ceu Pater, eosque auxit doctrina et virtute, ceterisque artibus quae dignum efficiunt Sacerdotem, aut Civem, qui quavis rerum et temporum acerbitate a Christiana professione non abhorreat. Quae res iamdudum mihi iniecit desiderium, ut hic, si fieri possit, nova erigatur domus, et hac de re iam cum Theologo egi, ut ex fonte Taurinensi rivulus deducatur, qui propius hic fluat, et plures in hac Dioecesi hauriant haustus. Quod si mihi olim contingerit, praeclare actum putabo. Nunc tamen, quod unum queo, tanto viro adhaereo, eoque flagitante, a Te, Pater Sancte, qui vere es Pastor bonus, enixis precibus deprecor, licet omnibus Viris Ordinis mei Minimus, ut ejus sententia Tui sit compos voti. Deus, cuius manus non deficit, et ignem Charitatis in terras detulit, mentem acuit Theologi Bosco, et eum, in re veluti conclamata, inflammavit, ut juvenum pracat cohorti, qui ad bonos mores et ad Sanctuarium aluntur id temporis quum Viae Sion lugent. Quare humillimas preces Sanctitati Tuae iterum admoveo, ut precanti morem geras. Tuo enim numine Tuaque auctoritate suffultus illud, perficiet, uti reor, quod olim Ecclesiae Sanctae, cuius Tu, Beatissime Pater, clavim geris, utilitati erit et decori pergrandi.

                Ante te provolutus humiliter Sanctissimos deosculor Pedes,

 

                Dabam, die solemni Paschatis, anno 1868,

 

IAC. PHILIPPUS GENTILE

Ep. Novariensis.

 

                Il Vescovo di Reggio Emilia :

 

                CAROLUS MACCHI, DEI ET APOSTOLICAE SEDIS GRATIA, EPISCOPUS REGII ET PRINCEPS, SS. D. N. PAPAE PII IX PRAELATUS DOMESTICUS ET PONTIFICIO SOLIO ASSISTENS.

 

                In nomine Domini Jesu Christi Salvatoris Nostri ad peculiarem Eius gregis partem pascendum quamvis indigne electi, recte intellexiimus, Nostri esse muneris omnia ad omnes fieri, ut omne Christi lucri faceremus. Sed praecipue in tanta temporum iniquitate et pravorum hominum pessima insolentia, Nobis cordi fuit quomodo juventuti providere possemus. Ista enim quum in quadam scandalorum atinosphera se habeat, in maximo aeternae salutis periculo versatur, Nobisque mentem intendentibus ad ea comparanda, quae juventuti prodesse poterint, perjucundum, fuit cognoscere quanta sapientia a Joanne Bosco Taurinensis Dioeceseos Sacerdote inita fuerit quaedam Clericorum et laicorum Societas, cuius officium juvenibus praesertim omnimode auxilium praebere. Per eam vocationes aluntur ad Sacerdotale ministerium, et hoc maxime opportunum nunc temporis,  [145] dum scientiarum ac litterarum disciplinae a plerisque ita traduntur ut iuvenes a tali sublimi vocatione arceantur. Per eam iuvenes bonis imbuti moribus et zelo Catholicae Fidei repleti instituuntur, in iuvamen Societatis nostrae quae maximo infirmitatis et vilitatis morbo laborat; per eam typis editae et evulgatae optimae quaeque et perutiles lucubrationes quae Catholicae Fidei et Christianae virtutis amorem in omnium animos ingerunt. Talem autem Societatem nemo inficiabitur omnem ostendere spem optimi fructus, quum sapienter et diligenter redactae fuerint leges quibus regatur. Tantam porro in illis opportunitatem cognovit omnium fidelium in terris Pastor S. Pontifex Papa Pius IX ut amplissimis verbis Societatem de qua loquimur, laudaverit et commendaverit, sicut constat ex Decreto Sacrae Congregationis Episcoporum et Regularium die 23 Iulii 1864.

                Quum vero optandum sit ut in ipsa Societate unitas servetur Spiritus et disciplinae et maius per ipsam evadat in dies bonum animarum, idcirco precibus praestantissimorum in Episcopatu Confratrum, etiam nostras addere duximus, ut Sanctitas Sua dignetur Constitutionibus Societatis huius adprobationem et sanctionem praebere.

                Utinam possimus et nos deinde talis Societatis a Sancta Sede adprobatae in Nostra Dioecesi uberrimos experiri fructus! et per eam iuvenes praesertim quae Nostram incolunt Regiensem Civitatem, ad illud pietatis et virtutis gradum ducerentur per quod ad coelestia erigerentur.

                Talia a Domino Nostro Iesu Christo, qui parvulis, quos ad se venire cupiebat, benedictionem suam impertitus est, petimus, quam etiam benedictionem ex toto animo super Societatem istam et eius Superiorem Sacerdotem Ioannem Bosco ab Ipso enixis precibus semper orabimus.

 

                Datum Regii in Aemilia, ex Episcopali Nostro Palatio, hac die 14 mensis aprilis 1868, Indict. Rom. XI.

 

CAROLUS, Episcopus.

 

D. CAROLUS LOCATELLI a secretis.

 

                Il Vescovo di Mondovì:

 

                Fr. GIOVANNI TOMMASO GHILARDI, DELL'ORDINE DEI PREDICATORI, PER GRAZIA DI DIO E DELLA SANTA SEDE APOSTOLICA VESCOVO DI MONDOVÌ E CONTE, ABATE COMMENDATARIO PERPETUO DI S. DALMAZZO, PRELATO DOMESTICO DI S. S. ED ASSISTENTE AL SOGLIO PONTIFICIO.

 

                Consapevoli del bene grandissimo che alla Chiesa non meno che alla Società deriva dagli stabilimenti fondati in Torino, sotto il nome di Oratorii, dal venerando Sac. Don Giovanni Bosco, fin dal mese di febbraio del 1864 Ci siam recati a gradita premura di  [146] raccomandare caldamente alla S. Sede, perchè venisse approvata, con quelle varietà che si fossero ravvisate convenienti, la Congregazione di Sacerdoti preposta con apposito regolamento alla direzione degli stabilimenti medesimi. Ed è colla più viva soddisfazione dell'animo nostro che abbiamo saputo avere il S. Padre assecondato in parte i nostri voti e quelli esternatigli allo stesso uopo da altri Vescovi, lodando e commendando, con decreto della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari del 23 luglio del suddetto anno, la prefata Congregazione, e confermandone a vita il Rettore Maggiore nella persona del benemerito Fondatore, e rimandando solamente a tempo più opportuno l'approvarne le Costituzioni.

                Sentendo ora che si sarebbero rassegnate alla S. Sede nuove istanze a questo intendimento, rinnoviamo tanto più volentieri pel loro buon esito le nostre raccomandazioni, inquantochè ci consta che d'allora in poi l'opera del Sac. Don Bosco andò sempre crescendo e recando i più bei frutti che si possano desiderare, così che siamo persuasi che l'implorata approvazione, ove piacesse al S. Padre di accordarla, consoliderebbe vie meglio e perpetuerebbe la Congregazione di cui si tratta, a vantaggio spirituale e temporale del prossimo, a sempre maggior lustro della Religione ed onore del Clero.

 

                Mondovì, 15 aprile 1868.

 

F. Gio. Vescovo.

C. Gius. MARTINI, Seg. V.

 

                Il Vescovo di Alessandria:

 

                IACOBUS ANTONIUS COLLI DEI ET SANCTAE APOSTOLICAE SEDIS GRATIA EPISCOPUS ALEXANDRINUS ET COMES, AUGUSTISSIMI REGIS N. AB ELEEMOSYNIS, ABBAS SS. PETRI ET DALMATII.

 

                Quum nobis, tum e propria scientia, tum ex assumptis informationibus, perspecta penitus sit Societas seu Congregatio sub titulo S. Francisci Salesii, iam inde ab anno 1841 a Sacerdote Joanne Bosco Taurini fundata, haec quae sequuntur de eadem quam libentissime testamur.

                Memorata Congregatio centum circiter Sociis constat, qui operam suam laudabiliter conferunt in tribus recreationis areis, sen Oratoriis Festivis, ubi complura millia pauperum adolescentulorum collecta, sacris Cathechesibus, Missae celebratione, Verbi Dei predicatione, aliisque pietatis exercitiis invicta patientia et magno cum fructu excoluntur, quemadmodum nos ipsi testes oculares fuimus.

                Tres sunt domus hospitales, una Taurini, altera apud Lanceum, et tertia in pago Mirabello in agro Monferratensi, in quibus mille et [147] amplius adolescentes enumerantur, qui nulla aut modica pensione aluntur. Huiuscemodi iuvenes scientia, religione instituuntur, et artibus exercentur, ut valeant progressu temporis victum sibi honeste comparare. Nonnulli ex ipsis rite studiis, ut ita dicunt, classicis incumbunt, et sacrae militiae tirocinium percurrunt.

                Praeter curam et educationem iuventutis, huius Congregationis Socii strenuam et perutilem operam praebuerunt et praebent in Ecclesia Dei, in Sacro Ministerio, in Paroeciis, Carceribus, Xenodochiis per Missae celebrationem et Verbi Dei praedicationem, tum in triduanis, tum in novendialibus supplicationibus, tum in spiritualibus praesertim exercitationibus ad populum frequenter et magno animarum fructu habitis: ipsi quoque de Christiana Republica optime sunt meriti ob operam datam in evulgandis libris, qui ad fidem eatholicam tuendam et bonos mores tutandos quam maxime iuvant.

                Hinc quum dieta Congregatio huic quoque Nostrae Alexandrinae Dioecesi fuerit saepe maximo adiumento, praesertim ob non paucos adolescentes pauperes in eiusdem Congregationis hospitio receptos; perlectis ipsius Societatis Constitutionibus, et considerato tenore Decreti S. Congregationis Episcoporum et Regularium diei 23 Iulii 1864; quo Summus Pontifex Pius Divina Providentia Papa IX amplissimis verbis memoratam, Societatem laudavit atque commendavit uti Congregationem votorum simplicium sub regimine Moderatoris Generalis; - attento quod ex laudato Decreto Congregatio ipsa appareat iam partim constituta in persona Superioris qui permanere debet in suo munere, quoad vixerit, quamvis statutum sit ut ejusdem Societatis Superior Generalis duodecim tantum annis officium suum exerceat;

                Cum nobis sit persuasum id nos praestare quod ad maiorem Dei gloriam conferat, remque summo Pontifici pergratam faciat, immo venerandam eiusdem voluntatem in praed. Decreto expressam nos fideliter interpretari, supplices preces Sanctitati Suae humiliter porrigimus, ut Auctoritate Apostolica istius Societatis Constitutiones perpetuo adprobare dignetur; quo profecto continget, ut eius existentia sit firma ac stabilis coram Ecelesia, et unitate Spiritus ac disciplina servata, animarum bonum magis magisque promoveatur, quae omnia eadem Pia Societas potissimum spectat.

 

                Dat. Alexandriae, ex Episcopali Palatio, die 17 april. 1868,

 

ANTONIUS COLLI, EPISCOPUS.

 

                L'Arcivescovo di Lucca:

 

                               M. I. e Rev. Signore,

 

                Ho l'onore e il piacere d'inviarle la Commendatizia che V. S. M. R. si compiaceva richiedermi per ottenere dalla Santa Sede la definitiva [148] approvazione di codesta sua Società di S. Francesco di Sales tanto benemerita della educazione della gioventù. La ringrazio delle notizie che mi dà de' tre giovinetti di questa mia Diocesi, e raccomandandoli nuovamente alla sua carità, mi professo con sensi di riconoscenza e particolare stima e considerazione, Della S. V. M. I. e M. R.

 

                Lucca, 24 aprile 1868,

 

Aff.mo nel Signore

Fr. GIULIO Arcivescovo di Lucca.

 

                La Commendatizia era del seguente tenore:

 

                F. IULIUS ARRIGONIUS, ORDINIS MINORUM STRICTIORIS OBSERVANTIAE DIVI FRANCISCI, DEI ET APOSTOLICAE SEDIS GRATIA ARCHIEPISCOPUS LUCANUS ET COMES, SS. D. N. PAPAE PRAELATUS DOMESTICUS ET PONTIFICIO SOLIO ASSISTENS, EQUES TORQUATUS ORDINIS IOSEPHIANI

 

                Pauperiorum adolescentulorum miserans conditionem Sacerdos Joannes Bosco e Dioecesi Taurinensi, iam ab anno 1841 aliorum Presbyterorum etiam auxilio fretus, illos in unum colligere, Catholicae Fidei rudimenta edocere et temporalibus subsidiis levare instituit. Hinc ortum habuit pia Societas quae a S. Francisco Salesio nomen habet, cuiusque Socii, praeter propriam sanetificationem, praecipuum hunc habent finem, ut cum temporalibus, tum spiritualibus praesertim miserabilium commodis inserviant. Jam inde a piae Congregationis principio, quae ad huiusmodi consilii rationem pertinere arbitrati sunt, tum pius Fundator tum Socii adeo studiose diligenterque curarunt, ut maximum ex eorum laboribus Christianae Reipublicae fructum accepisse exploraturn omnibus sit, ipsaque Congregatio nedum a pluribus Sacrorum Antistibus, verum etiam a SS. Domino Nostro Pio P. IX per Decretum S. Congregationis Episcoporum et Regularium editum die 23 Julii 1864 amplissimis verbis laudationem et commendationem meruerit. Cum autem praenominato Ven. Sacerdoti J. Bosco multum sibi suisque Sociis deesse visum sit, nisi eidem Societati, cuius Fundator simulque Superior Generalis existit, Apostolica accedat confirmatio, idcirco ad eam impetrandam et plurium Sacrorum Antistitum commendationes expostulavit.

                Et Nos igitur, qui eiusdem Societatis apostolicum spiritum, pietatem, charitatem et zelum in Dei gloriam, iuvenum institutionem animarumque salutem oculis Nostris aliquando inspeximus, illius pii Fundatoris preces quam libenti animo excipientes, testamur eam sancto consilio sibi proposito optime respondere, huius etiam Nostrae Dioeceseos adolescentulos aliquot pie alere atque instituere; magnoque tum Ecclesiae tum Christianae Reipublicae auxilio futuram, si eam [149] qua modo floret, spiritus disciplinaeque unitatem servet, viribusque in dies augeatur. Ad haec autem praestanda cum prae caeteris conferre arbitremur Apostolicae sedis confirmationem, hinc SS. Dominum Nostrum humiliter praecamur ut eiusdem Congregationis Constitutiones, si ita Ei videbitur, Apostolica sua Auctoritate adprobare et confirmare dignetur. In quorum fidem, etc.

 

                Dat. Lucae, ex Nostro Archiep. Palatio, die 24 aprilis 1868.

 

Fr. IULIUS Archiep.

RAPHAEL Can. MEZZETTI Secr.

 

                Il Card. De Angelis, Arcivescovo e Principe di Fermo:

 

                FILIPPO DEL TITOLO DI S. LORENZO IN LUCINA, PRETE CARDINALE DE ANGELIS, PER LA GRAZIA DI DIO E DELLA SANTA SEDE APOSTOLICA ARCIVESCOVO E PRINCIPE DI FERMO, CAMERLENGO DI SANTA ROMANA CHIESA.

 

                Facciamo Fede che nella Nostra dimora per oltre sei anni nella casa dei Signori della Missione in Torino, con singolare contento dell'animo ci venne fatto conoscere, mercé la testimonianza di assaissime persone sì ecclesiastiche, che laicali, come la Pia Società denominata di S. Francesco di Sales, istituita e diretta dall'esimio Sac. Don Giovanni Bosco, coll'aiuto di zelanti sacerdoti e chierici sotto la sua vigile disciplina, corrispondesse con pubblico vantaggio della religiosa e civile società al suo scopo, ch'è di raccogliere ed istruire nella Religione e nelle arti meccaniche e liberali i giovanetti poveri ed abbandonati. Attestiamo inoltre che prima di partire da Torino nel novembre 1866 recatici a visitare il menzionato Oratorio, ci rallegrammo assai nel Signore vedendo co' Nostri occhi il bel numero di giovanetti quivi educati, ritolti all'ozio e alla miseria dalla feconda carità del degno sacerdote, che n'è capo e direttore supremo: lo zelo vivo e indefesso per crescerli nella pietà, così nei mestieri conformi al loro genio e alla loro condizione, e il frutto da ultimo non comune che si scorge ne' stessi giovanetti, e le speranze che debbono concepirsi all'avvenire, ove specialmente venisse concessa la canonica approvazione della S. Sede al Pio Istituto giusta i desiderii espressi dall'Ill.mo e Rev.mo Arcivescovo di Torino,  e di altri Vescovi del Piemonte. Il perchè lodammo di gran cuore, e a voce e in iscritto, questa opera di pubblica beneficenza, esortando il suddetto Don Giovanni Bosco e i suoi degni Cooperatori a continuarsi alacremente in essa alla maggior gloria di Dio ed a prò della cristiana educazione.

                E in segno di nostra stima e benevolenza verso il benefico Istituto e verso l'opera di sua sacerdotale carità, rilasciamo la [150] presente testimonianza, sottoscritta da Noi, e munita del Nostro Suggello.

 

                Dato in Fermo, dalla Nostra Residenza Arcivescovile, addì 26 aprile 1868.

F. Card. Arcivescovo.

Can. FILIPPO ZALLOCCO Seg.

 

                Il Vicario Generale Capitolare di Susa:

 

                IOSEPH SCIANDRA, SACRAE TEOLOGIAE ET IURIS UTRIUSQUE DOCTOR, EQUES ORDINIS SS. MAURITII ET LAZARI, CANONICUS ARCHIDIACONUS SEGUSIENSIS ECCLESIAE, AC SEDE EPISCOPALI VACANTE VICARIUS GENERALIS CAPITULARIS.

 

                Quum Nobis abunde constet, zelo et opera adm. Rev. D. Joannis Bosco, Sacerdotis de Christiana republica optime meriti, pluribus ab hinc annis Augustae Tarinorum excitatam fuisse Societatem Presbyterorum, Clericorum, Laicorum, a Sancto Francisco Salesio nuncupatam, quae eo praecipue spectat, ut illius Socii - ad Christianam perfectionem nitantur - quaevis pietatis officia spiritualia ac temporalia erga adolescentulos, pauperes potissimum, exerceant in ipsam iuniorum Clericorum educationem incumbant - verbis et scriptis impietati atque haeresi quae omnia pertentant aversentur - utillimos libros, Letture Cattoliche inscriptos, ad pietatem fovendam propria officina evulgent, aliaque laudabilia praestent, bonis omnibus plaudentibus;

                Grati animi sensus recolentes, eo quod plures juvenes pauperculi et pauperes vacantis huiusce Dioeceseos fuerint recepti in Asceteria, in quibus laudatae Societatis adscripti pietatis et charitatis operibus vacant: lectis attente praefatae Societatis Constitutionibus, ac prae oculis habito Decreto S. Congregationis Eminentissimorum S. R. E. Cardinalium Negotiis et Consultationibus Episcoporum et Regularium praepositae, Romae dato sub die 23 Julii 1864, quo Sanctitas Sua, immortalis Pontifex Pius IX, amplissimis verbis laudavit et commendavit memoratam Societatem uti Congregationem votorum simplicium sub Moderatoris Generalis regimine, salva Ordinariorum iurisdictione ad Sacrorum Canonum praescriptum;

                Haud dubii, quin definitiva probatio Constitutionum istius Societatis in maiorem Dei gloriam, animarumque bonum sit cessura, humillimas preces damus Beatissimo Patri ac Pontifici Maximo Pio Nono, qua dictas Constitutiones, quas Nos in quantum possumus plenimode probamus, Supremo Suo Oraculo confirmare dignetur.

 

                Dat. Segusii, die 28 Aprilis, anno 1868,

 

C. SCIANDRA, Vic. Gen. Cap.

IOANNES CARELLO Pro Cancell. Cap. [151]

 

                Il Vescovo di Guastalla:

 

                PETRUS ROTA, DEI ET APOSTOLICAE SEDIS GRATIA, EPISCOPUS VASTALLAE.

 

                Cum propter rerum civilium perturbationes e Sede Nostra anno 1866 abacti Augustam Taurinorum confugerimus, Divina Providentia ducti hospitio feliciter excepti fuimus ab egregio illo viro Sacerdote Joanne Bosco, cuius nomen in tota Italia iam sonat, et apud illum in eius piorum Sacerdotum Collegio per sex menses, quamdiu exilium nostrum perduravit, in tranquilla pace, magna animi Nostri consolatione, omnimodis curis levati et recreati, diversati sumus; exinde factum est ut et Sacerdotis illius et Societatis ab illo institutae pleniorem notitiam Nobis comparare potuerimus. Quare ex certa scientia haec quae subiungimus, non ex aliorum dictis, sed ex experientia propria, ad Dei laudem et ad Religionis incrementum affirmamus. Et in primis Nos valde animum Nostrum recreavit Sacerdotis Joannis Bosco consilium, Societatem Sacerdotum et laicorum instituendi, quae posset Ordinum Religiosorum, quibus nunc iniquurn et implacabile bellum indicitur, extintionem supplere, in interiori sua Constitutione spiritum et virtutes monasticas alendo, et in relationibus cum externa Civili Societate nihil differendo a laicis Congregationibus, ita ut leges, quae Religiosos Ordines percellunt, hanc Societatem non possent ullo unquam casu perimere. Quod Nos quum pluries in mente cogitaverimus et optaverimus, iam perfectum vidimus et probavimus in Societate S. Francisci Salesii, a quo illam nomen habere voluit praedictus optimus Sacerdos. Socii enim illius Congregationis tribus consuetis voti se obstringunt, et tam ducunt religiosam austeriorem etiam quam in usu sit apud nonnullas alias Regularium Familias; in caeteris autem a sacerdotibus saecularibus minime differunt, ut facilius saltem uti Sacerdotes saeculares tolerari possint.

                Ne autem bonis, quae vel actu possident vel illis obvenire possunt, unquam sub praetextu quod Religiosam Familiam seu ens morale, ut aiunt, constituant expolientur, prudenter cautum est ut unusquisque, licet voto paupertati obstringatur et in Societate omnia sint communia, tamen quoad Forum externum bonorum suorum proprietatem retineat, et illa, quae de iure ad universam pertinent Societatem, unius Socii nomine possideantur et privata extrinsecus appareant: uti in aliis regionibus, in quibus Societates religiosae civilem et legalem existentiam non habent, est in usu.

                Quum autem necesse sit omnibus Ecclesiae et Fidelium necessitatibus quibus Ordines Regulares opitulabantur, consulere, recte dictus Sacerdos suae Congregationi omnia illa Apostolica munia proposuit, quibus animarum salus curari potest: et quia puerorum institutio maxime interest Christianae et Civili Reipublicae, ideo sapientissime officium hoc sibi assumere voluit Sacerdos Bosco, et [152] Congregationem ad hoc praecipue curas suas et studium omne intendere. Etiam in ipsa civitate Taurini collegium septingentorum et amplius adolescentulorum, qui maiori ex parte a pio Sacerdote, undique collectis eleernosynis aluntur, a plurimis annis prospere floret, ubi pueri, praeter Christianam institutionem, in literis et artibus erudiuntur; et insuper, tres aliae adsunt congregationes, quae innumeros pueros per Urbem vagantes diebus festis in unum colligunt, et religiosis exercitiis, catechesibus, nec non honestis recreationibus toto die festo illos occupatos detinentes a corruptionis periculis sedulo subducunt. In hoc autem Taurinensi collegio, quod est prima Sedes Societatis et domus Fundationis, pietatem, sui abnegationem, vitae austeritatem, laborem indefessum, erga Moderatorem obedientiam et amorem singularem, dexteritatem autem peculiarem in pueris ad pietatem et ad studia suaviter adducendis, miratus sum; in pueris autem docilitatem, pietatis cultum, multumque in studiis profectum.

                Cum autem sapiens Institutor utilitatem praesertim Ecclesiae prae oculis semper habuerit, ideo iuvenes illos prae aliis excipere curat, qui ingenio praestent et ad Sacerdotium amplectendum sint propensi. Et sic multis Dioecesibus est utilis, cum non pauci ex dissitis etiam regionibus ibi excepti, quolibet anno ex studiis Philosophicis ad Theologica gradum faciant, et postea optimi evadant Sacerdotes.

                Quare hanc Congregationem, quae duas alias domus habet in duabus civitatibus, quas Lanzum et Mirabellum vocant, in quibus plusquam biscentum pueros eadem pietate et iisdem disciplinis erudit et instituit, maiora incrementa obtinere, et amplius diffundi ego valde optarem, ratus quod hoc in magnum Religionis bonum certissime cederet. Quod ut fiat cum necessaria sit Summi Pontificis approbatio, qua inter Ordines Regulares solemniter adnumeretur, Ego preces meas urgentesque supplicationes supplicationibus aliorum Episcoporum coniungo, Beatissimum Patrem Pium IX humiliter et enixe rogans, ut Constitutionibus huiusmodi Societatis rite exarninatis, Societatem ipsam solemniter adprobare et iura et privilegia, aliis Religiosis Ordinibus concessa, eidem indulgere et impetrire dignetur.

                Quod faxit Deus.

 

                Datum Guastallae, die 29 aprilis, anni 1868.

PETRUS Episcopus.

Sac. MAXIMILIANUS FRANZINI, a Secretis.

 

                Il Vescovo di Albenga:

 

                NOS RAPHAEL BIALE, DEI ET S. SEDIS APOSTOLICAE GRATIA, ECCLESIAE ALBINGANENSIS EPISCOPUS, S. MARIAE ET S. MARTINI AD INSULAM GALLINARIAM ABBAS COMMENDATARIUS.

 

                Moderna Societas S. Francisci Salesii pro adolescentulis pauperibus ac derelictis colligendis atque in pietate ac religione instruendis ab [153] eximio sacerdote Joanne Bosco Augustae Taurinorum nonnullis abhinc annis erecta, quanti facienda sit dilucide ostendunt tum nobilis scopus quem eius Socii sibi proponunt, tum uberes fructus religionis ac moralitatis, qui ab ea dimanare iam nunc dignoscuntur; atque utinam in cunctis Italiae nostrae Dioecesibus utilissimum hoc christianae philantropiae Institutum erigi cerneretur! Nihil enim illo opportunius, nihil efficacius ad effrenem ac in dies errumpentem incredulitatis ac vitiorum colluviem, aliqua saltem ex parte compescendam. Interim dum Nos Deo Optimo Maximo preces fundimus ut in hac quoque Nostra Dioecesi piam hanc Societatem erigere ac constabilire concedat, vota Nostra Nostrasque supplicationes iungimus iis quas alii Venerabiles Antistites ea super emiserunt, humiliter enixeque implorantes ut S. Apostolica Sedes constitutiones ac regulas (quae a Nobis perlectae ac consideratae singulari prudentia ac consilio digestae visae sunt) definitiva approbatione munire non dedignetur: ex quo sane haud modicum incrementum ac firmitatem Pio Sodalitio allaturum fore confidimus.

 

RAPHAEL, Episcopus.

                Dat. Albing., die 2 maji 1868.

 

                Don Bosco a queste Commendatizie, che doveva presentare alla Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, univa copia autentica della patente a direttore spirituale degli Oratorii di S. Francesco di Sales, del Santo Angelo Custode e di S. Luigi in Torino, conferitagli da Mons. Fransoni il 31 marzo 1852, firmata da Filippo Ravina Vicario Generale e da Balladore Cancelliere. Questa copia eragli stata rilasciata dalla Curia Arcivescovile in data 12 maggio 1868, debitamente autenticata dal Teol. Gaude, Pro Cancelliere.

 

 

CAPO XIV. Don Bosco annunzia ai giovani di dover loro svelare qualche cosa di serio - Prima parlata: dice di aver fatto un sogno che era risoluto di non raccontare: l'apparizione di un mostro orribile e una voce misteriosa lo costringono a parlare: prega i giovani a non far sapere fuori dell'Oratorio ciò che sta per esporre: sogni preliminari; la sua morte, il giudizio di Dio il paradiso - Fa un nuovo sogno: una gran vile nel cortile dell'Oratorio: gli acini si mutano in giovani: diverse apparenze della vite: con sole foglie: con grappoli guasti: senza foglie, con grappoli di uva eccellente: sono i tre stati di spirito nei quali si trovano i giovani innanzi a Dio. Gli sembra udire il suono di una campana e si desta per brevi istanti - Seconda Parlata: si riaddormenta: vede sorgere nel cortile un'altra vite come la prima, di bellissimo aspetto, con grappoli enormi, acini grossi e maturi, ma questi di sapore nauseante: ogni acino scritto porta il nome di un giovane e il suo peccato: appare un personaggio che reca bastoni e ordina che siano battuti que' tralci e que' grappoli: uno spaventoso temporale flagella la vite: strana grandine - Fuga di Don Bosco e suo destarsi.

 

                IL 29 aprile Don Bosco aveva annunziato ai giovani: - Domani sera e venerdì e domenica, ho qualche cosa da dirvi, perché, se non ve la dicessi, crederei di dover andare alla tomba avanti tempo. Ho qualche cosa di brutto da svelarvi. E desidero che siano presenti anche gli artigiani. [155] La sera del 30 aprile, giovedì, dopo le orazioni, gli artigiani dal loro portico, ove era solito parlare Don Rua o Don Francesia, vennero ad unirsi ai loro compagni studenti, e Don Bosco prese a dire:

                 - Miei cari giovani! Ieri sera vi ho detto che io aveva qualche così di brutto da raccontarvi. Ho fatto un sogno, ed ero deciso di non farne parola a voi, sia perchè dubitavo che fosse un sogno come tutti gli altri che si presentano alla fantasia nel sonno: sia perchè tutte le volte che ne ho raccontato qualcheduno, ci fu sempre qualche osservazione e qualche reclamo. Ma un altro sogno mi obbliga a parlarvi del primo, tanto più che da alcuni giorni incominciai di nuovo ad essere molestato da fantasmi, sopratutto tre sere fa. Voi sapete che : sono stato a Lanzo per avere un po' di quiete. Or bene, l'ultima notte che dormii in quel collegio, coricatomi a letto, mentre incominciava a prendere sonno, mi si presentò alla fantasia quanto sono per dire:

 

                Mi parve di vedere entrare nella mia camera un gran mostro, che si avanzava e andò a porsi proprio ai piedi del letto. Aveva una forma schifosissima di rospo e la sua grossezza era quella di un bue.

                Io lo guardava fisso senza trar fiato. Il mostro a poco a poco ingrossava; cresceva nelle gambe, cresceva nel corpo, cresceva nel capo, e quanto più aumentava il suo volume, tanto più diventava orribile. Era di color verde con una linea rossa intorno alla bocca ed alla gola che rendevalo ancor più terribilmente spaventoso. I suoi occhi erano di fuoco e le sue orecchie ossee molto piccole. Io diceva fra me osservandolo: - Ma il rospo non ha le orecchie! - E sul naso gli si elevavano due corna, dai fianchi gli spuntavano due alaccie verdastre. Le sue gambe erano fatte a guisa di quelle del leone e dietro svolgeva una lunga coda che finiva in due punte.

                In quei momenti mi pareva di non avere affatto paura, ma quel mostro incominciò ad accostarsi ognor più verso di me e allargava la bocca ampia e fornita di grossi denti. Io allora fui preso da grande terrore. Lo credetti un demonio dell'inferno, chè di demonio aveva tutti i segni. Mi feci il segno della croce, ma a nulla valse; suonai il campanello, ma a quell'ora nessuno venne, nessuno udì; gridai, ma invano; il mostro non fuggiva: - Che vuoi qui da me, dissi allora, o brutto demonio? - Ma egli più si accostava, e drizzava ed allargava le orecchie. Quindi posò le sue zampe anteriori sulla sponda in [156] fondo del letto, e lentamente si tirò su, afferrandosi eziandio alla lettiera colle zampe posteriori, e si stette immobile un momento, fissandomi. Poi slungatosi in avanti prostese il suo muso faccia a faccia con me. Io fui preso da tale ribrezzo che balzai seduto sul letto ed ero per gettarmi giù in terra: ma il mostro spalancò la bocca. Avrei voluto difendermi, respingerlo, ma era così schifoso che anche in quel frangente non osai toccarlo. Mi misi ad urlare, gettai la mano indietro cercando l'acquasantino e batteva le mani nel muro, non trovandolo; e il rospo abboccò per un istante la mia testa in modo che metà della mia persona era dentro a quelle orride fauci. Allora io gridai: - In nome di Dio! Perchè mi fai questo? - Il rospo alla mia voce si ritirò un tantino, lasciando libera la mia testa. Mi feci allora di nuovo il segno della santa croce ed essendo riuscito a mettere le dita nell'acquasantino gettai un poco d'acqua benedetta sul mostro. Allora quel demonio, mandando un urlo terribile, precipitò indietro e scomparve, ma nello scomparire io potei intendere una voce che dall'alto pronunciò distinte queste parole:

                 - Perchè non parli?

                Il direttore di Lanzo D. Lemoyne si svegliò in quella notte ai miei urli prolungati, udì che battevo le mani nel muro e al mattino mi domandò: - Don Bosco stanotte ha sognato?

                 - Perchè mi fai questa domanda?

                 - Perchè ho udito le sue grida.

                Aveva conosciuto adunque essere volontà di Dio che io dicessi a voi ciò che ho veduto: quindi ho determinato di raccontarvi tutto il sogno, e perchè sono obbligato in coscienza a dirvelo ed eziandio per liberarmi da questi spettri. Ringraziamo il Signore delle sue misericordie e frattanto, in qualunque modo voglia Iddio farci conoscere la sua volontà, procuriamo di mettere in pratica gli avvisi che ci vennero dati e giovarci di questi mezzi che ci vennero offerti per la salvezza delle anime nostre. Io ho potuto conoscere in queste circostanze le stato della coscienza di ciascheduno di voi.

                Desidero però che quanto sto per dire si conservi fra di noi. Vi prego a non volerne scrivere, né parlarne fuori di casa, perchè non sono cose da prendersi in ridicolo, come taluni potrebbero fare, e perchè non ne possano accadere inconvenienti che riescano disgustosi per Don Bosco. A voi le dico in confidenza come ai miei amati figli e voi ascoltatele come dal vostro padre. Ecco adunque i sogni, che io voleva lasciar passare inosservati e che sono costretto a narrarvi.

                Già fin dai primi giorni della settimana santa (5 aprile) incominciai ad aver sogni che dopo mi occuparono e mi molestarono per parecchie notti. Questi sogni mi stancavano così, che la mattina seguente io era molto più stanco di quello che se avessi lavorato tutta la notte, poichè la mia niente era molto turbata ed agitata. La prima notte sognai di essere morto. La seconda di esser al giudizio di Dio dove [157] mi toccava aggiustare i miei conti col Signore, ma mi svegliai e vidi che ero vivo nel letto e che aveva ancor tempo a prepararmi un po' meglio ad una santa morte. La terza notte sognai di essere in paradiso e là pareami di star molto bene e godere assai. Passata la notte e svegliatomi al mattino vidi sparire quella cara illusione, ma sentivami risoluto di guadagnarmi a qualunque costo quel regno eterno che aveva intravisto. Fin qui erano solo cose che non hanno alcuna importanza per voi e non hanno alcun significato. Si va a dormire con quel pensiero nella fantasia e nel sonno si riproducono le cose pensate.

                Sognai adunque una quarta volta ed è questo il sogno che debbo esporvi. La notte del giovedì santo (9 aprile), appena un lieve sopore mi occupò, parvemi nella mia immaginazione di essere qui sotto questi portici circondato dai nostri preti, chierici, assistenti e giovani. Mi sembrò poi, essendo voi tutti scomparsi, di essermi inoltrato alquanto nel cortile. Erano con me Don Rua, Don Cagliero, Don Francesia, D. Savio e il giovanetto Preti; e un po' distante Giuseppe Buzzetti e D. Stefano Rumi, addetto al Seminario di Genova nostro grande amico. Ad un tratto l'Oratorio attuale cambiò aspetto e prese l'aspetto della casa nostra come era ai suoi primordii, quando vi erano quasi solo i suddetti. Si noti che il cortile era confinante con vasti campi incolti, disabitati, che si estendevano fino ai prati della cittadella, ove i primi giovani sovente scorrazzavano giuocando. Io era vicino al posto dove ora, sotto le finestre della mia stanza, sta il laboratorio dei falegnami, spazio una volta coltivato ad orto.

                Mentre seduti stavamo conversando degli affari della casa e dell'andamento dei giovani, ecco che qui avanti a questo pilastro (ove era appoggiata la cattedra dalla quale egli parlava) che sostiene la pompa, presso la quale era la porta di casa Pinardi, vedemmo spuntare dalla terra una vite bellissima, quella stessa che un tempo era già in quel medesimo luogo. Noi abbiamo fatte le meraviglie che la vite ricomparisse dopo tanti anni; e l'uno domandava all'altro che cosa mai fosse ciò. La vite cresceva a vista d'occhio e si era innalzata da terra all'altezza circa di un uomo. Quand'ecco incomincia a stendere i suoi tralci in numero stragrande, di qua, di là, da tutte parti e a mettere fuori i suoi pampini. In breve tempo si estese tanto da occupare tutto il nostro cortile e a protendersi oltre. Quel che era singolare si è che i suoi tralci non si spingevano in alto, ma si distesero parallelamente al suolo come un immenso pergolato, stando così sospeso senza un visibile sostegno. Belle e verdi erano le sue foglie, spuntate allora: e i lunghi tralci di una prosperità e vigoria sorprendente; e tosto uscirono fuori i bei grappoli, ingrossarono gli acini e l'uva prese il suo colore.

                Don Bosco e quelli che erano con lui guardavano stupiti e dicevano:

                 - Come ha fatto questa vite a crescere così presto? che cosa sarà?  [158] E Don Bosco agli altri: - Là! stiamo a vedere che cosa succede.

                Io osservava coll'occhio spalancato, senza batter palpebra, quando ad un tratto tutti gli acini caddero per terra e diventarono altrettanti giovani vispi e allegri, dei quali in un momento fu ripieno tutto il cortile dell'Oratorio ed ogni spazio intorno ombreggiato dalla vite saltavano, giuocavano, gridavano, correvano sotto quel singolare pergolato, sicchè faceva gran piacere il vederli. Erano qui tutti i giovani, che furono, sono e saranno nell'Oratorio e negli altri collegi, perchè moltissimi non li conosceva.

                Allora un personaggio, che sulle prime non conobbi chi fosse, e voi sapete che Don Bosco ne' suoi sogni ha sempre una guida, mi apparve al fianco ed osservava anch'esso i giovani. Ma a un tratto un velo misterioso si stese innanzi a noi e celò quel giocondo spettacolo.

                Quel lungo velo non più alto della vigna pareva come attaccato ai tralci della vite in tutta la sua lunghezza e scendeva al suolo a guisa di sipario. Non vedevasi più altro che la parte superiore della vite che pareva un vastissimo tappeto di verdura. Tutta l'allegria dei giovani era cessata in un istante e succedeva un malinconico silenzio.

                 - Guarda! mi disse la guida; e mi additò la vite.

                Mi avvicinai e vidi quella bella vite, che sembrava carica d'uva non avesse più che le foglie, sulle quali stavano scritte le parole del Vangelo: Nihil invenit in ea! Non sapeva che cosa ciò volesse significare e dissi a quel personaggio:

                 - Chi sei tu? ... Che cosa significa questa vite?

                Quegli tolse il velo come innanzi alla vite e sotto apparve solo un certo numero dei moltissimi nostri giovani visti prima, in gran parte a me sconosciuti.

                 - Costoro, soggiunse, sono quelli che avendo molta facilità per farsi del bene non si prefiggono per fine di dar piacere al Signore. Sono quelli che fanno solo le viste di operare il bene per non scomparire in faccia ai buoni compagni. Sono quelli che osservano con esattezza le regole della casa, ma per calcolo di schivare rimproveri, e non perdere la stima dei superiori: si mostrano deferenti verso di loro, ma non riportano alcun frutto dalle istruzioni, eccitamenti e cure che ebbero o avranno in questa casa. Il loro ideale è di procurarsi una posizione onorifica e lucrosa nel mondo. Non curano di studiare la loro vocazione, respingono l'invito del Signore se li chiama, e nello stesso tempo simulano le loro intenzioni temendo qualche scapito. Sono quelli in somma che fanno le cose per forza e perciò non giovano loro niente per l'eternità.

                Così disse. Oh! quanto dispiacere mi ha fatto il vedere in quel numero anche alcuni, che io credeva molto buoni, affezionati e sinceri!

                E l'amico soggiunse: - Il male non è tutto qui - e lasciò cadere il velo e ricomparve distesa la parte superiore di tutta quella vite. [159]

                 - Ora guarda di nuovo! - mi disse.

                Guardai que' tralci; tra le foglie vedevansi molti grappoli d'uva che sulle prime mi parve promettessero una ricca vendemmia. Già mi rallegrava, ma avvicinandomi vidi che que' grappoli erano difettosi, guasti; altri muffiti, altri pieni di vermi e di insetti che li rodevano, altri mangiati dagli uccelli e dalle vespe, altri marci e disseccati. Guardando ben bene mi persuasi che nulla si poteva ricavare di buono da que' grappoli che facevano nient'altro che appestare l'aria circostante col fetore che da essi emanava.

                Quel personaggio allora alzò di nuovo il velo e: Guarda! esclamò. E sotto apparve non il numero sterminato di nostri giovani visto sul principio del sogno, ma molti e molti di essi. Le loro fisionomie, prima così belle, erano divenute brutte, scure, e piene di piaghe schifose. Essi passeggiavano curvi, rattrappiti nella persona e malinconici. Nessuno parlava. Tra questi ve n'erano di quelli che già abitarono qui nella casa e nei collegi, di quelli che ora vi sono presentemente, e moltissimi che io non conosceva ancora. Tutti erano avviliti e non osavano alzare lo sguardo.

                Io, i preti, e alcuni che lui circondavano, eravamo spaventati e senza parola. Finalmente domandai alla mia guida:

                 - Come va questo? Perchè que' giovani erano prima così allegri e belli, ed ora sono così tristi e brutti?

                La guida rispose: - Ecco le conseguenze del peccato!

                I giovani intanto mi passavano dinanzi e la guida mi disse:

                 - Osservali un po' bene!

                Attentamente li fissava e vidi che tutti portavano scritto sulla fronte e sulla mano il loro peccato. Fra questi ne riconobbi alcuni che mi fecero stupire. Aveva sempre creduto che fossero fiori di virtù e qui invece scopriva come avessero gravissime magagne nell'anima.

                Mentre i giovani sfilavano, io leggeva sulla loro fronte: - Immodestia - scandalo - malignità - superbia - ozio - gola - invidia - ira - spirito di vendetta - bestemmia - irreligione - disobbedienza - sacrilegio - furto.

                La mia guida mi fece osservare: - Non tutti sono ora come li vedi, ma un giorno saranno tali se non mutano condotta. Molti di questi peccati non sono di per sé gravi, ma sono però la causa ed i principii di terribili cadute e di eterna perdizione. Qui spernit modica, paulatim decidet. La gola produce l'impurità; lo sprezzo ai Superiori porta il disprezzo ai sacerdoti ed alla Chiesa; e via discorrendo.

                Desolato a questo spettacolo presi il portafoglio, ne trassi fuori la matita per scrivere i nomi dei giovani che conosceva e notare i loro peccati o almeno il vizio dominante di ciascuno; chè voleva avvertirli e correggerli. Ma la guida mi afferrò il braccio e mi domandò:

                 - Che fai?  [160]

                 - Scrivo ciò che vedo loro stampato in fronte, sicchè possa avvertirli, e si correggano.

                 - Non ti è permesso; rispose l'amico.

                 - Perché?

                 - Non mancano di mezzi per vivere scevri da queste malattie. Hanno le regole, le osservino: hanno Superiori, li obbediscano: hanno i Sacramenti, li frequentino. Hanno la Confessione, non la profanino col tacere i peccati. Hanno la SS. Comunione, non la ricevano coll'anima brutta di colpa grave. Tengano custoditi gli occhi, fuggano i cattivi compagni, si astengano dalle cattive letture e dai cattivi, discorsi, ecc., ecc. Sono in questa casa e le regole li salveranno. Quando suona il campanello siano pronti all'obbedienza. Non cerchino sotterfugi per ingannare i maestri e così stare in ozio. Non scuotano il giogo dei superiori, considerandoli come sorvegliatori importuni, consiglieri interessati, come nemici, e cantando vittoria, quando riescono a coprire le loro magagne o a veder impunite le loro mancanze. Stiano riverenti e preghino volentieri in chiesa e in altri tempi destinati all'orazione senza disturbare e ciarlare. Studino nello studio, lavorino nel laboratorio e tengano un contegno decente. Studio, lavoro e preghiera: ecco ciò che li manterrà buoni, ecc.

                Non ostante questa negativa io continuai ancora a pregare istantemente la mia guida perchè mi lasciasse scrivere quei nomi. E quella mi strappò di mano il portafoglio con risolutezza e lo gettò per terra, dicendo: - Ti dico che non occorre che tu scriva questi nomi. I tuoi giovani colla grazia di Dio e colla voce della coscienza possono sapere quello che debbono fare o fuggire.

                 - Dunque, dissi, non potrò io manifestare alcuna cosa ai miei cari giovani? Dimmi tu almeno ciò che potrò annunziar loro, quale avviso dare!

                 - Potrai dire, quello che ti ricordi, a tuo piacimento.

                E lasciò calare il velo e di nuovo si scoperse innanzi ai nostri occhi le vite, i cui tralci, quasi senza foglie, portavano una bell'uva rubiconda e matura. Mi accostai, osservai attentamente i grappoli e li trovai quali sembravano da lungi. Era un piacere vederli e davano gusto al solo mirarli. Tutto intorno spargevano soavissimo odore.

                L'amico alzò tosto il velo. Sotto quel pergolato così esteso stavano molti nostri giovani che sono, furono, e saranno con noi. Erano bellissimi e raggianti di gioia.

                 - Questi, disse colui, sono e saranno coloro che mediante le tue cure fanno e faranno buoni frutti, coloro che praticano la virtù e ti daranno molte consolazioni.

                Io mi rallegrai, ma restai nello stesso tempo afflitto, perchè essi non erano poi quel numero grandissimo che sperava. Mentre li stava contemplando suonò la campana del pranzo ed i giovani se ne andarono. Eziandio i chierici si recarono alla loro destinazione. Guardai [161] attorno e non vidi più nessuno. Anche la vite coi suoi tralci ed i suoi grappoli era scomparsa. Cercai di quell'uomo e più non lo vidi. Allora mi svegliai e potei riposare alquanto.

                Il 1° maggio, venerdì, Don Bosco continuava il racconto:

                 - Come vi ho detto ieri sera, io mi era svegliato parendomi di aver udito il suono della campana, ma tornai ad assopirmi e riposava con un sonno tranquillo, quando venni scosso per la seconda volta e mi sembrò di trovarmi nella mia camera, in atto di sbrigare la mia corrispondenza. Uscii fuori sul poggiuolo, contemplai per un istante la cupola della chiesa nuova che s'innalzava gigantesca, e discesi sotto i portici. A poco a poco arrivavano dalle loro occupazioni i nostri preti e i chierici che facevano corona intorno a me. Fra questi erano Don Rua, D. Cagliero, D. Francesia e D. Savio lo m'intratteneva a parlare coi miei amici di cose diverse quando all'improvviso cambiò scena. Scomparve la chiesa di Maria Ausiliatrice, scomparvero tutti gli attuali edifizii dell'Oratorio, e ci siamo trovati innanzi alla vecchia casa Pinardi. Ed ecco nuovamente spuntare da terra una vite nello stesso posto che vidi la prima, quasi sorgesse dalle stesse radici, e questa elevarsi ad eguale altezza, quindi gettar fuori moltissimi tralci orizzontali distesi in un vastissimo spazio, i quali si copersero di foglie, poi di grappoli e in ultimo vidi maturare le uve. Ma più non comparvero le turbe dei giovani. I grappoli erano addirittura enormi come quelli della terra promessa. Ci sarebbe voluta la forza di un uomo per reggerne un solo. Gli acini erano straordinariamente grossi e di forma bislunga: il colore di un bel giallo d'oro: sembravano maturissimi. Un solo avrebbe riempita la bocca. Avevano insomma l'aspetto così bello che facevano venir l'acquolina e sembrava che ciascuno dicesse: - Mangiami!

                Anche D. Cagliero osservava meravigliato quello spettacolo insieme con Don Bosco e cogli altri preti, e Don Bosco esclamava: Che uva stupenda!

                E Don Cagliero senza tanti complimenti si avvicinò alla vigna, ne staccò alcuni acini, ne cacciò uno in bocca, lo compresse coi denti; ma restò lì nauseato colla bocca aperta e gettò fuori l'uva con un impeto, che sembrava rigettasse. L'uva aveva un gusto così scellerato come quello dell'uovo marcio. - Contacc! esclamò Don Cagliero, dopo aver sputato più volte; è veleno, è roba da far morire un cristiano!

                Tutti guardavano e nessuno parlava, quando esce dalla porta della sagrestia della cappella antica un uomo serio e risoluto, si accosta a noi e si ferma al fianco di Don Bosco. Don Bosco lo interrogò:

                 - Come va, che un'uva così bella ha un gusto così cattivo?

                Quell'uomo non rispose, ma sempre serio andò a prendere un fascio [162] di bastoni, ne scelse uno nodoso e presentatosi a Don Savio glielo offerse, dicendo: - Prendi e batti su questi tralci! - Don Savio si rifiutò, ritirandosi indietro di un passo.

                Allora quell'uomo si volse a D. Francesia, gli offerse il bastone e gli disse: - Prendi e batti! - e come a D. Savio accennava il luogo dove doveva battere. Don Francesia, tirando su le spalle e sporgendo fuori il mento, crollò così un pochettino la testa, accennando che no.

                Quell'uomo andò a porsi innanzi a Don Cagliero e presolo per un braccio gli presentò il bastone dicendo: - Prendi e batti, percuoti ed atterra! - accennandogli dove doveva battere. Don Cagliero sgomentato fece un salto indietro e battendo il dosso di una mano contro dell'altra, esclamò: - Ci manca anche questa! - La guida glielo porse per la seconda volta, ripetendo: - Prendi e batti! - È Don Cagliero facendo schioppettare le labbra e dicendo: -  Mi no, mi no! Io no! io no! - corse, preso da paura, a nascondersi dietro di me.

                Ciò vedendo quel personaggio, senza scomporsi, si presentò allo stesso modo a Don Rua: - Prendi e batti: - e Don Rua come Don Cagliero venne a ripararsi dietro di me.

                Allora io mi trovai in faccia a quell'uomo singolare che, fermatosi innanzi a me, mi disse: - Prendi e batti tu questi tralci. - Io feci un grande sforzo per vedere se sognassi o fossi in piena cognizione e parvemi che tutte quelle cose fossero vere, e dissi a quell'uomo:

                 - Chi sei tu che mi parli in questo modo? Dimmi; perchè ho da percuotere su questi tralci? Perchè debbo atterrarli? È un sogno questo, è un'illusione? Che cos'è? A nome di chi parli? Mi parli forse tu a nome del Signore?

                 - Avvicinati alla vite, mi rispose, e leggi su quelle foglie! - Mi avvicinai, esaminai con attenzione le foglie e vi lessi scritto sopra: - Ut quid terram occupat?

                 - È scritto nel Vangelo! esclamò la mia guida.

                Aveva abbastanza inteso, ma volli osservare: - Prima di battere, ricordati che nel Vangelo si legge eziandio come il Signore, alle preghiere del coltivatore, abbia aspettato che si concimasse la pianta inutile alla radice, e si coltivasse, riservandosi a sradicarla solamente dopo di aver fatte tutte le prove perchè rendesse buon frutto.

                 - Ebbene: si potrà accordare una dilazione di castigo, ma intanto guarda, e poi vedrai. - E mi additò la vite. Io guardava ma non intendeva.

                 - Vieni e osserva; mi replicò: leggi; sugli acini che cosa sta scritto?

                Don Bosco si avvicinò e vide che gli acini avevano tutti un'iscrizione, il nome di uno degli alunni e il titolo della sua colpa. Io leggeva e tra tante imputazioni fui atterrito dalle seguenti: Superbo Infedele alle sue promesse - Incontinente - Ipocrita Trascurato in tutti i suoi doveri - Calunniatore - Vendicativo - Senza cuore [163] - Sacrilego - - Dispregiatore dell'autorità de' superiori - Pietra d'inciampo - Seguace di false dottrine. - Vidi il nome di quelli quorum Deus venter est; di quelli che scientia inflat; di quelli che quaerunt quae sua sunt, non quae Iesu Christi; di quelli che montano consiglio contro i superiori e le regole. Erano i nomi di certi disgraziati che furono o sono attualmente fra di noi: e gran numero di nomi nuovi per me, ossia di coloro che verranno con noi nei tempi futuri.

                 - Ecco i frutti che dà questa vigna, disse sempre serio quell'uomo; frutti amari, cattivi, dannosi per l'eterna salute.

                Senz'altro tirai fuori il portafoglio e presa la matita voleva scrivere i nomi di alcuni, ma la guida mi afferrò il braccio come la prima volta e mi disse: - Che cosa fai?

                 - Lasciami prendere il nome di quelli che io conosco, affinchè possa avvertirli in privato e correggerli.

                Inutilmente pregai. La guida non me lo concesse; ed io soggiunsi:

                 - Ma se io dirò loro come stanno le cose, in quale cattivo stato essi si trovano, si ravvederanno.

                Ed egli a me:

                 - Se non credono al Vangelo, non crederanno neppure a te.

                Insistetti, perchè desiderava prender nota e aver norme anche per ciò che riguardava l’avvenire; ma quell'uomo più nulla rispose e andato innanzi a D. Rua col fascio dei bastoni lo invitò a prenderne uno: - Prendi e batti! - D. Rua incrociando le braccia abbassò la testa e mormorò: - Pazienza! - quindi diede un'occhiata a Don Bosco. Don Bosco fece segno di approvazione e Don Rua preso il bastone nelle sue mani si avvicinò alla vigna e incominciò a battere nel luogo indicato. Ma aveva appena dati i primi colpi, che la guida gli fe' cenno di cessare e gridò a tutti: - Ritiratevi!

                Tutti andammo in distanza. Osservavamo e vedevamo gli acini gonfiare, venir più grossi, diventar schifosi. Sembravano all'aspetto lumache senza chiocciola, ma di colore sempre giallo, senza perdere la forma di uva. La guida gridò ancora: - Osservate! Lasciate che il Signore scarichi le sue vendette!

                Ed ecco il cielo si annuvola e una nebbia così fitta, che non lasciava più vedere neppure a poca distanza, copre tutta la vite. Ogni cosa si fa oscura. Guizzano i lampi, rombano i tuoni, strisciano così spessi i fulmini per tutto il cortile, che metteano terrore. Si piegavano i tralci agitati dai venti furiosi e volavano le foglie. Finalmente una fitta tempesta incominciò a cadere sulla vite. Io voleva fuggire ma la mia guida mi trattenne dicendomi: - Guarda quella grandine!

                Guardai e vidi che la grandine era grossa come un uovo; parte era nera, parte rossa; ogni grano era da una parte acuto e dall'altra piatto in forma di mazza. La grandine nera percuoteva il terreno vicino a me e più indietro si vedeva cadere la grandine rossa.

                 - Come va questo? diceva; non ho mai visto grandine simile. [164]

                 - Accostati, mi rispose l'amico sconosciuto, e vedrai.

                Mi avvicinai un poco verso la grandine nera, ma da questa esalava tale puzza che io ne veniva respinto. L'altro sempre più insisteva perchè mi avvicinassi. Pertanto presi un chicco di quella gragnuola nera per esaminarla, ma subito dovetti gettarlo per terra, tanto mi ripugnava quell'odore pestilenziale, e dissi: - Non posso veder niente!

                E l'altro: - Guarda bene e vedrai!

                Ed io, fattomi maggior violenza, vidi scritto sopra ognuno di quei pezzi neri di ghiaccio: Immodestia. Procedetti ancora verso la grandine rossa che era fredda, eppure incendiava da per tutto dove cadeva. Ne presi un granello che puzzava similmente, ma potei con un po' più di facilità leggervi scritto sopra: Superbia. Alla vista di ciò anch'io vergognoso: - Dunque, esclamai, sono questi i due vizii principali che minacciano questa casa?

                 - Questi sono i due vizi capitali che rovinano un maggior numero di anime non solo in tua casa, ma che più ne rovinano in tutto il mondo. A suo tempo tu vedrai quanti saranno precipitati nell'inferno da questi due vizii.

                 - Che cosa dovrò adunque dire ai miei figliuoli perchè li abborriscano?

                 - Quanto dovrai dir loro, lo saprai tra poco. - Così dicendo si allontanò da me. Intanto la grandine tra il bagliore dei lampi e dei fulmini continuava a tempestare furiosamente sulla vite. I grappoli erano pestati, schiacciati come se fossero stati nel tino sotto i piedi dei cantinieri e mandavano fuori il loro sugo. Una puzza orribile si sparse per l'aria e pareva soffocare il respiro. Da ogni acino usciva un vario fetore differente, ma l'uno era più stomachevole dell'altro, secondo le diverse specie e il numero de' peccati. Non potendo più resistere, misi il fazzoletto al naso. Tosto mi voltai indietro per andare in mia camera, ma non vidi più nessuno de' miei compagni; né Don Francesia, né Don Rua, né Don Cagliero. Mi avevano lasciato solo ed erano fuggiti. Tutto era deserto e silenzio. Io pure fui preso allora da tale spavento, che mi diedi alla fuga, e fuggendo mi svegliai.

                Come vedete questo sogno è brutto assai, ma ciò che avvenne la sera e la notte dopo l'apparizione del rospo, lo diremo dopodomani, domenica, 3 maggio, e sarà molto più brutto ancora. Adesso non potete conoscerne le conseguenze, ma siccome ora non c'è più tempo, per non togliervi il riposo vi lascio andare a dormire, riserbandomi a manifestarvele in altra occasione.

 

                Conviene riflettere che le gravi mancanze rivelate a Don Bosco non si riferivano tutte a quei tempi, ma riguardavano [165] sparsamente una serie di anni futuri. Infatti egli vide non solo tutti gli alunni che erano stati ed erano allora nell'Oratorio, ma una infinità di altri di fisionomia a lui sconosciuta che avrebbero appartenuto alle sue Istituzioni sparse in tutto il mondo. La parabola della vigna sterile, che si legge nel libro d'Isaia, abbraccia più secoli di storia.

                Inoltre non conviene e non è assolutamente da dimenticare ciò che disse la guida al Venerabile: Non tutti questi giovani sono ora come li vidi, ma un giorno saranno tali se non mutano condotta. Pel sentiero del male si va al precipizio.

                Notiamo pure come, in vista della vigna, era apparso un personaggio che Don Bosco diceva non aver subito conosciuto, e che poi la fu sua guida e il suo interprete. Nella narrazione di questo e di altri sogni, Don Bosco soleva dargli talora il nome di sconosciuto per celare la parte più grandiosa di ciò che aveva contemplato e, diremo anche, ciò che indicava troppo manifestamente l'intervento del soprannaturale.

                Interrogato varie volte da noi, valendoci di quell'intima confidenza della quale ci onorava, intorno a questo sconosciuto, benchè le sue risposte non fossero esplicite, pure anche per altri indizi abbiam dovuto persuaderci che la guida non era sempre la stessa, e forse ora era un angelo del Signore, ora qualche allievo defunto, ora S. Francesco di Sales, ora S. Giuseppe, o altri santi. Altre volte disse esplicitamente di essere stato accompagnato da Luigi Comollo, o Domenico Savio, o Luigi Colle. Talvolta poi intorno a questi personaggi la scena si dilatava con apparizioni simultanee che loro facevano corteggio o compagnia.

 

 

CAPO XV. Terza Parlata di Don Bosco: - Un altro sogno: la via della perdizione: i lacci del demonio: la discesa nell'inferno: i giovani che vi precipitano: l'entrata nel carcere eterno: un'immensa caverna di fuoco e pena dei sensi: smanie dell'anima, furori, odii, urla disperate: i vermi del rimorso: la sala dei giudizi di Dio: le minacce della giustizia aprono la strada al pentimento ed alla misericordia: Don Bosco è ricondotto all'ultimo recinto presso la porta: la guida lo costringe a toccare quel muro ed egli si sveglia per l'orribile bruciore sentito - Don Bosco promette ai giovani che darà spiegazioni e farà istruzioni sugli argomenti morali del sogno - Alcune note.

 

                LA domenica sera 3 maggio, festa del patrocinio di S. Giuseppe, Don Bosco ripigliò il racconto di quanto aveva visto nei sogni:

                 - Debbo, incominciò, raccontarvene un altro, che si può dire conseguenza di quelli che vi narrai venerdì e giovedì sera, i quali mi lasciarono affranto in modo da non poter più reggere. Voi chiamateli sogni o date loro altro nome... insomma chiamateli come volete.

                “Vi ho detto di un rospo spaventevole che nella notte del 17 aprile minacciava d'ingoiarmi e come al suo scomparire una voce mi disse: - Perchè non parli? - Io mi volsi dalla parte dalla quale era partita questa voce e vidi a fianco del mio letto un personaggio distinto. Avendo inteso il motivo di quel rimprovero, gli chiesi: [167]

                 - E che cosa dovrò dire ai nostri giovani?

                 - Ciò che hai visto e ti fu detto negli ultimi sogni e quel di più che desideravi conoscere e che ti sarà svelato la notte ventura!

                E si dileguò.

                Io quindi tutto l'indomani andai pensando alla brutta notte che avrei dovuto passare e, giunta la sera, non potei determinarmi di andare a dormire. Stetti al tavolino leggicchiando fino alla mezzanotte. Mi riempiva di terrore l'idea di aver da vedere ancora altri spettacoli paurosi. Al fine mi feci violenza e mi coricai”.

                E così continuò il racconto:

 

                Per non addormentarmi così presto, per timore che l'immaginazione mi portasse ai soliti sogni, appoggiai il capezzale ad muro ed alla lettiera, cosicchè stava quasi seduto sul letto. Ma tosto, stanco quale era, fui preso dal sonno senza accorgermene. Ed ecco all'improvviso vidi nella camera, vicino al letto, l'uomo della notte antecedente (da lui chiamato più volte l'uomo del bonetto, o del berretto), il quale mi disse:

                 - Alzati e vieni con me!

                Risposi: - Ve lo domando per carità! Lasciatemi stare, chè sono troppo stanco! Guardate! Sono qui da parecchi giorni tormentato dal male dei denti. Lasciatemi riposare. Ho fatto sogni spaventosi: sono spossato di forze. - Diceva anche ciò, perchè l'apparizione di questo uomo è sempre segnale di grandi agitazioni, di stanchezza e di spavento.

                Quegli mi rispose:

                 - Alzati che non v'è tempo da  perdere.

                Allora mi alzai e lo segui. Cammin facendo lo interrogava: Dove vuoi condurmi adesso?

                 - Vieni e vedrai.

                E mi condusse in un luogo, ove stendevasi una vasta pianura. Volsi lo sguardo attorno, ma di quella regione da nessuna parte vedeva i confini, tanto era sterminata. Era un vero deserto. Non compariva anima vivente. Non vi si vedeva una sola pianta, non alcun fiume, l'erba gialla e secca presentava un triste spettacolo. Non sapeva né dove mi trovassi, né cosa fossi per fare. Per un istante più non vidi la mia guida. Temetti di essermi smarrito. Non vi era più né D. Rua, né D. Francesia, né altri. Quand'ecco scopro l'amico che mi veniva incontro. Respirai e:

                 - Dove sono io? gli chiesi. [168]

                 - Vieni con me e vedrai!

                 - Bene: verrò teco!

                Egli s'incamminò pel primo ed io lo seguiva senza parlare. Dopo un lungo e mesto viaggio, Don Bosco, pensando che doveva attraversare tanta vastità di pianura, diceva fra sé:

                 - Poveri i miei denti! povero me con le gambe gonfie, .....

                Ma tutto ad un tratto si aperse innanzi a me una strada. Allora ruppi il silenzio, domandando alla guida: - Dove dobbiamo andare adesso?

                 - Per di qua; rispose.

                E c'inoltrammo per quella via. Era bella, larga, spaziosa e ben selciata (Via peccantium complanata lapidibus, et in fine illorum inferi, et tenebrae, et poenae - Ecclesiastico XXI, II). Di qua e di là sulle sponde del fosso la fiancheggiavano due magnifiche siepi verdi e coperte di vaghi fiori. Le rose specialmente spuntavano da tutte parti tra le foglie. Questa via a colpo d'occhio sembrava piana e comoda ed io mi sono messo per essa, nulla sospettando. Ma proseguendo nel cammino m'accorsi che questo insensibilmente piegava ingiù e benchè la via non sembrasse precipitosa, pure io correva con tanta facilità che mi pareva di essere portato per aria. Anzi mi avvidi di avanzarmi senza quasi muovere i piedi. Rapida era la nostra corsa. Riflettendo allora che il ritornare indietro per una via così lunga sarebbe costato molta fatica e stento, dissi all'amico:

                 - E come faremo a ritornare nell'Oratorio?

                 - Non ti affannare, mi rispose; il Signore è onnipotente e vuole che tu vada. Colui che ti conduce e ti insegna ad andare innanzi, saprà pur anco ricondurti indietro.

                La strada scendeva sempre. Seguitavamo il cammino tra i fiori e le rose, quando sul nostro stesso sentiero vidi inoltrarsi dietro di me tutti i giovani dell'Oratorio con moltissimi compagni da me mai veduti; ed io mi trovai in mezzo a loro. Mentre io li osservava a un tratto io vedo che or l'uno or l'altro cadeva ed erano in un momento strascinati da forza invisibile verso un'orribile discesa, intravveduta alquanto lontana, che poi vidi metter capo in una fornace. Domandai al mio compagno. - Che cosa è che fa cadere questi giovani? (Funes extenderunt in laqueum; iuxta iter scandalum posuerunt, Ps. 139).

                 - Avvicinati un po' più, mi rispose.

                Mi avvicinai e vidi che i giovani passavano fra molti lacci, alcuni erano rasente a terra, altri all'altezza del capo; questi non si vedevano. Quindi molti giovani camminando restavano presi da questi lacci, senza accorgersi di quel pericolo; e nell'atto di restar avvinti facevano un salto, poi rimanevano a terra colle gambe in aria, quindi alzatisi si mettevano a correre precipitosamente verso il baratro. Chi restava allacciato per la testa, chi pel collo, chi per le mani, chi per un braccio, chi per una gamba, chi pei fianchi, ed erano all'istante tirati giù.  [169] I lacci posti per terra parevano di stoppa, appena visibili, somiglianti a fili di ragno e però non sembravano atti a far gran male. Eppure vidi che anche i giovani presi da questi lacci quasi tutti cadevano per terra.

                Io era meravigliato e la guida mi disse: - Sai che cosa è questo?

                 - È solamente un poco di stoppa, risposi.

                 - Anzi è niente, mi soggiunse; non è altro che il rispetto umano.

                Intanto vedendo che molti continuavano ad incappare nei lacci, chiesi: - Come va che tanti per mezzo di questi fili restano legati? Chi è che li strascina così?

                Ed egli: - Avvicinati ancora, guarda e vedrai!

                Guardai un poco e poi dissi: - Ma io non vedo nulla.

                 - Guarda un po' bene, mi ripeté.

                Presi infatti uno di questi lacci, lo tirai a me e trovai che l'estremità non veniva; tirai ancora su un poco, ma non potei vedere dove andasse a finire quel filo, anzi sentiva che io stesso ero tirato. Allora seguitai quel filo e giunsi alla bocca di una spaventevole caverna. Mi fermai, perchè non volevo entrare in quella voragine, e tirai a me quel filo e mi accorsi che veniva alquanto: ma bisognava fare un grande sforzo. Ed ecco, dopo aver molto tirato, a poco a poco uscir fuori un brutto e grande mostro che faceva ribrezzo, il quale teneva fortemente cogli unghioni l'estremità di una fune alla quale erano legati insieme tutti quei lacci. Era costui che appena cadeva qualcheduno in quelle maglie lo strascinava immediatamente a sé. Dissi fra me: - È inutile giuocare di forza con questo brutto ceffo, perchè non lo vinco; è meglio combatterlo col segno della santa croce e con giaculatorie.

                Ritornai pertanto vicino alla mia guida, la quale mi disse: - Adesso sai chi é?

                 - Oh sì che lo so! È il demonio che tende questi lacci per far cadere i miei giovani nell'inferno.

                Osservai con attenzione i molti lacci e vidi che ciascuno portava scritto il proprio titolo; il laccio della superbia, della disubbidienza, dell'invidia, del sesto comandamento, del furto, della gola, dell'accidia, dell'ira, ecc. Ciò fatto mi posi alquanto indietro per osservare quali di questi lacci prendessero maggior numero di giovani e vidi che erano quelli della disonestà, della disubbidienza e della superbia. A quest'ultimo erano legati insieme gli altri due. Dopo questi vidi molti altri lacci che facevano grande strage ma non tanto quanto i primi due. Non cessando di osservare vidi molti giovani i quali correvano con maggior precipizio degli altri e chiesi: - Perchè quella velocità?

                 - Perché, mi fu detto, sono tirati dai lacci del rispetto umano.

                Guardando ancora più attentamente vidi che fra questi lacci vi erano molti coltelli sparsi qua e là da una mano provvidenziale che servivano a tagliarli o romperli. Il coltello più grosso era contro il laccio della superbia e simboleggiava la meditazione. Un altro coltello [170] assai grosso, ma più piccolo del primo, significava la lettura spirituale ben fatta. Eranvi di più due spade. Una di esse indicava la divozione al SS. Sacramento, specialmente colla frequente comunione; l'altra la divozione alla Madonna. Vi era pure un martello: la confessione. E v'erano altri coltelli, simboli delle varie divozioni a S. Giuseppe, a S. Luigi, ecc., ecc. Con queste armi non pochi rompevano il loro laccio quando erano presi o si difendevano per non essere legati.

                Infatti vidi dei giovani che passavano fra questi lacci in maniera che non restavano mai presi; ora passavano prima che il laccio cadesse, e se passavano quando il laccio cadeva, sapevano schermirsene, e questo o batteva loro sulle spalle, o sopra la schiena, o di qua e di là, senza coglierli.

                Quando la guida conobbe che avevo osservata ogni cosa, mi fece continuare la via fiancheggiata dalle rose, ove di mano in mano che mi inoltrava, le rose della siepe divenivan più rare e incominciavano a vedersi lunghe spine. Indi, per quanto guardassi, più non scoprivasi una rosa; e in ultimo la siepe era divenuta tutta spinosa, arsa dal sole e senza foglie: poi dai cespugli, sparsi, secchi, partivano rami i quali serpeggiando pel suolo lo ingombravano, seminandolo talmente di spine che a mala pena si poteva camminare. Eravamo giunti in un avvallamento, le cui ripe celavano tutte le regioni circostanti; e la strada, che andava sempre declinando, diventava orrida, disselciata, sparsa di fossi, di scaglioni, di ciottoli e macigni arrotondati. Aveva perduto di vista tutti i miei giovani, moltissimi dei quali erano usciti da quella via insidiosa prendendo altri sentieri.

                Continuai il cammino. Più mi avanzava, più quella discesa era aspra, rapida, sicchè alcune volte io sdrucciolava, dando degli stramazzoni per terra, ove restava seduto per riprendere un po' di fiato. Di tempo in tempo la guida mi sorreggeva e mi rialzava. Ad ogni passo le giunture mi si piegavano e sembrava che gli stinchi mi si staccassero. Io diceva ansando alla mia guida:

                 - Ma, mio caro! Le gambe mie non possono più reggermi. Così affranto come sono, non è possibile che possa continuare il viaggio.

                La guida non mi rispose, ma facendomi animo continuò il suo cammino; finché, vedendomi tutto sudato e stanco a morte, mi condusse sopra un piccolo pianerottolo, formato dalla stessa strada. Sedetti, tirai un lungo respiro, e lui sembrò di riposare alquanto. In quel mentre guardava, in su, la strada che aveva già fatta: sembrava a picco, sparsa di punte e ciottoli staccati. Guardava in giù la strada che doveva ancor fare e chiudeva gli occhi per raccapriccio, finchè esclamai:

                 - Torniamo indietro per carità. Se ci avanziamo ancora, come faremo a ritornare nell'Oratorio? È impossibile che possa ascendere poi questa salita!  [171] E la guida risolutamente mi rispose:

                 - Ora che siam giunti a questo punto, vuoi rimaner solo?

                A questa minaccia esclamai con voce lamentevole:

                 - Senza di te come potrei ritornare indietro o continuare il viaggio? !

                 - Ebbene, seguimi; soggiunge la guida.

                Mi alzai e continuammo a discendere. La strada diventava sempre spaventosamente scoscesa di modo che quasi non poteva star ritto in piedi.

                Ed ecco in fondo a questo precipizio, che riusciva in una valle oscura, comparire un edifizio immenso che in faccia alla nostra via aveva una porta altissima, serrata. Toccammo il fondo del precipizio. Un caldo soffocante mi opprimeva e un fumo grasso, quasi verde, si innalzava su quei muraglioni solcato da guizzi di fiamme sanguigne. Levo gli occhi a quelle mura; erano più alte d'una montagna. D. Bosco domandò alla guida: - Dove ci troviamo? Che cosa è questo?

                 - Leggi, mi rispose, su quella porta; e dall'iscrizione conoscerai dove siamo! - Guardai e sovra la porta stava scritto: Ubi non est redemptio. Mi avvidi che eravamo alle porte dell'inferno. La guida mi condusse a girare intorno alle mura di quella orribile città. Di quando in quando, a regolare distanza, si vedeva una porta di bronzo come la prima, ai piedi di una discesa rovinosa, e tutte avevano sopra un'iscrizione diversa dalle altre. Discedite, maledicti, in ignem aeternum qui paratus est diabolo et angelis eius ... Omnis arbor quae non facil fructum bonum excidetur et in ignem mittetur. Io presi il taccuino per copiare quelle iscrizioni; e la guida mi disse: - Fermati! Cosa fai?

                 - Prendo nota di queste iscrizioni.

                 - Non fa bisogno: le hai tutte nella Scrittura: anzi alcune tu le hai già stampate sotto i portici.

                A siffatto spettacolo io avrei desiderato ritornare indietro e portarmi all'Oratorio; e avevo fatto qualche passo, ma la guida non si voltò. Percorremmo un immenso profondissimo burrone e ci trovammo nuovamente ai piedi di quella precipitosa via che avevamo discesa, in faccia a quella prima porta. A un tratto la guida si voltò indietro e, tutta oscura e contratta in volto, mi fe' cenno colla mano di ritirarmi, dicendo:

                 - Osserva!

                Tremante, volsi gli occhi in su e vidi ad una gran distanza, su quella rapida via, uno che veniva giù precipitosamente. Di mano in mano che si avvicinava cercavo di fissarlo in volto e in ultimo riconobbi in lui uno dei miei giovani. I suoi capelli scarmigliati eran parte ritti sul capo, parte svolazzanti indietro per effetto dell'aria; e le braccia tese in avanti, come in atto di uno che nuota per scampare dal naufragio. Voleva fermarsi e non poteva. Batteva coi piedi sulle pietre sporgenti, e quelle pietre servivano per dargli maggiormente [172] la spinta. Io gridava: - Corriamo, fermiamolo, aiutiamolo e sporgeva le mani verso di lui.

                E la guida:

                 - No, lascia.

                 - E perchè non posso fermarlo?

                 - E non sai tu quanto sia tremenda la vendetta di Dio? Credi tu di poter fermare uno che fugge dall'ira accesa del Signore?

                Intanto quel giovane, volgendo indietro il capo e guardando cogli occhi affocati per vedere se l'ira di Dio l'inseguisse sempre, precipitava al fondo, e andava a sbattere nella porta di bronzo come se nella sua fuga non avesse trovato scampo migliore.

                 - E perché, io domandava, quel giovane guarda indietro così spaventato?

                 - Perchè l'ira di Dio passa tutte le porte dell'inferno e va a tormentarlo anche in mezzo al fuoco.

                Infatti a quell'urto, rimbombando per l'aprirsi dei suoi catenacci, la porta si spalancò. E dietro di essa se ne aprirono contemporaneamente, con un lungo boato assordante, due, dieci, cento, mille altre, spinte dall'urto del giovane, trasportato come da un turbine invisibile, irresistibile, velocissimo. Tutte queste porte di bronzo, una in faccia all'altra, benchè a grande distanza, essendo rimaste aperte per un istante, vidi in fondo in fondo lontanissima come una bocca di fornace, e da quella voragine, mentre il giovane vi si sprofondava, sollevarsi globi di fuoco. E le porte tornarono a chiudersi colla stessa rapidità colla quale si erano aperte. Allora io presi il portafoglio per scrivere nome e cognome di quell'infelice, ma la guida m'afferrò il braccio e: - Férmati, e osserva di nuovo - m'intimò.

                Osservava ed ecco nuovo spettacolo. Vidi precipitare da quella discesa tre altri giovani delle nostre case, che in forma di tre macigni rotolavano rapidissimi uno dietro all'altro. Avevano le braccia aperte e urlavano per lo spavento. Giunsero in fondo e andarono a sbattere alla prima porta. Don Bosco in quell'istante li conobbe tutti tre. E la porta si aperse, e dietro ad essa le altre mille; i giovani furono spinti in quel lunghissimo andito, si udì un prolungato rumore infernale che sempre più si allontanava e quelli scomparvero e le porte si chiusero. Molti altri a quando a quando caddero dietro a questi. Vidi precipitarvi un poverino spinto con urtoni da un perfido compagno. Altri cadevano soli, altri in compagnia; altri stretti per braccio, altri distaccati, ma vicini al fianco. Tutti avevano scritto in fronte il proprio peccato. Io li chiamava affannoso mentre cadevano giù. Ma i giovani non mi udivano, rimbombavano le porte infernali, aprendosi, poi si chiudevano e succedeva un silenzio mortale.

                 - Ecco una causa precipua di tante dannazioni! - esclamò la mia guida: i compagni e i libri cattivi e le perverse abitudini,  [173] I lacci visti prima erano quelli che traevano i giovani al precipizio. Vedendone cader tanti, dissi con accento disperato:

                 - Ma dunque è inutile che noi lavoriamo nei nostri collegi, se tanti giovani fanno questa fine! Non vi sarà rimedio per impedire tutte queste rovine di anime?

                E la guida rispose: - Questo è il loro stato attuale e se morissero verrebbero senz'altro qui.

                 - O dunque lasciamene notare i nomi perchè io possa avvertirli e metterli sulla via del paradiso.

                 - È credi tu che certuni avvisati si emenderebbero? Per quel momento l'avviso li colpirà: poi vi passeran sopra dicendo: è un sogno! e torneranno peggiori di prima. Altri poi, vedendosi scoperti, frequenteranno i sacramenti, ma la cosa non sarà più spontanea e meritoria, perchè non ben fatta. Altri si confesseranno pel solo momentaneo timore dell'inferno, ma non distaccando dal cuore l'attacco al peccato.

                 - Dunque per questi disgraziati non ci sarà più remissione? Dammi un avviso speciale per salvarli.

                 - Ecco: hanno i superiori, li obbediscano; hanno le regole, le osservino; hanno i Sacramenti, li frequentino.

                In quel mentre precipitando un nuovo stuolo di giovani, quelle porte stettero aperte per un istante, e

                 - Vieni dentro anche tu! - mi disse la guida.

                Indietreggiai inorridito. Io era smanioso di ritornare all'Oratorio per avvisare i giovani e per fermarli, acciocchè altri ancora non si perdessero. Ma la guida insistette.

                 - Vieni, chè imparerai più di una cosa. Ma prima dimmi: vuoi andar solo o accompagnato? - Così disse perchè riconoscessi l'insufficienza delle mie forze e nello stesso tempo la necessità della sua benevola assistenza; ond'io risposi:

                 - Là, solo, in quel luogo d'orrore? senza il conforto della tua bontà? Chi potrà insegnarmi la via del ritorno?

                E a un tratto mi sentii pieno di coraggio, pensando tra me: prima di andare all'inferno bisogna presentarsi al giudizio, ed io al giudizio non sono ancora andato! - Quindi esclamai risolutamente: - Entriamo pure!

                Entrammo in quello stretto e orribile corridoio! Si correva colla rapidità del baleno Sovra ognuna delle porte interne splendeva con fosca luce un'iscrizione minacciosa. Come si finì di percorrerlo, sboccammo in un vasto e tetro cortile, in fondo al quale trovavasi un portello brutto, grosso, di cui non vidi mai il peggiore, sul quale stavano scritte queste parole: Ibunt impii in ignem aeternum. Tutto intorno, le mura erano coperte d'iscrizioni. Io chiesi alla mia guida il permesso di leggerle e quella mi rispose:

                 - A tuo bell'agio. [174] Allora osservai da per tutto. In un luogo vidi scritto: - Dabo ignem in carnes eorum ut comburantur in sempiternum. - Cruciabantur die ac nocte in saecula saeculorum. - Ed altrove: Hic universitas mal rum per omnia saecula saeculorum. - In altri luoghi: Nullus est hic ordo, sed orror sempiternus inhabitat - Fumus tormentorum suorum in aeternum ascendit - Non est pax impiis - Clamor et stridor dentium.

                Mentre io andava attorno leggendo quelle iscrizioni, la guida rimasta in mezzo al cortile, si avvicinò e mi disse:

                 - Da questo punto in avanti nessuno potrà più avere un compagno che lo sostenga, un amico che lo conforti, un cuore che lo ami, uno sguardo compassionevole, una parola benevola; abbiamo passata la linea. E tu vuoi vedere o provare?

                 - Voglio solamente vedere! risposi.

                 - Vieni dunque con me, soggiunse l'amico; e mi prese per mano, mi condusse innanzi a quel portello e l'aperse. Questo metteva in un andito in fondo al quale era una grande specola chiusa da una larga finestra di un solo cristallo alto dal pavimento fino alla volta a traverso della quale si poteva scorgere dentro. Feci un passo al di là della soglia e mi fermai subito in preda ad un terrore indescrivibile. Mi si presentò allo sguardo una specie d'immensa caverna che andava perdendosi in anfrattuosità incavate quasi nelle viscere dei monti, tutte piene di fuoco, non già come noi lo vediamo sulla terra colle fiamme guizzanti, ma tale che tutto là entro era arroventato e bianco pel gran calore. Mura, volte, pavimento, ferro, pietre, legna, carbone, tutto era bianco e smagliante. Certo quel fuoco sorpassava mille e mille gradi di calore; e nulla inceneriva, nulla consumava. Io questa spelonca non ve la posso descrivere in tutta la sua spaventosa realtà. ( Praeparata est enim ab heri Thopheth, a rege praeparata, pro  funda, et dilatata. Nutrimenta eius, ignis et ligna multa: flatus Domini sicuttorrens sulphuris succendens eam - Isaia XXX, 33).

                Mentre stavo tutto attonito guardando, ecco da un varco venire a tutta furia un giovane che quasi di nulla si accorgesse, mandando un acutissimo urlo, come uno che stesse per cadere in un lago di bronzo liquefatto, precipita nel mezzo, si fa bianco come tutta la caverna, e resta immobile, risuonando ancora per un istante l'eco della sua voce morente.

                Pieno di orrore guardai alcun poco quel giovane e mi parve uno dell'Oratorio, uno dei miei figliuoli.

                 - Ma costui non è uno dei miei giovani? chiesi alla guida: non è il tale?

                 - Eh sì, mi rispose.

                 - Ma perché, soggiunsi, non muta la presa posizione? Perchè è così incandescente e non consuma?

                Ed egli: - Tu hai scelto di vedere e perciò ora non parlare: guarda e vedrai. Del resto omnis enim igne, salietur et omnis victima sale salietur. [175] Avevo appena di nuovo rivolto lo sguardo ed ecco un altro giovane con furore disperato e grandissima velocità corre e precipita nella medesima caverna. Era pur esso dell'Oratorio. Appena caduto, più non si mosse. Egli pure aveva mandato un sol grido straziante e la sua voce si era confusa con l'ultimo, mormorio del grido di colui che era caduto prima. Dopo questo arrivarono col medesimo capitombolo altri e il numero loro vieppiù si aumentava e tutti mandavano lo stesso grido e diventavano immobili, arroventati, come coloro che li avevano preceduti. Io osservava che il primo era rimasto con una mano in aria e con un piede similmente sospeso in alto. Il secondo era rimasto come curvato a terra. Chi aveva i piedi in aria, chi la faccia al suolo. Questi quasi sospesi sostenendosi con un sol piede ed una sola mano: quelli o seduti o sdraiati: gli uni appoggiati sopra un fianco, gli altri in piedi o in ginocchio, colle mani fra i capelli. Era insomma una larga schiera di giovani, come statue, in posizioni una più dolorosa dell'altra. Ce ne vennero altri ancora in quella fornace, ed erano giovani che in parte io conosceva, in parte mi erano sconosciuti. Mi ricordai allora di quello che sta scritto nella Bibbia, che come si cade la prima volta nell'inferno, così si starà in eterno: Lignum, in quocumque loco ceciderit, ibi erit.

                Cresceva in me lo spavento e chiesi alla guida:

                 - Ma costoro, correndo con tanta velocità, non lo sanno che vengono qui?

                 - Oh sì che lo sanno di andare al fuoco: furono avvisati le mille volte: ma corrono, e volontariamente, per il peccato che non detestano e non vollero abbandonare, perchè disprezzarono e respinsero la misericordia di Dio che incessantemente chiamavali a penitenza: e quindi la divina giustizia, provocata, li spinge, li incalza, li perseguita e non possono fermarsi se non giunti in questo luogo.

                 - Oh quale deve essere la disperazione di questi disgraziati che non hanno più speranza di uscirne! - esclamai.

                 - Tu vuoi conoscere le intime smanie e i furori delle loro anime? Avvicinati un po' di più, mi rispose la guida.

                Feci alcuni passi avanti verso la finestra e vidi che molti di quei miserabili s'infliggevano a vicenda colpi e fiere ferite, e si mordevano come cani rabbiosi; altri si graffiavano la faccia, si laceravano le mani, si stracciavano le carni e queste con dispetto gettavano in aria. In quel momento tutto il coperchio di quella spelonca era divenuto come di cristallo attraverso del quale s'intravvedeva un lembo di cielo e le figure luminose dei compagni salvi in eterno.

                E que' dannati fremevano d'invidia feroce, respirando affannosamente, poichè i giusti erano una volta riguardati da loro come oggetto di derisione (Peccator videbit et irascetur; dentibus suis fremet et tabescet).

                Interrogai la guida:  [176]

                 - Dimmi ancora: perchè non odo alcuna voce?

                 - Avvicìnati ancor più! mi gridò.

                Mi recai presso il cristallo della finestra e udii che gli uni urlavano e piangevano storcendosi; altri bestemmiavano, ed imprecavano ai santi. Era un tumulto di voci e grida, alte e confuse, per cui richiesi al mio amico:

                 - Che cosa dicono? che cosa gridano?

                Ed egli:

                 - Ricordando la sorte dei loro buoni compagni, essi sono costretti a confessare: Nos insensati! vitam illorum aestimabamus insaniam et finem illorum sine honore. Ecce quomodo computati sunt inter filios Dei et inter sanctos sors illorum est. Ergo erravimus a via veritatis. Perciò gridano: Lassati sumus in via iniquitatis et perditionis. Erravimus per vias difficiles, viam autem Domini ignoravimus. - Quid nobis profuit superbia? - Transierunt omnia illa tamquam umbra. Son questi i canti lugubri che qui risuoneranno per tutta l'eternità. Ma inutili grida, inutili sforzi, inutili pianti. Omnis dolor irruet super eos! Qui non c'è più tempo; qui havvi solo l'eternità.

                Mentre pieno d'orrore contemplava lo stato di molti miei giovani, all'improvviso un pensiero si fe' strada nella mia mente.

                 - Ma come è possibile che coloro i quali si trovano qui, siano tutti dannati? Quei giovani ancor ieri sera erano in vita nell'Oratorio!

                E l'amico a me:

                 - Quelli che vedi qui sono tutti morti alla grazia di Dio e se morissero adesso e continuassero a fare come fanno al presente sarebbero dannati. Ma non perdiamo tempo: andiamo avanti.

                E mi allontanò da quel luogo e per un corridoio che scendeva come in un profondo sotterraneo inferiore mi condusse in un altro, sull'entrata del quale era scritto: - Vermis eorum non moritur, et ignis non extinguitur... Dabit Dominus omnipotens ignem et vermes in carnes eorum, ut urantur et sentiant usque in sempiternum (Judith. XVI, 21). Qui era lo spettacolo dei rimorsi, e quanto atroci, di coloro che furono educati nelle nostre case!

                Il ricordo di tutti i singoli peccati non rimessi e della giusta condanna; di avere avuto mille mezzi anche straordinari per convertirsi al Signore, per essere perseveranti nel bene, per guadagnare il paradiso! Il ricordo di tante grazie promesse, offerte e date da Maria Santissima e non corrisposte! Potersi salvare con poco ed essere irremissibilmente perduti! Ricordarsi di tanti buoni proponimenti fatti e non mantenuti! Ah! di buone intenzioni inefficaci è pur troppo pavimentato l'inferno, dice il proverbio.

                E là rividi tutti i giovani dell'Oratorio visti poco prima in quella fornace, dei quali alcuni in questo istante mi ascoltano, altri sono già stati qui con noi, e molti che io non conosceva. Mi avanzai ed osservai che tutti erano carichi di vermi e di schifosi animali che li [177] rodevano e consumavano nel cuore, negli occhi, nelle mani, nelle gambe, nelle braccia, da per tutto e così miserabilmente che a parole non so spiegare. Stavano immobili, esposti ad ogni sorta di molestie e non potevano in modo alcuno difendersi. Io mi feci ancor più avanti e più vicino perchè mi vedessero, sperando di poter parlare ad essi e che mi avrebbero detto qualche cosa, ma nessuno né parlava, né mi guardava. Domandai allora alla guida la cagione di ciò e mi fu risposto che nell'altro mondo pei dannati non vi è più libertà: ognuno là soffre tutto il castigo che Dio gli impone e non poter essere altrimenti e senza mutazione di sorta: e soggiunse:

                 - Ora bisogna che vada anche tu in mezzo a quella regione di fuoco che hai visto

                 - No, no, risposi esterrefatto. Per andare all'inferno, bisogna prima andare al giudizio: ed io non vi fui ancora. Dunque non voglio andare all'inferno!

                 - Dimmi, osservò l'amico: ti par meglio andare nell'inferno e liberare i tuoi giovani, ovvero startene fuori e lasciar essi fra tanti strazi?

                Sbalordito a questa proposta, risposi:

                 - Oh! i miei giovani io li amo molto e li voglio tutti salvi! Ma non potremmo fare in modo da non andar là entro né io né gli altri?

                 - Eh! mi rispose l'amico, sei ancora in tempo, e lo sono essi pure, purchè tu faccia tutto quello che puoi il mio cuore si allargò e dissi subito fra me: - Poco m'importa il lavorare, purchè io possa liberare da tanti tormenti questi miei cari figliuoli.

                 - Dunque vieni dentro, proseguì l'amico: e vedi la bontà e l'onnipotenza di Dio, che amorosamente adopera mille mezzi per condurre a penitenza i tuoi giovani e salvarli dalla morte eterna.

                E mi prese per mano per introdurmi nella caverna. Al primo mettervi piede mi trovai all'improvviso trasportato in una magnifica sala con porte di cristallo. Su queste, a distanze regolari, pendevano larghi veli i quali coprivano altrettanti vani comunicanti colla caverna.

                La guida mi indicò uno di que' veli sul quale era scritto: Sesto Comandamento; ed esclamò: - La trasgressione di questo, ecco la causa della rovina eterna di tanti giovani.

                 - Ma non si sono confessati?

                 - Si sono confessati, ma le colpe contro la bella virtù le hanno confessate male o taciute affatto. Ad es. uno che di questi peccati ne aveva commessi quattro o cinque, disse solo di due o tre. Vi sono di quelli che ne hanno commesso uno nella fanciullezza ed ebbero sempre vergogna di confessarlo, oppure l'hanno confessato male e non hanno detto tutto. Altri non ebbero il dolore e il proponimento. Anzi taluni, invece di far l'esame, studiavano il modo d'ingannare il confessore. E colui che muore con tale risoluzione, risolve di essere [178] nel numero dei reprobi, e così sarà per tutta l'eternità. Solo quelli che pentiti di vero cuore, muoiono colla speranza dell'eterna salute, saranno eternamente felici. Ed ora vuoi vedere perchè la misericordia di Dio qui ti ha condotto? - Alzò il velo e vidi un gruppo di giovani dell'Oratorio, che io tutti conosceva, condannati per questa colpa. Fra essi v'erano di quelli che ora in apparenza tengono buona condotta.

                 - Almeno adesso, domandai, mi lascierai scrivere i nomi di questi giovani per poterli avvertire in particolare?

                 - Non fa bisogno, mi rispose.

                 - Che cosa dunque ho da dir loro?

                 - Predica dappertutto contro l'immodestia. Basta avvisarli in generale, e non dimenticare che se anche tu li avvertissi, promette ranno, ma non sempre fermamente. Per ottenere questo ci vuole la grazia di Dio, la quale, chiesta, non mancherà mai ai tuoi giovani. Dio buono manifesta specialmente la sua potenza nel compatire e nel perdonare. Preghiera adunque e sacrifizio da parte tua. E i giovani ascoltino i tuoi ammaestramenti, interroghino la loro coscienza ed essa suggerirà loro quanto debbono fare.

                E qui parlammo per circa mezz'ora sulle condizioni necessarie per fare una buona confessione. La guida quindi ripeté varie volte con forte voce:

                 - Avertere! ... Avertere! ...

                 - E che cosa significa questa tua esclamazione?

                 - Mutar vita, mutar vita!

                Io tutto confuso per quella rivelazione chinai il capo e stava per ritirarmi, ma quegli mi richiamò e disse: - Non hai ancora veduto tutto, - E si voltò da un'altra parte e alzò un altro gran velo sul quale stava scritto: - Qui volunt divites fieri, incidunt in tentationem et laqueum diaboli. Lessi e dissi: - Questo non fa per i miei giovani, perchè sono poveri, come son povero io; non siamo ricchi, né cerchiamo di divenirlo. Non ci pensano nemanco!

                Rimosso il velo, nello sfondo era apparso un certo numero di giovani, tutti da me conosciuti, sofferenti come quelli già visti prima, e colui, additandomeli: - Oh! sì che fa per i tuoi giovani quell'iscrizione: - mi rispose.

                 - Dammi dunque la spiegazione di questo divites.

                Ed egli: - Per esempio alcuni de' tuoi giovani hanno il cuore attaccato ad un oggetto materiale sicchè l'affetto ad esso li distoglie dall'amore di Dio e mancano perciò alla carità, alla pietà ed alla mansuetudine. Non solo si può pervertire il cuore coll'uso delle ricchezze, ma anche col desiderarle, tanto più se il desiderio offende la giustizia. I tuoi giovani sono poveri: ma sappi che la gola e l'ozio sono pessimi consiglieri. Vi ha taluno che al paese si rese colpevole di furti anche rimarchevoli, e, potendolo, non pensa alla restituzione. [179] Vi ha chi studia di aprire coi grimaldelli le dispense: e chi tenta di penetrare nelle stanze del Prefetto o dell'Economo: chi va a frugare nei bauli dei compagni per rubare commestibili o danari o altri oggetti: chi fa raccolta per suo uso di quaderni e di libri...

                Di costoro e di altri egli mi disse i nomi, e continuò: - Alcuni trovansi qui per essersi appropriati oggetti di vestiario, biancheria, coperte e mantelli che appartenevano alla guardaroba dell'Oratorio, per mandarli alle case loro. Alcuni per qualche altro grave danno recato volontariamente e non riparato. Altri per non aver restituito oggetti e cose che si erano fatti imprestare: e qualcuno per aver ritenuto somme di danaro che gli erano state affidate perchè le consegnasse al Superiore.

                E conchiuse: - E poichè questi tali ti furono indicati, avvisali, di' loro che respingano gli inutili e nocivi desiderii, che siano obbedienti alla legge di Dio e gelosi del loro onore, altrimenti la cupidigia li spingerà a peggiori eccessi, che li sommergeranno nei dolori, nella morte e nella perdizione.

                Io non sapeva darmi ragione come per certe cose così poco considerate dai nostri giovani fossero preparate pene tanto terribili. Ma l'amico troncò le mie riflessioni, dicendomi: - Rammenta quello che ti fu detto allo spettacolo dei grappoli guasti sulla vite - e alzò un altro velo che nascondeva molti altri nostri giovani che tutti io subito conobbi e che sono nell'Oratorio. Sul velo era scritto: - Radix omnium malorum. - E subito mi interrogò: - Sai che cosa ciò significa? quale sia il peccato che indica questa epigrafe?

                 - Mi pare che non sia altro che la superbia?

                 - No! egli rispose.

                 - Eppure io ho sempre sentito a dire che radice di ogni peccato è la superbia.

                 - Sì! in generale si dice che è la superbia; ma in particolare sai che cosa è che fece cadere Adamo ed Eva nel primo peccato, pel quale essi furono scacciati dal paradiso terrestre?

                 - La disubbidienza.

                 - Appunto; la disubbidienza è la radice di ogni male.

                 - E che cosa devo dire ai miei giovani su questo punto?

                 - Sta' attento: quei giovani che tu vedi qui sono i disubbidienti che si vanno preparando un così lagrimevole fine. I tali e i tali altri che tu credi siano andati a riposo, di notte tempo scendono a passeggiare in cortile e, non curando le proibizioni, vanno in luoghi pericolosi e sui ponti di fabbrica delle nuove costruzioni mettendo a rischio anche la loro vita. Alcuni, non ostante le prescrizioni delle regole, vanno in chiesa e non vi stanno a dovere: invece di pregare pensano a tutt'altro e fabbricano nella loro mente castelli in aria: altri disturbano. Vi sono di quelli che cercano di appoggiarsi o di trovare un bel posto per adagiarsi e dormire nel tempo delle [180] sacre funzioni; ed altri tu credi che vadano in chiesa e non ci vanno. Guai a chi trascura la preghiera! Chi non prega si danna! Vi sono qui alcuni, perchè invece di cantare le laudi sacre o l'ufficio della Beata Vergine, leggono libri tutt'altro che di chiesa e certuni, il che è di gran vergogna, leggono persino libri proibiti. - E continuò ad enumerare varie altre trasgressioni che son causa di gravi disordini.

                Come ebbe finito, commosso lo fissai in volto; egli guardò me ed io gli dissi ancora:

                 - E tutte queste cose potrò riferirle ai miei giovani?

                 - Sì, puoi dire a tutti quello che ti ricorderai.

                 - E quale consiglio potrò dar loro perchè non avvengano così gravi disgrazie?

                 - Insisterai, dimostrando come l'obbedienza, anche nelle piccole cose, a Dio, alla Chiesa, ai parenti, ai superiori, li salverà.

                 - Ed altro?

                 - Dirai a' tuoi giovani che si guardino molto dall'ozio, poichè questo fu già la causa del peccato di Davide: di' loro che stiano sempre occupati, perchè così il demonio non avrà tempo di assalirli.

                Io chinai il capo e promisi. Non ne poteva più dallo sgomento e dissi all'amico: - Ti ringrazio della carità che mi hai usato e ti prego di farmi uscire.

                Egli allora: - Vieni meco! - disse; e facendomi coraggio mi prese per mano, sorreggendomi, poichè era estenuato di forze. Usciti da quella sala, attraversato in un attimo l'orrido cortile e quel lungo corridoio d'entrata, prima di lasciare la soglia dell'ultima porta di bronzo si volse di nuovo a me ed esclamò:

                 - Adesso che hai veduti i tormenti degli altri, bisogna che tu pure provi un poco l'inferno.

                 - No! no! gridai inorridito.

                Egli insisteva, e io rifiutava sempre!

                 - Non temere, mi diceva; vieni solo a provare; tocca questa muraglia.

                Io non ne aveva il coraggio e voleva allontanarmi, ma quegli mi trattenne dicendomi: - Eppure fa bisogno che tu lo provi! e mi afferrò risolutamente per un braccio e mi trasse vicino al muro, continuando a dire:

                 - Una volta sola toccala, almeno per poter dire che sei stato a visitare le muraglie degli eterni supplizi e che le hai toccate; e per capire che cosa sarà dell'ultima muraglia se così terribile è la prima. Vedi tu questo muro?

                Osservai con maggior attenzione quel muro che era di una grossezza colossale. La guida proseguì: - È il millesimo prima di giungere dove è il vero fuoco dell'inferno. Son mille i muri che lo circondano. Ogni muro è di mille misure di spessore e di distanza l'uno dall'altro; e ciascuna misura è lunga mille miglia: questo è distante un milione di [181] miglia dal vero fuoco dell'inferno e perciò è un minimo principio dell'inferno stesso.

                Ciò detto, ritraendomi io per non toccare, afferrò la mia mano, l'aperse per forza e me la fece battere sulla pietra di quell'ultimo millesimo muro. In quell'istante sentii un bruciore così intenso e doloroso che sbalzando indietro e mandando un fortissimo grido, mi svegliai. Mi trovai seduto sul letto, e sembrandomi che la mia mano bruciasse, la stropicciava con l'altra per far passare quella sensazione. Fattosi giorno, osservai che la mano era gonfia realmente; e l'impressione immaginaria di quel fuoco ebbe tanta forza che in seguito la pelle della parte interna della mano si staccò e cambiossi.

                Notate che io non vi ho detto queste cose in tutto il loro orrore, nel modo come le vidi e come mi fecero impressione, per non spaventarvi troppo. Noi sappiamo che il Signore non nominò mai l'inferno se non con figure, perchè ancorchè ce lo avesse descritto come é, non avremmo inteso. Nessun mortale può comprendere queste cose. Il Signore le sa e può dirle a chi vuole.

                Per più notti in appresso, sempre turbato, io non ho più potuto addormentarmi a causa di questo spavento. Vi ho raccontato, soltanto in breve, ciò che ho visto in lunghissimi sogni: non ve ne ho fatto che un breve riepilogo. Io poi farò delle istruzioni e sul rispetto umano, e su ciò che riguarda il sesto, il settimo comandamento e sulla superbia. Non farò altro che spiegare questi sogni; perchè sono in tutto consentanei alla Santa Scrittura, anzi non sono altro che un commento di ciò che si legge a questo riguardo nella medesima. In queste sere vi ho già raccontato qualche cosa, ma ogni qualvolta potrò venire a parlarvi, vi racconterò il resto, dandovene la spiegazione.

 

                Come promise, così fece. In seguito egli espose questo sogno anche ai giovani di Mirabello e di Lanzo, ma compendiando la narrazione. Ripetendo ciò che aveva visto, benchè non facesse mai mutazioni sostanziali, pure non mancavano varianti. Narrandolo privatamente ai suoi preti e chierici di maggior confidenza, aggiungeva qualche nuova particolarità. Molte cose ometteva una volta e palesava un'altra. Nella descrizione dei lacci diede nuova idea dell'agguato del demonio e del suo modo di tirare le vittime verso l'inferno, parlando delle abitudini cattive. Di molte scene non diede spiegazione: ad esempio dei personaggi di bell'aspetto che si trovavano nella sala magnifica che noi siam propensi a [182] chiamare: - Il tesoro della misericordia di Dio, per salvare i giovani che sarebbero periti. - Forse erano dessi i principali ministri di innumerevoli grazie.

                Certe variazioni provenivano dalla molteplicità delle cose viste contemporaneamente, perchè ripresentandosi esse alla sua mente, egli sceglieva, di ciò che era restato vivo nella sua memoria, quello che giudicava più opportuno per chi lo ascoltava.

                Del resto era famigliare a Don Bosco la meditazione dei novissimi e da questa si accendeva nel suo cuore vivissima compassione per tutti i poveri peccatori ai quali sovrastava il pericolo di un'eternità così orribile. Era questa carità, che vinceva in lui ogni rispetto umano nell'invitare a penitenza, con franchezza prudente, anche personaggi distintissimi e che dava tale efficacia alle sue parole da operare molte conversioni.

                Noi abbiam qui fedelmente notato quanto udimmo per disteso dal Venerabile e quanto ci riferirono a voce o per iscritto numerosi testimoni sacerdoti, coordinando il tutto in un'unica narrazione. Fu un lavoro arduo, perchè volevamo riprodurre con matematica esattezza ogni parola, ogni congiunzione o legame tra una scena e l'altra, e l'ordine dei vari fatti, avvisi, rimproveri e di tutte le idee esposte e non spiegate, tra cui qualcuna forse fraintesa. Vi siamo riusciti?

                Possiamo assicurare i lettori che colla massima diligenza noi cercammo una cosa sola: quella di esporre più fedelmente che ci fosse possibile le lunghe parlate di Don Bosco.

 

 

CAPO XVI. Il Cardinale Gerolamo d'Andrea, non ostante il divieto del Papa si allontana da Ronza e dalla sua diocesi di Sabina e si ritira a Napoli - È accolto a festa dalle autorità italiane - Sue lettere in difesa della propria condotta, ai suoi diocesani, al Cardinale Mario Mattei, e a tutti i Cardinali e Vescovi con grandi elogi al Governo Italiano - Interviene alle feste della Corte reale e del Prefetto Gualterio - Indulgenza del Papa nel compatirlo - Lettere del Cardinale contro l'Unità Cattolica, che gli rimproverava le frasi ingiuriose scritte all'indirizzo del Papa e di vari Prelati - Il Cardinale rifiuta replicatamente di obbedire al Papa, e gli vien tolta la diocesi di Sabina e l'abbazia di Subiaco - Suo appello: dal Papa male informato al Papa meglio informato - Dolore di Don Bosco per questo scandalo - Don Bonetti invita due giornalisti a confutare le indegne accuse di quell'appello - Lo stesso scrive due lettere al Cardinale supplicandolo ad obbedire al Papa e a consolarlo - Ultima intimazione del Papa al Cardinale, il quale va a Roma e si sottomette Don Bonetti gl'invia una lettera di lode e d'incoraggiamento.  Morte improvvisa del Card. d'Andrea.

 

                SUL finire del 1867 cessava un gravissimo scandalo che affliggeva da tre anni i cattolici. Il Cardinale Gerolamo d'Andrea, uomo di vasta cultura, di straordinario orgoglio e in stretta attinenza col Pantaleone e col Passaglia, da lungo tempo sentiva avversione non tanto verso Pio IX, del quale irrideva spesse volte l'alta [184] misticità, quanto verso il Cardinale Antonelli, di cui non approvava la politica e invidiava la carica. Stordito dalle adulazioni, nel giugno del 1864 erasi recato a Napoli contro la volontà del Santo Padre, sotto pretesto di ristabilire la scossa salute. Al confine fu ricevuto con grandi onori ed i giornali liberali propalarono che il d'Andrea, quale patriota e fautore del progresso, la rompeva coll'Antonelli e coi Gesuiti.

                Questo Cardinale, il 28 dicembre 1864, sotto la data di Napoli, scriveva una lettera in sua difesa al Direttore del Conciliatore, che l'Unità Cattolica ristampò nel suo numero del 6 gennaio 1865. La lettera finiva così: D'ora in poi mi appiglierò al silenzio. Perchè è verità che non tutti adoperano con dirittura e mente e lingua. Era un'accusa di perfidia e menzogna, mentre il Cardinale Antonelli era il migliore de' suoi amici e il più caldo de' suoi difensori.

                Il d'Andrea era Vescovo della Diocesi di Sabina e Abate Commendatario di Subiaco, ed essendo la Sabina annessa al regno d'Italia, il Governo di Firenze toglieva in suo favore il sequestro già posto sulla sua mensa, mentre lo lasciava su quelle di altri Cardinali. E Sua Eminenza nella Lettera pastorale per la quaresima, in data 15 febbraio 1865, annunziava ai suoi Diocesani che la sua malferma salute lo costringeva a prolungare il suo soggiorno a Napoli; e ricordava come per la difesa e lo splendore del Pontificato Romano e della Religione Cattolica avesse sofferto angustie e pericoli nella sua Legazione Elvetica e nei tumulti repubblicani in Roma nel 1848, quando, salvatosi appena il Pontefice, la vide abbandonata da colali che avevano gravissimo l'obbligo di farle scudo coi petti.

                Vedendo che il Cardinale s'incaponiva, il Papa con Breve dello stesso mese, cominciò a negargli il piatto cardinalizio, poichè non risiedeva in diocesi ed egli nel maggio fece stampate in Napoli una lettera all'indirizzo del Card. Mario Mattei, Decano del Sacro Collegio, protestando contro quel decreto. [185] I giornali la riprodussero e i più libertini vi fecero sopra i più pepati commenti contro il Cardinale che l'aveva scritta e contro gli altri Cardinali assaliti nella sua lettera. Questa riportava in fine gli attestati dei medici che dichiaravano che il d'Andrea era veramente ammalato.

                E doveva esserlo davvero!

                L'8 giugno, offeso da due articoli del Teol. Margotti (del 23 aprile e del 20 maggio) l'Eminentissimo intimava con insulti all'Unità Cattolica, a termini di legge, di pubblicare la sua lettera al Cardinale Decano e la sua intimazione, notando che l'Em.mo Antonelli abusava di tutto il potere imprestatogli dalla benignità del Santo Padre, che tanto in buonafede gli si abbandona.

                Il Papa lo aveva invitato a ritornare a Roma, ed egli, invece di sottomettersi, in data Napoli 10 settembre 1865, scriveva una lettera Ai suoi rispettabili fratelli Cardinali e Vescovi, nella quale in primo luogo diceva:

 

                Oramai ci troviamo di fronte ad una serie di fatti compiuti, ai quali non è mica prudente opporre il disprezzo. Io veggo il novello regno d'Italia riconosciuto da tutte le potenze: veggo un gran sovrano, la cui superiorità come uomo di Stato non è a contestare, offrirci in nome della gran nazione francese, come tavola di salvezza nel naufragio delle antiche illusioni, la convenzione del 15 settembre lealmente eseguita; veggo il Re Vittorio Emanuele in recenti circostanze prestarsi a trattative, per disavventura rimaste vuote d'effetto, che fanno alto testimonio dei suoi sentimenti religiosi; ed in presenza di tutte tali circostanze e delle riflessioni che esse fari nascere, come deve procedere il Papato in tal nuova direzione? quali concessioni può fare alle necessità del tempo? su quali basi è possibile la sua riconciliazione coll'Italia? Ecco precisamente i punti intorno a cui non debbo dire il mio pensiero. Il tempo di parlare su ciò forse verrà per me, ma non lo credo venuto ancora.

 

                Quindi veniva a parlare di sé e conchiudeva:

 

                Io rientrerò in Roma tostochè la mia salute, già in via di miglioramento, mel permetterà; non in modo da far credere che io mi sommetta ad ammenda onorevole che niuno né ragionevolmente, né  [186] canonicamente è in diritto di chiedermi, ma di mia piena volontà, quando crederò d'aver riacquistato le forze necessarie per riprendere le mie funzioni. Non è che un desiderio che tal giorno sia domani. Tale nella sua intera verità é, Monsignore, la questione agitata tra la Segreteria di Stato e me: questione che non avrebbe avuto luogo se stavano agli affari Cardinali come Consalvi o Pacca: la mia causa si difende da se stessa, ne sono convinto e la confido al cuore di tutti gli onesti. Ho speranza che il S. Padre arriverà ad aprire gli occhi sugli intrighi formati contro di me e che la sua giustizia veda la necessità di mettervi termine. Gradite, o Monsignore, la espressione della mia alta considerazione.....

 

                Il Cardinale d'Andrea aveva condito questa lettera con eccessiva vivacità contro il Cardinale Antonelli e ritornava a parlare del piatto cardinalizio.

                Chi ricevette la sua lettera o non gli rispose, o fece eco alla risposta del Cardinale Arcivescovo di Chambéry:

                “Faccio voti che vi sottomettiate con umiltà e docilità alla volontà del nostro Santo Padre Pio IX, altrimenti vi aprirete la strada, che altre volte hanno battuta Lamennais, Gioberti e Passaglia”.

                Intanto egli ottenne un'udienza dal Principe Ereditario che si prolungò quasi un'ora, ricevette le visite del suddetto e del Duca d'Aosta; e in porpora cardinalizia andava alle feste di Corte e ai balli dati in casa del Prefetto Gualterio, nemico dichiarato del Governo Pontificio.

                Il Papa gli era stato sempre non solo molto indulgente, ma ne aveva prese le difese e nel 1865, sentendo sul conto di lui nuove lagnanze, ebbe a dire: - Voi attingete a torbide fonti. Questo Cardinale mi diede molti dispiaceri, colla sua debolezza, ma non credo che in fondo, in intimo corde, sia cattivo. Non posso supporre che colui, il quale ha mangiato con me nel medesimo piatto, voglia ora tradirmi. Dategli tempo di pensarci su e di fare la penitenza; non fategli insistenze; i peggiori sono gli ipocriti.

                “... Non prestate fede a tutto quello che scrivono i giornali perversi. Credete però che quanto più alto sta l'uomo,  [187] tanto più basso cade se la grazia di Dio lo abbandona. Preghiamo pel Cardinale d'Andrea e confidiamo, ma non me ne parlate, finchè non ne saprete qualche cosa di consolante”.

                Invano il Pontefice attendeva tale consolazione.

                Il 23 marzo 1866 Lo Stivale di Napoli pubblicava una seconda lettera del Card. d'Andrea al Card. Mattei, Decano del Sacro Collegio, che diceva cose di fuoco contro i Cardinali Antonelli e Caterini, ed i prelati Giannelli, Berardi, Svegliati, e Quaglia, gettando il biasimo a piene mani sulla Curia Romana.

                Il Marchese Francesco Saverio d'Andrea, fratello del Cardinale, faceva stampare due nobilissime sue lettere, scritte l'una al Papa, l'altra al Preposito Generale dei Padri Gesuiti in data 23 e 24 aprile, chiedendo egli perdono in luogo del fratello “di cui (riprovando la condotta) debbo credere né libero il volere, né sereno l'animo a scrivere”.

                L'Unità Cattolica riprodusse queste lettere, e il 7 maggio ne ricevé vivi ringraziamenti dal Marchese che lo stesso giornale pubblicava il giorno 13. Il Cardinale allora intimò al Teol. Margotti, a termini di legge, la stampa di una sua lunga risposta alle lettere stampate dal fratello. Egli diceva il Marchese un misantropo - che uno o due furfanti s'impossessarono della sua coscienza e gli fecero scrivere le note lettere - che i Gesuiti erano riusciti ad accendere la discordia fraterna - che il Papa giaceva sotto il grave giogo gesuitico, ecc.

                Di ciò non contento, aveva stampato sul Giornale di Napoli un'altra lettera in data 9 maggio, nella quale dichiarava che le lettere del fratello pubblicate dall'Unità Cattolica e chiedenti scusa in suo nome al Papa e al Preposito generale dei Gesuiti, erano state scritte senza il suo consenso, e perciò intendeva di chiamarlo a rispondere innanzi alla legge.

                In fine il Santo Padre domandò al Sacro Collegio il suo parere intorno ai provvedimenti da prendersi nel caso doloroso: e il Sacro Collegio giudicava che il Cardinale doveva essere privato del suo Vescovado, se non rientrava quanto,  [188] prima in diocesi, nella quale da due anni non aveva più messo piede.

                Quindi, con Breve del 12 giugno 1866, il Papa toglieva al De Andrea il Vescovato di Sabina e l'Abazia di Subiaco, nominando Amministratore Apostolico di Sabina il Vescovo. Mons. Pettinari: rimproverava il Cardinale dei suoi comportamenti; dell'ostinata disobbedienza, delle sue ingiurie contro Eminentissimi Colleghi e contro Vescovi degni d'ogni rispetto; si doleva che non avesse tenuto conto delle lettere paterne scrittegli di proprio pugno per indurlo a rientrare in sé e pentirsi dello scandalo dato la Chiesa; e infine gli ordinava di non ardire, sia in segreto, sia pubblicamente, d'esercitare la minima parte del suo ministero e della sua amministrazione nella diocesi di Sabina e nell'Abbazia di Subiaco.

                Il 28 giugno il Cardinale protestava contro il Breve Pontificio con lettere sediziose ai suoi diocesani, dichiarando di considerare quel Breve come nullo totalmente, irrito ed invalido per ogni canonico effetto e di appellarsi “dal Papa male informato, al Papa meglio informato”; mentre il Governo decideva di non accordare, per quanto a lui spettava, l'Exequatur al suddetto Breve.

                E il De Andrea cadeva in eccessi peggiori.

                Il 22 luglio l'Unità Cattolica annunziava una sua lettera di appello al Papa, in data 6 luglio, stampata senza il nome della stamperia e del tipografo. Era una lettera lunghissima, piena zeppa di grandi elogi che il D'Andrea faceva di se stesso e della sua amministrazione: di insulti villani all'Episcopato e specialmente al Sacro Collegio, e di ingiurie gravissime al Papa, mescolate a proteste di rispetto. Il Teologo Margotti ne dava un breve cenno con salati commenti, e il Cardinale il 24 luglio gli intimava di stampare per intero il suo Appello al Papa a nome della legge, sicchè il Margotti dovette obbedire, mentre l'Autorità Civile lo faceva affiggere a Magliano e il Ministero rifiutava l'Exequatur all'Amministratore Apostolico della Sabina. [189]

                Le notizie della ribellione d'un membro del Sacro Collegio, l'unico che fosse causa di scandalo, erano venute a cognizione di Don Bosco, non solo dall'Unità Cattolica, ma da lettele private da Roma. Il suo cuore sanguinava per le offese che riceveva l'angelico Pio da chi avrebbe dovuto dargli consolazioni in tante angustie religiose e politiche; e studiava il modo di far cessare così grave disordine.

                Il suo nome troppo noto e la sua prudenza non gli consigliavano d'intromettersi in ciò personalmente, anche pel pericolo di entrare in polemiche; ma trovò la persona cui affidare il delicato incarico e che lo compisse in nome proprio. E questi fu Don Giovanni Bonetti. Noi abbiamo trovato nelle sue carte alcuni documenti riguardanti il disgustoso affare. Sono le minute di due lettere a giornalisti, di tre lettere allo stesso d'Andrea. Non è possibile che a que' tempi Don Bonetti, di sua iniziativa, si azzardasse a dar moniti ad un Cardinale. Neppure la sostanza e lo stile delle tre lettere dirette all'Eminentissimo ci paiono di lui. Esse palesano chi fu l'ispiratore di quegli scritti, e rispecchiano il carattere predominante di Don Bosco: franco, conciliativo, rispettoso, ponderato, che cercava le vie del cuore. Senza dubbio egli diede a Don Bonetti ampie istruzioni a questo riguardo e non ci pare affermazione gratuita il dire che abbia anche esaminate e corrette le lettere inviate al Cardinale. Secondo noi Don Bonetti non fece altro che eseguire fedelmente un mandato.

                Don Bonetti scrisse a Monsignor Nardi.

 

                               Rev.mo Monsignore,

 

                Pieno di afflizione il cuore per le ingiurie contro il Nostro Santo Padre scagliate da un ingrato suo figlio, il Cardinale d'Andrea, io in ispirito genuflesso ai vostri piedi vi supplico, Rev.mo Monsignore, che ispirandovi alla vostra prudenza e zelo ardente, impugnate la penna, sventiate i sofismi, sveliate al mondo scandalizzato le insidie,  [190] che entro a quel malaugurato scritto si nascondono. Rendete a nome di tutti i cattolici un contraccambio all'ottimo nostro Padre Pio IX sì villanamente trattato da chi meno lo dovrebbe; togliete tanti incauti dal pericolo di essere allucinati. Dimostrate che l'infelice preme le vestigia dei nemici della Chiesa e dell'autorità papale; fate vedere che quella superba Eminenza, qual novello Lucifero, dalle stelle precipitò nel fango. Tanto sfregio recato alla Chiesa ed al Pontefice non deve rimanere invendicato presso i fedeli. S. Pietro non ebbe riguardo al traditore e disse pure in piena adunanza che suspensus crepuit medius ed altro.

                Monsignore, la vostra penna è da ciò; l'ispiri Iddio oltraggiato nel suo Vicario, vi doni grazia e tempo a compiere quest'opera, alla Chiesa sì onorevole, ai fedeli così vantaggiosa.

                Intanto io non potendo, colla penna né coll'ingegno, difendere il nostro amatissimo Padre Pio IX, mi contento di difenderlo per ora pregando e lagrimando.

                Le umilio i miei ossequi e colla più profonda venerazione godo rassegnarmi, ecc., ecc.

 

Sac. GIOVANNI BONETTI.

 

                Il nostro carissimo confratello scrisse pure un'altra lettera ad altro giornalista, che noi crediamo sia stato il Teol. Margotti; nella minuta non si legge alcun nome.

                Sarò breve per non rubarle il tempo. Vostra Signoria faccia di questa mia il conto che le parrà nel Signore. A mio avviso V. S. farebbe un'opera santa se raccogliendo in un articolo apposito le colpe tutte e i delitti del sig. Card. Gerolamo d'Andrea, li mettesse in confronto colle

                difese che egli tentò cavillosamente di fare nella sua insidiosa ed ingiuriosissima Lettera d'appello, testé stampata nel suo, accreditato giornale. In tal modo il lettore potrebbe di leggeri e quasi in un batter d'occhio rilevare i torti di quella disgraziata Eminenza, che qual novello Lucifero precipitò dalle stelle e in sì scandaloso modo, disonorò se stesso e la Chiesa in questi giorni già per lei sì calamitosi.

                Se ancora vivesse S. Giovanni, non esiterebbe a chiamarlo primogenito di Satana. È vero che si può ricorrere al Breve del 12 giugno, ma non tutti il possono fare: vi è quindi timore che nella mente di qualche incauto restino alcune cattive impressioni prodotte dalla lettura di quelle scandalose lettere.

                Oh! quanto dovrà essere amareggiato il Santo Padre. Gli mancava ancor questo per renderlo l'uomo dei dolori! Perciò quanto tornerebbe caro ad ogni cuore ben fatto che gli si desse in questi giorni un degno contraccambio da que' cari suoi figli i quali detestano l'empia [191] ingratitudine di quello sleale. Una tenerissima lettera, in forma di indirizzo, sottoscritta dal Clero italiano non sarebbe ella cosa da ciò? Vi pensi la S. V. e si ispiri a quella prudenza e a quello zelo coraggioso che nelle difese della Chiesa e del Santo Padre cotanto la distingue in questi giorni. Del resto io sarò contento di avere in questa mia espresso un pio desiderio e sfogato alquanto il vivo dolore che provai nel leggere le ingiurie scagliate contro il Santo Padre che tanto io amo. Non potendo come V. S. prendere le sue difese colla penna, lo difendo come posso colle preghiere. Mi scusi di questo disturbo.

 

                Una terza lettera fu da lui indirizzata allo stesso Cardinale d'Andrea nel mese di settembre 1866.

 

                               Eminenza,

 

                Alzate gli occhi al Cielo, sollevate il Vostro cuore. Oh sì! le delizie, le gioie purissime di quel regno beato, vi facciano mettere sotto i piedi la gloria fugace di questo mondo.

                Eminenza, io vi amo e questo mio cuore mi fa temere che abbiate offeso Iddio, mi fa temere che abbiate da esulare dalla patria dei beati. Mettetevi una mano sulla coscienza e nel silenzio della notte, nel segreto delle vostre camere, interrogate il vostro cuore che vi risponderà se vano sia il mio timore. Voi forse erraste, Eminenza. E se così fosse, non vi lusingate di riparare al male negli ultimi giorni della vostra vita. Non va scordato che mors non tardat. Ritrattatevi di presente: al punto di morte vi troverete contento.

                (Credetelo: la Vostra ritrattazione anche quaggiù vi procurerà gloria maggiore di quella che vi possono dare coloro che in questi giorni paiono vostri ammiratori. Il vostro esempio sarà forse in questo secolo, qual lampo che illuminerà tanti ciechi, i quali in questi giorni vanno brancolando sulle vie dell'errore, scuoterà potentemente molti infelici, che, o per debolezza o per inganno allontanati dalla Cattolica Chiesa, dormono un sonno di morte in seno all'errore)[5].

                La vostra ritrattazione farà un bene immenso alle anime, la Santa Chiesa ve ne saprà grado, i cattolici vi ammireranno, faranno plauso al vostro coraggio. Gesù stesso ve ne rimunererà largamente. Mettete in pace il vostro cuore, consolate Pio IX, edificate la Chiesa, rallegrate gli Angeli. Ricordatevi in fine che se voi tardate, forse non più tarda la morte e potrebbe, forse, darsi che non fosse lungi dalla vostra porta. Sì, io vi ripeto, alzate gli occhi al cielo, al cielo sollevate il vostro cuore, vada ogni cosa, ma non si perda il paradiso. [192]

                Baciando la sacra porpora con profonda venerazione mi raffermo,

                Dell'Eminenza Vostra,

 

                Mirabello Monferrato (settembre 1866)

 

Um.mo ed ossequentissiino Servo

GIOVANNI BONETTI.

 

                Per risposta Don Bonetti ricevette copia di un'autodifesa del Cardinale, pubblicata a stampa, forse l'Appello al Papa; e a sua volta replicava:

 

                               Eminenza,

 

                Ho ricevuto testé un vostro scritto. Se siete Voi che me lo mandate, Vi ringrazio del disturbo che vi siete preso; io non merito tanto. E poichè mi si presenta propizia occasione, permettetemi alcune osservazioni che mi sembrano suggerite dal grande affetto che io porto .alla Santa Sede, al Vicario di Cristo, nonchè all'E. V.

                Voi vi dite innocente, e colpevole il Santo Padre. Altri però dicono il contrario. Adunque per lo meno, la cosa è dubbia. Siate pure innocente, Eminenza, ve lo voglio concedere; ma in tal caso Voi ne' vostri scritti, mi avete l'aria di un figlio, che per liberare se stesso dall'infamia, vi getta il proprio Padre. E se così fosse, Eminenza, che dire si dovrebbe del vostro cuore? Voi, a mio avviso, vi sareste portato assai più lodevolmente, e con maggior bene della Chiesa se, come un San Francesco di Sales, contento di esporre con evangelica semplicità le vostre ragioni, vi foste guardato dal mandare alle quattro parti del inondo certi scritti entro cui trovansi espressioni, che mentre danno maggior ansa ai nemici della Chiesa, non vi fanno per nulla conseguire quel fine che vi siete proposto. Imperocchè voleste giustificarvi presso i buoni o presso i cattivi? Se in faccia ai buoni, credetelo vi sarà impossibile, poichè costoro nell'agitata questione crederanno sempre piuttosto al Papa che non ad un Cardinale. Alcuni di essi sanno pure che anche grandi teste poterono pel passato errare, e credono ancor possibile che altri, sebbene di nobile ingegno come il vostro, possano al presente andar errati; tanto più che ne' vostri scritti trovansi alcune parole poco rispettose riguardo al grande Personaggio cui sono dirette.

                Se poi voleste giustificarvi presso i cattivi, io nol credo, poichè io non posso supporre che l'Eminenza Vostra possa paventare i giudizi di costoro. Che cosa vi deve importare dei loro giudizi? Voi avreste potuto ripetere: Quid mihi de iis qui foris sunt? Nulla poi otterreste pel vostro scopo. Costoro nella loro indifferenza si burlano del Papa e del Cardinale, si pongono sotto i piedi le proteste dell'uno [193] e degli altri e nessun bene al certo da que' scritti ricavano. Anzi Voi produceste un gran male, Voi aiutaste i nemici della Chiesa; e più d'uno di questi fu udito a ripetere: - Se così fa un Cardinale verso il Papa, non potremo far noi altrettanto?

                Ah! Eminenza, lo dico schiettamente, che mi sarebbe stato mille volte più caro vivere oppresso da una persecuzione giusta o ingiusta, quale si fosse, piuttostochè porgere occasione di scandalo ai nostri nemici, e maggiormente al ceto ecclesiastico. Forse, a vostro malgrado, faceste agli avversari della Chiesa un segnalato servizio. Essi infatti se ne vantano e ne vanno orgogliosi. Ah! se presso di Voi possono valere qualche cosa le mie preghiere, deh! cessi Vostra Eminenza dal più spargere certi scritti che altro non fanno che cooperare alla rovina delle anime, quelle anime per le quali Gesù non solo si umiliò cotanto, ma versò tutto il suo preziosissimo Sangue. A Voi questo Gesù domanderà conto un giorno, se avrete cooperato alla salute di coteste anime e se mai l'Eminenza Vostra ne avesse scandalizzata qualcuna, pensi che le sovrasta un tremendo giudizio. Io temo pel suo stato. V. E. abbia mente e cuore per impedire in parte quel male che va tuttavia propagandosi per causa di que' scritti.

                Mi raccomando alle sue preghiere, aspettando nell'afflizione che Dio mi consoli .....

 

                29 settembre 1866.

 

GIOVANNI BONETTI.

 

                Dopo le lettere di Don Bonetti parve che il Cardinale si calmasse alquanto. Cessò dal pubblicare le sue invettive; ma si ostinò a rimanere a Napoli. Le ammonizioni e i castighi non ottennero per allora altro effetto, e il Papa fu costretto a sospenderlo, conforme alla Costituzione d'Innocenzo X (Cum juxta del 19 febbraio 1646) da tutti gli onori, insegne e diritti cardinalizi, compresa la privazione della voce attiva e passiva nell'elezione del Papa. In pari tempo gli assegnò il termine perentorio di tre mesi per presentarsi a Lui e riceverne umilmente gli ordini: trascorso inutilmente questo termine il d'Andrea sarebbe privato del Cardinalato e degli altri benefizi. La Lettera Apostolica aveva la data del 29 settembre 1867 (un anno dopo l'ultima delle riferite lettere di Don Bonetti) e fu presentata al Cardinale il 12 ottobre.

                Il d'Andrea, dopo aver alquanto temporeggiato, giungeva [194] a Roma in convoglio speciale il 16 dicembre, ma non fu ricevuto in Vaticano finchè non ebbe Sottoscritto il 26 dicembre una dichiarazione, in cui si leggeva:

                1° che domandava al Santo Padre perdono della disubbidienza commessa;

                2° che era dolente dello scandalo dato co' suoi scritti per la relazione avuta con l'Esaminatore di Firenze, e che condannava le massime di questo giornale;

                3° che si associava completamente all'indirizzo dei Vescovi del 1867;

                4° che dichiarava invalide le sue proteste contro il Breve Pontificio del 12 giugno 1866;

                5° che implorava umilmente scusa al Papa, ai suoi colleghi e a tutti coloro che poteva aver offeso.

                Due giorni prima che egli sottoscrivesse questa dichiarazione, Don Bonetti gli mandava il seguente foglio.

 

W. Gesù Bambino!

 

                               Eminenza Rev.ma,

 

                È poco più di un anno che io angustiato da una disgrazia accadutavi Vi scriveva parole di dolore, facendovi nella mia pochezza umile preghiera che voleste far ritorno al Santo Padre, e consolarlo, e riedificare il mondo. Voi allora mi rispondeste coll'invio di una lettera poco prima stampata, cui io lessi piangendo. Ma viva Dio; è passato il tempo maligno, è spuntato il sospirato giorno. Torno pertanto a scrivervi, Eminenza, ripieno il cuore della più pura gioia. Vi ringrazio del coraggio dimostrato nel calpestare i rispetti del mondo, e sottomettervi all'amabilissimo nostro Santo Padre. Oh! Voi agli occhi miei ora mi apparite veramente grande. Oh! no, Satana non ha da gloriarsi di avervi vinto e abbattuto, poichè dal vostro risorgere ha più perduto che non guadagnato dalla vostra caduta. Proseguite, adunque, Eminenza, con quella fortezza d'animo colla quale avete incominciato. Dio, la Vergine, i Santi vi guardano con occhio di compiacenza. Non dubitate; Gesù Cristo farà sì che il mondo cattolico dimentichi il doloroso fallo per non ricordare che il glorioso pentimento, l'illustre esempio. Non lasciatevi abbattere se nella via intrapresa troverete pungenti spine; se dovrete provare qualche amarezza, Gesù Cristo vi ha preceduto sulla via dei dolori, e sulla Croce. Vi rammenti il [195] fallo, e dolce vi riuscirà la pena. Ogni benedizione Vi piova dal cielo il caro Bambino Gesù, e la sua dolcissima madre Maria.

                Gradite infine, Eminenza Rev.ma, gli umili ossequi di chi colla più alta stima e profonda venerazione gode di baciarvi la sacra porpora e dichiararsi,

                Della V. E. Rev.ma,

 

                Mirabello Monf. 24 dicembre 1867.

 

Osseq. e Obbl.mo

BONETTI GIOVANNI.

 

                E il Papa con Breve del 14 gennaio 1868 restituiva al pentito tutte le dignità e cariche, ad eccezione del Vescovado di Sabina e dell'Abbazia di Subiaco. Difatti il 18 gennaio l'Eminentissimo prese subito parte alla Cappella Papale in S. Pietro. In seguito aveva stabilito di recarsi sui Pirenei per una cura di acque, ma colto da paralisi moriva improvvisamente la notte del 14 maggio 1868, in età di 57 anni[6].

 

 

CAPO XVII. Notizie di Roma: Parole di Pio IX alla gendarmeria ed ai Zuavi consegnando le bandiere: sua fiducia nella Madonna - I destini della chiesa di Valdocco - L'interno della chiesa - I quadri di Maria SS. Ausiliatrice e di S. Giuseppe - Nessuna disgrazia agli operai negli anni della costruzione - Continui favori della Madonna a coloro che concorrevano alla fabbrica della chiesa - Stupori di quelli che non credevano o dubitavano della riuscita di Don Bosco in questa impresa - Parole del Teologo Margotti - Gli aiuti divini bisogna meritarli - Don Bosco insegna ai giovani come debbano regolarsi nella novena di Maria Ausiliatrice - La benedizione delle campane: loro iscrizioni: sono collocate sul campanile - Il cancello di ferro innanzi alla chiesa - La Piazza di Maria Ausiliatrice e un monumento - Compra di terreni - Risposta di Don Bosco al Rettore del Seminario: gli espone il motivo pel quale non poté pagare al Seminario una dovuta annualità, che sarà versata al più presto: lo ringrazia di un'offerta: lo prega a riguardare come suoi anche i chierici dell'Oratorio: gli domanda il favore di essere avvertito schiettamente quando vi fossero osservazioni da fare sopra il suo conto o su quello dell'Oratorio - Il Papa concede indulgenza Plenaria ai fedeli che visiteranno la chiesa di Maria Ausiliatrice nella lesta della consacrazione o in uno dei sette giorni immediatamente seguenti: e ad septennium indulgenza plenaria in occasione della lesta titolare o in uno dei giorni della Novena. [197]

 

                NEL mese di maggio lettere da Roma annunziavano all'Oratorio quanto accadeva nella salita città: “Qui per ora siamo quietissimi. Moti Garibaldini sono impossibili ora; guerra grossa sì. Ma non si vede che osino incominciare. I Francesi pare che vengano sempre e non vengono mai. Certo è che sono preparati alloggi e letti per cinque mila. Il Santo Padre sta benone. Egli con gran solennità, nel pontificio giardino vaticano, benediceva il 5 maggio e consegnava alla Gendarmeria e al Corpo dei Zuavi due magnifiche bandiere ricamate, una dalle Dame degli Stati Uniti d'America, l'altra da quelle di Barcellona. Quindi indirizzava la sua parola alle milizie. Ricordando come quel giorno fosse consecrato alla memoria di Pio V, notava che i soldati da lui armati contro il Mussulmano ne avevano con strepitosa vittoria fiaccato l'orgoglio, allontanando dall'Europa il giogo che volevasi imporle. Protestava essere suo dovere difendere i diritti della Chiesa e di avere riposta nel cuore piena fiducia nel provato valore dei suoi soldati. A questi rammentava la gloria di aver sostenuta la causa della religione e del diritto e il guiderdone che ne riceverebbero da Dio nell'altra vita. Alludendo ai fatti d'armi dell'anno scorso, esclamava: Quello che è passato non fu che un preludio, un principio: ma non perdiamo il coraggio, che la Chiesa, come sempre, trionferà: e colla Chiesa lo Stato. Come Pio V, io pure son principe di pace, ma anche guerriero”.

                Così l'8 maggio scriveva al Cav. Oreglia, ritornato nell'Oratorio, il Conte Connestabile della Staffa.

                Pio IX riponeva intera la sua speranza nella Madonna, la quale nel tempo fissato dal volere di Dio, si sarebbe immancabilmente mossa in aiuto del Vicario del suo Divin Figliuolo: Terribilis ut castrorum acies ordinata.

                In quei giorni a Torino si terminavano i lavori della chiesa Maria Auxilium Christianorum, destinata ad avere una fama mondiale e a propagare lo stesso titolo e la stessa divozione [198] in tutte le nazioni della terra; e dalla quale sarebbero scaturiti fonti innumerevoli di grazie. Era un monumento preparato pel giorno delle vittorie. Inde gloria mea! aveva letto Don Bosco sulle sue mura in una visione memorabile. Il Sommo Pontefice, conoscendo l'opportunità di quest'opera, si era dato sollecitudine a concorrervi con favori materiali e spirituali.

                Noi, nei volumi precedenti, abbiamo detto dell'esterno di questa chiesa; ora faremo cenno dell'interno, come era in que' tempi, e come fu allora descritto da Don Bosco.

                Entrando dalla porta maggiore, capo lavoro dell'artista Ottone, Torinese, disegnato dal Cav. Antonio Spezia, si vedono due colonne di marmo, il cui piedestallo è lavorato in modo che serve anche come pila per l'acqua santa. Esse sostengono l'orchestra capace di un trecento musici, a due piani, cioè di orchestra e di controrchestra con eco, ossia doppio pavimento. Questa era dono e lavoro del mastro falegname Giuseppe Gabotti di Locarno, abitante in Torino.

                Le pareti sono semplicemente imbiancate senza pittura pel timore che la recente costruzione possa contraffare la specie dei colori. I basamenti, i legami e i cornicioni sono di granito; e su questi tutt'intorno e sulla base della cupola corrono ringhiere in ferro, per assicurare quelli che dovessero ivi eseguire qualche lavoro.

                Il pulpito di noce, assai maestoso, disegno del Cav. Spezia, è posto nel gran pilastro di destra presso la balaustra dell'altar maggiore in modo che da qualunque angolo della chiesa si può vedere il predicatore. La scoltura e tutti gli altri lavori furono opera dei giovanetti dell'Oratorio di San Francesco di Sales, a spese di una patrizia Torinese la quale se volle che si tacesse il suo nome, desiderava però che tutti sapessero essere un'oblazione per grazia ricevuta e perciò vi si legge a caratteri d'oro: Omaggio a Maria Ausiliatrice Per grazia ricevuta.

                Tutto il pavimento è alla veneziana, e quelli dei presbiteri dei singoli altari sembrano altrettanti mosaici. Il pavimento [199] dell'altar maggiore non avrebbe bisogno di tappeto per far degna comparsa nelle più belle solennità.

                Gli altari sono cinque; tutti in marmo lavorato, e quattro con disegni e con fregi diversi del Cav. Gussone Torinese che fece in marmo anche le balaustre. Il quinto altare posto nella prima cappella laterale a destra entrando primeggia sugli altri per preziosità di marmi, contenendo verde antico, rosso di Spagna, alabastro orientale e del malachita. È quello che sarà dedicato a S. Anna ed è lavoro dell'artista Luigi Medici a spese di un patrizio bolognese.

                Le due crociere hanno due porte caduna, di modo che nei grandi concorsi dei fedeli si possa avere facile entrata ed uscita; e da due di quelle si ha l'accesso a due sagrestie che fiancheggiano dai due lati il presbiterio dell'altar maggiore.

                Nella crociera di destra è l'altare che sarà dedicato a San Pietro, offerto a Maria SS. da una matrona romana, per grazia ricevuta.

                Nella crociera a sinistra avvi l'altare che sarà dedicato a S. Giuseppe; ma il quadro non era ancora al suo posto, l'artista Tommaso Lorenzoni lavorava a dipingerlo. Esso avrebbe rappresentata la Sacra Famiglia. La composizione era simbolica ed eccone il disegno. S. Giuseppe è in piedi sopra una nuvola, portando sul braccio sinistro il Bambino Gesù, il quale tiene sulle ginocchia un panierino pieno di rose. Il Bambino piglia le rose e le dà a S. Giuseppe e questi inali mano le fa piovere sulla chiesa di Maria Ausiliatrice che vedesi di sotto ed ha per sfondo le colline di Superga. L'atteggiamento del Bambino è di una grazia singolare, perché, rivolto al suo caro padre putativo, sorride a lui con infinita dolcezza. A quel divino sorriso sembra imparadisarsi il santo Patriarca e si direbbe che la celeste letizia del Divino Infante si raddoppi col riflettersi in quell'amato volto. A compiere questo delizioso gruppo sta a lato del Bambino Gesù, ritta in piedi ed in bella movenza, colle mani giunte, la sua santissima Madre, Maria, la quale in atto divotissimo, e tutta rapita [200] nella contemplazione di quel dolce scambio di ineffabile amorevolezza tra il suo divin Figlio e il suo purissimo Sposo, sembra fuori di sé per l'infinita gioia che le inonda il cuore. Tre angioli, a mani giunte, stanno a fianchi della S. Famiglia sospesi sulle loro ali; uno di questi porta la verga fiorita. Sulla cima del quadro due altri angioletti tengono per le estremità una fascia sulla quale sta scritto: Ite ad Joseph. L'altezza del dipinto è di metri quattro per due di larghezza. L'angiolo della verga ha le fattezze di una cara bimba, figlia della Marchesa Fassati, morta ustionata anni prima. Graziosa idea di Don Bosco che commosse profondamente la mamma.

                Così descrisse il quadro lo stesso Don Bosco che ne aveva dato il disegno

                Ma il più glorioso monumento di questa chiesa era l'ancona, ossia il gran dipinto sovrastante all'altar maggiore, alto oltre sette metri e largo quattro con una magnifica cornice dorata. Il Lorenzone poteva essere ben contento dell'opera sua.

                La Vergine campeggia in un mare di luce e di maestà, sii di un trono di nubi. Dalle spalle le scende un manto regale che avvolge i suoi fianchi. Il suo capo è coronato di stelle e d'un diadema con cui è proclamata regina del cielo e della terra. Colla destra stringe lo scettro che è simbolo della sua potenza, quasi alludendo alle parole da Lei proferite nella casa di Santa Elisabetta: Fecit mihi magna qui potens est; colla sinistra tiene il Bambino, esso pure incoronato, che ha le braccia aperte, offerendo così le sue grazie e la sua misericordia a chi fa ricorso all'augusta sua Genitrice. Dietro a Lei si apre come un lembo di cielo, intorno al quale si vedono cori di graziosi angioletti che le porgono ossequio come a loro Regina.

                Nell'alto del quadro coll'occhio simbolico è rappresentato Iddio Padre e alquanto più sotto lo Spirito Santo in forma di colomba; di là piovono raggi di luce che vanno a posarsi sul capo e tutto intorno alla Vergine, quasi per dirle: Ave, Maria: Virtus Altissimi obumbrabit tibi. [201] In basso, divisi in due ali, si vedono disposti per gradi gli apostoli e gli evangelisti in figura alquanto maggiore del naturale. Essi trasportati da dolce estasi, rimirano attoniti la loro regina: Regina Apostolorum, ora pro nobis. San Pietro e San Paolo campeggiano nel mezzo. Fra loro si apre lui varco dal quale si vede in fondo il Santuario di Valdocco e l'Oratorio, coi caseggiati che li circondavano a quel tempo e le colline di Superga. È il punto dal quale i divoti ringraziano la Salita Vergine dei benefizii ricevuti e la supplicano a continuare a mostrarsi madre di misericordia nei gravi pericoli della presente vita.

                Pregio singolare del quadro è l'idea religiosa che genera una divota impressione nel cuore di chiunque lo rimiri.

                Nell'erezione di questa chiesa si notò che non accadde disgrazia alcuna agli operai, e si disse essere un miracolo. Il solo Don Angelo Savio, che vigilava per l'esatta esecuzione dei disegni, stando sui ponti all'altezza della cupola pose il piede sull'estremità di un asse che fece leva, ma egli non cadde, perchè poté afferrarsi ad un'antenna. Ciò non dee far meraviglia, dovendosi asserire che ogni mattone del sacro edifizio ricorda una grazia ottenuta dall'Augusta Regina del Cielo. Un sesto della spesa, che fu di circa un milione, venne coperto con generose offerte di persone divote; il rimanente furono tutte piccole oblazioni di coloro che erano stati beneficati da Maria nella sanità, nelle sostanze, nelle famiglie o altrimenti. Così consta da un registro regolarmente tenuto, e dall'affermazione di Don Bosco.

                Apparve con evidenza la protezione di Maria SS. nel tempo che infieriva il coléra - morbus. Don Bosco scriveva “fra gli altri” di “una madre che vedendo l'unico figliuolo strozzato dalla violenza del male, lo invitò a fare ricorso a Maria SS. Aiuto dei Cristiani. Nell'eccesso del dolore egli profferì queste parole: Maria Auxilium Christianorum, ora pro nobis. Col più vivo affetto del cuore la madre ripeté la medesima giaculatoria. In quel momento si mitigò la violenza del morbo,  [202] l'infermo diede in un copioso sudore a segno che in poche ore restò fuori di ogni pericolo e quasi interamente guarito. La notizia di questo fatto si dilatò, altri e poi altri si raccomandarono con fede in Dio onnipotente e nella potenza di Maria Ausiliatrice con promessa di fare qualche offerta per continuare la costruzione della sua chiesa. Non si sa che alcuno abbia in questo modo ricorso a Maria senza essere stato esaudito. Avverandosi così il detto di S. Bernardo, che non si è mai udito al mondo che alcuno sia con fiducia ricorso invano a Maria. Mentre scrivo, (maggio 1868) ricevo un'offerta con una relazione di persona di molta autorità, che mi annunzia come un paese intiero fu in modo straordinario liberato dall'infestazione del colera mercé la medaglia, il ricorso e la preghiera fatta a Maria Ausiliatrice. In questa guisa sopravvennero oblazioni da tutte le parti; oblazioni, è vero, di piccola entità, ma che messe insieme bastarono al bisogno”

                Torino stupiva nel veder ultimato il sacro edifizio, specialmente quelli che avevano ricordate, con un po' d'ironia, le parole del Vangelo:

                 - Chi di voi, volendo fabbricar una torre, non fa prima a tavolino i conti delle spese che vi vorranno e se abbia con che finirla, affinchè dopo gettate le fondamenta non potendo egli terminarla, non comincino tutti quei che veggono a burlarsi di lui dicendo: “Costui ha cominciato a fabbricare e non ha potuto finire?” (Luc. XIV).

                E Don Bosco aveva incominciato non solo senza fare i conti, ma senza avere i mezzi: ed era naturale che più d'uno lo accusasse d'imprudenza. Un prete aveva detto a Don Bosco, mentre si gettavano le fondamenta della chiesa, esser pronto a mangiar un cane, se riusciva a vederla giungere al tetto. Ebbene di quei giorni si recò a visitare il Servo di Dio e a portargli la sua offerta, chiedendogli, sorridendo, che lo dispensasse dal voto che aveva fatto.

                Il Teol. Giacomo Margotti, sedendo a mensa nell'Oratorio con alcuni forestieri, pronunciava un brindisi a Don Bosco:  [203]

                 - Dicono che Don Bosco ha scienza, ed io non ci bado, anzi gliela getto in faccia. Affermano che Don Bosco è un santo, ed io me ne rido. Dicono che Don Bosco fa dei miracoli, ed io non discuto. Ma c'è un miracolo che io sfido chiunque a negare: ed è questa chiesa di Maria Ausiliatrice, venuta su in tre anni e senza mezzi; una chiesa che costa un milione!

                Ma questo miracolo e tanti altri che formano il complesso di tutte le istituzioni di Don Bosco, e le grazie concessegli dalla Madonna, sono argomenti che provano la santità del Servo di Dio, e dimostrano che era in lui una fede che trasporta le montagne, congiunta ad uno spirito di sacrifizio incondizionato per obbedire al volere del Signore.

                Infatti la Divina Provvidenza è pronta a porgere un necessario soccorso, a patto che dall'uomo si impieghino tutte le industrie, col chiedere consiglio, con implorare l'altrui aiuto, con adoperare come meglio può i suoi pensieri, la sua vigilanza, la sua opera. La Provvidenza non è per gli infingardi. I Santi erano sicuri che Dio vegliava su loro e per loro; tuttavia operarono sempre con tali cautele, con tali misure, con tale attenzione che più non avrebbero fatto, se Dio li avesse abbandonati alle sole loro forze. Pure non vi fu cosa così ardua, così malagevole, così penosa che non imprendessero trattandosi della gloria del Signore. Confidavano che egli, visti esauriti i mezzi umani, muoverebbe in loro soccorso: Aiutati che io li aiuterò. Così fece Don Bosco. Non risparmiò viaggi, veglie, fatiche, sudori, stenti, sollecitudini, affronti, persecuzioni, umiliazioni per soccorrere i poveri giovani, come se dall'industria sua e non dalla protezione divina dovesse sperar il felice esito delle sue eroiche imprese, persuaso che bisognava che si meritasse coi proprii sacrifizi la protezione celeste: Dominus regit me et nihil mihi deerit (Ps. XXII, vers. I).

                Don Bosco intanto distribuiva in gran numero a personaggi distinti copia del libretto intitolato: Meraviglie della [204] Madre di Dio, invocata sotto il titolo di Maria Ausiliatrice: e noi fra le lettere di ringraziamento abbiam trovato il seguente biglietto di visita: “Mons. Luigi Marchese di Canossa, Vescovo di Verona, con mille ringraziamenti, anche pel recente dono del bel libretto Maria Ausiliatrice.”

                Non passava giorno che il Servo di Dio non scrivesse qualche linea, o nelle lettere, o sopra immagini, in onore della Beata Vergine, per ispirare divozione verso di Lei, e metteva in serbo le narrazioni di grazie da Lei ottenute per formarne de' libretti affinchè Maria SS. fosse sempre meglio onorata ed amata.

                Il 14 maggio così insegnava agli alunni come dovessero fare la novena di Maria Ausiliatrice.

 

                Ho da darvi una buona notizia: domani incomincia la novena di Maria Ausiliatrice. Quest'anno non potremo compierla ancora nella chiesa nuova, ma un altr'anno speriamo di celebrarla con grande solennità. In questa novena non faremo nient'altro che ciò che si praticava pel mese di maggio negli anni passati, ma dobbiamo farlo bene. Far bene tutti quei fioretti che si leggono alla sera. Lungo il giorno ciascuno si eserciti in qualche pratica di pietà. Ciascuno dica tre Pater, Ave e Gloria a Gesù Sacramentato e tre Salve Regina alla Madonna. La Madonna vuol farci delle grazie. Ciascuno domandi alla Madonna quella grazia di cui più abbisogna. Ad uno sarà necessaria la grazia di vincere certe tentazioni contro la purità, ad un altro di potersi emendare da un difetto, come dall'ira, dal non dire parole aspre, dall'accidia, ecc. Insomma ciascheduno abbia un grande impegno nell'adempiere ai proprii doveri. Se faremo così, avremo 999 gradi di probabilità su 1000 che la Madonna SS. ci farà la grazia della quale abbisognamo. E per me quale grazia domanderò? Per me pregherò affinchè possa salvare tutte le vostre anime.

 

                Il 21 maggio, alle tre pomeridiane, vennero solennemente benedette le cinque campane da collocarsi sul campanile. Erano appese con grosse corde a robusti cavalletti di legno, in mezzo al nuovo santuario. Formavano un concerto in mi bemolle. Era il primo nella città di Torino. Erano state fuse dall'antica fonderia G. B. Mazzola e figli di Valduggia (Valsesia). [205] Alcuni benemeriti devoti colle loro offerte ne avevano promossa la fusione e pagato il bronzo. Sovra ogni campana furono incisi fregi ed immagini, con due analoghe iscrizioni, dettate da Don Bosco, l'una nella parte superiore e l'altra presso l'orlo.

                Sulla prima campana si leggeva: - Uni trinoque Domino sit sempiterna gloria, MDCCCLXVIII. - Dirigat Dominus familiam Viancino. - Auxilium Christianorum, ora Pro ea.

                Sulla seconda campana: - Deo provido benedictio et gratiarum actio, MDCCCLXVIII. - Celebrini Cristina e suo figlio Giuseppe ad onore del Beato Odino fanno ossequio a Maria Ausiliatrice.

                Sulla terza: - Qui timetis Dominum benedicite eum, MDCCCLXVIII. - O rosa mistica, tu nos ab hoste protege et mortis hora suscipe. Famiglia Mercurelli di Roma.

                Sulla quarta: - Ab omni malo libera nos Domine, MDCCCLXVIII. - Laudo Deum, plebem voco, defunctos ploro, Festa decoro. Cambone e sua famiglia.

                Sulla quinta: - Sit nomen Domini benedictum, MDCCCLXVIII. - Quando Maria prega, tutto si ottiene, nulla si nega. Totum nos Deus habere voluit per Mariam.

                Una di queste fu dedicata al supremo Gerarca della Chiesa Pio IX, di cui vi fu scolpita l'immagine; un'altra all'Arcivescovo Mons. Riccardi, anch'essa col ritratto e lo stemma del venerato Pastore. In due il fonditore abbozzò anche il ritratto di Don Bosco.

                La chiesa era piena di giovani e di signori invitati. La banda istrumentale e i cantori per le antifone e numeroso clero stavano in largo circolo intorno alle campane. Mons. Balma, compiuto il sacro rito, aveva pronunciato un interessante discorso intorno all'uso delle campane e che cosa intenda la Chiesa nel benedirle, nel consecrarle e nel farle suonare per convocare i fedeli in chiesa, o per invitarli a pregare nelle loro case.

                Abbiamo un abbozzo di relazione di quell'avvenimento. [206]

                L'anno del Signore 1868, nel giorno 21 di maggio, sacro all'Ascensione di N. S. Gesù Cristo, regnando sulla Sede Pontificia S. S. Pio IX, ed essendo Arcivescovo di Torino S. E. Mons. Alessandro dei Conti Riccardi di Netro, vennero da S. E. Rev.ma Mons. Balma, Vescovo di Tolemaide, consecrate le cinque campane da collocarsi sul campanile della nuova chiesa dedicata in Torino a Maria Ausiliatrice, nella regione denominata Valdocco.

                Alla maggiore campana, del peso di Mg…... vennero posti i nomi di Carola, Francesca. Padrino era il sig. Conte Viancino e madrina la signora Contessa Viancino.

                Alla seconda del peso di Mg …..vennero posti i nomi di Domenica, Maria. Padrino era il sig. Marchese Fassati, madrina la sig. Marchesa Fassati.

                Alla terza, del peso di Mg. …..vennero posti i nomi di Teresa, Maria Asella. Padrino era il sig. Marchese Fassati, madrina la signora Contessa De - Maistre.

                Alla quarta, del peso di Mg . …..vennero posti i nomi di Delfina, Eugenia. Padrino era il sig. Conte Luigi Riccardo di Castelvecchio, madrina la signora Contessa Delfina Viancino Malaspina.

                Alla quinta, del peso di Mg….. vennero posti i nomi di Angela Giovanna. Padrino era il sig. Comm. Dupraz e madrina la signora Madama Dupraz.

 

                Il peso delle campane era il seguente  della prima 875 chilogrammi; della seconda 750; della terza 440; della quarta 375; della quinta 250.

                Compiuto il sacro rito, si dié subito un saggio armonico delle nuove campane, e queste immediatamente furono trasportate ai piedi del campanile e cogli argani sollevate al posto destinato. Mentre salivano suonava la musica istrumentale, applaudiva la moltitudine. Per liberare le colonnette della torre dal grave peso, era stato fatto un castelletto in ferro che appoggiandosi sul piano delle finestre doveva sostenerle. A facilitarne il suono, in luogo dei soliti grossi ceppi in legno con lungo braccio, erano munite di piccoli ceppi in getto con larga ruota.

                Per suonarle in tutti quei giorni di festa venne da Strevi il sig. Porta, maestro nell'arte campanaria, che le aveva già collaudate in chiesa.

                Altre idee preoccupavano Don Bosco per dar sesto ai [207] terreni da lui acquistati innanzi alla chiesa. Uscendo da quella scendevasi in un piccolo piazzale lungo metri 49 e largo 16, già sistemato. Doveva essere difeso da una bella cancellata in ferro e il Municipio il 7 maggio concedeva licenza che fosse messa a posto. Rasente a questa correva la via Cottolengo, e al di là era stata già disegnata fino al viale ora detto di Regina Margherita la piazza, per altro non ancor livellata e piena di forre.

                Quivi talvolta recavasi Don Bosco uscendo per andare in città. Un giorno vi andò accompagnato da Don Garino e guardando con viva compiacenza la facciata della chiesa gli diceva:

                 - Qui in mezzo mi piacerebbe innalzare un monumento che rappresentasse Mosé in atto di percuotere la rupe e da questa far zampillare una vena d'acqua che venisse raccolta da una vasca.

                E girando gli occhi attorno soggiunse che su quella piazza aveva intenzione di costrurre un gran caseggiato che servisse come d'albergo ai preti, ai benefattori, alle benefattrici ed anche ai parenti degli alunni, che venissero in Torino per visitare la chiesa e assistere alle funzioni solenni.

                Prima di veder compiti i suoi disegni, era necessario che comprasse ancora certe pezze di terra che appartenevano a diversi proprietari. Il 5 maggio 1868, con atto notarile, rogato Zerboglio, comprò un terreno di ettari 0, 00, 47 dalla Signora C. Polissena Pullini ved. Rocci, dalla figlia Clementina e dai cognati Rocci. Ed era in altre trattative di compera le quali finirono con atto del 29 giugno 1868, rogato Pavesio. Il sig. cav. Tommaso Gamacchio vendeva a Don Bosco are 33 e centiare 90, col diritto all'irrigazione, per il prezzo di lire 5.785. Questo terreno apparteneva al Seminario Arcivescovile di Torino, da cui per la legge 15 agosto 1867 N. 3848, passava al Demanio dello Stato, che con atto d'incanto 5 novembre 1867, rogato Daneo, aveva alienato al nominato Gamacchio.

                Ma sul terreno anteriormente comprato pesava qualche debito e D. Bosco rispondeva ad una richiesta di pagamento del Can. Vogliotti. [208]

 

                               Ill.mo e M. R. Sig. Rettore,

 

                Creda, sig. Rettore, che l'unico motivo per cui si è differito a pagare l'annualità dell'interesse dovuto al Seminario derivò dal novello genere di amministrazione dei beni finora dall'autorità ecclesiastica amministrati. Sono già passato in Seminario, e un giorno aspettai buon tratto in Curia per parlare con Lei in questo proposito, ma alcuni congressi cui Ella doveva prendere parte me lo hanno impedito. Ora che dalla sua lettera comprendo il modo e dove debba pagare me ne darò tutta la premura e nel corso della prossima settimana ogni partita sarà aggiustata, compresa la spesa degli esercizi spirituali fatti e da farsi.

                La prego, sig. Rettore, di persuadersi che noi versiamo pure in gravissime strettezze, ma qualora avessi avuto intenzione d'invocare un condono, l'avrei fatto non interpretando la sua carità, ma supplicando la pia di Lei volontà, come in altre occasioni ho fatto. Tuttavia io accetto colla più sentita gratitudine la riduzione dei fr. 150 che paga del suo proprio danaro, e prego Dio che la ricompensi degnamente, specialmente concedendole stabile e durabile sanità.

                Se mi permette, le fo' una osservazione o meglio una preghiera. Parlando dei nostri chierici dice sempre suoi chierici, chierici dell'Oratorio. Mi farebbe un favore se volesse chiamarli anche suoi, perciocchè Ella sa sono pochi e quei pochi f atti preti vanno per la Diocesi: come sono D. Reviglio, D. Rocchetti, D. Leggero, Rovetti, ecc.; quelli stessi che rimangono qui si può dire che lavorano incessantemente a preparar chierici pel seminario diocesano, o si occupano altrimenti nel predicare, fare catechismi e simili.

                Ancora un favore le dimando, ed è che quando ha qualche cosa da osservare, notare su di me, sui chierici o sull'andamento dell'Oratorio torio, me lo volesse sempre dire schiettamente, oppure farmi avvisato per mezzo di qualche chierico che io passerei tosto da Lei.

                Offerendole la nostra servitù in tutto quello che io o questa casa ne saremo capaci, le auguro ogni celeste benedizione e mi professo con pienezza di stima e di venerazione

                Di V. S. Ill.ma e M. R.

 

                Torino, 22 Maggio 1868,

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

                Nello stesso giorno il Sommo Pontefice, per animare i fedeli a prender parte alla solenne consacrazione del tempio di Maria SS. Ausiliatrice, apriva i tesori della Chiesa, concedendo una speciale Indulgenza plenaria col Breve seguente:  [209]

 

PIO PAPA IX

 

                A tutti quei fedeli cristiani che leggeranno le Presenti, salute ed apostolica benedizione.

 

                Intenti con pio zelo a promuovere la religione nei fedeli e il bene delle anime coi celesti tesori della Chiesa, a tutti quei fedeli dell'uno e dell'altro sesso, che veramente pentiti e confessati e nutriti della S. Comunione, religiosamente visiteranno la chiesa dedicata in Torino a Maria Vergine Immacolata sotto il titolo di Aiuto dei Cristiani nel giorno in cui detta chiesa sarà consacrata, o in uno de' sette giorni immediatamente dopo da eleggersi a piacimento di ciascuno, e quivi pregheranno Dio per la concordia fra i principi cristiani, per la estirpazione delle eresie e per la esaltazione di S. Madre Chiesa, in quel giorno dei predetti che ciò faranno concediamo per la misericordia di Dio la Plenaria Indulgenza e remissione di tutti i loro peccati, la quale potranno applicare per modo di suffragio alle anime di quei fedeli che congiunte a Dio in carità passarono da questa vita.

                La presente è valevole soltanto per una volta.

                Dato in Roma, presso S. Pietro, sotto l'anello pescatorio addì 22 maggio 1868. Del nostro Pontificato anno vigesimo secondo.

 

Per l'Em.mo PARACCIANI CLARELLI

(L. S.)      G. B. BRANCALEONI. Cancell. Sostit.1.

 

                Altra Indulgenza plenaria, e per sette anni, era concessa per la Festa titolare della chiesa, il 24 maggio.

 

Pro D.no Card. PARACCIANI CLARELLI

Jo. B. BRANCALEONI, Cancell. Subst.

 

                Il Prov. Gen. Mons. Vogliotti ne permetteva la divulgazione e la stampa, in data 28 maggio 1868. [210]

 

PIO PAPA IX

 

                A tutti quei fedeli cristiani, che leggeranno la presente, salute ed apostolica Benedizione.

 

                Intenti con pio zelo a promuovere la religione nei fedeli e il bene delle anime coi celesti tesori della Chiesa, a tutti quei fedeli dell'uno e dell'altro sesso che veramente pentiti e confessati, e nutriti della S. Comunione religiosamente visiteranno la Chiesa dedicata in Torino alla Beata Vergine Maria Immacolata sotto il titolo di Aiuto dei Cristiani, nel giorno della festa titolare, o in uno dei nove giorni precedenti da eleggersi a piacimento di ciascuno, e quivi pregheranno Dio per la concordia fra i Principi Cristiani, per la estirpazione delle eresie, e per la esaltazione di S. Madre Chiesa, in quel giorno dei predetti che ciò faranno concediamo per la misericordia di Dio la plenaria Indulgenza e remissione di tutti i loro peccati, la quale potranno eziandio applicare per modo di suffragio alle anime di quei fedeli che congiunte a Dio in carità passarono da questa vita.

                La presente è valevole soltanto per un settennio.

 

                Dato in Roma, presso S. Pietro, sotto l'anello pescatorio, addì 22 maggio 1868.

                Del Nostro Pontificato anno vigesimo secondo.

 

Per l'Em.mo Card. PARACCIANI CLARELLI

(L. S.)           Gio. BATT. BRANCALEONI Cancell. Sostit.[7].

 

 

CAPO XVIII. La morte del secondo giovane indicata dal sogno - Si verificano tutte le circostanze Predette - Don Bosco scrive il panegirico di S. Filippo Neri - Parte per Alba ove deve esporlo dal pulpito alla Congregazione dei Sacerdoti - Al solito non ha un momento di tranquillità per una preparazione prossima - Improvvisa un nuovo discorso - Il panegirico che aveva scritto - Parte per Barolo - Facoltà settennale concessa da Pio IX di un altare privilegiato nella chiesa di Maria Ausiliatrice - IL CATTOLICO PROVVEDUTO: elogio dell'Unità Cattolica.

 

                I mesi passavano e gli alunni dell'Oratorio stavano aspettando con viva curiosità l'avveramento della seconda morte indicata dal sogno. Fatti i calcoli, sembrava ciò dovesse accadere in maggio al più tardi. Ed ecco morire nell'Oratorio il giovane Corecchio, dopo pochi giorni di malattia. L'Unità Cattolica del 26 maggio 1868 nel suo necrologio pubblica: “Decessi nel 24 - 5 - 1868: ... Corecchio Pietro, di anni 16, di Santhià, studente”.

                I parenti del giovane, circostanza predetta, erano stati a visitarlo. Don Bosco, invece, come egli aveva annunziato, non poté dargli l'ultimo addio: era, come diremo, fuori di Torino. Altre circostanze che identificavano essere il Corecchio il 2° del sogno, furono la pietà con cui ricevette gli ultimi Sacramenti e la sua morte edificante. A Don Bosco nel sogno era stato detto: “Durò infermo otto giorni”. [212] Don Michele Rua scrisse nel registro dei defunti: “ Maggio 1868. -  Muore Corecchio Pietro di San Damiano (Santhià), nato il 25 novembre 1852. La sua assiduità alle sacre funzioni ed attitudine agli studii gli procacciò la protezione del suo parroco che gli ottenne un posto nell'Oratorio. Fu egli assennato e di poche parole: non mancava però della necessaria apertura di cuore coi superiori. Primeggiava nelle scuole per la sua diligenza e capacità e faceva sperare eccellente riuscita. Una malattia violenta, cui sopportò con tutta pazienza, lo tolse all'affetto dei parenti, superiori e compagni; ma lo trasportò nel paradiso”.

                Si noti ancora una circostanza del sogno. Don Bosco aveva visto soltanto la bara di questo defunto, perché, dei tre, fu il solo che morì nell'Oratorio. Non vide la bara degli altri due, perchè il primo era morto nel Collegio di Lanzo, e il terzo, come vedremo, doveva morire nell'ospedale.

                Il servo di Dio in que' giorni erasi recato in Alba, ove era stato invitato a fare il panegirico di S. Filippo Neri. Siccome era la festa della Congregazione dei preti, aveva scritto la sua predica, e non piacendogli quel primo lavoro, lo aveva rifatto.

                Quindi davalo a Don Bonetti perchè lo esaminasse e lo correggesse, ma questi lo esaminò e lo lasciò quasi tale e quale era stato scritto. Come facesse D. Bosco a mantenere lucida e vigorosa la mente è cosa difficile a dirsi, mentre non aveva mai un momento di riposo. A percorrere un tratto di via che non richiedeva più di mezz'ora, egli ne impiegava due o tre, tanti eran quelli che lo fermavano o con lui si accompagnavano per trattare d'affari o di cose di anima. Nei carrozzoni della ferrovia, nelle stazioni s'incontrava sempre con persone che desideravano parlargli. Non v'era paese o città, ove non avesse benefattori, amici, conoscenti o giovani da esso educati.

                 - Il solo luogo dove nessun viene a disturbarmi, è il pulpito, egli diceva, e per me salire in pulpito è un riposo. [213] Così gli era accaduto andando in Alba, ove aspettavalo il Vescovo Mons. Eugenio Galletti, coll'affetto di un santo desideroso d'intrattenersi con un altro santo. Non saprei dire quanto grande fosse la sua stima per D. Bosco e quante volte parlasse di lui ai chierici del suo Seminario, fra i quali si recava ogni sera.

                Don Bosco aveva portato con sé il suo panegirico, ma le visite continue fino all'ultimo momento non gli permisero di dargli un'occhiata. Quindi, salito in pulpito, non si attenne a ciò che aveva scritto e si lanciò ex abrupto nell'argomento in modo poetico. Noi l'abbiamo già accennato nel secondo volume di queste Memorie[8]; ma qui non possiamo fare a meno di ricordarlo di nuovo brevemente.

                Finse di trovarsi sopra un dei colli di Roma, colla città distesa innanzi e di vedere un giovanetto che saliva verso di lui. Descrisse minutamente quel volto, quello sguardo, quel contegno, e poscia entrò in dialogo. Interrogò lo sconosciuto, donde venisse, che cosa facesse, perchè così solo e dimesso: quali fossero i suoi pensieri, i suoi progetti, la sua vita passata: se amasse il Signore, quale fosse la sua patria; e a tutte le interrogazioni facea seguire le risposte del giovanetto. Finì col dirgli: - Ami tu la Madonna? - A questo punto sospese il dialogo, descrisse le sembianze del giovanetto, il lampo degli occhi a tale domanda, il suo sorriso, la sua risposta e finiva col chiedergli:

                 - Chi sei, come ti chiami?

                 - Filippo Neri - rispose il giovanetto. Ciò fatto, stabilì senz'altro il suo argomento dicendo: - Vengo, o cari uditori, a dirvi che cosa sarà di questo giovanetto.

                L'impressione che fece questa predica non si può narrare, benchè le parole di Don Bosco producessero in ogni circostanza effetti meravigliosi. Quest'impressione si può argomentare dalla predica che avea scritto e non recitò, e che [214] ancora si conserva. Improvvisando non mutò la sostanza, ma tutti quei sentimenti da lui vennero esposti all'uditorio. Noi la riportiamo per intero, perchè si conosca il modo che teneva Don Bosco nel fare i panegirici. Popolare nelle idee, semplice nella lingua, affettuoso in ogni espressione, egli può servire di modello al predicatore evangelico, che a null'altro bada, fuorchè alla salute delle anime.

 

PANEGIRICO.

S. FILIPPO NERI.

 

                Sebbene le virtù e le azioni dei Santi siano tutte indirizzate allo stesso fine che è la maggior gloria di Dio e la salvezza delle anime, tuttavia è diversa la strada tenuta per giungere al sublime grado di santità cui Dio li chiamava. La ragione sembra essere questa: nella maravigliosa dispensazione de' suoi doni suole Iddio per varii modi e per diverse vie chiamarci a sé, affinchè le varie virtù concorrendo tutte ad adornare ed abbellire la nostra Santa Religione, coprano, per così dire, la Santa Chiesa con manto di varietà, che la faccia comparire agli occhi del celeste Sposo come una Regina assisa sul trono della gloria e della maestà. Difatto noi ammiriamo il fervore di tanti solitari che o diffidenti di se stessi in tempo delle persecuzioni, o per timore di naufragare nel secolo, abbandonarono casa, parenti, amici ed ogni sostanza per andare in deserti sterili e appena abitabili dalle fiere. Altri, quai coraggiosi soldati del Re de' Cieli, affrontarono ogni pericolo e disprezzando il ferro, il fuoco e la morte stessa, offrirono con gioia la vita, confessando Gesù Cristo, e sigillando col proprio sangue le verità che altamente proclamavano. Quindi una schiera mossa dal desiderio di salvare anime portasi in lontani paesi, mentre molti altri tra noi collo studio, colla predicazione, colla ritiratezza, colla pratica di altre virtù, aggiungono splendore a splendore alla Chiesa di Gesù Cristo. Ve ne sono poi alcuni, fatti secondo il cuor di Dio, i quali racchiudono tale un complesso di virtù, di scienza, di coraggio e di eroiche operazioni, che ci fanno altamente palese quanto Iddio sia meraviglioso nei santi suoi: Mirabilis Deus in sanctis suis. Tutte le epoche della Chiesa sono glorificate da qualcuno di questi eroi della Fede. Il secolo decimosesto fra gli altri ha un S. Filippo Neri, le cui virtù sono oggetto di questa rispettabile adunanza e di questo nostro qualsiasi trattenimento.

                Ma in un trattenimento che cosa potrassi mai dire di un Santo, le cui azioni raccolte soltanto in compendio formano grossi volumi? Azioni che sole bastano a dare un perfetto modello di virtù al semplice [215] cristiano, al fervoroso claustrale, al più laborioso ecclesiastico? Per queste ragioni io non intendo di esporvi diffusamente tutte le azioni e tutte le virtù di Filippo, perciocchè voi meglio di me le avete già lette, meditate ed imitate; io mi limiterò a darvi solamente un cenno di quello che è come il cardine intorno a cui si compierono, per così dire, tutte le altre sue virtù; cioè lo zelo per la salvezza delle anime! Questo è lo zelo raccomandato dal Divin Salvatore quando disse: Io son venuto a portare un fuoco sopra la terra, e che cosa io voglio se non che si accenda? Ignem veni mittere et quid volo nisi ut accendatur? Zelo che faceva esclamare l'Apostolo Paolo di essere anatema da Gesù Cristo pe' suoi fratelli: Optabam me esse anathema Pro fratribus meis.

                Ma in quale critica posizione mi sono mai messo, o Signori! Io che appena potrei essere vostro allievo, pretendo ora di farvela da maestro? È vero, ed appunto per fuggire la taccia di temerario richiedo preventivamente benevolo compatimento, se nella mia pochezza non potrò corrispondere alla vostra aspetttiva. Spero per altro tutto dalla grazia del Signore e dalla protezione del nostro Santo.

                Per farmi strada al proposto argomento ascoltate un curioso episodio. È di un giovanetto che appena in sui vent'anni di età, mosso dal desiderio della gloria di Dio, abbandona i propri genitori, di cui era unico figlio, rinuncia alle vistose sostanze del padre e di un ricco zio che lo vuole suo erede: e solo, all'insaputa di tutti, senza mezzi di sorta, appoggiato alla sola Divina Provvidenza, lascia Firenze, va a Roma. Ora miratelo: egli è caritatevolmente accolto da un suo concittadino (Caccia Galeotto): egli si arresta in un angolo del cortile di casa: sta col guardo verso la città assorto in gravi pensieri!

                Avviciniamoci ed interroghiamolo:

                 - Giovane, chi siete voi e che cosa rimirate con tanta ansietà?

                 - Io sono un povero giovanetto forestiero; rimiro questa grande città, e un pensiero occupa la mente mia; ma temo che sia follia e temerità.

                 - Quale?

                 - Consacrarmi al bene di tante povere anime, di tanti poveri fanciulli, che per mancanza di religiosa istruzione camminano la strada della perdizione.

                 - Avete scienza?

                 - Ho appena fatto le prime scuole. Avete mezzi materiali?

                 - Niente; non ho un tozzo di pane fuor di quello che caritatevolmente mi dà ogni giorno il mio padrone.

                 - Avete chiese, avete case?

                 - Non ho altro che una bassa e stretta camera il cui uso mi é [216] per carità concesso. Le mie guardarobe sono una semplice fune tirata dall'uno all'altro muro, sopra cui metto i miei abiti e tutto il mio corredo.

                 - Come dunque volete senza nome, senza scienza, senza sostanze e senza sito, intraprendere un'impresa così gigantesca?

                 - È vero: appunto la mancanza di mezzi e di meriti mi tiene sopra pensiero. Dio per altro che me ne inspira il coraggio, Dio che dalle pietre suscita figliuoli di Abramo, quel medesimo Iddio è quello che.....

                Questo povero giovane, o Signori, è Filippo Neri, che sta meditando la riforma dei costumi di Roma. Egli mira quella città, ma ahi! come la vede! La vede da tanti anni schiava degli stranieri; la vede orribilmente travagliata da pestilenze, da miseria, la vede dopo essere stata per tre mesi assediata, combattuta, vinta, saccheggiata e si può dire distrutta.

                Questa città deve essere il campo in cui il giovane Filippo raccoglierà copiosissimi frutti. Vediamo come si accinga all'opera. Col solo aiuto della Divina Provvidenza egli ripiglia il corso degli studii; compie la filosofia, la teologia, e, seguendo il consiglio del suo Direttore, si consacra a Dio nello stato sacerdotale. Colla Sacra Ordinazione si raddoppia il suo zelo per la gloria di Dio. Filippo, divenendo sacerdote, si persuade con S. Ambrogio che: Collo zelo si acquista la fede, e collo zelo l'uomo è condotto al possesso della giustizia. Zelo fides aquiritur, zelo iustitia possidetur (S. Amb. in ps. 118). Filippo è persuaso che niun sacrifizio è tanto grato a Dio quanto lo zelo per la salvezza delle anime. Nullum Deo gratius sacrificium offerri potest quam zelus animarum (Greg. M. in Ezech.). Mosso da questi pensieri parevagli che turbe di cristiani, specialmente di poveri ragazzi, di continuo gridassero col profeta contro di lui! Parvuli petierunt panem et non erat qui frangeret eis. Ma quando egli poté frequentare le pubbliche officine, penetrare negli ospedali e nelle carceri e vide gente di ogni età e di ogni condizione data alle risse, alle bestemmie, ai furti e vivere schiava del peccato, allorchè cominciò a riflettere come molti oltraggiavano Dio Creatore senza quasi conoscerlo, non osservavano la divina legge perchè la ignoravano, allora gli vennero in niente i sospiri di Osea che dice: (IV 1 - 2): A motivo che il popolo non sa le cose dell'eterna salvezza, i più grandi, i più abominevoli delitti hanno inondato la terra. Ma quanto non fu amareggiato l'innocente suo cuore quando si accorse che gran parte di quelle povere anime andavano miseramente perdute, perchè non erano istrutte nelle verità della Fede? Questo popolo, egli esclamava con Isaia, non ha avuto intelligenza delle cose della salute, perciò l'inferno ha dilatato il suo seno, ha aperte le sue smisurate voragini, e vi cadranno i loro campioni, il popolo, i grandi ed i potenti: Populus meus quia non habuit scientiam, propterea... infernus aperuit os suum absque ullo termino,  [217] et descendent fortes eius, et Populus eius, et sublimes, gloriosique eius ad eum (Isaia v, 13 - 14).

                Alla vista di que' mali ognor crescenti, Filippo, ad esempio del Divin Redentore che, quando diede principio alla sua predicazione, altro non possedeva nel mondo se non quel gran fuoco di divina carità che lo spinse a venire dal Cielo in terra; ad esempio degli Apostoli che erano privi di ogni mezzo umano quando furono inviati a predicare il Vangelo alle nazioni della terra, che erano tutte miseramente ingolfate nell'idolatria, in ogni vizio o, secondo la frase della Bibbia sepolte nelle tenebre di morte, Filippo si fa tutto a tutti nelle vie, nelle piazze, nelle pubbliche officine; s'insinua nei pubblici e privati stabilimenti, e con quei modi garbati, dolci, ameni che suggerisce la vera carità verso il prossimo, comincia a parlare di virtù, di religione a chi non voleva sapere né dell'una né dell'altra. Immaginatevi le dicerie che si andavano spargendo a suo conto! Chi lo dice stupido, chi lo dice ignorante, altri lo chiamano ubbriaco, né mancò chi lo proclamava pazzo.

                Il coraggioso Filippo lascia che ciascuno dica la parte sua, anzi dal biasimo del mondo egli è assicurato che le opere sue sono di gloria a Dio; perchè quanto il mondo dice sapienza è stoltezza presso Dio: perciò procedeva intrepido nella santa impresa. Ma chi può mai resistere a quella terribile spada a due tagli quale è la parola di Dio? Ad un sacerdote che corrisponde alla santità del suo ministero? In breve tempo le persone di ogni età, di ogni condizione, ricchi e poveri, dotti e ignoranti, ecclesiastici e borghesi, dalla più alta classe sino agli apprendisti, agli spazzini, ai mozzi, al piccolo, al grande muratore, cominciano ad ammirare lo zelo del Servo di Dio; vanno ad ascoltarlo; la scienza della fede si fa strada nei loro cuori: cangiano il disprezzo m ammirazione, l'ammirazione in rispetto; quindi in Filippo altro più non si vede che un vero amico del popolo, un zelante ministro di G. C. che tutto guadagna, tutto vince, a segno che tutti cadono vittima fortunata della carità del novello Apostolo. Roma cangia di aspetto, ognuno si professa amico di Filippo, tutti lodano Filippo, parlano di Filippo, vogliono veder Filippo. Di qui cominciarono le meravigliose conversioni, gli strepitosi guadagni di tanti ostinati peccatori, di cui a lungo parla l'autore della vita del Santo (V. Bacci).

                Ma Dio aveva inviato Filippo specialmente per la gioventù, perciò a questa rivolse la sua speciale sollecitudine.

                Considerava egli il genere umano come un gran campo da coltivarsi. Se per tempo si semina buon frumento si avrà abbondante raccolto; ma se la seminagione è fuor di stagione, si raccoglierà paglia e loppa. Sapeva eziandio che in questo campo mistico vi è un gran tesoro nascosto, vale a dire le anime di tanti giovanetti per lo più innocenti e spesso perversi senza saperlo. Questo tesoro, diceva Filippo [218] in cuor suo, è totalmente confidato ai sacerdoti, e per lo più da essi dipende il salvarlo o il dannarlo.

                Non ignorava Filippo che tocca ai genitori aver cura della loro figliuolanza, tocca ai padroni aver cura dei loro soggetti; ma quando questi non possono, o non sono capaci, oppure non vogliono, si dovranno lasciar andare queste anime alla perdizione? Tanto più che le labbra del sacerdote devono essere il custode della scienza e i popoli hanno diritto di cercarla dalla bocca di lui e non da altri.

                Una cosa al primo aspetto sembrò scoraggiare Filippo nella coltura dei poveri ragazzi ed era la loro instabilità, le loro ricadute nel medesimo male e peggio ancora. Ma si riebbe da questo panico timore al riflettere che molti erano perseveranti nel bene, che i recidivi non erano in numero stragrande, e che costoro medesimi colla pazienza, colla carità e colla grazia del Signore, per lo più si mettevano in fine sulla buona strada, e che perciò la parola di Dio era un germe, il quale, o più presto, o più tardi, produceva il sospirato frutto. Egli pertanto sull'esempio del Salvatore che ogni giorno ammaestrava il popolo: erat quotidie docens in templo, e con premura chiamava i ragazzi più discoli a sé, andava ovunque esclamando: Figliuoli, venite da me, io vi additerò il mezzo di farvi ricchi, ma delle vere ricchezze che non falliranno mai; io v'insegnerò il santo timor di Dio: Venite, filii, audite me, timorem Domini docebo vos. Queste parole, accompagnate dalla grande sua carità e da una vita che era il complesso di ogni virtù, facevano sì che turbe di fanciulli da tutte parti corressero al nostro Santo. Il quale ora indirizzava la parola ad uno, ora ad un altro; collo studente faceva il letterato, col ferraio il ferraio, col falegname il capo falegname, col barbiere il barbiere, col muratore il capo mastro, col calzolaio il mastro ciabattino. In tal modo, facendosi tutto a tutti guadagnava tutti a Gesù Cristo. Perciocchè quei giovanetti, allettati da quelle caritatevoli maniere, da quegli edificanti discorsi, sentivansi come tratti dove Filippo voleva; a segno che succedeva l'inudito spettacolo che per le vie, per le piazze, per le chiese, per le sacrestie, nella stessa sua cella, durante la messa, e fino nel tempo di preghiera, egli era preceduto, seguito, intorniato da ragazzi che pendevano dalle sue labbra, ascoltavano gli esempi che raccontava, i principii di catechismo che loro andava esponendo. E poi? Ascoltate. Questa turba di ragazzi indisciplinati ed ignoranti, di mano in mano che venivano istruiti nel catechismo, dimandavano di accostarsi al Sacramento della Confessione e della Comunione, cercavano di ascoltare la S. Messa, udire le prediche, e a poco a poco cessavan dalle bestemmie, dall'insubordinazione, e infine abbandonavano i vizi, miglioravano i costumi, talmente che migliaia di sventurati fanciulli i quali, già battendo la via del disonore, avrebbero forse terminata la loro vita nelle carceri o col capestro, con loro eterna perdizione, per lo zelo di Filippo furono ai loro parenti restituiti [219] docili, ubbidienti, buoni cristiani, avviati per la strada del Cielo. Oh Santa Cattolica Religione! O portenti della parola di Dio! quali maraviglie non operi mai tu per mezzo del ministro che conosca e compia i doveri di sua vocazione!

                Qualcuno dirà: Queste meraviglie operò S. Filippo perchè era un Santo. Io dico diversamente: Filippo operò queste meraviglie perchè era un sacerdote che corrispondeva allo spirito della sua vocazione. Io credo che se animati dallo spirito dello zelo, di confidenza in Dio ci dessimo noi pure davvero ad imitare questo Santo, otterremmo certamente gran risultato nel guadagno delle anime. Chi di noi non può radunare alcuni fanciulli, far loro un po' di catechismo in una casa od in chiesa, e se fosse mestieri anche nell'angolo di una piazza o in una via, e colà istruirli nella fede, animarli a confessarsi e quando occorre ascoltarli in confessione? Non possiamo noi ripetere con S . Filippo: Fanciulli, venite a confessarvi ogni otto giorni, e comunicatevi secondo il consiglio del confessore?

                Ma, come mai, fanciulli dissipati, amanti del mangiare, del bere e di trastullarsi, come mai poterli piegare alle cose di chiesa e di pietà? Filippo trovò questo segreto. Ascoltate: Imitando la dolcezza e la mansuetudine del Salvatore. Filippo li prendeva alle buone, li accarezzava, agli uni regalava un confetto, agli altri una medaglia, una immaginetta, un libro e simili. Ai più discoli poi e ai più ignoranti che non erano in grado di gustare quei sublimi tratti di patema benevolenza, preparava un pane loro più adattato. Appena egli poteva averli intorno a sé, subito si faceva a raccontare loro amene storielle, li invitava a cantare, a suonare, a rappresentazioni drammatiche, a salti, a trastulli di ogni genere. Finalmente i più restii, i più vanerelli erano per così dire strascinati nei giardini di ricreazione cogli strumenti musicali, colle bocce, colle stampelle, colle piastrelle, con offerte di frutta e di piccole refezioni, di colazioni, di merende. Ogni spesa, diceva Filippo, ogni fatica, ogni disturbo, ogni sacrifizio è poco, quando contribuisce a guadagnare anime a Dio. Così la camera di Filippo era divenuta quale una bottega da negoziante, come luogo di pubblico spettacolo, ma nel tempo stesso fatta casa di orazione e luogo di santificazione. Così Roma vide un sol uomo, senza titoli, senza mezzi e senza autorità, armato dal solo usbergo della carità, combattere la frode, l'inganno, la scostumatezza ed ogni sorta di vizio, e tutto superare e tutto vincere a segno che molti, che la voce pubblica chiamava lupi rapaci, divennero mansueti agnelli. Queste gravi fatiche, questi schiamazzi e disturbi, che a noi sembrano forse appena sopportabili qualche momento, furono il lavoro e la delizia di San Filippo per lo spazio di oltre a sessant'anni, cioè durante tutta la sua vita sacerdotale, fino alla più tarda vecchiaia, fino a tanto che Iddio lo chiamò a godere il frutto di tante e così prolungate fatiche.

                Rispettabili signori, àvvi qualche cosa in questo Servo fedele [220] che non si possa da noi imitare? No che non v'è. Ciascuno di noi nella sua condizione è abbastanza istruito, è abbastanza ricco per imitarlo, se non in tutto, almeno in parte. Non lasciamoci illudere da quel vano pretesto che talvolta ci avviene di ascoltare: Io non sono obbligato; ci pensi chi ne ha il dovere. Quando dicevano a Filippo che non avendo cura di anime non era tenuto a lavorare cotanto, rispondeva: “Il mio buon Gesù aveva forse qualche obbligo di spargere per me tutto il suo sangue? Egli muore in croce per salvare anime, ed io suo ministro mi rifiuterò di sostenere qualche disturbo, qualche fatica per corrispondere?” Ecclesiastici, mettiamoci all'opera. Le anime sono in pericolo e noi dobbiamo salvarle. Noi siamo a ciò obbligati come semplici cristiani, cui Dio comandò aver cura del prossimo: Et mandavit illis unicuique de proximo suo. Siamo obbligati perchè si tratta delle anime dei nostri fratelli essendo noi tutti figli del medesimo Padre Celeste. Dobbiamo anche sentirci in modo eccezionale stimolati a lavorare per salvare anime, perchè questa è la più santa delle azioni sante: Divinorum divinissimum est cooperari Deo in salutem animarum (Areopagita). Ma ciò che ci deve assolutamente spingere a compiere con zelo quest'ufficio si è il conto strettissimo che noi, come ministri di G. C., dovremo rendere al suo Divin Tribunale delle anime a noi affidate.

                Oh il gran conto, conto terribile che i genitori, i padroni, i direttori, e in generale tutti i sacerdoti dovranno rendere al tribunale di Gesù Cristo delle anime loro affidate! Quel momento supremo verrà per tutti i Cristiani, ma, non facciamoci illusione, verrà anche per noi sacerdoti. Appena saremo svincolati dai lacci del corpo e compariremo davanti al Divin Giudice, vedremo in modo chiaro quali fossero gli obblighi del nostro stato, e quale ne sia stata la negligenza. Davanti agli occhi apparirà l'immensa gloria da Dio preparata ai suoi fedeli, e vedremo le anime... sì, tante anime che dovevano andarlo a godere, e che per nostra trascuratezza nell'istruirle nella fede andarono perdute!

                Che terribile posizione per un sacerdote quando comparirà davanti al Divin Giudice che gli dirà: Guarda giù nel mondo: quante anime camminano nella via dell'iniquità e battono la strada della perdizione! Si trovano in quella mala via per cagion tua; tu non ti sei occupato a fare udire la voce del dovere, non le hai cercate, non le hai salvate. Altre poi per ignoranza, camminando di peccato in peccato, ora sono precipitate nell'inferno. Oh! guarda quanto è grande il loro numero! Quelle anime gridano vendetta contro di te. Ora, o servo infedele, serve nequam, dammene conto. Dammi conto di quel tesoro prezioso che ti ho affidato, tesoro che costò la mia passione, il mio sangue, la mia morte. L'anima tua sia per l'anima di colui che per tua colpa si è perduta: Erit anima tua pro anima illius.

                Ma no, mio buon Gesù, noi speriamo nella vostra grazia e nella [221] vostra infinità misericordia che questo rimprovero non sarà per noi. Noi siamo intimamente persuasi del gran dovere che ci stringe d'istruire le anime affinchè per cagion nostra non vadano miseramente perdute. Onde per l'avvenire, per tutto il tempo della vita mortale, noi useremo la più grande sollecitudine affinchè nessuna anima per nostra colpa abbia da perdersi.

                Dovremo sostenere fatiche, stenti, povertà, dispiaceri, persecuzioni ed anche la morte? Ciò faremo volentieri, perchè voi ce ne deste luminoso esempio. Ma voi, o Dio di bontà e di clemenza, infondete nei nostri cuori il vero zelo sacerdotale, e fate che siamo costanti imitatori di quel Santo, che oggi scegliamo a nostro modello, e quando verrà il gran giorno, in cui dovremo presentarci al vostro Divin Tribunale per esser giudicati, possiamo avere non già un biasimo di riprovazione, ma una parola di conforto e di consolazione. E voi, o glorioso S. Filippo, degnatevi d'intercedere per me indegno vostro divoto, intercedete per tutti questi zelanti sacerdoti che ebbero la bontà di ascoltarmi e fate che in fine della vita tutti possiamo udirci quelle consolanti parole: Hai salvate anime, hai salva la tua: Animam salvasti, animam tuam praedestinasti.

 

                'Mentre il Servo di Dio predicava, molti che conoscevano ed ammiravano il suo zelo per la salvezza delle anime, specialmente della gioventù, videro nelle sue parole il suo ritratto, sicché, a quando a quando, mentre egli additava le sante industrie di S. Filippo, andavano ripetendo sotto voce:

                 - Don Bosco! Don Bosco! ...

                Com'ebbe finita la sua orazione, partiva per Barolo e poi tornava a Torino, ove continuavano ininterrotti i preparativi per la consacrazione della chiesa.

                Con un nuovo Breve, del 25 maggio, il Sommo Pontefice per sette anni concedeva alla Chiesa di Maria Ausiliatrice la grazia insigne di avere Privilegiato l'altar maggiore[9]. [222]

                In que' giorni la libreria dell'Oratorio aveva messo in vendita il libro intorno al quale D. Bosco, aiutato da Don Bonetti, aveva lavorato per più anni. Avevalo desiderato ardentemente la Contessa Callori, che ne aveva largamente sovvenuta la stampa, ed alla quale Don Bosco, come abbiam visto, aveva già inviato la prima copia. Era desso quel libro del quale più volte abbiam visto cenno nelle lettere a lei dirette dal Servo di Dio. Portava per titolo: Il Cattolico Provveduto per le pratiche di pietà con analoghe istruzioni secondo il bisogno dei tempi. Constava di 766 pagine. L'opera era dedicata a Maria SS. coll'entusiasmo e l'affetto di un figlio, che vede avvicinarsi il compimento di un voto ardentissimo per la gloria della sua. Madre celeste; e la dedica ha la data del 24 maggio.

                All'Augusta Regina del Cielo - Alla gloriosa sempre Vergine Maria - Concepita senza macchia originale - Piena di grazie e benedetta fra tutte le donne - Figlia dell'Eterno Padre Genitrice del Verbo increato - Sposa dello Spirito Santo Delizia della Santissima Trinità - Fonte inesausta di fede, di speranza e di carità - Avvocata degli abbandonati - Sostegno e difesa dei deboli - Ancora di confidenza - Madre di misericordia - Rifugio dei Peccatori - Consolatrice degli afflitti Salute degli infermi - Conforto dei moribondi - Speranza nei [223] mali che opprimono il mondo - Eccelsa benefattrice del genere umano - A voi che in questo giorno - La Chiesa Cattolica proclama - Aiuto dei Cristiani - Un indegno vostro servo non potendo fare altro - Questo libro umilmente consacra. - 24 maggio 1868.

 

                La Prefazione diceva:

 

Al Lettore

 

                In questo libro, o cattolico lettore, troverai una copiosa raccolta di pratiche di pietà ricavate dai più accreditati autori. Due cose si ebbero specialmente di mira: guidare il cristiano alle fonti da cui tali pratiche traggono origine, osservando come esse fondansi sulla Bibbia o sopra instituzioni ecclesiastiche, totalmente consentanee a quanto è rivelato nei libri santi.

                In secondo luogo si preferiscono le preghiere e gli esercizi divoti a cui sono annesse le sante indulgenze, perché, mentre esse racchiudono l'approvazione ecclesiastica, servono sempre più a far conoscere i tesori inesauribili che la divina misericordia ha confidato all'infallibile magistero della Chiesa per vantaggio dei fedeli.

                In quanto poi alle preghiere furono di preferenza scelte quelle composte, dette, o approvate dai santi, oppure usate nella Liturgia della Chiesa.

                Spero che tu, o lettore, se non sarai totalmente soddisfatto, degnerai almeno di benigno compatimento al buon volere del povero compilatore che ti augura ogni celeste benedizione e si raccomanda alla carità delle valide tue preghiere.

 

Sac. GIOVANNI BOSCO.

 

                L'Unità Cattolica del 3o 0icembre 1868 così ne parlava:

 

                Fra le molte operette che il Sac. Bosco spesso va pubblicando a vantaggio della pietà e della religione, con molto piacere annunciamo Il Cattolico provveduto di pratiche di pietà con analoghe istruzioni. Noi lo abbiamo attentamente letto da capo a fondo, e senza parlare del merito letterario, della chiarezza dei pensieri dell'unzione morale, per le quali cose l'autore è già per molte altre pubblicazioni conosciuto, noi ci limitiamo qui ad assicurare il lettore, che vi troverà non una nuda raccolta di preghiere, ma il racconto biblico ed ecclesiastico sopra cui ciascuna pratica è basata. Così che, mentre il cuore trova un pascolo nella pietà, l'intelletto viene illuminato e rassodato nelle fondamenta della religione. È un volume in 16, di 766 pagine. Si vende a fr. 2, 50, in legatura semplice, alla tipografia dello stabilimento di San Francesco di Sales.

 

 

CAPO XIX. Le pie persone o per voti fatti, o per grazie ricevute o per divozione, provvedono gli oggetti necessarii pel servizio religioso della nuova chiesa - Grandi provviste di cera: le candele del Marchese Uguccioni e un cereo di Pio IX - Offerte di danaro: Lettera del Conte Callori - I benefattori mandano a Don Bosco una quantità e varietà meravigliosa di commestibili per gli alunni, gli ospiti, e i personaggi invitati alle feste - Iscrizioni del Prof. Vallauri nella chiesa - Preparativi in casa: scuola di cerimonie: prove di canto e di suono; le bandiere per i cortili: le luminarie: i banchi della fiera; il buffet - Don Bosco scrive lettere d'invito a molti signori e al Duca d'Aosta - Immagini e medaglie di Maria Ausiliatrice - Signori della più alla nobiltà di Torino accettano di far la questua alla porta della chiesa. - Nota scordante fra le armonie: il Vescovo di Pinerolo scrive a Don Bosco esponendogli i motivi pei quali non può concedergli le commendatizie per l'approvazione della Pia Società; e con una sua lettera espone al Card. Quaglia le ragioni del rifiuto - Commendatizie del Vescovo di Saluzzo e dell'Arcivescovo di Pisa.

 

                L'ALLESTIMENTO interno del sacro edifizio era finito, e a Don Bosco mancavano ancora quasi tutti gli oggetti necessari pel servizio religioso. Iddio però, che è padrone del cuore degli uomini, ispirava a più persone di fargli avere quanto occorreva senza che ne fossero richieste. Da Roma gli fu mandato un calice veramente elegante. La [225] coppa era d'argento col gambo di bronzo dorato, di notabile altezza, con varii lavori di molto pregio. Era un dono del dott. Tancioni professore di medicina e chirurgia alla Università di Roma. Per grave malattia trovandosi all'estremo della vita, perduta ogni speranza ne' mezzi umani, venne dagli amici incoraggiato a fare una novena a Maria Ausiliatrice con promessa di fare qualche dono alla chiesa di Valdocco, se guariva. Dalla promessa all'esser fuori pericolo passò appena la metà della novena. Compiva fedelmente il suo voto e voleva che sopra il calice fosse ricordato il celeste favore da lui ricevuto con queste parole: Familiae Tancioni Romanae votum MDCCCLXVIII. Sopra il calice era un'elegante e ricca palla, ovvero animetta, coll'immagine del Redentore, lavoro delle monache del Bambino Gesù in Aix - la - Chapelle, città di Prussia, a spese della contessa Stolberg, moglie del celebre Luterano e poi fervoroso cattolico conte Stolberg Vernigerode, membro ereditario della camera dei Signori in Prussia.

                Il sig. M. Luigi Borgognoni, guarito da un ostinatissimo male di stomaco dopo avere invocata Maria, per compiere il voto fatto mandava da Roma due calici di metallo dorato. Nel basamento di uno vi erano tre figure rappresentanti la fede, la speranza e la carità; nell'altro tre figure rappresentano Mosé, Aronne, Melchisedecco.

                Pure da Roma la signora Francesca Giustiniani, per una importantissima grazia ricevuta, dalla quale era derivata la fortuna e la felicità di tutta la sua famiglia, spediva a Don Bosco un reliquario di metallo dorato che racchiudeva una particella del sacratissimo Legno della Croce del Salvatore colla rispettiva autentica.

                In vero, sembrava che ci fosse chi andasse a significare a ciascuna delle benefiche persone, o per grazie ricevute, o per divozione, quanto occorreva per quella solennità. Una signora francese d'alto lignaggio, la Duchessa Laval di Montmorency, inviò a sufficienza camici, cotte, amitti, animette, corporali, tovaglie, tovaglini con alcune pianete. Una signora fiorentina [226] offerse un elegante incensiere con navicella. Un signore torinese provvide i candelieri, le croci e le carte - gloria per tutti gli altari.

                Piviali, tunicelle, pianete, messali, pissidi, lampade per le solennità, lampade ordinarie, olio per le medesime, campanelli per la sagrestia, campanelli per i singoli altari, ostensori, palliotti, quadri, tovaglie di varie genere, le ampolline e perfino le funi delle campane, tutto venne in breve tempo provveduto, ma in modo e misura che nemmeno un oggetto restò duplicato e senza che neppur uno di essi venisse a mancare al bisogno. Riguardo al campanello della sacrestia avvenne quanto segue.

                Un signore torinese, travagliato da male di capo che si estendeva alla nuca con minaccia della stessa spina dorsale, portavasi in quei giorni alla novella chiesa per supplicare l'augusta Regina del Cielo a volerglisi dimostrare suo aiuto presso Dio. Giunto vicino alla sacrestia intese che fra le altre cose si difettava ancora d'un campanello per la porta della sagrestia. “Se ottengo qualche sollievo nei miei mali, egli disse, provvederò immediatamente tale oggetto”. Ciò detto entrò in chiesa, fece breve preghiera e con sua grande consolazione si trovò perfettamente guarito. Con trasporto di gioia compié sull'istante la promessa.

                Mancavano le candele delle quali sarebbe stato grandissimo il consumo. Don Bosco aveva scritto tempo prima al sig. Gambone, ceraio, perchè facesse qualche offerta di cera alla chiesa di Maria Ausiliatrice, e ne aveva ricevuta la seguente risposta:

 

Torino, 16 aprile 1868.

 

                               Rev. Signore,

 

                Come già ebbi ad osservarle, in queste disgraziate annate un padre di famiglia non può fare offerte alle chiese, come si fece nelli anni scorsi.

                Molte chiese furono chiuse, le Corporazioni Religiose soppresse tolti i redditi ai Capitoli: tutto congiurò per rovinare li fabbricanti [227] in cera; l'esazione poi è diventata una vera miseria, ed infatti mio figlio, giunto ieri, non portò dal suo viaggio io franchi e non so come finirà il viaggio della Lomellina.

                In tale stato io sono nella dispiacenza di non poter fare per la sua Pia Società ciò che vorrei, ma non voglio rimanere estraneo dal concorrere in ciò che posso, e perciò resta stabilito che per cinque anni consecutivi ella avrà lo sconto del 10 % sulle mie parcelle a titolo di elemosina, tanto sulla cera che sulle candele milly da chiesa e ad uso famiglia.

                Aggradisca, caro Don Bosco, li attestati della mia distinta stima.

 

Um.mo dev.mo Servo

GAMBONE.

 

                Ma i donatori non mancarono. Il Cav. Oreglia riceveva da Firenze la seguente lettera:

 

                Firenze, 29 maggio 1868

 

                               Amico pregiatissimo,

 

                Aggiunsi ad una lettera di mia moglie un quesito a Don Bosco, al quale egli si compiacque replicare, è vero, con un consiglio che non appagava il mio desiderio, giacchè come fabbricante di cera per le chiese, amava che qualche face fabbricata nella mia fabbrica concorresse alla festa della nuova chiesa. Desideroso quindi che ciò avvenga la prevengo di avere oggi stesso spedito alla direzione di Don Bosco una discreta quantità di candele e candelotti che fra noi sarebbero usate ad ornamento degli altari e più particolarmente pei viticci che attorniano le immagini, le reliquie ed anche il SS. Sacramento. La prevengo adunque di questo invio pel caso che nella moltiplicità degli affari quel degno sacerdote dimenticasse di far ritiro della cassetta spedita alla di lui direzione.

                Intanto sono a darle sempre discrete e soddisfacenti le nuove di Moma e assai migliori quelle della nipotina Montauto che accenna essere prossima alla convalescenza della migliare che l'affligge da 20 giorni, ed, ove questo, spero che effettueremo la nostra gita costà durante le feste con somma nostra reciproca soddisfazione.

                Riceva i saluti di Moma, che meco conta sulle preghiere sue e di Don Bosco.

GHERARDO UGUCCIONI.

 

                Un altro benefattore mandò candele per gli altari. Mancavano le candele piccole per le messe e una signora torinese le provvide. Furono pure un grazioso dono le torcie. [228] Lo stesso Sommo Pontefice aveva donato uno stupendo cereo lavorato con molta maestria, a Lui offerto dalla Basilica Lateranese, con queste parole scritte nel cereo stesso: S. Basilica Lateranensis caput et mater omnium Ecclesiarum, che è la medesima iscrizione che sta sopra la porta maggiore di quella veneranda Basilica. Così - commentava Don Bosco - i Salesiani e i loro giovani in certo modo avevano il Vicario di Gesù Cristo che teneva davanti all'altare maggiore una fiaccola accesa per ricordare che la loro fede per esser viva e fruttuosa deve sempre essere illuminata e guidata dal Vicario di Gesù Cristo.

                Altri benefattori mandavano o promettevano offerte in danaro a favore della nuova chiesa.

 

Casale 3 giugno 1868.

 

                               M. R. e Ven.mo Sig. Don Bosco,

 

                Fra pochi giorni sarà consecrata ed aperta al pubblico culto la nuova chiesa, che lo zelo e la pietà della S. V. M. R. ha saputo innalzare alla gran Madre di Dio, Maria Auxilium Christianorum.

                In tale circostanza io raccomando alle preghiere di Lei la cara mia moglie, affinchè Dio, per intercessione della gloriosa sua Madre, la guarisca interamente dalle infermità che da parecchi anni la travagliano dolorosamente. Anche oggidì essa è inferma. Da otto giorni essa è costretta a tenere il letto, e trovasi assai prostrata di forze. La Vergine SS. non può negare a Lei l'invocata guarigione, a Lei che con tanto affetto e con tanta operosità ne promosse il culto e la venerazione.

                Io spero tutto dalle preghiere di Lei, sempre però sottomettendomi alla volontà di Dio.

                Dal canto mio io offro a benefizio della nuova chiesa, e pongo ai piedi della Madonna la somma di L. cinque mila (5000), che pagherò alla S. V. M. R. in cinque rate annuali, delle quali la prima entro il corrente anno, e le altre successivamente di anno in anno.

                Degnisi Ella intanto di aggradire gli atti dell'ossequiosa mia stima e venerazione, e mi permetta di baciarle rispettosamente la mano, protestandomi,

                Della S. V. M. R.,

Dev.mo Obbl.mo Servitore

FEDERICO CALLORI. [229]

 

                Le meraviglie della Madonna nel provvedere quanto occorreva pel divin culto non vennero meno neppure in tutto ciò che era necessario all'onesto sostentamento di que' giorni.

                Molti personaggi, o perchè di rimoti paesi, o perchè impegnati nelle sacre funzioni, come i Vescovi e quelli che li assistevano nel servizio religioso, non potevano allontanarsi dall'Oratorio senza grave loro disturbo, ma la povera condizione rendeva Don Bosco incapace di provvedere quanto era necessario anche per tanti altri illustri invitati; ed ecco un agiato signore porre a sua disposizione posate, porcellane, cristalli e quanto faceva bisogno pel servizio di tavola.

                Oltre a ciò bisognava preparare con larghezza pranzi per tutti, per il personale dell'Oratorio e per quello dei due collegi di Mirabello e di Lanzo, per i parrochi e gli altri sacerdoti che verrebbero numerosi dai loro paesi, per i musici esterni: non meno di 500 persone. Allo stesso modo conveniva trattare convenientemente i 1200 alunni presenti alle feste.

                Come provvedere l'occorrente? Pii benefattori inviarono vino in botti e cassette di bottiglie del più prelibato, da paesi diversi e distanti, famosi per le vigne delle loro colline. Altri spedirono gran quantità di mortadelle da Bologna, e zamboni da Parma. Dalla Lombardia venne ogni specie di formaggio, e salami, frutti primaticci o confezionati, pollastri, uova, carne, caffè, cioccolato, zucchero, biscotti e pani di varia specie, che furono la provvidenza quotidiana per otto giorni. In un sol giorno giunsero da Milano, da Genova, da Torino tre eleganti e grosse focacce. Un confettiere della città volle somministrare gratuitamente per tutto l'ottavario confetti e dolci di ogni genere. Man mano che quelle offerte giungevano erano collocate ordinatamente in magazzini a ciò destinati. Quelli stessi che erano testimoni di tante provviste non sapevano darsene ragione, perchè non se n'era fatta domanda. Molti oblatori erano affatto sconosciuti e non ebbero mai alcuna relazione coll'Oratorio.

                Un venerando prelato osservando la provenienza di tante [230] svariate offerte ebbe ad esclamare commosso:

                 - Chi dicesse che gli oblatori non siamo mossi dallo spirito del Signore, negherebbe la luce del sole in pieno mezzodì.

                Mentre nelle sacrestie si benedicevano e si riponevano i paramenti ricevuti in dono, nella chiesa si collocavano al posto destinato le seguenti iscrizioni latine del prof. Tomaso Vallauri.

 

I.

                Maria Augusta - cuius adumbratam imaginem - illustriores quaedam feminae apud hebraeos retulerunt - Mater christianorum indulgentissima divinae benignitatis thesaurum - in liberos suos effudit.

 

II.

                Mariae patrocinio - saepe hostes christiani nominis sunt profligati - sed praesens eius auxilium - in navali certamine ad Naupactum maxime eluxit - quum per hispanos allobroges venetos - Turcarum copiis disiectis - Pius V Pont. Max. victoriae auspex - Mariam Auxilium Christianorum - iussit appellari.

 

III.

                Ad delendam maculam - navali pugna susceptam - infesto exercitu Vindobonam Turcae obsident - an. MDCLXXXIII - christiani principes - auctore Innocentio XI Pont. Max. - socia arma iungunt - ceteris potior insperato adest Ioannes Sobieskius - Polonorum rex - commisso proelio barbari fugantur funduntur - magna pars vulneribus confecti procumbunt - ferociam in vultu adhuc retinentes.

 

IV.

                Eius victoriae ergo - et Augustae Taurinorum et Monachi in Vindelicis - sodales creati Mariae Adiutricis - inter quos viri ex omni Ordine spectatissimi - certatim student referri.

 

V.

                Pius VII Pont. Max. - ad propagandam memoriam diei VIII cal. junias - quo Virginis Matris Auxilio - ex Savonensi captivitate est liberatus - diem festum instituit nomini recolendo - Mariae Sanctae Adiutricis Christianorum.

 

VI.

                In sacrario apud Spoletinos - iam inde ab ann. MDLXX - imago Mariae opiferae fuerat depicta - post diuturnam oblivionem - puer quinquennis visu admonitus - XIV cal. apriles an.MDCCCLXII - aediculani rimis fatiscentem - in hominum memoriam revocat - exinde [231] innumera prodigia - vim Mariae numenque declarant - maximum templum ab inchoato excitatum - ad quod magnus undique adorantium numerus - quotidie confluii.

 

VII.

                Heic ubi martyrium fecerunt  seculo III christiano - Octavius et Adventor milites legionis Thebaeorum - Taurinenses divino tantum numine et auxilio confisi - templum difficillimis temporibus extruendum curavimus - in honorem Mariae Adiutricis Christianorum - quod iacto lapide auspicali - inchoatum V cal. maias an. MDCCCLXV - solemnibus caeremoniis rite consecratum est - VII idus iunias an. MDCCC LXVIII - XXII sacri principatus Pii IX Pont. Max.

 

 

                Eccone la traduzione.

 

I.

                Maria V. Augusta - la cui figura adombrarono - molte illustri donne ebree - madre provvidentissima de' cristiani - diffuse ne' suoi figli - i tesori della bontà divina.

 

II.

                Col patrocinio di Maria - furono sbaragliati spesso i nemici della cristianità - ma il potente di lei aiuto - rifulse principalmente - nella navale battaglia di Lepanto - quando dagli Spagnuoli Savoiardi e Veneti - dispersa l'armata de' Turchi - Pio V Pontefice Massimo auspice della vittoria - chiamò Maria - Aiuto dei Cristiani.

 

III.

                Per cancellare l'ignominia della sconfitta navale - i Turchi ferocemente assediano Vienna - l'anno MDCLXXXIII - I principi cristiani ad esortazione del Pontefice Innocenzo XI - s'uniscono i alleanza - e primo appare Giovanni Sobiescki - Re di Polonia - Nella pugna i barbari son vinti dispersi - molti per le ferite cadono in campo - ritenendo ancor sul volto la ferocia.

 

IV.

                Per tal vittoria - e in Torino e in Monaco di Baviera - si formarono sodalizi di Maria Ausiliatrice - Ad essi - uomini di ogni ordine ragguardevolissimi - a gara cercano d'essere ascritti.

 

V.

                Pio VII Pont. Mass. - per tramandare la memoria del XXIV maggio - in cui per l'aiuto di Maria - fu liberato dalla prigionia di Savona - istituì la festa - di Maria SS. Aiuto dei Cristiani. [232]

 

VI.

                In una cappella presso Spoleto - già fin dall'anno MDLXX era stata dipinta un'immagine di Maria - Dopo lunga dimenticanza - un fanciullo cinquenne per visione celeste - addì XIX marzo MDCCCLXII - richiama alla memoria degli uomini - la chiesuola in rovina - Quindi innumerevoli grazie - palesano la gran potenza di Maria - ed è innalzato un magnifico tempio - a cui gran numero di divoti - da tutto il mondo ogni dì concorrono.

 

VII.

                Qui dove ebbero il martirio - nel terzo secolo di Cristo - Ottavio ed Avventore soldati della legione Tebea - noi Torinesi unicamente confidando - nella potenza ed aiuto di Dio - abbiamo in difficilissimi tempi eretto un tempio - a onore di Maria Aiuto dei Cristiani. - Messane la pietra fondamentale - addì XXVII aprile dell'anno MDCCCLXV - fu esso con tutta pompa solennemente consecrato nel giorno IX giugno MDCCCLXVIII - anno vigesimo secondo del pontificato di Pio IX.

 

                E non si creda che Don Bosco guardasse solo ai preparativi materiali; egli adoperavasi soprattutto poichè le feste fossero celebrate col massimo splendore dei sacri riti, sicchè il popolo ne restasse edificato; e ne incaricò i cerimonieri che vari e valenti aveva l'Oratorio. Quindi la Compagnia del Piccolo Clero molto numerosa, i chierici ed anche i preti venivano esercitati nelle sacre cerimonie delle funzioni solenni, specialmente in quelle dei Pontificali. Queste cerimonie eran loro famigliari, perchè tutti i giovedì dell'anno si doveva tenere questa scuola, la quale aveva avuto da Don Bosco le sue regole pratiche:

                “1° Ciascuno abbia il suo libro delle rubriche;

                2° Sia avvisato otto giorni prima su quale uffizio deve prepararsi per le prove nella scuola.

                3° Per questo fine dalle nove e mezzo alle dieci antimeridiane vi sia studio anche per i chierici.

                Pel servizio delle messe solenni :

                1° ciascuno sia avvisato il giorno avanti su quale ufficio deve prepararsi.

                2° Si stabilisca l'ora precisa di trovarsi in sacrestia.” [233]

                Allo stesso scopo più di 400 cantori si esercitavano gran parte del giorno ad eseguire svariati pezzi di musica, insieme con molti maestri di canto e distinti dilettanti della città; e spontaneamente convenivano alle prove generali pure i più celebri musicanti di Torino. La musica della guardia nazionale, con generosità veramente degna di cuori disinteressati, offerse l'opera sua per la messa solenne del mercoledì 10 giugno e per altre funzioni. Perciò domandò al Municipio e ottenne benevolmente che fossero mutati il giorno e le ore del pubblico e ordinario servizio.

                Anche nel cortile si preparavano le bandiere che dovevano sventolare alle finestre; i lumicini per la generale illuminazione; i banchi ornati per la fiera, nella quale si sarebbero posti in vendita libri, graziosi oggetti di chincaglieria e cartoleria, oggetti di divozione, e cravatte, colletti e via discorrendo, un vero bazar di tutto ciò che poteva tornar caro ai giovani compratori. Anche una sala per un buffet si stava ordinando, per la vendita di caffè, acque gazose e birra, per soddisfare gli alunni e i loro parenti.

Don Bosco aveva scritto lettere d'invito a Mons. Riccardi di Torino, Mons. Ghilardi di Mondovì, Mons. Formica di Cuneo, Mons. Rota di Guastalla, Mons. Galletti d'Alba, Mons. Jans d'Aosta, Mons. Gastaldi di Saluzzo, Mons. Ferré di Casale, Mons. Balma, Vescovo di Tolemaide i. p. i.; e a quanti aveva benefattori ed amici, e a personaggi eminenti nella città e nello stato. Scegliamo una sola lettera di risposta a questi inviti.

 

                CASA DI S. A. R. IL DUCA D'AOSTA

Torino, 8 giugno 1868.

                UFFICIO DEL GRAN MASTRO

 

                               M. R. Sig. Teologo,

 

                L'annuncio della consacrazione della nuova chiesa erettasi in Valdocco, ponendo la prima pietra S. A. R. il Duca d'Aosta, fece: all'A. S. la più gradita impressione. [234] L'Augusto Principe m'incarica di porgerne a Lei che con tanto zelo condusse a fine rapidamente un'opera così pietosa, i suoi più sinceri rallegramenti, e di ringraziarlo ad un tempo del gentile pensiero avuto nell'annunciarle tale consacrazione.

                S. A. R. procurerà certamente di trovar modo di recarsi uno di questi giorni in forma affatto privata a visitare la sua chiesa e dove mi sia possibile non mancherò di renderne in tempo avvertita la S. V. M. R.

                Gradisca intanto l'espressione dei sentimenti rispettosi coi quali mi dico,

                Della S. V.,

Dev.mo Servo

R. MORRA

1° Aiutante di Campo di S. A. R.

 

                Cogli inviti alla festa, il Servo di Dio continuava a distribuire litografie in nero e a colori del quadro del Lorenzone, come pure le medaglie, fatte coniare a Roma e da lui benedette, coll'effigie di Maria Ausiliatrice. Gli effetti meravigliosi di queste, si possono argomentare dalla domande che ne facevano i fedeli. Le prime distribuite furono più migliaia in poco tempo; e ben presto raggiunsero le centinaia di migliaia ogni anno; e dopo la morte di Don Bosco annualmente se ne distribuì un milione, delle quali, dopo che erano state benedette, faceva spedizione il capo del magazzeno, Giuseppe Rossi, come egli ci assicurava nel 1904, mentre continuavano incessanti tali richieste.

                In fine il Venerabile aveva pregato i signori della prima nobiltà di Torino a volersi prestare per fare la questua alla porta della chiesa: ed essi avevano acconsentito volenterosamente. Scriveva al conte di Viancino:

 

Torino, 6 giugno 1868.

 

                               Car.mo sig. Conte,

 

                Credo che avrà ricevuto il programma della consacrazione della chiesa. Dal 9 al 17 del corrente Ella sarà padrone di nostra casa con preghiera che si fermi con noi a pranzo quel maggior numero di giorni che potrà. Mi rincresce che la nostra posizione non ci incoraggisca ad [235] invitare anche la signora Contessa di Lei moglie; ma spero che se non un pranzo almeno la refezione del mattino la vorrà gradire. Ella però avrà il suo da fare: il Barone Bianco conta sopra di Lei per essere qualche poco rimpiazzato a collettare alla porta della chiesa. Che ne dice? Più cose ci diremo di presenza.

                Dio benedica Lei, caro sig. Conte, benedica la signora di Lei moglie, prosperi le sue campagne e li conservi costanti ambedue per la via del Cielo. Amen.

                Preghi per la povera anima mia e mi creda nel Signore

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco Gio.

 

                Fra tanti apparecchi di festa, mentre la gioia più soave inondava nell'Oratorio tutti i cuori e la Vergine SS. sorrideva con mille favori ai suoi divoti, veniva consegnata a D. Bosco una lettera di Mons. Lorenzo Renaldi, Vescovo di Pinerolo. Il Prelato diceva di non potergli fare la Commendatizia favorevole all'approvazione della Pia Società e mentre annunciava al Servo di Dio il suo rifiuto, nello stesso tempo trasmetteva un suo foglio al Card. Angelo Quaglia, Prefetto della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari.

 

Pinerolo, addì 6 giugno 1868.

 

                                Eminenza Rev.ma,

 

                L'egregio sacerdote Don Giovanni Bosco, Rettore dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, benefattore di poveri giovanetti in Torino, mi richiese di una commendatizia presso la S. Sede per ottenere l'approvazione della Società di S. Francesco di Sales giusta gli statuti presentati. Risposi di non essere in grado di assecondare il desiderio di lui, esprimendo i motivi del mio dissenso, che giudico opportuno svolgere eziandio in questa mia lettera che sottopongo all'Eminenza Vostra Rev.ma.

                Mi associo a tutti che commendano la beneficenza dell'operoso ed infaticabile sacerdote Don Giovanni Bosco. L'accoglimento di tanti poveri abbandonati fanciulli, il nutrimento che loro porge, la cristiana educazione che procura dar loro sono meriti superiori ad ogni encomio, massimamente allora che la schiettezza e la ferma sincerità nella fede si associi all'utile insegnamento di quelle arti e mestieri in cui poscia quei giovani si eserciteranno per vantaggio proprio e delle loro famiglie, senza accrescere il numero di tanti sciagurati [236] esseri, che insofferenti della loro condizione, senza avere i pregi che si richiederebbero, si slanciano avidamente e con molte pretese tenaci, intolleranti, arditissimi, fuori del proprio stato. In ciò dunque l'opera del sacerdote Don Bosco merita ogni appoggio ed ogni encomio.

                Riguardo però alla educazione ed istruzione dei chierici e a formare della sua casa, e dell'Oratorio intitolato a S. Francesco di Sales un seminario di sacerdoti per Torino e le altre diocesi, almeno per ora, dell'antico Piemonte: in massima io sono del parere affatto contrario e, rispettando quello dei miei colleghi che vi acconsentissero, non vi acconsentirei mai.

                Non entro nelle condizioni speciali di tale educazione, quand'anche questi giovani da consecrarsi al sacerdozio potessero essere educati alle più schiette ed alle più belle virtù del sacerdozio, quand'anche potessero progredire debitamente negli studii; bensì io guardo all'obbligo che ha il Vescovo, giusta le sapientissime prescrizioni del Concilio Tridentino, di attendere egli e per mezzo di persone scelte da lui, e che può mutare ad ogni occorrenza, all'educazione del suo clero; e di prendere ad ogni uopo le necessarie informazioni, e di provvedere con esatta cognizione di causa così all'accettazione come all'allontanamento degli individui, all'indugiare o no la sacra Ordinazione, ed a emettere, giusta i Canoni e le circostanze, le necessarie provvidenze.

                Una dolorosa esperienza prova costantemente che i sacerdoti non educati dal proprio Vescovo obbediscono ad un'altra autorità che non è la sua e si schermiscono in mille guise dalla dovuta soggezione; o se non si oppongono apertamente, lo fanno di soppiatto.

                Non parlo di patrimoni ecclesiastici, non parlo della continua limitazione assegnata nelle Regole proposte di obbedire al Vescovo, prout Regulae Societatis patientur; non parlo di tutti gli esami, di tutto l'indirizzo, di tutta l'ingerenza di cui dovrebbe spogliarsi ogni Vescovo per mettersi nelle altrui mani; non parlo di innumerevoli altre conseguenze, non liete per un Vescovo bramoso di adempiere il suo dovere e di esercitare la sua dignità, conseguenze che emergerebbero dalle applicazioni di quelle Regole e che saranno già state da altri avvertite; mi basta di avere ciò accennato sommariamente e fuggitivamente per conchiudere che, lodando in tutto il resto la carità esercitata dall'operoso sacerdote Don Bosco nello accogliere ed istruire tanti e tanti infelici, non potei sottoscrivere al voto di mettere anche nelle sue mani la educazione del giovane clero.

                Si fanno, è vero, ogni dì più gravi le nostre condizioni, ma faremo ogni nostro sforzo possibile e la grazia del Signore ci aiuterà; andremo a vivere, se fa d'uopo, nei Seminarii coi nostri Chierici; convertiremo in Seminario i nostri Episcopii, ma non ci spoglieremo giammai di questo diritto paterno di educare il nostro giovane clero, diritto e dovere conceduto a noi e saviamente e ripetutamente prescrittoci [237] dai Pontefici, dai Concilii, dai decreti e  canoni loro, compendiati con sublimi e vive parole dal Concilio Tridentino.

                Sia che direttamente od indirettamente si tenda a togliere o scemare all'Episcopato questo suo importantissimo uffizio, crede di dover resistere sempre chi ha l'onore di essere col più profondo ossequio e con ogni venerazione,

                Di V. Eminenza Rev.ma,

Um.mo Obbl.mo Servitore

LORENZO, Vescovo di Pinerolo.

 

                Evidentemente il Vescovo di Pinerolo non aveva compreso le nostre Regole: poiché, parlando dell'educazione del giovane clero, queste volevano significare essere scopo della Pia Società Salesiana, al pari dell'educazione dei giovani poveri ed abbandonati negli Oratori Festivi e nelle Scuole d'Arti e Mestieri, anche il preparare nuove reclute ai Seminari mediante i nostri Collegi con scuole ginnasiali; e Don Bosco noti pensò mai a soppiantare i seminari. Eppure da taluni male interpretavasi questa sua provvidenziale carità, la quale, in quegli anni, si protrasse pel suo zelo anche per il tempo degli studii filosofici e teologici, affinchè le Diocesi del Piemonte fossero provviste di clero istruito ed esemplare, quando i Seminari diocesani erano chiusi.

                Ben diverso però era il giudizio che dava di Don Bosco e della Pia Società Salesiana chi era meglio al corrente del loro spirito, Mons. Lorenzo Gastaldi, Vescovo di Saluzzo.

 

                A Sua Em. Rev.ma il Card. Prefetto delta S. Congregazione dei Vescovi e Regolari.

Saluzzo, 25 Maggio 1868.

 

                               Eminenza Rev.ma,

 

                Dichiaro io sottoscritto di aver piena cognizione dell'Istituto fondato e diretto dal M. R. Sig. Don Giovanni Bosco nativo del comune di Castelnuovo, diocesi di Torino, perchè io stesso vidi nascere e progredire questo Istituto sotto i miei occhi, e ne vidi a crescere i frutti preziosi di dottrina e virtù cristiana.

                L'Istituto suddetto, nella sua Casa principale a Torino e negli [238] Oratorii da esso aperti e diretti, rappresenta alla lettera lo stesso spettacolo di pietà, che porgevano a Roma gli Oratorii aperti da S. Filippo.

                Il numero prodigioso dei giovani che frequentano questi Oratorii, l'attitudine e disposizione che quivi essi acquistano alla pietà ed a tutte le pratiche cristiane, la perseveranza nello spirito cristiano, che la maggior parte dei giovani quindi usciti conservano, il loro affetto tutto singolare che, sia al sig. Don Bosco, sia ai suoi compagni nel sacerdozio dimostrano e che conservano anche da lungo tempo usciti dagli Oratorii, dimostrano e provano ad evidenza, che quivi il misericordioso Iddio spande in misura sovrabbondante le sue benedizioni, e che quivi vi ha una missione particolare in vantaggio della gioventù.

                Questa benedizione risulta pure dalle vocazioni allo stato ecclesiastico, che quivi si sono svegliate; locchè fece sì che dall'anno 1848 al 1863, nel qual tempo il Seminario Arcivescovile di Torino rimase chiuso, l'Oratorio di Don Bosco che nel suo Collegio Convitto conta circa 800 giovani, fornì ed educò i Chierici alla Diocesi di Torino: del che S. E. Mons. Fransoni esprimeva al sottoscritto le sue compiacenze, mentre gemeva nel suo esiglio di Lione ed era dal sottoscritto visitato.

                Ma il sig. Don Bosco non avrebbe potuto fare che una parte menoma di tanto bene, ove non si fosse unito a tempo dei compagni, e non avesse formata una Società di Chierici e Sacerdoti, i quali sotto la sua direzione esercitassero la carità con quei giovani sovrammenzionati.

                Ora il sottoscritto dichiara, che esso vide formarsi e crescere questa Società, ne vide le Regole, ne vide il risultato. Vide che con l'osservanza di queste Regole si mantenne costantemente in essa lo spirito di obbedienza, sottomessione, umiltà, pietà, concordia, pace e carità. Trovò mai sempre nei membri formanti questa Società, come una sola mente ed un cuore solo. Vide come per miracolo sorgere in seno alla medesima una chiesa colossale che forma la meraviglia di chi la esamina, e che per la spesa di oltre a un mezzo milione di lire sostenuta da poveri sacerdoti nulla tenenti, è come un portento, il quale prova che Iddio benedice questa Società.

                Il sottoscritto pertanto non può a meno di fare voti perchè questa Società insieme con le sue regole venga approvata da Sua Santità, ed eretta alla classe di Ordine religioso, confidando che quindi ne verrebbe del gran bene alle anime, al clero, alla Chiesa in generale, ma in ispecie alla gioventù, la quale abbisogna oggidì più che mai di ottimi educatori; e quindi abbisogna di Ordini religiosi, che ne prendano cura con quello spirito di carità, discrezione, pazienza, col quale da molti anni ne prende cura la Società istituita e diretta dal detto sig. Don Giovanni Bosco. [239] Il sottoscritto passa a dichiararsi col più profondo rispetto, e baciandole umilmente la sacra porpora,

                Di V. E. Rev.ma,

Obbl.mo e osseq.mo Servitore

LORENZO, Vescovo di Saluzzo.

 

                Anche l'Arcivescovo di Pisa aveva mandato la sua Commendatizia direttamente a Roma; ma di essa non abbiam potuto rintracciar copia.

 

 

CAPO XX. Preludio delle feste - Arrivano nell'Oratorio gli alunni del Collegio di Lanzo - Il giorno dopo, domenica della SS. Trinità Prova generale dell'Antifona Sancta Maria - Articolo dell'Unità Cattolica sopra la consacrazione della nuova chiesa - Arrivo degli alunni del Collegio di Mirabello: prova generale della nuova grandiosa messa del Maestro De - Vecchi - L'Arcivescovo espone alla sera nella piccola chiesa di San Francesco le reliquie dei santi martiri, un uragano: la sacra veglia nell'intera notte - Consacrazione della chiesa - Don Bosco celebra la p - rima volta nella nuova chiesa - Una profezia - Umili parole del Servo di Dio in risposta alle lodi che gli erano tributate - Folla straordinaria alle funzioni - I Vespri e l'esecuzione dell'antifona Sancta Maria - Commozione di Don Bosco - Eloquente discorso del Vescovo di Casale: termina raccomandando Don Bosco alla Madonna - Il Tantum ergo di Don Cagliero - L'illuminazione della cupola - Alla sera Don Bosco parla agli alunni delle tre case radunati in cortile - L'Unità Cattolica descrive le impressioni del primo giorno dell'Ottavario - Le moltitudini si affollano attorno a Don Bosco - Guarigioni istantanee - Indescrivibile entusiasmo.

 

                IL portone d'entrata nell'Oratorio, che si apriva dalla via Cottolengo, in quest'anno era ancora all'estremità a levante del corpo di fabbrica, eretto sulle fondamenta dell'antica tettoia del sig. Visca, estremità abbattuta nel 1914 dopo innalzata la nuova fabbrica destinata [241] agli uffici del Capitolo Superiore. Colà, il giorno 6 di giugno, verso le dodici meridiane, la banda istrumentale e tutti gli alunni aspettavano i giovani del Collegio di Lanzo per far loro festose accoglienze. Non tardarono a risuonare le grida entusiastiche di viva i Lanzesi, viva i Torinesi; e i nuovi arrivati preceduti dalla banda si diressero in ordine innanzi ai portici. Fu un agitar di berretti e un interminabile gridare di Viva Don Bosco! quando il Servo di Dio, uscito di camera, dava loro dal poggiuolo il benvenuto.

                Dopo pranzo i nuovi arrivati furono condotti a visitare i monumenti della città.

                Il giorno 7, festa della SS. Trinità, all'ora solita, pigiati nella piccola chiesa di S. Francesco di Sales i giovani di Torino e di Lanzo ascoltarono la S. Messa e in numero grandissimo fecero la S. Comunione. A colazione ebbero tutti un companatico abbondante che Don Bosco volle si distribuisse egualmente in tutte le mattine del sacro ottavario. Alle 10 ant. vi fu la prova generale dell'antifona Sancta Maria, succurre miseris di Don Cagliero. Alle 5 e 1/2 pomeridiane, nella stessa chiesa si cantarono i vespri, si fece la predica e si diede la benedizione col Santissimo.

                L’Unità Cattolica diceva quel giorno:

 

                Quest'oggi vogliamo dedicata tutta intiera la cronaca ad una grande solennità religiosa, che avrà principio martedì prossimo, corrente. Ognuno intende che vogliamo parlare della solenne consacrazione della nuova chiesa di Don Bosco, dedicata a Maria Ausiliatrice.

                In questi tempi d'incredulità e d'indifferenza è facile veder sul labbro a taluni un sorriso di indifferenza all'udir parlare di consacrazioni di chiese. Eppure son quaranta secoli che gli increduli ridono et periit memoria eorum cum sonitu; ma le chiese consacrate stanno in piedi da quaranta secoli, ed il popolo fedele vi celebra senza interruzione e con gioia i misteri di Dio. Infatti il rito di consacrare le chiese è antichissimo, nonchè pieno di gravi misteri, la cui origine rimonta coll'erezione stessa dei templi poichè Giacobbe nel fabbricare un altare pure il consagrò. Mosé, nell'erigere un tabernacolo per espresso comando di Dio, volle anco consagrarlo; e Salomone che dalle stesse mani di Dio ricevette il disegno per la costruzione del famoso tempio [242] di Gerusalemme, ottenne anche l'oracolo di celebrarne la sagra: Dedicavit domum Dei rex, et universus populus, e nel tempo di tal dedicazione sacrificò ventidue mila bovi e ventisei mila montoni. Abbiamo inoltre che Giuda Maccabeo avendo purgato il tempio di Gerusalemme dalle sue profanità ed immondezze, e fattosi un altare nuovo di pietra, celebrò l'encenia ed ordinò che si celebrasse ogni anno.

                La Chiesa Cattolica conservò gelosamente questa misteriosa tradizione, e ritiene che Gesù Bambino consacrasse la capanna ove nacque, e che nell'offerta de' Magi il Presepio divenisse un tempio. S. Cirillo ci avvisa che dagli Apostoli fu consacrato in chiesa il cenacolo, ove avevano ricevuto lo Spirito Santo, sala che raffigurò anche la Chiesa Universale. Anzi, secondo Niceforo Calisto (Hist. lib. 2, cap. 33), fu tale la sollecitudine degli Apostoli, che in ogni luogo ove predicarono il Vangelo consagravano qualche chiesa od oratorio, ed è perciò che il Pontefice S. Clemente I, creato l'anno (3, successore non meno che discepolo di S. Pietro, tra le altre sue ordinazioni, decretò che tutti i luoghi di orazione fossero a Dio consagrati. Certamente al tempo di S. Paolo le chiese erano consagrate, al che allude egli, come vogliono alcuni dottori, scrivendo ai Corinti al cap. II: Aut Ecclesiam Dei contemnitis? S. Urbano I, eletto nell'anno 226, consagrò in chiesa la casa di S. Cecilia, come riferisce il Metafraste; San Marcello I, creato l'anno 304, consagrò la chiesa di Santa Lucina, come racconta il Papa S. Damaso I (C 21; ); e così di seguito in mille altri luoghi e tempi.

                Non è dunque una semplice festa religiosa quella cui assisteremo posdomani; è un sacro anello di segni sensibili che Dio dà agli uomini di volersene stare in mezzo di essi e con essi.

                Non rechi quindi meraviglia la descrizione di sacre pompe colle quali si procederà a quella consacrazione, delle quali diamo in succinto il programma:

                “Martedì 9, alle ore 5 1/2 S. Ecc. Rev.ma il venerato nostro Arcivescovo farà la consacrazione della chiesa. Alle ore 6 pom. vespri pontificali solenni; discorso, benedizione. Ne' vespri l'antifona Sancta Maria, succurre miseris, sarà eseguita da oltre 300 voci in tre cori composti dagli allievi dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, e dei collegi di Lanzo e Mirabello e da molti maestri e distinti dilettanti di canto di questa città, ad imitazione dei famosi cori cantati in S. Pietro nelle feste del Centenario degli Apostoli Pietro e Paolo. Il Tantum ergo, concertato a gran orchestra, sarà eseguito da oltre 200 Voci. Composizioni del Sac. Giovanni Cagliero. - Mercoledì, 10, alle ore 7 mattina, messa, sermoncino, comunione generale e preghiere per invocare speciali benedizioni sopra i benemeriti oblatori che concorsero all'erezione della chiesa. Alle ore 10 mattina, messa solenne a grande orchestra per tenori e bassi con cori, appositamente scritta dal signor maestro Giovanni De - Vecchi. Alle ore 6, sera, vespri solenni, predica,  [243] benedizione. - Giovedì, 11. La messa solenne sarà omessa a motivo della processione del Corpus Domini, che ha luogo alla chiesa della Metropolitana. Alle ore 6, sera, vespri solenni, predica, benedizione. - Venerdì e sabato, 12 e 13, tutto come il mercoledì. - Domenica 14, alle ore 10, mattina, messa solenne, discorso. Alle ore 4 Pom. vespri solenni, predica, benedizione. Saranno ripetuti nei vespri il concerto a tre cori dell'antifona Sancta Maria, succurre miseris, e nella benedizione il Tantum ergo a grande orchestra' come al martedì. Lunedì 15, e Martedì, 16, nel mattino come al solito. Alle ore 6 pom. vespri solenni, predica, Te Deum in ringraziamento dei benefizi ricevuti, Benedizione. - Mercoledì, 17, ore 7 mattina, funzione funebre in suffragio dei defunti benefattori della chiesa e dell'Oratorio.”

                Inoltre in tutti gli otto giorni vi saranno messe lette, e comodità di accostarsi ai SS. Sacramenti. E sempre dalle sei alle sette comunione generale con breve sermoncino di qualche distinto Prelato. Infatti molti Vescovi accettarono l'incarico di predicare il mattino e la sera. E affinchè nulla mancasse al lustro di tanta funzione, Sua Santità il regnante Sommo Pontefice Pio IX, sempre pronto ad accordare quei favori spirituali che tendono a promuovere la maggior gloria di Dio e il bene delle anime, onde animare i fedeli ad onorare l'augusta Madre del Salvatore, si è degnata di concedere, con suo breve del 22 maggio 1868, indulgenza plenaria, applicabile alle anime del purgatorio, a tutti coloro che nel giorno di detta consacrazione o nel corso del seguente ottavario, cioè dal giorno 9 a tutto il 16 giugno prossimo, confessati e comunicati visiteranno quella chiesa, e ivi pregheranno secondo l'intenzione del Sommo Pontefice.

                Alle feste religiose verranno intrecciati alcuni passatempi, secondo lo stile dell'Oratorio e il genio dei giovanetti che vi sono educati. Eccone in breve il programma: Giovedì, 11, alle ore 3 pom. Accademia in onore di Maria Ausiliatrice. Distribuzione dei premi ai giovani dell'Oratorio. - Sabato, 13, alle ore 3 pom. Trattenimenti diversi. - Domenica, 14, alle ore 7 pom. Esercizi ginnastici ed altri giuochi. - Lunedì, 15, alle ore 3 pom. Commedia latina. - Martedì, 16, alle ore 3 pom. Divertimenti vari e concerti a musica istrumentale.

                Martedì adunque: Attolite portas, principes, vestras, et elevamini portae aeternales, et introibit rex gloriae!

 

                Lunedì 8, vigilia della consecrazione, dopo le solite pratiche di pietà, i cantori furono occupati dal mattino alla sera in esercizi musicali e per due ore durarono le prove della grandiosa messa del maestro Giovanni De - Vecchi composta espressamente per la solenne occasione. Nell'Oratorio era tutto un movimento di cose e di persone; e giungevano [244] in Torino nobili signori da ogni parte. Da Roma il Conte Bentivoglio, da Venezia la principessa Elena Vidoni Soranzo con due nipotini, da Milano la Contessa Teresa Dal - Verme. Di buon mattino i sacerdoti, i chierici, e i giovanetti del piccolo Seminario di Mirabello erano arrivati anch'essi all'Oratorio per formare una specie di esercito coi loro compagni di Torino e di Lanzo; e furono accolti con musica, applausi e fraterno affetto. Dovevano partecipare essi pure al canto, al suono, al servizio religioso, a rappresentazioni accademiche, e tutti erano ansiosi e direi impazienti di fare col massimo zelo quella parte che loro riguardava.

                Nello stesso convoglio e nella medesima ora coi giovani Mirabellesi, era giunto parimenti Mons. Pietro Maria Ferré, Vescovo di Casale, col suo segretario il Can. Masnini, per prendere parte alle sacre funzioni.

                Alle 6 di sera giungeva l'Arcivescovo di Torino Mons. Alessandro Riccardi col Teol. cav. Caviassi, suo cerimoniere, e col canonico Astengo, suo segretario, per dare incominciamento alla funzione. In quel momento si manifestò un uragano che misto a vento, tuoni, lampi e grandine, sembrava voler disturbare la nostra solennità: ma fortunatamente non fu che un violento acquazzone, che dopo una specie d'inondazione lasciò il cielo sereno. Intanto il prelodato Arcivescovo esponeva nella cappella di S. Luigi della chiesa piccola di S. Francesco le Sante Reliquie che dovevano servire alla consacrazione degli altari nel dì seguente. Quelle Reliquie poste in urna indorata appartenevano ai SS. Maurizio e Secondo, che sono due de' patroni principali della diocesi torinese. Fatta quella esposizione si cominciò il canto dei divini uffizi; che, secondo le prescrizioni della Chiesa, durò tutta la notte, cioè fino alle 5 ½ del giorno 9, in cui cominciò la solenne Consacrazione.

                Quel mattino, primo giorno dell'Ottavario, alle ore 5 e un quarto ritornava nell'Oratorio Sua Eccellenza l'Arcivescovo e, sceso di carrozza, trovava schierati in due lunghe file, 1200 [245] giovani delle tre case salesiane. La musica gli diede il primo saluto. Sua Eccellenza benedice più volte i giovani passando in mezzo a loro e va nella chiesa di S. Francesco a vestirsi degli abiti sacri. Ivi aspettavalo un numeroso clero, i cori dei cantori di canto gregoriano; e il Can. Raimondo Olivieri Prevosto della Cattedrale di Acqui e il Direttore del Collegio di Lanzo, dei quali il primo doveva assisterlo come diacono e il secondo come suddiacono. Uscito il sacro corteggio, entravano gli alunni e alle 6 il Vescovo di Casale celebrava la messa della Comunità, alla quale vi fu un gran numero di Comunioni.

                Intanto l'Arcivescovo con tutto il clero compieva i rituali tre giri intorno alla chiesa esternamente, e in fine si fermava innanzi alla porta principale che era chiusa, al pari delle altre porte secondarie. A questo punto assunsero il servizio i Canonici della metropolitana, Luigi Nasi, Celestino Fissore, abate Gazzelli, abate Morozzo e Chicco canonico penitenziere.

                Due erano cori uno sulla gradinata della chiesa e l'altro dentro la chiesa stessa. L'Arcivescovo col pastorale batté per tre volte alla porta e il coro che lo circondava prese a cantare:

                 - Attolite portas, principes, vestras, et elevamini Portae aeternales, et introibit Rex gloriae.

                 - Quis est iste rex gloriae? rispose il coro dalla chiesa.

                E il coro esterno replicò: - Dominus fortis et potens, Dominus potens in praelio. Attolite portas...

                E la porta si spalancò, per rinchiudersi subito appena entrato il clero. Nessuno ancora poteva entrare nel santuario.

                Una gran croce in forma di X, formata di cenere, si estendeva su tutto il pavimento e l'Arcivescovo incominciò colla punta del pastorale a scrivere sopra una traversa di essa l'alfabeto greco e sull'altra l'alfabeto latino, quindi per una scaletta mobile ascese successivamente ad ungere dodici piccole croci distribuite tutt'intorno sulle pareti dell'edifizio ed innanzi ad ognuna di esse si accese una candela. Finita la consecrazione del tempio, Monsignore compì il sacro rito della [246] consacrazione degli altari, chiudendo nei loro sepolcreti le reliquie dei martiri, trasportate dalla chiesa piccola. La cerimonia terminava alle 10 ½ e le porte furono spalancate al pubblico.

                Intanto Sua Eccellenza celebrava la prima messa nella novella chiesa e, subito dopo, il Servo di Dio che aveva assistito con gioia ineffabile a tutto il sacro rito, saliva egli pure all'altar maggiore per la celebrazione del Santo Sacrifizio ai piedi di Maria Ausiliatrice. Ebbero la consolazione di servirgli messa Doli Giovanni Battista Francesia e Don Giovanni Battista Lemoyne.

                Ritornato in sagrestia, dopo un lungo ringraziamento, Don Bosco s'intrattenne alquanto con una signora che già conosceva, venuta anch'essa a Torino per la festa e che gli era presentata dal figlio sacerdote salesiano. Egli disse al sacerdote: - Tu non sarai il solo salesiano di tua famiglia! - Singolare predizione: in famiglia erano ancora quattro fratelli propensi a tutt'altro che alla vita religiosa e una sorella ancor piccina. Ed ecco, 14 anni dopo, nel 1882, la sorella in modo inesplicabile entrar tra le Figlie di Maria Ausiliatrice e dopo 25 anni dalla profezia, uno dei fratelli per circostanze non prevedibili farsi anch'esso salesiano. Di questo ultimo Don Bosco aveva detto chiaramente al confratello nostro nel 1886, indicando nominatamente la futura conquista:

                 - Voglio rubarlo per me!

                Uscito dalla sagrestia il Venerabile saliva alla sala del pranzo preparato nella biblioteca, ove lo aspettavano più Vescovi e molti altri illustri invitati. Sul levar delle mense vari oratori inneggiarono alle grandi opere compiute da Don Bosco e alla costruzione di quella chiesa colossale, frutto del suo non comune e perseverante ardimento. Ma egli, senza dare alcun segno di compiacenza per tanti elogi, colla solita sua semplicità ed umiltà rispose:

                 - Io non sono l'autore di queste grandi cose che voi dite; È il Signore, è Maria SS., che si degnarono di servirsi di un [247] povero prete per compiere tali opere. Di mio non ci ho messo nulla. Aedificat sibi domum Maria. Ogni pietra, ogni ornamento segnala una sua grazia.

                Queste parole le udiva Giuseppe Reano, che era presente alla fine del pranzo, durante il quale insieme con vari compagni aveva eseguito un pezzo di musica.

                Alle 5 ½ nel modo più solenne cominciarono i vespri pontificali dell'Arcivescovo. Sul finire di essi era tale la moltitudine della gente che quelli che erano in chiesa non potevano più muoversi e per gli sforzi che facevano gli uni per entrare, gli altri per uscire producevano un po' di bisbiglio alle porte. Le prime note però del Sancta Maria richiamarono il silenzio e l'attenzione di tutti. Tre erano i cori. Uno avanti l'altare di S. Giuseppe di 150 tenori e bassi, rappresentante la Chiesa militante; l'altro sulla cupola di 200 soprani e contralti, figuranti gli Angeli ossia la Chiesa trionfante; il terzo coro, di altri 100 tenori e bassi sull'orchestra, simboleggiava la Chiesa purgante. Una delle grandi difficoltà era quella di regolare il tempo musicale in tanta distanza, chè parecchi non potevano vedere il maestro principale, il quale doveva colla battuta dar norma e guida a tutti i cantori. Ma questa difficoltà venne felicemente superata con un apparato elettrico. Un lungo filo conduttore applicato ai poli di una pila andava ad unirsi ai campanelli elettrici posti nel centro di ciaschedun coro e compiendo il circuito terminava colle sue estremità in una specie di manipolatore appositamente costrutto. Il direttore di musica tenendo il manipolatore colla sinistra poteva colla destra farvi sopra liberamente la battuta come se nulla avesse tra le mani, e intanto i campanelli tutt'insieme facevano un colpo solo colla battuta del direttore. In questo modo i cori restavano riuniti e regolati con tutta precisione, non altrimenti che se fossero stati raccolti in una sola orchestra e regolati da un solo maestro.

                “La Divina Provvidenza, scrisse Don Bosco, dispose che l'aspettazione fosse appagata. Tanto i maestri che da varii [248] paesi intervennero per udire, quanto quelli che presero parte attiva, si mostrarono pienamente soddisfatti.

                Nel momento che tutti i cori si riunirono a fare una sola armonia si provò una specie d'incantesimo. Le voci si collegarono insieme e l'eco le rimandava per tutte le direzioni per modo che l'uditore si sentiva come immerso in un mare di voci che lo circondavano senza che potesse discernere come e donde venissero. Un rispettabile personaggio commosso a quel magico effetto ebbe ad esclamare: - Mi sembra veramente di trovarmi in Vaticano.

                Un altro facendo uso della iperbole esclamò: - Soltanto in Paradiso vi può essere canto più bello”.

                Il Can. Giovanni Anfossi era vicino a Don Bosco dietro l'altar maggiore, mentre si eseguiva l'antifona. Non ricordava di averlo mai visto, in tempo di preghiera, moversi o dire una parola in chiesa; e questa volta, stando inginocchiato e guardandolo cogli occhi umidi di pianto spremuto dalla gioia: - Caro Anfossi, gli disse sotto voce; non ti pare di essere in Paradiso?

                Dopo l'antifona il Vescovo di Casale salì pel primo sul pulpito della nuova chiesa e parlava con eloquenza della maestà del culto esterno, non per riguardo a Dio, ma per riguardo agli uomini. Sul finire prorompeva in queste enfatiche parole:

                “Questo tempio poi, della cui consecrazione di presente ci rallegriamo, è in particolar modo il tesoro delle grazie celesti, perchè è dedicato espressamente in onore di Maria Vergine Ausiliatrice, e quindi è guardato da Lei con occhio di specialissima predilezione. La gran Regina già dimostrò quanto aggradisse l'erezione di questo magnifico tempio, poichè si può dire che Ella stessa colla frequenza e magnificenza de' suoi favori all'ingente spesa della fabbrica e degli adornamenti del medesimo provvedesse. O Maria, noi siam sicuri, che come promoveste e con ogni maniera di grazie conduceste a buon termine l'innalzamento di questa nobilissima [249] mole, così ora che a vostro onore è solennemente dedicata, farete in essa risplendere più che mai la vostra clemenza; prenderete vieppiù sempre sotto la vostra tutela il piissimo vostro servo, che da voi ispirato si accinse alla grande impresa di edificare questa chiesa, né risparmiò cure e fatiche finchè con sommo suo gaudio non la vide compiuta, assisterete con materna tenerezza la numerosa gioventù che, dal medesimo vostro servo, per sentimento di carità, raccolta in collegi e seminari ed oratorii da lui saviamente diretti, si dedica ai buoni studii, all'esercizio delle arti, ed alle pratiche di nostra sacrosanta religione; accoglierete con benignità tutti quelli che in questo tempio, d'innanzi al vostro altare, verranno con fiducia ad onorarvi, a pregarvi, a mettersi sotto le ali dell'onnipotente vostra protezione; farete infine succedere alle molte e gravi, pubbliche e private calamità, la tranquillità dell'ordine domestico, sociale e religioso”.

                Il Tantum ergo, altro pregiatissimo pezzo musicale di Don Cagliero, cantato da un centinaio di voci bianche dalla ringhiera della cupola e dai cori in orchestra, produsse una commozione indescrivibile in tutti. Il Vescovo di Saluzzo e quello di Alba erano inginocchiati dietro l'altare vicino a Don Bosco. Mons. Gastaldi abbracciava e scuoteva il suo ginocchiatoio: tanto era entusiasmato. Mons. Galletti, calmo e immobile, andava tratto tratto ripetendo: - Paradiso! Paradiso!

                I fedeli uscendo di chiesa ebbero lo spettacolo della cupola illuminata a gaz. Le stelle che incoronavano il capo della statua di Maria, il piedestallo di questa, un M posto sull'ultimo cornicione, e la ringhiera brillavano per centinaia di fiammelle; questa illuminazione si rinnovò tutte le sere dell'Ottavario.

                Dopo cena fatti radunare gli alunni delle sue tre case in cortile, alla luce di migliaia di bicchierini Don Bosco parlò loro sciogliendo, come poi scrisse nella narrazione da lui fatta di queste feste, un inno di riconoscenza a Maria: Almae Dei genitrici [250] Mariae, amantissimae nostrae ac potentissimae Auxiliatrici, perennes cum laudibus preces!

                Di questo primo giorno dell'Ottavario scriveva l'Unità Cattolica dell’11 giugno 1868.

 

                Consacrazione della chiesa di Maria SS. Ausiliatrice. - Martedì passato, 9 di giugno, l'Eccellenza Rev.ma del nostro Arcivescovo consacrava la nuova chiesa eretta in Torino per opera di Don Bosco e dedicata a Maria SS. Aiuto dei Cristiani. A quella chiesa, aperta ieri, nulla manca, e tutto vi è grande come l'idea che ve la concepì e come la carità che la fabbricò. A cominciare dalla bellissima ancona dell'altar maggiore, capo lavoro del Cav. Lorenzoni, uno dei più valenti nostri pittori, volgendo gli occhi per ogni parte, vedi dappertutto ricchezza di marmi e preziosità di lavori. La chiesa è stata fabbricata dai poveri e pei poveri, ma essi hanno voluto che la casa della nostra gran Madre riuscisse bella e ricca più che fosse possibile, e Maria SS. li aiutò in questo loro nobile e filiale disegno.

                Un mondo di torinesi martedì versavasi nella nuova chiesa, massime in sulla sera, quando l'Arcivescovo di Torino pontificò i vespri e impartì la benedizione col SS. Sacramento. Il Vescovo di Casale disse una stupenda omelia, spiegando la liturgia cattolica nella consacrazione della chiesa, e le armonie dell'antico e nuovo Testamento facendo vedere come l'uno ricopia l'altro, e la Chiesa Cattolica, dov'è la presenza reale dell'uomo - Dio, sia la perfezione del tempio antico. Le quali considerazioni accompagnava con pii ed eloquenti affetti che intenerivano l'attentissima popolazione.

                La musica fu degna della grande solennità. Il sacerdote Cagliero, cresciuto ed educato nell'Istituto di Don Bosco, aveva musicata l'antifona Sancta Maria succurre miseris, imitando il Tu es Petrus del Centenario. E la bellissima composizione fu magnificamente eseguita da trecento voci, che nella nuova Chiesa scioglievano il primo inno a Maria.

                L'illustre Maestro, chè tale è per merito se non per titolo, ha sentito egli il primo e ha fatto sentire tutto il significato d'un popolo che supplica in questi momenti la gran Madre di Dio a soccorrere i miseri, ad aiutare i pusillanimi, a riscaldare i deboli, ad intercedere pel Clero, pei conventi, pei monasteri, per le città, per l'Italia, per tutti.

                E bellissimo fu pure il Tantum ergo cantato a due cori, uno dei quali figurava il coro degli Angeli, che, a maniera di ritornello, soggiungeva sempre il Veneremur ad ogni versetto del Tantum ergo, e poi il Jubilatio ad ogni versetto del Genitori. Insomma la giornata di martedì fu una grande e bella giornata per Torino, e speriamo che segnerà il giorno di nuovi e singolari aiuti che la Vergine SS. presterà alla Chiesa ed allo Stato nell'augustiata Italia. [251] E Don Bosco che altro fece in quel giorno? Tutto a tutti, negli intervalli in cui si trovò libero da imprescindibili impegni, fu circondato continuamente dai molti forestieri che volevano parlargli. Prima dei vespri egli era sulla gradinata che mette alla porta vicina alla sagrestia per andare alla Cappella di San Pietro. Grande folla di divoti gli stava tutto intorno e per lungo tratto d'innanzi. Vi erano malati che chiedevano la guarigione, vi erano divoti che volevano baciare la mano .E Don Bosco, vi erano curiosi che ammiravano lo spettacolo di un uomo desiderato da tutti. E Don Bosco benediceva tutti. Uno dei presenti dice di esser venuto per ottenere sollievo da un gran male di denti. Don Bosco gli suggerisce la recita di un'Ave Maria, ed è guarito all'istante. Un altro che più non vedeva da anni, in sull'istante riacquista il bene degli occhi. Era un fremito di commozione e di gioia universale, era una potente manifestazione della Madonna.

                Vedremo come l'entusiasmo religioso crebbe sempre nei giorni seguenti.

 

 

CAPO XXI. Secondo giorno dell'ottavario - Disposizione perpetua di preghiere e di una messa quotidiana per i benefattori - La comunione generale e un fervorino del Vescovo di Mondovì, tutte le mattine di questi santi giorni - Pontifica il Vescovo di Casale - Un padre scioglie il suo voto per la guarigione ottenuta di un unico figlio - Guarigione di un male gravissimo agli occhi - Don Bosco dispone che i giovani, dopo il pranzo, abbiano svago con passeggiate o con qualche svariato divertimento - Pontifica ai Vespri il Vescovo di Mondovì: fa la predica il Vescovo di Casale che rivolge una preghiera a Maria SS. chiedendo che interceda le più ricche benedizioni su Don Bosco - Terzo giorno dell'ottavario - Affluenza continua del popolo in sagrestia: tutti vogliono narrare le grazie ottenute da Maria Ausiliatrice - Una guarigione portentosa - Un'accademia in onore di Maria SS.: marcia trionfale, cantata con musica di Devecchi: canzone recitata dal Sac. Giuseppe Elice di Loano: distribuzione dei premii ai giovani distinti per la buona condotta: alcune farse in musica - Il Vescovo di Mondovì pontifica ai vespri: predica Mons. Balma.

 

                IL mercoledì 10 giugno, 2° giorno dell'Ottavario, alle 6 1/2 del mattino gli alunni entrarono nella nuova chiesa, e coi fedeli che numerosi erano accorsi recitarono le solite orazioni e il santo Rosario per tutti i benemeriti oblatori di quel sacro edifizio e dell'Oratorio. La pia pratica, cominciata allora, continua ininterrotta tuttodì per [253] disposizione di Don Bosco medesimo: “Io - scriveva agli oblatori - serberò di voi incancellabile gratitudine, e finchè vivrò non cesserò mai d'invocare le benedizioni del Cielo sopra di voi, sopra i vostri parenti ed amici. Ciò farò ogni giorno specialmente nel sacrifizio della Santa Messa. Dio vi colmi dei suoi tesori celesti, o gloriosi oblatori, e vi conceda lunghi anni di vita felice; vi conceda il prezioso dono della perseveranza nel bene e vi accolga tutti un giorno nella Beata Eternità. Affinchè poi questi auguri siano accolti dalla misericordia del Signore, fu stabilito un servizio religioso da farsi ogni giorno dell'anno per tutti coloro che in qualunque modo e misura hanno concorso o concorreranno a beneficare la Chiesa o lo stabilimento annesso. Questo esercizio consiste in una serie di preghiere, della corona del Rosario della S. Vergine Maria, comunione sacramentale o spirituale, secondo che uno è preparato, celebrazione ed applicazione della Santa Messa. Ciò avrà luogo ogni mattina nella nuova Chiesa con tutti i giovanetti dello stabilimento e con tatti quei fedeli che giudicheranno intervenire a prendervi parte[10]

                Quella mattina Mons. Tommaso Ghilardi, Vescovo di Mondovì, giunto la sera prima e accolto con grande festa, pronunziava al pulpito un fervoroso sermoncino in preparazione alla S. Comunione, dimostrando la necessità della frequente Comunione, sia per rendere omaggio alla presenza reale di Gesù Cristo nella S. Eucarestia, sia per tener viva la nostra fede in Gesù Cristo, che è il più saldo sostegno contro i nemici di Dio e della Chiesa e la più soave consolazione nei giorni del dolore.

                Quindi celebrò la S. Messa, mentre nel presbitero assisteva il piccolo clero e al suono dell'armonio i cantori eseguivano soavi mottetti di celebri autori. Infra missam si ebbe una [254] lunga schiera di comunicanti. Don Bosco confessava in sacrestia e varii altri sacerdoti ne' confessionali in chiesa.

                Questo fu l'ordine della prima funzione mattutina ogni giorno dell'Ottavario, in cui Mons. Ghilardi tenne sempre il sermoncino. Il numero de' sacerdoti che ne' giorni feriali venne a celebrare fu tale, che dalle 4 alle 11 gli altari laterali erano sempre occupati.

                Alle ore 10 pontificò il Vescovo di Casale, assistito dai Canonici della SS. Trinità, rappresentati dai canonici Marchisio, Giustetti, Talucchi, Berteu; e dal direttore del Collegio di Lanzo che suppliva il canonico Zorniotti. I cantori eseguirono la messa di Giovanni De - Vecchi, maestro di musica istrumentale nell'Oratorio. Nell'orchestra i soli violini eccedevano il numero di trenta. La composizione e l'esecuzione di quella messa si poteva chiamare un capo d'opera.

                Al mezzo tocco avvenne un fatto che sembra degno di essere raccontato. Portato da una carrozza era giunto tiri uomo di signorile aspetto che dimandò di fare la sua confessione; di poi tutto commosso e con esemplare raccoglimento si accostò alla S. Comunione. Fatto l'opportuno ringraziamento va in sacrestia, fa un'offerta dicendo:

                 - Pregate per me e raccontate per tutto il mondo le meraviglie del Signore mercé la intercessione della S. Vergine.

                 - Si può sapere chi lei sia e quale cosa l'abbia condotto qui? disse Don Bosco che l'ascoltava.

                 - Io, rispose, vengo da Faenza; aveva un bambino, unico oggetto delle mie speranze. Caduto ammalato a quattro anni d'età non gli si dava più speranza di vita e lo piangeva inconsolabilmente come morto. Un amico, per consolarmi, mi suggerì di fare una novena a Maria, Aiuto dei Cristiani, con promessa di fare qualche oblazione per questa chiesa. Promisi tutto e vi aggiunsi ancora di venire personalmente a fare la mia offerta accostandomi qui ai SS. Sacramenti se otteneva la grazia. Dio mi esaudì. Alla metà della novena mio figlio era fuori di pericolo ed ora gode ottima salute. Egli [255] non sarà più mio, ma lo chiamerò per sempre figlio di Maria. Ho viaggiato due giorni: avendo ora compiuta la mia obbligazione riparto consolato e benedirò sempre la Madre delle Misericordie, Maria Ausiliatrice.

                In quello stesso momento giunse una madre con una sua figliuola di circa 13 anni.

                 - Eccomi, ella prese a dire, sono venuta a fare la mia obbligazione.

                 - Chi siete voi? le chiese Don Bosco.

                 - Io sono Teresa Gambone, madre di questa fanciulla di nome Rosa.

                 - Donde venite?

                 - Veniamo da Loggia di Carignano,

                 - Per qual motivo siete qua venute e perchè questa vostra figlia dimostra tanta gioia in volto?

                 - Ah! non si ricorda più? Questa mia figlia fu condotta qua poco tempo addietro come cieca. Pativa male agli occhi da quattro anni. I medici la giudicavano cieca ed ella stentava a discernere la luce dalle tenebre. Essa si fece dare la benedizione, praticò alcune preghiere da lei suggerite in onore di Maria per un tempo stabilito, cioè da Pasqua all'Ascensione del Signore. Quel giorno la mia Rosa era perfettamente guarita. Ora siamo venute a farne ringraziamento con una tenue offerta. Noi siamo poveri braccianti di campagna e non possiamo fare di più; ma conserveremo, per sempre la memoria di così grande benefizio.

                Alle 5 dopo il pranzo gli alunni rientravano nell'Oratorio dopo aver fatta una bella passeggiata. Don Bosco aveva stabilito che tutti que' giorni andassero a passeggio, quando non vi fosse special ragione da trattenerli in casa, per dar loro uno svago, per toglierli di mezzo alla confusione di gente che andava e veniva, e per aver contezza di essi radunandoli sotto gli occhi degli assistenti. E gli uni erano condotti alla collina, gli altri a visitare la città e il magnifico camposanto, questi lungo i viali fuori delle mura, quelli a percorrere le [256] sponde le Po. I più adulti del Collegio di Lanzo chiesero ed ebbero licenza di barcheggiare su quel fiume.

                Don Bosco aveva anche disposto che, nei giorni seguenti, nel tempo non impedito dalle sacre funzioni fossero rallegrati con qualche trattenimento accademico, ginnastico, musicale ed anche drammatico.

                Alle 6 di sera Mons. Ghilardi pontificò ai vespri cantati in musica, dopo cui il Vescovo di Casale montava in pulpito e cominciava il suo secondo discorso intorno alla necessità dell'insegnamento cattolico nelle scuole. Dimostrò come tale insegnamento deve avere per base la dipendenza dall'infallibile magistero della Chiesa; ed anche questa volta finiva col rivolgere una commovente preghiera a Maria SS.:

                “Umanissimi ascoltatori, preghiamo fervidamente Maria SS. Ausiliatrice, ad onore della quale fu innalzato questo nuovo splendidissimo Tempio, onde ci ottenga dal Signore un tanto beneficio. Sì, o gran Vergine, impetrate le più ricche benedizioni sul Rev. Fondatore della Pia Società dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, il quale diede appunto opera indefessa all'erezione di questo solenne monumento di religione per accrescere decoro e dare maggior vita al suo istituto, tutto rivolto alla cristiana istruzione e santa educazione della cattolica gioventù. Fate, o gloriosissima Madre della Sapienza, che il di Lui esempio sia salutevole lezione e potente eccitamento a tutti i pubblici e privati maestri ed educatori, affinché, ripudiate le false massime del secolo, porgano una istruzione ed una educazione informata dalle verità e dallo spirito di nostra Religion sacrosanta. O Celeste Regina, amorosissima nostra Ausiliatrice, siate larga del vostro soccorso non meno ai maestri che ai discepoli, onde quelli impartendo e questi ricevendo una istruzione ed educazione veramente cattolica formino insieme quaggiù in terra il Tempio vivo dello Spirito Santo. O immacolata Madre di Dio e Madre nostra, proteggeteci tutti, perchè aderendo costantemente alle massime apprese dal cattolico insegnamento, e corrispondendo [257] sempre alle medesime coll'affetto e coll'opera possiamo dopo compiuta la mortale carriera essere ammessi a far parte con Voi della beata e gloriosa Gerusalemme per tutti i secoli dei secoli. Così sia”.

                Grazie senza numero aveva già concesse Maria ai suoi devoti ed agli oblatori per la costruzione della sua chiesa in Valdocco, e in quei giorni non solo effondeva più largamente i suoi tesori inesauribili, ma evidentemente qual madre tenerissima prese in modo più manifesto a glorificare il suo Servo e ad unire il nome di lui al suo; i fedeli intravvidero questo mistero e chiamarono Maria SS. Ausiliatrice la Madonna di Don Bosco.

                Entra una paralitica portata sopra un carretto tirato da un asino. Il conduttore avea un bel gridare per avvicinarsi a Don Bosco. La gente non voleva lasciarlo passare; spingeva indietro l'asino, e quasi veniva a pugni col conduttore. L'inferma che da tanto tempo non poteva muoversi, impaziente di quell'indugio e vedendo essere impossibile l'avanzarsi del carro, senza avvedersene salta giù dal carro per farsi avanti, si avvicina a Don Bosco fra la folla, e solo quando è al suo cospetto si avvede di essere guarita. Il suo grido di meraviglia è ripetuto dagli altri. I parenti, piangendo per la commozione, vogliono condurla via:

                 - Son guarita! son guarita! continuava essa a ripetere.

                 - Lo vediamo, essi rispondevano. Vieni a casa!

                 - No, replicava la figlia, prima voglio andare a ringraziar la Madonna. - Ed entrava in chiesa.

                Simili scene si rinnovarono non solo nei giorni seguenti ma molte altre volte nel corso della vita del Venerabile.

                Giovedì 11 giugno, 3° giorno dell'Ottavario e solennità del Corpus Domini, fin dal buon mattino si manifesta grande intervento di forestieri.

                Mons. Vescovo di Mondovì fa la solita funzione del mattino con analogo sermoncino, in cui dimostra la frequente comunione essere sorgente inesauribile di celesti favori. Dopo [258] molte ragioni porta l'esempio di S. Caterina da Siena, la quale, non sapendo né leggere, né scrivere, attinse dal SS. Sacramento una scienza straordinaria sparsa nei quattro grossi volumi delle sue opere.

                “È la Santa Eucarestia, disse fra le altre cose, che illuminò la mente a tanti sacerdoti e infuse nei loro cuori coraggio di affrontare i più gravi pericoli in mezzo al mondo: che fortificò i martiri nei loro tormenti, che rese costanti nel divino servizio tante vergini le quali rinunziando al mondo andarono a chiudersi nei chiostri per consacrarsi totalmente al Signore.”

                La S. Comunione fu assai più numerosa dei giorni antecedenti. Alla sola Comunione Generale parteciparono più di mille devoti.

                Quel giorno, a motivo della solenne processione alla Metropolitana, non avendo più luogo alcuna religiosa funzione dalle 9 del mattino alle 6 della sera, Don Bosco ebbe maggiore comodità di parlare con parecchi forestieri che venivano per ringraziare Iddio de' benefizi ricevuti o per supplicare la Santa Vergine che venisse loro in aiuto nelle desolazioni da cui erano travagliati. La sagrestia fu sempre piena zeppa di persone. Narreremo alcuni dei molti fatti che condussero i divoti a quelle solennità.

                Alle 10 di quel mattino si presenta in sagrestia Luigi Costamagna, fratello di Don Giacomo.

                 - O mio buon amico, gli disse Don Bosco; ebbene?

                 - Vengo da Caramagna con mia moglie, per ringraziare la S. Vergine Ausiliatrice di un gran favore a sua intercessione ricevuto.

                 - Si può sapere quale sia stato questo favore?

                 - Sì che si può sapere e glielo racconto volentieri. Mia moglie era ammalata da lungo tempo, e malgrado ogni cura dell'arte medica ella trovavasi all'estremo della vita. Una sera circa alle 11 di notte pareva dovesse mandare l'ultimo respiro. Non sapendo più né che dire, né che fare, le [259] indirizzai queste parole: “Fatti coraggio, raccomandiamoci a Maria. Se tu guarisci, andremo poi a fare le nostre divozioni nella nuova chiesa che si sta facendo in Torino, e porteremo qualche offerta”. L'inferma senza parlare chinò il capo per indicare che approvava la mia proposta. Maraviglia a dirsi! Pochi minuti dopo mia moglie riacquistò la loquela, poi entrò in tale miglioramento, che in pochi giorni si trovò perfettamente guarita. Ora noi siamo venuti a Torino unicamente per compiere la nostra obbligazione, cioè accostarci alla S. Comunione nella nuova chiesa e fare un'offerta compatibile al nostro stato.

                 - Potreste darmi per iscritto quello che mi avete raccontato?

                 - Ecco lo scritto che teneva preparato. Qui sono esposte le varie particolarità della malattia; se ne serva pure per dare qualunque pubblicità a questo fatto nel modo che lei giudicherà meglio per la gloria di Dio e per onore della Beata Vergine Maria.

                Mentre Costamagna parlava a Don Bosco, si presentò al Venerabile un uomo di povera condizione che teneva per mano un ragazzo e senza preamboli gli disse:

                 - Io sono venuto da Bra per ringraziare la S. Vergine Ausiliatrice. Un mio figlio avea pressochè perduta la vista, i più valenti medici non sapevano più che cosa suggerirmi; ho fatto la novena con promessa di venire a fare le mie divozioni in questa chiesa, e adesso sono venuto a compiere la mia obbligazione, perciocchè mio figlio guarì perfettamente. Lo guardi come sta bene e come son puliti gli occhi suoi!

                Questi venne interrotto da una signora milanese che prese a dire così:

                 - Sia lodato Iddio e benedetta la S. Vergine. Mio figlio, da più anni travagliato da un'orribile cancrena ad una mano, è guarito perfettamente. I medici avevano poca speranza di guarigione eziandio coll'amputazione del braccio. Fu da lei benedetto, fu fatta novena a Maria Ausiliatrice ed ora lo osservi. Si vedono le profonde cicatrici che attestano [260] la gravità del suo male, ma è perfettamente sano. Con me son venute anche altre persone unicamente per attestare la nostra gratitudine alla Beata Vergine Maria.

                In questo momento succedette un po' di tafferuglio. Da diverse parti si voleva parlare, e Don Bosco poté solamente raccogliere le asserzioni di alcuni.

                 - Io, diceva uno di nome Fea..., vengo da Carignano per tendere grazie per la guarigione inaspettata di mia madre.

                Un'altra, di nome Lucia Berruto, lo interruppe dicendo: - Io vengo da Chieri e ho meco la relazione scritta con piccole oblazioni di varie persone che riconoscono da Maria Ausiliatrice la guarigione de' malanni da cui erano miseramente travagliate. Io era affetta da una pericolosa enfiagione ai piedi, e, fatta la novena a Maria Ausiliatrice, ne fui perfettamente guarita.

                 - Io pure, soggiunse un'altra giovane, sono venuta da Chieri pel medesimo motivo. Il mio nome è Adelaide e fui liberata da acuto mal di capo e da gastricismo, che mi portò sull'orlo della tomba; vissi quindici giorni a sola acqua. Maria Ausiliatrice è quella che mi ha ottenuto la guarigione.

                Mentre succedevano tali cose avvenne un fatto che interruppe ogni altro ragionamento. Un'infelice giovanetta in sui vent'anni veniva là condotta nella speranza di guarire da una paralisia, per cui aveva come morto un braccio colla metà del corpo. Da un fratello e dalla genitrice fu trasportata in una camera vicina, dove, come meglio poté, si mise ginocchioni invocando colla voce e col pianto l'aiuto di Colei che la S. Chiesa proclama Aiuto dei Cristiani. Si fecero parecchie preghiere cogli astanti, Don Bosco le diede la benedizione, quindi si rinnovarono le preghiere. Mentre tutti pieni di fede invocano grazia e misericordia, la paralitica comincia a muovere la mano, di poi il braccio. Ella ne rimase talmente commossa che gridando: - Io sono guarita! - cadde svenuta. La madre e il fratello la sostennero, le fecero animo, le porsero una bibita. La paralitica riacquistò l'uso dei sensi e restò perfettamente [261] guarita dal male che da quattro anni la rendeva immobile. Ognuno può immaginarsi le voci d'ammirazione e di ringraziamento che s'innalzavano da tutte parti.

                Senza più nulla dire i parenti della malata andarono in chiesa e dopo alquante preghiere uscirono; la fortunata giovane montò allegramente da sé sulla carrozzella, e co' suoi parenti ripartì.

                In quel momento si aumentò la confusione: da tutte parti si dimandava a Don Bosco una speciale benedizione mentre altri gli volevano raccontare cose loro avvenute e fare offerte per grazie ricevute.

                Per questo motivo non si poté più prendere memoria di molti fatti, e nemmeno notare il nome delle persone a cui questi si riferivano.

                Alle 4 della sera si tenne un'accademia in onore di Maria Ausiliatrice, presenti moltissimi invitati. Il trattenimento si aperse con una marcia trionfale per banda composta dal M° De - Vecchi, sulle parole di un inno intitolato: Rimembranza della vittoria di Lepanto, che eseguirono con entusiasmo gli alunni dei Collegi di Mirabello e Lanzo. Dopo l'inno si lessero e si declamarono parecchie composizioni di opportunità che si conservano negli archivi, degne di essere stampate, e ci rincresce di non poterle riprodurre per non riuscire troppo prolissi. Ci limitiamo a presentare ai lettori la canzone recitata dal Sac. Giuseppe Elice di Loano, famoso improvvisatore.

 

 

A MARIA AUSILIATRICE.

 

I.

 

A Te, Donna del Ciel, che sei potente

Della cristiana gente

Ausiliatrice, e saldo firmamento

Della Chiesa di Dio, questo pregiato

Per disegno e per arte monumento

A Te si vuol sacrato:

Ed oggi, che al divin culto, ai Misteri [262]

Della Fe' si dischiude, infra i devoti

Inneggiamenti, e i sacri canti, e i voti

Della pietà sinceri,

Fra la solenne maestà del rito,

Che dal mitrato almo Pastor compito

Fatto è più augusto e santo,

Oh come caro! oh quanto

Il Nome tuo risuona,

Con qual serto di laudi s'incorona!

 

II.

 

E tal d'animo grato è a Te dovuto,

O Vergine, tributo;

Ché se qui sorge la mirabil mole,

Per cui la tua Torin plaude giuliva,

A Quegli sol che puote ciò che vuole,

E a Te, Maria, s'ascriva;

Tu nell'idea del Figlio onnipotente

Il disegno n'hai scorto, e ne traesti

Copia fedel che poi da un angiol festi

Alto scolpire in mente

Di Lui, che d'onorarte ha sì bran brama,

E riamato t'ama,

Dentro al cui cuor si viva arde la face

Di carità verace,

E cui pur la delira

Turba de' tristi al clero ostile ammira.

 

III.

 

Chiunque ignora il tuo poter,

Maria, Vera chiamò follia

Impresa tal, per cui d'oro e d'argento

Troppo ingente tesor si richiedea;

E v'ebbe pur tra' pii chi un ardimento

Inutil la dicea:

In sì miseri tempi e in tal distretta

Di mezzi e di fortune, in tanto accesa

Guerra contro di Cristo e la sua Chiesa,

Come l'idea concetta

Di sì grand'opra effettuar?

Lo puote Un umil sacerdote?

Che vale avere cuor generoso in seno

Quando il poter vien meno?

Senza un miracol vero

Non fia che arrivi al fatto il gran pensiero. [263]

 

IV.

 

E Tu, cui Dio lo suo poter largiva,

Immacolata Diva,

Il gran prodigio Tu lo festi e il grida

Il credente fedele, ed il profano,

Che sol nell'uomo, e nell'oprar confida

Del senno e della mano.

L'arida selce un dì fu produttrice

Di preziosa limpidissim'onda,

E germinaron fior dall'infeconda

Terra di bronchi altrice.

Or ben rinnova questo Tempio augusto

Il miracol vetusto:

Sorto quasi dal nulla ecco torreggia

Pari a mirabil reggia

E mostra ormai perfetto

Del tuo Servo fedele il gran concetto.

 

V.

 

      Quegli che in Vaticano ha reggia e sede

Maestro della Fede,

Di carità portento e di fortezza,

La sacra e generosa man distese

A benedire, a largheggiare avvezza,

Ché il tuo volere intese.

Già di tua gloria tanto amor lo vinse,

Che a farla più spiccata e radiosa

Della gemma più bella e preziosa

Il serto tuo precinse,

Quando non tócco da veleno immondo

Annunziava al mondo

Il tuo Concepimento, e alto gioia

Allor che tutto udìa

L'universo plaudir pieno di zelo

Al gran decreto, che dettògli il Cielo.

 

VI.

 

Quest'opra dunque al Nome tuo dicata,

O Madre Immacolata,

Ei benedì, promosse: - e fu la fiamma,

Che vasto incendio a caritade apriva.

Cuor generosi, cui lo fuoco infiamma

Di Fede salda e viva,

Anime santamente innamorate [264]

Dell'onor tuo liberalmente apriro

Gli scrigni, ed auro a piena man largiro.

Dagli Angioli notate

n pagine immortali a Te davante

Le oblazioni sante,

Maria, si stanno, e ten compiaci e ai fidi

Tuoi amatori arridi,

E nel materno cuore

N'hai scolpito col nome il vivo amore

 

VII.

 

Né l'obolo mancò del poverello;

Ché nell’umile ostello,

Qual nella Reggia e nel palazzo aurato,

L'annunzio penetrò del pio disegno.

Quindi una nobil gara, un infrenato

Di concorrenza impegno

È parve, che disdor troppo sarìa

Per chi dicesse: Mentre ognun lo volle,

lo la mia pietra non portava, ahi folle,

Al Tempio di Maria!

Miracol d'unità nei sentimenti!

Onde stupir le genti,

E per tutto gridóssi: Eppur non cede

Ancor l'antica Fede,

Ma dell'inferme porte

Le furie irride e ognor si fa più forte.

 

VIII.

 

O Vergine divina, or non è questo

Trionfo manifesto

Del tuo poter, che schiaccia il capo al tristo

Antiquo serpe, e i figli suoi, che in guerra

Disfidano l'Eterno ed il suo Cristo,

Persegue, batte, atterra?

Oh! segui, o Madre, la mission celeste;

Ed il Regno di Dio, che sol del vero

Bene è la fonte, avrà sempre l'impero

Invidiato in queste

Contrade a Te dilette; e qual si plaude

Con inneggiante laude

Oggi al tuo Nome in questo loco santo,

E così fia che il canto

Magnifico solenne

Sacro alla gloria tua duri perenne. [265]

 

IX.

 

E Tu dal Ciel sarai propizia ognora

A chi ti cole e onora;

Ché in Te misericordia, in Te pietate,

In Te magnificenza, in Te s'aduna

Quantunque in creatura è di bontate,

Né mai sarà digiuna

De' tuoi favori alma qual sia, che segga

All'ombra del tuo manto, e a Te s'affidi,

Insin che accolta negli eterei lidi

Teco, o Maria, si vegga.

Ma versa i doni tuoi più preziosi

In capo ai generosi

Che quest'opera eccelsa han favorito,

E fa' che sia compito

Il santo lor desìo,

Che al vero bene intende, al Cielo, a Dio.

 

X.

 

Il manto protettor su questi oh! Spandi

Prelati venerandi,

Cui tanto zel della tua gloria incende,

E cui s'ascrive se di tanta luce

Questa solennità s'abbella e splende.

Tu contro all'odio truce,

Onde l'episcopal infula abborre

Ed irride beffardo il secol tristo

Al Signore nemico ed al suo Cristo,

Saldi li fa' qual torre

Che mai non crolla per furiar di venti.

I vetusti portenti

Madre, rinnova, e sii Tu pure in questa

Era alla Fede infesta

L'ausilio e la difesa

Del popolo cristiano e della Chiesa.

 

XI.

 

E a Lui, che stima ottiene ed alto amore

Ovunque batte un cuore

Sensibile nel petto, e cui dovuta

È laude somma, se credente e pia

Tanta veggiamo gioventù cresciuta

In un'età sì ria,

A Lui, che il bel disegno concepiva [266]

Del sacro monumento, e sì diretta

V'ebbe ogni cura sua, che oggi perfetta

mente il gran fin sortiva,

Pietosissima guarda e benedici;

Ampia dei benefici,

Ond'ei Società vantaggia e Fede

Abbia per Te mercede,

E sia di quella un pegno

Che gli prepari nell'eterno Regno.

 

                Dopo queste letture, a stimolo di maggiore emulazione, vi fu solenne distribuzione dei premii ai più distinti nella condotta morale fra i giovanetti dell'Oratorio di Torino e del collegi di Lanzo e Mirabello. Chiudevasi il trattenimento con alcune amene rappresentazioni musicali e drammatiche, composte da Don Giacomo Costamagna.

                Alle 6 il Vescovo di Mondovì pontificava ai vespri e Mons. Balma, vescovo di Tolemaide, pronunciava un dotto ed interessante e commovente ragionamento su Maria SS. Parlò della grandezza sua, adombrata da moltissime figure dell'antico Testamento e disse com'Ella in tutti i secoli fu sempre presso i cristiani soggetto di conforto e di venerazione. Mons. Ghilardi dava in fine la benedizione col Santissimo.

 

 

CAPO XXII. Quarto giorno dell'Ottavario - Mons. Balma pontifica alla messa solenne - Offerta di un mendicante - Un cuore d'argento per grazia ricevuta - Altra guarigione - Mons. Rota scrive a Don Bosco di non poter venire alle feste per essere giunto a Guastalla l'eretico Gavazzi col fine di predicare - Il Vescovo di Saluzzo pontifica i vespri: predica il Vescovo di Mondovì - Quinto giorno dell'Ottavario - Arrivo nell'Oratorio dei capi di famiglia di Mornese e racconto delle grazie ad essi concesse da Maria Ausiliatrice - Mons. Gastaldi celebra la messa Pontificale - Rappresentazione nel teatro per gli alunni - Il Vescovo di Mondovì pontifica ai Vespri: Mons. Gastaldi fa il discorso - Impressioni provate da una nobile dama - Don Bosco distribuisce le medaglie commemorative: nomi di benefattori ai quali furono date: ringraziamenti del Card. Antonucci - Sesto giorno dell'Ottavario - Celebra la messa solenne Mons. Galletti, ed essendo stipata la chiesa, il Vescovo di Mondovì sale in pulpito - Cause dello straordinario concorso - Alcune relazioni di grazie ottenute - Ai Vespri pontifica Mons. Galletti: recita il sermone Mons. Gastaldi - Esercizi ginnastici nel cortile.

 

                IL venerdì 12 giugno, 4° giorno dell'Ottavario, essendo feriale, vi fu più calma e le funzioni poterono farsi con maggior regolarità. Il Vescovo di Mondovì, all'ora solita, fece la comunione generale, prima

                di cui pronunciò un tenero sermoncino, dimostrando la grande [268] consolazione che debbono provare i cristiani, quando insieme si raccolgono a ricevere il divin Corpo del Signore.

                La Messa solenne fu cantata pontificalmente da Mons. Balma, assistito dai parroci della città, rappresentati dal Teol. Cav. Gattino curato di Borgo Dora; dal Cav. Teol. Ponzati, curato di S. Agostino; dal Teol. Bruno, curato dei SS. Martiri; dal Padre Carpignano, curato e superiore di S. Filippo; e dal Teol. Trucchi, curato della SS. Annunziata.

                Questo giorno fu pure memorabile per molti fatti particolari che noi andremo brevemente esponendo. Fra gli altri àvvi quello di un mendico. Venne egli in chiesa, si accostò ai SS. Sacramenti assistendo alle altre sacre funzioni; ma mostravasi assai angustiato per non essere in grado di portare anch'egli qualche offerta da impiegarsi a favore della nuova chiesa. Il Signore gl'inspira un mezzo, egli l'accetta. Esce di chiesa, va di casa in casa accattando limosina, e riesce a raccogliere dieci soldi. Ritorna alla chiesa, prega, e poi tutto commosso va in sacrestia dicendo.

                 - Ho raggranellati questi dieci soldi che costituiscono tutte le mie sostanze. Li dò tutti a benefizio di questa chiesa; non posso fare di più, ma ritorno subito in chiesa a pregare Iddio che inspiri altri a fare offerte maggiori.

                Pochi istanti dopo giunse, una signora portando un cuore d'argento.

                 - Ho premesso, diceva, questo cuore d'argento a Maria Ausiliatrice se otteneva la grazia, e l'ho ottenuta pienamente.

                 - E qual fu la grazia?

                 - Poco tempo fa caddi in una via della città, ed una carrozza attraversandomi sfracellommi le gambe e le coscie. I medici ebbero molta cura di me; ma dopo alcune settimane furono unanimi nel dirmi che attesa la mia età di settantasei anni non potevano più assicurarmi la guarigione. “Che non vi sia più alcun rimedio?” dissi al Dottore. “L'unico rimedio sarebbe un miracolo del Signore”, rispose. Allora io mi raccomandai con fede a Maria Ausiliatrice, feci una [269] novena ed in breve rimasi perfettamente guarita; perciò la Madonna ha veramente operato un miracolo. Ora io cammino liberamente, e con gratitudine compio la mia obbligazione. Chi vuol sapere il mio nome lo guardi dietro al cuore che .offro; Anna Caniparo, di anni 76.

                A mezzogiorno Mons. Pietro Rota, che doveva arrivare per prender parte alle sacre funzioni, telegrafava a Don Bosco:

                “L'eretico Gavazzi è giunto in Guastalla per predicare l'empietà; perciò la mia partenza è sospesa; fate preghiera a Maria Ausiliatrice che ci liberi da questo malanno”.

                A questa notizia si fecero pubbliche preghiere nella nuova chiesa e la santa Vergine le ascoltò. Gavazzi si provò a predicare, ma non poté Sfidò il Vescovo ed altri a disputa, che l'accettarono. Egli però, temendo di fare un fiasco pubblicamente, andò in cerca di pretesti per poterla rifiutare. Il pubblico ne fu sdegnato, ed il famigerato Gavazzi dovette con somma fretta allontanarsi da quella città, senza che si dovessero deplorare le tristi conseguenze e i gravi danni da lui cagionati in altri paesi. Così confermavasi col fatto quanto la Chiesa Cattolica canta in ossequio alla S. Vergine: Cunctas haereses sola interemisti in universo mundo!

                Nel dopo pranzo per variare la ricreazione dei giovani vi fu la rottura delle pignatte, colme di dolciumi, e gli alunni di rettorica andarono a visitare il Museo di Storia Naturale, quello Egiziano e quello dell'Armi Antiche.

                Fra i molti che in questo giorno vennero a ringraziare la S. Vergine per benefizi ricevuti fu pure un certo Giovanni Pinelli di Avigliana.

                 - Mio figlio, egli disse, venne assalito da una tosse così ostinata che sembrava minacciargli la vita. Dopo alcuni mesi i medici lo qualificarono come preso ai polmoni e perciò avviato a una vera etisia. Privo di speranza nell'arte umana, feci ricorso a colei che ogni giorno chiamiamo Aiuto dei Cristiani, e ad esempio di alcuni miei patrioti feci una novena con qualche promessa. La novena non era ancor terminata [270] e il mio figlio era guarito. Si noti di più che egli pativa eziandio altri incomodi nella sanità, i quali tutti scomparvero nel corso della ben avventurata novena.

                Alle 6 di sera Mons. Lorenzo Gastaldi pontificò ai vespri e alla benedizione, mentre il Vescovo di Mondovì con apposito ragionamento parlò dei grandi tesori che si contengono nella Chiesa di Gesù Cristo, e degli strepitosi miracoli che continuamente si operano. “Nella chiesa cattolica, egli disse, sono rinnovati in un modo assai più perfetto e sublime i miracoli da Dio operati nei più celebri luoghi dell'antico e nuovo Testamento, come sono il Paradiso terrestre, l'Arca di Noè, i Tempio di Salomone e tutta la Palestina, specialmente ai tempi del Salvatore. Ma che sono mai queste maraviglie paragonate con quelle che noi vediamo ogni giorno operarsi nella Chiesa di Gesù Cristo e specialmente nell'amministrazione dei SS. Sacramenti?” Conchiudeva animando il fedele cristiano a conservarsi coraggiosamente, a costo di qualunque sacrifizio, nel grembo di questa salita Madre Chiesa finchè vivrà sulla terra, come unico mezzo per assicurarsi la somma felicità preparata in Cielo.

                Le funzioni del sabato 13 giugno, quinto giorno dell'Ottavario, furono cominciate dal Vescovo di Mondovì. Egli celebrò la S. Messa per la Comunione generale, prima di cui nel sermoncino prese a dimostrare come gli uomini abbiano un mezzo efficacissimo per placare Dio coll'offerta di Gesù in Sacramento. “Il Cuore di Gesù, egli diceva, è assai più accetto all'Eterno Padre, che il cuore di tutti gli uomini messi insieme. Questa offerta è così grande che l'Eterno Padre non potrebbe richiederne una maggiore”. Svolse questi pensieri coll'autorità dei libri sacri e de' santi Padri, con similitudini e con esempi analoghi.

                Nella mattinata erano giunti da Mornese quaranta capi di famiglia con alla testa il Sindaco e D. Domenico Pestarino, che rappresentava il parroco, venuti quali delegati a portare i comuni ossequii e ringraziamenti a Maria per i benefizi da [271] Lei ricevuti. La loro comparsa destò non poca maraviglia nell'Oratorio. Alcuni avevano in capo un berretto rosso ed alto: altri un cappello a larghe falde; altri erano in brachette e farsetti e in altri abiti all'antica; e tutti cortesi e garbati.

                Si presentarono a Don Bosco; e Don Pestarino si fece interprete del pensiero di tutti e in presenza di rispettabili ed autorevoli personaggi tenne questo discorso:

                “Non vi rechi maraviglia, o signori, il vedere qua raccolti questi rappresentanti del popolo di Mornese. Se non ne fossero stati impediti dai lavori campestri forse sarebbero venuti tutti. Essi adunque fanno le veci di quanti rimasero alle loro case. Scopo nostro è di ringraziare la S. Vergine Ausiliatrice dei benefizi ricevuti. Maria per noi è un gran nome; ascoltate. Due anni or sono molti giovani del nostro paese dovendo andare alla guerra, si posero tutti sotto la protezione della S. Vergine mettendosi per di più in collo la medaglia di Maria Ausiliatrice. Andarono, affrontarono coraggiosamente ogni sorta di pericoli, ma niuno rimase vittima di quel flagello del Signore. Inoltre ne' paesi vicini fe' strage la grandine, la siccità ed il cholera morbus, e noi ne fummo affatto risparmiati. Benedetti dal Signore e protetti dalla Santa Vergine l'anno scorso abbiamo avuto abbondanti vendemmie, quali da molti anni non si erano più vedute. In quest'anno poi avvenne cosa che pare incredibile a quegli stessi che ne furono testimoni. Una grandine densa e grossa cadde su tutto il nostro territorio, e noi ci pensavamo che il raccolto fosse totalmente distrutto. In tutte le case, da tutte le bocche si invocava il nome di Maria Ausiliatrice; ma continuando la grandine oltre a quindici minuti imbiancò il terreno come fa la neve quando cade lungamente nella stagione invernale.

                A caso trovaronsi là alcuni forastieri e al mirare la costernazione che appariva a tutti in volto: - Andate, dicevano con malignità, andate da Maria Ausiliatrice che vi restituisca quanto ha portato via la grandime. - Non parlate così, loro rispose uno con senno: Maria ci aiutò l'anno scorso, e perciò [272] le siamo riconoscenti; se quest'anno continua i suoi favori avrà un motivo di più alla nostra gratitudine. Ma se Dio ci trovasse degni di castigo, noi diremo col santo Giobbe: Dio ha dato, Dio ha tolto, sia sempre benedetto il suo santo nome. Mentre facevansi tali discorsi, sulla pubblica piazza, appena cessata la grandine, giunse uno dei principali possidenti del paese tutto ansante e gridante ad alta voce:

                 - Amici e fratelli, non affannatevi, la grandine coprì le nostre terre, ma non fece alcun danno. Venite e andiamo a vedere quanto sia grande la bontà del Signore. - Immaginatevi con quale premura ognuno corse a vedere i suoi campi, i suoi prati, le sue vigne che racchiudevano i tesori e le risorse di ciascuna famiglia. Ognuno trovò vero quanto l'amico aveva - riferito, sicchè in tutto il paese ogni bocca esaltava il nome della S. Vergine Aiuto dei Cristiani...”

                 - Io stesso, interruppe uno il buon prete, io stesso, in un mio campo, ho veduto la grandine intorno alle piante di meliga che faceva una specie di riva; ma le piante non avevano sofferto alcun guasto.

                “È voce comune, continuò a dire il prelodato sacerdote, che la grandine non solo non abbia fatto alcun male alle campagne, ma anzi abbia fatto del bene; perciocchè ci liberò dalla siccità che minacciava le nostre terre. Dopo tanti segni di benedizione, forsechè vi sarà un mornesino che non cerchi di professare la più sentita riconoscenza a Maria? Finchè noi vivremo, conserveremo cara memoria di tanti favori, e ci tornerà sempre della più grande consolazione ogni volta che potremo venire in questa chiesa a portare l'obolo della riconoscenza e innalzare una preghiera di gratitudine alla divina bontà.”

                Que' divoti ambasciatori compierono la loro missione in maniera del tutto edificante. Si accostarono al S. Sacramento della Confessione e alla Comunione, e presero parte a tutte le pratiche religiose che si compirono sabato, domenica e lunedì fino a mezzogiorno. In quell'ora si raccolsero tutti [273] insieme, e lasciando nell'Oratorio un luminoso esempio di religiosa e buona educazione, coll'allegria nel cuore e col riso sulle labbra, ritornarono in seno alle loro famiglie.

                Alle 10 Mons. Gastaldi celebrava la S. Messa pontificalmente coll'assistenza del canonico None curato del Corpus Dontini, del Teol. Cav. Peirani curato della Gran Madre di Pio, del Teol. Arpino curato dei SS. Pietro e Paolo, del Teol. Lotteri, curato di S. Maria di Piazza, e del sacerdote Giovanni Bonetti direttore del Piccolo Seminario di Mirabello che suppliva il Curato di S. Teresa.

                Dopo la ricreazione del mezzogiorno vi fu teatro con gran piacere degli alunni. Si recitò la commedia Il borsaiuolo e vi furono canti e declamazioni di amene poesie piemontesi tra un atto e l'altro.

                Alle 6 di sera Mons. Vescovo di Mondovì pontificava ai Vespri e Mons. Gastaldi tenne il sacro ragionamento. Egli cominciò ad esprimere la sua meraviglia nel mirare la novella chiesa innalzata alla Gran Madre di Dio, dove prima eravi uno sterile gerbido. Quindi si fece a raccontare in breve la storia degli Oratori festivi e della casa di Valdocco, che egli vide nascere e crescere sotto agli occhi suoi. Svolgendo poi lo scopo degli Oratori e della casa annessa, parlò della necessità di dare educazione religiosa alla gioventù, educazione che si può soltanto avere nella Chiesa Cattolica. Infine incoraggiava i collaboratori a perseverare nelle loro opere, ed animava la straordinaria folla degli uditori a sostenere e promuovere questa istituzione che loro avrebbe procacciato la benedizione di Dio e la riconoscenza degli uomini. Si compieva la giornata colla benedizione del SS. Sacramento compartita, solennemente dal Vescovo di Mondovì.

                Intanto que' signori, che dopo aver assistito a qualche giorno delle feste erano tornati alle loro città, non rinvenivano dallo stupore per ciò che avevano visto e per le cortesie di Don Bosco. Da Milano veniva recapitata al Cav. Oreglia la seguente lettera:  [274]

Milano 13 giugno 1868.

 

                               Preg.mo Cavaliere,

 

                Appena giunta in Milano sento il dovere di dirigerle due righe per ringraziarlo mille volte, tanto Lei che il M. R. Don Bosco, per tutta la loro bontà e premura a mio riguardo.

                L'assicuro che conserverò sempre la più grata memoria dei bei giorni passati costì in questa bella occasione dell'apertura del magnifico tempio dedicato a Maria SS. Ausiliatrice. Anzi Ella mi farebbe somma grazia, se potesse mandarmi per mezzo di D. Paolo Brambilla latore di questa mia, una qualche medaglia commemorativa di detta festa, portante la data dell'apertura e la facciata della Chiesa, chè mi accorsi oggi che le medaglie favoritemi ieri da Don Bosco non sono di queste, ma semplicemente della Madonna. Le accludo L. 2 per la celebrazione di una messa secondo l'intenzione di mio figlio che si raccomanda particolarmente alle loro orazioni e a quelle di D. Bosco. Ciò che faccio di nuovo io pure per me e per tutta la mia famiglia secondo le nostre intenzioni.

                Presenti i più rispettosi doveri a Don Bosco al quale offro di nuovo in qualunque circostanza e in qualunque cosa i miei servigi, felice se potessi tornargli di qualche utilità .....

 

Contessa TERESA DAL - VERME

nata BOLOGNINI.

 

                La medaglia commemorativa della grande solennità misurava più di cinque centimetri di diametro. Da una parte aveva l'immagine di Maria Ausiliatrice colla scritta: “Maria Auxilium Christianorum, ora pro nobis - Aug. Taurin. An. MDCCCLXVIII;” dall'altra, egregiamente ritratto, recava il prospetto del nuovo tempio. Già prima Don Bosco aveva detto a Don Albera:

                 - Conieremo una medaglia commemorativa per la consacrazione del Santuario, e penso di scrivervi sopra: Totum nos Deus habere voluit per Mariam!

                Abbiamo una lista, scritta dallo stesso D. Bosco, di coloro cui donò o mandò detta medaglia. I nomi sono forse in ordine di consegna o d'invio.

                Can. Bermudi Vie. G. Fossano - Can. Oreglia - Donna Cristina Pittatore - Damigella Celebrini - Contessa Camburzano - Ab. Bernardi, Pinerolo - D. Bourlot e suoi compagni, Fenestrelle [275] Rettore del Seminario di Novara - Monsignor Vescovo di Novara Vescovo di Casale - Contessa Callori - Mons. Gastaldi - Mons. Galletti - Mons. Ghilardi - Mons. Rota - Mons. Balma - Dam. Prato - Dam. Vallauri Teresa - Don Vallauri Pietro - Duchessa Melzi - Sardi - Duca Scotti - Melzi - Duca Tomaso Scotti - Conte Gio. Melzi - Contessa Dalverme Teresa - Bianchi Ghinsalvi Principessa Viano - Principessa Aldobrandini - Cardinale Consolini - Mons. Roncetti - Com. Angelini - Mons. Cretoni - Card. Berardi - Card. Bernabò - Marchesa Baviera - P. Ab. degli Antoniani Pardini - Mons. Ricci - P. Passeri - Tancioni frat. Rett. Propag. - Mons. Anivitti Direttore del giornale La Vergine - Avanzini Don Pietro - Card. Antonucci Ancona - Mons. Asinari Arciv. - Card. Amat - Contessa Antonelli Folchi - Signori Aicardi fratelli Principessa Borghese - Principe e Principessa Barberini - Mons. Bartolini - Mons. Badia - Signora Busiri - Bertinelli avvocato - Canonico Bertinelli - Card. Bofondi - Card. Bizzarri - Card. Borromeo - Card. Billio - Contessa Connestabile - Marchesa Cavalletti - Baronessa Cappelletti - Card. Clarelli - Mons. Carones - Mons. Colombo - Centi Droghiere - Mons. De Merode - Card. Di Pietro - Contessa De Maistre - Duchessa Sora - Contessa Folchi Cavalletti - Signora Fattori - Mons. Frateiacci - Mons. Folicaldi - Suor Galeffi - Card. Guidi - Mons. Greol - Delveata Cav. G. Ughi - Signora Lunati - Sig. Focardi Cav. - Contessa Melingen - Marchesa Marini - Mons. Herby - Conte Macchi Card. Milesi - Monastero Filippine - Monastero Trinità dei Monti - Monastero S. Rufina - Suor G. Vitelleschi - Mons. Negrotto Principessa Orsini - Principessa Odescalchi - Marchese Patrizi Giovanni - Mons. Pacca - Card. Roberti - D. Roggeri - Principe Ruspoli - Principe Falconieri - Duca Salviati - Mons. Svegliati - Card. Sacconi - Contessa Vinci - Marchesa Vitelleschi Maria - Marchesa Vitelleschi Clotilde - Mons. Vitelleschi Salvatore - Signora Mercurelli Rosa - Padre Mercurelli Domenicano - Padre generale dei Domenicani.

 

                Abbiamo una risposta alla lettera e al dono di Don Bosco:

 

                               Carissimo Don Bosco,

 

                La ringrazio di vero cuore per la medaglia, che si è compiaciuta inviarmi con il suo foglio del 16 corrente, commemorativa della nuova chiesa che la nostra Madre Maria Ausiliatrice ha fatto quasi miracolosamente fabbricare a suo onore, mediante il di Lei vero zelo per la maggior gloria di Dio. Il prospetto che ne presenta la medaglia è molto bello, e l'interno sarà certamente migliore; e se le circostanze dei tempi e le mie particolari lo permettessero, vi farei volentieri una visita. [276] Mi raccomando alle sue fervide orazioni, e mi creda sempre con sincera stima ed attaccamento,

                Di Lei, carissimo Don Bosco,

 

                Ancona, 27 agosto 1868,

Aff.mo di vero cuore

A. B. Card. ANTONUCCI Arc. V.°

 

                Il sesto giorno dell'Ottavario, domenica 14 giugno, appena aperta, la chiesa rimase piena di fedeli. Alle 6 Mons. Ghilardi cominciò la sua messa, tra cui proferì il solito sermoncino.

                “Nella S. Messa, egli disse, si offre in tutte le parti del mondo e in tutte le ore del giorno il Sangue di Gesù Cristo al Divin Padre, Sangue che solo vale a mitigarne il giusto sdegno, e a compensarlo di tutte le ingiurie e di tutti gli oltraggi che recano gli uomini alla Suprema Divina Maestà”. Conchiuse di poi animando tutti a rinnovare spesso l'intenzione di partecipare alle Messe che si celebrano in tutta la Cristianità. Infine dispensò la Santa Comunione che durò più di un'ora.

                Alle 10 1/2 Mons. Galletti celebrò Messa solenne, assistito dai Rettori delle Opere Pie rappresentati dai sacerdoti Bosco Giacomo, Rettore del Monastero delle Religiose di S. Giuseppe; Teol. Fissore, Rettore dell'Opera di S. Michele, detta Maternità, Serra Giuseppe, Direttore del Monastero delle Adoratrici Perpetue; Teol. Cav. Rondo, Rettore dell'Albergo di Virtù; D. Giacomelli Giovanni, Rettore dell'Ospedaletto di S. Filomena.

                Terminata la Messa, la Chiesa continuò ad essere stivata di gente più che prima. Allora il Vescovo di Mondovì montò di nuovo sul pulpito e tenue un commovente e fervoroso ragionamento.

                “Non mi meraviglio, egli cominciò a dire, che sì grande moltitudine di gente di ogni età, sesso e condizione, si trattenga in questa Chiesa, quasi che non sappia allontanarsi dalla loro Madre Maria”. E passò a tessere la storia della [277] grande divozione che in ogni tempo i Torinesi professarono a Maria, e come questa Madre dal suo canto corrispose con una serie non interrotta di favori spirituali e temporali. Prese quindi a parlare delle grandezze di Maria, come Madre del Divin Verbo, come Figlia dell'Eterno Padre, come Sposa dello Spirito Santo, conchiudendo che possiamo ricorrere a Lei come a madre che può e vuol concedere in abbondanza i divini tesori. Additò in fine il modo con cui i figli di Maria possono assicurarsi la continuazione dei medesimi benefizii cotanto necessari per la vita presente e per la futura.

                La cagione di così straordinario concorso in una chiesa di recente consecrata al divin culto era molteplice. Le funzioni e le prediche fatte da Vescovi conosciuti e rinomati per la predicazione: il giorno festivo che permetteva alla gente operaia ed agricola di intervenirvi: la ripetizione in quel giorno della musica a piena orchestra nella Messa, dell'antifona Sancta Maria e del Tantum ergo coi cori, avevano eccitato una brama generale. Si aggiunga la voce ognor più diffusa che la Santa Vergine in una solennità così grande concedeva grazie particolari, come in realtà molti andavano raccontando. Non pochi venivano per ringraziare Dio delle grazie ricevute e per lo più procuravano di avere seco altri parenti od amici. Per queste ragioni si vedevano raccolti parecchi illustri personaggi provenienti da Torino, da Milano, da Venezia, da Bologna, da Firenze, da Roma, da Napoli e da altre città. La Chiesa rimase letteralmente stivata di gente in tutta la giornata. Vi fu un momento che gli interni non potevano più uscire e gli esterni non potevano entrare.

                Non pochi fatti furono quel giorno attribuiti a grazie ricevute; ma la maggior parte erano spirituali e non furono pubblicati; altri poi si riferivano a cose temporali, e le persone, cui riguardavano, per giusti motivi desiderarono che non se ne parlasse.

                Crediamo per altro opportuno di trascrivere qui alcune relazioni. [278] Una rispettabile persona di Chieri, degna di fede, nel fare alcune oblazioni espose lunghi racconti che noi riduciamo alle seguenti brevi espressioni.

                Destefanis Vincenzo, di Chieri, da 7 mesi travagliato da forte mal d'occhi si trovava colla vista attenuata al punto che temeva di perderla, rimanendo come cieco al mattino ed alla sera. Egli andava sempre di male in peggio, quando una persona gli diede il provvido consiglio di raccomandarsi alla Madonna, sotto il titolo Auxilium Christianorum Nel tempo stesso gli vennero suggerite alcune preghiere da recitarsi ogni giorno per un dato tempo. Pieno di fiducia, di tutto cuore recitando la piccola preghiera, tosto il suo male cominciò notabilmente a diminuire, così che non era ancora terminato il giorno prefisso che egli si poteva già dire pienamente ristabilito.

                Una vedova da Chieri, di nome Giuseppa Vitrotti, già da vari mesi aveva una specie di tumore in una guancia. Molti medici, dopo aver provato tutti i mezzi che seppero, dichiararono il male insanabile. Una sua nipote, Giuseppa Gastaldi, era anch'essa colpita da vari malori per tutta la persona, per cui nulla giovarono i ritrovati dell'arte umana; anzi rimanendo in letto immobile, il suo corpo per la violenza del male veniva attratto e contorto. Mentre sì l'una che l'altra già perdevano ogni speranza di guarigione, venne loro proposto di fare una novena alla Madonna venerata sotto il titolo di Maria Ausiliatrice. Di buon grado accolsero il consiglio e con gran fede incominciarono la novena facendo le preghiere che loro vennero indicate. Non era ancora finita la novena e la vedova si trovava guarita dal suo tumore. La nipote parimenti in detto tempo poté alzarsi da letto e camminare, trovandosi libera da' suoi mali.

                Un giovanetto da Chieri era travagliato da una piaga in un braccio, che gli faceva soffrire dolori acutissimi. Il padre non sapendo più che fare, lo raccomandò a Maria Ausiliatrice, e lo condusse alla nuova chiesa. Ambedue invocarono [279] la protezione di Colei che è proclamata la protezione dei cristiani, e il braccio infermo restò pienamente risanato. Il padre andò con gioia raccontando il fatto avvenuto a vantaggio di suo figlio, e lo raccontò come una benedizione che Dio sparse sopra tutta la famiglia.

                “Continui, scrissero a Don Bosco da Carignano, e d'ogni maniera sono oggimai le grazie ed i favori che Maria SS. Ausiliatrice concede ai suoi divoti. E non dubbia prova n'ebbe la giovinetta Carolina Brusa di questa città. Trovavasi ella da circa quattro anni con una mano inferma per dura e trascurata enfiagione, la quale rendevala incapace di potersi procacciare il vitto col lavoro delle sue mani. Sua madre erasi adoperata con tutti i mezzi dell'arte umana a fine di guarirla, ma indarno. Un giorno si presentò a me ed intraprese il racconto doloroso intorno allo stato della sua figliuola. Io pensai di invitarla a fare una gita sino a Torino e recarsi alla chiesa di Maria SS. Ausiliatrice. Obbedì la pia donna, e dopo pochi giorni si videro in lei operati i prodigi della fede posta in Maria. Poichè io stesso vidi la giovane (allora mia inquilina)esultante di gioia porgermi la sua mano appena guarita e nello stesso mentre, unitamente ai suoi genitori, benedire di cuore alla Vergine SS. e ricordare con riconoscenza il nome di Maria Ausiliatrice, da cui riconosceva il segnalato favore.

                Quale divoto di Maria, a solo suo onore e gloria, volentieri accettai il cortese invito di esporre con brevissimo cenno la presente relazione, spettante la giovanetta Carolina Brusa di Carignano. Una mano lavorata in argento all'altare di Maria sta appesa, quale segno di perenne memoria della grazia ricevuta”.

                Così un testimonio oculare del fatto, Domenico Fea, da Carignano, a nome della famiglia e di tutto il vicinato.

                Alle 4 di sera Mons. Galletti pontificò ai vespri e tenne discorso Mons. Gastaldi. Cominciò colle parole di S. Bernardo: Totum nos (Deus) habere voluit per Mariam. Ricordò alcuni dei più celebri monumenti che attestano la serie non mai interrotta delle grazie che Maria in ogni tempo nelle varie [280] parti del mondo ottenne a' suoi divoti; parlò di Torino e della nuova chiesa che in modo cotanto provvidenziale poté in breve tratto di tempo edificarsi.

                Non sapremmo quante migliaia di persone ascoltassero la predica; certo un maggior numero stava vagando al di fuori aspettando di poter in qualche modo penetrare nel sacro recinto.

                Si deve attribuire certamente alla speciale protezione della Beata Vergine che in mezzo a tanta gente non si avesse a lamentare il minimo disordine né in chiesa, né fuori di chiesa. Ognuno attendeva e cercava con pazienza di soddisfare alla propria divozione e non altro.

                Dopo la predica Mons. Galletti impartiva pontificalmente la benedizione col SS. Sacramento.

                Alle 7 nel cortile vi fu spettacolo ginnastico inanzi ad un pubblico numerosissimo. Maestri erano stati Anfossi e Villanis. Cogli alunni assistevano molti forestieri. Primi entrarono in campo i giovanetti di Lanzo e si disposero in mia linea sola divisi per compagnie. I loro esercizi consistettero in svariatissime evoluzioni. Mirabile era l'istantanea e ordinata obbedienza alla voce di chi comandava le mosse. Dopo i Lanzesi si presentarono i ginnasti dell'Oratorio, che fecero giuochi di forza, elegantemente, senza atti sguaiati, contrarii alla compostezza cristiana. Quindi saliti sul passo volante, quando più vertiginoso era il suo giro, armati di fioretto, riuscirono ad infilzare e portar via anelli che pendevano a conveniente altezza. In fine fu fatto segno ai loro colpi una specie di globo di carta, la macchina riprese il giro e i fioretti stracciarono il bersaglio e ne volò via tino sciame d'uccelli. Così finì lo spettacolo.

                Don Bosco n'era stato spettatore dal poggiolo del primo piano, senza far parola, e senza dar segno di plauso. Lieto di veder sollevarsi i suoi figli, colla sua presenza aveva voluto render loro più caro il divertimento, ma la sua mente era in altri pensieri.

 

 

CAPO XXIII. Settimo giorno dell'Ottavario - Mons. Gastaldi celebra la Messa della Comunione generale e la un sermoncino - Messa pontificale del Vescovo di Mondovì - Relazione di una grazia - Recita in teatro di una commedia latina innanzi a un gran numero d'illustri spettatori - Gli alunni in cortile hanno i giuochi dei bussolotti - Il Vescovo di Mondovì Pontifica ai vespri - Mons. Galletti fa il sermone - Ultimo giorno dell'Ottavario - Il Vescovo d'Alba pontifica alla messa solenne - Una farsa in teatro e poesie umoristiche intrattengono gli alunni - Mons. Galletti pontifica ai vespri e Mons. Ghilardi la l'ultimo discorso - Il solenne Te Deum - Suffragi per le anime dei benefattori della chiesa defunti: Mons. Galletti celebra la messa della Comunione, fa il discorso sulle anime del purgatorio e dà la benedizione col Santissimo - Articolo dell'Unità Cattolica su queste solennissime feste - Partenza degli alunni di Mirabello e di Lanzo Per i loro collegi - Preziosa morte di Don Giuseppe Bongiovanni, direttore del Piccolo Clero e della Compagnia del SS. Sacramento - Don Bosco attribuisce alla Madonna e non a sé il bene che opera, e al carattere sacerdotale le dimostrazioni di stima che gli sono professate - Cinque lettere di Don Bosco alla Marchesa Fassati.

 

                NEL lunedì 15 giugno, giorno settimo dell'Ottavario, continuò grande concorso di fedeli. All'ora ordinaria Mons. Gastaldi celebrò la S. Messa per la comunione generale, e fece un semplice, ma assai commovente [282] sermoncino. Dimostrò quanto grande sia l'amore di Gesù Cristo nel darsi per nostro cibo nella S. Eucaristia; e accennò pure alla pienezza di affetto con cui ognuno deve procurare di accostarsi a questo Sacramento di amore e di consolazione.

                Alle 10 messa solenne pontificata dal Vescovo di Mondovì assistito dai rettori delle chiese particolari e delle Opere di beneficenza rappresentati dai Teol. D. Montà, Rettore del R. Manicomio; D. Bono, Rettore della Chiesa della SS. Trinità: Teol. Murialdo Roberto; Teol. Leonardo Murialdo, Rettore del Collegio degli Artigianelli; Teol. Bertoglio, Rettore della R. Cappella della SS. Sindone; Teol. Gaudi, Cancelliere della Curia Arcivescovile.

                Circa il mezzodì la signora Maria Casati di Milano faceva un'offerta e presentava la seguente relazione.

                “Io era stata colpita da un colpo di paralisia che mi lasciò morta per metà con minaccia di ulteriori attacchi. Ridotta così all'estremo della vita, i miei parenti, animati da altri fatti che avevano udito a narrare, non isperando più conforto dai mezzi umani, ricorsero all'aiuto del Cielo, alla protezione di Maria Ausiliatrice. Fu chiesta la benedizione, si cominciò la novena e si stabilì che si celebrasse una santa Messa mentre i miei pregavano intorno al mio letto. Alle sette e mezzo del mattino, alla metà della Messa, che si celebrava in onore di Maria Ausiliatrice, in un momento ritorno in me stessa, riacquisto la favella, le membra paralitiche riprendono il loro ordinario movimento, ed io mi sento e sono perfettamente guarita. Desidero che a questo fatto si dia la maggior pubblicità affinchè tutto il mondo conosca la grazia che ottenni da Maria Ausiliatrice e sia così sempre più invocato e benedetto il suo santo nome”.

                Alle 3 pom. vi  fu rappresentazione d'una commedia latina. Don Bosco amava che si tenessero a quando a quando siffatti trattenimenti per esercitare gli allievi nella pronuncia, nella lettura ed intelligenza di quest'antica e maestosa favella, la lingua di Roma e della Chiesa. Con ciò dimostrava che la [283] Religione è tutt'altro che nemica della scienza e delle lettere. L'uditorio invitato era nobile, rispettabile e dotto. Oltre i Prelati, vi erano molti altri personaggi cittadini e forestieri, e ciò accrebbe agli attori il coraggio e il desiderio di far bene la parte loro.

                La commedia scelta per detto giorno portava il titolo di Fasmatonices, parola greca che vuol dire: Vincitore delle larve o degli spettri. È questo uno dei molti lavori del celebre Mons. Rossini, Vescovo di Pozzuoli, chiaro per le sue produzioni latine. Questo lavoro è esposto in poesia con metro e dicitura plautina; il che produce amena novità nell'uditore. Il tema è questo. Un padre dovendosi recare ad Atene pe' suoi negozi lasciò l'unico suo figlio in custodia ed in educazione ad un amico. Costui, debole e trascurato, non osserva che il fanciullo frequenta cattivi compagni, i quali lo seducono e gli fanno perdere i danari in giuochi e gozzoviglie; e in fine guidato dalla astuzia di un servo e di un truffatore viene nella risoluzione di vendere la casa per pagare i debiti e avere nuovo danaro da scialacquare. Quando la cosa è quasi condotta a termine, giunge improvvisamente il padre, che scaccia i cattivi compagni, castiga il servo e riprende severamente il figlio, facendogli vedere a quali eccessi conduca la vita disordinata. Nel principio, nella divisione degli atti, e sul fine della rappresentazione ebbero luogo concerti di musica istrumentale, o vocale, con cori o con parte obbligata. La qual cosa tornò assai gradita agli uditori, i quali tutti applaudirono la commedia e la disinvoltura, la vivezza e la spontaneità con cui gli attori l'avevano rappresentata.

                Gli alunni intanto assistevano in cortile ai giuochi dei bussolotti.

                Alle ore 6 di sera pontificò ai vespri Mons. Vescovo di Mondovì: di poi tenne discorso Mons. Galletti. Colla sua maravigliosa semplicità, ma con gran fervore, parlò delle glorie di Maria Ausiliatrice glorificata in ogni tempo ed in ogni luogo. Notò come il culto di Maria SS. cresca, si conservi, si [284] consolidi e si dilati ovunque colla fede di Gesù Cristo; e come l'esperienza sia a dimostrare che quando sgraziatamente uno si allontana dalla fede, si allontana prima dalla divozione a Maria; e chi si raffredda nella divozione a Maria, si raffredda parimenti nella fede. Sicchè la divozione a Maria è una grande caparra di una vita cristiana, della perseveranza nel bene, di una morte felice. La ragione di questa maraviglia sta in ciò che Maria è aiuto dei cristiani.

                Il martedì 16 giugno, ultimo giorno dell'Ottavario, all'ora ordinaria il Vescovo di Mondovì celebrò la S. Messa per la Comunione generale. Prima di essa pronunziò il solito ma assai commovente sermoncino in cui dimostrò che Gesù nella S. Eucarestia è maestro di umiltà, di pazienza e di ubbidienza.

                Alla messa solenne pontificò Mons. Galletti assistito dai Teol. Genta curato di S. Francesco di Paola; D. Griva curato di S. Donato; T. Corba curato della Crocetta; D. Ferrero curato di S. Tommaso, sac. Giovanni Bonetti direttore del Piccolo Seminario di Mirabello.

                Gli alunni alle 3 assistettero ancora a un po' di teatro: si rappresentò la farsa L'Eredità in Corsica e si declamarono varie poesie dialettali e bernesche.

                Alle 6 di sera pontificò ai vespri solenni Mons. Galletti assistito dai sacerdoti del mattino, cui si aggiunse il Teol. Gaudi Cancell. Arcivescovile. Era eziandio presente il Can. Vogliotti Provicario Generale. Doveva anche intervenire Mons. Can. Zappata, Vicario Generale, ma ne fu impedito da alcuni incomodi di salute, come si compiacque significare con apposita lettera.

                Mons. Ghilardi fece l'ultimo discorso. In esso dimostrò come la Chiesa Cattolica sia un vero Paradiso in terra per la presenza reale di Gesù Cristo nella SS. Eucarestia: presenza che sola vale a colmarci di gioia e di delizie. Quindi con maravigliosa maestria svolse il pensiero che col ricevere la S. Eucarestia, l'uomo soddisfa pienamente ai tre desideri che sogliono agitare gli uomini, di ricchezze cioè, di onori e di piaceri. [285] Aggiunse come noi non possiamo offerire all'Eterno Padre un maggior dono del Cuore del suo Divin Figlio.

                Quindi cantato solennemente il Te Deum con musica del M° Blanchi, Mons. Galletti impartiva la benedizione col SS. Sacramento alla immensa moltitudine.

                Nel corso dell'Ottavario ebbero luogo ogni giorno, come si disse, speciali pratiche di pietà per invocare le celesti benedizioni anche sopra quei benemeriti oblatori che Dio chiamò a miglior vita prima che la nuova chiesa fosse inaugurata al divin culto. Queste pratiche consistevano in preghiere diverse tra cui il Santo Rosario, la Comunione generale, e l'applicazione del S. Sacrifizio della Messa. Ma il giorno 17 giugno, alle 7 del mattino, si raccolsero i giovani della casa di Torino, di Lanzo e di Mirabello con molti fedeli per apposito servizio funebre.

                Si recitarono speciali preghiere col Rosario pei defunti, quindi Mons. Galletti celebrò la S. Messa e dispensò la S. Comunione a numerosa schiera di fedeli, infine pronunziò analogo sermoncino.

                In esso cominciò a rilevare il dovere di gratitudine verso a tutti quelli che ci hanno beneficati. “Questa gratitudine, disse, è lodevole in tutti e verso di tutti, ma specialmente verso di coloro che, chiamati da Dio alla vita beata, sospirando dimandano aiuto a quelli che essi nella vita mortale hanno beneficati”.

                Svolse di poi le parole di Giuda Maccabeo: Sancta ergo et salubris est cogitatio pro defunctis exorare ut a peccatis solvantur: Santo e salutare è il pensiero di pregare pei defunti, affinchè così siano sciolti dai loro peccati.

                “Come noi, disse fra le altre cose, diciamo santo colui che è distaccato da tutte le cose del mondo e tutto a Dio si consacra, così santo si deve chiamare il pensiero di pregare pei defunti; perchè sollevandoci dalle cose della terra ci porta a meditare lo stato di que' nostri cari fratelli e benefattori, cui il fuoco monda ed abbellisce nel Purgatorio. Pertanto con [286] calde preghiere e con buone opere scongiuriamo il Signore affinchè affretti la loro liberazione dalle fiamme del Purgatorio”.

                Notò in fine come questo pensiero sia salutare per le anime purganti e per noi medesimi, e come torni eziandio sommamente gradito alla S. Vergine, la quale di certo mostra il più vivo interesse per quelle care anime che sono pure sue figlie, e brama e gode che qualcheduno si adoperi per accelerare la loro futura celeste felicità.

                Chiudevasi la sacra funzione colla benedizione del SS. Sacramento. Con questo servizio funebre avevano termine le care funzioni della Consacrazione e dell'Ottavario della Chiesa di Maria Ausiliatrice.

                L'Unità Cattolica il 21 giugno ne dava questo resoconto:

 

                Nel mattino dello scorso mercoledì terminavasi il sacro ottavario per la solenne consacrazione della nuova chiesa eretta qui in Torino a Maria Ausiliatrice. Quanto era stato annunziato nel programma tutto fu eseguito colla più grande esattezza e grandiosità. Il concorso fu più che straordinario, la chiesa era sempre piena zeppa di gente, specialmente poi nel giorno del Corpus Domini e nella domenica seguente; pareva che tutta la popolazione della città si fosse riversata in Valdocco; per le vie che conducono alla chiesa, a stento potevano passare le vetture, tanto erano esse occupate continuamente dalla divota popolazione che alla chiesa in folla accorreva. E non i soli torinesi vollero prendere parte a tanta solennità, ma concorsero da tutti i paesi vicini e anche da lontani; da Genova, da Milano, da Firenze, da Bologna e fin anche da Roma partirono insigni personaggi e si recarono a Torino per assistere alla dedicazione della nuova chiesa. E non era la sola solennità che affollasse tanta gente, chè lo spirito di divozione compariva in sul volto di tutti; nel mattino in modo particolare si vedeva la divozione dei torinesi verso Maria Ausiliatrice, poiché, cominciando dall'aurora sino verso al mezzogiorno, era continua la frequenza ai SS. Sacramenti; dal calcolo che si è potuto fare, si può affermare senza pericolo di esagerazione, che le Comunioni fatte nella nuova chiesa in detto ottavario oltrepassarono il numero di dodicimila.

                Splendidissime poi riuscirono tutte le sacre funzioni .....

 

                Dopo aver detto de' Vescovi che vi presero parte, il citato giornale soggiungeva:  [287] Rendea solennissimi i pontificali la musica istrumentale e vocale, che non mancò mai in nessuna funzione, né del mattino, né della sera; cosicchè nulla si poté desiderare per rendere solennissime e oltremodo decorose le sacre funzioni di tutto l'Ottavario. Mirabile fu ancora, chè in tanto concorso di gente non avvenne il minimo disordine, ma ogni cosa procedette colla più grande tranquillità. Sia dunque lode al sacerdote Don Bosco e lode a tutti gli oblatori che aiutarono ad erigere sì magnifico tempio. Lode specialmente a Maria, che in tempi sì tristi e malvagi, volle farei conoscere più chiara e più sensibile la sua protezione ed il suo aiuto.

 

                Il giorno 17 fu pure giorno d'esultanza fino al momento, nel quale dovettero partire pei loro collegi que' di Mirabello e di Lanzo. Alle 2 pom. tutti si schierarono in cortile innanzi alle stanze di Don Bosco e il Servo di Dio apparve sul poggiolo salutandoli colla voce e colla mano. Vennero quindi accompagnati fino alla porta dalla banda musicale e dai cordiali saluti dei fratelli dell'Oratorio.

                Fino a quel momento nulla avea contristato que' giorni, ma un'ora dopo che erano usciti i giovani dei due collegi moriva nella casa un virtuoso salesiano, il Sac. Giuseppe Bongiovanni.

                Riassumiamo in breve ciò che si è detto di lui.

                Avviatosi alla carriera ecclesiastica sempre si segnalò durante il chericato per la sua pietà e fedele osservanza delle regole e zelo pel bene dei suoi compagni. Fatto sacerdote nel 1863, non è a dire con qual ardore siasi dato all'esercizio del sacro Ministero; sebbene poco fosse favorito nella voce, riusciva tuttavia di tanto gradimento nella predicazione per la bellezza della materia e per l'unzione nell'esposizione, che era ascoltato molto volentieri e ne riportava copiosi frutti.

                Dopo aver aiutato Savio Domenico, con cui era unito in santa amicizia, ad istituire la Compagnia dell'Immacolata e a compilarne il regolamento, essendo allora solamente chierico, fondò col permesso del Superiore un'altra Compagnia ad onore del SS. Sacramento, che aveva per iscopo di promuoverne il culto fra la gioventù e di addestrare [288] gli allievi più noti in virtù al servizio delle sacre funzioni, formando così un piccolo clero ad accrescerne la maestà e la grazia. Tale compagnia continuò a coltivare con maggior attività e con ottimi risultati quando fu sacerdote. E ben si può dire che se la Congregazione di S. Francesco di Sales poté già dare alla Chiesa un bel numero di sacri ministri degli altari, in gran parte si deve alle sante premure del Sac. Giuseppe Bongiovanni intorno al piccolo clero.

                Avvicinandosi l'epoca, della consacrazione della Chiesa eretta in Valdocco ad onore di Maria Ausiliatrice, Don Bongiovanni si adoperò con tutto l'impegno per disporre le cose necessarie a tale funzione e specialmente nel preparare il Piccolo Clero a fare con edificazione la parte sua nel giorno della festa e nell'ottava successiva. Trasportato da ardente amore a Maria SS. nulla risparmiò di sollecitudini, di fatiche e sudori, particolarmente alla vigilia. La Vergine Ausiliatrice, aggradendo la sua fervorosa devozione ed ossequio, gliene ottenne ben presto il premio. Prima però lo volle assoggettare ad una prova, che sopportata con rassegnazione, riuscì certamente al buon Sacerdote di gran merito. Quella sera coricavasi lasciando aperta la finestra della sua camera. Soffiò nella notte un vento freddo, cadde un forte temporale: ed egli profondamente addormentato di nulla si accorse: ma al mattino si svegliò oppresso da mal di petto; la respirazione eragli divenuta alquanto penosa; ed egli che tanto erasi adoperato per la buona riuscita delle feste, il 9 giugno non si poté alzare dal letto. Nei giorni seguenti, la malattia continuò. Assistito diligentemente da parecchi dottori e sopra gli altri dal medico dell'Oratorio Dottor Gribaudi, e vegliato con grande carità dai confratelli, andò ondeggiando tra il meglio e il peggio fino al mercoledì 10 giugno. Il virtuoso sacerdote, desideroso di poter almeno una volta celebrare i divini misteri nella nuova chiesa, supplicò la SS. Vergine con calde istanze ad ottenergliene la grazia. Fu esaudito. [289] Nella domenica fra l'Ottava sentissi tale miglioramento di forze, che poté colla debita preparazione accostarsi all'altare e celebrare la S. Messa con immensa consolazione del suo cuore. Dopo la messa disse a qualcuno dei suoi amici che era tanto contento che ben poteva intonare il Nunc dimittis. E così fu: giacchè sentendosi venir meno le forze, ritornò a letto, né più si rialzò. Al mattino del mercoledì successivo, apparve sensibilmente in via di miglioramento, ma nel pomeriggio, compiuta ogni funzione e solennità, verso le 3 cominciò a peggiorare. Un'ora dopo il Sac. Bongiovanni Giuseppe, munito dei conforti della religione, assistito dall'amato suo Direttore Don Bosco, circondato da una corona dei suoi più cari amici e confratelli, rese la sua bell'anima al Signore, andando, come fermamente si spera, a vedere come si festeggia in Cielo Colei che formava l'oggetto della sua più tenera divozione[11].

                Don Bongiovanni non era il terzo del sogno: la sua morte fu invidiabile.

                Era adunque finito l'Ottavario, che fu detto un trionfo per la Chiesa Cattolica; e tali furon poi tutte le feste annuali di Maria SS. Ausiliatrice. Questo trionfo era anche preparato da un numero infinito di grazie portentose, spirituali e temporali, di continuo concesse dalla Madonna, che il popolo era fermo nel credere che Don Bosco stesso ottenesse da Lei. Quindi le lettere incessanti di quelli che a lui si raccomandavano, quindi la riconoscenza verso di lui vedendo soddisfatti i loro voti; quindi i tanti segni di onore che gli davano i fedeli, e che D. Bosco non desiderava ma subiva con quella semplice dignità di chi sapeva d'essere ministro della Regina del Cielo ed esecutore de' suoi voleri. Nella sua umiltà, egli non attribuiva mai a sé il minimo merito in que' portenti, ma nel consigliare, nel rispondere a lettere, ed in conferenze, diceva: “Se [290] volete ottener grazie dalla Santa Vergine fate una novena: recitate ogni giorno tre Pater, Ave e Gloria a Gesù Sacramentato, tre Salve Regina a Maria Ausiliatrice, e le due giaculatorie: Sia lodato e ringraziato ogni momento il SS. e divinissimo Sacramento; Maria, Auxilium Christianorum, ora pro nobis: e accostatevi almeno una volta ai SS. Sacramenti.”

                Del resto, quando in casa e fuori di casa, si vedeva onorato ed applaudito; quando, e sovente, si vedeva accolto dalle popolazioni coi segni della più grande venerazione, poichè chiedevano in folla di essere da lui benedette; quando ogni anno alle feste di Maria Ausiliatrice era fatto segno a splendide dimostrazioni; e quando, come vedremo, nei suoi viaggi in Italia, Francia e Spagna, ebbe accoglienze da non potersi descrivere, dopo aver predicato continuamente la confidenza senza limiti in Maria, non riteneva tali onori e plausi come fatti alla sua persona, ma li diceva rivolti al suo carattere sacerdotale, alla Chiesa Cattolica di cui era figlio, e alla fede e pietà del popolo. Sovente andava ripetendo:

                 - Ringraziamo il Signore perchè c'è ancora molta fede nel popolo!

                Altre volte:

                 - Quanta fede vi ha ancora nei popoli e come rispettano il carattere sacerdotale!

                Ovvero:

                 - Se Don Bosco non fosse cattolico, chi penserebbe a lui? È trattato così, perchè è sacerdote, non per altro.

                Sono attestazioni di Don Giovanni Bonetti.

                “Mi raccontò la Marchesa Fassati, affermava D. Rua, che un giorno Don Bosco sentendosi fare tanti elogi nella sua famiglia, rispose:

                 - Son ben contento che si abbia tanta stima del carattere del sacerdote; per quanto si dica della sua dignità e del corredo di virtù di cui deve essere fornito, non si dirà mai abbastanza!”.

                La marchesa Maria Fassati, Dama di Corte, conosceva e ammirava la profonda umiltà di Don Bosco, il quale fu [291] sempre amico intimo e benedetto della sua famiglia. Di questa intimità, della quale già abbiamo spesse volte parlato, rechiamo in prova cinque lettere degli anni trascorsi, che ci furono da poco tempo consegnate e che meritano anch'esse, al pari di ogni lettera di Don Bosco, di essere conosciute.

 

                                Benemerita signora Marchesa,

 

                Eccole, signora Marchesa, alcuni inviti per avere mattoni con cui continuare i lavori della nostra chiesa. Non sono più io, ma è la Santa Vergine che a Lei si raccomanda perchè l'aiuti a terminare la sua casa, e così accrescere anche il numero dei suoi divoti. Ella però li distribuisca a chi e quando bene giudicherà nella sua saviezza.

                I lavori procedono con grande alacrità ed avrei veramente piacere che venisse a vederli.

                Credo che la signora Duchessa sia ancora a Montemagno, e perciò la prego di trasmettere alla medesima il piego ivi unito coi più rispettosi atti di gratitudine.

                Raccomandi al caro Emanuele che si guardi bene dal profanare le vacanze collo studio. Auguro copiose benedizioni del Cielo sopra di Lei, sopra il sig. Marchese e sopra tutta la sua famiglia, La Santa Vergine ci conservi tutti nel santo timor di Dio. Amen.

                Con pienezza di stima mi professo rispettosamente

                Di V. S. B.,

 

                Torino, 13 settembre 1864,

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

 

Torino, 1° novembre 1865.

 

                Benemerita signora Marchesa,

 

                Non ho finora raccomandato a V. S. B. i biglietti di Lotteria perchè concorrendo già largamente in sollievo delle nostre miserie nol credevo opportuno. Ora nel pensiero che in questa occasione possa affidarne alcuni ai Reali Personaggi che al presente dimorano tra noi, gliene mando decine 30 e li raccomando alla carità di Lei e a quelli con cui Ella giudicasse conveniente parlarne.

                Come Ella sa, vi è tempo, e quello che non si ritiene si trasmette di nuovo in fine alla Lotteria.

                Dimani mattina tutte le funzioni funebri e preghiere che avranno luogo in questa casa saranno secondo la pia di Lei intenzione e [292] del sig. Marchese. Le indirizzino come meglio loro sembrerà nel Signore.

                Ogni Santo del Cielo faccia discendere una benedizione speciale sopra di Lei e sopra tutta la rispettabile di Lei famiglia, mentre ho l'onore di professarmi con gratitudine

                Di V. S. B.,

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                               Benemerita signora Marchesa,

 

                Eccole, signora Marchesa, tre pacchi di biglietti; avrei forse potuto farne uno solo, ma ho giudicato di fare tre, affinchè Maria Ausiliatrice unisse a ciascuno le grazie più necessarie a colui cui sono indirizzati.

                Ho molto bisogno delle sue preghiere e del suo aiuto. I lavori della chiesa continuano e sembra probabile che alla festa dell'Immacolata Concezione, ci si possa celebrare la prima Messa. Ma ci vuole grave somma; dove prenderla? Signora Marchesa, mi aiuti a pregare ed avere viva fede in Maria a cui la chiesa è consacrata.

                Dio benedica Lei e tutta la sua famiglia e mi creda con gratitudine di Lei,

 

                Torino, 3 febbraio 1866,

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

 

Torino, 21 aprile 1866.

 

                               Benemerita signora Marchesa,

 

                Maria Ausiliatrice si raccomanda a Lei, signora Marchesa; i lavori della chiesa sono assai bene avviati, ma per mancanza di mezzi invece di trenta muratori ne ho solamente otto. E questo nel tempo più opportuno per lavorare. Ho molte promesse e fondate speranze, ma è tutto in ritardo.

                Se può fare qualche mutuo alla Madonna sarebbe tempo il più propizio, e credo che ne avrebbe interesse che molto eccederebbe il 5 per cento legale.

                Ne parli col sig. Marchese, e poi faccia quel che può a maggior gloria di Dio.

                Lunedì dal mattino alle 10 sono in casa; di poi dalle 1 alle 3 ci sarò parimenti. Dio benedica Lei e tutta la sua famiglia, e mi creda quale mi professo,

                Di V. S. B.

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI. [293]

 

                               Benemerita signora Marchesa,

 

                Ho ricevuto lettera dal Vescovo di Casale che mi dice aver ricevute tutte le carte opportune per ammettere alle Ordinazioni il chierico Cerruti e mi dimanda se si può sperare in qualche modo il patrimonio. Sebbene io abbia avuto ripetute promesse dall'economato, tuttavia vedendo che questo buon chierico perderebbe tempo, io mi raccontando a Lei perchè voglia, se può e giudica bene, provvedete questo titolo ecclesiastico. Ci vuole una rendita annua di fr. 240; la quale rendita ritornerebbe a Lei appena siasi ottenuto dall'Economato, siccome si è già fatto con altri.

                Ieri ne ho di nuovo parlato col sig. Marchese ed egli mi disse che avessi esposto ogni cosa a Lei e che Ella avrebbe aggiustato tutto. Siccome però io ricordo i molti benefizi fatti a questa casa, così qualora non si giudicasse conveniente oppure altre opere impedissero questa, io le sarei non meno riconoscente, e tanto io quanto il Cerruti tentando altra via non cesseremo di invocare sopra di Lei e sopra tutta la famiglia le benedizioni del Signore.

                Colla più sentita gratitudine, raccomandandomi alla carità delle sante sue preghiere, ho l'onore di potermi professare

                Di V. S. B.

 

                Torino, 5 luglio 1866.

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

 

CAPO XXIV. Mons. Rota, Vescovo di Guastalla, nell'Oratorio - La festa di S. Giovanni e Parole di Don Bosco ai giovani - Letture Cattoliche - Lettera dell'Arcivescovo di Modena a Mons. Rota per sapere qual fosse il sentimento dei Prelati Piemontesi, riguardo alle commendatizie chieste da Don Bosco Grazie concesse da Maria SS. ad un monastero con richiamare le religiose all'antico fervore - Cause di tale freddezza - Doloroso distacco di una signora dalle cose di questo mondo, in punto di morte - Due bambini, ottenuti per grazia della Madonna, muoiono per l'avarizia dei parenti, i quali mancano alle promesse - La festa di S. Luigi e quella dell'onomastico di Mons. Pietro Rota - La solennità di S. Pietro e il panegirico letto dal Vescovo di Guastalla: elogio delle opere di Don Bosco - La convocazione del Concilio Ecumenico Vaticano - Una lettera fatta scrivere dal Principe di Sanguzko a Don Bosco, con cui aveva stretto amicizia in Ronza - Morte del Conte Vimercati - Mons. Rota lascia Torino Lettera di Don Bosco a Don Bonetti perchè rimedii ad un inconveniente: gli fa alcune osservazioni sulla biografia di Saccardi - Il Vescovo di Casale e quello di Guastalla a Mirabello per la festa di S. Luigi.

 

                MANTENENDO la sua promessa, il giorno 19 giugno Mons. Pietro Rota, Vescovo di Guastalla, giungeva all'Oratorio. Egli veniva a visitare la nuova chiesa, a compiere diverse sacre funzioni, e a ringraziare Maria Ausiliatrice d'aver liberata la sua diocesi dall'infestazione ereticale del Gavazzi. [295] Il 24 giugno si celebrava l'onomastico di Don Bosco, presente Mons. Rota. Sul finire dell'accademia il Servo di Dio ringraziò i musici e i lettori di componimenti, ma si lamentò che alcuni giovani, da tempo considerevole, non gli avessero aperto il cuore e altri non si fossero lasciati vedere da lui. Raccomandò la perseveranza nel bene e in questa esortò a porre un grande impegno. Promise che avrebbe tirato un velo sul passato, purchè vedesse mutazione di condotta; ricordò che quei giovani, i quali danno indietro, si rovinano. Esortò tutti a salvarsi l'anima ed a pregare per lui perchè non dimentichi la sua. Conchiuse che “l'unico scopo dell'Oratorio è di salvare anime”.

                Le Letture Cattoliche avevano stampato pel mese di giugno la Vita di S. Giovanni Battista, anche per fare atto di omaggio a Don Bosco.

                Il giorno 26 Mons. Rota riceveva una lettera dell'Arcivescovo di Modena, il contenuto della quale ci fa intendere come Don Bosco, anche in mezzo al fervore delle passate solennità, continuasse ad adoperarsi per avere le commendatizie che dovevano aprirgli la strada alla desiderata approvazione della Pia Società Salesiana.

 

Modena, 25 giugno 1868.

 

                               Ill.mo e Rev.mo Monsignore,

 

                Quando il signor Don Bosco mi scrisse, come anche aveva scritto alla S. V. Ill.ma e Rev.ma, perchè se gli facesse una Commendatizia al S. Padre pel nuovo Ordine ch'esso intende fondare, Ella sa che sospesi il farlo, finchè non avessi conosciuto qual fosse il sentimento dei Prelati Piemontesi, migliori giudici su ciò. Ella pure era d'eguale sentimento. Ma non avendo potuto nulla saperne ancora, non riscontrai quell'eccellente sacerdote che ammiro e stimo sommamente. Ora ne ricevo una nuova lettera in cui mi ripete la dimanda, e mi chiede un riscontro. Arrossisco veramente di tanto ritardo; e son pronto a fare quanto esso desidera. Perciò desidererei, ch'Ella trovandosi costì, come crede, volesse fare col sig. Don Bosco le mie scuse; e assicurarlo che farò quanto prima tutto che possa gradirgli; ed Ella il faccia in modo che non resti malcontento di me, giacchè molto mi premerebbe il non perdere la buona stima di quest'uomo raro, e direi provvidenziale. [296] Ella poi, che potrà ben risaperlo costì, mi faccia conoscere come siasi su ciò regolato l'Episcopato Piemontese, e quanto Ella stessa abbia fatto o pensi di fare.

                Mi occorrerebbe pure che mi favorisse di mandarmi la sua copia di documenti, già trasmessimi dal sig. Don Bosco; giacchè mi si sono smarriti fra le altre carte quelli che io ne ricevetti, né so quando possa riuscire a trovarli.

                Vegga un poco quanto la perseguito fino a Torino colle mie esigenze; ma quest'affare mi sta molto a cuore; e bisogna riparare la negligenza passata.

                L'altro giorno m'ebbi qui il suo Giacomino e me lo trattenni a discorrere lungamente sull'avvenuto della disputa rifiutata dal Gavazzi: veramente il Signore l'ha illuminata e favorita a condurre a sì buon termine una sì difficile e pericolosa faccenda. Le bacio le mani e me Le professo con pienezza d'ossequio e di stima,

                Della S. V. Ill.ma e Rev.ma,

Dev.mo e aff.mo Servo

FRANCESCO EMILIO, Arcivescovo.

 

                Mons. Rota gli rispose certamente come la pensava la maggioranza dei Vescovi subalpini e come egli stesso avesse volentieri accondisceso alla dimanda del Servo di Dio.

                Il 27 giugno, sabato, Don Bosco sceso dopo le confessioni in refettorio leggeva una lettera a Don Rua, al ch. Berto e a varii altri salesiani. Alcune monache dell'Italia Meridionale mandavano un'offerta per grazia ricevuta. Essendo la comunità rilassata nell'osservanza delle regole, alcune suore si erano raccomandate a Maria Ausiliatrice e non tardarono ad essere tutte infervorate nei loro doveri religiosi.

                Quindi si parlò di varie cause che raffreddano lo spirito di pietà e di obbedienza. Si notò come sia pernicioso l'attaccamento alle proprie comodità; il non voler rinunziare a certi oggetti, a certe abitudini che non sono conformi allo spirito delle regole: si osservò che la rovina di tanti Ordini religiosi furono le ricchezze. L'affetto alla terra diminuisce e, sovente, estingue il desiderio delle cose celesti. E Don Bosco dimostrava qual tirannia eserciti sul cuore delle persone, anche buone, l'affetto smoderato alle ricchezze.

                La Marchesa X*** che abitava in Torino, era vecchia [297] decrepita e venne gravemente ammalata. Si mandò a chiamare Don Bosco. Era una delle prime benefattrici della casa, conosciuta da tutti. Dopo essersi confessata, disse a Don Bosco: - Dunque sono giunta al termine della mia vita! - E gli fissava in volto uno sguardo smarrito. Don Bosco le rispondeva che Dio solo conosce il termine dei nostri giorni e che noi dobbiamo riposar tranquilli nelle sue braccia, lasciando che egli disponga di noi come meglio gli piacerà.

                 - Dunque debbo lasciare questo mondo? le ricchezze della mia casa? Quanto posseggo mi sarà dunque tolto? continuò la povera signora agitata dalla febbre, la quale cagione vale un principio di delirio.

                Il Venerabile le disse poche parole sui beni maggiori che il Signore ha preparato a coloro che lo amano, a petto dei quali i beni terreni son più vili del fango.

                La signora non gli badò ed esclamava: - Lasciare questo palazzo, lasciare queste mie stanze, il mio bel salotto? A questo mondo mi sembrava di starci bene abbastanza... e bisogna abbandonarlo. - E così dicendo fece chiamare alcuni servi e comandò che la trasportassero nel salotto. I servi esitavano ad obbedirla, temendo non restasse morta nel trasporto. Ma essa voleva e Don Bosco credette bene che si accondiscendesse a quel capriccio, poichè il contraddirla poteva cagionarle maggior male. I servi allora presero il letto e per le vaste sale la portarono in mezzo al salotto, ove erano accumulate molte preziose rarità. Una tavola nel mezzo era coperta da un tappeto di Persia. La signora volle che vicino a quel tavolo fosse posto il suo letto ed essa, preso in mano il lembo di quel tappeto, lo toccava, lo palpava, lo fissava ed esclamava di quando in quando: - Quanto è bello! ... È dunque l'ultima volta che lo vedo? Sa, Don Bosco? mi costa 40000 lire... E non sarà più mio! - E si volgeva da una parte e dall'altra di quella magnifica stanza quasi per dare l'addio ad ogni cosa. Poco dopo in quello stesso salotto esalava l'ultimo respiro! Quanto è difficile ai ricchi il distaccare il cuore dalle cose di [298] questa terra, e quanto è doloroso questo distacco, quando viene la morte a strapparmeli.

                Narrò quindi un secondo fatto che non è da confondersi con altro consimile da noi già narrato altrove. Ce ne rendiamo garanti noi, per averlo udito dallo stesso Don Bosco.

                Erano in Torino marito e moglie con una fortuna di più milioni e dopo circa 25 anni di matrimonio non avevano ottenuto nessun figliuolo. Essendo molto angustiati per essere costretti a lasciare l'eredità a persone estranee alla famiglia, invano avevano chiesta al Signore quella grazia, con preghiere e pellegrinaggi. Si presentarono finalmente a Don Bosco e lo pregarono a dar loro la benedizione, promettendo che se fossero stati esauditi, avrebbero offerta all'Oratorio e alla chiesa una somma cospicua. Don Bosco li incoraggiò a tener come fatta la grazia e invero nacque loro un fanciulletto robusto, sano, che era una delizia a vedersi. Furono a visitare Don Bosco, si diffusero in ringraziamenti, ma nulla dissero dell'adempimento della promessa. Don Bosco non mancò poi di ricordarla, e quei signori si scusarono dall'obbligo adducendo pretesti. - Io ho nulla a vedere in questo affare, conchiuse Don Bosco: la vostra ingratitudine avrà una degna ricompensa. Osservate bene che chi vi ha dato il figliuolo, ve lo potrà togliere. - Infatti dopo qualche mese il fanciullo, preso da misteriosa malattia, muore.

                I parenti accasciati dal dolore stettero circa un anno senza rivedere Don Bosco, ma finalmente ritornarono a lui confessando la loro colpa, supplicando per una nuova benedizione, e rinnovando le promesse. Don Bosco fu commosso alle loro lagrime, diede loro alcuni salutari ammaestramenti, promise che avrebbe pregato, li benedisse, e li assicurò della grazia. Ebbero infatti un secondo figliuolo, e questa volta non si presero neppure l'incomodo di andare all'Oratorio e dimenticarono affatto i poveri fanciulli di Valdocco. Don Bosco aspettò più d'un anno e poi andò a far loro una visita. Essi lo accolsero un po' confusi e quando entrò a dire che colla [299] Madonna non si scherza, dichiararono che le annate cattive, le tasse ingenti, le spese straordinarie, alcune perdite sofferte aveano assottigliate le entrate: e quindi non potevano dar nulla. Don Bosco si ritirò, convinto che non rimarrebbe impunita così vergognosa avarizia. Ed ecco il fanciullo ammalare. Si corse a chiamare Don Bosco, ma egli più non volle recarsi a quella casa e il bambino morì e la colossale eredità passò a coloro ai quali quei genitori non avrebbero voluto lasciarla.

                Don Bosco era solito ripetere che la generosità ed il disinteresse dei poveri generalmente è tale da ottenere loro le grazie più strepitose, mentre ci vogliono sforzi straordinarii per indurre certi ricchi a qualche notevole sacrifizio.

                Il 28 giugno, domenica, fu celebrata la festa di S. Luigi Gonzaga, con messa solenne, panegirico, processione e fuochi d'artifizio.

                In quella sera, vigilia della solennità dei santi Apostoli Pietro e Paolo e dell'onomastico di S. E. Mons. Pietro Rota, i giovanetti dell'Oratorio cercarono di mostrargli nel modo più adatto per loro, la riconoscenza che gli professavano. Vi fu musica vocale e istrumentale, con poesie, illuminazione e alte e ripetute voci di evviva spontanee e cordiali.

                Un poeta ricordò come Monsignore fosse stato altra volta nell'Oratorio, dove aveva tanto lavorato pel bene degli alunni, e lo ammirò per esservi ritornato superando tanti incomodi. Quindi indirizzò il suo canto ad una rondinella che egli solo vide e sentì. Monsignore, come era da aspettarsi, lo gradì, e quel canto fu stampato perchè il pì pì della rondine fantastica andasse dal recinto dell'Oratorio fino a Guastalla, e là facesse sentire tutta la riconoscenza cordialissima che i figli di Don Bosco professavano all'Angelo di quella fortunata diocesi.

                Il giorno 29 fu solennissimo in onore dei Principi degli Apostoli. Nella nuova chiesa l'altare a sinistra nella crociera, dedicato a S. Pietro, era vagamente ornato con faci e con [300] fiori. Il quadro con grande cornice dorata, sormontata allora dalle chiavi e dal triregno, rappresenta Gesù Cristo nell'atto di consegnare le chiavi del regno dei cieli al primo Sommo Pontefice e suo Vicario. È lavoro del sig. Carcano, accreditato artista milanese.

                Don Bosco aveva fatto intendere ripetutamente che la festa di S. Luigi non si trasportasse più al giorno 29, come sovente erasi fatto. Voleva che in questo giorno solo S. Pietro fosse oggetto del culto solenne.

                Mons. Rota adunque pontificava alla messa delle 10 e dopo i vespri leggeva una magnifica omelia, data poi alle stampe. Aveva preso ad argomento il testo: Tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam, et portae inferi non praevalebunt adversus eam. Ivi parlando della vita e del progresso della Chiesa, esclamava: “Gli ordini religiosi cangiano di forma, di regole, di ministeri, ma sempre esistettero e sempre esisteranno, pure per l'avvenire. Saranno dispersi i figli di un Benedetto, di un Francesco d'Assisi, di un Domenico, di un Ignazio; ma altri ne sorgeranno a riempire le diradate file e sostituire i perduti campioni. Ai figli di un Calasanzio, di un Emiliani succederanno i figli... e quali? Ah ecco, ecco quelli che succederanno, anzi quelli che vediamo già prepararsi a riempire i vuoti posti, eccoli attorniati di numerose schiere di fortunati giovani, eccoli in questo tempio, in questa casa opera della Divina Provvidenza, che continua a rendere testimonianza della indefettibilità della divina promessa: Portae inferi non praevalebunt: omnia traham ad me ipsum.

                Mirava con dolore quel zelante sacerdote di cui voi tutti conoscete il cuore e l'ardente fuoco di carità, mirava con dolore, diceva, i piccoli garzoncelli vagare per le vie, sicut oves non habentes pastorem (Matth. IX, 36), come pecorelle sbandate senza pastore che le guidi, nel continuo pericolo di cadere sotto le zanne dei lupi rapaci, lì rimirava e sentivasi risuonare più nel cuore che nelle orecchie quelle tenere parole:  [301] Tibi derelictus est pauper, orphano tu eris adiutor (Ps. X, 14). E che fai, o sacerdote? A te è affidato il còmpito di raccogliere questi teneri fanciulli abbandonati, istruirli, educarli, spezzare loro non solo il pane spirituale della divina parola, ma ancora il corporale perchè non deficiant in via (Math. XV, 32), non muoiano di fame. E il sacerdote la intese, e non lo spaventando né la gravezza dell'impresa, né la scarsezza dei mezzi, né la tristezza dei tempi, né il raffreddamento generale della carità, mise mano all'opera, e quel che abbia fatto, come vi sia riuscito, quali frutti abbia raccolto, in questo campo sterile ed incolto, quali palme adunate, io non lo rammenterò a voi, o diletti e riveriti Torinesi, perchè lo sapete meglio di me e nemmeno agli estranei che fossero qui presenti, contento di dire loro: Vedete, osservate cogli occhi vostri proprii, toccate colle vostre mani. E a dilatare ed a crescere quest'opera degna dei Loiola, dei Calasanzi, degli Emiliani, dei La Salle, un'eletta schiera di sacerdoti voi vedete qui radunati, i quali sacrificando tutte le umane vedute di posti e di avanzamenti, rinunziando ai comodi di vita più tranquilla, si addossarono il laborioso e non sempre dilettevole incarico di curare questi giovanetti, facendosi essi piccoli coi piccoli, umili e poveri coi poveri ed umili, per incamminarli per la via della virtù, senza altra ricompensa che la speranza di averne un dì numerosa schiera a far loro corona nel cielo. E chi ebbe la forza da ottenere da loro tanto costosi sacrifizi? Ah Colui solo che disse: Omnia traham ad me ipsum, e gli attirò con quelle dolci e consolanti parole: Tutto ciò che farete al più piccolo dei miei figli, lo riputerò fatto a me stesso (Matth. XVIII, 5). E siccome tali parole che contengono una profezia ed una promessa, non verranno mai meno, così non mancherà mai nella Chiesa chi le apprezzi e chi ne tragga profitto per proprio ed altrui vantaggio: e come un giorno il sangue dei martiri, al dir di Tertulliano, era semenza feconda di cristiani, così anche al presente succederanno agli estinti altri religiosi istituti, diversi di abiti, di forme, di leggi, ma sempre rigidi osservatori [302] degli evangelici consigli e zelatori della più generosa fraterna carità: e la Chiesa perseguitata, impoverita, depressa, uscirà più pura e più bella dal crogiuolo delle tribolazioni a perpetua testimonianza della profetica sentenza: Portae inferi non praevalebunt”.

                Esposta in ultimo la profezia Beatam me dicent omnes generationes, così concludeva: “Ma che significa questo magnifico tempio? Chi lo innalzò ed a chi fu dedicato? Ah voi mi prevenite, uditori, e mentre io ammiro l'adempimento di una sì strana e ad un tempo incredibile parola, voi me ne additate una novella prova nel tempio, che la pietà verso Maria, l'amore verso questa straordinaria creatura le ha innalzato, e cogli infuocati affetti che vi escono dal cuore, colla gioia che vi splende involto colle lodi ed invocazioni che risuonano sulle vostre labbra, nell'ebbrezza d'un gaudio tutto santo e divino, che alla vista della magnificenza di questa casa alla gran Donna eretta v'inonda, voi, voi stessi continuate, perpetuate, accrescete la verità, la certezza, l'evidenza di quella profetica parola: Beatam me dicent omnes generationes.

                Ma se Maria, ammirando le grandi cose che aveva operato l'Onnipotente, colma di confusione per la sua umiltà, ma piena di gratitudine verso di chi tanto di doni l'aveva arricchita esclamò, che tutte le generazioni l'avrebbero benedetta; la profonda umiltà non le lasciò intravvedere che sarebbe stata ancora da tutte le generazioni invocata... Troppo lungo sarebbe il tessere la serie infinita delle grazie, che per la intercessione di Maria piovvero in ogni tempo sulla Chiesa. Ma qual bisogno ho io di ricorrere alla storia dei secoli che furono, se qui sotto gli occhi abbiamo un monumento così magnifico della protezione che Maria, invocata sotto il titolo a lei gradito di Aiuto dei Cristiani, ha già fatto sentire a quest'ora a chi con fiducia la prega? Questo tempio non è tanto un invito a ricorrere a Maria per grazie sperate, quanto un inno di ringraziamento per ottenuti favori. Ogni pietra, ogni sasso, ogni fregio che lo adorna, è un monumento di gratitudine [303] per una grazia ricevuta alla semplice invocazione di Maria Ausiliatrice, cosicchè possiamo ben dire che Maria, la quale ne inspirò il pensiero, ne diresse l'opera, la promosse, la incoraggiò, la volle ella stessa, e con grazie in abbondanza sopra di chi a lei ricorse piovute, se la edificò. Aedificavit sibi domum (Prov. IX, I). Io ammiro la sontuosità dell'edificio, la ricchezza dei marmi, le preziose suppellettili che l'adornano, ma più ancora il numero prodigioso dei miracoli con cui Maria lo fabbricò.

                Vengano l'incredulo e il sofista, e contemplino questa mole e neghino, se possono, che non sia un prodigio di Maria. Prodigio di Maria operato in questi tempi infausti, in cui la navicella di Pietro è così agitata, i fedeli se non scoraggiati almeno intimiditi, la Chiesa in afflizioni ed angustie, ed operato a bella posta per mostrarsi nel maggior bisogno, l'Aiuto dei Cristiani, Maria Ausiliatrice. Coraggio adunque, o cari! Questo tempio è una prova parlante delle divine profetiche parole. E chi non riprende maggiormente animo e chi non riposa più tranquillamente su quella divina promessa che portae inferi non praevalebunt, nel vedere che ad onta di tante guerre la Chiesa trionfa ed innalza così magnifici trofei per sue vittorie, ed i fedeli più s'infervorano ad onorare la loro Madre, ed essa sempre più fa loro sentire gli effetti del potente suo patrocinio e mostrasi ognora tenersi caro di essere invocata sotto il dolcissimo nome di Maria Ausiliatrice?

                Ah siatela sempre, o Maria, l'Ausiliatrice dei Cristiani e spandete continuamente sopra di loro le vostre benedizioni. Proteggete la Chiesa e fate che essa riesca sempre vincitrice delle guerre che contro lei muovono le potestà terrestri ed infernali. Proteggete l'Augusto suo Capo, l'afflitto e sempre coraggioso Pio IX, e fate che per lunghi anni ancora ei possa reggere con mano ferma il timone della nave fra i perigliosi scogli di un mare infido. Proteggete questa città cattolica, virtuosa, benefica, e fate che in lei cresca sempre più la fede, la pietà, la generosità, nell'aiutare e sostenere le innumerevoli [304] opere, che la religione e la carità arditamente qui intraprendono e compiono felicemente. Proteggete quel venerando sacerdote, che, unicamente confidato nella Provvidenza, a voi innalzò sì ammirabile monumento, ed a voi procura tanti divoti ed al vostro Figlio tanti servi fedeli, quanti fanciulli egli accoglie in questo luogo, per educarli alla religione ed alla pietà. Proteggete quei generosi sacerdoti che con lui dividono i sacrifizi, gli stenti, le fatiche per strappare quelle anime all'inferno e condurle al vostro Figlio. Proteggete questi giovanetti, affinchè corrispondano sempre alle cure del loro comune padre; cosicchè la ventura di essere raccolti dalla carità sacerdotale, sia caparra della beata sorte di venire un giorno raccolti da voi stessa nel cielo. Benedite la città del Sacramento e benedite tutti quelli che verranno a venerarvi, ad invocarvi in questa magnifica vostra casa; affinchè conoscano tutti per prova che non invano siete venerata, invocata, amata, come l'Aiuto dei Cristiani e veramente Maria Ausiliatrice”.

                Alla sera giungeva in Torino la notizia che il Papa in questo sacro giorno aveva pubblicata la bolla per la convocazione del Concilio Ecumenico Vaticano, nella quale si annunziava che il Concilio sarebbe stato aperto l'anno venturo 1869, il giorno 8 dicembre, festa dell'Immacolata Concezione di Maria SS.

                A farne rilevare la necessità, il Pontefice, nel suo immortale documento, descritte le condizioni tristissime della società, il disprezzo in cui molti avevano l'autorità e la dottrina della Chiesa, la profanazione delle cose sante, la dispersione degli Ordini religiosi, la rapina dei beni ecclesiastici, le vessazioni recate al Clero, il prevalere delle sette, la corruzione portata dalla stampa malvagia, il danno dell'educazione straniera alla religione, dichiarava voler con questo Concilio porre rimedio a tanti mali.

                Questa Bolla suscitò ovunque una forte commozione. L'invito, amorevolmente rivolto da Pio IX ai protestanti,  [305] valse a provocare tra loro un generale irritamento. L'invito ai Vescovi scismatici risvegliò in essi le antiche avversioni, i pregiudizi, la superbia; e le lettere del Papa vennero respinte. Prima però del termine del Concilio Iddio chiamava al suo tribunale i Patriarchi Greco ed Armeno di Costantinopoli, il Greco di Alessandria e il Cofto. Ma tutti i sinceri cattolici esultavano, convinti che lo Spirito Santo avrebbe per mezzo del Concilio condannati gli errori del secolo e molti Vescovi nutrivano e manifestavano la speranza che il Concilio avrebbe definito il dogma dell'infallibilità pontificia. Il Papa però non aveva ancor espresso il suo pensiero su questa definizione.

                Sul finire di quel mese giungevano a Don Bosco due notizie dolorose. Il giovane Principe Paolo Sanguzko, che egli aveva conosciuto a Roma nell'anno antecedente e aveagli date prove di grande amicizia, da Parnou (Austria) gli faceva scrivere come gli fosse morta d'improvviso la sposa il 18 giugno, senza poter ricevere i SS. Sacramenti. Raccomandava caldamente alle sue preghiere la cara defunta, chiedeva con qual mezzo sicuro avrebbe potuto spedirgli un'offerta, manifestava la speranza di vederlo in Torino nel settembre o nell'ottobre.

                Altra notizia eragli comunicata dal Cav. Oreglia. Madre Maddalena Galleffi gli aveva scritto:

 

Roma, 30 giugno 1868.

 

                               Preg.mo Signore,

 

                Il Conte Vimercati, dopo essere stato da me il giorno 25 ed alla chiesa del Gesù la mattina del 27 spirante giugno, dopo avere pranzato al solito, salendo le scale del secondo piano, fu preso da uno de' consueti svenimenti e cadde, ma di caduta per lui mortale; non dette più segno di vita, fu chiamato il medico che lo salassò, venne chiamato pure il Padre Vasco. Fu al Conte somministrata l'estrema unzione ed alle nove e mezzo di sera passò a vita migliore. Dopo la virtuosa ed edificante vita passata quaggiù, non dovremo crederlo di già in possesso del Sommo Bene?

                Alle undici fu letto il testamento fatto cinque anni addietro. Tutti [306] ansiosi, di sapere, sentire, restarono stupiti ascoltando che tutto era destinato al nipote; a Pardini scudi 100, al cocchiere scudi 60, al portiere 20 per una volta sola; al cameriere scudi 10 mensili; e poi nulla più; non vi sono legati, ricordi agli amici; niente, niente per nessuno. Forse per questo o per altro, il buon defunto fu trattato peggio di un poveretto. Morì, come ho detto la sera del sabato alle 9; fu portato in chiesa la domenica alle ore sei pom. incassato, lo che ha fatto orrore a tutta Roma. Oh che meditazione! Dica tutto a Don Bosco e me lo riverisca .....

M.MADDALENA GALLEFFI.

 

                Altre notizie di questa morte dava al Cavaliere la Contessa Cornelia V. Mellingen il 15 ottobre:

 

                “Sono stata a visitare giovedì, 25 giugno, il Conte Vimercati ed egli mi disse: - Meno male che è venuta, perchè ha fatto in tempo. Gli domandai se egli in quel giorno usciva di casa così presto; ed egli mi disse: No, ma me ne vado facendomi segno che andava all'eternità…Il venerdì si era confessato, il sabato aveva fatta la S. Comunione. Aveva sempre desiderato di morire in questo giorno più specialmente dedicato a Maria SS. e Maria lo esaudì. Mi disse il padre Vasco che quando egli andò il Conte capiva ancora, ma non parlava più; ebbe tutti i conforti della nostra santa Religione, e la benedizione Papale che venne a dargli il Padre Generale della Compagnia di Gesù.

                Quindi placidamente spirò... Beato lui perchè ebbe il gran giudizio di mandarsi innanzi tutte le carità e buone opere. Queste mi pare che si elargiscano sinceramente, perchè ciò che si lascia, si lascia bene o male, ma il lascio è di necessità; mentre ciò che si dà in vita ai poveri, e alle opere di carità, si dà senza esservi costretti dalla morte.

                Purtroppo hanno gridato contro il povero Conte, ma bisogna pensare che tutto ciò che ha potuto fare, lo ha fatto finchè fu in stato di intendere; e ciò che non ha fatto fu conseguenza dello stato in cui era ridotta la sua mente. Altrimenti è più che certo che avrebbe pensato con qualche suo risparmio, se pur l'aveva, di dare un maggior compenso ai suoi famigliari per l'assistenza prestatagli, di donare una piccola memoria a tutti gli amici ... Ella sa in quali compassionevoli condizioni era negli ultimi mesi .....

                Mi fa pena ciò che dicono del povero Conte, dimenticando tutto il bene che ha tatto. Egli intanto speriamo che sia a godere il premio di tante virtù e beneficenza.

                Ero certa che Ella e Don Bosco avrebbero sentita questa perdita come quella di un buon amico; preghiamo sempre per lui...

                Ritorno a Lei e a Don Bosco tanti saluti dell'Em.mo Card. Patrizi, dei Connestabili, e di tutti”. [307]

                Il 30 giugno il buon Vescovo di Guastalla congedavasi con pena da Don Bosco, e, assecondando una proposta fattagli, partiva per visitare il Piccolo Seminario di Mirabello, prima di rientrare nella sua diocesi. Lo aveva preceduto D. Giovanni Cagliero, perchè gli fosse preparato un degno ricevimento e per disporre gli alunni, con un triduo di prediche, alla festa di S. Luigi che si celebrava il giorno 2 luglio giovedì.

                Un piccolo inconveniente accadde però a Torino. Per un equivoco era mancato alla stazione chi aveva l'incarico di comprare i biglietti ferroviari di prima classe, per Monsignore e pel suo segretario; e Don Bosco, così delicato nell'attenersi alle convenienze sociali, scrisse in fretta al Direttore di Mirabello, al quale dava anche il suo giudizio sulla biografia, da lui scritta, del pio Saccardi.

 

                               Carissimo Don Bonetti,

 

                Giunto Mons. Rota, gli dirai che il Cav. Oreglia fece una prodezza e andò a prendere i biglietti a Porta Nuova, invece di recarsi a Porta Susa. Tu poi procura di dare al suo Segretario quanto fu speso da Torino a Mirabello. Ciò concerta con Don Cagliero.

                Ho letto il tuo lavoro e mi piacque assai: l'ho già dato alla tipografia e ne vedrai a suo tempo le bozze.

                Ho giudicato bene di togliere tutte quelle cose che possono dare pretesto di accusarci che noi spingiamo le pratiche di pietà troppo avanti; oppure che il Saccardi sia stato oppresso per la mancanza di ricreazione. Ho pure tolto la Corona quotidiana. È cosa ottima, ma con tutte le altre potrebbe far dire che è troppo.

                Vedrai e correggerai.

                Buone feste a te e a tutta la cara brigata. Credimi nel Signore,

 

                Torino, 1° luglio 1868,

Aff.mo in G. C.

Sac. Bosco GIO.

 

                Mons. Rota era andato a Casale per ossequiare il Pastore di quella Diocesi Mons. Ferré ed ambedue si trovarono alla festa di Mirabello. Commovente fu la Comunione generale distribuita dal Vescovo di Guastalla, solenne la messa cantata [308] da Monsignor di Casale. Dopo il pranzo Don Bonetti rivolse ai Vescovi il seguente brindisi:

                “Se le loro Eccellenze Rev.me me lo permettono, farò un brindisi, non in poesia, perchè non son poeta, ma in prosa, e di cuore. Viva dunque Mons. Ferré che nel nome e nella vita cotanto si assomiglia al Vicario di Gesù Cristo, all'amabile, all'immortale Pio IX! Viva con lui Mons. Rota il cui zelo e la cui dottrina cotanto rinfranca i deboli ed i superbi apostati atterra e conquide. Oh il Cielo benigno, venerati Monsignori, al nostro amore e all'amore di tutti i vostri figli, insieme col nostro amato Padre Don Bosco, Vi conservi ancora per molti anni, ma senza affanni”.

                Mons. Ferré ringraziò e fece augurio che il Piccolo Seminario andasse ognor prosperando; i giovani docili ed obbedienti, dì buone speranze, potessero ognora formar la consolazione dei loro zelanti Superiori; e così il bene delle anime, la gloria di Dio potesse andare ognor più estendendosi a vantaggio della Chiesa, della famiglia e della società.

                Usciti sotto i portici e sedutisi i due Prelati sotto un elegante padiglione, si lesse e cantò un inno che esprimeva a loro la gioia di tutti, e si recitarono varie altre composizioni.

                Mons. Rota, colte le parole di un poeta, il quale aveva detto che attesa la lontananza, forse non si sarebbero più veduti se non nella valle di Giosafat, esortò tutti a pregare ad invicem, onde potersi poi tutti trovarsi un dì raccolti insieme in paradiso. Soggiunse che tante feste cordiali, quelle faccie ingenue, giulive, allegre, lo rallegravano, ma lo lasciavano nondimeno partire con una invidia nel cuore: di non poter avere ancor egli nella sua diocesi una casa e una schiera simile di eletta gioventù. “Continuate, proseguiva, continuate, o cari giovani, ad essere docili e pii: voi siete ben fortunati nel trovarvi in questo luogo, sotto la direzione di sì buoni e zelanti Superiori, che vi dispensano la sana istruzione e la vera educazione. Imitate S. Luigi, che oggi celebrate, guardate [309] ciò che egli fece, e seguitelo. Oh chi sa che qualcuno di voi non arrivi a rassomigliargli in tutto ed essere un altro San Luigi. Vedo quei là che sorridono: è segno che sono contenti e vogliono mettersi risolutamente. Non è vero? Vi ringrazio adunque di tutto cuore. Mi ricorderò sempre di voi e voi pregate anche per me”.

                Alla sera predicò Mons. Ferré, splendidamente. Esordì parlando dell'utilità di festeggiare i santi. Luigi fu santo col fare tutto il contrario di quello che fa il mondo. Tre sono i vizi principali che sono nel mondo: la superbia, la cupidigia ossia l'amore alle ricchezze, e la concupiscenza dei piaceri. E Luigi si fece santo coll'umiltà e coll'ubbidienza, colla povertà anche religiosa, e colla mortificazione e la rinunzia a tutti i piaceri.

                Si fece la processione alla quale prese parte il Vescovo, che diede la benedizione e condotto poi alla conferenza della Compagnia di S. Luigi rivolse ai confratelli alcune parole d'incoraggiamento, dicendo:

                 - Luigi sia vostro modello, aiuto e allettamento nella pratica delle virtù.

                Un fanciullo così salutò Mons. Ferré poco prima che partisse:

 

                               Caro Vescovo,

 

                Mi hanno detto che voi siete un angelo. Io non ho mai veduto degli angeli; perciò vi ringrazio che oggi voi vi siate lasciato vedere da noi. Io vi fo' adunque la preghiera che mi insegnò la mamma da dire all'angelo. Ascoltatela:

                 - Angelo di Dio che siete il mio custode, custoditemi in questo giorno, illuminate il mio intelletto, reggete i miei affetti, governate i miei sentimenti, acciocchè io non offenda mai il mio Signore Iddio. Così sia.

                Mio caro angelo, vi domando ancora una grazia; Voi siete tanto buono ed io la spero: state sempre con noi. Noi vi faremo una bella chiesa, vi faremo tutti i giorni delle belle feste, e vi ameremo tanto, tanto. Siete contento? Dite di sì; se no, vi prenderemo per le ali e non vi lasceremo più volar via.

                Del resto se non volete starvi sempre, deh! almeno venite spesso a visitarci visibilmente, a direi delle belle paroline, affinchè noi  [310] possiamo farci molto buoni, diventare angeli anche noi e poi volare insieme con voi in paradiso.

                Vi salutiamo, caro angelo. Addio addio.

 

                Abbiamo voluto riferire questi particolari, perchè sempre meglio si comprenda quanta venerazione Don Bosco aveva e sapeva inculcare tra i suoi figli verso i sacri Pastori della Chiesa.

 

 

CAPO XXV. Il Cavalier Oreglia a nome di Don Bosco compra una nuova macchina tipografica - Letture Cattoliche - Don Bosco annunzia ai giovani la solenne esposizione delle Quarantore nella chiesa di Maria Ausiliatrice - Sua risposta al Cav. Zaverio Collegno di Provana che lo invita a Cumiana per dare un esame letterario ai suoi figli - Parlate serali agli alunni dell'Oratorio, fatte da qualche superiore in assenza di Don Bosco - Annunzio di una bella offerta per grazia ricevuta da Maria - Giungono a Roma le notizie dell'Ottavario di Valdocco e a Torino quelle di Roma - Invito sacro per le Quarantore: predica Mons. Galletti - Il Vescovo di Casale ringrazia Don Bosco pel dono di una collezione completa delle Letture Cattoliche e di altri libri - D. Bosco accetta due giovani raccomandati dalla direzione delle ferrovie - Non vuole, che nell'Oratorio vi sia spazio non occupato dai giovani - Va a Cumiana - Continuo concorso alla nuova chiesa - Grazie domandate e ricevute - Don Bosco a Fenestrelle per benedire il parroco di Ruà, morsicato da un cane - Predica nella cappella del Puy le glorie di Sant'Anna - Si reca ad Usseaux: suo incontro col giovane Giuseppe Ronchail, che risolve di farsi Salesiano - Don Bosco restituendo la vista a due sorelle di quel giovane, vince l'opposizione del nonno che del nipote voleva fare un negoziante - Mons. Ricci e Padre Guglielmotti nell'Oratorio - Lettera di Don Bosco a Mons. Ricci; lo ringrazia della visita: chiede scusa se ha mancato nell'usargli i debiti riguardi: domanda un'onorificenza pontificia [312] per un benefattore - Malattia gravissima di Don Rua: liete previsioni di Don Bosco: la sua benedizione è seguita dalla guarigione - Antica profezia di Don Bosco sulla vita di Don Rua.

 

                NELL’Oratorio i meccanici si preparavano a montare una nuova macchina tipografica. Il Cav. Oreglia il 3 giugno aveva comprato per la somma di 8.500 lire dall'avvocato Domenico Fissore una tipografia e legatoria; cioè le macchine e i caratteri e tutti gli accessori; banchi, scaffali e ogni altro attrezzo e mobili depositati dal proprietario nel Ricovero di Mendicità. Si era sobbarcato a questa spesa, perchè crescendo il lavoro in tipografia, non fosse ritardata la pubblicazione delle Letture Cattoliche. Queste infatti procedevano con regolarità.

                Il mese di luglio gli abbonati ricevevano l'opuscolo: Storia di alcune celebri conversioni, ove si nota che di tali miracoli è ricca solamente la Chiesa Cattolica. In un'appendice si narra una grazia ricevuta ad intercessione di Maria Ausiliatrice.

                Pel mese di agosto era in corso di stampa: Il gran tesoro: guai a chi lo perde. Considerazioni proposte al popolo dal sacerdote Boccalandro Pietro, già Rettore in S. Marco di Genova. È il tesoro della fede, tanto necessario per tutti, specie per la classe innumerevole di quelli che faticano e soffrono. L'operetta descrive la bellezza della fede, la sua certezza, i beni che apporta, il danno della sua perdita, le qualità che la fede deve avere, le cause per cui si perde, i mezzi per conservala.

                Pel mese di settembre Don Bosco aveva fissata la Vita del giovane Ernesto Saccardi fiorentino, scritta dal Sac. Giovanni Bonetti, Direttore del Seminario di Mirabello. Saccardi fu un angelico allievo di quel Piccolo Seminario, del quale istituto in appendice all'opuscolo si legge il programma.

                Abbiam già visto nella lettera scritta a Don Bonetti, come il Venerabile avesse letto attentamente e fatto correzioni a questa biografia. A un esame di seria critica egli sottoponeva [313] allora ogni scritto de' suoi destinato alle stampe, come voleva che gli scritti suoi fossero esaminati dai suoi figli.

                Il 5 luglio, alla sera, radunati tutti i giovani studenti ed artigiani sotto i portici, diceva loro:

                 - Il giorno 15 avremo grandi feste. Incominceranno le Quarant'Ore e verrà il Vescovo Mons. Galletti a predicare. Noi in preparazione, guardiamo di non pensare più ad altro, fuorchè alle cose che riguardano i nostri doveri, sia di pietà, sia dì studio o lavoro, ciascuno secondo il proprio stato.

                In que' giorni, invitato dal Cav. Zaverio Collegno di Provana a recarsi alla sua villeggiatura di Cumiana per esaminare i due suoi figliuoli sul profitto negli studii, Don Bosco rispondeva:

 

                               Carissimo sig. Cavaliere,

 

                Andremo a fare il professore. La sera del 19 corrente per quello delle 5 sera con D. Francesia andrò, si Domino placuerit, a Cumiana. Se giudica bene, invito il prof. Bacchialoni, ma se lo giudica bene; me lo dica.

                Ella però ne ha una da scontare. Venire a Torino con Luigi ed Emanuele e non venire tutti e tre a pranzo con noi, e godere così la provvidenza di Maria Ausiliatrice è un errore da perdonarsi difficilmente. Il Barone Bianco mi dice che si merita una multa di cento napoleoni; ci pensi; io vado a prenderli.

                Dio benedica Lei e tutta la sua famiglia; li riverisca con D. Susino tutti caramente nel Signore, e mi creda con gratitudine

                Di V. S. Car.ma,

 

                Torino, 10 - 7 - 1868,

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco Gio.

 

                Noi teniamo qui a ripetere come trovandosi Don Bosco lontano dall'Oratorio o essendo egli occupato, Don Rua, Don Francesia e talora qualche altro prete, parlavano in vece sua tutte le sere agli studenti e agli artigiani che recitavano le orazioni in luoghi diversi. I loro sermoncini trattavano della disciplina, della pulizia, dell'osservanza delle regole di buona educazione, della diligenza in scuola e nello studio, del contegno [314] in chiesa, degli ordini del giorno pel domani e, imitando Don Bosco, non dimenticavano di parlare sovente della Madonna. Si legge nella cronaca:

 

                “11 luglio, sabato. - Dopo le orazioni sotto i portici Don Francesia così parlò: - I medici pochi giorni fa avevano dichiarata spedita una povera inferma. L'arte salutare giovava più a nulla. La donna saputa questa sentenza disse: - Don Bosco ha fatto innalzare una chiesa in Valdocco. Là già si ottennero molte grazie segnalate. Dunque la mia famiglia si raccomandi con me a Maria Ausiliatrice ed io prometto di fare un'offerta alla chiesa, appena sarò guarita. - Dopo pochi giorni la grazia era completa ed il marito quest'oggi venne a fare una offerta di 10 biglietti da 100”.

 

                Delle feste di Torino e delle grazie della Madonna Don Francesia aveva scritto e scriveva a Roma e là pure ne recava novelle il Cav. Federico Oreglia di S. Stefano, il quale, venuto per le feste della consacrazione della Chiesa, era ripartito da Torino poco dopo finito l'Ottavario. Il Padre Oreglia scriveva a Don Francesia il 14 luglio:

                “Grazie mille. Prosit delle loro belle feste e delle benedizioni che ricevono ogni giorno e per tanto bene che fanno; ed avranno noie e fastidii in proporzione del bene che fanno ..... Qui non si teme nulla per ora d'irregolare, ma la guerra grossa è probabile e nel cui corso anche noi possiamo essere involti. Ma Dio ci aiuterà. Roma ora è deserta e calda e senza novità.

                ”È finita la questione delle elezioni. Qui ora son tutti contenti di Margotti. Questo incidente ha servito a far capir meglio ciò che qui si pensa... Federico non lo vedo più da varii giorni, gli mandai subito l'acclusa. I miei ossequii a Don Bosco”

                E nuove consolazioni aveva Don Bosco nel suo zelo per la casa di Dio. L'Unità Cattolica del 14 luglio scrive:

 

                Quarant'Ore nella chiesa di Valdocco. - In occasione delle prime Quarant'Ore nella chiesa di Maria Ausiliatrice in Valdocco in Torino, il Sommo Pontefice concede indulgenza Plenaria a tutti coloro che confessati e comunicati nei giorni 15, 16, 17 visiteranno questa chiesa, pregando secondo l'intenzione del medesimo Sommo Pontefice. La sera vi sarà la predica, fatta da Mons. Vescovo d'Alba. [315] Nei tre giorni i sacri riti furono celebrati come ne' giorni festivi più solenni; il piccolo clero, i chierici e i sacerdoti si alternarono in rocchetto ai piedi dell'altare in continua adorazione; mentre le classi degli studenti e i singoli laboratorii compivano lo stesso omaggio innanzi alla balaustra. Il popolo accorse numerosissimo, anche per udire la parola del serafico Mons. Galletti.

                Il terzo giorno Don Bosco riceveva una lettera del Vescovo di Casale, cui, in ringraziamento della parte che aveva presa alle funzioni dell'Ottavario, aveva mandato in dono una collezione intera e molti fascicoli delle Letture Cattoliche.

 

                               Rev.mo Signore,

 

                Ho ricevuto il grosso pacco di libri edificanti che la S. V. Rev.ma ebbe la bontà di regalarmi. Al vedere quella svariata quantità di preziose operette mi parve di trovarmi in un ricco speciosissimo giardino dove fanno bella mostra di sé i fiori più splendidi ed olezzanti, e in gran copia spandono i nobili loro rami carichi di soavissimi frutti.

                Mi congratulo poi seco lei perchè una gran parte di quei libriccini, quanto piccioli di mole altrettanto ricolmi dei più sani ed utili insegnamenti, sono dettati dalla sapienza è dallo zelo onde la S. V. cotanto si distingue. Io farò di giovarmene a mia istruzione ed a vantaggio dei miei diocesani, ai quali avrò il piacere di distribuirli.

                Coi sensi della maggior gratitudine e della più grande venerazione me Le professo

 

                Casale, li 16 luglio 1868,

Ossequentissimo servitore

PIETRO MARIA, Vescovo.

 

                Con la stessa data veniva consegnata a Don Bosco una lettera della direzione delle strade ferrate.

 

Torino, li 16 luglio 1868.

 

                Lo scrivente ha l'onore di accompagnarle per quelle determinazioni che crederà del caso, l'unita istanza di Giovanni Cordero, figlio di un operaio di queste Officine, il quale desidera essere ricoverato nell'Oratorio di S. Francesco di Sales, e si è a tal uopo rivolto al sottoscritto per esserle raccomandato.

                Colla più distinta stima

Il Direttore dell'Esercizio

P. ARMILHAU. [316]

                Lo stesso signore il 4 settembre 1868 con lettera N. 8656 raccomandava l'accettazione del giovanetto Ellena, figlio di un defunto agente della Società ferroviaria.

                Erano migliaia le domande che ogni anno giungevano a Don Bosco da ogni parte per l'accettazione di poveri giovani. Egli avrebbe desiderato di riceverli tutti. È nota la sua frase ripetuta agli altri Superiori e da noi udita più volte: “Accettatene quanti più potete. Riempitene la casa e i sottotetti: se non bastano i posti, metteteli nei sottoscala; se anche questi sono occupati, collocateli in mia camera e sotto il mio letto!”

                Egli provava sempre vera gioia quando poteva accogliere un nuovo fanciullo, e vivo dolore quando era costretto a dare una negativa. Ricordava le parole del Divino Maestro: Qui susceperit unum parvulum talem in nomine meo, me suscipit. - Non est voluntas ante Patrem vestrum qui in coelis est, ut pereat unus de pusillis istis. Egli vedeva in ogni giovane un'anima da salvare, e non trascurava ogni più ardua fatica per salvarla.

                La sera della domenica 19 luglio, festa di S. Vincenzo de' Paoli, Don Bosco giungeva a Cumiana ove passava un'intiera giornata con quella cara famiglia e co' professori che lo avevano accompagnato. Quante glorie di Maria non ebbe egli a narrare!

                Don Rua scriveva nella cronaca il 20 luglio: “Continua un concorso considerevole di gente a visitare la nuova chiesa e a domandar grazie a Maria Ausiliatrice. Si può dire che non passò giorno senza che arrivino più lettere di persone lontane che si raccomandano a Maria, per mezzo specialmente delle preghiere di Don Bosco e de' suoi figli; come pure puossi dire che non passò giorno senza che se ne ricevessero altre di ringraziamento per grazie ottenute”.

                Una di queste proveniva dall'Austria.

 

                               Rev.mo Signore,

 

                Pochi giorni sono, oppressa dallo spavento, io invocava il soccorso delle preghiere di V. S. a favore del mio genero Carlo Lutzow, ed ora [317] non so con quali espressioni poterla ringraziare; ascolti. Il mio Carlo, dopo seria malattia, era a quel punto che chiamasi l'estremo della vita. Con somma esemplarità ricevette i SS. Sacramenti, e mostrava la rassegnazione e la fortezza del vero cristiano agonizzante. Ma io, mia figlia, e tutti della famiglia, eravamo atterriti al pensiero della perdita di lui. Giunse opportuna la sua lettera che mi invitava a cominciare una novena in onore di Maria Ausiliatrice, unica nostra speranza in quel terribile frangente. Al giorno 18 cominciammo la memorabile novena, e misi al collo dell'infermo la prodigiosa medaglia di Maria Ausiliatrice, che Ella mi aveva regalato passando per Torino. Meraviglia a dirsi! il giorno stesso l'ammalato acquistò tanto aumento di forze, con tale diminuzione di male, che i medici al giorno seguente lo giudicarono fuori di ogni pericolo.

                Ringrazii meco il Signore e la santa Vergine Maria, e dopo di essi ringrazio Lei e tutti que' buoni giovanetti che fervorosi si raccolsero nella novella chiesa per invocare il soccorso di colei che sempre accoglie le preci di coloro che col labbro del fervore e della innocenza invocano il suo potente aiuto.

                Oggi (26 luglio) il mio Carlo parla, ride, celia, ed ha già potuto ristorarsi con bibite e commestibili di vari generi.

                Sia adunque ora e sempre da tutti ed in ogni luogo benedetto, esaltato, invocato il nome di Maria Ausiliatrice. Fra breve riceverà un po' di danaro pei suoi poveri giovanetti. Colla più sincera e durevole gratitudine mi professo,

 

                Krawska nell'Austria, 26 luglio 1868,

Obbl.ma Serva

Baronessa LUIGIA GUDNAU.

 

                Mentre la Baronessa scriveva questa lettera, Don Bosco si trovava sulle Alpi a Fenestrelle ov'era giunto il sabato 25 luglio. Il Curato di Ruà, sopra Fenestrelle, era stato morsicato da un cane, che i medici giudicarono arrabbiato. L'infermo era così fuori di sé per lo spavento, che a tutti i costi voleva che Don Bosco andasse a benedirlo. Il Servo di Dio si mosse alle preghiere degli amici che lo aspettavano a Pinerolo e fu a Ruà, ove benedisse il povero curato, il quale calmatosi guarì e visse ancora molti anni.

                Il domani 26, giorno di domenica e festa di S. Anna, il Venerabile predicò nella cappella del Puy, parrocchia di Fenestrelle. [318] Il lunedì recavasi a Usseaux. Di questa borgata era il giovanotto Giuseppe Ronchail, che aveva allora terminati gli studii di filosofia, e intendeva proseguire nella carriera ecclesiastica. Ma essendo egli sotto la tutela del nonno, questi aveva deciso di fargli intraprendere la mercatura e già gli aveva trovato un posto in una casa di Lione; anzi gli aveva fissata la partenza pel sabato prossimo, ed egli non osava opporsi. Don Bosco, giunto in paese, era sceso dal parroco. Ciò saputosi, due seminaristi del corso teologico, compaesani di Giuseppe, si recarono presso l'amico e vennero a parlare di Don Bosco. Ronchail non solo non conosceva Don Bosco, ma non l'aveva mai neppur udito nominare. I seminaristi invece, che desideravano ardentemente di vederlo perchè ne avevano sentito dir tanto bene, gli proposero di accompagnarli nella visita che intendevano fare al Servo di Dio quel giorno stesso: ed egli, per compiacere gli amici, li seguì.

                Il Venerabile, appena vide entrare i tre giovani, senza badare ai due seminaristi, s'indirizzò subito al giovanotto avviato al commercio, gli fece le migliori accoglienze e prendendolo per mano gli disse: - Ecco qui un bel merlotto che va messo in gabbia! - Queste parole fecero colpo sul cuore di Giuseppe, la sua vocazione per un istante assopita si rianima: chiede al Venerabile un abboccamento particolare, e la sua determinazione di consecrarsi al Signore diventa soda e irremovibilmente stabile; anzi si decide a seguire Don Bosco a Torino.

                Restava però a rimuovere il nonno dalla sua decisione, e uno straordinario avvenimento tolse ogni difficoltà. Eccone il racconto fatto da D. Carlo Gros, parroco di Pomaretto, nel 1904, avendo egli compiuto gli ottantadue anni, a D. Pietro, Pestarino di Rossiglione perchè trasmettesse a noi la sua testimonianza.

                Don Gros nel 1868, essendo cappellano da quelle parti, un giorno nel quale soffiava un forte vento, incontrò sotto Fenestrelle Don Bosco in vettura con D. Bourlot, che ritornava [319] da Laux. Ed ecco presentarsi a lui Giuseppe Ronchail con sua madre e due sue giovani sorelle. Bourlot fermò il cavallo e la buona madre prega Don Bosco a voler benedire le figlie. La più grandicella, in età di circa 14 anni, aveva perduta quasi interamente la vista, perchè distingueva appena il giorno dalla notte. L'altra, presa da infiammazione cronica agli occhi, era costretta a tenere chiuse le palpebre non potendo soffrire la luce. Don Bosco consigliò loro una novena a Maria SS. Ausiliatrice, consistente in tre Pater, Ave e Gloria ed una Salve Regina ogni giorno, affidò al giovinotto Giuseppe di guidar la madre e le due sorelle in questa recita, e finì con dar loro la chiesta benedizione. La prima sorella guarì istantaneamente e completamente e non ebbe mai più disturbi di vista; e l'ultimo giorno della novena, appena recitate le preghiere prescritte, anche la seconda, scomparsa l'infiammazione, ricuperò interamente la vista, rimanendole sugli occhi una piccolissima macchietta, quasi ricordo dell'antico male.

                Il fratello, testimone di questi prodigi, credé sempre più alle parole del Servo di Dio, persuaso che avesse avuto lumi particolari intorno alla sua vocazione. Egli entrava nell'Oratorio il 10 ottobre di quest'anno, e vedremo quale fosse l'importantissima missione che in Francia a lui riservava il Signore.

                Questa narrazione ci fu anche esposta dallo stesso Ronchail.

                Il 27 luglio, nota la cronaca, Don Bosco lasciava Fenestrelle. In sul far della sera due ecclesiastici sconosciuti si presentarono nell'Oratorio per parlare col Servo di Dio. Egli non era ancora rientrato in casa e lo aspettarono fino a notte senza voler manifestare il proprio nome. Quando giunse, Don Bosco fece loro mille feste. - Sono Mons. Ricci, aveagli detto uno, Maestro di Camera di Sua Santità. - L'altro era il Padre Guglielmotti, Domenicano, il famoso storico della Marina Pontificia. Accettarono volentieri l'ospitalità che loro offriva Don Bosco e il giorno dopo, visitato l'Ospizio, accompagnati da D. Durando si recarono al Collegio di Lanzo.  [320] Il giorno 29 al mattino ripartirono per Roma. Pare che avessero qualche missione speciale. Questa visita porse occasione a Don Bosco di scrivere una lettera a quel Monsignore: un incarico dato al Cav. Oreglia non era stato mandato ad effetto.

 

                A S. E. Rev.ma Mons. Francesco Ricci, Maestro di Camera di Sua Santità. - Roma.

 

                               Eccellenza Rev.ma,

 

                Compio un po' tardi un mio dovere, quale si è di ringraziare V. E. Rev.ma della bontà usata col venire a prendere alloggio nella nostra povera casa; di ciò serberemo la più cara e grata memoria. Ma altro motivo mi doveva spingere a scriverle, era il dimandarle benigno compatimento della mancanza di riguardo cui fummo costretti dalla condizione della nostra casa. Ella però si degni di tirare un velo sopra di tutto e si ricordi soltanto della grande consolazione che ci ha recato e della nostra buona volontà di usarle con atti esterni i più profondi segni di stima e di gratitudine.

                Nel partire Ella aveva la bontà di dirmi che si sarebbe impiegato a favore di questa casa e qui ávvi una occasione in cui ho bisogno veramente di Lei.

                L'abate Soleri è un insigne benefattore di questa casa e poco fa ci fece una vistosa largizione in bisogno eccezionale. Esso desidera un qualche titolo d'onore dal Santo Padre: Canonico, Protonotario, Cameriere, od altro, che io non so, purchè abbia un segno di benevolenza della Santa Sede. È un buon ecclesiastico, come può vedersi dalla commendatizia dell'Arcivescovo; è ricco e generoso. V. E. faccia.

                Attendiamo l'indulgenza plenaria che ci ha fatto sperare, Dio la benedica. Ci dia la sua santa benedizione e mi creda con pienezza di stima

                Dell'E. V.

 

                Torino, 27 settembre 1868,

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

                Questi, il giorno 28 luglio, chiesta licenza dagli accennati suoi ospiti illustri, per impegni già presi, recavasi di bel nuovo fuori di città per due giorni forse, a Borgo Cornalense. E in quella breve assenza, Don Rua, dopo parecchi mesi di sofferenze cagionate dalle fatiche eccessive che gli davano l'interna [321] direzione dell'Oratorio e il disbrigo degli affari materiali, e dall'estrema debolezza abituale per l'insufficiente riposo di sole quattro ore di sonno, il 29 luglio cadde gravemente ammalato di peritonite violenta. Piissimo, egli chiese subito gli ultimi conforti della religione, e gli fu portato il S. Viatico. I medici accorsi lo dissero spedito. Il Dott. Fissore che lo curò per il primo, affermò più tardi che quella malattia era di tal genere che su cento infermi appena uno o due sogliono guarire.

                S'immagini l'ansietà di tutta quanta la casa. Fu mandato a chiamar Don Bosco, il quale giunse verso sera. Appena pose il piede sulla soglia della porteria, i superiori e i giovani dell'Oratorio furono con maggior premura ed in maggior numero del solito a fargli corona e a raccontargli dell'infermità di D. Rua e del gran pericolo in cui si trovava; e lo pregavano ad andar subito a visitarlo per dargli la benedizione di Maria Ausiliatrice: - Presto! gli ripetevano, vada a vederlo, chè può mancare da un momento all'altro! - Don Bosco senza conturbarsi, senza accelerare il passo, rispose semplicemente, sorridendo: - State tranquilli: io conosco Don Rua; egli non partirà senza il mio permesso!

                Quella sera vi erano le confessioni, perchè il mattino seguente, giovedì, si faceva l'esercizio di buona morte; e il Servo di Dio andò subito in confessionale, ove fu trattenuto per un tempo assai lungo.

                Uscito di chiesa, il suo segretario Don Berto insistette perchè salisse subito a visitare l'infermo, ma Don Bosco senza punto preoccuparsi andò a cena, dicendo: - Sì, sì; andremo a vederlo. - Com'ebbe cenato, con la solita tranquillità, salì in camera per deporre le sue carte e poi scese al primo piano a visitare D. Rua. Dopo essersi intrattenuto alquanto coll'infermo, questi gli disse con un filo di voce:

                 - Oh Don Bosco! Se questa è l'ultima mia ora, me lo dica pure liberamente, perchè sono disposto a tutto.

                E Don Bosco:  [322]

                 - O caro Don Rua, non voglio che tu muoia. Hai da aiutarmi ancora in tante cose.

                E dopo qualche altra consolante parola lo benedisse.

                La mattina seguente, dopo la celebrazione della Messa, risalì dall'ammalato presso il quale si trovava il Dott. Gribaudo, che gli fece rilevare la gravità del caso, soggiungendo che sperava poco in una guarigione: - Sia grave, quanto si vuole, gli rispose il Venerabile, ma il mio D. Rua deve guarire, perchè gli resta ancor tanto da fare.

                Era stato deciso di amministrare a D. Rua l'Estrema Unzione e il Servo di Dio vista sopra il tavolino la borsa degli olii santi domandò:

                 - E per qual fine l'Olio Santo?

                 - Per amministrarlo a D. Rua.

                 - E chi fu quel buonomo che pensò di portarlo qui?

                 - Sono io, rispose Don Savio. Oh se avesse visto come stava male ieri sera D. Rua... faceva paura... i medici stessi...

                 - Siete proprio gente di poca fede, l'interruppe D. Bosco, e: - Fatti coraggio, D. Rua! - aggiunse sorridendo e faceziando: - guarda: se anche ti gettassi giù dalla finestra, ora non moriresti!

                Infatti dal momento che Don Bosco lo aveva benedetto, l'infermo aveva incominciato a migliorare, e alcuni giorni dopo contro ogni aspettazione era fuori di pericolo. Condotto all'aria pura di Trofarello, in capo a due mesi si ristabilì perfettamente, in modo da rimanere libero anche dai mali di capo, che prima lo tormentavano gravemente e con molta frequenza.

                Un'altra antica profezia assicurava Don Rua, che la sua vita avrebbe ancor durato almeno trentacinque anni. Così attestava egli stesso.

                “Quando nel 1853 si stavano organizzando in Torino grandi feste per il centenario del Miracolo del SS. Sacramento, il nostro buon Padre Don Bosco scrisse un fascicoletto per preparare il popolo alla solenne ricorrenza. Io aveva allora 16 [323] anni e facevo come l'amanuense presso di lui. Qualche mese dopo le feste, un giorno ritornavamo dalla villeggiatura del prezioso nostro amico Prof. D. Matteo Picco, dove Don Bosco soleva ogni anno per qualche giorno ritirarsi per attendere nella quiete della campagna ai suoi lavori di tavolino, approfittando delle vaste cognizioni letterarie, storiche e scientifiche di quel valente professore. Giunti a quel borgo che si chiamava dei SS. Bino ed Evasio, poco lungi dalla Gran Madre di Dio, cadde il discorso sulle feste centenarie di Torino e sulla buona accoglienza e larga diffusione del suo opuscolo. Don Bosco, portando il suo pensiero più avanti, mi disse: Quando nel 1903 si celebrerà il cinquantenario, io non ci sarò Più, ma tu ci sarai ancora: fin d'adesso ti affido l'incarico di ripubblicarlo.

                - Ben volentieri, risposi, accetto sì dolce incarico; ma se la morte mi facesse qualche scherzo e mi togliesse da questo mondo prima di quell'epoca?

                - Sta' tranquillo: la morte non ti farà nessun scherzo, e tu potrai compiere l'incarico che ora ti affido.

                Intesolo parlare con tanta sicurezza, fin d'allora misi in disparte una copia di quell'opuscolo per trarla fuori quando fossevi da farne l'edizione pel 1903”.

                E la fece premettendovi come prefazione una dichiarazione eguale alla suesposta, ove accennava anche alla sua malattia e guarigione del 1868.

 

 

CAPO XXVI. Don Bosco va a S. Ignazio - Consiglia un giovane che domandava di farsi Salesiano ad entrare nella Compagnia di Gesù - Le benedizioni di Don Bosco agli infermi: sua umiltà evidente in varii modi: il Teol. Bertagna riconosce in lui il dono delle guarigioni - Colletta a S. Ignazio Per l'Oratorio di S. Luigi - Sistema di Don Bosco di non compiere in una volta tutta un'opera, per dar campo a successive particolari domande di offerte ai benefattori - Sua circolare per chiedere arredi sacri da destinarsi alla nuova chiesa - Avveramento di una sua previsione - Lettera della Presidente di Tor de' Specchi che gli chiede consiglio per l'accettazione di una postulante - Don Bosco visita il Conte della Margherita gravemente infermo - Prevede l'effetto di una sua benedizione - Rivela cose occulte - Morte di due giovani, predetta - Il Venerabile coopera alla buona riuscita dell'educazione dei figli di nobile famiglia: suo affetto per questi giovani - Un bolide.

 

                IN agosto il Venerabile si recava al Santuario di S. Ignazio sopra Lanzo per gli esercizi spirituali. Colà tutti gli anni molti secolari lo aspettavano per confessarsi da lui e chiedergli consigli. Fra questi vi fu un bravo giovane che tempo prima gli era stato presentato da un suo benefattore, perchè lo accettasse fra gli allievi dell'Oratorio. Don Bosco, che si trovava in sagrestia, l'aveva accolto con amorevolezza, ma dopo averlo interrogato, fissatolo in volto, esclamò: - Non è destinato [325] per noi: va da altri. - Il giovane rimase come mortificato a questa risposta e si ritirò.

                Recatosi egli pure a S. Ignazio, s'incontrò nuovamente con Don Bosco, lo scelse per suo confessore e gli espose il desiderio di farsi salesiano. Don Bosco non approvò, né disapprovò; ma un giorno, mentre quegli parlavagli con entusiasmo della vita di S. Stanislao Kostka, soavemente lo ammonì sorridendo: - Ebbene; e tu va' fra que' religiosi dove S. Stanislao si è fatto santo! - Così gli aveva fatto intendere per la seconda volta come non fosse chiamato nell'Oratorio, e il giovane, seguendo il suo consiglio, entrava nella Compagnia di Gesù.

                È questi il Padre Sasia che mandato come provinciale in California e di là richiamato in Torino nel 1894 per occuparvi la stessa carica, ci raccontava come egli avesse conosciuto Don Bosco.

                Ma se Don Bosco dava consigli agli altri, sapeva anche chiederli per sé. Vedendo come le sue benedizioni recavano la salute agli infermi anche i più disperati, riconosceva in Maria la causa di quelle grazie; e stava in guardia perchè il veleno sottile della vanagloria non disturbasse il suo cuore. La sua preghiera, il suo fermo proposito era: “Non nobis, Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam”.

                E tanto basso era il concetto che egli aveva di sé, che più volte chiese consiglio sul modo di regolarsi a personaggi ecclesiastici dotti e santi; ed ecco il giudizio che dava di lui Mons. Giovanni Bertagna, già maestro di morale nel Convitto Ecclesiastico, nel Processo Diocesano per la Causa di Beatificazione di Don Bosco. È il freddo ragionatore che parla:

                “Credo vero che Don Bosco avesse il dono sopranaturale di guarire infermi. Questo io l'ho sentito da lui medesimo in occasione che eravamo ambedue agli Esercizi Spirituali nel Santuario di S. Ignazio sopra Lanzo e me lo diceva per avere consiglio se avesse a continuare a benedire gli ammalati colle immagini di Maria Ausiliatrice e del Salvatore, poiché,  [326] diceva, si levava un cotal rumore per le molte guarigioni che succedevano e che avevano l'aria di prodigioso, in seguito a tali benedizioni da lui impartite. Ed io ritengo che Don Bosco dicesse il vero. Bene o male io ho creduto di consigliar Don Bosco a proseguire le sue benedizioni”.

                E l'umiltà sapeva suggerirgli il mezzo per nascondersi anche quando, conosciuta l'efficacia delle sue benedizioni, le moltitudini affluivano a lui in modo da impedirgli qualunque altro affare. Perchè nulla succedesse di sorprendente, bene spesso suggeriva ai singoli ricorrenti di fare una novena, oppure di recitare certe preghiere quotidiane per un tempo più o meno lungo, fissando così il giorno nel quale la Madonna avrebbe fatta la grazia. Con ciò mirava a due scopi: primo a far minore impressione con le sue assicurazioni: secondo ad ottenere che le grazie succedessero in luoghi diversi e lontani. Ma anche questa è cosa mirabile, poichè i supplicanti conseguivano i favorì richiesti nel mese e nel giorno fissato. La Madonna si rimetteva a lui. Lo stess'effetto producevano le lettere da lui spedite con un'immagine di Maria Ausiliatrice. Infatti, da ogni parte gli giungevano attestati di riconoscenza, ma egli ne ascriveva il merito alle preghiere e alle Comunioni fervorose dei buoni alunni dell'Oratorio, verso i quali non cessò mai di eccitare la stima e la gratitudine dei graziati.

                Don Bosco partiva da S. Ignazio, dopo aver fatto una colletta per l'Oratorio di S. Luigi a Porta Nuova, e ritornava in Valdocco. Nella nuova chiesa mancavano ancora molti oggetti di necessità o convenienti per l'esercizio decoroso del culto, ed egli per tutti iniziava collette particolari e successive, perché, diceva, se uno si affretta a compiere in una volta un'opera con tutti gli accessorii, facendo debiti, moltissimi benefattori vedendola ultimata si persuadono facilmente non essere più necessario il loro concorso e si raffreddano.

                Incominciò quindi a scrivere e far stampare una lettera diretta ai benefattori della chiesa, e ne spedì un migliaio di copie con lungo e diligente lavoro. Essa conteneva un ringraziamento,  [327] un omaggio, una promessa ed una preghiera. L'omaggio era la medaglia commemorativa dell'inaugurazione del Santuario; la promessa si riferiva alla funzione quotidiana, stabilita, come si è detto, per tutti i benefattori.

 

                                Benemerito Signore,

 

                Colla più grande mia consolazione ho l'onore di poter partecipare a V. S. B. che la chiesa dedicata a Maria Ausiliatrice, la cui costruzione fu più volte oggetto della sua carità, è stata solennemente consecrata al divin culto. La funzione fu cominciata il 9 del passato giugno e terminò la mattina del 17 dello stesso mese. Appena sarà terminata la stampa della relazione di questo glorioso ottavario, mi farò dovere di tosto farmele pervenire un esemplare. Ora mentre le professo dal canto mio, la più profonda gratitudine, la prego a voler gradire una medaglia commemorativa che da una parte rappresenta Maria Aiuto dei Cristiani, dall'altra la facciata della nuova chiesa. Spero che questa sarà in sua famiglia di cara rimembranza e sorgente di perenni benedizioni, che l'augusta Regina del Cielo farà discendere sopra di lei e sopra tutte le persone che compongono la rispettabile sua famiglia.

                Credo che le tornerà eziandio di consolazione il sapere che fu stabilito un servizio religioso quotidiano nella nuova chiesa per tutti i benemeriti oblatori che colle loro largizioni hanno in qualche modo promosso quest'opera di pubblica beneficenza. Codesto esercizio consiste in preghiere pubbliche, recita della corona del Rosario, comunioni e celebrazione della S. Messa.

                Ora che questa costruzione è compiuta nella parte materiale, io la presento a lei come un mendico che ha bisogno di essere vestito e nutrito; vale a dire: questa chiesa ha bisogno di essere fornita di arredi e di ornati e di quanto è necessario per celebrazione di messe, catechismi, predicazioni e simili. Perciò rispettosamente mi raccomando che nelle sue opere di carità voglia anche comprendere questa, che ella ha già cominciato a proteggere.

                Dal canto mio finchè vivrò, non cesserò d'invocare ogni giorno le benedizioni del cielo sopra di lei, e sopra le persone che la riguardano, e nella dolce speranza che ci troveremo un giorno tutti raccolti nella patria dei beati, con profondissima stima e gratitudine ho l'onore di potermi professare

                Di V. S. B.

 

                Torino, Agosto, 1868.

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

                PS. - Se mai venisse a notizia di V. S. che qualche particolare oblatore di questa chiesa non abbia ricevuto la medaglia commemorativa,  [328] la prego di volermelo significare, affinchè per quanto mi è possibile, io compia tale dovere di gratitudine.

 

                Da Roma intanto si volgeva a lui per consiglio la veneranda Madre Presidente di Tor de' Specchi. Ricordiamo come Don Bosco le avesse promesso che il suo Monastero, dopo alcune peripezie, sarebbe ritornato fiorente. E così fu. Nel luglio del 1869 la Presidente annunzierà al Cav. Oreglia che in quell'anno aveva acquistate cinque novelle novizie; altre si aggiunsero più tardi.

                Ma in quei giorni la buona Madre era ancora in angustie per il numero troppo piccolo della sua religiosa famiglia, e, incerta se accettare una nuova postulante, scriveva a Don Francesia:

 

                I.M.I.

3 agosto 1868.

                               Reverendo Signore,

 

                Il buon Cavaliere, prima di allontanarsi da cotesto caro asilo, mi disse che durante la di lui assenza mi dirigessi a Lei, ed io lo fo' con piacere, anzi lo avrei fatto prima se non me lo avesse impedito una triste circostanza, cioè la mancanza per morte di una mia consorella oblata dopo breve malattia. Dio sia benedetto, ma il vedere scemare il numero già ristretto di questa comunità, Ella può immaginare se mi dia pena - siamo nove - ; se il numero fosse corrisposto dalla forza degli individui che la compongono sarebbe men male, ma non è così, non si sa come soddisfare agli offici ed agli atti comuni: abbisogna senza meno qualche aiuto. Vi sarebbe una buona e brava giovane fuor di Roma, non è nobile che nel suo paese, però vive con decoro (sebbene, per cattiva amministrazione, la famiglia non si trovi oggi doviziosa com'era) ed onestamente; la madre è una santa donna, e vedova: con tutto quanto che Le ho esposto mi distolgono dall'accettarla, dicendomi che il nostro istituto fu fatto per le signore nobili, e che ricevendo la suddetta guasto l'Istituzione.

                Se si distrugge per mancanza di soggetti, sarà forse meglio? ... Le mie oblate sarebbero contente della sunnominata giovane, per le notizie avute, ma Ella faccia il piacere d'informare di tutto ciò Don Bosco, senta il di lui parere, poi me lo scriva il più presto possibile.

                Le bacio la mano, ecc.

M. MADDALENA GALLEFFI. [329]

 

                Grande era la fiducia che si aveva in una parola del Venerabile! Una Comunità religiosa di Torino, angustiata per la mortale malattia del Conte della Margarita, suo primo benefattore, si rivolgeva al Cav. Oreglia (ignorando che egli fosse assente) per sapere ciò che ne pensava Don Bosco.

 

Viva Gesù Sacramentato.

 

                               Ill.mo sig. Cavaliere,

 

                Pur troppo V. S. Ill.ma saprà in quale stato trovasi S. E. il signor Conte della Margarita. Sebbene le ultime notizie questa mattina ricevute non fossero peggiori, anzi quasi accennassero ad un lieve miglioramento, noi pur viviamo in una continua angoscia ed il cuore sempre ci batte nella tema di perdere da un momento all'altro Colui che dopo Dio è tutto per noi, e che veneriamo e riguardiamo come il migliore dei padri. Ci aiutiamo in ogni modo a pregare affinchè il Signore ce lo conservi, ma glielo confesso, l'angoscia ci opprime.

                Sono persuasa che la signora Contessa e la signora Baronessa già l'avranno raccomandato alle sante preghiere del sig. Don Bosco mi unisco alle loro istanze onde ottenere da Maria SS. una grazia tanto preziosa. Nella desolazione in cui trovasi immersa l'intiera Comunità che tutto perde perdendo il sig. Conte, pensai di chiedere alla bontà di V.S. Ill.ma, a nome pure di Suor Maria Veronica, un prezioso favore, ed è quello di sapermi dire ciò che pensa e dice il signor Don Bosco dello stato di S. E. Quanto sarò riconoscente a V. S. Ill.ma se vorrà farsi il mio interprete presso quell'anima santa, quindi riferirmene i sentimenti. Mi perdoni se spinta dal dolore sono forse soverchiamente ardita, ma Ella più d'ogni altro può comprendere quanto giusta sia la nostra costernazione.

                Non è necessario, ben lo sa, che io raccomandi alle sue preghiere il carissimo e venerando infermo; se lo faccio è solo per seguire l'impulso del mio cuore oltremodo afflitto.

                Gradisca gli anticipati ringraziamenti, uniti a quelli di Suor Maria Veronica, e mi permetta di dichiararmi colla più distinta stima in G. M. G.

                Di Lei, Ill.mo signor Cavaliere,

L'Um.ma Obbl.ma Serva

Suor MARIA di Gesù, Superiora.

 

                Torino, 6 agosto, 1868, Monastero del SS. Sacramento.

 

                Il Conte Clemente Solaro della Margherita era fervente cattolico ed uno fra i più grandi uomini di Stato in Piemonte. [330] Diplomatico esperto a Napoli ed in Ispagna, valentissimo Ministro degli Affari Esteri durante la maggior parte del Regno di Carlo Alberto, oratore eloquente e coraggioso nella Camera Subalpina, storico e pubblicista insigne nel Memorandum, negli Avvedimenti politici, nell'Uomo di Stato, si acquistò un gran nome. Il Memorandum, pubblicato quando la rivoluzione lo costrinse a dimettersi da Ministro, e che ebbe poi tante edizioni e traduzioni, aveva strappato una parola d'applauso perfino a Massimo d'Azeglio, contro cui era stato scritto. In mezzo ai moderni raggiri egli spiccava per la sua franchezza ammirabile e per la sua costanza inamovibile nelle proprie opinioni; ed anche i nemici dovevano ammirarlo. Per Casa Savoia nutriva sempre un amore di figlio.

                Don Bosco andò a visitare l'illustre infermo, col quale era in amicizia e lo benedisse, e faceva pregare i giovanetti per lui.

                “Si noti - diceva Don Bosco - che le guarigioni talvolta non sono accordate perchè contrarie al bene dell'anima, e talvolta solo in parte si ottengono perchè l'infermo si faccia più ricco di meriti”. Ciò è comprovato dalla seguente relazione:

 

                Nell'anno 1868 mi presentai a Don Bosco accompagnata da mia madre pregandolo a volermi benedire, perchè io a soli 25 anni mi sentiva sfinita da una continua febbretta che mi consumava ed era ribelle ad ogni rimedio. Il sant'uomo mi suggerì un semplice decotto depurativo, e poi mi ordinò di recitare per circa un mese cinque Pater, Ave e Gloria fino al giorno dell'Assunta e dal modo sorridente e sicuro con cui parlava, io credetti che mi sarei ristabilita; mi regalò un libretto e una medaglia, e prima di congedarmi mi fece inginocchiare per dire con lui tre Ave Maria.

                Egli era in piedi e pregando mi teneva la mano sul capo lo sentiva premere fortemente e quando mi alzai il suo aspetto era triste e mi disse: - Non ti stupire, se non guarirai bene e se per tutta la tua vita avrai sempre qualche malanno; la benedizione che ti ho data se non ti servirà pel corpo ti gioverà per l'anima; tuttavia fa' quel che ti ho detto. - Io me ne partii un poco scorata, e non mancai di prendere il decotto e di recitare le preghiere.

                Il giorno dell'Assunta ebbi molto più male del solito, e poi a poco a poco il male si calmò, e quantunque la febbretta non sia [331] stata continua, l'ho però soventissimo, e posso dire con tutta verità di non aver passato da allora in poi un giorno in perfetta salute. Io sono convinta che mentre recitavo quelle tre Ave Maria, il sant'uomo vide che per la salute della mia anima io doveva rinunziare a quella del corpo.

 

DELFINA MARENGO.

 

                Noi ricorderemo qui, come Don Bosco continuasse anche a manifestare cose umanamente occulte. Attesta D. Gioachino Berto.

                “Era l'anno 1868 quando un mattino mi si presentarono due signore sconosciute per parlare a Don Bosco. Entrate in sua camera, egli appena le vide, senza lasciarle parlare disse sorridendo ad una di quelle: Si faccia Pur monaca e stia tranquilla chè questa è la volontà del Signore.

                Poco dopo, vedendole io uscire colle lagrime agli occhi, ne chiesi la ragione a Don Bosco il quale confidenzialmente mi rispose: - Vedi, quelle signore sono due sorelle, di cui una si voleva fare religiosa e l'altra si opponeva. S'accordarono pertanto di venire a prender consiglio da Don Bosco. - Ma io soggiunsi: Perchè piangevano?

                 - Perchè senza lasciarle parlare dissi il motivo della loro venuta e perciò restarono commosse. - Ma lei come ha fatto a sapere questo?

                 - Quanto sei curioso! Vedi, questa notte ho sognato che vennero queste stesse due persone a richiedermi del suddetto parere; ed ora, appena vedutele, le riconobbi e perciò non feci altro che ripetere il consiglio che loro diedi in sogno”.

                Altri fatti consimili son registrati nelle nostre cronache.

                Nel Servo di Dio era pur ammirabile ed abituale lo spirito profetico del quale si ricordavano già molte prove.

                Una sera dopo le confessioni, mentre era a cena raccontò questo sogno ad alcuni che gli stavano attorno, tra i quali il citato Don Berto.

                “Ho veduto un giovane dell'Oratorio disteso per terra in mezzo ad una camerata, attorno al quale erano dei coltelli spuntati, delle pistole, delle carabine e delle membra [332] umane fatte a pezzi. Sembrava agonizzante. Gli domandai: - Come va che ti trovi in uno stato così miserabile? - Non lo conosce, mi rispose, dagli strumenti che mi stanno attorno? Sono diventato un assassino e fra poche ore sarò condannato alla morte”. E quindi aggiunse: “Io conosco quel giovane: starò attento a correggerlo de' suoi difetti e ad infondergli sentimenti di pietà e di mitezza: ma ha un'indole così cattiva che temo fortemente che faccia davvero una cattiva fine”

                Era questo un giovane, che militando poi tra le file dell'esercito venne fucilato per aver ucciso il proprio ufficiale. Per buona sorte, prima di morire, fece con edificazione tutti i doveri di un buon cristiano.

                Il Venerabile predisse eziandio, più anni prima, che un altro giovane si sarebbe suicidato. Un tale infatti, allora buono e pio, dopo qualche tempo che era uscito dall'Oratorio, vedendosi tradito, rovinato nelle sostanze e nella famiglia e nell'onore da uno scelleratissimo compagno, si troncava la vita con un colpo di pistola. I due nomi si conservano nelle Cronache. Molti furono i testimoni di questi predizioni e del loro avveramento: tra essi Don Rua.

                Così Don Bosco, per le sue virtù e per il dono della penetrazione dei cuori, possedeva la stima e la confidenza di tutti, compreso il Patriziato di Torino e di altre città, ed era invocato a cooperare alla buona riuscita dell'educazione dei figli. Quando qualcuno di essi pareva che incominciasse a sviare, ultima ancora di salvezza era Don Bosco, essendosi guadagnato la cordiale amicizia di quei giovani. Perciò li mandavano da lui o procuravan loro un colloquio col Servo di Dio nel proprio palazzo. E la parola di Don Bosco riusciva efficace e molti giovani signori cambiarono condotta e formarono la gloria delle proprie famiglie. Non è conveniente portare le prove della nostra asserzione, né pubblicare lettere confidenziali; recheremo solo un biglietto col quale Don Bosco rispose alla sorella di un nobile giovane che gli aveva scritto per commissione de' suoi genitori. [333]

Torino, 10 agosto 1868.

 

                               Ill.ma Signora

 

                La sua intenzione e quella di maman saranno appagate: le tre messe con alcune preghiere dei nostri giovani e delle povere mie si faranno ne' tre giorni consecutivi a quello d'oggi.

                Il signorino può venire qualunque giorno di questa settimana dal mattino fino alle due pomeridiane e procurerò di servirlo da galantuomo, come si merita.

                La prego di dare l'acchiusa lettera a papà co' miei saluti a lui ed a maman. Dio la benedica. Preghi per me che le sono con grattudine

                Di V. S. Ill.ma

Obbl.mo Servitore

Sac. G. Bosco.

 

                Quanto Don Bosco amasse i figli de' suoi benefattori lo prova la risposta ad una lettera che gli aveva scritto il Marchesino Fassati da Montemagno:

 

                               Caro Emanuele,

 

                La tua lettera mi ha fatto piacere e non ho mancato di unire le mie deboli preghiere, secondo la tua intenzione. Ora non so, se Dio abbiaci esauditi, o no; tu lo saprai. Ti assicuro però che, se la domanda è di cose utili all'anima e che continui a domandare con fede, sta' certo che sarai esaudito.

                Tu mi faresti un vero piacere di fare i più cordiali ossequii a tutta la famiglia ed augurare a tutti sanità, allegria e lunga serie di anni felici. Alla bonne maman, signora Contessa De Maistre, dirai che se passa per Torino avrei piacere di riverirla e se tu sai un po' preventivamente il giorno del suo passaggio, mi faresti altro vero piacere il farmelo sapere con due sole linee.

                Carissimo Emanuele, tu percorri l'età più pericolosa, ma la più bella della vita. Fatti animo. Ogni più piccolo sacrifizio, fatto in gioventù, procaccia un tesoro di gloria in cielo.

                Prega anche per la povera anima mia e credimi sempre

 

                Torino, 14 settembre 1868,

Tuo aff.mo amico

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

                Con eguale, se non con maggiore affetto, egli aveva cura de' suoi giovani dell'Oratorio, e avvicinandosi il tempo delle vacanze autunnali, non cessava di dar loro salutari consigli. Don Bonetti scrisse: [334]

                Ricordi dati da Don Bosco ai giovani il 18 agosto 1868.

 

                1° Andare a casa colla volontà di conservarsi buoni e di non diventar peggiori.

                2° Ciascuno cerchi, ritornando nell'Oratorio, di condurre seco dei giovani buoni, dei quali Don Bosco è assai bramoso.

                3° Si dia buon esempio per riparare agli scandali che forse uno ha dato quando era a casa, o ai fratelli o alle sorelle, con parole, con bestemmie, o altri simili mancamenti.

                4° Prima di partire non si faccia spreco delle proprie brocche dell'acqua o dei libri usati, rompendo, stracciando come si suole dagli spensierati che hanno il genio della distruzione. Piuttosto si lascino in limosina perchè servano ai più poveri compagni che rimangono o che verranno.

                5° Usare buona educazione nel parlare, domandare, e ciò coi parenti, coi maestri e coi parroci. Se invitati a qualche pranzo, guardarsi bene dall'ingordigia, servirsi parcamente, osservare come fanno le persone serie; non sedersi a mensa o levarsi prima degli altri, ma aspettare il cenno del padron di casa o del capo di tavola.

 

                Il 30 agosto, domenica, incominciava la Novena della Natività di Maria Vergine e nei primi giorni di questa un raro fenomeno dava bello spettacolo di sé all'Oratorio rallegrandolo, come auspicio di consolazioni. Lo registriamo pel semplice motivo che ne parla una memoria di D. Berto e perchè si rifletta alla diligenza con la quale questo buon confratello registrava ogni avvenimento.

                “Dopo cena, egli scrive, mentre mi trovavo circondato da qualche giovane presso il muro dei legatori, ecco, con mia sorpresa, che altri gruppi di giovani a me vicini si mettono a gridare: - Ecco! ecco! quel che c'è! - Guardai e veniva su un globo grosso come una boccia più che mediocre e della stessa rotondità. Camminava sul principio all'altezza incirca di tre o quattro metri sopra il tetto della casa delle scuole. Procedeva in linea retta serpeggiando e tentennando un poco senza perder nulla di sua perfetta rotondità con una velocità pari a quella d'un passero che all'imbrunir del giorno vola via da una abitazione all'altra a cercar ricovero per la notte. Passò sopra la sala dello studio, sulla camera di Don [335] Bosco, sovra il tetto del rimanente della casa vicino al campanile della Chiesa antica, e continuò il suo volo fin quasi vicino alla strada ferrata. Lasciava tracciato tutto il suo corso con uno strascico di luce bianca a guisa di coda, che era assai grossa subito dopo il globo, ma diventando più piccola quanto più da esso distava e perdendosi finalmente all'estremità in un fumo bianco. I giovani erano tutti nel cortile e non pochi che avevano colà rivolto lo sguardo, pieni di meraviglia osservarono al par di me tal fenomeno”.

 

 

CAPO XXVII. La Novena della Natività di Maria SS. - Alcune parlate di Don Bosco: un giovane congedato dalla casa: parabola o sogno; una signora che porge a Don Bosco un libro ove sono notati quei giovani che fanno bene la novena: il fioretto - Una donna morente che si confessa di un peccato taciuto: sincerità in confessione: quietarsi alla parola del confessore - Un'altra persona inferma che è indotta da Don Bosco a ricevere i Sacramenti dopo che ebbe accettata la medaglia di Maria Ausiliatrice: fiducia in Maria e portare indosso la sua medaglia: fioretto - Chiusa dell'anno scolastico: solenne distribuzione dei premi: l'inno di ringraziamento a Dio: le vacanze autunnali - Don Bosco scrive a D. Provera per assegnar preghiere ad alcune inferme: a lui non mancano tribolazioni - Lettere da Firenze a Don Bosco per il notabile miglioramento di un infermo - Guarigione di un epilettico - L'Arcivescovo vuole che gli ordinandi dell'Oratorio prendano parte agli esercizi spirituali in Seminario o presso i Lazzaristi, ma non insiste per le raccomandazioni di Mons. Gastaldi - Il primo corso degli esercizi spirituali a Trofarello - Lettera di Don Bosco al Cavaliere invitandolo al secondo corso di esercizi - Altra alla Marchesa Fassati - Tracce delle prediche di Don Bosco - L'Arcivescovo tiene le Ordinazioni: sue parole a D. Costamagna.

 

                ERA incominciata nella nuova chiesa la novena della Natività di Maria SS. La Cronaca dell'Oratorio, che non fa cenno di moltissimi sermoncini serali tenuti da Don Bosco a' giovani, ne ricorda alcuni da lui pronunciati in questa occasione. [337] Riferiamo dalla cronaca:

 

2 settembre 1868.

 

                Don Bosco così parlò alla sera dopo le orazioni:

                “Pare proprio impossibile! Quando entriamo in qualche novena vi son sempre dei giovani che vogliono andare via dalla casa, oppure che vogliono essere congedati. Ce n'era uno, il più colpevole di certi disordini, che per varii motivi non si voleva mandar via, eppure quasi spinto da forza misteriosa se ne partì.

                Passiamo ad altro. Supponete che Don Bosco entri in casa per la porteria e che venga avanti fin qui sotto i portici, e veda qui una grande signora, la quale senza che Don Bosco le dica niente tenga un quaderno in mano. Me lo porge, dicendomi: - Prendi e leggi! - Io l'ho preso e lessi sopra la copertina: Novena della Natività di Mario. Apro il primo foglio e vedo scritti i nomi di un numero limitatissimo di giovani in carattere d'oro. Volto il foglio e ne vedo scritto un numero un po' più grande con inchiostro ordinario. Volto ancora e tutto il resto del quaderno è bianco sino al fine. Adesso domando a qualcheduno di voi che cosa voglia dir questo.

                E domandò la spiegazione ad un giovane, aiutandolo a rispondere col dire:

                - In quel libro sono scritti i giovani che fanno la novena. I pochissimi che son scritti in oro sono quelli che la fanno bene e con fervore. L'altra parte è di coloro che la fanno, ma con minor fervore. E tutti gli altri perchè non sono scritti? Chi sa da che cosa provenga questo? Io credo che siano le passeggiate lunghe che hanno distratto tanto i giovani, sicchè adesso non sono più buoni a raccogliersi. Se venisse un po' Savio Domenico, o Besucco, o Magone, o Saccardi che cosa ci direbbero? Esclamerebbero: Oh quanto è cangiato l'Oratorio!

                Dunque per contentar la Madonna facciamo tutto quello che possiamo colla frequenza dei SS. Sacramenti e colla pratica dei fioretti che io o D. Francesia daremo. Per domani ci sia questo fioretto: - Far ogni cosa con diligenza”.

 

3 settembre 1868.

 

                Don Bosco alla sera raccontò di una donna che giunta all'estremo di sua vita, neppure allora osò confessare un peccato che aveva commesso in età di 9 anni. Ma in un eccesso di febbre, disse:

                 - Ahi! che vado all'inferno!

                 - E perchè mai? la interrogò il confessore che l'assisteva.

                 - Perchè ho un peccato che non ho mai osato confessare.

                Il sacerdote le fece coraggio e la poveretta si confessò bene. Esempio per noi, o miei cari figliuoli, di non aspettare in quel punto pericoloso per aggiustare gli affari della nostra anima. Ciascuno che [338] ne avesse bisogno, ordini bene con una confessione generale la sua coscienza, ma quando il confessore dicesse: - Sta' pure tranquillo, non ne hai di bisogno! - vada pure avanti quel tale e lasci ogni responsabilità al padre dell'anima sua.

 

4 settembre 1868.

 

                Don Bosco così parlò ai giovani:

                “Pochi giorni or sono all'ospedale vi era una donna, inferma gravemente, che non si voleva confessare. Il pericolo di morte cresceva e le proposero di venire a chiamare Don Bosco. Ella rispose: - Venga chi vuole; non mi confesserò.

                Don Bosco andò e là giunto fu detto all'inferma:

                - È arrivato Don Bosco.

                - Quando sarò guarita mi confesserò.

                - Ma Don Bosco ti fa guarire.

                - Mi faccia guarire e allora mi confesserò.

                Allora io tenendo in mano una medaglia di Maria Ausiliatrice con un cordoncino, gliela presentai. L'inferma la prese, la baciò e se la mise al collo. Gli astanti a quell'atto piangevano di commozione. Feci allora allontanare quelle persone; le feci il segno della croce ed essa si segnò; le domandai da che tempo non si era più confessata e fece tutta la sua confessione. Come ebbi finito mi disse: - Come va questo? Mi sono confessata, mentre poco prima non voleva assolutamente! - Era poi contenta.

                Ed io neppure non lo so, le risposi: veda, è la SS. Vergine che la vuol salva. - E la lasciai con tutti i sentimenti di una buona cristiana.

                Mettiamo adunque tutta la nostra confidenza in Maria e chi non ha ancora la sua medaglia indosso, se la procuri; e di notte, e nelle tentazioni, baciamola e ne proveremo un grande vantaggio per l'anima nostra.

                Stassera si è trovato un portafoglio con entro qualche soldo in biglietti di banca e due medaglie inviluppate in carta. Chi l'ha perduto venga a prenderlo. Gli sarà restituito in premio della sua devozione alla Madonna.

                Il fioretto di domani è di fare un'astinenza: per esempio lasciare un minuto la ricreazione per fare una visita a Gesù Sacramentato, o altra cosa simile.”

 

6 settembre.

 

                Fioretto: Raccoglimento in chiesa.

                L'8 settembre, dopo le funzioni in chiesa, alle 6 pom. si lessero le promozioni meritate negli esami e si fece la solenne distribuzione de' premi ai giovanetti studenti, migliori per [339] istudio e condotta. Quel giorno, pieno di tante reminiscenze per il bene operato da Don Bosco ai cari suoi figli, finì come al solito con un trattenimento vario di musiche, canti e poesie serie e buffe che resero molto gradevole quella festa anche agli invitati. Ogni anno il discorso di un professore che apriva la festa e la parlata di Don Bosco che la chiudeva, eran sempre degni di considerazione.

                Il 9 al mattino, dopo la S. Messa, la predica di Don Bosco che diede gli avvisi per le vacanze, e l'inno di ringraziamento, una gran parte dei giovani studenti partì per le proprie case. Il Servo di Dio aveva loro raccomandato caldamente la divozione alla Madonna e la piena confidenza in Lei nei bisogni spirituali e temporali: quella stessa confidenza che conduceva tanta moltitudini alla chiesa di Maria Ausiliatrice e le incoraggiava a scrivere lettere per raccomandarsi alle preghiere della casa: ed ottenevano le grazie sospirate.

                In que' giorni Don Bosco aveva ricevuto uno di tali ricorsi e ne scriveva a Mirabello, mentre dava a quel prefetto notizie dell'Oratorio.

 

                               Don Provera carissimo,

 

                Scrivi a D. Rolandi che le sue raccomandate inferme pel mese di settembre recitino tre Pater, Ave, Gloria al SS. Sacramento, con tre Salve, Regina. Noi preghiamo pubblicamente nella nuova chiesa. Manda una medaglia per caduna.

                Tu sei veramente generoso, ma mi mandi danaro cattivo, giacchè non si è fermato un istante nella casa. Avrei bisogno che in ogni nostra casa vi fosse un Don Provera. Noi qui godiamo salute; tribolazioni non mancano. In questo momento ho l'uffizio dell'Alta Polizia col Procuratore del Re in mia camera.

                Amami nel Signore e prega che in ogni cosa possiamo fare la santa volontà del Signore.

                Dio benedica te, la tua famiglia e tutto il piccolo Seminario. Amen.

 

                Torino, 9 settembre 1868.

Aff.mo in G. C.

Sac. Gio. Bosco.

 

                Altra lettera per lo stesso motivo aveva scritto a Firenze,  [340] via Ginori, n. 9, al sig. Conte Giovanni Barbolani Montauto, parente colla Marchesa Uguccioni, che si era raccomandato per la guarigione di un fratello.

                Il Conte rispondevagli il 14 settembre:

                “Quanta consolazione mi abbia portato la sua carissima lettera, non potrebbe esprimerle il mio cuore. Grazie delle parole di conforto che si è compiaciuto porgermi; ed io eseguirò prima che termini il presente anno la propostami offerta alla Vergine Ausiliatrice, che ho religiosamente invocata nel momento del pericolo e che debbo oggi ringraziare con tutta l'anima. Sì, è stata la Madonna che ha fatto migliorare notabilmente il mio caro fratello e sarà Lei che lo farà completamente guarire, conservandolo ancora lungamente all'affetto vivissimo della nostra famiglia... Fu un prodigio! ...

                Feci le sue parti colla mia moglie e tengo l'incarico di estenarle tutta la sua gratitudine per la premura dimostratale. Essa confida molto nelle di lei preci... continui per carità a pregare l'Altissimo e la Beata Vergine per la mia famiglia...”.

                Altra grazia otteneva dalla Madonna il Servo di Dio colla benedizione sacerdotale, come appare dalla seguente dichiarazione:

 

                Nell'autunno dell'anno 1868 Fassio Giuseppe, fratello al D. Michele, era affetto dal male di epilessia. Non potendo coi rimedii dell'arte, tentò la guarigione coi mezzi soprannaturali. Il fratello Giacomo, in allora allievo artigiano di Don Bosco, disse al Giuseppe: - Vieni a Torino, fatti benedire da Don Bosco e guarirai. - Fece subito a piedi il viaggio da Revigliasco a Torino e lo fece a piedi colla fede viva, che tale incomodo del viaggio gli avrebbe più facilmente ottenuta la grazia. Giunto a Torino andò da Don Bosco, il quale accoltolo in sua camera lo interrogò sulla sua condotta, se frequentava i Sacramenti, ecc. Quindi, fattolo inginocchiare, lo benedisse. La benedizione ebbe il suo effetto. D'allora in poi non ebbe più simile male, ed ora che già conta 48 anni di vita, non sente nessun incommodo per cui dice che è Don Bosco che l'ha guarito.....

 

Obbl.mo Servo

NAVONE SECONDO, Prevosto.

 

Revigliasco d'Asti (Alessandria), 3 gennaio 1899. [341]

                Mentre accadevano i fatti narrati nei precedenti capitoli, alcuni consiglieri avevano suggerito all'Arcivescovo, forse con buon fine, di non tener come validi gli esercizi spirituali che i chierici dell'Oratorio avrebbero fatto a Trofarello in preparazione alle Ordinazioni nelle tempora di autunno. Si voleva che pel ritiro spirituale andassero in Seminario o nella Casa dei Signori della Missione cogli altri chierici della Diocesi. La decisione fu comunicata al Servo di Dio. Trovandosi l'Arcivescovo a Carmagnola Don Bosco gli mandò D. Cagliero acciocchè lo persuadesse a revocare quella dichiarazione. Il Venerabile, anche per ragioni che non potevano esporsi a chiunque, intendeva rimuovere quell'ostacolo. Infatti, nel tempo degli ultimi esercizi tenutisi in Seminario, da taluno erasi tentato, con vive insistenze, di promuovere diserzioni dalla Pia Società.

                Monsignore ascoltò D. Cagliero e per simultanea intromissione di Mons. Gastaldi, Vescovo di Saluzzo, e per aver saputo che il Vescovo d'Asti permetteva al Diacono Fagnano di prepararsi in Trofarello all'ordinazione sacerdotale, acconsentì.

                Don Bosco quindi, il 13 settembre, festa del SS. Nome di Maria, convocava nella casa di Trofarello una metà de' suoi Salesiani, compresi gli ordinandi, per il primo corso di Esercizi Spirituali. Lo stesso Venerabile predicò le istruzioni e Don Giuseppe Bona di Brescia le meditazioni.

                Sommamente desideroso che tutti i Salesiani intervenissero a questo annuale ritiro, scriveva al Cav. Oreglia che tornato da Roma allora si trovava a Guenzate.

 

                               Carissimo sig. Cavaliere,

 

                Noi siamo a Trofarello e compiamo la prima muta di esercizi spirituali. Lunedì 21 comincia la seconda muta e credo ottima cosa se ella vi potrà anche venire, perchè vi sono più cose da trattare, per cui importerebbe assai che ella pure si trovasse. Se farà bisogno, potrebbe ritornare anche dopo a Milano.

                Le mando la lettera della Marchesa Villarios sulla morte di Alberto: noi abbiamo già pregato e continueremo a pregare per lui. [342] Chi sa se la contessa Calderari si farà vedere a Torino almeno per fare un saluto a Maria Ausiliatrice?

                Faccia i miei ossequii a tutti e a tutti auguri ogni benedizione celeste e mi creda nel Signore,

 

                Trofarello, 16 settembre 1868,

Aff.mo Amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                PS. - Don Rua è qui; va migliorando, ma adagio.

 

                Il venerdì spediva un altro foglio alla Marchesa Fassati a Montemagno. Sempre ammirabile il suo zelo e la sua delicatezza!

 

Torino, 18 settembre 1868.

 

                                Benemerita Signora,

 

                Lunedì prossimo (21) abbiamo la seconda muta di esercizii pei nostri preti, maestri ed assistenti ed avrei piacere che ci venisse anche D. Durando. Ma non sapendo se ciò disturbi la scuola di Emanuele, perciò scrivo a Lei affinchè lo dica o non lo dica al medesimo, secondo ne vedrà la convenienza.

                Lunedì può ancora fare la sua scuola al mattino; al sabato della stessa settimana vi si può già di nuovo trovare; giacchè sabato ciascuno riparte di buon mattino per ritrovarsi agli uffizii per la domenica.

                La prego di salutare la signora Duchessa e la signora di Lei madre che credo siano tuttora a Montemagno. Io calcolo di far loro una visita lunedì 28; non so se quello che giunge ad Asti alle 9 del mattino coincida coll'omnibus di costà. Se me lo può far dire, l'avrò per favore.

                Dio benedica Lei e tutta la nobile brigata; preghi per me e mi creda con gratitudine,

                Di V. S. B.

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Egli intanto predicava e le sue prediche erano di una mirabile efficacia, perchè ricche di dottrina e di unzione spirituale, poggiate sulla Sacra Scrittura e sui Santi Padri, ed illustrate colla storia ecclesiastica, colle vite dei santi, con fatti contemporanei, con similitudini e parabole, tenendo avvinta l'attenzione degli uditori, persuadendoli, accendendo i loro affetti,  [343] muovendo la loro volontà ad abbracciare quello stato al quale il Signore li aveva destinati. Non aveva tempo a scrivere tali istruzioni ordinatamente, e ne lasciò poche traccie in qualche foglio; ma chi pendeva dalle sue labbra doveva in fine esclamare:

                 - Bene! ex abundantia cordis os loquitur

                Noi abbiamo messo in carta il sunto di alcune di esse. Sono proposizioni staccate, come naturalmente accade a colui che in fretta prenda qualche appunto, ma possiamo assicurare che sono autentiche.

 

 

I.

 

                Et ducam eam in solitudinem et loquar ad cor eius.

                Il nostro Divin Salvatore, dopo d'aver mandato qua e là i suoi apostoli a predicare il regno di Dio che si avvicinava, li chiamò, li radunò e li condusse in un luogo deserto, perchè si riposassero, stessero essi soli in sua compagnia, ascoltassero lontani dalle turbe le sue confidenze e i suoi avvisi.

                Così chiamò noi qui a Trofarello, dagli studii, dai lavori, dalle scuole, dai collegi e da qualsivoglia altra occupazione, nella solitudine, perchè il Signore non parla mai in mezzo ai rumori; il Signore parla solamente a quelli che si ritirano dalle cose mondane.

                Solo nel silenzio il Signore concede le sue grazie, perciò ciascuno di noi in questi giorni si faccia un impegno di approfittare di questi santi esercizi. Non siamo tutti sicuri di farli un altr'anno!

                Pensiamo in questi esercizi a quello che dobbiamo fuggire, acquistare, praticare per l'avvenire.

                Guardiamo di osservare il silenzio in ogni tempo, ad eccezione del dopo pranzo e dopo cena.

 

II.

 

                Oggi vi dirò quel che dobbiamo praticare come sacerdoti o come aspiranti al sacerdozio; vi dirò che cosa sia il sacerdote e che cosa debba egli essere.

                Il sacerdozio è la più alta dignità a cui possa essere innalzato un uomo. A lui, e non agli angeli, fu data la potestà di mutare il pane e il vino nella sostanza del Corpo e del Sangue di N. S. Gesù Cristo; a lui e non agli angeli la facoltà di rimettere i peccati.

                È ministro del Dio tre volte santo.....

                Or quale dovrà essere la santità di un sacerdote o di un aspirante allo stato sacerdotale? Egli deve esser tale da essere un angelo, ossia [344] un uomo tutto celeste: deve possedere tutte le virtù richieste a questo stato, e specialmente grande carità, grande umiltà e grande castità.

                Il sacerdote è la luce del mondo, il sale della terra. Le labbra del sacerdote devono custodire la scienza, e quindi suo massimo impegno occuparsi degli studii sacri.

                Noi esaminiamoci se abbiamo tutte le virtù necessarie per divenir buoni sacerdoti e se non le abbiamo ancora, almeno facciamoci coraggio per acquistarle e praticarle.

                Escludiamo nello stesso tempo dalle nostre intenzioni ogni nostro interesse e scopo non conforme alla volontà di Dio, perchè è il Signore che ci deve eleggere: Non vos me elegistis, sed ego elegi vos.

                Il sacerdote deve avere una fede, una carità ardentissima, le quali purtroppo, alle volte, non si trovano, in quel chierico, per non dire in quel sacerdote; e invece si trovano vivissime in quel contadino, in quello scopatore, in quel servo; si trovano in un discepolo, e il maestro che le insegna, che le dovrebbe possedere in un grado assai maggiore, alle volte ne è quasi privo.

                Oh! il buon esempio! Ricordiamoci che il sacerdote non va mai all'inferno né al paradiso da solo, ma sempre accompagnato.

 

III.

 

                In due classi si dividono gli ecclesiastici. Il Clero secolare e il clero regolare. Per gli ecclesiastici che vivono nel secolo si richiede che abbiano già acquistata una grande perfezione, prima di essere posti al governo delle anime. Lo stato religioso, cioè di quelli che vivono ritirati dalle cose del mondo, è per coloro che aspirano alla perfezione. I primi debbono essere più forti e più perfetti degli altri per i grandi obblighi, che loro incombono, per la responsabilità di centinaia e migliaia di anime e per i grandi pericoli ai quali son esposti.

                Oltre a ciò sono distratti dalle cure materiali, dalla propria famiglia, e da tanti altri disturbi che talora rendono più pesante l'esercizio del sacro ministero. E poi per essere liberi di volontà, anche facendo ogni possibile per condurre una vita mortificata, una vita di vero sacerdote, ora un amico li disturba dallo studiare o da far la visita a Gesù in Sacramento, ora l'invito ad un banchetto, e al quale son costretti a intervenire, impedisce le occupazioni di un'intiera giornata, ora liti fastidiose per sostenere i diritti della parrocchia, lotte di partiti avversi, lo angustiano e ne turbano la pace.

                E quelli che non sono perfetti, oh quante volte si guadagnano il disprezzo e sono l'obbrobrio di tutti: sono esposti ad ogni momento a perdere la virtù della castità, attaccano il cuore ai beni della terra, accumulano per sé e per i parenti, studiano gli interessi proprii, trascurano quelli delle anime.

                Il religioso dunque con minor virtù di un ecclesiastico secolare,  [345] se è fedele alla Regola, percorre con più sicurezza una via senza gravi intoppi. Il Superiore gli assegna ufficii adattati al suo carattere, alle sue debolezze, alle sue forze intellettuali e fisiche, perchè sa quid valeant humeri, quidve ferre recusent. Le stesse mura della Casa sono un gran riparo tra lui e le insidie del mondo.....

                Chi vive in Congregazione, tronca le battaglie esterne che dovrebbe sostenere coi parenti, cogli amici, coi, beni temporali; le interne sono la superbia, la vanagloria, le tentazioni della carne e del demonio. Ed egli le vince coi tre voti di castità, di povertà, e di obbedienza.

                Colla castità noi offriamo a Dio tutto il nostro corpo; e il mondo, e le sue soddisfazioni non sono più per noi.

                Colla povertà rinunziamo ai parenti, agli amici, a tutte le ricchezze e mettiamo in pratica ciò che dice il Signore: Vade, vende quae habes et da pauperibus et veni, sequere me.

                Coll'obbedienza rinunziamo alla nostra volontà, alla nostra libertà; e insegna lo Spirito Santo che l'obbedienza dà la vittoria.

                Qualcuno può dire: - Dunque chi entra in Congregazione è costretto a rinunziare alla libertà?

                Rispondo: - Nessuno lo costringe a fare i voti: si tratta di consiglio e non di precetto. Questi li fa ciascuno per propria libera volontà, per piacere al Signore.

                I nostri voti sono semplici.

                Nel 1858 interrogato da Pio IX che dicessi il mio parere intorno alla maggior convenienza di fare o non fare i voti religiosi, io dissi che sul principio della nostra istituzione propendeva a non far voti, ma una semplice promessa.

                 - Oh no! osservò il Papa; perchè questa promessa avrebbe eguale importanza che il voto, ma non avrebbe egual merito avanti a Dio.

                Io era però del suo parere .....

                I voti vincolano la libertà, ma in certi casi possono essere sciolti: sono riservati alla Santa Sede se perpetui, e anche al Rettor Maggiore se triennali. Dovendo ricorrere alla Santa Sede si vedrà meglio, se vi sono dei motivi abbastanza sufficienti per essere dispensati.

 

IV.

 

                Alcuni dicono che le istituzioni religiose sono cose dei giorni nostri, cioè che furono istituite dal Cristianesimo; ma si sbagliano grandemente. Esse incominciarono a manifestarsi fin dai primi tempi del mondo. Era un bisogno dell'anima …..Adamo scacciato dal paradiso terrestre si ritirava alla sera in un luogo solitario presso quel giardino di delizie e colla penitenza e coll'educare i suoi figli nel santo timor di Dio sospirava la venuta del promesso Redentore.

                Fra questa il sospiro di tutti i giusti, il fine dei sacrificii di tutti i capi di famiglia.

                A mantenere viva questa aspettazione, Iddio fra i discendenti [346] di Giacobbe sceglie la tribù di Levi e l'incarica del culto e di insegnar la legge: una vera società presieduta dal Pontefice Massimo. Molte madri consacrano al Signore i loro bambini e li presentano ai sacerdoti, perchè mentre serviranno nel tabernacolo siano educati nella pietà e nella pratica delle virtù: quindi i Nazareni.

                Samuele fu capo di un'adunanza di profeti, che pieni dello Spirito divino si occupavano a cantare le lodi del Signore.

                L'idolatria e le discordie straziando i regni di Giuda e d'Israele, il Profeta Elia radunò un gran numero di giovani nel deserto per ammaestrarli nella legge del Signore e perchè si occupassero nella preghiera, nel lavoro, e facessero vita comune.

                Ad Elia successe il profeta Eliseo, e il Signore premiò la virtù di amendue con strepitosi miracoli, trasmettendo la loro missione ad altri ed altri profeti.

                Tempo dopo, Rechab discendente di Jetro, suocero di Mosé, fu istitutore e capo di una società detta di Rechabiti. Questi vivevano alla campagna sotto le tende colle loro famiglie, menando vita pastorale come i santi Patriarchi. Si astenevano dal vino, non fabbricavano case, non possedevano campi e si occupavano molto nello studio e nella meditazione della divina parola e nel cantare le lodi del Signore. Fu loro merito l'essere stati fedelissimi a queste regole, ed insieme con Elia, Eliseo e i figliuoli dei profeti, furono il modello dei monaci della Chiesa di Gesù Cristo.

                Ma gli Istituti religiosi dell'antica Legge cedono il posto a quelli della Nuova, i quali, come i primi, sono ispirazione del Signore. Appare sulla terra il promesso Messia, dicendo: Non veni solvere legem, sed adimplere. Ed egli incomincia a stabilire, coi suoi dodici apostoli ed i settantadue discepoli, la prima Congregazione religiosa del Nuovo Testamento poiché, come sappiano dal Vangelo e dalla tradizione, si obbligavano con voti alla povertà, all'obbedienza, alla castità, sebbene non espressi nella forma che noi ora usiamo. Gesù aveva detto loro sequere me ed essi senz'altro accettarono di fare la sua volontà e Coll'obbedienza accettarono la povertà: Reliquimus omnia et secuti sumus te. Gesù è di essi che diceva: “Vi sono di quelli che si sono fatti eunuchi da se stessi per amore del regno de' cieli. Chi può capire capisca”.

                E asceso lui al cielo, i suoi Apostoli, i suoi discepoli, sparsero ovunque i consigli evangelici e così si popolarono di monaci i deserti dell'Egitto e della Palestina e sorsero poi i seguaci delle Regole di S. Agostino, i Basiliani, i Benedettini, e gli altri ordini religiosi  che Dio suscitava secondo i bisogni della sua Chiesa. Ad essi è debitore il mondo della conversione dei popoli, dell'incremento dell'agricoltura e delle arti, delle scienze, della civiltà.

                Agli Ordini si aggiunsero le Congregazioni, composte esse pure di milioni di anime generose che si ritiravano dal mondo in conventi innumerabili per poter vivere una vita più perfetta e più pura, e per [347] essere luce del mondo e sale della terra e conforto ed aiuto ai poverelli in ogni miseria.

                La nostra Pia Società è una delle ultime Congregazioni religiose, ma come le altre fu suscitata dalla bontà di Maria SS. che di tutte si può dire la fondatrice e la madre, dal Cenacolo fino a giorni nostri. Essa non ha altro scopo che di preparare buoni ecclesiastici e buoni laici per compiere la missione che le venne affidata. Dobbiamo pertanto procurare primieramente la santificazione dell'anima propria e quindi quella degli altri.

                E in che modo? mettendo in pratica i consigli evangelici .....

                La nostra Congregazione ha di mira la salute delle anime e questo scopo è il più nobile che si possa immaginare, ma prima bisogna cominciare da noi, dall'anima nostra…..Dobbiamo renderci tali da essere atti a compiere fruttuosamente il nostro ministero.

                Prima di mandare qualcuno a predicare, ad insegnare, a dirigere, il superiore misura le sue forze come fa la madre di un uccello nel nido. Non lo provoca a volare sino a tanto che non lo vede ben fornito di forti ali, perchè teme non possa fuggire dalle unghie del falco, oppure che cada a terra privo di forze. Così il superiore non dà missione ad alcuno, se non lo vede fornito di penne abbastanza forti per non perdere se stesso e gli altri.

                Prima in fatti di andare a predicare, per esempio, la modestia degli occhi agli altri, bisogna che ei l'abbia in grado eminente, del resto non solo non è ascoltato, ma gli si rinfaccerà questo difetto con dirgli: Medice, cura te ipsum. Togli la trave dai tuoi occhi, prima di togliere la pagliuzza dagli occhi altrui.

                Come potrebbe un predicatore raccomandare ad altri la frequente confessione, se non la pratica prima lui stesso? E così via discorrendo.

                È poi anche indispensabile la scienza di quelle cose che si richiedono all'adempimento del proprio dovere: per esempio allo stesso modo che si richiedono le scienze scolastiche in quelli che debbono far scuola, così debbono istruirsi nelle scienze sacre quelli ai quali viene affidato il sacro ministero della predicazione: la Dogmatica, la Morale, l'Ermeneutica, l'Ascetica, la Storia Ecclesiastica....

                Non istanchiamoci nell'adempimento di tutti i nostri doveri. Quelli che si consacrano interamente alla salute delle anime, avranno in cielo quel premio che ebbero già gli apostoli, ai quali Gesù aveva detto:

                “Voi nel giorno del giudizio sederete con me e giudicherete le dodidi tribù d'Israele”.

                Ricordatevi che tutti quelli i quali salvano un'anima, assicurano la salvezza dell'anima propria.

                A quelli che non son preti dico: “Il salvar le anime non tocca solamente ai predicatori, ma a tutti, dall'ultimo degli artigianelli sino al più famoso dei sacri Oratori. E in che modo? Col pregare per la conversione dei poveri peccatori, coll'adempimento esemplare dei proprii [348] doveri, coi buoni avvisi in ricreazione e in chiesa, colla carità per chi si trova in bisogno, col perdonare le offese. Oh quanto bene si può fare da tutti! quante anime si possono salvare col buon esempio!”

 

V.

 

                Avvertimenti. - Procurate di prendere per frutto di questi santi esercizi l'accettare sempre tutte le correzioni, tutti gli avvertimenti che vi saran dati, sia dai Superiori, che dagli eguali ed inferiori, per poter così esercitare la virtù della pazienza e la rassegnazione.

                Abbandonatevi tutti nelle mani della Madonna, affinchè possiate sempre conservare la bella virtù della modestia .....

                Raccomandatevi a S. Luigi, affinchè possiate imitarlo nel rispetto e confidenza verso i Superiori, nella pazienza e amore verso gli altri, e in tutte le sue virtù.

 

 

                Il sabato delle tempora 19 settembre terminava il primo corso di Esercizi Spirituali. In quel mattino pronunciava i voti perpetui D. Paolo Albera, che aveva già rinnovati i voti triennali l'11 gennaio 1866; i chierici Luigi Lasagna e Giuseppe Bologna li facevano triennali.

                L'Arcivescovo teneva le sacre Ordinazioni nella chiesa dell'Episcopio, e il diacono Giacomo Costamagna era partito da Trofarello per essere promosso al sacerdozio. Compiuta la funzione tutti i neo - ordinati del Seminario e di altri Istituti aspettavano di essere ammessi a baciar la mano a Monsignore. Quando venne la volta di Don Costamagna, il Prelato a modo di carezza gli diede un piccolo schiaffo, dicendo ad alta voce: - Ecco uno di quelli che non vogliono riconoscere il loro Arcivescovo!

                 - Monsignore! Io rispetto ed amo il mio Arcivescovo, ed amo pure Don Bosco che tengo come padre.

                Il Prelato si volse allora a parlare cogli altri. Ciò per Don Costamagna fu una vera umiliazione. Anche i chierici ne furono stupiti, specialmente quelli del Seminario di Susa. Fra essi ve n'erano alcuni, già allievi dell'Oratorio, perfettamente ignari delle divergenze tra Mons. Riccardi e Don Bosco.

                D. Giuseppe Fagnano era stato ordinato lo stesso giorno a Casale da Mons. Ferré.

 

 

CAPO XXVIII. Don Bosco a Villastellone: perde la corsa del vapore e va a piedi correggendo bozze di stampa - Si reca a Saluzzo ove la madre di Mons. Gastaldi giace gravemente inferma - Va a visitare un sacerdote ammalato e non può indurlo a confidare in Maria SS. - Morte del terzo giovane del sogno - Il secondo corso di Esercizi Spirituali a Trofarello - Due prediche di Don Bosco - Risposta del Papa al Servo di Dio per la relazione a lui inviata delle feste per la consacrazione della chiesa di Maria Ausiliatrice - Pratiche presso le autorità scolastiche per ottenere l'autorizzazione ad un professore patentato per le classi inferiori ad insegnare nelle classi superiori del ginnasio di Lanzo; e pel pareggiamento del suddetto ginnasio - Lettera di Don Bosco al Sindaco di Torino per appianare certe difficoltà che impediscono il compimento di un muro di cinta nell'Oratorio - Don Bosco va a Parma - Scrive al Conte Viancino che lo invitava a ritornare in Bricherasio: promette, ma non può fissare il tempo Letture Cattoliche.

 

                FINITA la prima muta di Esercizi, narra D. Rua nella sua cronaca, avvenne che dovendo Don Bosco da Trofarello recarsi a Villastellone con un compagno, per passare un giorno col suo maestro Teol. Appendini, non giunse a tempo per partire sul vapore. “Senza scomporsi menomamente, trasse di tasca un grosso manoscritto che dovevasi stampare e senza profferir parola lesse e corresse, lungo tutta la via, che fece a piedi, nella stessa guisa che se fosse stato [350] a tavolino. Giunto al termine del viaggio alzando il capo dalla sua lettura: - Ah! esclamò; è proprio vero che anche le disgrazie sono sempre utili a qualche cosa! Neppure se fossi stato a casa, avrei potuto fare tanto lavoro quanto ne ho fatto oggi pel contrattempo del vapore.

                Fece un'altra gita fino a Saluzzo per visitare e consolare la signora Gastaldi, madre del Vescovo di quella città gravemente inferma, e così dare uno sfogo al riconoscente suo cuore verso quella buona signora, che tanto si era adoperata a benefizio dell'Oratorio. Fu grande il contento che arrecò alla madre ed al figlio colla sua visita; egli però fu commosso alla vista dei dolori che soffriva l'inferma e all'idea che fra breve avrebbe dovuto dipartirsi da questo mondo...

                Andò pur di que' giorni a visitare un suo antico amico sacerdote, compagno di Seminario, che da più anni trovavasi infermiccio.

                Salutatisi cordialmente a vicenda, entrò in discorso sulla sua malattia, e s'accorse che oltre il male fisico vi era molto male anche morale, in quanto che l'infermo dopo aver sperimentato molti medici e molte specie di cure, non ricavandone alcun vantaggio, erasi affatto perduto d'animo e di speranza di guarire. Tentò Don Bosco di ravvivare in lui il coraggio, esortandolo a riporre la sua fiducia in Maria Ausiliatrice, che già tante grazie aveva operate a favore di altri, ed assicurandolo che mediante una viva fede in Lei, fra 15 giorni avrebbe potuto ricominciare a celebrare la messa. Ma per quanto abbia detto, non gli riuscì di ravvivare in lui la confidenza nella celeste Madre. Allontanandosi da lui, deplorava la sorte di varii sacerdoti che, sebbene non cattivi di costumi, tuttavia trovandosi in mezzo al mondo attorniati solo da gente secolare, non sentono a parlar d'altro che di affari mondani e materiali, pel che perdono lo spirito di fede e di divozione, e più difficile riesce eccitare in essi questi sentimenti così consolanti e salutari al cristiano, che non negli stessi laici.” [351] Fece anche una breve fermata a Torino. Il ch. Bourlot Stefano, che notava con diligenza lo svolgimento delle predizioni udite al principio dell'anno, verso la metà di agosto aveva interrogato Don Bosco:

                 - E il terzo del sogno che deve morire?

                 - Il terzo, ebbe in risposta, farà una sola volta ancora l'esercizio di buona morte e spero di salvarlo, quantunque adesso non sia ancora preparato al gran passo.

                Infatti nella prima settimana di settembre si era fatto l'esercizio di buona morte; e il 9 del mese, assalito da grave malattia veniva condotto all'ospedale dei Cavalieri, o dei SS. Maurizio e Lazzaro, l'artigiano fabbro ferraio Giovanni Battista Bonenti, di anni 18, nativo di Carpignano Novarese.

                L'Ospedale de' Cavalieri si trovava allora poco distante dall'Oratorio, presso la piazza Emanuele Filiberto, e precisamente a Porta Palazzo.

                Era adunque Bonenti, il terzo del sogno che doveva morire in un luogo poco lontano. Di lui molti anni dopo Don Stefano Bourlot ci diceva di aver dimenticato il nome ricordando però la lettera iniziale, che era un B, e che apparteneva alla classe degli artigiani fabbri - ferrai. Ma il suo condiscepolo Mons. Pasquale Morganti, Arcivescovo di Ravenna, ne ricordò sempre il nome, il paese, il mestiere, la figura, e ce lo dipinse un giovane piuttosto grosso, di carne floscia, come di un idropico. Il fisico dovette influire sovra il suo naturale, rendendolo apatico e quindi indifferente anche nelle cose di spirito.

                Entrato ch'egli fu nell'ospedale, ben presto i medici lo dichiararono spedito. Non gli mancarono i Sacramenti, ma li ricevette con indifferenza, senza persuasione del pericolo nel quale si trovava. Don Bosco però, il quale più volte aveagli nei mesi trascorsi suggerito salutari consigli, ora avvertito, seguendo il comando avuto in sogno, si recò al suo letto, lo incoraggiò, lo commosse, lo preparò, e ne udì ancora la confessione.

                Il giorno dopo al mattino andò di nuovo a vederlo. Era [352] mesto e D. Bosco si avvicinò al suo letto per consolarlo. Il giovane piangeva.

                 - Perchè piangi? gli domandò.

                Ed egli:

                 - Se moriva stanotte, era certo di andare in paradiso; mi ero confessato bene, aveva ricevuta l'assoluzione e la benedizione papale... Ora invece potrò commettere altri peccati. E piangeva.

                Don Bosco lo calmò, gli suggerì le solite invocazioni a Gesù Maria e a Giuseppe e, vedendo che era quasi agli estremi, gli rinnovò l'assoluzione. Il poveretto moriva all'una e mezzo del 22 settembre.

                Era orfano di madre e di padre e nessuno fu a visitarlo. Le circostanze del sogno si erano tutte avverate. Intanto incominciava il secondo corso di Esercizi a Trofarello il 21 settembre. Don Bosco fece le istruzioni, ma di due sole abbiamo memoria. In una egli trattò della mortificazione dei sensi; coll'altra il giorno 26 egli chiudeva gli esercizi.

 

 

I.

 

                Noi abbiamo un gran nemico, che non ci abbandona mai, né di giorno né di notte, e questo gran nemico è il nostro corpo. Noi dobbiamo combatterlo, se non vogliamo che si ribelli allo spirito, dobbiamo mortificarlo perchè a questo sia soggetto. Il S. N. Gesù Cristo ce ne diede un chiarissimo esempio in tutta la sua vita che fu una continua mortificazione della sua carne. Per più di venti anni si guadagnò il pane col sudore della sua fronte. Con un digiuno continuo di quaranta giorni e quaranta notti incominciò le sue predicazioni. Patì la stanchezza dì tanti viaggi sempre a piedi, la sete, la fame, l'insonnia di lunghe notti passate nell'orazione, la dolorosa sua passione, ecc.

                Col togliere al corpo ogni sollievo e colla preghiera insegnava i due mezzi coi quali dobbiamo combattere il nostro corpo... Chi non lo mortifica, non è nemmeno capace di far buone preghiere.

                Tutti i santi che sono in paradiso, tutti i buoni ecclesiastici e buoni sacerdoti imitarono o imitano Gesù Cristo, e sono i nostri modelli .....

                Il nostro corpo è l'oppressore dell'anima: Corpus enim, quod corrumpitur, aggravat animam, et terrena inhabitatio deprimit sensum multa cogitantem. “Il corpo corruttibile aggrava l'anima; e il tabernacolo di terra (il corpo) deprime la mente che ha molti pensieri” (Sap. IX, 15). [353] Il corpo tien bassa la mente e la curva colla moltitudine dei pensieri e delle cure terrene, delle quali siamo sempre ripieni.

                L'anima di Adamo, nota S. Bernardo, fu esente da tale gravezza, fino a tanto che egli ebbe un corpo incorruttibile. Iddio lo aveva costituito talmente in libertà che posto di mezzo tra le somme cose e le infime, a quelle si alzasse senza difficoltà e a queste si abbassasse senza passione o necessità: quelle penetrasse colla naturale vivacità e purità della mente, di queste giudicasse con autorità di padrone.

                Ma il peccato di Adamo guastò la magnifica armonia tra il corpo e l'anima e cagionò nell'uomo quello sconcerto del quale così dice S. Paolo nella lettera ai Romani: Condelector... legi Dei secundum interiorem hominem; video autem aliam legem in membris meis, repugnantem legi mentis meae, et captivantem me in lege peccati, quae est in membris meis. Infelix ego homo! Quis me liberabit de corpore mortis huius? Mi diletto della legge di Dio secondo l'uomo interiore (cioè secondo la mente e la ragione illuminata dalla grazia e fortificata dallo spirito del Signore). Ma veggo un'altra legge nelle mie membra che si oppone alla legge della mia mente e mi fa schiavo (si sforza di farmi schiavo) della legge del peccato, la quale è nelle mie membra. Infelice me! Chi mi libererà da questo corpo di morte? (VII, 22).

                Spiega tale ribellione S. Agostino: Haec est enim poena inobedienti homini in semetipso, ut ei vicissim non obediatur neque in semetipso.

                Ma l'anima deve riprendere il suo dominio e il corpo deve essere schiavo. Se è lasciato libero, abbandonato all'intemperanza e agli altri vizii egli fa diventare l'uomo un giumento il quale in questo stato non sente più, non gusta più le cose di Dio, ma solo i suoi turpi appetiti e li seconda: Homo cum in honore esset non intellexit; comparatus est iumentis insipientibus et similis factus est illis (Psal. XLVIII, 12, 20). Quanto un tale stato sia nocevole ad un ecclesiastico, non fa d'uopo il dirlo, poichè egli dovrebbe essere di buon esempio agli altri.

                Incrassatus est dilectus, et recalcitravit; incrassatus, impinguattis, ditatatus, dereliquit Deum factorem sum, et recessit a Deo salutari suo. - Il diletto si è fatto grasso e ha dati dei calci: ingrassato, ripieno, ridondante, abbandonò Dio suo fattore e si allontanò da Dio suo salvatore (Deut. XXXII, 15).

                Si deve adunque domare questo giumento: - Cibaria, et virga, et onus asino: panis, et disciplina, et opus servo. Fieno, bastone e soma all'asino: pane, sferza e lavoro allo schiavo (Eccl. XXXIII, 25). E aggiunge: Il giogo e la cavezza piegano il collo duro e l'assidua fatica ammansisce lo schiavo.

                Ecco il modo di trattare il corpo. La mortificazione. Così lo trattava S. Paolo che andava scrivendo: Castigo corpus meum et in servitutem redigo. E fra tante fatiche apostoliche, lavorava per guadagnare il vitto per sé e per i suoi. [354] Gesù Cristo proclamava: Nisi poenitentiam egeritis, omnes similiter peribitis.

                Per domare questo nemico il Divin Salvatore ripeteva a tutti: Si quis vult post me venire, abneget semetipsum et tollat crucem suam quotidie, et sequatur me. Se alcuno vuol tenermi dietro, rinneghi se stesso e prenda dì per dì la sua croce e mi seguiti (Luc. IX, 23).

                E fino a quando? Usque ad mortem e con minaccia che qui non vult pati cum Christo non potest gaudere cum Christo.

                Infatti Gesù soggiungeva: Qui enim voluerit animam suam salvam facere perdet illam: nam qui perdiderit animam suam propter me, salvam faciet illam. Quid enim proficit homo, si lucretur universum mundum, se autem ipsum perdat et detrimentum sui faciat? (S. Luca IX). Chi vorrà salvare l'anima sua (la sua vita temporale) la perderà, e chi perderà l'anima sua per causa mia, la salverà. Imperocchè che giova all'uomo guadagnare tutto il mondo, ove perda se stesso e di sé faccia scapito?

                Queste parole indicano fino a qual punto in certi casi deve giungere la guerra al nostro corpo piuttosto che perdere la grazia di Dio. Gli apostoli fin dal principio della loro missione, flagellati per ordine della Sinagoga: Ibant gaudentes a conspectu Concilii quoniam digni habiti sunt pro nomine Jesu contumeliam pati. E con essi e dopo essi fino ai giorni nostri un numero infinito di martiri abbandonarono i loro corpi ai più atroci e spaventosi tormenti... Innumerevoli sono i fedeli, monaci, religiosi, laici che domarono e domano le loro passioni con digiuni, veglie, discipline e altre penitenze che fanno paura ai mondani e alle anime deboli .....

                Noi certamente non abbiamo obbligo di sacrificare il corpo con questi modi, e se talora fosse necessario, Dio ci assisterà colla sua grazia. Ma ciò che dobbiamo fare si è di non secondar mai, di reprimere, di prevenire le insidie dei sensi. Ci deve animare a questa lotta un gran pensiero: Memorare novissima tua et in aeternum non Peccabis.

                Alla considerazione di ciò che saremo nel corpo dopo morte, si scuota chi è attaccato alla terra, alle comodità della vita, alle agiatezze. Questo nostro corpo, che tanto accarezziam, sarà ben presto pascolo dei vermi i più schifosi. Pratichiamo con gran fede l'Esercizio della Buona Morte …..Via ogni vanità, ogni ambizione, ogni delicatezza. Nessuna particolarità nel letto, negli abiti, nei libri. Soffriamo gli effetti, gli incomodi della povertà, della quale abbiamo fatto voto o vogliamo farlo. Siamo ambiziosi, ma di salvar anime coi nostri sacrifizii.

                Mortificazione dei sensi ... Negli occhi: nel guardare, nel leggere. Contentarsi dei commestibili amministrati dalla casa. In camera nessuna bibita. Niente fuori dell'ordinario. Saper tollerare e invitar gli altri a tollerare. - Sopportarci a vicenda. Perdonare di cuore. - Puntualità nei proprii doveri. [355] I Maestri, gli assistenti siano delicati verso i loro dipendenti; non mai metter loro le mani indosso; non mai introdurli in camera; non mai amicizie particolari.

                Digiuno del venerdì. Tollerare caldo, freddo, incomodi di salute, deficienza di qualche cosa. Non far viaggi senza necessità.

                Con queste piccole mortificazioni si avrà il fervore nella preghiera, si vinceranno le insidie del corpo, la virtù trionferà, la Congregazione diverrà un paradiso terrestre.

 

II.

 

                In questi giorni avrei voluto parlarvi anche delle pratiche di pietà della nostra casa, ma vedo che ci è mancato il tempo. Molto si ebbe a dire sui voti e sulla vita religiosa. Tuttavia accennerò almeno alcune cose. Le pratiche giornaliere sono la meditazione, la lettura spirituale, la visita al SS. Sacramento e l'esame di coscienza.

                La meditazione è l'orazione mentale. Nostra conversatio in coelis est, dice S. Paolo; e si potrebbe fare in questo modo. Scegliere il soggetto che si vuol meditare, mettendosi prima alla presenza di Dio. Quindi riflettere attentamente su ciò che meditiamo e applicare a noi ciò che fa per noi. Venire alla conclusione risolvendo di lasciar certi difetti e esercitarci in certe virtù, e quindi mettere in pratica lungo il giorno quel che abbiamo risolto al mattino. Dobbiamo anche eccitarci ad affetti di amore, di riconoscenza, di umiltà verso Dio; chiedergli tante grazie delle quali abbisognamo; e domandargli colle lagrime perdono dei nostri peccati. Ricordiamoci sempre che Dio è padre e noi siamo i suoi figliuoli …..Raccomando adunque l'orazione mentale.

                Chi non potesse far la meditazione metodica a cagione di viaggi, o di qualche impiego o affare che non permetta dilazione, faccia almeno la meditazione che io dico dei mercanti. Questi pensano sempre ai loro negozii in qualunque luogo si trovino. Pensano a comprare le merci, a rivenderle con loro profitto, alle perdite che potrebbero fare, a quelle fatte e come ripararvi, ai guadagni realizzati o quelli maggiori che potrebbero conseguire e via discorrendo... Tale meditazione è anche l'esame di coscienza. Alla sera prima di coricarci esaminiamoci se abbiamo messo in pratica i proponimenti già fatti su qualche difetto determinato: se siamo in guadagno o se siamo in perdita. Sia un po' di bilancio spirituale; se vediamo di aver mancato ai proponimenti si ripetano per l'indomani, fintantochè non siamo giunti ad acquistare quella virtù e ad estinguere o fuggire quel vizio o quel difetto.

                Vi raccomando pure la visita al SS. Sacramento. “Il dolcissimo Signor Nostro Gesù Cristo è là in persona” esclamava il parroco d'Ars; si vada ai piedi del Tabernacolo soltanto a dire un Pater, Ave e Gloria quando non si potesse di più. Basta questo per renderci forti [356] contro le tentazioni. Uno che abbia fede, che faccia visita a Gesù Sacramentato, che faccia la sua meditazione tutti i giorni, purchè non abbia qualche fine mondano, ah! io dico, è impossibile che pecchi.

                Raccomando poi anche la lettura spirituale specialmente a chi non fosse capace a far la meditazione senza libro. Perciò leggere qualche tratto, riflettere a quel che si è letto, per conoscere ciò che dobbiamo correggere nella nostra condotta. Ciò servirà anche ad innamorarci sempre più del Signore e a prendere lena per salvar l'anima.

                Chi può, faccia la lettura e la visita in comune; chi non potesse la faccia in privato. La meditazione può farla anche in camera.

                Ricordatevi che ciascuno è obbligato anche dalle regole a recitare tutti i giorni il Rosario. Quanta gratitudine dobbiamo professare a Maria SS. e quante grazie Ella tiene preparate per noi!

                Confessatevi ogni otto giorni, anche non avendo nulla di grave sulla coscienza. È un atto di umiltà dei più graditi al Signore, sia perchè si rinnova il dolore dei peccati già perdonati, sia perchè si riconosce la propria indegnità nei difetti anche leggeri, nei quali si inciampa ogni giorno.

                Ciascuno sappia cavar profitto spirituale da ogni cosa; da quanto vede, sente, opera, studia, legge, anche in autori profani. Per esempio chi fa scuola spiegando un autore pagano e incontrando una bella massima, ne faccia tesoro, richiami su questa l'attenzione dei discepoli, ne ricavi utili conseguenze per sé e per gli altri. Guardate come fa l'ape. Essa va lontano anche qualche miglio a raccogliere il miele; e sa separare il miele dalla cera, e lasciare nel fiorellino un sugo velenoso che potrebbe dare la morte a se stessa e alle sue compagne.

                Così dobbiamo fare noi: scegliere ciò che può giovare; spogliarci di ciò che è difetto e peccato. In questo modo possiamo imparare qualche cosa da tutti e da tutto.

                Avrei anche voluto parlare del nostro genere di vita che deve essere attiva e perciò dobbiamo lavorare quanto possiamo.

                Mi limiterò a qualche raccomandazione.

                In primo luogo esercitiamo la carità fra noi Salesiani, sopportiamo i difetti degli altri, compatiamoci a vicenda. Animiamoci ad operare il bene, a mettere in pratica tutte le regole, ad amarci e stimarci come fratelli. Preghiamo, acciocchè possiamo tutti formare un sol cuore e un'anima sola, per amare e servire il Signore... Raccomando ai Direttori delle case particolari che radunino quei della Società quanto più frequentemente possono, per trattare delle cose proprie e dei giovani .....

                Ricordiamoci come si legga nel Vangelo che Nostro Signore coepit facere et docere; prima d'insegnare praticò egli stesso quelle cose che insegnava .....

                Dopo aver messe in pratica tutte le regole della casa, procurate anche di farle osservare dai giovani... Nello stesso tempo, trattateli [357] con grande carità nell'avvisarli, ma non permettetevi, né permettete loro alcun atto o parola che possa suscitare qualche cattiva immaginazione. Andate sempre con quelli che han bisogno di essere consolati, cogli infermi, e ispirate loro coraggio, animateli alla pazienza... Ciò fate non solamente con que' tali che ci piacciono, che sono buoni, che han molto ingegno, ma anche con quelli che sono di poca virtù, di poco ingegno, e anche con i cattivi. Non è scritto nel Vangelo aver detto Gesù che i sani non hanno bisogno del medico? ...

                Non mai che un castigo prenda aspetto di vendetta... o che si rinfacci o anche solo si ricordi a qualcuno, che ci abbia offesi in tempi trascorsi, la sua mancanza, specialmente se fu perdonato. Anzi state attenti a dimostrargli più amore di prima e dimenticate tutto .....

                Studiamo bene il loro carattere, diamo loro dei buoni consigli, edifichiamo colle nostre buone parole, coi nostri esempi, col nostro contegno. Con quelli che, permalosi, si offendono facilmente, siate ancora più benigni e pregate per essi... Procurate in ogni modo di infondere in loro il rispetto verso i Superiori.

                Vi lascio in fine con questo pensiero. Forse per qualcuno questi Santi Esercizi saranno gli ultimi. Stia quindi ognuno preparato in modo che in qualunque momento venga la morte sia pronto ed abbia aggiustate le cose dell'anima sua.

 

                Coll'inno di ringraziamento, colla rinnovazione dei voti fatta dai professi, così terminavano gli esercizi il 26 settembre. Il 25 avevano fatti i voti perpetui il ch. Giuseppe Bertello e Giuseppe Rossi. Il 25 dicembre 1868 tre ascritti, due chierici e un coadiutore, emettevano a Lanzo i voti triennali. Le nuove ascrizioni eransi fatte nella prima muta d'esercizi.

                Nel tempo della seconda Don Bosco aveva ricevuta una cara Lettera del Sommo Pontefice, al quale egli aveva dato ragguaglio della compiuta solennità per la consecrazione della nuova Chiesa, accompagnando la relazione con alcune medaglie commemorative.

 

PIO PP. IX

 

Diletto Figlio, salute ed apostolica Benedizione.

 

                Noi abbiamo sentito quasi la medesima gioia che tu e gli imitatori del tuo zelo avete provato, quando per mezzo della tua lettera siamo venuti a conoscere che era stato condotto a termine in cotesta nobilissima città e che era già stato a Dio consacrato il nuovo tempio [358] dedicato al nome della Beatissima Vergine Aiuto dei Cristiani. Imperocchè sebbene non abbiamo noi potuto trovarci presenti a quel giocondo spettacolo, tuttavia l'industria tua ci fece quasi avere sotto agli occhi la fronte esterna della chiesa, nelle medaglie che ci mandasti, egregiamente cesellata e contemplare la stessa imagine della Madre di Dio. Gioverà poi moltissimo ad accrescere la nostra fiducia la vista di cotesta Immagine, imperocchè siamo di avviso che non avvenne senza un divino consiglio, che cioè, mentre si rinnovò dagli empi terribile guerra contro la Chiesa Cattolica, si celebrasse con nuovi onori la celeste Patrona col titolo di Aiuto dei Cristiani. Di fatto Noi, sotto alla sua protezione, nutriamo fiducia, che protetti dalla divina provvidenza, saremo liberati dai mali soprastanti, e che incolumi riusciremo dai nostri nemici. Intanto per attestare tutta la nostra gratitudine e benevolenza impartiamo di tutto cuore a te e ai pii sacerdoti che lavorano teco, ed ai giovani affidati alle tue cure l'apostolica Benedizione, siccome pegno della grande nostra affezione.

 

                Dato a Roma addì 23 settembre 1868, del nostro pontificato anno vigesimo terzo.

 

PIO PP. IX[12]

 

 

                Il Pontefice aveva gradito assai la relazione di D. Bosco, perchè viva era stata la sua aspettazione di aver novelle di quel memorabile Ottavario. Egli amava il Servo di Dio e le cose sue. Ricevendo visite da cittadini torinesi, diceva talora: [359] Torino è ben fortunata, perchè possiede Don Bosco. - E chiamava l'Oratorio di S. Francesco di Sales: - La Casa miracolosa! - Così scrisse D. Giovanni Bonetti.

                Il Can. Anfossi attestava a sua volta: “Recatomi io a Roma e avendo domandata udienza al S. Padre Pio IX, mediante la presentazione di una lettera di Don Bosco vi fui ammesso e trattenuto per ben ventidue minuti in particolar colloquio, durante il quale il S. Padre espresse i suoi sentimenti di particolare stima per le opere di carità e per l'amore grande che Don Bosco nutriva per la S. Sede”.

                In quell'autunno, assecondando il desiderio del Municipio e di varie persone influenti che gli offrivano appoggio, Don Bosco disponevasi a perorare il pareggiamento del Ginnasio del suo Collegio di Lanzo, e in antecedenza chiedeva al Provveditore degli Studi l'autorizzazione ad insegnare nel ginnasio superiore al prof. D. Giuseppe Fagnano.

 

 

                               Ill.mo sig. Provveditore,

 

                Il sac. Bosco Giovanni espone rispettosamente a V. S. Ill.ma come, nel vivo desiderio di promuovere l'istruzione elementare e secondaria fra i giovanetti appartenenti alla classe meno agiata del popolo, da quattro anni conveniva col Municipio di Lanzo Canavese di aprire un Collegio convitto in codesto paese coll'autorizzazione dell'autorità scolastica in forma di istituto privato.

                Finora ogni cosa riuscì con reciproca soddisfazione e le autorità locali diedero ognora i più lusinghieri segni d'incoraggiamento Essendosi in quell'epoca soltanto iniziato il corso ginnasiale, fino al presente ebbero solamente luogo le tre ginnasiali inferiori, in quest'anno si tratterebbe di cominciare eziandio a somministrare l'istruzione di Ginnasio superiore ad alcuni allievi. Ma non esistendo mezzi per provvedere un professore laureato, si farebbe ricorso per ottenere un permesso provvisorio per il professore Fagnano Giuseppe.

                Egli è munito di diploma per le tre prime ginnasiali e da quattro anni insegna con successo in tali classi. L'idoneità mostrata, il profitto riportato dagli allievi, danno fondata speranza di buon successo nelle classi superiori.

                Appoggiato pertanto sull'idoneità del professore Fagnano, sul diploma di terza ginnasiale, su quattro anni d'insegnamento, sull'attuale piccolo numero degli allievi, in vista che il medesimo favore venne concesso ad altri collegi ed anche individui privati, per questi [360] titoli il ricorrente spera che la domanda sarà presa in benevola considerazione e accordata l'implorata autorizzazione provvisoria pel ginnasio superiore al prof. Fagnano Giuseppe.

                Che della grazia,

Umile ricorrente

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                A D. Fagnano fu concessa l'autorizzazione di reggere la quarta ginnasiale e Don Bosco scriveva una seconda lettera al Provveditore.

 

 

                               Ill.mo sig. Provveditore,

 

                Il Sac. Giovanni Bosco, cinque anni or sono, previa convenzione col Municipio di Lanzo e con approvazione dell'autorità scolastica riapriva l'antico Collegio - Convitto di Lanzo. Sia per l'amenità e salubrità del sito, sia per la sollecitudine del Municipio e degli insegnanti si merita il favore della pubblica opinione a segno che il numero degli allievi Convittori crebbe fino a 124, che è quanto può comportare la capacità dell'edifizio, mentre gli esteri che intervengono sono oltre duecento.

                Ora tanto quel Municipio, quanto il Consiglio Provinciale hanno ripetutamente esternato il desiderio che questo Collegio venga pareggiato; anzi lo stesso Consiglio Provinciale assegnò un sussidio speciale pel Collegio più volte nominato, a condizione espressa del pareggiamento.

                Pertanto lo scrivente per appagare questi comuni desiderii, e persuaso di recar ornamento alla Provincia di Torino, supplica V. S. Ill.ma a voler prendere questa proposta in benevola considerazione e pareggiare il Collegio - Convitto di Lanzo col seguente personale:

                Direttore: il Sac. Giovanni Lemoyne, attuale direttore che inaugurò la riapertura del Collegio e lo condusse allo stato florido in cui si trova.

                Alla V Ginnasiale: il Sac. Durando Celestino, munito del diploma di Professore pel Ginnasio Superiore, e già da molti anni insegnante nella V Ginnasiale nell'Oratorio di S. Francesco di Sales.

                IV: il sac. Giuseppe Fagnano, munito del diploma per le ginnasiali inferiori ed autorizzato a reggere la IV ginnasiale.

                III: il prof. Guidazio Pietro, munito dell'opportuno diploma.

                II: sac. Fusero Bartolomeo, idem.

                I: Alessio Felice, idem.

                Aritmetica: Bodratto Francesco, munito di patente di Metodo Superiore Normale, e da più anni ivi insegnante IV elementare.

                Se mai ci fossero altre formalità a compiersi si prega la nota cortesia [361] del sig. Regio Provveditore a volerle semplicemente indicare, che di buon grado sarà secondato.

                Colla massima stima ho l'onore di professarmi

                Di V. S. Ill.ma,

 

                Torino, 28 settembre 1868,

Umile ricorrente

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

                Pel pareggiamento sorsero difficoltà e furono interrotte le pratiche. Don Bosco però fu molto soddisfatto dell'approvazione ottenuta per D. Fagnano, anche perchè prevedeva la diserzione di qualche chierico già avanzato nei corsi letterarii all'Università.

                Contemporaneamente egli stava trattando col Municipio di Torino per avere il permesso di condurre a termine il muro di cinta dell'Oratorio festivo a ponente della nuova chiesa.

 

 

                               Ill.mo sig. Commendatore,

 

                Molte volte V. S. Ill.ma si adoprò a favore dei nostri poveri giovani e ciò mi fa sperare di trovare benevolenza per l'affare di cui debbo parlarle.

                Quattro mesi or sono io chiedeva al Municipio di costrurre un muro di cinta per accogliere specialmente ne' giorni festivi i giovanetti più abbandonati della città.

                Era concessa l'opportuna facoltà, e un incaricato municipale veniva a tracciare la linea di confine.

                Nacque una difficoltà per cui si fecero sospendere i lavori, ma verificata l'inesistenza del motivo, ne fu riconfermato il permesso ed il muro fu condotto quasi al suo termine.

                Fatta poi la consacrazione della nuova chiesa venne dimandata facoltà di poter elevare regolarmente il muro di cinta per avere gli opportuni locali per le scuole ed i portici per i casi di pioggia o di neve. Dopo oltre un mese, in risposta, furono fatte delle osservazioni cui risposi col parere di due periti distinti, i quali verificarono gli appunti e trovarono che appoggiavano sopra fatti inesistenti. Si ammisero gli schiarimenti, ma il permesso non si poté ottenere.

                Ora corre il terzo mese da che la pratica è in corso; ed intanto i materiali di costruzione si disperdono; le mura cominciate si guastano, le porte posticcie permettono la fuga ai ragazzi dello stabilimento con gravi inconvenienti per la disciplina e moralità degli interni ed esterni; né finora mi fu possibile ottenere il sospirato permesso né sapere alcuna ragione positiva di essermi negato. [362] Per ciò umilmente ma con calda istanza ricorro alla sua bontà. Ella sa che questa casa fu sempre aperta alla pubblica beneficenza: sia in tempo di epidemie, sia in tempi normali ha sempre dato e dà tuttora ricetto ai molti giovanetti abbandonati indirizzatimi dalle autorità municipali; Ella sa pure che io in Lei e in tutto il Municipio ne' tempi passati ho sempre avuto un potente appoggio. Onde ho piena fiducia che Ella vorrà venirmi in aiuto in questo caso eccezionale col farmi conoscere ed aiutarmi ad appianare le difficoltà, se ve ne fossero: pronto dal canto mio a prestare, come ho già scritto, a dare qualsiasi premio, cauzione, indennità, se ne fosse caso, purchè io possa continuare i lavori, che l'attuale stagione non permette più di protrarre.

                Io non ho alcun tribunale cui ricorrere; ma fo' unicamente ricorso alla nota ed esperimentata di Lei bontà, ed alla ragionevolezza di chi presiede agli edifizi da porsi in costruzione.

                Mi creda con perfetta stima

                Di V. S. Ill.ma,

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                In questo tempo Don Bosco fece un breve viaggio del, quale le cronache, come di tanti altri, non fanno memoria. Si rileva da una lettera che la Contessa Calvi scriveva al Cav. Oreglia il 30 settembre: “Mi spiacque immensamente che Don Bosco sia passato da Parma e che avendo avuta la bontà di cercarmi, io sia stata in campagna. Se lo avessi saputo; avrei anticipato il mio ritorno in città per poterlo vedere, e ricevere con mio marito e i miei figli la sua benedizione. Lo preghi che ce la mandi”.

                Intanto il Conte di Viancino, avendo saputo quanto fosse spossato di forze il Servo di Dio, avealo invitato a tornare nella sua villeggiatura di Bricherasio per riposarsi. Don Bosco gli rispondeva, dandogli anche notizie di un giovane da lui beneficato.

 

 

                               Carissimo sig. Conte,

 

                Quando Cinzano andò a Bricherasio, voleva rispondere alla venerata di Lei lettera ed a quella della signora di Lei moglie. In quel momento non mi era possibile, perchè come Ella saprà la malattia di Don Rua mi raddoppiò le occupazioni ordinarie. Ora, grazie a Dio,  [363] é fuori di ogni pericolo e credo quanto prima possa ripigliare le ordinarie sue occupazioni.

                La ringrazio pertanto della bontà con cui mi rinnova il grazioso invito di andare a fare ancora alcuni giorni di carnovale. La mia volontà è tale, ma non posso ancora fissare la settimana, cosa che spero di fare al mio ritorno coi giovani da Castelnuovo d'Asti.

                Intanto io ho sempre pregato e continuo a pregare per Lei e per la signora Contessa di Lei moglie, affinchè Dio nella sua grande misericordia li consoli con una lunga serie di giorni felici sopra la terra e colla vera ricompensa del Cielo.

                Le noto qui che Cinzano continua sempre nel modo più esemplare, tanto per lo studio quanto per la pietà, e speriamo coll'andar del tempo di fare un chiericotto ed un prete che guadagni anime al Signore.

                Mi raccomando alla carità delle sante loro preghiere e con la più sentita gratitudine mi professo

                Della S. V. Carissima,

 

                Torino, 30 settembre 1868,

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                In quegli stessi giorni l'ufficio delle Letture Cattoliche spediva agli associati per l'ottobre il seguente fascicolo: Novena in sollievo delle benedette Anime del Purgatorio compilata da un Sacerdote Algherese. Il libretto trattava con penna maestra del dogma, della pena del danno e del senso ' e con affettuose esortazioni invitava i fedeli a soccorrere i loro cari defunti.

 

 

CAPO XXIX. Don Bosco rinnova le istanze alla S. Sede per ottenere l'approvazione delle Costituzioni della Pia Società - Fa stampare una breve notizia in lingua latina sullo svolgimento della Pia Società e sull'attuale suo stato: presenta qualche nota sulle tredici Animadversiones - Mons. Svegliati, a nome del Papa, chiede a Mons. Tortone informazioni confidenziali dell'Istituto di Don Bosco, de' suoi chierici e de' loro studii - Cattivo ragguaglio di Mons. Tortone - Don Bosco non conserva rancore contro i suoi denigratori - Chiede consiglio sul modo di poter ottenere le dimissorie - Risposta del Padre Oreglia e del Card. Patrizi - Mons. Svegliati presenta il suo voto al Papa sulla domanda di Don Bosco - L'affare è trattato in piena Congregazione - Il Consultore ritiene doversi rispondere negativamente alla supplica di D. Bosco - La Sacra Congregazione la sua la conclusione - Mons. Svegliati notifica la sentenza a Don Bosco - Alcune difficoltà che incontrava l'approvazione dell'Istituto Salesiano.

 

                ALTRA cosa di maggior importanza, oltre quelle già esposte, affaticava da quattro mesi Don Bosco. Egli aveva rinnovata al Sommo Pontefice la domanda per l'approvazione delle Costituzioni della Pia Società di S. Francesco di Sales; o almeno la concessione di poter rilasciare le dimissorie per le ordinazioni de' suoi alunni, la facoltà per essi d'esser promossi agli ordini a titolo della mensa comune, e per sé di poter dispensare i confratelli dai voti triennali. [365] A tal fine aveva fatto stampare una breve Notizia della Pia Società, con alcuni decreti riferentisi alla medesima, in lingua latina[13].

                In essa fa un rapido cenno del suo svolgimento dal 1841 al 1852; porta il testo della Patente concessagli da Mons. Fransoni colla quale era nominato Direttore dei tre Oratorii: ricorda gli incoraggiamenti e i consigli di Pio IX nel 1858: riporta il decreto di collaudazione del 23 luglio 1864: quanto alle tredici Animadversiones osserva che “libenti animo fuerun i admissae atque in constitutionibus accomodatae, prout finis et regulae societatis patiuntur. Nonnulla observantur in animadversione super litteras dimissoriales; sed de hoc adest particula separatim exposita”; reca il decreto del Vescovo di Casale che nel 1868 approvava come diocesana la Pia Società, e l'altro suo decreto concedente peculiari facoltà ai sacerdoti e chierici del Piccolo Seminario di Mirabello: dà l'elenco delle case salesiane e a quelle di Torino, Mirabello, Lanzo, aggiunge la quarta presso Trofarello, destinata per gli Esercizi spirituali e per ristoro dei convalescenti: dice che i confratelli sono circa cento.

                Il memoriale terminava così: “Ad operis complementum nihil aliud densa quam Apostolica rite Constitutionum appro balzo. Hanc socii singuli humillime, sed toto corde, coram Deo et hominibus exoptant, a Supremo Ecclesiae Antistite enixe deprecantur. Hanc Episcopi Provinciae ecclesiasticae Taurinensis, hanc alii complures qui Societatem noscunt inter quos Eminentissimi:

                Cardinalis Philippus de Angelis, Archiepiscopus Firmanus, Camerlingus, etc., etc.

                Cardinalis Joannes Maria Antonucci, Archiepiscopus Anconitanus.

                Cardinalis Cosimus Corsi, Archiepiscopus Pisanus, ecc.”. [366]

                Questa Notitia brevis cogli altri documenti era stata trasmessa alla S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, e Mons. Svegliati, Segretario della medesima, mandava una nota a Mons. Gaetano Tortone residente in Torino, incaricato ufficioso della S. Sede presso il Governo, nella quale chiedevagli in modo speciale informazioni sui chierici di Don Bosco.

 

Roma, 28 luglio 1868.

 

                Il Sac. Sig. D. Giovanni Bosco, Istitutore e Rettore della Pia Società di S. Francesco di Sales, si è diretto alla Santità di Nostro Signore, onde avere un decreto di approvazione del suo Istituto. Ha corredata la sua domanda di testimoniali di parecchi Ordinarii che lo raccomandano alla Benignità del Santo Padre. Siccome l'esame di tali affari è affidato alla S. Congregazione dei VV. e RR. della quale ho l'onore d'essere segretario, così quando ho fatto relazione in argomento la stessa Santità Sua mi ordinò di rivolgermi riservatamente alla S. V. Rev.ma per richiederla di un'esatta informazione intorno all'andamento dell'Istituto in discorso e specialmente per ciò che riguarda gli studii e la educazione ecclesiastica dei chierici che formano parte dell'istituto medesimo, giacchè non debbo omettere di prevenirla, sempre colla massima riservatezza, che mentre alcuni tra i Vescovi raccomandano il Bosco e fanno elogi dell'Istituto, deplorano con fogli riservati la educazione del giovane Clero addetto a quello stabilimento, tanto in riguardo agli studii, quanto in merito allo spirito, perchè essendo i chierici addetti alla sorveglianza dei giovanetti raccolti nello stabilimento non possono formarsi con quello spirito ecclesiastico, al quale è necessario s'informi un giovane, che vuole giungere al sacerdozio.

                Debbo anche aggiungerle che il medesimo pio Istitutore, oltre che domanda di ritenere presso di sé i chierici e istruirli nel suo stabilimento, chiederebbe anche la facoltà di rilasciare ad essi le dimissorie per le sacre ordinazioni come fanno i superiori delle Congregazioni religiose esenti dalla giurisdizione dei Vescovi, al che si oppongono parecchi ordinarii e principalmente cotesto Mons. Arcivescovo. La S.V. Ill.ma e Rev.ma, che si trova sul luogo e che avrà già piena cognizione dell'Istituto fondato dal benemerito sacerdote Don Giovanni Bosco, potrà essere al caso di dare una piena informazione su tutto e specialmente nella parte che riguarda i chierici, onde io possa nuovamente fare in proposito una estesa relazione a Sua Santità assoggettandogli quelle osservazioni, che Ella nella di lei saviezza crederà di fare.

                Esaurito così l'onorevole incarico datomi dal S. Padre, non mi rimane che a pregarla a volersi compiacere di esternarmi come sopra il di lei parere per sottoporlo a S. Santità e nel tempo stesso approfittando [367] di questa opportunità mi è grato protestarle i sentimenti di quella distintissima stima, con la quale me le dichiaro ecc.

 

12417

        9

 

                L'interpellato rispose al Segretario della S. Congregazione.

 

                               Ill.mo e Rev.mo Monsignore,

 

                Ad onta della cognizione già abbastanza estesa che io già avevo circa l'Istituto di questo ottimo Sacerdote Don Giovanni Bosco, ho voluto tuttavia procurarmi ancora altre precise informazioni sul medesimo, onde somministrare alla S. V. Rev.ma sufficiente materia a formarsi un giusto criterio sull'esatto stato delle cose, e mi duole soltanto che avendo dovuto andare alquanto a rilento nell'assumere consimili informazioni affinchè non si venisse a conoscere il vero scopo a cui miravano tali mie indagini, ciò ha fatto sì che non ho potuto riscontrare il pregiatissimo di Lei foglio del 28 p. p. numero 12417, 9 con quella doverosa premura che da me si bramava. Eccole ora quanto coscienziosamente mi affretto di comunicarle in proposito.

                L'Istituto fondato e diretto dal Sac. Don Bosco è composto di chierici e di giovani laici, e questi o vi frequentano le scuole, o vi imparano un mestiere. Sul principio della fondazione non vi erano ammessi, ma gratuitamente, che i ragazzi abbandonati da parenti, o privi affatto di mezzi di fortuna, ed ora invece non vengono accettati se non quei ragazzi anche della più infima classe della società, per i quali od i parenti o qualche pio benefattore si obbligano di pagare una quota mensile per la pensione. Bisogna pur confessare ad onore del vero che è grandissimo il bene che ha fatto e fa tuttora l'ottimo Don Bosco a tanti poveri ragazzi educandoli cristianamente ed abilitandoli a qualche mestiere; ma se questo primario scopo della sua Istituzione ha avuto sì consolante ed utile successo, pare che la stessa cosa non possa dirsi sull'esito degli studii e sullo spirito ecclesiastico dei chierici che si trovano raccolti nel succitato Istituto. Sembra che la prima idea di Don Bosco sia stata di formare nel suo Istituto un Clero separato da quello della Diocesi. Mi risulta infatti che sino dal principio tentò di ottenere ed ottenne poscia che i suoi chierici studiassero nel suo Istituto la Filosofia e la Teologia; la cosa camminò così colle stampelle per alcuni anni, ma siccome i suoi chierici non si presentavano all'esame, o questi avevano un esito infelice, allora si prescrisse da questa Curia Arcivescovile che anche i chierici di Don Bosco dovessero intervenire alle scuole del Seminario per la Filosofia e la Teologia.

                Alcuni di essi chierici che, provvisti dei mezzi sufficienti furono ammessi nel Seminario di Chieri, furono trovati così mediocri nello studio che lo stesso Rettore di quel Seminario ebbe a confessare che i medesimi non capivano la lingua latina. [368] Dacchè però frequentano la scuola di questo Seminario il profitto negli studii pare alquanto migliorato; non tutti i chierici che la frequentano si presentano agli esami ed alcuni se ne astengono, perchè riconosciuti inabili a sostenerlo.

                Del resto non è a stupire che il risultato di tali studii sia così mediocre, se si riflette che Don Bosco affida a tali suoi chierici varie e altre incombenze da disimpegnare nell'Istituto, come sarebbero quelle di maestro delle scuole per i ragazzi, di prefetto, di assistente, etc. etc. cariche tutte che fanno impiegare in altre cose quel tempo che dai chierici si dovrebbe consecrare allo studio.

                Se in quell'Istituto s'incontrano non pochi ostacoli ad un corso regolare di buoni studii per i chierici, debbo ora aggiungerle che vi si trovano ancora maggiori difficoltà per poter infondere nei medesimi il vero spirito ecclesiastico e quei principii di buona educazione così necessaria ai sacerdoti. Il continuo contatto che hanno quei chierici cogli altri giovani laici dell'Istituto, la troppa famigliarità e dimestichezza con cui si trattano gli uni cogli altri, secondo il povero mio parere, non le credo cose troppo atte pei formare un buon clero.

                Mi accadde più volte di visitare quell'Istituto nelle ore di ricreazione e le confesso che provai sempre un'impressione ben penosa al vedere quei chierici frammisti agli altri giovani che imparano la professione di sarto, falegname, calzolaio, etc. correre, giuocare, saltare ed anche regalarsi qualche scappellotto, con poco decoro per parte degli uni, con poco o niun rispetto per parte degli altri. Il buon Don Bosco, pago che i chierici stiano con raccoglimento in chiesa, poco si cura di formare il loro cuore al vero spirito ecclesiastico e di infondere per tempo in essi quei sentimenti di dignità dello stato che vogliono abbracciare. Pur troppo molti di essi che alla presenza di Don Bosco sanno mostrarsi umili e mansueti, sono poi, come mi risulta, superbi, caparbii, vanitosi, e tutto ciò per mancanza di una saggia direzione. Mi permetto adunque di ripeterle che il sig. Don Bosco ha fatto e continua a fare del gran bene, ma sarebbe stato assai meglio che si fosse tenuto al primo scopo della sua fondazione, e non avesse pensato a fermarsi quasi un seminario dei chierici, per i quali non ha ancora neppure fatto un regolamento. L'Istituto perciò, come ora si trova, non è punto adatto ad essi, e non si potrà mai aspettare da esso un buon risultato per la Chiesa, a meno che siano i chierici separati totalmente dagli altri giovani laici, addetti ad altri lavori e professioni; e che siano essi sorvegliati da un illuminato direttore spirituale per giudicare se danno prove di vera vocazione e se sono forniti di quello spirito che debbono avere gli ecclesiastici.

                La S. V. Ill.ma e Rev.ma, essendosi poi compiaciuta di significarmi eziandio che il sac. Don Bosco sta pure implorando dalla Santità di Nostro Signore la ben importante facoltà di rilasciare le Dimissorie ai chierici del suo Istituto per le sacre Ordinazioni, confido che [369] vorrà Ella perdonarmi se, spinto come sono dal vero bene della Chiesa, mi prendo la libertà di sottoporle la mia maniera di vedere in un tal fatto, ed è che ove il Don Bosco venisse a conseguire una tale grazia, se ne proverebbe qui una ben spiacevole impressione dal Clero e segnatamente dal Capitolo Metropolitano, un membro del quale, piissimo e zelantissimo, che è stato saviamente nominato dall'Arcivescovo a Prefetto e Direttore del Clero di questa città, deplorò meco più volte i non pochi abusi nei chierici dell'Istituto di Don Bosco, accennandomi pure al grave danno che ne verrebbe, ove i medesimi venissero sottratti all'autorità dell'Ordinario.

                Da quanto ho avuto l'onore di esporle di sopra, può già Ella formarsi un'idea degli abusi che regnano in quei chierici sia circa gli studii, sia circa la trascuranza del vero spirito ecclesiastico. Ora quali più funeste conseguenze non si avrebbero poi col tempo a deplorare, ove fosse fatta facoltà al Don Bosco di rilasciare le dimissorie per le Ordinazioni, e si togliessero così quei chierici dalla sorveglianza e giurisdizione dell'Ordinario? Ciò porterebbe inevitabilmente una divisione nel Clero, nuocerebbe alla disciplina ecclesiastica, aprirebbe la via ad abusi, oltre al pregiudizio che recherebbe all'autorità vescovile.

                Ed intorno a quest'ultimo punto non credo di potermi dispensare dal significarle che questo Mons. Arcivescovo, conoscendo il poco progresso negli studii e nella disciplina ecclesiastica dei chierici di quell'Istituto, gli assoggettò per gli esami e per le Ordinazioni alle stesse norme dei chierici della Diocesi, ordinando pure saviamente e con l'approvazione di tutti i buoni, che prima d'essere ammessi agli Ordini Sacri fossero in obbligo di passare un anno nel Seminario Diocesano. Tali misure dell'Arcivescovo non incontrarono l'approvazione di Don Bosco, il quale va tuttora lagnandosi che Mons. Arcivescovo è poco favorevole al suo Istituto, che i chierici del suo Istituto sono presi di mira dai Professori e dagli Esaminatori, e che se la cosa continua così, sarà esso costretto a chiudere l'Istituto e ciò per cagione dell'Arcivescovo.

                Tali lagnanze il Don Bosco alcuni mesi fa le fece sentire a me stesso, ma ha potuto convincersi che non era io della stessa opinione.

                Oltre a ciò, prendomi ancora la libertà di accennarle un'altra circostanza, e sarà l'ultima per non abusare della bontà di V. S. Ill.ma e Rev.ma, ma mi pare che sarà anche opportuna per darle sempre maggior lume sul fatto, e per meglio farle conoscere come qui si passano le cose.

                Dopo il ritorno dall'ultimo suo viaggio in Roma che ebbe luogo, se non erro, nella primavera del 1867, il sig. Don Bosco andò raccontando (bramo credere più per semplicità che per vanto), a varie distinte persone di sua conoscenza, come pure ai Sacerdoti e chierici del suo Istituto d'aver ricevuto in cotesta Dominante le più festose accoglienze, d'avervi trovate alte e preziose protezioni, d'esservi stato ricercato [370] e visitato da Prelati e da Cardinali, e che alcuni di essi s'inginocchiarono persino davanti a Lui per chiedergli la benedizione. Quest'ultimo fatto fu ripetuto a me stesso da un sacerdote dell'Istituto di Don Bosco, che ne faceva le meraviglie, al quale per tutta risposta feci osservare che ciò provava quale e quanta fosse la pietà e l'umiltà del Sacro Collegio e della Prelatura Romana.

                Siccome il Don Bosco ha molte conoscenze nel Patriziato Torinese che per mezzo di generose largizioni concorre mirabilmente al sostentamento dell'Istituto, così tali notizie e voci fecero presto il giro della città, ma se valsero presso a certuni a fare di Don Bosco un uomo di somma importanza, presso ad altri però trovarono poca fede. Se pertanto il lodato Don Bosco conseguisse la facoltà di cui è caso, ciò nelle attuali contingenze lascerebbe sempre più persuasi i suoi protettori ed aderenti nella poco fondata opinione che già hanno, che cioè il Don Bosco, appoggiato all'alto concetto in cui è tenuto a Roma, vi ottiene tutto ciò che esso vuole: e per i giorni che corrono sarebbe ciò considerato da molti come una vittoria riportata dal medesimo sopra l'Arcivescovo.

                Mi duole assai d'aver dovuto accennare certi fatti e circostanze non troppo favorevoli al predetto sig. Don Bosco che io stimo ed amo assai, ma alla stima ed affetto che nutro per quel degnissimo sacerdote come per chiunque altro, non potrò mai, colla grazia di Dio, sacrificare la verità, la giustizia, ed i doveri sacrosanti che mi legano a cotesta Santa Sede, alla quale da più di venti anni ho l'onore di prestare i miei poveri servigi.

                Mentre poi rendo alla S. V. Ill.ma e Rev.ma i più veraci miei ringraziamenti per l'onorevole incarico che si è degnata d'affidarmi, sarei ben lieto se questo umilissimo mio rapporto fosse dalla S. V. Ill.ma ravvisato in qualche parte sufficiente al di Lei scopo e, nell'offerirle la mia umilissima servitù, colgo con premura questa propizia opportunità per professarmi coi sentimenti del più distinto ossequio,

                Della S. V. Ill.ma e Rev.ma,

 

                Torino, 6 agosto 1868,

Um.mo Osseq.mo Servitore

Teol. GAETANO TORTONE.

 

                “Povero Don Bosco! Se non era Iddio con lui, non sarebbe riuscito!”. Così D. Bonetti, scrisse in margine, quando ebbe in mano questo documento.

                La relazione infatti è un tessuto di errori e di falsi apprezzamenti da capo a fondo. Noi non esitiamo ad ammettere la buona fede di Mons. Tortone, ma bisogna dire che Don Bosco [371] era da vari malamente giudicato. Chi lo giudicava così, nulla aveva compreso del suo sistema educativo, nulla della missione apostolica del Servo di Dio, nulla della Pia Società Salesiana già collaudata dalla S. Sede; ma accecato da prevenzioni, accoglieva ogni accusa di malevoli, come verità incontestate. La confutazione esauriente a queste accuse suona eloquente dai nostri volumi. Tuttavia non sappiamo astenerci da qualche riflessione.

                I chierici di Don Bosco, fin dal principio dell'Oratorio, andarono sempre a scuola in Seminario e subirono, la massima parte, gli esami molto lodevolmente, mentre con privazioni, incomodi, sacrifizi, mandavano centinaia di giovani alunni nei seminarii; sicchè molte diocesi che mancavano di preti, poterono acquistare un clero numeroso. E si può supporre che non avevano spirito ecclesiastico?

                L'Oratorio era sorto da un semplice catechismo, al catechismo si erano aggiunti i divertimenti, le scuole serali e domenicali, poi l'Ospizio per i poveri giovani abbandonati e le scuole d'arti e mestieri e le stesse scuole ginnasiali. L'opera di Dio si era andata gradatamente sviluppando e insieme coi poveri accorrevano all'Oratorio anche giovani di mediocri famiglie, desiderose di averli sotto la direzione di Don Bosco. Perchè Don Bosco doveva rifiutarli o non esigere da loro quell'esigua retta mensile che potevano corrispondere? Del resto egli continuò sempre a ricevere gratuitamente un gran numero di fanciulli bisognosi.

                Un'altra osservazione sulla critica più maligna, diretta alla persona di Don Bosco. Noi possiamo e dobbiamo esplicitamente dichiarare che non l'abbiamo mai udito vantarsi delle accoglienze avute a Roma o in altri luoghi: rare volte ne fece cenno in private conferenze coi suoi figli, rifondendo sulla Pia Società Salesiana, di cui era capo, gli onori fatti alla sua persona, per incoraggiare i suoi figli, combattuti in tante guise e per sciogliere un inno di umile ringraziamento alla Madonna! Del resto nel caso specifico a cui si accenna non era [372] stato con lui D. Francesia? e chi poteva impedire a un tal figlio di narrare le glorie dell'amatissimo padre?

                È pur ingenuo il giudizio della sconvenienza della famigliarità dei chierici coi giovani, fossero essi artigiani, o quali erano nella massima parte anche studenti. Ciò che scandalizzava gli osservatori superficiali, incantava Don Bosco, il quale era sicuro che così ogni male morale era impedito, mentre egli studiava anche le energie fisiche e i modi di ciascuno. Un giorno il ch. Luigi Lasagna, già professore, giuocava co' suoi scolari al pallone, in cui era valentissimo. Don Bosco in quel mentre entrava in cortile e, dopo averlo per qualche tempo osservato, disse a D. Garino che gli era al fianco: - Vedi Lasagna? che buona stoffa per farne un missionario E fu missionario e Vescovo.

                Il Venerabile non tardò ad aver notizia di questa informazione e manifestò al Capitolo della Pia Società il dispiacere che ne provava per l'impressione sinistra che avrebbe potuto fare sull'animo dei Cardinali: ma non conservò rancore per chi l'aveva compilata. Scrisse D. Berto: “Un giorno osservai il Servo di Dio a ricevere in privata udienza Mons. Tortone con tali e tante distinzioni di stima e di affetto, come se fosse uno de' più grandi e sinceri suoi amici”.

                Ciò accadde più volte, anzi egli ebbe occasione di fargli del bene e lo fece volentieri. Nel 1869 Monsignore, trovandosi coricato per un'artritide, non ostante le sue ripugnanze mandò suo fratello a pregare il Venerabile che si recasse a dargli una sua benedizione. Il fratello era un vero benefattore dell'Oratorio, un grande amico di D. Bosco, veniva sovente a visitarlo, si compiaceva di osservare lo spirito che lo animava, il candore dei giovani, e di assistere a tutte le feste di Valdocco. Fece adunque la commissione. Don Bosco subito lo contentò e l'infermo, ricevuta la benedizione, sentissi libero de' suoi dolori, si alzò e da quel punto divenne assai favorevole all'Oratorio. Così Don Albera.

                Contuttociò nell'agosto del 1868 il Venerabile sperava di [373] ottenere l'approvazione del suo Istituto; soltanto diffidava di poter avere la facoltà delle dimissorie. Tuttavia chiedeva con insistenza anche questa, prevedendo forse le tribolazioni che gli sarebbero cadute sopra per anni ed anni. Per questo non cessava di raccomandarsi al consiglio di persone influenti e benevole; e mandava anche a P. Oreglia i documenti riferentisi a tal pratica pregandolo a volersene interessare in persona.

                Il Padre Oreglia gli rispondeva

 

Roma, 16 agosto 1868.

 

                               Rev.mo e Car.mo Don Bosco,

 

                Ho ricevuto a suo tempo il suo plico del 7 corrente. Riconoscentissimo della confidenza e della fiducia che mi mostra e dispostissimo per tanti titoli a servirla il meglio possibile, mi consigliai prima con un nostro Padre, che è Consultore dei Vescovi e Regolari e molto bene affetto a V. S. e a tutte le sue cose. Mi disse che non credeva affatto prudente che io andassi al Card. Berardi, che ne avrei cavato nulla, e che invece gli sarebbe dispiaciuto di vedere intromessa in cosa segreta una persona estranea. Bensì mi disse che secondo Lui, il meglio a farsi era che Lei stessa scrivesse al Cardinale e domandasse non per organo della Congregazione, ma per intercessione privata del Card. al S. Padre direttamente la grazia di poter presentare i suoi chierici all'ordinazione ai Vescovi che crederà. In questo modo il Cardinale, se crede, può facilmente ottenere per numero determinato o per tempo determinato. Questa concessione ha da essere chiesta a voce, e comunicata a Lei con Lettera che dice: ex audientia SS. diei, etc. Sanctissimus contesti etc. Questo rescritto facilmente si avrà dal S. Padre e si potrà confermare d'anno in anno e servirà di titolo latente per l'approvazione regolare della Congregazione.

                Noti che la Congregazione prima concede l'approvazione, poi la facoltà delle dimissorie e mai si concedono le dimissorie se non per dispensa papale; e se questa dispensa è chiesta per mezzo del Card. Berardi o altra persona affezionata, si avrà: ma la Congregazione si opporrebbe assai, se la cosa dovesse passare per le sue mani.

                Pigliando la cosa in questo modo e chiedendo al Card. Berardi la grazia di intercedere presso il S. Padre perchè Ella possa a numero e a tempo determinato presentare chierici, pare che tutto si accomoderà per ora: e si otterrà anzi un titolo per ottenere più in avvenire. [374] La ringrazio della notizia di Federico. Del Conte della Margarita ho migliori notizie. I Padri qui della Civiltà Cattolica la riveriscono, stanno bene e in buone speranze. Ci raccomandi al Signore e mi creda

Suo Um.mo Servo

P. G. OREGLIA.

 

                Anche il Card. Patrizi gli dava ragguaglio delle sue premure presso il S. Padre.

 

                               Reverendo Signore,

 

                Ricevei puntualmente da Mons. Manacorda il libro da Lei inviatomi come pure le medaglie commemorative della nuova Chiesa costì eretta, e le ne rendo distinte grazie pregando il Signore che benedica ed accresca tutto ciò ch'Ella fa per la maggior sua gloria ed in vantaggio delle anime.

                Per secondare le di Lei premure non ho mancato di muovere discorso col S. Padre dell'affare che tanto le sta a cuore, e di cui fa un cenno nella lettera diretta alla Santità Sua, e che mi acclude in copia. Sulla risposta datami dal S. Padre vedo che la grazia implorata incontra difficoltà per parte dei Vescovi che non se la sentono di acconsentire alle Ordinazioni dei loro chierici, senza osservare quanto prescrivono i Sagri Canoni. È tale infatti la pratica costante della Santa Sede, che solo allora permette tali ordinazioni quando l'Istituto Regolare a cui appartengono i promovendi sia nelle debite forme approvato e confermato, e riconosciuto per tutti gli effetti : di ragione, come per Ordine e Congregazione Regolare.

                Stando così le cose, non saprei vedere qual mezzo potrebbe esservi per conciliare l'affare, che, come accennava, è ancora alquanto imbrogliato. Avverta però che quanto qui scrivo l'ho detto, parte da quanto accennò il S. Padre, e parte da notizie avute da persone alle quali è nota l'istanza da Lei avanzata, ma tutto in via particolare, e non d'officio.

                Basta: Ella confidi nel Signore che sa accomodare in un punto gli affari più spinosi, se ciò è secondo la sua volontà. Preghi per me e mi creda con sincera stima,

 

                Roma, 30 agosto 1868,

Suo aff.mo

P. Card. PATRIZI.

 

                Mons. Svegliati presentava intanto al Sommo Pontefice, in apposita relazione, il suo parere o voto. [375]

 

SULLA PIA SOCIETA DI S. FRANCESCO DI SALES.

 

                Nell'udienza del 1° luglio 1864 la S. V. si degnò di emanare un decreto di lode relativamente alla Pia Società di S. Francesco di Sales fondata in Torino dal benemerito sacerdote Giovanni Bosco, differendo a tempo più opportuno l'approvazione delle relative costituzioni, le quali frattanto dovessero correggersi e modificarsi a norma di 13 animadversioni reputate all'uopo necessarie od opportune.

                Torna ora il prelodato Fondatore ad implorare dalla S. V. l'approvazione dell'Istituto e delle costituzioni, od almeno la facoltà di spedire dimissorie per le Ordinazioni dei suoi alunni, i quali possano altresì promuoversi agli ordini a titolo della mensa comune; e finalmente di poter dispensare dai voti semplici triennali che si emettono dagli alunni nel primo sessennio di loro ascrizione alla Società.

                Circa l'approvazione degli Statuti però è necessario osservare che nel nuovo testo latino di essi non appariscono affatto sei delle tredici prefate animadversioni; cioè la quarta in cui prescrivevasi di dover chiedere le dimissorie al Vescovo Diocesano; la quinta di dover conseguire il beneplacito apostolico nel contrarre debiti o fare alienazioni; la settima di non fondare nuove case od accettare la direzione di Seminarii senza il permesso della S. Sede; la nona di non affigliare secolari all'Istituto; la undecima di dover esibire alla S. Congregazione la relazione triennale dello stato morale religioso ed economico della Società; la decima terza che il precetto del Superiore non obblighi sotto responsabilità di colpa. Delle quali animadversioni la undecima si asserisce accolta con giubilo, perchè diretta a stringere i vincoli della Società colla Santa Sede; ma frattanto non apparisce nella nuova versione latina degli istituti. Le altre si vorrebbero escludere per futili motivi.

                Si opinerebbe quindi sommessamente di prescrivere la esatta e letterale riforma dello schema - statuto a forma delle animadversioni sopra espresse, onde in avvenire, quando la S. V. lo reputerà opportuno, possa lo Statuto medesimo meritare l'approvazione.

                Relativamente all'approvazione dell'Istituto, sembra doversi riflettere che desso conta ancora pochi anni d'esistenza e non ha sino al presente redatte le sue Costituzioni secondo le correzioni ingiunte dalla S. Sede per organo di questa Sacra Congregazione. Perciò sembra doversi differire.

                Apparterrà poi alla illuminata sapienza della S. V. deliberare se convenga annuire alle preci circa le facoltà che brama il Superiore, di rilasciare le Dimissorie per le ordinazioni dei socii e di dispensare dai voti semplici triennali; nonchè circa l'indulto a favore dei socii di potersi ordinare a titolo della mensa comune.

 

                A piedi di questo voto il Pontefice scrisse le parole:

                NB. - Si porti in piena Congregazione. [376]

 

                Radunatisi gli Eminentissimi della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, essendone Prefetto il Card. Angelo Quaglia, il consultore Padre Savini, Carmelitano, lesse il suo voto sopra l'approvazione della Pia Società Salesiana. Egli, appellandosi al Regolamento in uso presso la Sacra Congregazione e dichiarando insufficienti le Costituzioni presentate, anzi qualche articolo contrario ai sacri Canoni, concluse essere sua opinione doversi rispondere negative. Ecco qui la sua relazione:

 

 

VOTO DEL CONSULTORE P. SAVINI

SULLA PIA SOCIETA DI SAN FRANCESCO DI SALES.

 

                1° L'Istituto denominato Società di S. Francesco di Sales, sorto in Torino sono ormai dieci anni, all'intento di assistere la gioventù, massime povera, con aiuti spirituali e temporali, si compone di sacerdoti, chierici e laici legati da voti semplici di povertà, castità, ed obbedienza, prima temporanei, poscia perpetui; governato da un Superiore Maggiore assistito da Consultori. Sono ormai quattro anni da che detto Istituto chiese a questa Santa Sede l'approvazione ed in vista delle lettere commendatizie di quattro Vescovi riportò dall'Apostolico Trono un decreto di lode e le animadversioni sui varii articoli dei relativi Statuti.

                2° Ora il benemerito fondatore sig. Abate Bosco ha porte nuove istanze a fine di conseguire l'approvazione dell'Istituto, delle così dette Costituzioni, o almeno la facoltà di spedire dimissorie per le Ordinazioni dei socii, anche in sacris, titulo mensae communis, e di poter dispensare sui voti semplici triennali che si emettono dagli alunni nel primo sessennio.

                3° Si opinerebbe per la negativa, mentre il Regolamento in uso presso questa Sacra Congregazione esige che dal decreto di lode concesso a favore di un dato Istituto debba trascorrere un tempo conveniente, post congruum tempus, prima che si accordi l'approvazione. Nel caso presente sono scorsi quattro anni da che l'Istituto di S. Francesco di Sales si ebbe un decreto di lode, periodo di tempo non molto lungo, né sufficiente a verificare le altre condizioni richieste dal citato regolamento nei casi di approvazione.

                4° Imperocchè viene prescritto dal medesimo che l'Istituto da approvarsi goda una discreta diffusione: si institutum satis dffusum fuerit; la quale propagazione d'ordinario non si effettua nel corso di pochi anni. Dalla posizione poi non risulta che codesta Società dell'Abate Bosco abbia di molto vantaggiato, sia nel personale, come nel [377] materiale di nuove fondazioni. Quattro case contava or sono quattro anni, né sappiamo che siasi vantaggiata di altre; ed avuto riguardo ai tempi cotanto calamitosi per l'Italia vi ha luogo a temere che siasi esso rimasto ristretto a Torino e luoghi adiacenti.

                5° Ma almeno in posizione vi avessero testimonianze di ottimi risultati e vantaggiosi frutti raccolti da codesti nuovi operai: si uberes fructus retulerint. Dall'incarto però nulla emerge di positivo a favore dell'Istituto. Non vi si leggono nuove commendatizie di Vescovi, non relazioni di Vicari Capitolari, o di altri distinti personaggi che pongano in sodo Pubertà della messe raccolta da codesti solerti operai.

                6° Ultima condizione poi voluta dal Methodus, ecc. si è che l'Istituto abbia un corpo di Costituzioni formate e compite per guisa da non presentare gravi difficoltà: Si Constitutiones efformatae fuerint, nec in substantialibus graves difficultates praeseferant. La Società di S. Francesco di Sales non ha un corpo di formate Costituzioni, non meritando tale nome quei pochi articoli presentati alla Sacra Congregazione che possono aversi al più qual base e sostrato di Costituzioni da redigersi, non già come corpo ben compatto e completo di Costituzioni quali si vogliono a reggere un Istituto che tende a stendere la mano ad infinite cose, richieste dai bisogni spirituali e temporali della povera gioventù.

                7° Né quei pochi organici Statuti presentati sono esenti da gravi difficoltà, come ne fanno fede le animadversioni dai medesimi provocate. Le quali osservazioni, se rimediano a molto, non tolgono però tutto l'inconveniente che potrebbe temersi. A modo di esempio: Viene disposto ne' detti Statuti che i socii accettino direzione di Seminarii Vescovili, ed è questo non l'ultimo campo del loro zelo. L'animadversione limita e corregge tale prescrizione, esigendo che non venga attuata se non in seguito di un Rescritto di questa Sacra Congregazione. Il rimedio è buono ma insufficiente, perchè la direzione dei Seminari deve essere del Vescovo, dei Preti secolari, come ne fa indubbia fede S. Carlo Borromeo negli aurei suoi scritti e lo persuase coll'esempio. Comecchè quel glorioso Santo fosse solito servirsi di Regolari negli affari della sua chiesa, non istimò bene prevalersi dei medesimi nel reggimento de' suoi seminarii ed appena ebbe soggetti idonei nel clero secolare, ringraziò i Regolari adoperati prima nella direzione anzidetta. E questa determinazione del Santo fu giudicata tanto giusta ed unisona alle regole dell'ecclesiastica disciplina, che vi concorse la volontà stessa dei Regolari, prima occupati, amanti più del bene della Chiesa, che dei comodi privati, come assicura il Giussano biografo riputatissimo di S. Carlo Borromeo.

                Si hanno casi in cui manca il prete secolare capace di reggere il Seminario, ed allora il Vescovo Ordinario, giudice competente, deve ricorrete all'opera di qualche regolare, monaco, frate dotato di prudenza e di capacità per reggere e far rifiorire un collegio. Ma cessata [378] la temporanea urgenza, il claustrale, deve ritornare al suo convento, ed il Seminario ha da reggersi dai preti. Non vi ha quindi bisogno che sorgano Istituti collo scopo di reggere seminarii, né sotto tale punto di vista meritano essi approvazione da questa S. C. Insto però sia sotto censura, ecc.

 

                Convento di Traspontina, li 22 settembre 1868.

Fra ANGELO SAVINI C. C.

 

                Dopo questa relazione, anche il voto della S. Congregazione fu negativo e Mons. Svegliati lo notificava a Don Bosco:

 

                               Ill.mo e M. R. Signore,

 

                Sono dispiacente significarle non potersi ora approvare le Costituzioni del di Lei Istituto, perchè converrebbe modificarle sostanzialmente in due degli articoli principali. Il primo è quello delle Lettere Dimissoriali pei chierici, che debbono essere promossi tanto agli Ordini minori che sagri. Il secondo riguarda gli studii degli stessi chierici che l'Arcivescovo esige siano fatti nelle scuole del Seminario Diocesano. In quanto alle Lettere Dimissoriali nessuno degli Istituti di recente approvati ha il privilegio di permettere le Ordinazioni per la ragione chiarissima che potendo gli Ordinati essere facilmente dimessi dal loro Superiore, ovvero abbondando di essi l'Istituto, i Vescovi sarebbero obbligati loro malgrado a ritenerli nelle rispettive diocesi, senza avere avuto alcuna parte nelle Ordinazioni dei medesimi. Relativamente poi alle scuole frequentate dai chierici entro lo stesso Istituto, queste non possono sempre presentare quelle garanzie che si hanno nei Seminarii, che sono sorvegliati dai Vescovi. Fino a che alla direzione dell'Istituto vi è la S. V., sono certo che l'insegnamento sarà quale può desiderarsi; ma siccome le Costituzioni approvate che siano una volta, debbono servire anche di regola per i di Lei successori, così è necessario adottare delle massime che valgano a ben regolare l'Istituto, chiunque possa essere il Direttore del medesimo.

                La scuola adunque per i chierici non può ammettersi se non sotto la esclusiva dipendenza del Vescovo. Non posso qui dissimulare che parecchi Vescovi si sono rivolti direttamente alla Sagra Congregazione, onde non venissero approvati gli articoli di cui ho fatto fin qui parola; perchè i chierici appartenenti al di lei Istituto non sempre riescono a sufficienza istruiti, sì perchè non hanno il tempo necessario a studiare, essendo occupati alla sorveglianza dei giovanetti che si trovano nello stabilimento, ed anche perchè i maestri non sempre rispondono ai bisogni degli accennati articoli. Le altre cose possono essere approvate con lievi modificazioni, sebbene si sarebbe desiderato che tutte le osservazioni fatte in altra circostanza fossero state inserite nelle suddette Costituzioni. [379] Non posso chiudere la presente senza notarle brevemente che gli stessi Vescovi, i quali fanno opposizione agli articoli relativi ai chierici, lodano sommamente in tutto il resto il di Lei zelo e fanno elogi dell'Istituto.

                Senza che vi sia bisogno di accennarlo, V. S. comprenderà facilmente che quanto ho fin qui scritto mi è stato ordinato da chi può darmi disposizioni in proposito e perciò non deve ritenere le mie parole come esprimenti una particolare opinione.

                Profitto di questa opportunità per incoraggiarla a non venir meno nel fare il bene che può maggiore alla gioventù, che ha tanto bisogno di essere cristianamente istruita, e nel tempo stesso me le riprotesto con sincera stima

 

                2 ottobre 1868,

Mons. SVEGLIATI, Seg.

 

M. R. Sig. Don Giovanni Bosco,

Superiore dell'Istituto di S. Francesco di Sales.

 

 

                Le difficoltà che Don Bosco incontrava nel far approvare dalla S. Sede la sua Pia Società sorgevano dalle stesse Costituzioni che sotto un certo punto di vista parevano novità perchè adattate ai tempi che correvano difficilissimi, come abbiamo osservato altrove; sorgevano dall'opposizione di chi avrebbe preferito che l'Oratorio rimanesse un istituto diocesano e nulla più e quindi si adombrava di ogni atto che il Venerabile era costretto a fare come Fondatore di una nuova Società ecclesiastica; sorgevano da un'errata interpretazione del 1° articolo delle Regole “sul fine della Pia Società” ove si leggeva essere anche suo scopo l'educazione del giovane, clero, cioè la formazione di tanti giovanetti raccolti nelle nostre case per gli studii, allo scopo precipuo di avviarli allo Stato Ecclesiastico, giacchè le Regole non accennavano, se non secondariamente, a Seminari dipendenti dai Vescovi.

                Il Venerabile non si sgomentò per questa negativa: e di fronte alle proposte modificazioni che non concordavano colle sue idee circa lo scopo che egli voleva dare all'Istituto, benchè pronto all'obbedienza quando gli fosse imposta, non desisté dal dare spiegazioni e dall'intensificare le pratiche per [380] conseguire il suo intento, sempre con calma imperturbabile e rispettosa. Sapeva che Pio IX gli era assai favorevole, che anzi egli in persona aveva date spiegazioni su tali dubbii al Prefetto della Sacra Congregazione. Ma era prudente sistema del Pontefice che ogni questione ecclesiastica fosse presentata, discussa e definita regolarmente dalle Sacre Congregazioni; e solo in certi casi, in via di favore, egli faceva uso della sua suprema autorità. Nei momenti più difficili furono appunto i consigli di Pio IX, che permisero al Servo di Dio di superare gravissimi ostacoli, come vedremo.

 

 

CAPO XXX. Sussidio all'Oratorio dal Ministero dei Lavori Pubblici - Generosa offerta di una buona vecchia salvata da un incendio per grazia di Maria Ausiliatrice - Don Bosco promette speciali preghiere a una contessa milanese per un figlio infermo - Va ai Becchi per la festa del Rosario - Scrive al Cavaliere: Raccomanda la nuova opera della Biblioteca della Gioventù Italiana: dà notizie della festa e dei giovani che sono con lui - Altra lettera al Direttore di Lanzo: gli chiede nota degli alunni della diocesi di Genova: avvisi importanti: raccomanda la diffusione delle Letture Cattoliche - Don Bosco scrive al prefetto di Mirabello: Avvisi ai Superiori di quel Collegio: una vestizione clericale: condizioni colle quali accetta nell'Oratorio un giovane raccomandato: vuole a tutti i costi che il collegio si riempia di giovani - Articolo dell'Unità Cattolica in lode di quel Collegio Don Bosco ritorna nell'Oratorio: sua prima parola ai giovani è di esortarli a pregare la Madonna che li tenga lontani dalla colpa - Colla parola e coll'esempio è maestro e modello dell'angelica virtù - Alcune testimonianze - Resoconto della scuola dell'Oratorio di S. Luigi - Lettera di Don Bosco a D. Bonetti: spera che il Provveditore agli studi riconoscerà il Collegio di Mirabello come Piccolo Seminario: egli dica al Vescovo che con lettera confermi la verità della sua asserzione - Lettera di Don Bosco alla Contessa Callori: l'edifizio destinato pel liceo si coprirà quest'anno: buone notizie di suo figlio - Si comincia a fare il pane nell'Oratorio - Don Bosco scrive ad un sacerdote di Lucca: lo ringrazia di un'offerta e lo [382] invita a venire a Torino; gli manda alcune medaglie per persone - Don Almerico Guerra offre a Don Bosco un suo libro di novene in onore di Maria SS. - Ritorno dei giovani dalle vacanze - Morte del giovane Venerando Castelli - Breve parlata di Don Bosco - Egli ottiene oggetti di corredo militare fuori d'uso dal Ministero della Guerra - Spaventose inondazioni nell'alta Italia: Don Bosco si offre a ricoverare due fanciulli di famiglie danneggiate.

 

                MENTRE si disponeva ad andare ai Becchi co' suoi giovani per la festa del S. Rosario, Don Bosco riceveva dal Ministero dei Lavori Pubblici il seguente foglio :

 

Firenze, ottobre 1868.

 

                La tenuta dei fondi del Capitolo relativo ai sussidii del Bilancio per l'anno corrente non permise di accordare all'Istituto dalla S. V. diretto una elargizione superiore alle L. 300, per cui venne testé spedito in suo capo il relativo mandato, esigibile presso codesta Tesoreria Provinciale.

                Nel rendere di ciò consapevole la S. V. per di Lei norma spiace allo scrivente di dover soggiungere che alla rinnovazione del detto sussidio nel prossimo anno osterà la maggiore riduzione che si è dovuto introdurre su questo ramo di spesa nel progetto del Bilancio 1869 in conseguenza delle deliberazioni prese dal Parlamento nella discussione del Bilancio medesimo.

Il Commissario Generale

BELLA.

 

                Era questa la stagione nella quale maggiormente scarseggiavano i soccorsi all'Oratorio, perchè tutti i signori erano dispersi nelle loro villeggiature e lungi di città, ai monti e al mare: ed ogni diminuzione di sussidii, talvolta promessi e aspettati, metteva in gravi imbarazzi Don Bosco nel far le spese o nel pagare qualche debito. Egli aveva appena letto il foglio ministeriale, e ringraziata la Madonna per quel soccorso, quando vide entrare in sua camera “una buona vecchierella che tutta allegra gli dice: [383]

                - Veda, Don Bosco, una povera donna che è viva per miracolo di Maria Ausiliatrice. Io mi trovava in casa quando un violento e repentino incendio mi chiuse ogni uscita e già assediata ed assalita dalle fiamme aveva gli abiti tutti in fuoco. Già sentiva il bruciore in tutta la persona, quando ricordatami di Maria Ausiliatrice, non dissi altro che queste parole: “ Oh Maria Ausiliatrice, non permettete che io abbia a fare una morte così disperata!” Detto questo le fiamme si spensero intorno a me, e sparirono persino i segni del bruciore che già aveva nella vita e nelle mani. Potei col soccorso d'altri essere tolta da quel luogo, ma fin che io vi rimasi le fiamme non progredirono.

                Detto questo consegnò a Don Bosco per la Madonna una oblazione di lire tre mila, che era il frutto di sue povere economie di tutta la vita, giacchè era operaia di professione”.

                Questa narrazione è scritta dal Cav. Oreglia alla Rev. Madre Galeffi.

                Di quei giorni erano giunte a Don Bosco altre lettere di persone che si raccomandavano alle sue preghiere, ed egli il mattino del 3 ottobre, in cui partiva per i Becchi, rispondeva pure alla Contessa Caccia Dominioni in Milano.

 

Torino, 3 ottobre 1868.

 

                               Benemerita signora Contessa,

 

                Non aveva un'idea chiara degli incomodi, a cui va soggetto suo figlio. Mi pensava che fosse solo stanchezza: ora non mancherò di fare speciali preghiere per lui. Anzi alla metà circa del corrente mese spero di fare una gita a Milano e se mai sono di ritorno dalla campagna gli darò una speciale benedizione; se non è ancora in Milano, gliela manderò dalla tomba di S. Carlo, dove spero di andare a celebrare la S. Messa.

                Si assicuri, signora Contessa, ch'io la raccomando tutti i giorni nella S. Messa e nelle comuni nostre preghiere e con Lei raccomando tutta la famiglia. La vita del cristiano è vita di fede: speriamo tutto dalla bontà del Signore. Mi trovo a Castelnuovo d'Asti con una porzione della mia famiglia; fra pochi giorni sarò di nuovo a Torino. [384] Dio benedica Lei e tutta la sua famiglia e dia a tutti sanità stabile e lunghi anni di vita felice. Preghi per me che con gratitudine le sono

aff.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Il 4 ottobre, ai Becchi, non fu gran concorso di popolo alle funzioni religiose, per il cattivo tempo. Don Bosco di là scriveva a Torino, a Lanzo e a Mirabello dando commissioni e consigli.

 

Castelnuovo, 5 ottobre 1868.

 

                               Carissimo sig. Cavaliere,

 

                Osservi se fu già risposto pel giovane raccomandato da D. Giacinto Bianchi. Credo sia accettato; àvvi lettera e non so che ne sia avvenuto.

                Non lasci dormire l'opera della Biblioteca della Gioventù Italiana. Venerdì a sera io sono a Torino; sabato e domenica me ne posso occupare; lunedì dovrò di nuovo allontanarmi da casa.

                Ieri pioggia tutto il giorno; oggi sole; i giovani tutti bene in salute e partono in questo momento per andare a mangiare la polenta dal Prevosto di Castelnuovo. Conte e Contessa Arnaud sono andati ieri a Torino. Alberto fu qui e m'incarica di salutarla.

                Coraggio, caro Cavaliere, combattiamo, non siamo soli, Dio è con noi; la vita è breve, le spine del tempo sono fiori per l'eternità.

                Dio ci benedica tutti. Amen.

Aff.mo in G. C.

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

Castelnuovo, 5 ottobre 1868.

 

                               Carissimo D. Lemoyne,

 

                Credo che ti occuperai a riempire il Collegio di Lanzo fino all'orlo.

                Fammi una nota dei giovani della diocesi di Genova che hanno popolato o popolano il collegio di Lanzo.

                Sono a Castelnuovo; venerdì a sera spero di essere a Torino.

                Dio benedica te e tutta la tua famiglia.

                A Demagistris: Esto vir.

                Salutali tutti da parte mia e credimi,

Aff.mo in G. C.

Sac. Gio. Bosco.

 

                PS. - Ricordi importantissimi per Direttore di una casa:

                1° Osserva tutto.

                2° Va' da per tutto. [385]

                3° Parla con tutti.

                4° Confidenza coi subalterni superiori.

                Consigliati spesso con D. Bodratto. Ti raccomando totis viribus la diffusione del piano d'associazione delle Letture Cattoliche.

 

                               Carissimo Don Provera,

 

                Aveva divisato di fare una gita a Mirabello, ma il tafferuglio di questi giorni mi ha impedito, anzi mi fece interrompere la via e ritornerò a Torino. Scrivimi quanto ti occorre e ti risponderò per le rime. Intanto procura di parlar sovente con D. Cerruti e con D. Bonetti; avvisatevi e consigliatevi: alter alterius onera portate, ei sic adimplebitis legem Christi.

                Dirai a Bussi di Giarole, che se la delegazione di vestizione è fatta in capo al suo parroco deve vestirsi in parrocchia. Se poi la delegazione è fatta in capo a me, si vestirà all'Oratorio. Ma questa deve farsi da colui che ne è delegato dal Vescovo. Chiama un momento M... (un giovane) e digli che io sono pronto a riceverlo mercé che mi prometta: 1° di non dare scandalo né con opere, né con fatti a' suoi compagni; 2° al minimo scandalo di cose immodeste, io sono obbligato di mandarlo sull'istante a casa.

                Quanti giovani nuovi accetti di questo anno? Don Bonetti ti avrà detto che io voglio che quest'anno andiamo a 170; altrimenti ne manderò da Torino gratis finchè siamo a quel numero, perciò procurate di trovarne altrove[14].

                Don Cerruti e D. Bonetti sono buoni? Fa' i miei saluti a' tuoi parenti e a tutta la bella brigata del Piccolo Seminario. Dio ci aiuti a perseverare nel bene e credimi sempre nel Signore,

 

                Castelnuovo 5 ottobre 1868,

 

Aff.mo amico

Sac. GIOVANNI Bosco. [386]

 

                Don Bosco giungeva a Torino da Castelnuovo il giorno 9 venerdì e la domenica a sera, dopo le orazioni, invitava tutti i giovani a passar bene le feste della Madonna che si celebrano in questo mese: disse loro che pregassero la S. Vergine a volerli aiutare per tener lontana ogni colpa, specialmente quella contraria alla bella virtù della purità.

                Quel sermoncino era come l'introduzione a tanti avvisi che avrebbe dato lungo l'anno. L'abbiamo udito sovente ripetere dal pulpito l'ammonizione di San Paolo a que' di Corinto: Corrumpunt mores bonos colloquia mala. Sotto i portici alla sera spiegò il versicolo dell'Ecclesiastico, capo XXVIII: “Fa' siepe di spine alle tue orecchie, e non ascoltare la mala lingua e metti una porta e un chiavistello alla tua bocca”.

                Parlando della fuga dei cattivi compagni faceva sue le parole dell'Apostolo delle genti: “Se àvvi alcuno tra voi, che pur si dice fratello, e sia malgrado ciò uno scostumato ..... scandaloso... maledico, voi non dovete avvicinarlo e con lui neppure prendere cibo”.

                Egli cercava d'ispirare la bella virtù nel cuore dei giovani con parole e modi delicatissimi. In quanto a ciò che riguardava il contegno esteriore, sovente, in nome della buona educazione, dell'urbanità, del rispetto reciproco, proibiva le soverchie famigliarità.

                Don Bosco era un modello di compostezza. Narra D. Dalmazzo Francesco: “Fin da quando conobbi Don Bosco, fui colpito dalla modestia con cui parlava ai giovanetti unita alla più grande affabilità. Egli non usava mai con loro quelle famigliarità che pure non disdicono ad un prete in mezzo ai fanciulli. Ordinariamente nel discorrere gli occhi teneva bassi, benchè gli alunni si accorgessero da qualche lampo come egli avesse un occhio finissimo e scrutatore”.

                Il suo parlare era castigatissimo.

                Più volte abbiamo notata la sua riserbatezza. Udendo qualcuno a parlare del vizio opposto alla virtù della castità [387] con qualche frase imprudente, egli diceva: - Queste sono di quelle cose che l'Apostolo S. Paolo non vuole si accennino fra i cristiani. - E soggiungeva: - Perchè non potete encomiare la virtù angelica, in vece di bruttarvi la bocca con queste parole?

                Se avveniva che alla sua presenza si accennasse a qualche fatto scandaloso di cui parlavano i pubblici fogli, lo si vedeva diventar prima serio e poi imponeva silenzio, mostrando chiaramente, di non poter sopportare tali discorsi.

                Fervorose invece uscivano dal suo cuore le giaculatorie perchè il Signore lo preservasse dal peccato.

                Don Merlone un giorno lo accompagnava al Rifugio e udì che prima di entrare esclamò sottovoce: - Fac Domine ut servem coi, et corpus meum immaculatum tibi ut non confundar. E rivoltosi a D. Merlone aggiunse: - Vedi, mio caro, un sacerdote fedele alla sua vocazione è un angelo; e chi noti è tale che cosa é? Diventa un oggetto di compassione e spregio di tutti.

                E tutti vedevano in Don Bosco un angelo.

                Don Dalmazzo Francesco testificò che accompagnandolo un giorno nel 1868, nell'Istituto delle Orfanelle in Torino, ove trovasi oltre un centinaio di donzelle, notò con molta meraviglia che tutte le suore e le figlie si erano gettate in ginocchio ai suoi piedi e stavano con tale venerazione, come più non si farebbe ad un santo. Uscendo poi e domandandogli come mai avanti a lui stessero in tale atteggiamento, egli gli rispose: - Tutto questo proviene dal concetto che ha questa casa della castità sacerdotale. - E Don Bosco soggiungeva a suo ammaestramento: - Quando un sacerdote vive puro e casto, diventa padrone de' cuori e riscuote la venerazione dei fedeli.

                Colle persone di altro sesso, nobili e popolane, che dal 1865 fino al termine della sua vita vennero in numero incalcolabile a visitarlo per ragione del suo ministero o per ricorrere a Maria SS. o per raccomandare ragazzi, era molto riservato nel tratto;  [388] non fissavale mai in faccia, non stringeva mai loro la mano; tollerava solamente e non sempre che baciassero la sua. In camera sedeva ad una certa distanza da loro. Cercava possibilmente di essere breve e se qualche volta la conversazione si protraeva, diceva, per scusarsi, con S. Francesco di Sales: - E non è già una gran carità lasciarle parlare? Ne hanno tanto bisogno, poverine! - E tutti ammiravano quella compostezza. Benchè molte, in occasione di feste, in sagrestia o nel cortile gli si affollassero intorno per averne la benedizione, si vedeva in esse un sentimento di profondo rispetto e venerazione verso di lui. Nessuno degli spettatori fu mai udito fargli il menomo appunto sulla condotta.

                Tale era la stima che aveva di lui anche Mons. Galletti, Vescovo di Alba, che venuto a visitare Don Bosco, nell'entrare nella sua camera, non essendo egli allora presente, disse: - Oh che odore soave di santità vi è qui dentro! Era la stanza delle preghiere, delle veglie, del lavoro, della mortificazione anche nelle minime cose: insomma la stanza di un'anima pura.

                “La castità, testificò il Can. Berrone essendo in quell'anno allievo, si leggeva nel suo sguardo, nel suo contegno, nelle parole, in tutti i suoi atti, e bastava il mirarlo per sentire il profumo di questa sua virtù: ed io sono pienamente convinto che egli abbia portato alla tomba la stola dell'innocenza battesimale. - E come frutto delle sante sue massime e de' suoi buoni esempi ricordo con piacere che nell'Oratorio fioriva questa bella virtù”.

                Appena tornato da Castelnuovo, Don Bosco aveva preso ad esaminare le relazioni scritte che esigeva dai Direttori sul finire di ogni anno scolastico sull'andamento e sullo stato delle singole case e degli Oratorii festivi. Era per lui, uomo di esperienza, il modo di rimediare per l'anno seguente agli inconvenienti che fossero occorsi.

                Ci rimane la relazione seguente della scuola annessa all'Oratorio di S. Luigi a Porta Nuova:  [389]

 

                Riassunto della scuola di S. Litigi per l'anno scolastico 1867 - 68.

 

Entrate.

 

Per sottoscrizioni ed offerte

 L 665

Questua fatta agli esercizi a S. Ignazio

.~    215

Eventuali

.~      14 30

Totale

 L. 894 30

 

Spese

 

Stipendio al maestro.

 L. 600

Premi

 .~  168 30

Legna da ardere

 .~    10 80

Provviste scolastiche

 .~    66 75

Riparazioni

.~    36 45

Al portinaio

.~    10

Totale

 L. 894 30

 

Osservazioni.

 

                Il numero degli allievi inscritti ascese a 122. Alcuni lasciarono la scuola all'aprirsi di quelle dei Fratelli delle Scuole Cristiane, o delle municipali, alle quali se ne inviò il maggior numero possibile, purchè si potessero collocare presso buoni maestri. Una decina circa lasciarono lungo l'anno la scuola dei protestanti per frequentare questa. Si esercitò con alcuni una specie di patronato, cercando di collocarli presso onesti e religiosi padroni a lavorare in qualche mestiere. Benchè non si abbia avuto in generale una frequenza molto regolare, pure il numero dei presenti all'esame della metà dell'anno scolastico fu di 75; e di 60 a quello datosi in fine. Il profitto fatto nello studio in alcuni scolari è stato discretamente soddisfacente, massime riguardo al Catechismo e Storia Sacra. Ma nella maggior parte è stato piccolo assai; il che deve attribuirsi alle seguenti cagioni principali:

                1° Bonarietà del maestro nel mantenere la disciplina, quindi:

                2° Irregolare frequenza e ritardo nello intervenire alla scuola.

                3° Trascurataggine dei parenti.

                4° Al numero assai notevole degli alunni.

                5° Ai molti periodi in cui dovette essere divisa la classe.

                6° Al locale disadatto.

                7° All'economia che si cercò di fare nel provvedere libri e quaderni. NB. - Si ebbe l'offerta di oggetti scolastici pel valore approssimativo di L. 50.

 

                Nello stesso tempo, avendo già assegnato il personale insegnante alle scuole, bisognava che assicurasse l'approvazione [390] dell'Autorità scolastica a quello di Mirabello, pel quale non sarebbero stati necessarii i diplomi legali, se il Provveditore agli studii di Alessandria avesse continuato a riconoscere il collegio come Piccolo Seminario diocesano.

                Don Bosco gli aveva scritto in questo senso e della risposta ne rendeva informato il Direttore.

 

 

                               Carissimo Don Bonetti,

 

                Ti mando la lettera scrittami dal Provveditore. Da ciò sembra che non avremo disturbi, e qualora dovessimo anche dare nota degli insegnanti, non perciò saremmo molestati. Credo però che ne faremo a meno. Io credo che il Vescovo potrebbe scrivermi lettera sul tenore di quanto ti noto qui. Egli poi si esprima come giudica meglio, purchè seguitiamo il filo che lo stesso Provveditore sembra volerci tracciare per sostenere l'autonomia del Piccolo Seminario.

                Farai poi umili ed ossequiosi saluti a Monsignore, che spero di poter riverire di presenza fra breve.

                Dio ci benedica tutti e pregate per me sempre

Aff.mo in G. C.

Sac. G. Bosco.

 

                Anche il compimento di varie costruzioni teneva occupato il Venerabile. Abbiamo già detto com'egli ideasse di erigere un liceo in Torino. Non avendo potuto accettare l'offerta fatta dalla signora Chirio, aveva deliberato di costrurre a tale scopo un edifizio nell'Oratorio dalla parte di mezzogiorno, e ne aveva gettate le fondamenta lungo la via Cottolengo fino quasi a due terzi della cinta del cortile, poi detto di Maria Ausiliatrice. Lo spazio tra questo edifizio a due piani con portici e la chiesa, era occupato da una casetta proprietà di un certo Coriasco falegname.

                Ora di questo edifizio, dei suoi progetti per il liceo e di altre cose, scriveva alla Contessa Callori.

 

 

                               Benemerita signora Contessa,

 

                Stia pure tranquilla che V. S. non ha debito di copie del Cattolico Provveduto verso la nostra tipografia, che le deve ancora far pervenire parecchie copie del medesimo a semplice sua richiesta. [391] Riguardo al locale pel Liceo io fo' continuare alacremente e sebbene io abbia dovuto superare già molte difficoltà, di quest'anno si coprirà, spero nel Signore, e nella prossima primavera entro breve termine sarà condotto a fine.

                Ma per evitare rivalità ed ostilità io debbo tenere il metodo finora seguito: fare senza dire. Difatti l'anno scorso avevamo venticinque filosofi, quest'anno ne abbiamo trentacinque. Studiano, prendono i loro esami, ma niuno sa niente.

                In quanto al danaro che Ella accenna, se può darmelo in novembre o dicembre, come altra volta mi diceva, è molto opportuno; altrimenti faccia con sua comodità e noi l'accetteremo sempre colla massima gratitudine in qualunque tempo e misura.

                Non mancherò, signora Contessa, di pregare ogni giorno nella S. Messa per Lei e per tutta la rispettabile famiglia, cui offro indistintamente gli omaggi della mia viva gratitudine.

                Domenica Bimbo co' suoi compagni e con un assistente venne all'Oratorio. Gli ho potuto parlare liberamente. Sta molto bene; è di buon umore e mi incaricò di dire a tutti i suoi di casa che ogni suo affare va bene.

                Dio benedica Lei e tutta la sua famiglia, preghi per la povera anima mia e mi creda con profonda gratitudine

                Di V. S. B.

 

                Torino, 14 Ottobre 1868.

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

                A questa lettera Don Bosco aveva incluso un piallo d'associazione per le Letture Cattoliche, scrivendovi sopra di proprio pugno: Se ne raccomanda caldamente la diffusione.

                Don Bosco pensò anche, dice la cronaca di Don Rua, di far lavorare il pane in casa, lasciando di servirsi dai panettieri esterni. Aveva accolto alcuni abili in quel mestiere, contenti di far vita con lui, e quindi nei sotterranei della chiesa di Maria Ausiliatrice furono costrutti i forni. Questi vennero inaugurati il 19 novembre, vigilia dei santi martiri Solutore, Avventore ed Ottavio, venerati nella chiesa sovrastante, e furon messi sotto il loro patrocinio, la cui festa era segnalata dal suono delle campane all'Ave Maria del mattino, dall'apparato del loro altare, da Comunioni più numerose perchè raccomandate dalla solenne benedizione del Santissimo alla [392] sera. E pel patrocinio dei martiri quel laboratorio doveva prosperare. Da quel giorno (19) si incominciò a fare il pane. Enorme era la quantità giornaliera, da seicento a settecento chilogrammi. Da trentanove anni dura costante tale meravigliosa produzione, ora agevolata dal forno a vapore e dalla madia meccanica. Per qualche tempo si aggiunse anche una macchina per fabbricare le paste.

                In mezzo a tante occupazioni e nel continuato ricorso che si faceva alle sue preghiere presso Maria Ausiliatrice, il Venerabile non dimenticava la povera anima sua. Ce lo attestano due lettere, scritte di quei giorni a Don Salvatore Bertini di Lucca.

 

 

                               Carissimo sig. D. Bertini,

 

                Ho ricevuto la sua cara lettera colla limosina che mi manda da parte della famiglia Catturegli e la ringrazio di tutto cuore. Ho fatte le preghiere che mi ha accennate; e non mancherò di raccomandare ogni giorno nella S. Messa il capo che non fa il capo di famiglia.

                A Lei poi, caro D. Bertini, auguro dal Signore carità e pazienza ed un po' di coraggio per venire fino a Torino a vedere la chiesa di Maria Ausiliatrice e dirci una messa. Noi teniamo una camera a sua disposizione.

                Abbia la bontà di salutare da parte mia il sig. D. Cianetti, il mio allievo Catturegli co' suoi parenti. Ella poi preghi per la povera anima mia.

                Dio benedica Lei e le sue fatiche e mi creda con pienezza di affezione,

                Di V. S. Car.ma,

 

                Torino, 14 ottobre 1868,

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

 

                               Carissimo D. Bertini,

 

                Spero che dopo la lettera verrà anche la sua persona. Le mando alcune medaglie per dare alle persone che hanno bisogno di grazie da Maria Ausiliatrice. Le portino indosso con fede e spero che otterranno i maravigliosi effetti che tanti altri hanno ottenuti e tutti i giorni ottengono.

                Caro D. Bertini, si assicuri che la raccomando nella mia pochezza ogni giorno nella S. Messa; pregherò anche per le persone che mi  [393] raccomanda. Preghino essi pure per la povera anima mia. Dio ci aiuti a perseverare per la via del Cielo. Amen.

 

                Torino, 28 ottobre 1868.

aff.mo amico

Sac. Giov. Bosco.

 

                Anche un altro sacerdote di Lucca, D. Almerico Guerra, distinto scrittore, era amico di Don Bosco. Egli aveva stampato un libro devoto: Novene in Preparazione alle feste principali feste di Maria SS. con un settenario in ossequio ai suoi dolori; e ne mandava copia a Don Bosco con questo biglietto:

 

 

                               M. R. Sac. D. Giovanni Bosco,

 

                Ardisco inviarle questo libretto pregando a titolo di carità la S. V. M. R. a raccomandarmi caldamente alla B. V. Maria Ausiliatrice, acciocchè degnisi ottenermi quei divini aiuti dei quali abbisogna l'anima mia, e, piacendo al Signore, anche un poco di sanità, per giovare al prossimo, specialmente negli uffici del sacerdotale ministero.

 

                Lucca, 19 ottobre 1868.

 

Il suo Um.mo Dev.mo Servo in G. C.

Sac. ALMERICO GUERRA.

 

                Intanto i giovani tornavano dalle vacanze e fraternizzavano con un centinaio di nuovi alunni accettati da D. Bosco, accolti a festa da quelli che non s'erano mossi dall'Oratorio. Naturalmente i primi discorsi cadevano sopra il Servo di Dio. Quelli che rientravano erano persuasi che dalla metà di giugno non fosse più morto alcuno nell'Oratorio: e le feste straordinarie della chiesa di Maria Ausiliatrice, la preparazione agli esami nel mese di luglio e di agosto che assorbiva tutti i loro pensieri, le vacanze colle loro divagazioni, dovettero in molti far dimenticare o illanguidire il ricordo della strenna del Capo d'Anno. Pensate quindi con quale meraviglia udirono la notizia della morte di Bonenti! Tutti ricordarono allora le parole di Don Bosco, verificarono le circostanze, e si persuasero che si accordavano con quelle indicate per la morte del terzo del sogno. Egli non si sarebbe [394] trovato convenientemente disposto per andare con sicurezza al tribunale di Dio: Don Bosco l'avrebbe preparato a ben morire; i parenti non lo avrebbero visitato; i giovani che avrebbero recata la notizia della sua morte, sarebbero venuti da un luogo poco distante dal giardino, ossia dall'Oratorio.

                Questo fatto destò più viva curiosità di verificare l'altra predizione dei sei che in quell'anno, oltre i tre suddetti, dovevano passare all'eternità. Erano già morti Petiva, Rossi, Croci, Bongiovanni. Ed il registro della Casa dice: “Nella seconda metà di ottobre muore nell'Oratorio il buon giovane falegname Venerando Castelli di Felice, Torinese”. Era il quinto.

                Il 19 ottobre, lunedì, Don Bosco così parlava agli alunni:

 

19 ottobre 1868.

 

                Ho piacere di rivedervi e non vi dico altro se non ciò che dice S. Paolo: Qui stai, videat ne cadat. Chi è in grazia di Dio stia allegro, ma guardi di non cadere. Chi fosse caduto statim resurgat, sorga subito e si metta in grazia di Dio colla S. Confessione. Domani chi può faccia la S. Comunione e preghi per ottenere una grazia singolare di molta importanza, ma che ridonderà anche quasi tutta a nostro vantaggio. Io pure pregherò nella S. Messa.

 

                Il Venerabile parlava ai giovani dell'anima, ma premuroso come sempre per il loro benessere corporale, procurava loro anche il modo di ripararsi dai rigori dell'inverno imminente.

 

                MINISTERO DELLA GUERRA.

Firenze, 25 ottobre 1868.

 

                Secondando la di Lei domanda del 15 corrente questo Ministero ha disposto presso la Direzione dei Magazzini del materiale per i servizi amministrativi in codesta città, affinchè siano tenuti a disposizione della persona che V. S. Rev.da incaricherà di farne il ritiro, i seguenti oggetti di corredo fuori uso, i quali dovranno essere utilizzati a favore dei ricoverati in cotesta Casa di Beneficenza, durante l'attuale invernale stagione. [395]

N. 50 Berretti di panno.

” 100 Camicie di tela cotone.

” 400 Coperte di lana da campo.

” 50 Lenzuola di tela.

” 30 Pantaloni di panno.

Pel Ministro

LERICI.

 

                Era Ministro Bertolé Viale.

                Come provvedeva ai giovani dell'Oratorio, il cuore di Don Bosco si riempiva di compassione per le pubbliche sventure.

                Nello scorcio del settembre e sul cominciare d'ottobre dirottissime pioggie eran cadute sulle Alpi e avevano cagionato in Savoia, nella Svizzera e in intere provincie dell'Alta Italia tali piene straordinarie di torrenti e di fiumi che appena a memoria d'uomo si poteva riscontrare alcunchè di somigliante. Le inondazioni portarono grandi rovine in molte borgate e fecero anche vittime umane. Le acque allagarono intiere città. Non poteva darsi desolazione maggiore.

                Il Papa non poté non essere commosso nel conoscere questi dolorosissimi ragguagli e avea mandato mille lire a ciascuno ai Vescovi di Parma, di Mantova, di Verona, di Novara e altre mille al Vicario Capitolare di Corno.

                L'Unità Cattolica per espresso desiderio del Pontefice aveva aperto una sottoscrizione caritatevole in soccorso degli inondati, che nel solo ottobre toccò la somma di 11.200 lire. Il Servo di Dio si era sottoscritto con queste parole:

                “Il sacerdote Giovanni Bosco offre il posto nel suo stabilimento a due giovanetti di famiglie danneggiate dall'inondazione”.

                Così nell'Unità Cattolica del 16 ottobre 1868.

 

 

CAPO XXXI. Inaugurazione delle scuole nell'Oratorio - Vigilanza sui libri che leggono gli alunni - Parlate di Don Bosco; Sogno: i becchini e una bara: la luna che annunzia la morte di un giovane fra due mesi e mezzo - Perchè non si  avverò mia predizione - Preghiere per i defunti: la visita al camposanto - La pigrizia e l'accidia: i buoni non si spaventino dei motteggi dei cattivi: di questi schernitori se ne dia nota a Don Bosco - Costanza nello studiare - Non far distinzione nel trattare coi compagni - Napoleone e la presenza reale di Gesù nell'Eucaristia - Parole sugli ordini sacri, sulla gerarchia e su certi riti della chiesa - Condotta che deve tenere un chierico: conservare gelosamente la bella virtù: buon esempio agli alunni - Il timore di Dio e la superbia - Annunzia l'esercizio di buona morte e la prossima partenza di un altro giovane per l'eternità - Attenzione alle rubriche nel servire alla Santa Messa: pratica di alcune virtù - Letture Cattoliche: RIMEMBRANZA DI UNA SOLENNITÀ IN ONORE DI MARIA AUSILIATRICE -

 

                Don Bosco si raccomanda ad un nobile signore per la traduzione di un opuscolo francese - Biglietto per altra traduzione dall'italiano - Dono ad un professore nel suo giorno onomastico - Lettera alla Contessa Callori per commissione eseguita, per notizie di un giovane, per invito alla festa di S. Carlo a Mirabello - Continui servizii di [397]

 

                Don Bosco ai benefattori - Sua intimità con alcuni ministri della Casa del Re.

 

                DON Bosco aveva inaugurato l'anno scolastico 1868 - 1869 assistendo con tutti i Superiori alla lettura del Regolamento presente l'intera comunità. Egli era lieto e confidente, prendendo buon augurio dalla relazione delle grazie segnalatissime che si continuavano ad ottenere da numerosi fedeli coll'invocazione di Maria Ausiliatrice.

                Le scuole ginnasiali erano incominciate, e dopo la festa di Ognissanti i chierici studenti di Teologia avrebbero assistito regolarmente nell'Oratorio alle lezioni di Dogmatica, dettate dal Canonico Marengo professore in Seminario, di Morale da D. Giovanni Cagliero, di Sacra Scrittura da D Michele Rua.

                Tale disposizione era stata proposta dall'Arcivescovo, il quale aveva permesso che i chierici dell'Oratorio non fossero più obbligati a frequentare le scuole del Seminario. Per qualche anno però, questi continuarono a presentarsi agli esami, come per il passato, in Seminario, e poi Don Bosco procurò loro esaminatori fra quelli stessi che esaminavano i seminaristi, disponendo pure che avessero a compiere a un dipresso gli stessi studii che si facevano dai chierici della diocesi, e sui testi loro imposti.

                Il Can. Marengo dirigeva gli studii teologici e filosofici, e, quando morì, fu supplito dal Teol. Molinari, insegnante egli pure in Seminario. Questi venerandi amici di Don Bosco venivano a far gratuitamente le nostre scuole in ore per essi incomode, quelle cioè nelle quali i chierici erano liberi dalle classi e dall'assistenza dei giovani.

                Nello stesso tempo gli alunni ottemperavano ad una prescrizione importantissima, stabilita perchè i libri perversi non entrassero nell'Oratorio, o, entrativi casualmente, fossero ritirati al più presto. [398] Abbiamo già detto altrove come, fin da quando incominciò ad avere studenti, il Venerabile prescrivesse che al loro primo entrare nell'Ospizio e al principio di ogni anno scolastico presentassero al Superiore la lista completa dei libri che avevano portati seco; e che se altri lungo l'anno ne avessero da casa, o in qualunque altro modo loro pervenissero, fossero obbligati a farli esaminare dal Direttore degli studii. Se eran trovati cattivi, venivano distrutti: se non erano addattati alla loro condizione o età o indole, il Direttore li teneva in custodia e li restituiva a suo tempo. Fra questi si annoveravano i romanzi, dei quali Don Bosco era molto rigoroso nel proibire ai giovani la lettura, anche di quelli che comunemente si giudicano buoni. Ripeteva che siffatti libri offrono forniti alle passioni e fan perdere il tempo e la voglia degli studii serii.

                Anche dei Promessi sposi non consigliò mai la lettura, dicendo che non era un libro da mettersi in mano ai ragazzi e ripeté più volte

                 - Credete alla mia esperienza; causa di molte vocazioni perdute fu la lettura di questo libro del Manzoni.

                Lo tollerò solamente, quando dal Ministro dell'Istruzione pubblica fu prescritto nelle scuole.

                Mentre si ordinavano le cose per l'anno scolastico 1868 - 1869, la parola di Don Bosco continuava, ogni qualvolta lo potesse, a dare salutari avvisi ai giovani. Di alcuni suoi discorsini fanno memoria le cronache.

                La sera del 30 ottobre raccontava un sogno:

                Il motivo per cui vi ho radunati tutti qui, anche gli artigiani, si è che voglio raccontarvi qualche cosetta. Immaginate di vedere tutti i giovani nel cortile a divertirsi. Incomincia ad imbrunire, cessano i giuochi e le grida; si formano crocchi numerosi in aspettazione che la campanella dia il segnale di andare allo studio; havvi ancora qualcheduno che passeggia; intanto la sera si avanza e appena appena si può conoscere un giovane e distinguerlo da un altro, andandogli vicino. Ed ecco si vedono entrare dalla porteria due becchini che camminando a passo concitato portano sulle spalle urla cassa da morto. I giovani al loro passaggio fanno largo. Que' due uomini vengono avanti,  [399] depongono la bara per terra in mezzo al cortile che sta davanti all'ufficio della Prefettura interna dell'Oratorio. I giovani si dispongono intorno formando un vasto circolo, ma nessuno parla per la paura.

                I becchini tolgono il coperchio alla cassa.

                In quell'istante compare la luna colla sua luce chiara, viva, e lentamente fa un primo giro intorno alla cupola della Chiesa di Maria Ausiliatrice: ne fa un secondo, e poi ne incomincia un terzo ma non lo finisce e si ferma sopra la Chiesa, quasi fosse per cadere.

                Intanto, appena la luna ebbe incominciato a illuminare il cortile, uno dei becchini fece un giro, poi un altro innanzi alle file degli alunni, fissando ben da vicino il volto di ciascuno; finchè vedutone uno sulla cui fronte stava scritto: Morieris, lo prese per metterlo nella cassa.

                 - Tocca a te, gli disse.

                Quegli gridava: - Sono ancor giovane, vorrei ancora prepararmi, far delle buone opere che non ho fatte finora!

                 - Io non debbo risponderti a questo.

                 - Ma almeno possa ancora andare a rivedere i miei parenti.

                 - Io non posso risponderti a questo. Vedi là la luna? Ha fatto un giro, poi un altro, poi un poco più di un mezzo giro; appena scomparirà, tu verrai meco.

                Poco dopo la luna scomparve dall'orizzonte e il becchino prese il giovane per la vita, lo distese nella cassa, gli invitò sopra il coperchio e senz'altro lo portò via aiutato dal compagno.

                Avete udito il mio racconto. Adesso prendetelo come un apologo, e come una similitudine, o come un sogno; come volete. Ma queste cose accaddero già altre volte e si avverarono. Una volta ho anche raccontato un sogno in cui aveva veduto la cassa di un giovane deposta laggiù in fondo a questi portici. Quel giovane morì e si osservò che, malgrado che si fossero avvertiti i becchini di passare per l'altra parte, scesi essi qui nel cortile, dissero che mancava loro qualche cosa e, per non lasciare la bara in mezzo al cortile, vennero a deporre la cassa sotto i portici, nel luogo stesso dove io l'avevo veduta prima nel sogno.

                Ciascuno dica pure nel suo cuore: - Non sarò io! - e vivete pure allegri. Ma ciascuno stia preparato, affinchè dopo due giri e mezzo della luna, cioè due mesi e un po' più di mezzo mese, quel tale cui tocca sia preparato. Ricordatevi che la morte viene come un ladro notturno. E per questo approfittiamoci dell'avviso col far bene la festa di tutti i Santi. Havvi l'indulgenza plenaria e ciascuno per acquistarla non ha bisogno di confessarsi domenica: purchè si sia confessato dentro agli otto giorni, basta. E coll'indulgenza plenaria uno diventa, avanti al Signore, candido com'era quando ricevette il battesimo.

                Domani poi è digiuno; si faccia qualche mortificazione.

 

                Così lasciò testimonianza Don Gioachino Berto. [400] Questa predizione adunque avrebbe dovuto compiersi verso la metà del gennaio 1869. Gli alunni, in massima parte, vi prestavano fede. Noi qui aggiungeremo un'osservazione dello stesso Don Berto: “Noi eravamo già assuefatti a vedere avverarsi tali predizioni, sicchè ci avrebbe recato stupore, come di eccezione alla regola, il vederne alcuna non avverata. Mi ricordo di una sola volta, riguardo al giovane C... Egli cadde bensì gravemente ammalato, ma dopo aver ricevuto il SS. Viatico, e fors'anche l'estrema unzione, migliorò, vive tuttora ed è sacerdote. Il Servo di Dio mi diceva allora che esso era uno di quelli che doveva morire, ma soggiungeva: Il Signore gli ha voluto usare misericordia per le preghiere che si sono fatte per lui, e forse perchè non era abbastanza preparato”.

                Continuano le nostre memorie

 

I novembre 1868.

 

                Alla sera, dopo le orazioni, Don Bosco disse ai giovani:

                 - Tutto quello che si farà domani, si faccia per i nostri parenti defunti. Ciascuno in particolare faccia una preghiera per quello che fra di noi sarà il primo a morire. Andando a visitare il camposanto guardi quelle fosse già aperte e preparate, e scelga quella nella quale vorrà poi esser posto quando sia morto.

                Cinquemila persone, dalla festa dei santi dell'anno scorso fino a questa del 1868, furono portate al camposanto. Un altro anno forse saranno di più: ma, più o meno, altre 5000 saranno trasportate là nei dodici mesi venturi. Il corpo resterà là a marcire e l'anima andrà alla sua destinazione, che è l'eternità.

 

2 novembre 1868.

 

                I giovani andarono a visitare il campo santo. Don Bosco alla sera parlò in questa guisa:

                Due semplici parole. Siamo in principio dell'anno scolastico; guardiamoci bene da due difetti che si oppongono all'adempimento dei nostri doveri. Riguardo alla scienza c'è Madama Pigrizia, la quale fa sì che uno non studii. E Madama Accidia, la quale procura che uno faccia con svogliatezza le pratiche di pietà:

                I buoni intanto si facciano coraggio e non si lascino spaventare dalle dicerie dei cattivi, ed i cattivi si guardino bene dal burlare quelli che praticano le cose di religione. L'altr'anno so che si diceva per es. [401] la parola Bongiovannista contro i divoti: e questo nome non lo posso sentire che con dolore perchè ricorda la memoria di un sacerdote, Don Bongiovanni, il quale lasciò dietro di sé fama di buon chierico e di buon sacerdote. Mi raccomando ai maestri, agli assistenti, ai chierici tutti perchè invigilino. Se sentono ancora qualcheduno a proferire questo nome me lo diano in nota: similmente uno che burlasse in qualunque altro modo il compagno che pratica le cose di religione. Non si tolleri assolutamente ciò che reca sfregio alle cose di religione e di pietà. Alcuni di questi schernitori vennero da casa con un'aria disprezzante e altera, e dimostrano di credersi chi sa che cosa. Miserabili! Si dovranno poi far riduzioni nella pensione, a costoro o agli altri che sono buoni? Quest'oggi mi fu già data una nota di questi padroni del mondo e non son pochi. Anche di quelli mi fu data che domandano riduzioni di pensione, e di coloro che sono qui in prova.

                Facciamo così: mettiamoci tutti a praticare la virtù, e così faremo piacere prima a Dio e poi anche ai superiori.

 

3 novembre 1868.

 

                Don Bosco raccomandò ai giovani di mettersi a studiare di buona voglia. Non si perda il tempo, coll'ozio e colle letture inutili. Massima attenzione alle lezioni dei maestri. Quando non si intende, si domandino spiegazioni. Non perdiamoci di coraggio, se troviamo difficoltà. S. Gerolamo ci è esempio di costanza per lo studio delle Sacre Scritture. Egli si era preso l'incarico di tradurre la Bibbia dall'Ebraico in latino, e a tal fine si era ritirato in una spelonca. Dopo aver speso molto tempo in tale studio, non poteva riuscire a sciogliere moltissime difficoltà. Prese pertanto la deliberazione di sospendere quel lavoro. Ma un bel giorno uscito dalla caverna vide una roccia nella quale era scavata una buca. Si fermò a considerare come si era potuto produrre quella buca e venne a conoscere che era stata fatta, coll'andar del tempo, dal cadere, sullo stesso punto, di continue goccie d'acqua, da uno stillicidio. E disse tra sé: - Chi sa che questo non sia un avviso di Dio, perchè non mi perda d'animo, ma prosegua nel mio intento. Se una goccia d'acqua poté col tempo forare questa pietra, potrò io pure trar profitto del mio studio colla costanza. - E continuò, prese lezioni da un dottissimo Rabbino e compì la sua magnifica impresa con vantaggio incalcolabile di tutta la cristianità. Gutta cavat lapidem.

 

4 novembre 1868.

 

                Don Bosco parlò dell'attenzione, del rispetto, della carità in ogni circostanza, che deve prestare ogni alunno verso i singoli suoi compagni, senza esclusione di alcuno, e senza accettazione di persona, Quindi doversi trattare egualmente chi ha un aspetto gentile e chi l'ha grossolano; chi è ben portante nella persona e chi è deformato e [402] brutto; chi è ricco e ben vestito, e chi è poveretto e coperto di stracci, chi è fornito di bell'ingegno, e chi è di mente ottusa; lo stizzoso e il maligno, come l'amabile e il cortese, e via dicendo. E perchè?

                Immaginate una solenne processione, per es. quella del Corpus Domini. In mezzo alla moltitudine spettatrice e divota si avanzano le fila ordinate delle confraternite, degli ordini religiosi, del clero secolare. Compare una croce astile semplicemente inargentata, e il popolo le fa una riverenza, ed egualmente la fa ad una seconda croce ornata di fiori, dalla quale pende un prezioso stendardo. Ecco lui alto crocifisso, col Salvatore, insigne opera di arte, col legno fasciato di tartaruga e madreperla, con cerchi d'argento e le estremità sfolgoranti di metalli preziosi: vien dopo un altro crocifisso, scolpito grossolanamente e il legno, al quale è affisso, colorato di turchino, o di giallo: e il popolo rende onore, senza far differenza, a questo e a quello. Viene avanti la croce nera dei Cappuccini con una sindone candida che pende dal tronco trasversale; e poi croci astili d'argento, o di oro e anche ornate di pietre preziose, e la gente curva la fronte a tutte, senza far distinzione di sorta.

                In queste croci non vede altro che l'immagine del Salvatore e così dobbiamo noi riguardare, senza distinzione, ogni compagno. Ognun di essi porta l'immagine la similitudine di Dio. È corpo di Gesù Cristo, membro unito a membro Siamo tutti cittadini del cielo, donde aspettiamo il salvatore nostro Gesù Cristo, il quale verrà un giorno a trasformare il nostro corpo, vile ed abbietto, in un corpo incorruttibile, esente dalle miserie ed infermità, alle quali siamo oggetti nella vita presente. Egli, colla sua divina potenza, trasformerà il nostro corpo come il suo proprio corpo glorioso.

                Ecco i motivi del rispetto e della carità reciproca. La croce di Gesù è sempre croce, anche senza ornamenti. È da essa che ci vien ripetuto: Hoc est praeceptum meum, ut diligatis invicem, sicut dilexi vos.

 

5 novembre 1868.

 

                Don Bosco parlando della presenza reale di Gesù Cristo nella SS. Eucaristia disse come Napoleone, relegato nell'isola di S. Elena, rendesse solenne testimonianza a questa cattolica verità. Egli, in quella solitudine, amava di intrattenersi a parlare di cose di religione con alcuni suoi uffiziali, con lui deportati là dagli Inglesi. Un giorno il discorso cadde sopra la presenza reale di Gesù Cristo nella SS. Eucaristia. Uno degli ascoltatori sì mostrava restio ad accettare quel dogma e propendeva a credere vera l'eretica opinione di Calvino, cioè che l'Eucaristia fosse semplicemente una figura o un simbolo del Corpo di Gesù Cristo; e Napoleone gli rispose:

                 - Non è possibile che Gesù Cristo ci abbia dato solo una figura, un segno, un ricordo del suo corpo in quel momento solenne. Un uomo qualunque, io per esempio, vedendomi agli estremi e volendo lasciare [403] ai miei più cari amici qualche memoria, lascerei la cosa più preziosa che mi appartenesse. Ora voi sapete che Gesù Cristo era Dio e poteva lasciare sicuramente ai suoi fedeli qualche cosa di più prezioso di quel che possa lasciar io. Dunque egli ci ha lasciato realmente il suo corpo, perchè altrimenti non ci avrebbe lasciato niente di singolare, se avesse dato quello che voi dite ai suoi cari discepoli. Egli doveva lasciare un dono reale, divino, come esprimono le sue parole, colle quali lo aveva promesso e ce lo lasciò realmente.

 

6 novembre 1868.

 

                Dopo le orazioni della sera Don Bosco così parlò a tutti i sacerdoti, chierici e giovani, che dovevano vestire l'abito clericale, radunati nel refettorio.

                 - Vi annunzio che l'anno scolastico è incominciato: ai chierici che debbono andare in Seminario ed ai chiericandi io dico che l'abito non la il monaco. Dobbiamo essere lux mundi, ovvero lucerna ardens in domo Dei, perchè un chierico viene osservato da mille e mille, e guai se non risplende. E fra le cose di cui dobbiamo risplendere, credetelo pure, è la virtù della modestia. Per conservare questa virtù i maestri di spirito suggeriscono di far bene la meditazione, la visita a Gesù Sacramentato, la lettura spirituale e far uso delle giaculatorie, dell'esame di coscienza, ecc. Ciò sta bene, ma non è tutto: bisogna ricorrere ai rimedii per prevenire le cadute: non mettere le mani addosso, non andare a braccetto, non dar baci per nessun motivo, non mettere le mani sul collo, essere guardinghi negli sguardi, guardarsi per es. dal far regalucci ad uno più avvenente di un altro, fuggire le strette di mano. Quest'ultima cosa però è tollerabile per uno che vada o venga da casa; e si permette. L'altro mezzo è di non introdurre mai persona alcuna nella propria camerata o dormitorio, non far ribotte o merende insieme, ecc. Tutte queste cose non sono subito colpa, ma danno, se non altro, motivo ai maligni di parlare e interpretar male quelle azioni, le quali certamente sono pericolose per l'anima e per la virtù della modestia. Io poi desidererei anche che le celle degli assistenti si restringessero in modo, che vi fosse il posto del letto, della sedia e nulla più. E la ragione è questa: le celle un po' larghe furono già causa di tanti inali e mancò poco che anche noi, se non ne fossimo stati liberati, dovessimo deplorare gravi disordini. Inoltre nessuno prenda commissioni per comperare in città oggetti, libri, commestibili per altri: nessuno riceva danari dai giovani per custodirli: e come i giovani, anche voi, consegnate il danaro che possedete al prefetto.

                Che direste se vedeste un chierico star male in chiesa, far poco bene la genuflessione, sbadigliare in tempo della lettura spirituale? E invece un giovanetto che sta composto, modesto in chiesa? e defrauda la ricreazione per far la visita? Dovreste chiamare quel giovanetto e [404] dirgli: Deponi i tuoi abiti e li cangerai con quelli del chierico, fino a tanto che egli sia diventato più buono di te.

                Tutte queste cose io le dico a voi, e voi insegnatele ai giovani.

 

Domenica, 8 novembre 1868.

 

                D. Bosco disse: - Il principio di ogni sapienza è il timor di Dio: il principio d'ogni vizio è la superbia. - Ciò ripeteva a tutti coloro che gli erano intorno dopo cena.

 

10 novembre.

 

                Parole di Don Bosco: - Domani a sera ci saranno le confessioni e giovedì si farà l'esercizio di buona morte. Guardiamo di farlo bene perchè uno di noi farà ancora solamente questo, e non potrà più farne un altro.

 

                Il 22 novembre, Don Bosco parlò di alcuni difetti nei quali i giovani sogliono cadere nel servire la S. Messa. Fra le altre cose raccomandò di non chiudere il messale trasportandolo, e che nel dire il suscipiat si curi d'essere inginocchiati sui gradini dell'altare al proprio posto; e se si fosse ancora al tavolino delle ampolle quando il Sacerdote dice Orate fratres, nel rispondergli, si pongano in ginocchio rivolti all'altare. Raccomandò eziandio la carità nel trattare con tutti, l'astenersi dai furti, e l'evitare ogni tratto ed ogni cosa men che decente.

                Molte altre volte Don Bosco raccomandava agli alunni l'esatta osservanza delle cerimonie nel servire la Santa Messa, e negli anni scorsi aveva esposto l'importanza di onorare Dio col culto esterno. Con ciò intendeva anche d'innamorarli della vocazione ecclesiastica. Una sera disse:

                 - Da qui avanti, quando non avrò avvisi, annunzii o disposizioni da dare, mi contenterò di spiegarvi una parola.

                E questa parola la traeva dagli ordini sacri: - Tonsura - Ostiario - Esorcista - Lettore - Accolito - Suddiacono - Diacono - Sacerdote - Vescovo.

                Descriveva di ciascun ordine l'ufficio, l'importanza, la dignità, gli abiti che li distinguono, le loro attinenze colla SS. Eucaristia e coi fedeli. [405] Altre volte la parola era tolta dalla gerarchia ecclesiastica: Parroco - Arciprete - Canonico - Vescovo - Arcivescovo - Cardinale - o dalla liturgia: le candele, i candelieri, le tovaglie e le altre suppellettili dell'altare; la pianeta, la stola, il manipolo e le altre vesti sacerdotali; le ceneri, le palme, la benedizione del Fonte Battesimale, del Cereo Pasquale, ecc. ecc. Erano brevi ma vive descrizioni, unite a qualche ricordo storico e piccolo esempio che attraevano tutta l'attenzione dei giovani, ond'è che bene spesso questi, appena Don Bosco compariva sulla cattedra - su quella vecchia cattedra, che oggi si dovrebbe guardare come una reliquia - erompevano nel grido: - La parola, la parola!

                Per i mesi di novembre e dicembre egli aveva allestito, per le Letture Cattoliche, un opuscolo che trattava d'una delle più care glorie dell'Oratorio. Aveva il titolo: RIMEMBRANZA DI UNA SOLENNITÀ IN ONORE DI MARIA AUSILIATRICE PEL SACERDOTE GIOVANNI Bosco.

                Nel frontispizio rivelava il suo amore all'umiltà, con questa preghiera:

                O Gesù, così mansueto ed umile di cuore, rendete il mio cuore simile al vostro. - Indulgenza di 300 giorni - Pio IX, 25 gennaio 1868.

                Il fascicolo era dedicato anche al Sommo Pontefice.

                A voi - o supremo Gerarca della chiesa cattolica - che zelante Promotore delle glorie - dell'augusta Regina del cielo colle parole e coi fatti - alla costruzione della chiesa - a Maria aiuto dei cristiani - testé consacrata - efficacemente cooperaste; - a voi, veneratissimo Arcivescovo - della diocesi Torinese, - che con non leggero incomodo - la consacraste al Divin culto; - a voi venerandi prelati - che colla predicazione, - colle sacre funzioni, e prolungate fatiche - ne rendeste maestoso l'Ottavario - con solennità fra noi - piuttosto unica che rara; - a voi tutti, benemeriti Oblatori - ed Oblatrici, che col guardo della consolazione - mirate il frutto della vostra carità - sorgere a decoro della gran Madre del Salvatore [406] a vantaggio dei divoti suoi figli; - a voi questa rimembranza - qual piccolo segno - di molta ed incancellabile gratitudine - non potendo di più offro e dedico - pregando Iddio pietoso - che degnamente vi compensi - nel tempo e nella eternità.

                Dopo la dedica veniva una parola al lettore.

 

                La consecrazione testé fatta della Chiesa dedicata a Maria Ausiliatrice in questa città fu soggetto di molti riflessi e di molte ricerche. Chi colà ha potuto condurre tante persone di ogni età, di ogni paese e condizione a prendere parte alle funzioni di una Chiesa, che appena taluno aveva udito nominare? Molti fecero di presenza questa dimanda, altri con lettere. Ma non potendosi tutti altrimenti soddisfare, mi sono determinato di appagare i comuni desideri col pubblicare una breve relazione di quanto avvenne in quella faustissima occasione. Dai fatti che si esporranno ognuno potrà capire la ragione dello straordinario concorso a questa consacrazione, che tra noi non ebbe mai luogo, né abbiamo speranza che sia per rinnovarsi nei tempi futuri.

                Pertanto esporrò giorno per giorno con ordine le sacre funzioni e descriverò a parte quei fatti particolari che sembrano dover maggiormente interessare la pia curiosità dei lettori.

                Seguirà in fine un'appendice nella quale si rapporteranno vari documenti, cui precederanno due ragionamenti di Monsignor Ferré Vescovo di Casale, che ebbe la bontà di volerceli comunicare.

                Non accenno le fonti da cui attingo le notizie, perchè scrivo cose avvenute alla presenza di numerosa moltitudine che ampiamente può attestare la veracità di quanto si espone.

 

                Esposta la cronaca delle grandiose feste, prima di narrare in appendice alcune grazie ottenute per l'intercessione di Maria SS.ma, il Venerabile, volgendo la parola ai benemeriti oblatori, annunziava, come si è detto[15], l'applicazione di una messa quotidiana nel Santuario, accompagnata da altre preghiere e pie opere, a vantaggio e secondo l'intenzione di tutti quelli i quali in qualunque modo avevano o avrebbero concorso a beneficare la Chiesa e lo stabilimento annesso. Quindi aggiungeva una parola per quelli che avevano ottenuto [407] grazie da Maria Ausiliatrice, e una preghiera ai benefattori a volergli continuare la loro carità.

 

Una parola ai benemeriti Oblatori.

 

                A voi, o benemeriti Oblatori, che cosa dovrò dire per ringraziarvi della vostra carità? So che a voi basta la ricompensa del cristiano, la contentezza cioè che si prova da chi ha fatto un'opera buona. So parimenti essere paghi i vostri desiderii, perchè la vostra carità conseguì l'effetto desiderato col compimento del sacro edifizio. Edificio consacrato al divin culto, dove ogni giorno sono cantate le lodi al Signore; edifizio, dove, coll'aiuto di Dio, si faranno predicazioni, catechismi, saranno celebrate Messe, ascoltate le confessioni dei fedeli. Queste cose torneranno al vostro cuore della più grande consolazione.

                Tuttavia debbo dal canto mio ringraziarvi con tutto il cuore, e della fiducia riposta in me, e dell'efficace aiuto recatomi, cui mercé l'opera del Signore fu condotta a compimento. Io serberò verso di voi incancellabile gratitudine, e finchè vivrò noti cesserò mai d'invocare le benedizioni del Cielo sopra di voi, sopra i vostri parenti ed amici. Ciò farò ogni giorno, specialmente nel sacrifizio della santa Messa. Dio vi colmi dei suoi tesori celesti, o gloriosi oblatori, e vi conceda lunghi anni di vita felice; vi conceda il prezioso dono della perseveranza nel bene, e vi accolga tutti un giorno nella Beata Eternità.

                Affinchè poi questi auguri siano accolti dalla misericordia del Signore, fu stabilito un servizio religioso da farsi ogni giorno dell'anno per tutti coloro che in qualunque modo e misura hanno concorso o concorreranno a beneficare la chiesa o lo stabilimento annesso.....

 

A quelli che hanno ottenuto grazie da Maria Ausiliatrice.

 

                Molti di quelli che hanno ottenuto grazie particolari da Maria Ausiliatrice per giusti motivi noti amano che il loro ironie sia conosciuto, specialmente se le grazie sono spirituali, che ne formano il maggior numero. Ma niuno deve dispensarsi dai doveri di gratitudine verso la sua Celeste Benefattrice. Questi doveri si possono compiere in due modi col raccontare ad altri la grazia ottenuta, o promuovere con altro mezzo la divozione verso di questa nostra Madre. Ciò servirà ad altri di eccitamento a fare ricorso a Maria nelle loro necessità; mentre apriranno per loro stessi la strada a conseguire nuovi favori, grazie ancora più segnalate. Ma a tutti è poi caldamente raccomandato di compiere le promesse fatte. Le preghiere, le mortificazioni, le confessioni e le comunioni le opere di carità promesse siano puntualmente compiute: displicet, dice lo Spirito Santo, displicet enim Deo infidelis et stulta promissio; a Dio dispiace la stolta ed infedele promessa. [408] Si è più volte verificato che la mancanza di fedeltà alle fatte promesse tornò d'impedimento a conseguire la grazia sospirata, e talvolta fu rivocato il favore già ottenuto. Due onorate famiglie desideravano di avere figliuolanza che le rallegrasse ed ereditasse le sostanze paterne. Dio le esaudì; ma nella loro contentezza dimenticarono, le preghiere, le pratiche religiose, ed un'opera di carità che avevano promesso. Dio volle in modo terribile dimostrare quanto gli dispiaccia la promessa infedele. Ambidue i fanciulli morirono prima che toccassero i dodici mesi, lasciando quelle famiglie nella massima costernazione. Ad altri ritornarono i medesimi malanni ed anche peggiori. Cercatane la cagione, si trovò che erano state trascurate le obbligazioni assuntesi.

                È bene anche qui di notare che Iddio concede le grazie richieste in varie misure. Talvolta bisogna pregare lungo tempo, e la sola perseveranza ottiene. Alle volte si ottiene la totale liberazione da un male; altre volte il male non peggiora, o cessa totalmente, o ne è mitigata l'intensità: oppure dà la rassegnazione ai divini voleri; o finalmente Dio ci libera da altri mali, oppure ci cangia il favore temporale in favore spirituale che riguardi al belle eterno dell'anima. In tutti questi casi la nostra preghiera, portata dalla Santa Vergine al trono dell'Altissimo, fu esaudita, e noi le dobbiamo professare la più viva gratitudine e compiere le fatte promesse. Così facendo siamo certi, come ci assicura il Vangelo, di essere esauditi: Qui petit, accipit; le nostre preghiere non saranno mai senza frutto.

 

Una dimanda.

 

                A Voi, o pietosi Benefattori di questa Chiesa e del ricovero annesso, a Voi tutti, cui avverrà di leggere questa rimembranza, lui fo ardito di indirizzarvi rispettosamente una preghiera. Ascoltate l'edifizio di questa Chiesa si può dire compiuto; ma vi sono ancora non piccole spese a coprire e a soddisfare. Molte opere, molti arredi e paramentali difettano. Di più sono necessarie cose e persone pel compimento dei varii uffizi del sacro ministero, perciò io vi supplico a volermi continuare la vostra beneficenza e nelle vostre opere di carità di estendere la vostra mano anche verso la Chiesa di Maria Ausiliatrice e verso i poveri giovanetti dell'Oratorio di San Francesco di Sales. Noi tutti dal canto nostro non cesseremo di invocare le benedizioni  del Cielo sopra di Voi, nostri Benefattori, affinchè Dio ricco di grazie vi renda tutti felici nel tempo e nella Beata Eternità.

 

                Mentre veniva spedito agli associati detto opuscolo sul finire dell'ottobre, il Venerabile commetteva a persone istruite e versate in varie lingue, specialmente in francese,  [409] altri opuscoli pregevoli, perché, favorendo la buona stampa, li traducessero in italiano, o ne compilassero dei nuovi. Il pensiero delle Letture Cattoliche e della diffusione della buona stampa gli stava sempre fisso in mente.

                Scriveva al nobile signore Abele di Collegno.

 

 

                               Carissimo Sig. Cavaliere,

 

                Da molto tempo aveva desiderio di raccomandarle un lavoro e per mia dimenticanza ho differito finora.

                Eccole qui adunque due vite di Santa Maria Maddalena. Di queste Ella ne faccia una sola:

                1° Omettendo le preghiere ed i riflessi che non sono collegati col racconto;

                2° Omettansi le descrizioni francesi; si tengano quelle dei luoghi santi:

                3° Unendo o togliendo, ne faccia una sola composizione.

                Sono sempre nel desiderio di una sua visita alla nuova Chiesa, ma non cessiamo di raccomandarla a Dio ogni giorno nelle deboli nostre preghiere.

                Preghi Ella pure per noi e gradisca i sentimenti della mia gratitudine con cui mi professo

                Di V. S. Car.ma,

 

                Torino, 2 novembre 1868,

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                Un editore gli avea scritto esponendogli il divisamento di tradurre in francese le Mentorie storiche di Cesare Balbo, e pregava Don Bosco a raccomandarlo a chi ne aveva la proprietà letteraria.

                Don Bosco scrisse sulla lettera, che mandò al figlio del noto autore, queste parole:

 

                Il Sig. Conte Prospero Balbo abbia la bontà di leggere e poi, se non l'incomoda troppo, faccia una parola di risposta.

                Ogni bene a Lei ed alla sua famiglia.

Sac. Gio. Bosco.

 

                Altra lettera eragli ispirata da un'affettuosa riconoscenza. Attesta Don Gio. Battista Garino:  [410] Don Bosco il 4 novembre 1868, giorno dell'Onomastico del Cav. Carlo Bacchialoni, mandògli in regalo un libro: Il Cattolico Provveduto, accompagnando il dono con una letterina scritta di suo pugno nella prima pagina del libro. Io vidi il libro e la lettera in casa della Signora vedova Bacchialoni e ottenni di copiare la detta lettera che mi parve graziosissima. Eccola.

 

4 novembre 1868.

 

                Va', o libro, e pieno di giubilo presentati al coraggioso, al dotto, al cristiano Letterato Cav. Carlo Bacchialoni e digli che in questo bel giorno auguro a Lui e a tutta la rispettabile sua famiglia lunghi anni di vita felice. Tu rimarrai presso di Lui in ostaggio ed ogni volta che si compiacerà di aprirti, assicuralo sempre che questa tua dimora è un piccolo segno della molta indelebile mia gratitudine.

 

IL COMPILATORE.

 

                Scriveva pure alla nobile Contessa Carlotta Callori, per ringraziarla della sua inesauribile carità, per invitarla a Mirabello per la festa di S. Carlo, e per altri affari.

 

 

                               Benemerita Contessa,

 

                Ho parlato coll'ideato portinaio, di nome Rosselli Giovanili Batta di anni 32, colla moglie di anni 24, senza prole. Esso è libero e accetterebbe ben volentieri il posto di suo portinaio. Per fedeltà possiamo stare tranquilli. Dimani esso va a fare il cuoco in una famiglia, ma non prende alcun impegno e può rendersi libero a suo piacimento.

                Ove mi dia ordini in proposito, io li eseguirò.

                Ho veduto Peracchio disposto di andare militare, qualora il Vescovo nol potesse più richiamare. Gli ho detto se non credeva a proposito di cercare mezzo di prendere gli Ordini al più presto possibile; egli mi rispose che per ora non ne era disposto; che pel passato aveva ferma volontà nella sua vocazione; ora ha bisogno di tempo per pensarci e risolvere. Le cose stando così, lo consigliai di fare quanto poteva per andare presto dal suo Vescovo; e qualora che da esso, o forse per qualche difetto venisse richiamato e che fosse veramente deciso per lo stato ecclesiastico, me ne avesse parlato; quindi avremmo studiato modo di prendere gli Ordini. Ma egli si mostrò e partì molto titubante intorno alla sua vocazione.

                Rinnovo qui i più vivi ringraziamenti a Lei per tutta la protezione e l'aiuto che mi presta nelle attuali nostre strettezze. Se Dio mi facesse conoscere una mezza dozzina di Contesse Callori, i protestanti se la vedrebbero brutta. Sia benedetta la nostra santa Cattolica Religione e chi la professa luminosamente coi fatti. [411] Dio benedica Lei e tutta la sua famiglia. Don Bonetti scriverà al sig. Conte Callori per averlo una giornata a Mirabello. Se Ella non ne soffre a pranzare a mezzo giorno, non potrebbe fargli compagnia? Ciò sarebbe certamente in onore di S. Carlo.

                In tutto Ella mi abbia sempre tra quelli che colla più sentita gratitudine si professano,

                Di V. S. B.,

 

                Torino, 9 novembre 1868,

Obbl.mo servitore

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

                Da questa lettera, da altre già riferite e da molte altre che più tardi riporteremo, si vede che non a sole parole si limitava la sua riconoscenza. Oltre le preghiere continue, le benedizioni, le guarigioni, le visite agli infermi, era sempre pronto a secondare le domande e i desideri de' benefattori nei loro vari bisogni. Talvolta si adoperava per far cessare discordie in famiglia, riconciliare persone che si avversavano, provvedere istitutori o pedagoghi, far ricerca di buone persone di servizio, agevolare la vendita di un podere, procurare un imprestito a oneste condizioni; e tal altra a dar consigli di economia domestica, fare una raccomandazione sul conseguimento d'impieghi, o una supplica per ottener grazia ad un condannato. Sarebbe troppo lungo l'accennare gli svariatissimi servizii da lui resi a coloro che lo beneficavano.

                Ecco una risposta fattagli dal Ministero della Casa Reale che rivela la premurosa sua domanda.

 

                MINISTERO DELLA CASA DI S. M.

 

Firenze, 9 novembre 1868.

 

                Questo Ministero ha presa conoscenza della istanza della S. V. Rev.da perchè fosse accordato dalla Reale Munificenza un posto gratuito nel Collegio Carlo Alberto di Moncalieri a favore di un figlio del Cav. Comacchio, Regio tesoriere della Provincia di Genova.

                Il sottoscritto, mentre apprezza i diversi titoli a cui si appoggiano le di lei commendatizie, deve suo malgrado farle osservare che la casa di Sua Maestà non dispone di alcun posto gratuito nell'Istituto suddetto, come in nessun altro collegio del Regno, ma sono soddisfatte con fondi della cassetta privata del Re quelle pensioni che vengono accordate dalla Generosità Sovrana. [412] Chi scrive, deve pure soggiungerle che stante le numerose concessioni state fatte da S. M., non solo non vi rimane alcuna somma disponibile, ma resta ancora da provvedersi a diverse domande state prese in nota, d'ordine della M. S., per avervi riguardo alla prima occasione.

                E ciò senza tener conto delle mutate condizioni della lista civile che più non permetterebbe tutti quelli atti di semplice liberalità Sovrana, che erano possibili prima della generosa rinuncia fatta dal Re a quattro milioni della dotazione della Corona.

                La S. V. vede pertanto come non sia possibile di secondare i di lei desiderii, i quali sarebbero stati raccomandazione sufficiente, senza che questo Ministero avesse dovuto assumere altre informazioni sui meriti del Cav. Comacchio.

Il Ministro

GUALTIERI.

 

                Don Bosco trasmetteva copia di questa lettera al signor Comacchio col seguente biglietto.

 

                Ho fatto quanto ho potuto e non ci sono riuscito. Pazienza. Se in altro potrò servirla, si valga di me e mi creda di V. S. Preg.ma

                Torino, 12 novembre 1868

Obbl.mo servitore

Sac. G. Bosco.

 

                Questo far proprii gli interessi altrui raddoppiava i vincoli della carità, e nello stesso tempo due persone n'erano reciprocamente avvinte: beneficato e benefattore. Di qui quell'affetto che traspare così gentile nelle loro corrispondenze. Il Comm. Visone, sopraintendente generale del patrimonio particolare di Sua Maestà, Deputato al parlamento nazionale e poi Senatore del Regno, scriveva a Don Bosco:

 

                Torino, 13 novembre 1868.

 

Pregiatissimo Signore.

 

                Qualche tempo fa sono venuto per trovare la S. V. Pregiatissima e pregarla a voler accettare nel suo convitto il giovane Pescarmona Luigi di Costigliole d'Asti, d'anni 16, desideroso d'imparare un mestiere: non ho avuto il bene di trovarla, ma parlai con uno dei suoi segretari, che fu gentilissimo, e mi disse, che se il Pescarmona, orfano, ma possidente, si obbligava pagare per tre mesi lire 24 al mese, oltre il letto, vestiario, sarebbe stato accettato, salvo fargli quelle maggiori [413] facilitazioni secondo li suoi comportamenti, dopo scaduto il 1° trimestre.

                Ora il detto giovane è qui in Torino, ed io non potendo venire personalmente, mi permetto di presentarlo con questa mia alla S. V. con preghiera di volerlo accettare alle condizioni predette, persuaso che farà buona riuscita. Chi lo accompagna è il Forno suo cognato, e figlio del suo tutore. Mi riserbo di venire a ringraziarla, e frattanto la prego a gradire li sensi della mia perfetta stima.

                Di V. S. Preg.ma,

Devotissimo servitore

VISONE.

 

                Il Comm. Visone, benefattore dell'Oratorio, aveva raccomandati altri giovanetti a Don Bosco e veniva sovente a visitare il Venerabile nella sua umile stanza, trattenendovisi per lunghe ore.

                Il Commendator Cova, primo uffiziale della Regia Segreteria del Gran Magistero dell'Ordine Mauriziano e consigliere alla Corte d'Appello, era con lui in intima famigliarità. Andato a Lanzo per inaugurar nuove sale dell'Ospedale Mauriziano, volle dar pubblica testimonianza della stima che aveva per Don Bosco e difatti, nel partire, avviandosi alla stazione circondato e seguito da tutte le autorità del paese e da un gran numero di uffiziali dell'Ordine, invitò alla sua destra il Direttore del Collegio, recatosi ad ossequiarlo. Al padre era diretto l'onore fatto ad uno dei figli.

                Quando il cav. Bartolomeo Bona era Ministro dei Lavori Pubblici, Don Bosco era andato per averne udienza, e l'usciere con varii pretesti ritardava d'introdurlo. Venuto un signore e visto quell'inconveniente, dopo cordiali saluti lo introdusse, e narrò a S. E. come Don Bosco fosse stato trattato in sala d'aspetto.

                Bona, amico e benefattore, accolse Don Bosco con grande cordialità, s'intrattenne a lungo con lui, e lo pregò di accettare una busta che racchiudeva 1000 lire. Don Bosco lo ringraziava di quella generosità così opportuna pei bisogni dell'Oratorio, ma Bona gli rispose: - Oh! non é [414] Don Bosco che abbia bisogno del Governo! È il Governo che ha bisogno di Don Bosco! - Quindi si alzò dicendo: - Ed ora ci vuole una riparazione dell'affronto fatto a lei dall'usciere. - E lo prese per mano, e così attraversò con lui la sala d'aspetto, e lo accompagnò fino al primo gradino dello scalone, con meraviglia di tutti i presenti.

 

 

CAPO XXXII. Progetto di Don Bosco di poter ottenere dal Governo Italiano la Chiesa del Santo Sudario in Roma, e le abitazioni annesse - Fini di Don Bosco - Qual fosse la sua politica - Notizie storiche della chiesa del SS. - Sudario Costanza di Don Bosco nel chiedere l'approvazione della Pia Società - Commendatizia di Mons. Galletti - I Vescovi che hanno mandate le commendatizie - Don Bosco supplica i Vescovi della Provincia Ecclesiastica di Torino radunati in conferenza, perchè lo aiutino col loro voto favorevole ad ottenere l'approvazione definitiva della Pia Società - Il Vescovo d'Ivrea non risponde - Mons. Riccardi si dichiara contrario alla domanda.

 

                IL Venerabile stava a cuore la classe della povera gioventù romana. Svanita la speranza di avere una sede a Vigna Pia, incominciava a meditare un ardito disegno per raggiungere in altro modo il suo scopo: però, subordinandolo a qualche nuova proposta che avrebbe potuto fargli il Sommo Pontefice, si proponeva di procedere senza premura e con maturità di consiglio.

                Nel 1867 egli aveva visitata la Chiesa del S. Sudario, nella quale fin dal 1597 era stata fondata da alcuni pii sudditi degli Stati Sardi, coll'approvazione della Santa Sede, una confraternita che aveva per fine principale l'educazione morale della gioventù di quel rione. Sul principio del secolo XIX la confraternita aveva cessato dal possesso e  [416] dall'amministrazione della Chiesa e dall'adempimento degli oneri annessi. Questi diritti però e questi doveri, dopo una serie di anni (1831) erano stati affidati alla Legazione Sarda residente in Roma, poichè i Re Sabaudi avevano avuto sempre quella confraternita sotto la loro speciale protezione. Nel 1868 il tempio era chiuso, perchè bisognava metter mano ad urgenti ristauri.

                Don Bosco aveva disegnato di potere avere un casamento annesso a quella chiesa, che facilmente si sarebbe potuto addattare ad ospizio di carità pei giovanetti. Il suo piano era questo: Proporre al Governo di cedergli l'uso e l'amministrazione della Chiesa e della casa, offrendogli la propria cooperazione in danaro per condurre rapidamente a termine i progettati ristauri della chiesa, perchè al più presto si potesse riaprire al culto.

                Altro motivo aveva forse Don Bosco nell'affrettare una casa salesiana in Roma. Egli prevedeva inevitabile l'entrata delle truppe italiane in quella città e voleva prendere stanza co' suoi presso la chiesa del SS. Sudario prima di questo avvenimento, perché, mentre nessuno avrebbe trovato allora meritevole di critica la sua posizione in faccia alla Santa Sede, poi anche il nuovo Governo sarebbe stato naturalmente portato a far rispettare coloro che avrebbe riconosciuto come suoi sudditi per doppia causa, coi quali aveva stretto regolare contratto, e perciò non avrebbe mancato di proteggerli e difenderli dai partiti estremi: e una legge d'incameramento non li avrebbe colpiti.

                Questa è una nostra supposizione, ma è una realtà che Don Bosco col suo ingegno e colla sua perspicacia studiava tutti gli aspetti di un disegno e ne prevedeva tutte le difficoltà e le conseguenze. Infatti quale era il fine che il Venerabile voleva raggiungere?

                Ecco il suo programma, che egli diceva e raccomandava a tutti di far conoscere: “Far del bene a quanti si può e del male a nessuno. Mi si lasci fare del bene ai ragazzi poveri [417] ed abbandonati, affinchè non vadano a finire in un ergastolo. Ecco la sola mia politica. Io rispetto tutte le autorità costituite come cittadino, e come cattolico e come prete dipendo dal Sommo Pontefice.”

                E questa politica, che altro non era fuorchè la prudenza del serpente unita alla semplicità della colomba, è quella che lo rese così glorioso in faccia a Dio e in faccia agli uomini.

                Egli, adunque, scriveva di detto disegno ad un suo grande amico, il cavaliere Carlo Canton, Direttore e Capo di Sezione di seconda classe al Ministero degli affari esteri, a Firenze; e questi gli rispondeva, approvando, incoraggiando, e assicurandolo che lo avrebbe avvertito del momento opportuno per incominciare quella pratica.

                Don Bosco intanto faceva copiare negli archivii di Stato un lungo documento, che serve a dar luce alle trattative che durarono vari anni e che egli presentò al Ministero dell'interno con le altre carte relative all'affare. Era un dispaccio della R. Legazione degli Stati Sardi presso la S. Sede in data 10 aprile 1851, contenente lunghi cenni storici sulla Chiesa del Santo Sudario. Questa ebbe origine da una confraternita omonima, composta di antichi sudditi dei Duchi di Savoia, Piemontesi, Nizzardi e Savoiardi, sul cadere del secolo XVI[16].

                Questo disegno non distoglieva il Venerabile dallo spingerne avanti altri urgentissimi e primieramente quello dell'approvazione della Pia Società. Non si era smarrito di animo alla ripulsa della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, anzi era sempre in attesa di rinnovare la sua domanda. Aveva chiesta qualche altra commendatizia, e ne aveva fatte copiare alcune per consegnare a Roma gli originali. Di queste, l'ultima che aveva ricevuto, era quella di Mons. Galletti. [418]

 

                EUGENIUS GALLETTI, DEI ET APOSTOLICAE SEDIS GRATIA, Episcopus ALBENSIS ET COMES.

 

                Si semper animus gaudet quotiescumque revelanda et commendanda sunt quae ad maiorem Dei gloriam conferunt: eo magis cum de iis quae vidimus et audivimus verba sunt facienda, sicuti nunc nobis contingit de Societate a Sancto Francisco Salesio dieta.

                Haec itaque Societas initium duxit Augustae Taurinorum in Asceterio Salesiano, cuius pars saepe saepius et nos fuimus. Ex hoc Asceterio, tamquam rivuli a fonte, tria alia in eadem urbe asceteria emanarunt. Hic iuvenes pauperiores et derelictores qui diebus festis et profestis per vicos et plateas plerumque vagantur, aliquando centenos, aliquando millenos colligere assuetum est. Ibi Cathechesi, sacris canticis, verbi Dei praedicatione, sacramentorum administratione, ibi parvis munusculis, refectiunculis, aliisque diversis oblectationibus a malis semitis amoti, per viam salutis incedere coeperunt. Inde necessitas prodiit ut viri Ecclesiastici et laici in unum collecti, junctis simul conatibus, tot variisque officiis operam darent: qui unice Dei gloriam et animarum lucrum quaerentes ad.um Rev.um Sacerdotem Ioannem Bosco veluti superiorem ac Patrem prosecuti, Salesianae Societatis fundamenta iecerunt. Hanc vero Congregationem benigno animo prospiciens Ex.mus Archiepiscopus Taurinensis felicis recordationis, Aloysius ex March.us Fransoni, dum eiusdem dux et consiliarius semper extitit, merito et laudabiliter illi praeposuit Rectorem primarium nuper nominatum Sacerdotem, quemadmodum patet ex decreto, quod prae oculis habemus sub die 31 martii 1852.

                Interea sensim sine sensu adapertae sunt hac pietatis domus Taurini, Lancei, Mirabelli, in quibus circiter ducenti supra mille iuvenes, gratis aut permodica excipiuntur mercede, atque ad artes vulgares vel ad scientiam instruuntur. Ex his non pauci (testes sunt Dioecaesani nostri plures) singulis annis in albo Clericorum apud proprios loci Episcopos inscribuntur. Nobis itaque multis abhinc annis Congregatio Salesiana nota est sive ob uberes fructus quos refert in recolendis iuvenibus pauperioribus, sive ob verbi Dei praedicationem, sive ob multitudinem librorum ad catholicam religionem spectantium, qui vario modo et tempore exarantur, typis mandantur et evulgantur. Quapropter magno gaudio adfecti fuimus quum Supremus Catholicae Ecclesiae Antistes D. N. Pius Papa IX, quem Deus tamquam solem lucentem in tenebris diutissime sospitem servet, Decreto Sacrae Congregationis Episcoporum et Regularium, Salesianam Societatem laudare et commendare dignatus est, ad instar Congregationis votorum simplicium. Imo, eadem Sanctitas Sua, eodemque Decreto, attentis peculiaribus temporum et locorum circumstantiis, ipsam Societatem solidabat, dum supralaudatum Sacerdotem dignissimum, Ioannem Bosco, Superiorem Generalem ad vitam elegit, vocavitque;  [419] licet statutum Sit eius successorum, duodecim tantum annos in officio suo Permanere.

                Quae cum ita Sint, aequo ac grato animo Societatem hanc prosequentes, quantum in Nobis est, humillime laudamus, commendamus: atque enixis precibus deprecamur ut definitivam adprobationem consequatur.

                Duplici praesertim ratione hoc votum libentissime vovimus: tum quia Societas eiusmodi constituta est, ut neque statuta, neque Socii aut eorum substantiae legibus civilibus exceptionalibus numquam subiaceant: tum etiam quia per definitivam adprobationem, cum pro visum fuerit eius immobilitati ac constantiae, et spiritus et disciplinae unitas secundum constitutiones in praesenti et in futuro sub infallibili tutamento conservabuntur.

                Spiritus autem Dei, qui ubi vult spirat, nunc et semper loquatur in corde sanctissimi et recolendissimi Supremi Ecclesiae Antistitis, ut si quae forsan in quibusdam laudatae Congregationis Constitutionibus, complenda et perficienda adhuc essent, omnia compleat atque perficiat quae magis magisque conferre iudicaverit ad maiorem Dei gloriam, in comsummationem sanctorum, et in aedificationem Corporis Christi. Nobis autem magna erit remuneratio, si paterna benevolentia verba nostra exceperit, suamque Apostolicam Benedictionem super nos et super Dioecaesanos nostros impertiri dignatus fuerit.

 

                Datum Albae Pompeiae, XII kalendas novembris NIDCCCLXVIII.

 

EUGENIUS, Episcopus.

Felix I. Allaria a Secretis.

 

 

                Don Bosco aveva dunque avuto le Commendatizie degli Ordinari di Casale, Alba, Saluzzo, Aosta, Novara, Torino, Fermo, Genova, Pisa, Vigevano, Alessandria, Parma, Reggio Emilia, Ancona, Guastalla, Lucca, Albenga, Mondovì, Asti, e dei Vicari Capitolari di Acqui e Susa.

                Non risposero gli Ordinari di Milano, di Cuneo, di Bergamo, Piacenza, Modena, Firenze, Ivrea. Quel di Pinerolo aveva dato voto sfavorevole.

                Non contento delle commendatizie individuali, il Venerabile tentò di ottenere un'approvazione collettiva dei Vescovi della Provincia Ecclesiastica di Torino.

                L'Arcivescovo aveva chiamati a sé i suoi suffraganei per trattar delle cose da proporsi al Concilio Ecumenico e di alcune [420] altre a vantaggio delle loro diocesi. Erano questi i Vescovi di Alba, Asti, Cuneo, Ivrea, Mondovì, Pinerolo, Saluzzo e i Vicarii Capitolari di Acqui, Fossano, e Susa. E Don Bosco, dopo averne fatta parola all'Arcivescovo Mons. Riccardi, inoltrò all'assemblea dei suddetti prelati la seguente umilissima supplica.

 

 

                               Eccellenze Reverendissime,

 

                Nella persuasione che le EE. LL. Reverendissime vogliano con bontà ascoltare le deboli mie espressioni, mi fo animo a tosto accennare lo scopo mio che riguarda alla Istituzione, detta comunemente Oratorio di S. Francesco di Sales. Credo che le EE. LL. abbiano già avuto la degnazione di prendere parte a qualche sacra funzione, o almeno visitati o altrimenti beneficati i poveri giovanetti che soglionsi radunare in locali, detti: Oratorii Festivi ed Ospizii della Gioventù.

                Affinchè si potessero qui avere Catechisti, maestri ed assistenti fu iniziata una specie di Congregazione, di cui è cenno nella Notitia Brevis, della quale mi sono fatto lecito di inviare copia a ciascuna delle Loro EE. Ogni cosa procedette sempre sotto alla guida e col consiglio di Mons. Fransoni, di felice memoria. Questo benemerito compianto Prelato instava costantemente che fosse studiato un mezzo per dare forma stabile a questa Istituzione, da poter esistere dopo la morte dello scrivente. Con tratto di singolare clemenza a tale fine Egli mi costituiva Direttore Capo degli Oratorii Maschili.

                Inoltre, con Lettera Commendatizia, l'anno 1858 mi inviò a Roma. Il Santo Padre ponderata bene ogni cosa conchiuse con queste parole:

                “Affinchè tale istituzione possa sussistere con qualche buon risultato dopo il vostro decesso è necessaria una qualche Congregazione: ma in modo che i Membri di essa siano veri Religiosi in faccia alla Chiesa, e siano altrettanti liberi cittadini davanti alle leggi civili”.

                In altre posteriori udienze il medesimo Santo Padre mi espose il piano di un Regolamento, che io procurai di estendere e formarne tredici capitoli divisi in tanti brevi articoli.

                Tale Regolamento fu presentato al sopra lodato Mons. Fransoni che riscontrandomi diceva averlo letto e fatto leggere da persona pratica, e lo rinviava con qualche riflesso pratico che tosto fu introdotto nelle progettate Costituzioni.

                Dopo cinque anni di prova, colla Commendatizia del Superiore Ecclesiastico di questa Archidiocesi e di altri Vescovi benemeriti, presentava alla Santa Sede queste Costituzioni, perchè servissero di base ad una Congregazione col nome di Società di S. Francesco di Sales.

                La Sacra Congregazione de' Vescovi e Regolari, dopo averle esaminate, emanava il Decreto con cui lodava e commendava questa [421] Società come Congregazione di voti semplici, differendo però a tempo più opportuno la definitiva approvazione dei singoli articoli.

                Intanto, come per garanzia della esistenza della Società, costituiva il Superiore a vita e dava norme sulla elezione del Successore.

                A questo Decreto erano annesse tredici animadversioni che furono tutte accomodate nelle Costituzioni. Fra le altre quella che i voti dovessero essere riservati alla Santa Sede.

                Le Costituzioni di cui ebbi l'onore di presentare copia alle Loro Eccellenze, sono quelle lodate e commendate nel citato Decreto colla inserzione delle fatte osservazioni.

                Sul principio dell'anno corrente il Vescovo di Casale approvava questa Congregazione come Diocesana col Decreto e coi favori, di cui mi sono eziandio fatto lecito di offerire copia alle Eccellenze Loro.

                In questo stato di cose, vedendo ogni giorno più avvicinarsi il fine di mia vita, nel timore che non lievi inconvenienti siano per avvenire a questa Istituzione, qualora io morissi prima che Essa fosse definitivamente approvata, ho di nuovo umiliato alla Santità di Pio Papa IX le Costituzioni colle Commendatizie di oltre a venti Vescovi, tra cui mi gode l'animo poter annoverare le Eccellenze Loro.

                Il Santo Padre ebbe la degnazione di farmi scrivere dal Segretario della prelodata Congregazione de' Vescovi e Regolari che non àvvi difficoltà intorno alla definitiva approvazione delle Costituzioni; ma mi nota essersi fatte delle osservazioni da alcuni Vescovi della Provincia Ecclesiastica di Torino intorno ai chierici che intendessero di far parte di questa Congregazione.

                Ora, essendosi data la propizia occasione che pel bene delle Diocesi le EE. Loro si sono qua raccolte a congresso, io mi sono determinato di esporre Loro lo stato di questa Istituzione e di pregarle quanto so e posso di volermi coadiuvare e consigliare intorno ad alcuni punti di maggior importanza.

                1° Se posso sperate un voto favorevole, siccome è notato nella Notitia Brevis di cui sopra, cioè: Episcopi Provinciae Ecclesiasticae Taurinensis definitivam approbationem Societatis Sancti Francisci Salesii postulant.

                Credo che a ciò non osti il quesito che si dice fatto dalla Santa Sede pel futuro Concilio Ecumenico: “Se convenga approvare nuove istituzioni religiose”, perciocchè trattasi qui soltanto di compiere un'opera lodata e commendata dal Santo Padre; il cui Superiore e Successore sono regolarmente stabiliti, e che fra gli argomenti di sua esistenza ha già la definitiva diocesana approvazione del Vescovo di Casale.

                2° Posto questo voto favorevole, stabilire una formola da presentare alla Santa Sede con cui, salva la giurisdizione dei Vescovi, si dica come il Superiore di questa Congregazione possa amministrare, regolare gli individui che appartengono a varie case esistenti in  [422] diverse Diocesi. Per l'accettazione, istruzione degli individui e per la presentazione dei medesimi ai Sacri Ordini, si seguono le consuetudini

                praticate nei nostri paesi nelle Congregazioni finora approvate. Le ultime sono gli Ondata di Maria e l'Istituto della Carità (V. Statuta N. 8 ad 12). Qui si noti che secondo le Costituzioni di questa Congregazione i membri si possono considerare come altrettanti Sacerdoti ad nutum Episcopi in tutto ciò che riguarda al Sacro Ministero. A parimenti bene di notare che per membri della Congregazione non si intendono i giovanetti accolti per fare i loro studi secondari, nemmeno i chierici caritatevolmente accolti o altrimenti raccomandati dai Vescovi alle nostre case. Essi sono totalmente ad nutum Proprii Episcopi. Io intendo solamente di parlare di quelli che sono regolarmente inscritti nella Congregazione ed hanno già emessi i voti, i quali, secondo il prescritto della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, sarebbero riservati alla Santa Sede.

                Si osservi eziandio che per via ordinaria questi chierici sono giovanetti poveri che fin dalle scuole elementari si dovettero provvedere di vitto, libri, vestito per tutto il tempo de' loro studi. Non pochi di essi appartengono a paesi remoti, come sarebbe Milano, Genova, Sicilia, Inghilterra ed America. I quali, mentre sono liberi di fare quando che sia ritorno ai proprii Vescovi, si può dire che loro torna impossibile di frequentare scuole o Seminarii Diocesani.

                Non ignoro l'osservazione scritta da taluno alla prelodata Congregazione dei Vescovi e Regolari, dicendo: Quei chierici non studiano abbastanza. Per l'avvenire si avrà massima cura che non abbiasi a far questo rimprovero. In quanto però al passato bisogna distinguere i Chierici ricoverati, o inviati tra noi per prova, dai Chierici della Congregazione. Dei primi non posso essere responsale, perchè dimorano in modo anormale e transitoriamente nello stabilimento. Dei Chierici che di fatto sono membri della Congregazione credo che non sia così.

                Potrei accennare quelli che cuoprono cariche nelle Diocesi, come sono Coadiutori, Parrochi, Vicarii Foranei, Professori nei medesimi, Seminarii Diocesani. Ma credo che basterà quanto può asserire S. E. Rev.ma il Nostro Veneratissimo Arcivescovo, il quale, se giudicasse, potrebbe verificare gli esami di tutti quelli che appartengono a questa Congregazione nello spazio di vent'anni, e non troverebbe un voto scadente.

                Altra difficoltà suol farsi nel caso che qualcheduno uscisse di Congregazione. Osservo che questi casi di uscita possono accadere per qualunque Congregazione Religiosa. I Vescovi li avrebbero esaminati de scientia et moribus prima di conferir loro l'Ordinazione. E nel caso di uscita dalla Congregazione, il Vescovo Ordinante li potrebbe accogliere o non accogliere in sua Diocesi secondo che giudica tal cosa opportuna.

                In fine, omettendo ogni riflesso ed ogni osservazione, io faccio alle EE. LL. la seguente rispettosa ma calda preghiera. [423] Le nostre case di educazione, le scuole, e gli Oratorii Festivi furono istituiti a benefizio dei giovanetti più poveri e pericolanti delle varie Diocesi. Ognuna delle EE. LL. ha avuto e forse ha tuttora Chierici e poveri fanciulli diocesani che godono di questa Istituzione. Sono perciò intimamente persuaso essere Loro comune desiderio che tale Istituzione continui.

                Dal canto mio desidero ardentemente di essere in buona relazione ed in piena sommissione ai Vescovi, specialmente della Provincia di Torino, perciò prego e supplico le LL. EE. a volermi aiutare e coll'opera e col consiglio, affinchè questa Istituzione sia consolidata con morale garanzia di esistenza dopo il mio decesso, cioè sia definitivamente approvata dalla Santa Sede.

                Le ringrazio di tutto cuore della bontà nell'ascoltare questa umile relazione, e pregando il Signore Iddio che tutte Le conservi lungamente pel bene della Chiesa, colla massima gratitudine ho l'alto onore di potermi professare,

                Delle LL. EE.

Um.mo Supplicante

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                Presentata questa domanda, pensò di scrivere personalmente al Vescovo di Ivrea desiderando vivamente di riprendere con lui una benevola relazione per dissipare ogni malumore, o almeno provocare una risposta che aprisse la via a spiegazioni.

 

 

                               Eccellenza Reverendissima,

 

                Il nostro veneratissimo Arcivescovo, da me pregato, si è assunto di leggere una breve relazione sullo stato attuale degli Oratori per la povera gioventù e sulla Congregazione di S. Francesco di Sales. La E. V., che li ha sempre protetti in passato, mi fa sperare una parola in favore e a tale oggetto le mando qui alcuni stampati relativi.

                Potrei sperare che V. E., dando un benigno compatimento sul passato, venga a fare una visita alla chiesa nuova di Maria Ausiliatrice? Ad ogni modo la prego di gradire i sentimenti della sincera mia gratitudine, con cui mi professo,

                Della E. V. Rev.ma,

 

                Torino, 11 novembre 1868.

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Mons. Moreno non rispose. [424] Radunatisi i Vescovi, fu letta la supplica di Don Bosco. Monsignor Ghilardi si dichiarò subito favorevole, e altri con lui. Vi fu chi mosse obbiezioni e si disse contrario. Sorse un po' di discussione. In fine il Vescovo d'Ivrea esclamò:

                 - Abbiamo qui il Metropolita: esso decida.

                L'Arcivescovo concluse dicendo:

                 - Non se ne faccia caso, e sia finita. Abbiamo troppe altre proposte da discutere.

                E il can. Berardo, segretario, scrisse a Don Bosco una risposta cortese ma evasiva.

                 - Pazienza! disse Don Bosco; sia tutto per amor di Dio e della Santa Vergine. Vedremo di aggiustar le cose a Roma.

 

 

CAPO XXXIII. Don Bosco fa stampare in fascicoli una scelta di classici latini purgati - I Vocabolarii Greci e latini dai quali vengono tolte le frasi e le parole oscene - Edizione di opere dei Santi Padri e, per le prime, alcune di S. Gerolamo - Nuovo vocabolario italiano - Pericoli per i giovani nei classici italiani non purgati - Don Bosco si accinge a scongiurare questi pericoli con una piccola Biblioteca per la gioventù - Suoi collaboratori in questa salutare impresa - L'Unità Cattolica ne dà l'annunzio - Don Bosco ne pubblica il programma - Come questo programma è accolto da un nobile amico - La Superiora di Tor de' Specchi procura la diffusione dei libri stampati nell'Oratorio - Altre nobili Signore promuovono associazioni alla Biblioteca - Numerosi associati: spaccio grande di que' volumi - La prefazione del Galantuomo.

 

                PROFONDO conoscitore de' suoi tempi D. Bosco aveva visto le rovine della mente e del cuore che si accumulavano per l'influenza settaria ed eretica della libera stampa e aveva provveduto colle Letture Cattoliche ad una salutare e larga opera di restaurazione, in mezzo al popolo. In que' fascicoli, con ampiezza di vedute, egli sapeva raccogliere quanto di splendido, di commovente, di edificante si trovava sparso nella storia della Chiesa e delle nazioni, nelle biografie dei santi e dei grandi uomini; e quanto di incantevoli ed umili virtù egli era testimone nella vita dei suoi fanciulli. [426] Non v'era principio dogmatico e morale su cui lo spirito volterriano del secolo lasciasse cadere il disprezzo e la derisione, senza che egli, o per sé, o per altri popolarissimi scrittori, non sorgesse a difenderlo, dissipando l'immensa colluvie di calunnie e pregiudizii, insinuati nelle anime a danno della Chiesa e della Società.

                Oltre le Letture Cattoliche, com'ebbe una tipografia fornita di tutto l'occorrente, anche di caratteri greci, aveva deciso di provvedere al grave bisogno di impedire il guasto che producevano nelle classi ginnasiali, pubbliche e private, la traduzione e lo studio degli autori classici latini, dei quali si mettevano in mano ai giovani le opere intere, conforme all'originale. Ed incaricava Don Francesia ed altri dottori in Belle Lettere, di togliere ai libri pagani più usati tutto ciò che contenevano di turpe e ne faceva stampare una scelta in molti fascicoli: Selecta ex latinis scriptoribus.

                Nello stesso tempo, riboccando i vocabolari di parole e frasi oscene, egli pensò di farne compilare de' nuovi, purgati da tutto ciò che poteva nuocere al buon costume ed assegnava il lungo e grave lavoro del dizionario greco - italiano e italiano - greco al Prof. Teol. Marco Pechenino, dandogli per amanuense un chierico dell'Oratorio: e in pari tempo affidava i dizionari latino - italiano e italiano - latino al prof. D. Celestino Durando, il quale dalla sua opera maggiore estrasse poi un dizionario minore per le classi inferiori del ginnasio. Ambidue eseguirono con grande amore e diligenza il loro compito.

                Ma ciò non bastava a Don Bosco. Egli voleva correggere e neutralizzare le idee pagane con le idee cristiane, e perciò meditava la pubblicazione de' classici latini cristiani, vale a dire dei santi Padri e d'altri scrittori ecclesiastici, rivendicando la bellezza della lingua e la magnificenza dello stile di molte loro pagine, per molti lati non inferiori a quelle dell'età aurea degli scrittori pagani. Li avrebbe fatti adottare nelle sue scuole, fissandone una lezione per settimana; e  [427] incominciò dalle Opere di S. Girolamo, come vedremo. Egli così intendeva di promuovere la glorificazione della Chiesa Cattolica e insieme far sì che la gioventù studiosa avesse anche nei testi qualche argomento di vita cristiana.

                Per tutti questi disegni il Venerabile dovette incontrare una spesa non leggera per la stampa. Eppure se si trattava di preservar le anime dal peccato e impedire che ristagnassero nei loro cuori false massime, egli si sobbarcava a qualsivoglia sacrificio.

                Ma il faticoso lavoro di purgare i libri di letteratura latina sarebbe stato incompleto, ove D. Bosco non avesse pensato di estenderlo ai classici italiani. E, fin dal 1868 dava l'incarico al dottor Don Francesco Cerruti di comporre un vocabolario italiano, perchè vi eliminasse tutte le espressioni men che delicate in fatto di onestà; e Don Cerruti obbedì e fece un'opera pregiatissima per ogni lato.

                Certo il pericolo di corruzione più grave è dai classici italiani, perchè pur troppo fra i più celebrati nostri scrittori ve ne furono alcuni, che dimentichi talora dei precetti della morale, misero a rischio di far perdere il massimo dei beni a tanti giovani incauti. Per questo, già da tempo, Don Bosco andava studiando la pubblicazione di una piccola biblioteca per la gioventù studiosa, levando da quei volumi ogni passo che potesse nuocere alla santità dei pensieri e dei costumi, imitando in ciò il prudente giardiniere che, prima d'introdurre un bambino innocente tra le aiuole fiorite, ne sbarbica le erbe velenose.

                Egli sapeva che certi insegnanti, col pretesto o in nome dell'arte, avrebbero gridato contro questa, detta da essi, barbara mutilazione, e conservato in scuola i testi non purgati; ma Don Bosco non si curava delle critiche, le quali anzi dimostravano quanto fosse saggia e necessaria siffatta revisione dei classici.

                Pertanto, consultato più volte il prof. D. Matteo Picco, aveva incominciato egli stesso da mesi a far la scelta degli [428] autori e a distribuirli per la correzione e per il commento a' questo o a quell'altro professore che insegnavano nei ginnasii e nei licei, governativi e municipali, e qualcuno nelle Università; e ben presto ebbe intorno a sé un'accolta di elettissimi ingegni, pronti a cooperare a quella saggia impresa.

                Don Bosco li teneva carissimi: e tutti furono stretti con lui da vera amicizia. Convenivano alle feste famigliari e a quando a quando si adunavano per deliberare sulla scelta dei libri. Il Venerabile non avrebbe voluto pubblicare certi classici, come il Macchiavelli e il Leopardi, perchè difficilissimi a correggersi, e perciò sempre pericolosi, ma i programmi governativi l'esigevano: quindi raccomandò che di questi autori fossero scelti i passi meno nocevoli, e questi diligentemente purgati, e suggerì anche norme perchè nello spiegarli si eliminasse ogni pericolo e si mettesse sempre in piena luce la verità, cui si opponevano i loro errori. Egli inculcava sempre, che i classici fossero spiegati secondo il concetto cristiano.

                I primi benemeriti collaboratori del Venerabile in quest'opera furono il Cav. Carlo Bacchialoni, dott. aggr. in Lett., il Teol. Cav. Giovanni Bosco, dott. in Lett. e Fil., il Sac. Celestino Durando, professore, il Sac. Giovanni Francesia, dottore in Lettere, il Cav. Agostino Lace, professore, il sig. Carlo Enrico Melanotte, dottore, il Teol. Marco Pechenino, professore, il Sac. Pietro Peinetti, Teol. Coll. della R. Università, il Sac. Matteo Picco, professore.

                Preparato un sufficiente materiale, l'Unità Cattolica del 18 novembre 1868 annunziava il sorgere della nuova pubblicazione periodica.

 

 

LA BIBLIOTECA DELLA GIOVENTU' ITALIANA.

 

                Dalla stamperia editrice di Don Bosco, all'Oratorio di San Francesco di Sales, si darà principio alla pubblicazione di una Biblioteca della Gioventù Italiana, destinata a raccogliere in circa cento volumi i migliori classici italiani, ridotti all'ortografia moderna, e purgati all'uso della Gioventù. [429] Ogni volume di 250 pagine costa centesimi 50 agli associati. Ne esce uno al mese: l'associazione è obbligatoria per un anno.

 

                Alla sua volta Don Bosco pubblicava il seguente programma:

 

 

BIBLIOTECA DELLA GIOVENTÙ ITALIANA.

 

                Il bisogno universalmente sentito di istruire la studiosa gioventù nella lingua italiana deve animare tutti i cultori di questa nobile nostra favella ad usare quei mezzi che sono in loro potere per agevolare lo studio e la cognizione.

                Egli è con questo intendimento che si è ideata la biblioteca della Gioventù Italiana. Suo scopo è di pubblicare quei testi di lingua antichi e moderni che più da vicino possono interessare la colta gioventù. Per riuscire in questa impresa fu instituita una società di benemeriti celebri professori e dottori in lettere, i quali si propongono;

                1° Di raccogliere e pubblicare i migliori classici della nostra lingua italiana ridotti all'ortografia moderna, affinchè si possano meglio leggere e comprendere dal giovane lettore;

                2° Trascegliere quelli che per amenità di materia e purezza di lingua gioveranno meglio allo scopo;

                3° Nei commenti, ove ne sia caso, si faranno soltanto brevi annotazioni che servano a dilucidare il senso letterale; nel che si seguiranno le interpretazioni de' più accreditati commentatori;

                4° Noi giudichiamo bene di omettere in parte ed anche affatto quegli autori comunque accreditati, i quali contengono materie offensive alla religione o alla moralità;

                5° Sarà usata massima cura affinchè la parte tipografica lasci niente a desiderare per la nitidezza dei caratteri, bontà della carta e per la esattezza della stampa.

                Ciò posto noi ci accingiamo all'opera raccomandandone il buon esito agli educatori della gioventù e a tutti gli amanti della gloria dell'italiana favella e del maggior bene della gioventù.

 

 

Condizioni di associazione.

 

                1° La Biblioteca della Gioventù sarà composta di circa cento volumetti; in complesso di pagine 200 caduno.

                2° L'associazione è obbligatoria per un anno e si pubblicherà ogni mese un volume; ma in modo che in ciascun anno si abbiano le opere complete.

                3° Il prezzo d'associazione è di 6 lire all'anno da pagarsi anticipatamente. I volumi sono franchi per la posta nell'interno. All'estero aumento proporzionato. [430]

                4° Chi procura dieci associati avrà una copia gratuita. Le case di educazione od altri che si associno per copie So ne riceveranno 60.

                5° I pagamenti si fanno ai corrispondenti presso cui si è preso l'abbonamento, o in persona, o con vaglia postale ed anche con francobolli.

                6° L'uffizio centrale è in Torino; ogni piego, lettera o qualsiasi altra corrispondenza deve essere franca di posta.

                L'indirizzo sarà semplicemente:

Al Direttore della Biblioteca della Gioventù Italiana.

Oratorio S. Francesco di Sales

Torino.

 

                Gli amici corrisposero subito all'appello di Don Bosco. Uno di questi scriveva al Cav. Oreglia.

 

 

Roma, 15, 11, 1868.

 

                               Pregiatissimo Conte ed amico,

 

                .....Baciamo la mano a Don Bosco, chiediamo la sua benedizione sacerdotale e l'assistenza della sua preghiera. L'operosità di questo sacerdote, e di chi lo coadiuva, è veramente evangelica, ammirabile per contribuire al bene della gioventù, arrestarne la rovina, la perdizione, scopo a cui pur troppo tendono tutti gli assalti nemici. Sia cogli Istituti aperti, sui quali è visibile la mano della Provvidenza, sia colla pubblicazione delle opere, veramente si fa di tutto per raggiungere lo scopo. Io ho procurato, e procurerò per quanto posso, associati alla Biblioteca dei classici Italiani .....

 

SCIPIONE CONESTABILE DELLA STAFFA.

 

                Lo stesso, in una seconda lettera, manifestava quanto amore portasse all'Oratorio.

 

 

Roma, 21, 12, 1868.

 

                               Pregiatissimo Conte ed amico,

 

                ....Accetto con tutta l'effusione del mio animo e il pensiero e le espressioni da lei usate in proprio nome, del rispettabile Don Bosco, di tutto il Convitto dei giovanetti; ringrazio e contraccambio centuplicati i voti, gli augurii, le felicitazioni, desidero a tutti salute, sviluppo progressivo del loro istituto, ogni bene spirituale e temporale; mentre ho tutta fiducia nelle loro orazioni e mi raccomando che siano continuate .Non può credere quanta interna soavità mi apportino le sue parole e quelle di Don Bosco, e loro dico che non mi neghino, ma mi procurino spesso questo conforto, che come lenimento [431] agli affanni mi è necessario, indispensabile. Dimando a Don Bosco la benedizione sacerdotale e bacio la mano ed ossequio ed esprimo questi sentimenti, come le congratulazioni su enunciate in proprio nome, di mia moglie e figli, pei quali preghino assai .....

SCIPIONE CONESTABILE DELLA STAFFA.

 

                Lettere piene di affetto e di promesse giungevano a Don Bosco ogni giorno. Una di queste era scritta dalla Galleffi, presidente di Tor de' Specchi. Avendo ella moltissime attinenze con tutti gli istituti religiosi di Roma e colle case patrizie, da tempo teneva nel suo monastero un deposito di tutti i libri che si stampavano nell'Oratorio, e a questi avrebbe ora aggiunta la Biblioteca della Gioventù, e ne divulgava i programmi. I libri con medaglie e fotografie di Maria Ausiliatrice, rosarii, crocifissi, ed altri svariati oggetti di pietà, erano esposti in bella mostra in una sala, ove li presentava ai molti suoi visitatori e li invitava a comperarli, mandandone all'Oratorio l'importo. Questa generosa signora, modello delle Cooperatrici salesiane, che si adoperò in tale smercio finchè visse, aveva dato a se stessa il nome di mercantina. Il Cav. Oreglia le scriveva in data 23 novembre 1868.

 

                Mi valgo dell'occasione che Lei esce fresca fresca dagli esercizii, cioè bollente d'amor di Dio e del prossimo, per fare una improvvisata maiuscola alla buona nostra mercantina. Chissà quale sarà questa improvvisata! dica pure che è di quelle superlative. Eccola: fra un momento le arriverà per posta un grosso pacco di libri tutti variati di materia, di volume, di legatura, ma tutti eleganti e degni di essere presentati a chicchessia. Quando arriverà questo pacco Lei avrà la santa pazienza di esporli tutti in bell'ordine sulla tavola della sala dove riceve le visite e poi dal Sig. Guidi si faccia scrivere a parole grosse un cartello dove metterà queste parole: Regali per Capo d'anno, befana e simili: vendita a favore di un'opera pia. Io di questi libri le unisco nota con il prezzo di ciascuno, e vedrà che faremo degli affaroni .....

 

                Oltre la Presidente Galleffi erano propagatrici della Biblioteca della Gioventù Italiana a Roma la Marchesa Villarios, a Firenze la Marchesa Uguccioni e altre nobili dame in altre città. [432] Il 9 gennaio 1869 venne pubblicato il primo volume della Biblioteca della gioventù. Conteneva la Storia della Letteratura italiana del Maffei. Questa collana terminò col 1885, dopo aver pubblicato in 204 volumetti le opere migliori dei classici italiani. Circa 3000 furono annualmente gli associati; e oltre i volumi ad essi spediti, se ne spacciarono durante la vita di Don Bosco più di 570.000 in tutta Italia, nelle scuole e ne' collegi con grande vantaggio morale dei giovani. Anche dopo la morte di Don Bosco si continuò ogni anno a stamparne parecchie migliaia di copie. Il Marchese Giacomo Della Chiesa, oggi Papa Benedetto XV, fu, come disse egli stesso a Don Francesco Cerruti, uno degli abbonati.

                Chiudiamo questo capitolo che dice, coll'eloquenza dei fatti, qual fosse lo zelo di Don Bosco per la buona stampa, col riferire la prefazione del Galantuomo pel 1869, destinato agli associati delle Letture Cattoliche. Essa è una prova di più dell'amore di Don Bosco per la Chiesa Cattolica e per l'ortodossia della Fede.

 

 

                               Cari Lettori,

 

                Quest'anno io Galantuomo sarò meno ciarliero degli anni scorsi e lascierò parlare gli altri. Vi darò racconti che ho copiati, delle poesie che non sono mie, e sentenze morali che ho raccolte da libri vecchi e nuovi. Siccome spero di avere avuto buon senso nella raccolta, così spero pure che me ne avrete gratitudine, e mi farete leggere da molti e molti assai. Avrei desiderato di volgere un occhio alle cose del giorno, di narrar gli avvenimenti succeduti l'anno 1867 e 68, ma l'animo non mi regge, e forse non potrei esporli con quella calma che mi è tanto cara e famigliare. Di ciò dunque silenzio perfettissimo, neppure una parola.

                Delle astuzie dei protestanti per poter rapire la fede ai cattolici, e delle umiliazioni che quelli ebbero a soffrire in varie città d'Italia nell'anno di grazia 1868, siamo stati tutti testimoni, e spero che qualcheduno de' miei confratelli che ha questa speciale missione non se ne dimenticherà. Sia lode a quei prodi difensori della fede, e grazie a Dio di aver umiliato i nemici della sua Chiesa.

                A chi cerca di protestantizzare l'Italia dirò che un uomo, che partì da questo mondo colpito dalla giustizia di Dio in modo spaventoso, aveva scritto una bella sentenza che va bene per loro. Io ve la stampo [433] qui per intero, e per conforto nostro e per desolazione dei tristi. A stoltezza storica e politica, è un delirio da fanciulli distruggere il cattolicismo in Italia. L'Italia, il ripeto, è cattolica, e non v'è altro cattolicismo che il Romano.

                Così il ministro Carlo Luigi Farini, che ebbe poi a soffrire la più terribile disgrazia, qual è quella di perdere il senno.

                E un altro: Stimerei l'ultima delle sventure per l'Italia, se si venisse ei turbare la sua unità religiosa che le è rimasta.

                E un terzo: Il cielo d'Italia non comporta il crepuscolo della Riforma Protestante.

                Parmi che il trionfo sperato dalla Chiesa sia già cominciato e che fra breve lo vedremo compito. Preghiamo e speriamo. Ricevete il solito cordialissimo saluto

dal vostro amico

IL GALANTUOMO.

 

                Il trionfo della Chiesa doveva essere il Concilio Vaticano e la proclamazione dogmatica dell'Infallibilità Pontificia.

 

 

CAPO XXXIV. Il Ministro Menabrea invita Don Bosco a recarsi in Firenze - Don Bosco scrive al capo Sezione del Ministero degli Esteri Cav. Canton, incaricandolo di consegnare a Menabrea una sua lettera confidenziale - Va a Lanzo e annunzia che durante l'anno scolastico uno degli alunni sarà chiamato all'eternità - Parlate di Don Bosco ai giovani dell'Oratorio: Il timor del Signore: ignoranza e superbia: importanza dell'umiltà, superbia e disonestà: la medaglia della Madonna e le giaculatorie: racconto di buoni esempi ai compagni: Gli alunni che stanno lontani da Don Bosco: Ordinare le cose dell'anima: far certa la vocazione: gridare al lupo - Non potendo di presenza, Don Bosco augura per lettera le buone feste ad un benefattore - Sue lettore al Vescovo di Mondovì per affari della Pia Società - Annunzia al Cav. Canton il tempo del suo arrivo a Firenze - Malattia gravissima e guarigione preveduta del nipote del Conte Cays - Avveramento di una predizione di Don Bosco. - Egli manda i suoi augurii alla Presidente di Tor de' Specchi - Sua predizione consolante ad una madre - Graziosa offerta del Duca d'Aosta all'Oratorio - Ringraziamento dei giovani al Principe.

 

                UNA straordinaria notizia noi leggiamo nella cronaca di D. Rua: - “Novembre 1868. - Don Bosco ricevette invito dal Ministro Menabrea di recarsi a Firenze per affari d'importanza”. Don Rua a questa nota laconica non aggiunge alcuna spiegazione. Da D. Bosco stesso [435] abbiamo poi saputo che già prima di quell'anno, per gravi motivi e perchè non si notasse la sua assenza dall'Oratorio, era partito da Torino per Firenze col primo treno diretto del mattino e dopo poche ore di fermata si era rimesso in viaggio pel ritorno. Non ci diede però spiegazioni.

                Questo invito era stato preceduto da un carteggio tra il Ministro e il Venerabile, come risulta da una sua lettera al Cav. Canton, Capo sezione al Ministero degli Esterni a Firenze.

 

 

                               Carissimo Sig. Cavaliere,

 

                La ringrazio di ogni cosa; dei cento franchi che ho ricevuto e già spesi; e degli oggetti di vestiario che, mediante la sua raccomandazione, in questo anno fu molto più copioso degli anni scorsi. Dio la rimeriti. Mi rincresce che il Betti Enrico abbia voluto andare assolutamente di nuovo a Firenze. Si accondiscese in tutto e non si poté appagare. Almeno corrispondesse ai nostri avvisi e consigli qui prodigati.

                La prego di far pervenire la lettera acchiusa a Sua Eccellenza Menabrea per ringraziamento. In essa àvvi pure cosa confidenziale, di cui forse incaricherà V. S. a farmi risposta se ne è caso; del resto non se ne parli.

                Abbiamo in questa casa alcuni francobolli monetati che tra noi non hanno più corso; non so se a Firenze siano ancora in qualche modo scambiati: se ciò non é, Ella se ne serva almeno per accendere un sigaro.

                Ella perdonerà la confidenza con cui le scrivo; ella si valga di me e di questa casa in quello che potremo servire. Intanto auguro copiose benedizioni celesti sopra di Lei e sopra tutta la rispettabile di Lei famiglia e mi creda con profonda gratitudine

                di V. S. car.ma e benemerita,

 

                Torino, 2, 9 - bre 68,

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Sappiamo dunque d'un atto di riconoscenza al Ministro e di una lettera confidenziale allo stesso, con desiderio espresso che questa rimanesse secreta.

                Di quei giorni, avuto l'accennato invito dal Presidente del Consiglio dei Ministri, dovette rispondere che si sarebbe [436] recato a Firenze al più presto possibile, ma che pel momento non poteva. Infatti temporeggiò per circa un mese.

                Il 1° dicembre, mercoledì, si recò a Lanzo per visitare il collegio e una sera, parlando a que' giovani, raccomandò loro di stare preparati, poichè uno sarebbe stato chiamato in quell'anno scolastico al tribunale di Dio. Aggiunse poi in privato a qualche Superiore che colui che doveva morire apparteneva alla seconda elementare e che la lettera iniziale del suo nome era “V”. È da notarsi che Don Bosco non conosceva ancora i nuovi alunni accettati nelle vacanze.

                Reduce da Lanzo, venerdì sera, 3 del mese, dopo le orazioni, parlava ai giovani dell'Oratorio radunati nella sala di studio, e dava loro il fioretto, essendo nella novena dell'Immacolata.

 

                Sta scritto: initium sapientiae timor Domini: ed è pure parola del Signore: Superbus et arrogans vocatur indoctus. Mi avete abbastanza capito. Intendo di dire che non vi crediate di essere qualche cosa di grande. Siate docili agli avvisi dei vostri superiori, dei maestri e degli assistenti, prendendoli sempre in buona parte. Allora sì che farete progressi nella scienza.

                Per fioretto di domani raccomando la virtù della modestia, perchè l'umiltà, la carità e la modestia non possono stare l'una senza dell'altra.

 

                Disse un'altra sera:

 

                Talora alcuni mi dicono: - Come va che Don Bosco giunse a scoprir cose che si credeva non si potessero mai sapere? È forse ispirato da Dio? - No, signori miei, ma solo il sapere per es. che uno è superbo, questo basta per conoscere che è anche disonesto. Io lo so dai libri che ho letto e dall'esperienza di trentacinque anni.

                Per conservare poi la virtù della modestia e offrirla alla Madonna nel giorno di sua festa, bisogna portare una sua medaglia al collo e ripetere la giaculatoria: O Maria, concepita senza è peccato, pregate per noi; ovvero: Sia benedetta la santa immacolata Concezione della beata Vergine Maria; ovvero: Maria, sine labe originali concepta, ora pro nobis; o anche, Maria, Auxilium Christianorum, ora pro nobis.

                Domani per fioretto ciascuno racconti ad un suo compagno un esempio: non fa nemanco bisogno che riguardi la Madonna. Chi non sapesse un esempio, esponga una bella massima, oppure venga da me ed io gliene racconterò uno. [437]

                E continuò i suoi discorsetti serali nella novena di Maria Immacolata e anche dopo la festa. La cronaca fa memoria di quello del 13 dicembre. [13 dicembre 1868, Domenica.

 

Parole di Don Bosco a tutti i giovani.

 

                Giacchè è ancor presto, possiamo parlare di alcune cose. Chi sa come vada che sono sempre circondato dai giovani nuovi e non ne veda intorno a me molti degli antichi? Non già che stiano tutti lontani, chè la maggior parte ha confidenza in me e si lascia vedere da Don Bosco, ma una parte sta lontana. L'altro giorno mi portarono le pagine del lavoro di una scuola, ne guardai i nomi e la metà dei giovani, antichi s'intende, io non l'avevo ancor veduta. Ma costoro come vogliono poi fare per conoscere la loro vocazione, se non si lasciano vedere dai superiori, se tengono chiuso il loro cuore? Mi diceva un giovanetto, al quale avevo domandato qual fosse il motivo per cui tanti antichi mi stavano lontani: - Io credo che il motivo sia perchè sono colpevoli di qualche fallo, perchè hanno la coscienza imbrogliata e temono di essere conosciuti. - Ma costoro che sono avanti negli studi, sono appunto quelli ai quali io desidererei di parlare più sovente. Non è che io non sia contento che anche i giovani nuovi mi vengano sovente d'intorno; ma i più anziani sono quelli che formano la mia speranza.

                Dunque coraggio nell'ordinare le partite dell'anima vostra: ciò è necessario anche pel vostro avvenire. Io non vorrei che qualcuno dicesse: “Io voglio farmi prete”; ovvero: “Io non voglio farmi prete”; perchè dalla risoluzione all'uno o all'altro di questi due stati può dipendere la salvazione o la dannazione dell'anima. Ciascuno adunque prima faccia quel che può per regolarsi bene; apra il cuore al suo superiore e dica: “Io farò quel che Iddio vorrà, quel che è meglio per l'anima mia”. Si consigli coi superiori e poi faccia come dice San Pietro: Satagite ut, per bona opera, certam vestram vocationem et electionem faciatis. I Superiori fanno quel che possono, ma hanno bisogno che corrispondiate alle loro cure, che mettiate in pratica i loro avvisi.

                Io poi, pensando a varii motivi per cui alcuni non si avvicinano a Don Bosco, ho creduto che fosse il timore di sentirsi dare della spia da qualche compagno. Ciò è vietato assolutamente, e chi lo dirà ancora, e, avvisato, non obbedirà, sarà escluso dalla casa. Supponete un po' che un lupo rapace entrasse nel cortile e venisse in mezzo ai giovani, e mentre si avvicina a uno per sbranarlo, un compagno si mettesse a gridare:

                 - Aiuto! al lupo! al lupo: fuggite che è un lupo!

                E un altro giovane dicesse a costui:

                 - Zitto, che fai la spia.

                 - Ma dopo che il compagno sarà sbranato verrà a sbranar noi. [438]

                 - Zitto, spia; non far la spia.

                Che cosa diremmo di costoro che vorrebbero lasciare divorar tutti dai lupi, perchè temono di far la spia? Gridate, fatelo conoscere il lupo ai superiori, ai maestri, agli assistenti, ai chierici, affinchè nessuno ne resti divorato. Dopo l'ultima volta che ci siamo parlati, avete visto scomparire certi vostri compagni. Alcuni furono scacciati per motivo di furti, e gli altri quasi tutti per aver fatti discorsi cattivi, per aver disprezzato le pratiche di pietà e coloro che le frequentavano.

                E a questo proposito alcuni vorrebbero distogliere con burle e biasimano, quelli che appartengono alla Compagnia di S. Vincenzo de' Paoli, che entrano in quella così detta del SS. Sacramento e quelli che non hanno vergogna di appartenere al piccolo Clero e di comparire in pubblico vestiti da chierici. Ebbene, di questi schernitori del bene ho nessuna stima; degli altri invece ho molta stima, grandissima stima, e mi sono carissimi. Perciò ciascuno di voi si guardi bene di disprezzare queste ed altre simili cose. Buona notte.

 

                Il giorno prima egli aveva scritto al Cav. Zaverio Provana di Collegno ricordando i suoi nobili figliuoli.

 

 

                               Carissimo Signor Cavaliere,

 

                Negli anni scorsi in questi giorni era solito di andare a fare una visita a Lei ed alla famiglia e così augurarle buone feste. Quest'anno non posso farlo di presenza, ma ho divisato di supplire almeno in qualche modo: ecco adunque. Al primo giorno della novena del SS. Natale intendo d'offrire la santa Messa, la comunione e il rosario dei nostri giovanetti al Divin Bambino secondo la pia di Lei intenzione. Dal mio canto ci aggiungo quella di ottenere da Dio Ottimo Massimo che Luigi ed Emanuele crescano nella pietà, nella scienza vera, che è il salito timor di Dio, e che il loro tenor di vita sia costantemente di consolazione al loro Genitore.

                Abbia anch'Ella la bontà di pregare per la povera anima mia e per tutta questa mia famiglia.

                La prego de' miei saluti ai figli ed alla sig. sorella, mia segretaria francese, e coi miei saluti ricevere anche quelli del Cav. Oreglia, Don Cagliero, D. Francesia, D. Rua ed altri che tutti la riveriscono e si raccomandano alle sue preghiere.

                Spero, nel prossimo gennaio, di poterle fare una visita di presenza a Roma.

                Mi creda colla più sincera gratitudine,

                Di V. S. Car.ma

 

                Torino, 12 dicembre 1868,

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco. [439]

 

                Scriveva pure altra lettera al Cav. Canton, annunziandogli il tempo del suo arrivo in Firenze.

 

 

Torino, 16 - 12 - 68.

 

                               Car.mo e Benemerito Sig. Cavaliere,

 

                Riceverà dalla posta alcuni programmi della nuova Biblioteca, e la ringrazio della parte che si degna di prendere. Come pure la ringrazio dell'offerta di occuparsi a favore della nostra povera casa. Dal canto mio procurerò di corrispondere colla gratitudine e coll'indagare qualche onesta occupazione per le ore estranee al suo uffizio; ciò farò specialmente nei primi giorni di gennaio a Firenze. In questa occasione spero di poterla ossequiare di presenza.

                Abbia, come fatta, la commissione di cui mi parla per Roma.

                Dio benedica Lei, Sig. Cavaliere, e con Lei benedica tutta la sua famiglia, mentre mi raccomando alle sue preghiere e mi professo,

                Di V. S. carissima,

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. - Ho il biglietto di circolazione gratuita sulle ferrovie dell'Alta Italia e delle Meridionali; avrebbe Ella qualche mezzo per ottenermelo per le Romane, anche solo per due mesi?

 

                Prima di partire per Firenze, egli si studiava di assicurare sempre meglio il buon esito de' suoi affari a Roma. Rimasto deluso nella speranza di aver l'appoggio del Congresso dei Vescovi dalla Provincia Ecclesiastica Torinese, scriveva al Vescovo di Mondovì Mons. Ghilardi, perchè lo aiutasse a superare le difficoltà e le opposizioni.

 

 

                               Reverendissimo Monsignore,

 

                In questi giorni ho finalmente ricevuto lettera del sig. Avv. Berardi intorno al noto affare, e tosto procurai di recarmi dal nostro Arcivescovo. Esso mi trattenne alquanto nel ripetere cose già più volte dilucidate: addusse la vestizione del ch. Alessio di Pinerolo, vestito di mia autorità: cui tosto feci vedere delegazione e lettera che qui le unisco; mosse la stessa lagnanza di alcuni suoi chierici. Risposi aver ricevuto tali facoltà con apposito decreto della Curia Arcivescovile, ma di non essermene mai servito, né alcuno potermi addurre esempio in proposito. Dopo alcuni vaghi discorsi, richiamò queste medesime cose e conchiuse senza conchiudere; cioè che bisogna pregare [440] e attendere; che quelli che hanno parlato in mio favore nel Congresso ne sanno niente e non ne capiscono, meno di tutti ne avrebbe capito, se si fosse trovato presente, il Vescovo che era assente. Si offerì protettore della casa e della Congregazione, e buona sera. Le cose trovandosi a questo punto, io ho pensato di rimettermi senz'altro alla lettera di Monsignor Svegliati e lasciare che la Sacra Congregazione inserisca nel decreto quella formola che renda possibile l'esistenza della Congregazione e salvi la giurisdizione degli Ordinari. A tale scopo nel principio del prossimo gennaio ho divisato di andare a Roma, persuaso che gli schiarimenti dati di presenza possono giovare più che per lettera.

                Avrei in quest'occasione molto caro e mi gioverebbe una sua lettera particolare, indirizzata al Santo Padre, dove volesse dire: “il Sac. Bosco andare a Roma per supplicare il Santo Padre perchè si degni accordargli un modo di esistere per la sua Congregazione; raccomandarlo affinchè si degni favorirlo quanto giudica nella sua sapienza, specialmente avuto riguardo alla tristezza dei tempi e la necessità in cui vive il povero Don Bosco di consolidare la sua congregazione”. Queste ed altre simili cose porterei in persona al Santo Padre, come pure farei qualunque altra commissione.

                Dio la benedica, Rev.mo Monsignore, e le conceda buone feste e lunghi anni di vita felice: e se in qualche cosa la posso servire, conti sopra di me come di uno dei suoi.

 

                Torino, 19 dicembre, 68.

Obbl. servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. - D. Boetti è sempre qui. Di male non c'è; di bene satis. Stimerebbe di provare o che io provi a fargli fare una muta regolare di esercizii spirituali e poi riabilitarlo a celebrare? Tutto come dirà.

 

                Don Bosco aveva una straordinaria e cordiale confidenza con Mons. Ghilardi, che era come il depositario paterno dei gravissimi e delicati dispiaceri di lui. Fra le molte prove di ciò che asseriamo è pur una lettera colla quale il Venerabile chiedeva il suo appoggio presso la Sacra Congregazione dell'Indice e quella dei Vescovi e Regolari. Pare che Mons. Ghilardi in questo tempo si trovasse o dovesse avviarsi a Roma[17]. [441]

 

                                Eccellenza Reverendissima,

 

                Ecco il sacco delle principali miserie di Don Bosco. Bisogna che V. E. Rev.ma e Carissima studi modo di compiere ogni cosa, ed io l'assicuro che disporrò che mia vita durante avrà sempre un pane quotidiano per Lei a Maria Ausiliatrice.

                L'affare del Centenario è nelle sue mani, il P. Oreglia le dirà ogni suo operato; ricevo lettera in cui mi è affermato che il Santo Padre abbia sentito rincrescimento che quest'affare sia stato spinto con rigore, mentre migliaia di libri empi, e più o meno pieni di errori di religione, corrono in tutti gli angoli, senza che alcuno se ne occupi per farli mettere all'indice.

                La nostra Congregazione ha già avuto il Decreto di collaudazione e di raccomandazione coll'approvazione del Superiore e del successore. Ora fu fatta domanda perchè si venga ad una definitiva approvazione. Sui singoli articoli mi fu detto non opporsi difficoltà. Si vorrebbe da taluno che per le dimissorie vi fosse dipendenza dal Vescovo. Nel qual caso bisognerebbe rifar tutto, perchè in tal caso non si avrebbe più comunione di case, cosa che per noi riesce indispensabile. Di più la nostra società, avendo membri provenienti da tutte le parti del mondo, riesce quasi impossibile avere dimissorie dai rispettivi Vescovi. Altri vorrebbero le dimissorie del Superiore, ma ad tempus vel ad numerum. Ma tra noi non furono mai Congregazioni religiose che abbiano comunione di case, senza che il superiore generale abbia avuta facoltà di dare tali dimissorie.

                Ella dunque mi faccia da protettore. Raccomandi la casa come l'ha sempre conosciuta, come la conosce, come casa donde uscirono parecchi giovani chierici pel suo seminario e molti sono tuttora accolti come artigiani e come studenti.

                Il Cardinal Vicario ci è molto benevolo Occorrendo qualche cosa, fosse anche una mia gita a Roma, mel dica o meglio mel faccia dire da Don Monetti, ed io sarò ubbidiente. Abbia la bontà di dare le regole ivi unite a Monsignor Frateiacci, Uditore del Cardinal Vicario; esso è d'ogni cosa informato e si presta molto volentieri pel nostro bene. Noi ogni giorno in casa faremo una preghiera per lei fino al ritorno suo in patria. Dio la conservi. Amen.

                Doni la sua santa benedizione a me ed a questi giovanetti, e mi creda

                Di V. E. Rev.ma,

 

                Torino, 1 giugno 1867.

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Sul principio della novena del SS. Natale, Don Bosco era stato chiamato fuori di Torino, come appare da una [442] lettera di D. Francesia, scritta in data 18 dicembre alla rev.da Madre Galleffi.

 

                Don Bosco è fuori di casa; e corre voce, anzi pare certezza, che l'Oratorio abbia avuto una vistosa grazia dalla Madonna. Non le posso ancora dire in che cosa consista: a cose più chiare maggiori spiegazioni...

 

                Quale 'era la grazia vistosa?

                Si allude, forse, a questo fatto. Don Bosco era stato invitato a benedire un bambino gravemente infermo. La Contessa Cays, nata Garofoli, consorte del Conte Luigi, figlio del grande benefattore dell'Oratorio, una notte sognò che il suo bambino, di nome Carlo, era gravemente ammalato. Grandissimo dolore l'opprimeva per essere quello il suo primogenito, nato nel settembre 1865. Essa intanto, sempre in sogno, mandava a chiamare il medico di famiglia, Giuseppe Timmermans, e le sembrò di entrare nella Chiesa di Maria Ausiliatrice, di vedere la Madonna stessa in persona, come è dipinta nel quadro dell'altar maggiore, e di udire una voce che le diceva: - Va' a prendere quell'oggetto più prezioso che hai, portalo alla mia Chiesa e tuo figlio guarirà. - Udite queste parole, rivedevasi presso il letto del figlio aggravatissimo - che diceva: - Mamma dammi da mangiare, altrimenti io muoio di fame. - Ed essa gli dava da mangiare e il figlio guariva. - Così il Sogno.

                Erano trascorsi più mesi e la memoria del sogno era quasi svanita dalla mente della Contessa, quando il pargoletto che stava benissimo, prese a illanguidire e cadde infermo di tifo e di migliare. È subito chiamato il medico di famiglia, che lo visita e giudica gravissimo il suo stato, si scusa di non poter assisterlo per i suoi affari, e indica ai genitori per suo supplente il dottore di Rivoli, giovane espertissimo, che avrebbe fatto quanto conveniva. Giunse il medico di Rivoli e dimorava per una settimana nel palazzo del Conte, ma il  [443] peggioramento era continuo. In buon punto però la Contessa si ricordò del sogno, pregò e fece voto di offrire alla Chiesa di Maria Ausiliatrice il più ricco de' suoi braccialetti.

                Fatto il voto, il bambino che da vari giorni era quasi sempre assopito e più non mangiava, a un tratto si scosse e disse alla madre:

                 - Mamma, dammi del thè con qualche crostino.

                Il bambino non aveva mai preso thè e la sua domanda parve strana. Perciò la Contessa chiese al medico se potesse soddisfare quel desiderio. Il medico, che riteneva disperata la guarigione, le rispose:

                 - Allo stato nel quale si trova, gli dia ciò che vuole.

                La contessa gli fece preparare il thè e glielo porse con qualche altra coserella e il bambino da quel momento entrò in via di guarigione e dopo pochi giorni era perfettamente sano. Non basta. La prima volta che egli andò a mensa coi parenti, presentandosi col braccialetto in mano, chiese loro:

                 - Quando lo porteremo alla Madonna?

                E la contessa insieme col suo bambino portò il braccialetto a Don Bosco, il quale lo accettò e, udito da lei il racconto del sogno: - Signora Contessa, le disse; non creda poi facilmente ai sogni! - Era un avviso, per certe sue illusioni.

                Questo fatto l'udimmo molti anni dopo la morte di Don Bosco, presenti tutti i membri del Capitolo Superiore, dalla bocca stessa del Conte Luigi, che aggiungeva: - La mia consorte in quell'istante era così piena di contentezza che se Don Bosco, del quale in quel frangente era stata chiesta la benedizione, le avesse domandate per l'Oratorio anche 25.000 lire, subito gliele avrebbe date. Ed egli vedeva che domandare ed ottenere sarebbe stata una cosa sola, e che io sarei stato consenziente, ma nulla domandò. Questo racconto io l'ho ripetuto più volte nei caffè, nei ritrovi, nelle conversazioni, per confutare quelli che malignavano dicendo che Don Bosco era avido del danaro, che cercava eredità, ecc. Io parlava così specialmente quando lui si andava ripetendo:  [444]  - Lei certo non avrà guadagnato dall'essersi fatto suo padre salesiano. - Ed io poteva protestare altamente che per la morte di mio padre, avvenuta nell'Oratorio, non ebbi a risentire il minimo danno per la mia eredità.

                Intanto si attendeva da tutti nell'Oratorio l'avveramento della predizione fatta da Don Bosco il 10 novembre 1868; cioè che un alunno avrebbe fatto ancora una volta sola l'Esercizio di Buona Morte. Questo ebbe luogo il 12 dello stesso mese: ed ecco pochi giorni dopo ammalarsi lo studente Paolo Vacchetta, figlio di Giovanni, che morì il 21 dicembre nell'Oratorio. Di lui scrisse Don Rua nel necrologio.

 

                Vacchetta Paolo, di Lequio Tanaro, morì il 21 dicembre in età di 13 anni. Giovane di buoni costumi rimase vittima, pare, di una indigestione di saracche, provvedutesi furtivamente. Pagò colla sua vita il fio di una disobbedienza, che, senza essere gran male, fu forse delle più gravi mancanze della sua vita, giacchè per ogni rapporto egli era commendevole. Si ha tutto a sperare che la lunga malattia sopportata pazientemente gli abbia servito di scala al paradiso. Morì munito di ogni spirituale conforto.

 

                Oltre i tre del sogno erano dunque morti in quest'anno altri sei alunni; e il mese di dicembre volgeva al termine, occupando Don Bosco nell'inviare lettere d'augurio ai suoi principali benefattori. Il 22 scriveva alla Madre Galleffi, Presidente di Tor de' Specchi.

 

 

                               Benemerita signora Madre,

 

                Sebbene in tutto il corso dell'anno noi facciamo ogni mattino speciali preghiere per Lei e per tutta la famiglia all'altare di Maria Ausiliatrice, tuttavia un servizio speciale desidero che sia tutto destinato secondo la santa di Lei intenzione al giorno del Santo Natale. Noi pertanto diremo una Santa Messa colla santa comunione dei giovanetti e con altre particolari preghiere ad oggetto di invocare le celesti benedizioni sopra di Lei e sopra tutte le sue figlie spirituali, affinchè il Signore Iddio ne moltiplichi il numero e le virtù e a tutti conceda lunghi anni di vita felice.

                Intanto le partecipo che nel prossimo gennaio io spero di poterla [445] riverire di presenza a Torre de' Specchi e ringraziarla di tutta la carità che in passato ci ha fatto.

                Mi creda nel Signore

                Di V. S. B.

 

                Torino, 22 dicembre 68.

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Il cav. Oreglia e D. Francesia la salutano e si raccomandano alle sue preghiere.

                I benefattori e le benefattrici rispondevano agli auguri: e spesso lo ringraziavano dei prodigiosi effetti delle sue benedizioni. Fra gli altri la nobil donna Cristina Pittatore, nata Celebrini, che edificava Fossano co' suoi esempi e colla sua religiosa pietà verso Dio e i poveri, era per lui piena di riconoscenza. Il Signore aveva provata la sua virtù; varii suoi figliuoli, raggiunta una certa età, morivano. Rimasta vedova con un solo figliuolo di nome Giuseppe, temeva che pur questi incontrasse la sorte degli altri. Si era perciò presentata a Don Bosco, e gli aveva esposti i suoi timori, pregandolo a benedire il figlio perchè Iddio glielo conservasse. Nutriva grande speranza che abbracciasse lo stato ecclesiastico. Don Bosco sorrise, e:

                 - Non tema, le disse; questo figlio vivrà, e sarà buono per sua consolazione: ma non si farà prete, come ella desidera.

                Diciamo subito che la profezia si avverò compiutamente. La signora Cristina morì in Fossano nel dicembre del 1909, in età di 84, anni assistita amorosamente dal suo Giuseppe, distintissimo magistrato, che colla sua famiglia aveva resa felice la santa madre.

                Questa Signora, adunque, nel dicembre 1868 mandava la sua risposta a Don Bosco per mezzo del figlio, il quale veniva sovente all'Oratorio per udire i consigli di Don Bosco e del Cav. Oreglia.

                Il Venerabile amava molto questo ottimo giovinetto e lo trattenne per quel giorno con sé. Quando ritornò a casa la madre così scriveva al Cav. Oreglia. [446]

 

1° del 1869.

 

                               Ill.mo Sig. Cavaliere,

 

                Pinotto è ora felice di aver veduto e parlato con Don Bosco; chi è quegli che se ne allontana non soddisfatto? E chi è che non voglia vedere e sentire questo santo uomo? La sua sorte, buon cavaliere, è pari a quella di Maria. Felice Lei che ha saputo scegliere un sì bel posto. Glielo conservi per lunghi anni il Signore. Gradisca l'augurio della

Sua umil.ma serva

CRISTINA PITTATORE.

 

                Il 24 dicembre riserbava a Don Bosco una gentile sorpresa.

 

                CASA DI S. A. R.

                IL DUCA AMEDEO

 

Genova, 24 dicembre 1868.

 

                D'ordine di S. A. R. il Duca d'Aosta ho l'onore di trasmettere alla S. V. Ill.ma la somma di lire duecento che l'A. S., interessandosi moltissimo per l'incremento ed il benessere dei pii istituti, prelevò dalla sua cassetta privata onde fosse erogata a favore del suo istituto, così saggiamente dalla S. V. diretto.

                Con preghiera di ritornarmi debitamente firmato l'unito modulo di quitanza per scarico di contabilità, mi pregio professarmi con distinta stima

Il ff. di Primo Aiutante di campo

P. BALBO.

 

                Il Venerabile, non contento di fare i suoi ringraziamenti per lettera, attestava pubblicamente al Duca la sua riconoscenza, facendo inserire quest'articoletto sull'Unità Cattolica del 30 dicembre:

 

BENEFICENZA.

 

                Sua Altezza il Principe Amedeo duca d'Aosta, informato delle strettezze eccezionali in cui versano i poveri giovanetti dello Stabilimento di S. Francesco di Sales, inviava la graziosa limosina di franchi 200 della sua cassetta particolare. Per questo benefizio e per molti altri già concessi, coll'animo pieno di gratitudine i beneficati gli porgono i più cordiali ringraziamenti, invocando copiose le benedizioni dal cielo sopra di lui e sopra l'augusta di lui consorte.

 

 

CAPO XXXV. Le Feste Natalizie - Don Bosco scrive alla Contessa Callori che prima di andare a Roma spera di farle visita a Casale - Guarisce a Casale una fanciulla sordastra - Guarigione del Conte Solaro della Margherita - Predica di Don Bosco nella Chiesa di Maria Ausiliatrice - La Chiesa dell'Immacolata a Genova - Augurii e ringraziamenti di Don Bosco alla Superiora delle Fedeli Compagne - Sua lettera all'Arcivescovo col suo opuscolo corretto: Il centenario di S. Pietro - Parlata di Don Bosco ai confratelli: non far cose sconvenienti ad un chierico: occuparsi dei proprii doveri: chiedere licenza per far compra di libri: non mettere in discredito presso i giovani le Compagnie - Lettera di Don Bosco a Mons. Ricci: promette preghiere pel Papa e pel futuro Concilio - Morte del banchiere comm. Senatore Cotta - Lettera di Don Bosco al Direttore di Mirabello: Strenna per i Superiori e per i giovani: si promuovano le associazioni alla biblioteca dei classici italiani - Strenna al Collegio di Lanzo: Si facciano preghiere dal 7 gennaio al 7 marzo: argomenti di prediche - Parlata di Don Bosco ai giovani dell'Oratorio: La strenna: raccomanda preghiere speciali per due mesi; annuncia che nel 1869 sei giovani saran chiamati all'eternità: prevede [448] che l'anno venturo le cose dell'Oratorio andranno molto bene raccomanda che si preghi per i parenti e per i defunti.

 

                IL 23 dicembre - scrisse Don Rua nella cronaca “Si fece una solenne festa di Natale. A Messa di mezzanotte gran concorso di gente, numerose comunioni anche di esterni, mottetto a tre cori, fra cui distinguevasi un bel coro di pastori sull'orchestra che alternavano i loro canti semplici ed agresti coi sublimi canti degli angioli che trovavansi attorno alla cupola”.

                Nello stesso giorno Don Bosco scriveva alla Contessa Callori.

 

 

                               Benemerita Signora,

 

                Ho ricevuto con vero piacere i cristiani auguri i che Ella mi fa; la ringrazio di tutto cuore. In compenso l'ultimo giorno dell'anno celebrerò la Santa Messa ed i nostri giovanetti faranno la loro comunione all'altare di Maria Ausiliatrice secondo la pia di Lei intenzione e segnatamente per implorare a Lei, alla sua Vittoria e a tutta la famiglia sanità e perseveranza nel bene.

                Fra breve debbo fare una gita a Roma, ma spero di poter andare prima a passare una giornata a Casale e ci parleremo. Terribile il caso di Montiglio! Speriamo che abbia trovato misericordia presso il Signore. Abbiamo pregato e pregheremo ancora per lui.

                Dio la benedica, signora Contessa, e benedica con Lei la sua famiglia e tutte le sue opere di carità. D. Cagliero la saluta; questa notte fu gran festa, si cantarono i così detti cori degli angioli coi pastori. Tre messe, chiesa pienissima di gente, comunione numerosissima. Deo gratias!

                Preghi per la povera anima mia e mi creda colla massima gratitudine,

                Di V. S. B.

 

                Torino, 25 dicembre 68.

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                La lettera era indirizzata a Casale con preghiera del recapito al sig. Federico.

                La Contessa in quei giorni aveva lasciata la villeggiatura Vignale e si era recata a passare una parte dell'inverno [449] nel palazzo di Casale. Qui Don Bosco fu a trovarla, come le aveva promesso, e qui accadde un fatto degno di nota. Eccone la relazione:

 

                Era l'anno 1868. Per causa di un grande acquazzone che ci colse, mentre in vettura scoperta mio padre (che era fattore di Casa Callori) ed io accompagnavamo da Casale a Mirabello un fratello che ritornava in Collegio, presa da una forte costipazione, ero divenuta sorda. Avevo dieci anni.

                Non è a dire quanto i miei genitori fossero dolenti nel vedermi in tale stato: nulla trascurarono affinchè riacquistassi perfettamente l'udito. Dopo varii mesi, mediante i rimedii apprestatimi potei udire, ma col variare di temperatura ricadeva sempre nella mia sordità. Mentre io mi trovava in tale stato Don Bosco venne a Casal Monferrato. Fin d'allora egli era tenuto in concetto di santo. Mia mamma che già aveva la fortuna di conoscerlo, sapendo ch'ei si recava a pranzo dall'ill.ma Signora Contessa Carlotta Callori, nata Sambuy, chiese licenza alla medesima di presentarmi a Don Bosco nel suo palazzo, affinchè mi benedicesse in nome di Maria Ausiliatrice. La buona Signora prontamente accondiscese: fui così in una sala accompagnata da mia mamma, mentre si trovava presente tutta la nobile famiglia Callori, ed altre persone che possono attestare il fatto. Don Bosco che già era stato preavvisato ed aveva accolto volentieri la domanda, si volse ad un quadro di Maria SS. e recitò diverse preghiere a cui tutti prendemmo parte. Quindi mi benedisse, mi regalò una medaglietta di Maria Ausiliatrice e mi assegnò la recita di una breve preghiera. La mamma mia lo ringraziò e gli presentò una piccola offerta per la sua Chiesa. La nostra abitazione era al pian terreno del palazzo. Nel discendere lo scalone, accompagnata dalla Contessina Maria Concetta Callori, ora Contessa De - Viry, questa tornò subito indietro e corse da mia mamma, gridando: - Serafina non è più sorda, Serafina sente! - Mia mamma già se ne era accorta, ma non osava dichiararlo, temendo un'illusione. Tale grido tolse a lei ogni dubbio e proruppe in atti di gioia e ringraziamento a Maria SS. In quell'istante, attesa la mia età, io non fui capace di conoscere la pronta guarigione, ottenuta per mezzo di Don Bosco, ma ricordo benissimo il male avuto, le cure apprestatemi, la benedizione di Don Bosco e come da quell'istante sino al giorno d'oggi non abbia mai più dovuto ricorrere all'arte medica per causa di sordità, ancorchè mi sia esposta al freddo e al cattivo tempo senza alcun riguardo.

 

                4 settembre 1895.

Suor SERAFINA OSELLA

                Figlia di Maria Ausiliatrice. [450] Anche il fratello di Suor Serafina, il Sac. Domenico Osella, ci lasciò per iscritto identica relazione.

                Un'altra benedizione aveva manifestata la potenza di Maria SS. Abbiamo già detto come nell'agosto di quest'anno fosse gravemente infermo il Conte Solaro della Margherita. Or bene, dopo alcune fasi della malattia, era guarito. Il 26 dicembre D. Francesia, parlandone ai giovani alla sera, così narrava:

 

                Il Conte della Margherita da tempo era travagliato da svenimenti che lo prendevano tre o quattro volte al giorno, facendo temere della sua vita da un momento all'altro. Don Bosco andò a visitarlo, lo benedisse, e la Contessa promise 2000 lire per la Chiesa, se il conte fosse guarito. Da quel giorno cessarono gli svenimenti; ma la Contesse, venuto il tempo di dare le due mila lire, disse a Don Bosco: - Ma io intendeva che il Conte guarisse come prima e che fosse proprio in stato di sanità perfetta.

                Don Bosco le rispose: - Mi scusi, ma questo è un ritirar la parola: dal modo col quale ella si è espressa, io ho inteso esser suo desiderio che cessassero gli svenimenti; e non si poteva intendere diversamente. Del resto ci pensi lei e se l'intenda col Signore.

                Era già da parecchi giorni che il Conte non pativa più deliqui di sorta, ma da quello stesso tempo ricominciarono gli svenimenti più continui e più terribili, in modo che quei della famiglia credevano di doverlo perdere ben presto. Mandarono a chiamare Don Bosco, mentre la Contessa protestava che avrebbe dato subito le due mila lire, non mettendo più condizioni e che riconoscerebbe la grazia dalle mani della Madonna, purchè cessassero quegli svenimenti. Diede infatti le 2000 lire e tosto quel male cessò, e adesso il Conte è ritornato in uno stato di sanità quale da lungo tempo, anche senza malattia, non aveva goduto.

 

                D. Berto rese testimonianza alla narrazione di D. Francesia, scrivendo: “Questo fatto l'udii io stesso narrare da Don Bosco, non una, ma più volte”.

                Questa fausta notizia si sparse subito nelle case patrizie del Piemonte e la Contessa di Camburzano, rimasta vedova da poco tempo, scriveva al Cav. Oreglia. [451]

 

Fossano, addì 27 dicembre 1868.

 

                               Preg.mo Signor Cavaliere,

 

                Non le posso esprimere tutta la consolazione che provai leggendo le miracolose notizie del Conte Solaro. Ne godo sommamente per la fiducia che questa guarigione risveglierà in tutti i cuori cattolici, in tutte le anime che professano amore verso Maria, Auxilium Christianorum; ne godo poi sommamente per i sentimenti speciali di ammirazione e di stima verso il Conte Solaro. Oh come la Contessa deve essere inebbriata di gioia! Pensi a me, quella buona Signora, per sentire più profondamente ancora i favori celesti che riceve .....

                Mi permetta di collocare, dopo quella grazia insigne, una più piccola che ricevetti ieri, la quale non confido che a Don Bosco e a Lei. Nel dopo pranzo mi venne annunziata la visita del sig. T... Non vi era tempo che di un'elevazione di cuore verso Maria SS. Io temevo una discussione, o tutt'almeno una spiegazione chiestami sull'affare del nome. Promisi immantinente una messa di lire 5 per scongiurare quel pericolo. Entrò, la visita si passò cortesemente e non fu assolutamente questione di quell'affare. Vede, Signor Cavaliere, che nella mia gita a Torino mi parve aver portato meco una bricciola, o direi meglio come una scintilla, di quelle splendide grazie di cui Maria SS. si compiace di colmare i divoti della sua bellissima chiesa. Mi pare giusto dovere di gratitudine di non domandare per il momento altre grazie temporali, tenendo quest'ultima del nome come ottenuta da potente patrocinio della Vergine Immacolata.

                Le chieda per me lo spirito di preghiera e la rassegnazione per l'amara separazione del mio Vittorio. In questi giorni più solenni del fine dell'anno sentii più acerbamente quell'amara dipartita, quell'isolamento del cuore, che una fede più viva potrebbe solo temperare...

 

Contessa DI CAMBURZANO.

 

                Dell'accennata guarigione anche l’Unità Cattolica del 30 dicembre dava notizia.

 

                Il Conte Solaro della Margherita. - Siamo lieti di annunziare il pressochè totale ristabilimento in salute del conte Solaro della Margherita. Le preghiere dei cattolici furono esaudite, e Dio vuol conservare alla Chiesa ed al Papato un suo strenuo difensore, all'Italia una sua gloria ed al Piemonte una sua speranza.

 

                La grazia però era concessa per breve tempo. Il Conte era maturo pel paradiso e Dio chiamavalo a sé il 12 novembre 1869, dopo una vita piena di lavoro, di virtù e di gloria. [452] La domenica 27 dicembre, festa di S. Giovanni Evangelista, Don Bosco predicando nella Chiesa di Maria Ausiliatrice svolse i due punti seguenti: - Di guardarsi diligentemente dal dare scandalo; di non aspettare a ripararlo in punto di morte. E accennò alla predilezione di Gesù per San Giovanni, modello di purità, e allo sdegno e alle minacce del Salvatore contro gli scandalosi. Egli aveva tenuto fino a questo giorno le istruzioni domenicali, incominciate dal pulpito della cappella - tettoia e continuate nella Chiesa di San Francesco di Sales. Non smise, per qualche tempo ancora, di predicare nella nuova chiesa, nella quale la sua voce argentina risuonava chiara in ogni angolo; ma infine gli successe D. Michele Rua che per molti anni, al mattino, svolse e commentò la storia universale della Chiesa Cattolica incominciando da quella del Vecchio Testamento.

                Il 26 dicembre il Marchese Mario Cambiaso, Segretario della Commissione per la fabbrica della Chiesa di Nostra Signora Immacolata a Genova, in Via Assarotti, si rivolgeva a Don Bosco pregandolo ad associarsi alla Commissione per poter condurre a termine quella Chiesa. Si trattava di distribuire a ferventi e ricchi Torinesi schede di obbligazioni gratuite per pagare 30.000 lire di debiti arretrati e condurre il sacro edifizio all'ultimazione del tetto. Il Venerabile scrisse sopra il foglio: “Il Cavaliere ne parli”, cioè il cav. Oreglia.

                Il 28 dicembre Don Bosco scriveva alla Rev. Madre Eudossia, Superiora dell'Istituto delle Fedeli Compagne di Gesù, in Torino, situato dietro la Gran Madre di Dio.

 

 

                               Reverenda Signora Madre,

 

                Grazie della limosina che fa in onore di Maria Ausiliatrice. Questa Madre Celeste compensi generosamente Lei, la Madre Generale e tutte le sue figlie con lunghi anni di vita felice, e colla preseveranza nel bene. Tutto come dice, per la grazia che dimandano. Ma io voglio pregare e far pregare tanto che tutte le grazie saranno concesse, a meno di quelle che fossero contrarie alla maggior gloria di Dio. [453] Dio benedica Lei e le sue fatiche e tutta la sua numerosa famiglia; preghi per la povera anima mia e mi creda con gratitudine

                Di V. S. Rev.da,

 

                Torino, 28 dicembre '68,

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Quel dì medesimo egli mandava una lettera all'Arcivescovo di Torino e al suo Vicario Generale con una copia della terza edizione del fascicolo il Centenario di S. Pietro. È una prova della sua umiltà e filiale devozione alla Santa Sede.

 

 

                               Eccellenza Reverendissima.

 

                L'anno 1867, in data 27 aprile, dal Segretario della Sacra Congregazione dell'Indice era indirizzata una lettera a V. E. Rev.ma intorno ad un libretto da me pubblicato colle stampe sotto il titolo: Il Centenario di S. Pietro colla vita del medesimo Principe degli Apostoli. A quella lettera era unito il Voto di un Consultore che racchiudeva varie osservazioni. La lettera poi terminava consigliando alcune correzioni per la futura edizione del libro.

                La lettera ed il Voto del Consultore richiedevano in certo qual modo alcuni schiarimenti che, previo il consenso di V. E., furono fatti ed inviati a Roma. Dopo lo scambio di alcune lettere il medesimo Segretario, da Roma, in data del 15 luglio 1867, lasciando intatta la narrazione della vita del S. Apostolo, consigliavami soltanto di omettere un periodo nell'Appendice sulla venuta di S. Pietro a Roma, in cui si diceva tal punto storico essere estraneo alla fede; ed un altro periodo nel triduo posto in fine del libro in preparazione alla festa dei SS. Apostoli Pietro e Paolo. Ivi non era abbastanza spiegato il caso in cui quando si trasgredisce un articolo di legge, il cristiano rendasi colpevole di tutti gli altri articoli. Questi due periodi vennero fedelmente tolti.

                Ora le mando copia della nuova edizione del medesimo libro, in cui, oltre alle accennate due correzioni, ho eziandio fatto precedere alcuni schiarimenti sulle fonti da cui vennero attinte le notizie contenute nel libretto.

                Siccome presso a questa Curia Arcivescovile probabilmente conservasi la lettera ed il Voto del prelodato Consultore della Sacra Congregazione, così mi raccomando, se Le pare bene, di unire copia del libro e la presente lettera quale documento dell'esecuzione dei consigli ricevuti, e della intiera e totale sommessione del povero autore che intende e protesta di voler essere, ora e sempre, in questa ed in qualsiasi altra occasione sottomesso a qualsivoglia ordine, avviso o consiglio che provenga dalla S. Sede o da V. E. Reverendissima. [454] Intanto io la ringrazio di tutto cuore del grave disturbo che ha dovuto sostenere per questo affare e supplicandola a volermi per l'avvenire senza riserba avvisare, correggere e consigliare in tutto quello che giudicherà tornare a maggior gloria di Dio, Le auguro ogni celeste benedizione e mi professo colla più profonda gratitudine,

                Di V. E. Rev.ma,

 

                Torino, 28 dicembre 1868,

Umil.mo ed Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Il libretto aveva per titolo: VITA DI S. PIETRO PRINCIPE DEGLI APOSTOLI e triduo in preparazione della festa dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, del Sacerdote Bosco Giovanni. Torino, Tip. dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, 1869.

                Nella prefazione egli dice come avendo inteso “di dare in certo modo un popolare trattatello di religione nella vita di questi santi” aveva “giudicato opportuno di tralasciare le citazioni che non sembrassero assolutamente necessarie, e ciò unicamente per non ingombrare la mente dei leggitori colle troppo frequenti citazioni. Ma siccome presso a taluni nacquero dubbi ed anche equivoci intorno all'autenticità di alcuni fatti, così ho creduto soddisfare a tutti con qualche schiarimento sui principali autori, di cui mi sono servito nella presente compilazione”.

                Dato ampio cenno delle fonti, il Venerabile continua: “In questa medesima edizione mi sono eziandio adoperato di rettificare quelle espressioni che taluno avrebbe potuto prendere in senso meno retto, contro a quanto io certamente intendeva di esprimere”.

                La sera del 28 dicembre il Venerabile tenne in refettorio conferenza ai Confratelli e ai chierici della casa:

 

                Il nostro Divin Salvatore una volta disse ai suoi discepoli: - Mi amate voi?

                 - Oh sì che vi amiamo, risposero.

                 - Ebbene, se mi amate, fate quello che io vi dico.

                Così se io domandassi a voi, mi rispondereste con maggiore o minore intensità d'affetto: - - Sì che le vogliamo bene. - - Dunque ecco alcune cose che io voleva esporvi, e se mi volete bene fate quello che vi [455] dirò. Ci sono alcuni di voi che escono e vanno a girovagare sotto i portici di Po, ove sono esposte stampe che fanno schifo, e vanno nei caffè. Persone gravi, e di autorità, mi fecero l'altro giorno questo rimprovero:

                 - Come? I suoi chierici vanno all'osteria?

                Mi raccomando adunque; se si vuole andare a passeggio, se uno ha bisogno di fare una passeggiata, passi prima a dirlo al Prefetto, ma non si vada mai per Torino senza urgente bisogno. Per aver sollievo si vada fuori di città, in piazza d'anni, pel viale di Rivoli, e al di là del ponte Mosca.

                E poi ciascuno si metta con impegno a fare il proprio dovere. Incominciando dalla levata del mattino fino al riposo della sera si stia al cenno del campanello. Chi dicesse di non aver nessun lavoro tra mani, venga da me, che gliene darò io. Del resto ci sono tante Storie Ecclesiastiche, le quali aspettano che qualcheduno vada a toglier loro la polvere di dosso. Fuggiamo l'ozio, o miei cari figliuoli.

                Nessuno vada a comprar libri anche sotto l'aspetto di averne di bisogno, ma guardi prima se vi sono in Biblioteca; poi se non può avere il volume che desidera, dia commissione, chè gli sarà comperato da chi ne ha l'incarico.

                Desidererei che queste cose si insinuassero anche fra i giovani e non vorrei che si sentissero mai parole di dispregio verso nessuno: come sarebbe la parola Bongiovannista: perchè ridonda a danno delle pratiche di pietà, mettendole in ridicolo. Se qualche giovane di queste Compagnie ha qualche difetto, non rimproveratelo mai, rinfacciandogli il pio sodalizio al quale si è ascritto, come titolo di scherno. Incoraggiate invece i giovani a farvisi ascrivere e a promuovere così le pratiche di pietà. Per es. se si sentisse un giovane a dire: - Io sono nella Compagnia di S. Luigi; - gli si risponda: - Bene! bravo, continua; fai molto bene!

                Ma non si mettano mai in discredito queste cose negli individui dicendo: - Non andare con quella marmaglia! - E qualora ci fossero delle sconvenienze da correggere, non si critichi, ma si cerchi di porre rimedio per mezzo dei superiori e intanto si rispetti e si lodi la buona volontà.

                Il 29 dicembre, come appare dal timbro postale, il Servo di Dio scriveva a Sua Eccellenza Rev.ma Mons. F. Ricci, Maestro di Camera di Sua Santità, ringraziandolo del favore di una speciale indulgenza plenaria, concessa a tutta la Pia Società.

 

 

                               Eccellenza Reverendissima.

 

                Nel suo ritorno a Roma V. E. Rev.ma e Car.ma degnavasi di mandarmi la benedizione del Santo Padre con una indulgenza plenaria da [456] lucrarsi in giorno da determinarsi. Le rinnovo qui i più vivi ringraziamenti. Il primo giorno del 69 è stabilito ad hoc; ma intendo che il medesimo Santo Padre ne abbia parte.

                Noi pertanto e giovanetti oltre a tre mila, in quel giorno noi preti diremo messa, coloro faranno la loro santa comunione col rosario ed altre preghiere secondo la pia intenzione di Sua Beatitudine. Nel nostro particolare dimandiamo unanimi alla Santa Vergine Ausiliatrice, che tolga ogni ostacolo che possa turbare menomamente i giorni, le cose, le persone, che dovranno essere a parte del futuro Concilio Ecumenico.

                Non dimenticheremo poi di fare speciali preghiere per Lei. Circa alla metà del prossimo gennaio spero di andare a Roma, e poterla riverire di presenza. Ci raccomandiamo tutti alle sante sue preghiere e mi professo

                Di V. S. Rev.ma,

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                La sera dello stesso giorno, il Venerabile perdeva un insigne benefattore. Trascriviamo dall'Unità Cattolica del 31 dicembre.

 

                La sera di martedì 29 corrente, moriva in Torino il Commendator Giuseppe Antonio Cotta, senatore del Regno e banchiere, nella grave età di anni 84. Egli era davvero il banchiere della Divina Provvidenza a favore dei poveri, imperocchè non havvi in Torino un istituto di beneficenza, una chiesa, un'opera pia di qualunque natura, che non abbia ricevuto da questo piissimo benefattore larghi soccorsi. Sappiamo che qualcuno di questi istituti ricevette parecchie decine di migliaia di lire. Di pochi si potrà dire, come del banchiere Cotta, con tutta verità che transiit benefaciendo. Del resto le sue buone opere non sono limitate alla beneficenza, sapendosi che molti, o per un motivo o per un altro, largheggiano nel soccorrere le miserie del prossimo, ma quanto ad onestà ed integrità di costumi e a doveri religiosi non se ne curano più che tanto.

                Il banchiere Cotta, da buon cristiano, colla limosina congiungeva gli esercizi della pietà cristiana e la pratica delle virtù evangeliche. Egli quindi muore compianto non solo dai poveri, di cui fu padre: pater pauperum; ma da tutti quanti lo conobbero come uomo fregiato delle più belle doti, fatte più belle dalla sua semplicità e modestia. E in una città come Torino, dove, la Dio mercé, i doviziosi che dividono largamente le loro sostanze coi poveri abbondano, il banchiere limosiniere lascierà di sé memoria imperitura. [457] La stesso giornale scriveva il martedì 19 gennaio 1869:

 

 

IL COMMENDATOR COTTA.

 

                Ecco le parole che Gabrio Casati, presidente del Senato, disse in elogio del commendatore Cotta: “Annunciandovi la perdita del senatore commendatore Giuseppe Cotta, non posso che far eco alle molteplici benedizioni che la sua città natia, il villaggio ove possedeva, tutti gli istituti di beneficenza dell'una e dell'altro, la massa dei poveri pronunciano al nome di lui. Era l'uomo benefico per eccellenza, il conforto dei miseri. Nato il 3 aprile del 1785 in Torino, si dedicò al commercio dalla prima gioventù, nel quale fu oculatissimo, prudente, onestissimo. Godeva perciò d'illimitata fiducia e particolare rispetto. Fu per molti anni console del commercio di Torino e disimpegnò un simile incarico in modo da conciliarsi la stima di quanti ebbero ad essere in contatto seco lui. La sua nomina a senatore data dalla prima istituzione del Senato. E fino a tanto che il Senato risiedette in Torino fu diligentissimo alle sedute, e solo dappoi che qui fu trasferito, non poté assistere alle nostre adunanze, chè l'età e la mal ferma salute glielo impedirono, e di ciò se ne doleva esprimendone a me il suo sincero rammarico. I lucri della sua banca erano in gran parte erogati in elemosine; e non veniva che un direttore o capo d'un pio stabilimento, il quale ricorresse a lui, ne tornasse a mani vuote, anzi talvolta con somme considerevoli. E compié l'opera sua in questa parte colle sue disposizioni testamentarie”. (Atti Ufficiali, numero 322, pag. 149).

 

                Don Bosco fece suffragare l'anima benedetta del suo amico che non cessò mai di proporre a modello dei suoi benefattori.

                In fine egli inviava a ciascuna casa la strenna aspettata. Scrivendo a Mirabello, ringraziava il Direttore di una generosa somma che gli aveva spedita.

 

 

                               Carissimo D. Bonetti,

 

                Grazie del buon capo d'anno. Mi serve a meraviglia per estinguere le passività della casa. Grazie anche a D. Provera.

                Ora passiamo alla strenna.

                Tu e D. Provera, ditevi sempre i difetti senza mai offendervi.

                Per la Società. Risparmiare viaggi, e per quanto si può, non si vada a casa dai parenti. Il Rodriguez ha stupenda materia su tale argomento.

                Ai giovani. Che promuovano colle opere e colle parole, la frequente comunione e la divozione alla Beatissima Vergine. [458]

                Tre argomenti a chi predica: 1° Evitare i cattivi discorsi e le cattive letture;

                2° Evitare i compagni dissipati o che danno cattivi consigli;

                3° Fuga dell'ozio e pratica di tutte le cose che possono contribuire a conservare la santa virtù della modestia.

                Tu poi vedi tutto, parla con tutti; il resto lo farà la bontà del Signore.

                Ogni bene a te, a tutta la Mirabellese famiglia. Amen.

 

                Torino, 30 dicembre 1868.

Aff.mo in G. C.

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Il Direttore delle scuole promuova le associazioni alla Biblioteca Italiana.

 

                Il giorno dopo scriveva a quei di Lanzo.

 

Torino, 31 dicembre 1868.

 

                               Carissimo D. Lemoyne,

 

                Ho ricevuto colla massima consolazione la lettera dei tuoi e miei giovanetti che si compiacquero di scrivermi colle espressioni le più affettuose. Le ho volute leggere tutte da capo a fondo, e farei quanto mai volentieri una risposta a ciascuno, se non ne fossi assolutamente impedito dalla mancanza di tempo. Di' adunque da parte mia che mi hanno fatto vero piacere, che li ringrazio di vero cuore, che io mi occuperò di loro quanto mi sarà possibile per l'anima e pel corpo. Siccome poi desidero che in quest'anno sia in modo particolare promossa la divozione alla B. V. Maria, così ti mando alcune immagini da distribuire agli interni ed esterni. Desidererei che ognuno si rendesse famigliare la preghiera posta a piè di pagina che compose il S. Padre.

                A proposito del S. Padre di' a tutti i giovani che esso manda loro la S. Benedizione con indulgenza plenaria, in quel giorno che tu fisserai, mediante la loro Confessione e Comunione.

                Ora veniamo alla strenna.

                A te - e per te: curati della tua sanità; per maestri, assistenti, prefetto, economo, direttore degli studi, ecc. parlare loro spesso e dir sempre quanto occorre; Per tutti: userai somma pazienza e vigilanza.

                Per quei della Società. - Risparmiar viaggi quanto si può, e per quanto si può non andare a casa paterna. Si legga il Rodriguez ad hoc.

                Ai giovani. - Colle opere e colle parole promuovano la S. Comunione e la divozione a Maria Santissima.

                Al Direttore degli studi. - Molti associati alle Letture Cattoliche ed alla Biblioteca Italiana..

                A Sala e Bodratto. - Che mettano in serbo molti quattrini. [459] Per me poi ho un favore a dimandarti ed è questo. Dal 7 di gennaio al 7 marzo prossimi, dite ogni giorno un Pater, Ave e Gloria al SS. Sacramento con una Salve Regina. Quelli che possono vi aggiungano la santa Comunione secondo la mia intenzione per un grande bisogno. Io procurerò, miei cari giovani, di ricompensarvi con un regalo di cui sarete molto contenti.

                Raccomando poi a te, caro D. Lemoyne, di trattare tre argomenti che siano dominanti nel corso dell'anno:

                1° Evitare i cattivi discorsi e chi li fa, notando specialmente lo scandalo che ne deriva.

                2° Fuga dell'ozio e degli oziosi;

                3° Preziosità della virtù della modestia e mezzi per custodirla.

                Dal canto mio poi non mancherò di raccomandarvi ogni giorno nel sacrifizio della santa Messa, dimandando per me e per voi, affinchè tutti possiamo perseverare nel bene fino al fine della vita, che ci possiamo volte volte vedere in questo mondo, ma che ci possiamo poi un giorno, Dio ce lo conceda, raccogliere insieme intorno a Maria Ausiliatrice nella beata eternità. Amen.

 

Aff.mo in G. G.

Sac. Gio. Bosco.

 

                A gli alunni dell'Oratorio dava la strenna a voce. Si legge nella Cronaca.

 

31 dicembre 1868.

 

                In quest'ultimo giorno dell'anno 1868 tutti i giovani, studenti ed artigiani, i preti e chierici, i maestri ed assistenti, si radunarono nello studio per ricevere la solita strenna da Don Bosco. Esso parlò dopo le orazioni.

                 - Stanotte, alle ore 12, muore l'anno 1868, e ne incominciamo un altro, il 1869. È una gran sera questa, o miei figliuoli. Quest'anno va nel seno degli anni eterni di Dio e non ritornerà più. Ecco viene il 1869, il 1870, 71, 72, ecc. e noi speriamo di vederli, se il Signore ci concederà vita; ma il 1868 non verrà più. Ecco che ci vien tolto dal nostro vivere un anno.

                In quest'anno, come vedete, abbiamo dovuto mandar via diversi giovani, e tutti chi per aver fatti cattivi discorsi, chi per aver suonato l'arpa senza aver imparata la musica. Fate in maniera che per Don Bosco non si debba rinnovare un simile dispiacere.

                In quest'anno avremo degli avvenimenti. Bisogna distinguere le cose esterne dalle interne. Le esterne le lasciamo in mano di Dio. Le interne io le prevedo buone, prevedo molto bene per la casa nostra. Ma però sei di voi devono andare all'eternità, in paradiso. State preparati.

                E che cosa darà Don Bosco per strenna?  [460] Che cosa a Don Bosco? Che mentre si occupa del bene dell'anima altrui, non dimentichi la sua. Al Prefetto: Pazienza con tutti. A tutti gli altri preti, e chierici, assistenti, maestri in generale: Che siano vigilanti. Agli assistenti: Puntualità nell'intervenire ai propri doveri. Ai maestri: che impediscano i cattivi discorsi, che facciano del bene a tutti, del male a nessuno, che interroghino sovente i loro allievi nella scuola. A tutti insomma: che facciano ogni azione per dar gloria a Dio. Agli altri applicati ai lavori materiali: ciascuno faccia quel che può per essere diligente nel disimpegnare tutti i propri obblighi e uffizi. A tutti i giovani studenti ed artigiani, tutti dal primo all'ultimo: di evitare i cattivi discorsi sia contro i costumi, sia contro la religione, o contro le Pratiche di pietà. Perché, voi direte, Don Bosco insiste tanto che si allontanino i cattivi discorsi? Perchè? Corrumpunt bonos mores colloquia mala. I discorsi cattivi sono la causa spaventosa della rovina delle anime. Lo dice S. Paolo. Io già prevedo che diversi giovani saranno scacciati dall'Oratorio perchè faranno cattivi discorsi. Costoro sono qui che mi ascoltano e sono ancora in tempo di emendarsi. A Don Bosco, come a tutti gli altri che si occupano del vostro bene, siate riconoscenti. E in che modo? I cattivi cessino di dare scandalo, si mettano con buona volontà ad emendarsi, perchè altrimenti dovranno essere mandati a casa.

                Debbo però dire che in quest'anno prevedo molto bene.

                Intanto io vi dico che ho un affare di grave importanza per le mani e perciò desidero che dal 7 di gennaio fino al 7 di marzo si dica tutti i giorni mi Pater, Ave e Gloria a Gesù Sacramentato e una Salve a Maria SS. Ausiliatrice. Chi facesse delle Comunioni a questo fine, farebbe cosa ottima.

                Del resto vi raccomando di pregare e di fare delle Comunioni pei vostri parenti, fratelli, sorelle, benefattori che si occupano del vostro bene e fanno dei sacrifizi per voi. Siate loro riconoscenti. Si faccia eziandio qualche mortificazione per sollevare i propri parenti defunti dalle pene del purgatorio. Chi, fra di voi, non avrà fra i trapassati o il fratello, o la sorella, o l'amico, o il benefattore? Ebbene! si faccia qualche cosa per essi come sarebbe una comunione, una preghiera, una visita, ecc. Tutti costoro in qualche maniera ci hanno beneficati. Il fare un benefizio ad un ingrato è un far un male, dice un poeta profano. Siate dunque grati ai benefizi, e grati eziandio ai vostri Superiori, ai vostri maestri e a tutti quelli che cooperano al vostro bene.

                Non sappiamo se termineremo tutti quest'anno, ma in questa incertezza stiamo tutti preparati. Io raccomanderò tutte le vostre anime al Signore e voi pregate anche per me, perchè venendo la morte ci possa cogliere ben preparati.

                Ancora una cosa: ricordatevi di consegnare i denari al Prefetto. Nessuno faccia comperare roba di fuori. [461] Adesso diciamo due Pater, Ave; uno col Gloria pei nostri parenti e benefattori, e un altro col Requiem pei nostri compagni defunti; e una Salve Regina.

 

                Le esortazioni di Don Bosco agli alunni dell'Oratorio e le lettere a quei di Mirabello e Lanzo, avevano per iscopo di tener lontano il peccato, di promuovere le vocazioni allo stato ecclesiastico e religioso, di ottenere da Dio che venisse approvata dalla Chiesa la Pia Società. La bontà divina lo ispirava e sorreggeva, facendo provare la sua influenza, non solo dalle schiere degli alunni, ma anche molte volte dai singoli individui. Studiava in quest'anno nel collegio di Lanzo il giovane Antonio Varaia, nato a Leynì (Torino), orfano di padre e di madre, poverissimo, cui erano mancati i soccorsi di due anime generose: di Don Savio professore di rettorica in ritiro, e di Suor Atanasia, Superiora delle Suore di carità, traslocata dopo venti e più anni dall'Ospedale di Lanzo a quel di Mirabello. E il giovane, non potendo più pagare alcuna pensione, deliberava di tornare a Mathi, presso una sua sorella e riprendere la verga pastorizia, conducendo gli armenti ai pascoli e tenendoli in custodia nell'inverno. Ma l'ultima notte che dormì in Collegio, appena addormentato, gli sembrò di essere nel cortiletto interno e di andare nel parlatorio, presso il quale era una piccola altalena per cercar svago alla sua afflizione. E con meraviglia e tremore vede in quella sala N. S. Gesù Cristo ed è così compreso dal fulgore della sua maestà che gli sembrò di cadere in terra svenuto. Il Divin Salvatore lo prese per mano, e amabilmente gli disse:

                 - Non temere: io stesso ti farò da padre, poichè gli uomini ti abbandonano. Ti affida in me.

                E il giovane inginocchiato a lui vicino:

                 - Oh Signore, esclamò, fatemi la grazia che io sia prete e missionario.

                Gesù lo guardò con aria di bontà ineffabile, e con sorriso gli rispose:  [462]

                 - E l'uno e l'altro.

                 - Sì, o Signore, replicò il giovane, fatemi prete e missionario.

                E Gesù ripeté collo stesso dolcissimo sorriso

                 - E l'uno e l'altro!

                Intanto parve a Varaia di vedere una terra lontana abitata da nemici del nome Cristiano. E là trasportato, dopo varii spettacoli di persecuzione, gli sembrava di morir crocifisso e di recitare con affetto l'Ave Maria. Ed ecco comparirgli la Madonna, tutta splendente, che col suo aspetto gli causava un'allegrezza celeste, quando un misterioso velo rosso si stese tra lui e la Vergine SS., quasi volesse impedirgliene la vista. E la Benedetta, colla sua stessa mano, rimosse il velo e di nuovo gli si fece vedere. Mentre così gli pareva di morire, nello stesso tempo sembravagli di continuare a stare in ginocchio nel parlatorio ai piedi di Gesù, finchè sempre nel sogno, udì la campana che chiamava i giovani del Collegio in Chiesa ad ascoltare la S. Messa.

                 - Signore, disse il giovane, la campana mi chiama ad ascoltare la S. Messa, e, se permettete, io vado.

                 - Va' pure! - gli rispose il Signore; ed in quel punto si svegliò, e suonava infatti la campanella per andare in Chiesa.

                Rassicurato dal sogno, Varaia ritornò presso la sorella a Mathi, donde spesso tornava a passare qualche ora in collegio. Quivi raccontò al Direttore, che ne scrisse memoria, quello che aveva sognato e, due anni dopo rientrava in Collegio, accettato gratuitamente da Don Bosco che lo provvide di tutto.

                A Lanzo egli compié i suoi studi di ginnasio: a Torino nell'Oratorio i corsi di Filosofia e Teologia, e, fatta professione nella Pia Società, fu ordinato sacerdote nel 1877. Modello di santi costumi, di semplicità, di umiltà e di zelo, ardente per la salute delle anime, dopo essere stato alla [463] direzione della Casa Cartiera a Mathi e alla Colonia di Saint - Cyr in Francia, nel dicembre del 1891 era mandato dai Superiori nelle missioni della Palestina. Infaticabile nel sacro ministero, egli fece un gran bene ai molti giovani ricoverati nelle case di Cremisan, di Beitgemal, di Betlemme, di Nazareth, finchè moriva in Gerusalemme nella nostra scuola italiana, il 19 ottobre 1913, a 64 anni, dopo essere stato direttore di varie case per 14 anni.

 

 

CAPO XXXVI. I tre flagelli predetti da Don Bosco - I tre quadri che ordinariamente si presentavano al Venerabile nei suoi sogni - Alcune sue parole - Il primo flagello: la Pestilenza - Il secondo flagello: la guerra - Il terzo flagello: la fame - Questi flagelli non si riferivano solo all'Italia - Uno sguardo all'Algeria - Don Bosco e Mons. Lavigerie.

 

                CON una predizione D. Bosco chiudeva l'ultima parlata ai giovani sul fine del 1868. Come si era avverata quella parte del sogno da lui narrato il 31 dicembre 1867 circa il numero di coloro che sarebbero morti quell'anno, così doveva compiersi anche questa. Quanto all'altra convien ripetere che, generalmente, tre vasti quadri contemporanei, principali, andavano svolgendosi innanzi alla mente del Venerabile, nella visione del futuro: la Chiesa Cattolica, la Pia Società di S. Francesco di Sales, e i giovani dell'Oratorio. Parlandone, talora egli trattò dei primi, di carattere più largo, omettendo il terzo; ma il più delle volte non parlava dei primi, oppure li accennava solamente intrattenendosi ad esporre il terzo, come il più utile ai suoi giovinetti non mancando alle volte di rinunziare alla chiarezza per coprire quanto poteva ridondare in suo onore.

                Così nella narrazione sua dell'ultimo giorno del 1867, oltre ciò che riguardava i giovani, aveva contemplati pubblici avvenimenti che avrebbero cagionato grandi inali per più anni, come la peste, la fame e la guerra, e lo spettacolo fu [465] così vivo che il Venerabile lo ricordava diciassette anni dopo. Diceva nel 1884: - Il principio dei fatti sognati fu posto nel 1868, ma finiranno di avverarsi nel 1888, epoca di grandi avvenimenti per la Chiesa; a meno che non siano ritardati, dipendendo da cause libere.

                E dopo essere stato soprapensiero, forse pensando ad altro, ripeteva ancora:

                 - Quali avvenimenti nel 1888 e nel 1891!

                Tanto per l'esattezza del nostro racconto.

                Il primo flagello predetto da Don Bosco fu la pestilenza La terribile moria sul finire del 1867 sembrava del tutto cessata e si cominciava a credere che fosse scomparso ogni pericolo. Perciò l'annunzio di una pestilenza in quella circostanza poteva sembrare una facile profezia. Ma Don Bosco, non curandosi punto di ciò che si sarebbe potuto dire, si sentì obbligato ad annunziare ciò che aveva visto in un sogno, del quale egli conosceva l’importanza. Il flagello era stato sospeso, ma non rimosso, aspettando Iddio gli uomini a penitenza; e Don Bosco avvertiva i suoi giovani perchè stessero all'erta e non l'offendessero.

                Nel 1868, adunque, e ne' quattro anni seguenti accaddero qua e là casi di colera, ma non si manifestavano focolari d'infezione. Don Bosco però, avutane notizia, a quando a quando la comunicava agli alunni, ripetendo loro con sicurezza che lo scudo contro il morbo sarebbe stata la medaglia di Maria SS. Ausiliatrice. Egli ne aveva avuta certa promessa da chi solo poteva dargliela e questa promessa fu mantenuta in maniera portentosa, come vedremo.

                Nel 1873 con una sinistra fiammata il morbo manifestò la sua presenza anche a Treviso e a Venezia. Invase pure le provincie di Padova, di Brescia e di Parma. Fu, dove più, dove meno, micidiale, ma sempre terribile. In queste provincie riunite, secondo il Bollettino della Gazzetta Ufficiale, la media dei casi, per tre mesi, andò presso al centinaio al giorno, e i due terzi dei colpiti dal morbo ne furono spenti in poche ore. [466] Nel 1874 il morbo si nascose e rimase quasi endemico senza notevole mortalità, mentre altre sventure opprimono la povera Italia per più anni.

                Nell'estate del 1883 il morbo era in Egitto e si affacciava alle porte d'Italia con grande sgomento delle città marittime. I cittadini di Brindisi, tumultuando, si opposero allo sbarco dei passeggieri della valigia delle Indie, perchè le autorità facevano loro qualche eccezione riguardo alla quarantena già stabilita.

                Nel 1884 il cholera scoppiava prima a Tolone, per navi infette, giunte dal Tonchino, e poi a Marsiglia; e l'Italia fu inondata da migliaia di operai fuggitivi, che pieni di terrore ritornavano in patria, portando con sé il germe della malattia. Quindi questa si diffuse in molti paesi del Piemonte, del Bergamasco, della Liguria, dell'Emilia, della Toscana, del Napoletano. Nell'agosto n'erano infette 24 provincie e 858 comuni.

                Nella provincia di Cuneo si ebbero 3.344 casi con 1.655 morti.

                In quella di Genova 2.619 casi, con 1.438 morti.

                Alla Spezia 1.388 casi con 610 morti.

                Nella sola Napoli vi furono 14.233 casi con 7000 morti.

                In Napoli e provincia 115.977 casi con 7.944 morti.

                Dunque solo in Italia furono molti i casi e i morti: ed è facile che le cifre siano inferiori alle vere.

                Nel 1885 il colera compariva a Marsiglia; e nella Spagna mieteva vittime senza numero per circa sei mesi, sicchè i diari Spagnuoli affermavano che da mezzo secolo non si rammentava eguale mortalità. In Italia, in terra ferma, l'epidemia invase 25 province e 152 comuni; la più bersagliata fu la provincia di Parma. In Sicilia, nella sola Palermo, a tutto il 20 novembre si ebbero 4767 casi con 2568 morti; e nella provincia di Trapani centinaia di famiglie scomparvero. Le statistiche registrarono sopra 6397 casi, 3459 decessi, avvenuti in Italia.

                Nel 1886 il morbo avvampava all'improvviso a Brindisi [467] e a Bari ed appariva nella provincia di Lecce. In paesi e città del Veneto parve che il cholera si fosse insediato, poichè vi durava da un anno, quantunque senza intensità; a Venezia si contarono 40 casi al giorno. Il morbo si dilatava invece nel Napoletano, nella Toscana e nel Piemonte. Asti, Cuneo e tanti altri paesi ebbero vittime. A Bologna il vaiuolo arabo venne ad unirsi al colera, con terrore della popolazione, perchè il numero delle vite che mieteva non era inferiore.

                Finalmente nel 1887 vi furono casi a Siracusa, Caltanissetta, Trapani, Palermo, ma il morbo rimase stazionario. Invece menò strage a Catania, ove in luglio i morti, secondo la relazione medica, furono 604. Così pure Messina fu desolata da grande strage; in un sol giorno ebbe più di 200 casi. Anche le provincie di queste due città furono travagliate dal morbo e Napoli stessa non ne andò esente.

                Altro fatto previsto fu la guerra.

                Napoleone III aveva cooperato ad accrescere la potenza della sua terribile rivale, la Prussia, dichiarandosi neutrale nella guerra del 1866; e la Prussia non aspettava che il momento opportuno per invadere la Francia e schiacciarla. Il suo Re Guglielmo I, l’11 settembre 1868, rispondeva a Kiel al Rettore di quell'Università, che nel suo indirizzo aveva fatto allusione al desiderio comune di pace, che egli pure la desiderava, ma che garanzia di questa era il suo esercito, che aveva già provato come esso non temeva d'accettare e di condurre a buon fine una lotta che gli era imposta. In queste parole tutti videro un guanto di sfida gettato in viso alla Francia.

                Ed ecco il 19 settembre 1868 l'Ammiraglio Spagnuolo Topete inalberare a Cadice la bandiera della ribellione; e la flotta e l'esercito fu con lui. In dieci giorni venne scacciata dalla Spagna la dinastia regnante. La Regina Isabella II si rifugiò in Francia; e, non senza spargimento di sangue per la resistenza di qualche reggimento fedele al suo dovere, i ribelli entrarono trionfanti in Madrid, distribuirono 30.000 [468] fucili alla plebe e formarono un governo provvisorio. Con Topete i generali Serrano e Prim avevano in mano la somma delle cose.

                Sul Prim pesava l'accusa di esser nulla più che un prezzolato strumento della Prussia, la quale sarebbesi avvalsa di lui per mandare sossopra la Spagna, all'intento di creare impicci alla Francia e rendere impossibile a Napoleone III ogni alleanza. Anzi, a questo fine, avea egli ricevuto in prestito dalla Prussia 600.000 talleri. Il Prim smentì la Presse parigina, che il 10 ottobre aveva spiattellato queste voci molto chiaramente.

                Comunque sia la cosa, la Spagna n'andò sossopra. Senza parlare delle finanze dilapidate, delle leggi settarie emanate contro la chiesa, del tempio protestante eretto a Madrid, diremo che il 1868 e il 1869 furono anni d'orrendo strazio per la Spagna.

                Cuba si rivoltò vedendo lesi i suoi interessi, e si dovette spedirvi grosso nerbo di truppe, per tenerla a freno con sanguinosi combattimenti. Le Canarie con moti risoluti si opposero alle leggi del Governo. I repubblicani e la ciurmaglia armata volevano le repubblica. Cadice, Malaga, Siviglia, Jerez in Andalusia, Terragona, Saragozza, Balaguer, Barcellona, Valenza, ove si asserragliavano, furono in diversi tempi bombardate e riconquistate dopo più giorni di grandi stragi.

                Ma l'idea repubblicana andava prevalendo in molte altre città; e in nome di questa, centinaia di squadre di sicarii commettevano orribili delitti, e taglieggiavano le popolazioni dei piccoli centri già oppresse da tasse enormi. In varie provincie un grande sobbollimento faceva temere al Governo nuove sommosse per proclamare Re il Duca di Madrid, D. Carlos di Borbone e di Este. Numerose bande di partigiani incominciavano a rannodarsi, non ostante gli arresti, le fucilazioni e le decapitazioni.

                L'esercito era stanco di accorrere qua e là per domare le sedizioni; fremeva; e a Cuba le truppe avevano rifiutato ubbidienza [469] ai comandanti. Lo sfacelo dell'edificio rivoluzionario era completo.

                Il Governo Provvisorio, sentendosi inetto a rimetter l'ordine, il 6 giugno 1869 promulgava una costituzione, formata dalle Cortes, nella quale si stabiliva che il Governo della nazione fosse monarchico costituzionale. Si rivolse quindi a varii principi di famiglie reali estere offrendo loro quella difficile corona; ma tutti la rifiutarono. Allora si pose in campo la candidatura del principe Leopoldo Hohenzollern - Sigmaringen, parente del re di Prussia e cattolico di religione. Autorizzato da Guglielmo I, il principe accettò.

                Ma l'Imperatore Napoleone dichiarava che non avrebbe sofferto un principe straniero sul trono di Spagna, che era un pericolo all'onore e alla dignità della Francia; e il principe Leopoldo rinunziò. Napoleone volle ancora esigere che il Re di Prussia dichiarasse che né allora né poi avrebbe mai permesso ad alcuno della sua famiglia di accettare la corona di Spagna. Il Re si negò a quella pretesa, e l'Imperatore il 19 luglio 1870 gli indisse la guerra.

                I prussiani passarono la frontiera con gli Stati Germanici loro alleati e tutti sanno la terribile guerra che si combatté, la caduta dell'impero francese, la proclamazione della repubblica, l'aiuto prestatole da Garibaldi co' suoi volontarii italiani; ai quali fatti tennero dietro gli orrori e le stragi della Comune in Parigi, e la marcia dell'esercito di Vittorio Emanuele alla conquista di Roma. In fine, per ciò che riguarda l'Italia, nel 1888 si possono ricordare i fatti d'Africa.

                Il terzo flagello predetto da Don Bosco fu quello della fame, e i giornali del 1868 son pieni delle dolorose notizie della penuria che si fece sentire in molti Comuni dell'Italia meridionale per gli scarsi raccolti e la mancanza di lavoro. Specialmente la Sicilia fu desolata dalla fame; giammai la miseria si era fatta sentire così generale e tremenda. Migliaia di isolani mancavano di pane. Per difetto di alimenti, si vedevano i miseri andar a frotte per i campi e per i burroni a [470] sbarbicare radici ed erbe con che ingannare la fame e sedare le torture dello stomaco; non pochi ne ammalavano e morivano.

                Nello scorcio del settembre e dell'ottobre le dirottissime pioggie cadute sulle Alpi cagionavano danni enormi in Savoia, nella Svizzera e nell'alta Italia. Le inondazioni avevano travolte innumerevoli case coloniche e le derrate già mietute e riposte, e armenti in gran numero. Ne furono isteriliti interminabili tratti di suolo fecondo, rimasti coperti di arena e ciottoli e in più luoghi ridotti a vaste paludi. Nella sola Italia i danni furono calcolati a circa 300 milioni.

                Accresceva le angustie la legge della nuova tassa firmata dal Re, il 7 luglio, sulla macinazione per ogni quintale di grano, granoturco, segala, avena, legumi secchi, e castagne. L'avventore doveva pagarla nelle mani del mugnaio, divenuto esattore, prima dell'esportazione delle farine: e la legge proibiva con multa ogni specie di molino a mano nelle case private. Di qui il rialzo del prezzo delle vettovaglie, e l'aumento della fame dei poveri che non potevano più mettersi in bocca neppure un pizzico di qualsivoglia specie di farina, senza doverne pagare la decima al Governo, che sperava di trarne il vantaggio di sessanta milioni. In tutta Italia vi furono tumulti sedati coi fucili dalle truppe e colle carceri. Si aggiunga che accrebbero la penuria in questi anni le nuove inondazioni del Po e del Ticino, il colera che teneva lontani i ricchi forestieri e inceppava il commercio nei porti di mare, l'eruzione dell'Etna, gli uragani, i terremoti, i fallimenti delle banche; e nel 1884 il terremoto in Liguria, e nel 1888 quello di Calabria: mentre in quest'anno abbondanti nevicate producevano gravissimi danni nell'Alta Italia.

                Di questa dolorosa penuria di pane annunziata da Don Bosco ai giovani, egli non ne aveva fatto particolareggiata descrizione nel sogno. Parlò invece delle strettezze nelle quali si sarebbero trovate le loro famiglie ed anche l'Oratorio. Qui infatti, per le beneficenze scemate, causa le pubbliche [471] sventure, per le enormi imposte cresciute, e specialmente per la tassa del macinato, davvero si doveva stare in angustia.

                Ciò che disse aver veduto nel sogno non riguardava evidentemente la sola Italia. Il suo sguardo si era spinto molto lontano. “Vedemmo, ei disse, una moltitudine sterminata di gente pallida, abbattuta, smunta, sfinita, coi panni laceri... che gridando: fame! fame! cercavano pane da mangiare e non ne trovavano; cercavano di togliersi la sete che loro ardeva le fauci e non trovavano acqua”.

                Or bene: prendiamo il Courrier de l'Algerie del 1868 e leggeremo le seguenti notizie. Tutta l'Algeria, per l'inclemenza dell'estate, nel 1867 veniva ridotta a tale estremo di penuria delle derrate di prima necessità, che nel maggio del 1868 si faceva il calcolo essere già periti d'inedia, di stenti e di cruda fame e di sete almeno 200.000 arabi. I loro cadaveri erano disseminati e insepolti nelle campagne, lungo le vie nei pressi delle città e borgate, ove correvano gli affamati in cerca di nutrimento. Quelli che poterono giungere in luoghi ove erano Europei, ebbero dal Governo, e dalla carità dei coloni, larghi soccorsi. Ma le tribù vaganti in fondo ai deserti, avvezze a vivere sul prodotto dei pascoli e dei grani che fallì tutto per l'arsura eccessiva, si trovarono ridotte a vivere di erbe selvatiche, di radici e di scorze di arbusti, aspettando la morte.

                Fra tanti orrori brillò la carità di Mons. Lavigerie, Arcivescovo d'Algeri.

                I Kabili non ebbero altro scampo che ricorrere a Monsignore. Tutti i giorni, sui muli e sui carri presi dall'esercito, giungevano convogli di fanciulletti e si fermavano alla casa dell'Arcivescovo; e crescendo sempre di numero, ben presto raggiunsero i 1800 Ma molti erano siffattamente deboli che, malgrado le più amorevoli cure prodigate loro, più di 500 morirono. Di fronte agli immensi benefizii largheggiati dal grande apostolo, l'autorità militare algerina finiva per pretendere che chiudesse l'orfanotrofio dove erano raccolti i figli di coloro che erano stati uccisi [472] dalla pestilenza, e che venissero rimandati alle loro tribù. Il Lavigerie non tollera freno; ha ricevuto il mandato da Dio e dal suo Vicario, e corre a Parigi, chiede di parlare a Napoleone III e francamente gli espone l'enorme ingiustizia che laggiù, in Algeri, si commette contro gli Apostoli di Cristo. La fermezza del Vescovo cattolico impressiona l'imperatore, che con benevolo sorriso attende le sue richieste.

                 - Maestà, dice il prelato, la Francia colle armi e col sacrifizio di migliaia de' suoi figli ha congiunto alla madre patria circa 670, 000 k.q. e ben 3, 400, 000 abitanti sparsi nei 1400 suoi villaggi; ma a che cosa varranno queste conquiste se si tiene lontana la fede e l'opera del sacerdote cattolico? ... Sire! io vi domando il permesso di evangelizzare liberamente tutta l'Algeria, aprirvi scuole, fondarvi educandati, orfanotrofii, chiese, tutto quello in somma che mi suggerisce la fede e la civiltà cristiana.

                L'imperatore tutto accorda e il Lavigerie torna trionfante in Algeri per mettere in pratica il vasto suo disegno. Così Monsignore poté ritenere, ricoverare, educare cristianamente tutti gli orfanelli salvati e li mantenne coi soccorsi che gli venivano abbondantissimi dalla Francia. Mancando però di personale sufficiente per la direzione, anche promosso Cardinale più volte fece vive istanze a D. Bosco perchè gli spedisse una schiera de' suoi Salesiani. Il Venerabile però, o non potendo o avendo forse riconosciuto non esser tale per allora il volere di Dio, rimandava ad altro tempo tal progetto. E Monsignore gli mandava da Algeri alcuni orfani della tribù dei Kabili, perchè desse loro educazione e istruzione e poi li rimandasse in Africa. Don Bosco li accolse con festa e li annoverò tra i suoi alunni.

                Più tardi i Salesiani presero stanza sulla costa africana, nel 1891 in Algeria ad Orano e ad Eckmülh; nel 1896 a Tunisi; nello stesso anno in Alessandria d'Egitto e al Capo di Buona Speranza. Sorsero quindi Collegi, Ospizii, Oratorii festivi e scuole d'arti e mestieri.

 

 

CAPO XXXVII. 1869 - Personale della Pia Società - La Provvidenza in soccorso dell'Oratorio - Una preziosa eredità - Una causa dell'affetto de' benefattori per Don Bosco - Una sua letterina ad un chierico - Letture Cattoliche: LA CHIESA CATTOLICA E LA SUA GERARCHIA - Un dono del Re a Don Bosco, e nuovo invito di recarsi a Firenze - Straordinaria conversione nella Chiesa di Maria Ausiliatrice - Don Bosco si dispone a partire per Firenze e per Roma - Prende congedo dai suoi alunni - Il Rosario quotidiano prescritto a tutti nella Pia Società - Partenza di Don Bosco Per Firenze - Lettera di Mons. L. Gastaldi al Cardinal Prefetto della sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari in favore di Don Bosco - Questi è aspettato a Firenze - Il Padre Verda e il suo desiderio di una casa Salesiana a Firenze.

 

                SUL principio del 1869 i Sacerdoti Salesiani erano ventidue e con questi, meno uno, altri ventisei membri della Società avevano fatto i voti perpetui. Erano legati dai soli voti triennali trentatre; e gli aspiranti erano trent'uno. Il numero totale 93. “Gli alunni interni dell'Ospizio erano più di 800, scrive D. Rua nella sua cronaca, e l'Oratorio viveva pienamente abbandonato nelle braccia amorose della Divina Provvidenza.

                Devesi notare come al principio di quest'anno eranvi a soddisfare numerosi e grossi debiti. Il banchiere commendatore [474] Giuseppe Cotta aveva promesso per i primi di gennaio 1869 la somma di lire 10.000: egli morì sul finire del 1868 e nel suo testamento nulla si trovò notato per l'Oratorio. Ma il Signore dispose che in tale circostanza, ci venissero recati d'altronde aiuti straordinarii, con cui si poté comodamente far fronte ad ogni debito e ad altre spese non indifferenti.

                Sul finire del 1868 moriva il signor Carlo Bertinetti di Chieri e nei primi giorni del 1869 moriva pure sua moglie e lasciarono per testamento le loro sostanze a Don Bosco, di cui ammiravano le belle opere. Questo però non poté coadiuvare in nulla al sollievo degli urgenti bisogni di que' giorni, e, giacché, per i primi tempi dopo ricevuta tale eredità, non si ebbe che a spendere per coprire le passività e le spese che occorrono in tali circostanze”.

                Tuttavia recò un grande sollievo. Munifico era stato quel dono ed anche prezioso, perchè alcune stanze dell'abitazione del Bertinetti avevano fatto parte dell'antico palazzo dei Della Rovere; e precisamente di quella che ospitò S. Luigi Gonzaga in occasione di una sua gita a Chieri per visitare quei nobili signori, parenti della Marchesa sua madre.

                Quell'eredità e la costante larghezza dei benefattori nel soccorrere Don Bosco sono una prova continua e mirabile dei totale distacco del cuore del Servo di Dio, da ogni cosa della terra. Il Venerabile Beda, commentando la promessa del Divin Salvatore, che cioè colui il quale per amor suo lascerà famiglia, casa, campi, riceverà il centuplo anche in questo mondo, così spiega: Qui enim terrenis affectibus sive possessionibus pro Christi discipulatu renuntiaverit, quo plus in eius amorem profecerit, eo plures inveniet qui se interno suscipere affectu et suis gaudeant sustentare substantiis[18].

                E Don Bosco godeva alla sua volta nel ringraziarli. Scriveva al Chierico Bartolomeo Giuganino di Villastellone, [475] nipote del Teol. Appendino, mandandogli un'immagine di San Luigi Gonzaga.

 

 

                               Carissimo Giuganino,

 

                Ringrazio te e la persona pia che manda franchi 30 per sua quarta offerta che fa a Maria Ausiliatrice. Dille così: Maria è potente e ricca; e non si lascierà certamente vincere in generosità dalla sua divota.

                Fa' i miei saluti al tuo sig. Zio, a tua sorella e ai tuoi parenti; prega per me che ti sono di cuore

 

                Torino, 2 del 69.

Aff.mo in G. G.

Sac. GIOVANNI BOSCO.

 

                Dietro l'accennata immagine di S. Luigi aveva scritto:

                Se lo imiti in terra, egli ti aiuterà certamente ad essergli poi un giorno compagno della sua gloria in cielo.

                Il Venerabile pel suo attaccamento fermissimo al Papa fu chiamato da certi diarii, ostili alla Chiesa: Il Garibaldi del Vaticano e dei Clericali. Di questa franchezza egli dava prova sul finire del 1868. Le Letture Cattoliche avevano presentato agli associati pel gennaio 1869, il fascicolo seguente: - Del dominio temporale del Papa, conversazioni tra uno studente ed un professore, pel sacerdote Boccalandro Pietro.

                Nel fascicolo erano confutati quelli che volevano spogliato il Papa dei suoi dominii e pretendevano esser egli obbligato a rinunziarvi, ed essere in colpa se anche colle armi tentasse di resistere per conservarli. In fine si leggeva il programma della Biblioteca della Gioventù Italiana.

                Egli poi aveva finito in que' giorni di correggere il fascicolo di febbraio: - LA CHIESA CATTOLICA E LA SUA GERARCHIA, pel Sacerdote Giovanni Bosco. - In esso diceva:

 

Al cortese Lettore.

 

                Col presente fascicolo noi intendiamo di dare in breve una giusta idea della Chiesa di Gesù Cristo, spiegare i principali gradi dell'Ecclesiastica Gerarchia, non che parlare di quanto ha colla Chiesa Cattolica e colla sua Gerarchia speciale relazione. Molti non avendo di questi vocaboli [476] netta cognizione, né sapendo di essi la sapiente istituzione, rimangono nell'ignoranza o intendono malamente cose assai necessarie al fedel cristiano. Per ovviare a questi difetti noi diamo in questo libretto una breve spiegazione delle accennate cose raccontandone l'origine e il significato morale, il tutto per quanto si può, e lo comporta la brevità, appoggiando sull'autorità dei santi libri, dei santi Padri, o di altri accreditati autori. Alcune citazioni e le più necessarie sono sparse nel corso del libro... Voglia Iddio concedere ai nostri lettori le più elette benedizioni, affinchè possiamo vivere fedeli osservatori dei precetti della pietosa madre, la Chiesa Cattolica, sola maestra, solo centro di unità, fuori di cui non àvvi salute.

 

                Le pagine più belle sono dedicate al Papa, con accenno, anche al suo potere temporale, e notizie storiche di tutti i suoi ornamenti pontificali e regali, e delle ragioni per le quali in certe occasioni è portato in sedia gestatoria. Narra brevemente anche l'origine dei scismi ed eresie nel corsa dei secoli, in ispecie dei Protestanti.

                Caro al Pontefice per questa sua devozione illimitata, Don Bosco, per il suo ossequio cordiale a tutte le autorità, era egualmente caro al Re e al Governo.

                Don Rua scrive nella sua cronaca: “1 gennaio 1869. Don Bosco ricevette in dono da S. M. il Re due daini, dopo aver poco tempo prima ricevuto da parte del Sovrano un altro invito di recarsi a Firenze”.

                Queste poche parole non hanno alcuna spiegazione, ma l'invito del Re, dopo quello del Ministro, faceva intendere si trattasse di affari serii e di premura.

                La Cronaca continua narrando un trionfo della misericordia di Dio.

 

2 gennaio 1869.

 

                Una persona venne oggi a visitare la Chiesa di Maria Ausiliatrice, e, senza dar segni né di divozione né di disprezzo, girò internamente tutta la Chiesa vicino alle mura, osservando ogni cosa, quindi si arrestò a contemplare l'altar maggiore. Dopo aver fissato buon pezzo il quadro della Madonna ritornò verso il fondo vicino alla porta. Qui si volse indietro e lentamente si avanzò di bel nuovo verso l'altar maggiore, passando in mezzo. La Chiesa a quell'ora era deserta.  [477]

                Sembrava che lo traesse una forza dolce e misteriosa. Giunto sotto la cupola vide un biglietto per terra che era caduto dal libro di un giovane. Quella stessa mattina la Chiesa era stata scopata e il sagrestano non aveva vista quella carta. Quel signore guardò attorno, si curvò, prese il biglietto e vi lesse sopra alcune righe che dicevano così: “Ai tanti di dicembre è morto un tuo compagno, giovane come sei tu. Se anche te sorprendesse la morte, che ne sarebbe dell'anima tua? E se avessi da comparire adesso avanti al giudice supremo, qual sorte ti toccherebbe? che ne sarebbe di te? O eternamente felice in paradiso, o eternamente dannato nell'inferno”.

                A queste poche righe quel signore restò come fulminato. La sua coscienza era imbrogliata. Una lotta interna vivissima si era accesa ed esso tentava resistere, ma non poteva. La voce di Maria prevalse. Entrò in segrestia, col volto contraffatto, i capelli sconvolti, sicchè metteva paura. Il biglietto avealo riposto nel portafoglio. Si volse al sagrestano, ma per la commozione non poteva parlare. Dopo aver passeggiato su e giù in modo da parer pazzo, chiese di un prete, cadde in ginocchio e si confessò. Ciò fatto si alzò raggiante di gioia, e tratto fuori quel tal biglietto lo presentò al confessore, dicendogli: - Conosce la mano di chi ha scritto questo biglietto? - La conosco: è di un bravissimo giovanetto.

                 - Or bene; dica a questo giovane per sua consolazione che di queste sue righe si è servita Maria per salvare un'anima. Sono avvocato e da venti anni non mi ero più accostato ai SS. Sacramenti. Ma da qui innanzi prometto di voler vivere da buon cristiano. Dica a quel giovane che io vorrei potermi inginocchiare ai suoi piedi per ringraziarlo del bene che mi ha fatto, e che il suo biglietto lo conserverò finchè avrò vita, per ricordo delle misericordie di Maria.

 

                Il 7 gennaio D. Bosco chiese al Vicario Generale Mons. Giuseppe Zappata la licenza, e una lettera commendatizia, per rimanere tre mesi fuori diocesi.

                Don Rua scrive nella cronaca.

 

7 gennaio 1869.

 

                Parole di Don Bosco dopo le orazioni della sera, colle quali diede l'addio a tutti i giovani della casa radunati nello studio, prima di partire per Roma:

                “Voleva partire di nascosto, disse, ma da ieri a quest'oggi si divulgò talmente la nuova della mia partenza, che andando oggi per Torino una persona mi diceva: - Aspetti, ho una commissione da lasciarle! - E voi, o miei cari giovani, volete sapere dove vado? Vado a Roma, perchè ho affari di molta importanza e vado per voi; per far danari, se posso, e poi per un'altra cosa che vi dirò a suo tempo e [478] ne sarete molto contenti, perchè sarà di grande utilità all'Oratorio. Starò a Roma tutt'al più fino al 1° febbraio, e desidero che la festa di S. Francesco si trasporti fino alla metà circa di febbraio. Se la cosa va bene starò di più, se no, ritornerò più presto. Pregate per me, fate la comunione per me, e poi state buoni, e tenete buona condotta.

                Voglio che quest'anno facciamo una bellissima festa di S. Francesco, quale non abbiamo mai fatto né forse faremo più. Pregate molto per me. Aiutatemi colle vostre orazioni. Vi esorto caldamente a recitare fino alli 7 di marzo un Pater ed una Salve secondo le mie intenzioni. Addio; a rivederci”.

 

                Il Venerabile andava a Roma soprattutto per ottener l'approvazione della Pia Società e, fra gli altri motivi, aveva pur quello di ottenere dal S. Pontefice speciali indulgenze ad un'Associazione di divoti di Maria SS. Fin da quando si era dato principio alla costruzione della chiesa di Valdocco, i fedeli avevano fatte ripetute domande perchè venisse, iniziata una pia Associazione di divoti, i quali, uniti nel medesimo spirito di preghiera e di pietà, facessero ossequio alla gran Madre del Salvatore, invocata sotto il titolo di Ausiliatrice. Compiuta la consecrazione del tempio, mentre moltissimi accorrevano in sagrestia per scrivere il loro nome in un registro, si erano moltiplicate le suddette richieste da tutte le parti e da persone di ogni età e di ogni condizione. E il Venerabile, come vedremo, pensava già a soddisfarle.

                Vivo era sempre in Don Bosco il desiderio di onorare Maria Santissima. Un altro segno del suo grande amore era questo. Nella copia delle Regole, che portava con sé a Roma, per presentarle alla Sacra Congregazione, aveva aggiunto (ciò che per altro era in uso costante) che anche i suoi sacerdoti e i suoi chierici avrebbero recitato ogni giorno il Santo Rosario, mentre nel manoscritto delle Regole del 1864 ciò si diceva dei soli coadiutori laici.

                Don Bosco adunque partì, senza compagno, il giorno 8 gennaio alla volta di Firenze.

                Nello stesso giorno Mons. Lorenzo Gastaldi scriveva [479] a Roma a Sua Eminenza il Cardinale Prefetto della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari.

 

 

Saluzzo, 8 gennaio 1869.

 

                               Eminenza Reverendissima.

 

                Recasi a Roma il Molto Rev. Sig. Don Giovanni Bosco sacerdote Torinese, il quale fino dal 1845 in circa aprì in Torino un Oratorio per educarvi cristianamente la gioventù, il quale fu benedetto dalla Provvidenza così, che ora conta da 800 ragazzi incirca quivi conviventi insieme, oltre a parecchie centinaia che vi vengono solo nei dì festivi. La magnifica chiesa dedicata a Maria SS. Ausiliatrice che fu eretta dallo stesso sacerdote presso a questo Oratorio coll'enorme spesa di oltre un mezzo milione di franchi, e tre altri Oratorii festivi per raccogliervi la gioventù la quale vi accorre nelle Domeniche e feste in numero di presso a 2000 individui, e due collegi convitti aperti e mantenuti per lo stesso scopo a Lanzo Torinese e a Mirabello, diocesi di Casale, e frequentati così che il locale non basta per soddisfare alle domande, dimostrano chiaro che l'opera di questo sacerdote è protetta dalla mano di Dio, e che arreca giovamento alla religione.

                Ella è cosa patente di per sé, che quest'opera per conservarsi e procedere abbisogna di molti coadiutori, i quali non possono convivere insieme ed essere uniti da un medesimo scopo ed essere animati dallo zelo e spirito di sacrifizio richiesto alla medesima, senza che essi siano legati insieme da voti religiosi e formino una società religiosa.

                Per questo il predetto Don Bosco fin da principio venne formandosi dei chierici e dei sacerdoti, ai quali comunicò il suo spirito, e coll'aiuto dei quali venne reggendo e conducendo a buon fine le sue Istituzioni; e questi chierici e sacerdoti cominciano già a comporre la Società, che avrà da rendere durevole l'opera così bene avviata.

                Il sottoscritto vide nascere e crescere questa società, ne conobbe come ne conosce ogni individuo, e non può altro che parlarne con elogi e desiderano lo stabilimento in modo sicuro.

                A tal fine è al tutto necessario, che quest'opera ottenga dalla Santa Sede Apostolica quella sanzione, senza della quale essa non potrà mai avere stabilità. Il sig. Don Bosco presentò già alla S. Sede le regole della sua nascente Società e supplicò la medesima a concedergli le grazie ed esenzioni necessarie ad ogni Società Religiosa.

                Ed il sottoscritto raccomanda caldamente a V. E. questo desiderio del sig. Don Bosco e la prega di assisterlo, affinchè egli impetri dalla S. Sede quanto gli è necessario per avere bene formata e costituita la sua società: la quale fuor d'ogni dubbio promuoverà come ha promosso e promuove la cosa più urgente che sia nei giorni presenti, cioè la cristiana educazione della gioventù. [480] Il sottoscritto baciandole la sacra porpora si professa con ossequio profondissimo

                Di V. E. Reverendissima

Dev.mo Umil.mo Servitore

LORENZO, Vescovo di Saluzzo.

 

                A S. Em. il Card. Prefetto

                della S. C. dei VV. e RR.

 

                A Firenze Don Bosco era aspettato con vivo desiderio dal Padre Domenico Verda, dell'Ordine dei Predicatori, zelantissimo nel promuovere le associazioni alle Letture Cattoliche. Nel 1866 questo buon religioso erasi raccomandato a Don Bosco perchè la Legge della soppressione dei Conventi non lo scacciasse dal suo, e nel 1869 egli abitava ancora in S. Marco. Venuto per la prima volta all'Oratorio nel 1868 rimase meravigliato per le cose viste e per le accoglienze avute da Don Bosco e dai suoi figli. Raccomandato dal Servo di Dio, da Torino andò a Milano ove fermossi un giorno ospitato dal signor Giuseppe Guenzati che lo trattò con infinite gentilezze.

                In questo viaggio era cresciuta in lui la speranza di vedere in Firenze un Ospizio Salesiano, come quello di Torino, e aveva scritto al Cav. Oreglia.

 

Firenze, S. Marco, 24 novembre 1868.

 

                               Caro Sig. Cavaliere,

 

                ....Un altro pensiero o sogno che si voglia dire, sarebbe che facesse scrivere da qualche inglese al sig. Sloan, che Don Bosco ha questo istituto di beneficenza, che ne potrebbe fondare uno in Firenze col suo nome; dico così perchè gli uomini vogliono essere presi pel loro debole. Ho detto un sogno, perchè sognai che Lei e D. Francesia erano

                fatti due apostoli per Firenze, che avrebbero fondato un magnifico stabilimento sopra di una di queste ridenti colline nei dintorni della città. È vero che ai sogni non ci si deve dare retta, ma il pensarci non vi è niente di male, come io a scriverglielo.

                Mi raccomando alle preghiere di Don Bosco perchè il bisogno è grande.

P. DOMENICO VERDA.

 

 

CAPO XXXVIII. Giungono notizie all'Oratorio dell'arrivo di Don Bosco a Firenze - È ospitato dall'Arcivescovo - Prime sue visite presso il Ministro Menabrea - Presso il Cav. Canton - Progetti per la Chiesa del S. Sudario in Roma - Presso i varii Ministeri; parla delle Diocesi vacanti e perora la causa dei chierici, ai quali si voleva togliere ogni esenzione dalla leva militare - Altre notizie di Don Bosco inviate all'Oratorio - Le medaglie prodigiose di Maria Ausiliatrice - Un giorno in casa Uguccioni - Ultime visite Lettera di Don Bosco a Don Rua: Buone notizie: un debito da saldare: spera ottenere una riduzione sulla tassa del macinato: per la stampa di un libro: riguardo alla Biblioteca della gioventù per le cose scelte da opere proibite si rimette al giudizio dell'Arcivescovo: raccomanda preghiere per la generosa famiglia Uguccioni: ordina che in tutte le case ogni domenica, durante la sua assenza, si legga ai Salesiani un capitolo del libro: Avvisi agli ecclesiastici - Sussidii all'Oratorio del Regio Economato e della Banca Nazionale - Il Ministro dei lavori pubblici concede a Don Bosco biglietti gratuiti sulle ferrovie del sud - Don Bosco parte per Roma - Lettere da Firenze esprimenti il desiderio di riveder presto il Servo di Dio.

 

                DON Bosco, arrivato a Firenze, fu subito condotto al palazzo Uguccioni, e la Marchesa prendevasi l'incarico di scrivere nella sera stessa all'Oratorio. È dalle lettere seguenti che abbiamo la traccia di questa sua dimora nella Capitale provvisoria del Regno. [482]

 

                               Pregiatissimo Cav. Oreglia,

 

                Ho la consolazione di annunziarle il felice arrivo del bene amato Don Bosco. L'ho avuto qui a pranzo, glielo dico con vera gioia. Mi disse di riferirle che sono qua tutte le persone che D. Bosco deve vedere. Egli mi incarica di spedirle per la posta le bozze di stampa da lui rivedute. La prega inoltre di mandarle alcuni di quei libretti: Rimembranza di una solennità ecc., con dei programmi di quelle feste e quelli delle Letture Cattoliche. Le accludo anche il nome di due associati alla Biblioteca della Gioventù Italiana .....

 

                8 gennaio, alle 10 e ½ ... di sera

 

GEROLAMA UGUCCIONI GHERARDI.

 

                Altra lettera giungeva al Cavaliere dalla Marchesa, colla data del giorno 9.

 

 

                               Pregiatissimo Cavaliere,

 

                Le do ottime nuove del nostro amatissimo Don Bosco, di sua commissione e di mia consolazione. Le accludo un appunto di sua mano. Egli disse di aver passata bene la sua giornata; a me lascia sempre desiderio di lui. Mio marito la riverisce: io la prego di raccomandarmi al Signore colla mia famiglia...

Dev.ma

GEROLAMA UGUCCIONI GHERARDI.

 

                Più particolareggiate erano le novelle che mandava il Padre Verda.

 

 

                               Cavaliere gentilissimo,

 

                Abbiamo tra noi il santo uomo Don Bosco, arrivato venerdì sera. Sta bene. Alla stazione per riceverlo ed ossequiarlo eranvi il Cav. Uguccioni ed il Cav. Carlo Canton, Capo Sezione al Ministero degli affari esteri. L'Uguccioni lo condusse a pranzo e poi egli andò all'Arcivescovado dopo le dieci della sera.

                Sabato mattino io era tutto in moto per sapere ove fosse alloggiato: mi dicono all'Arcivescovado: vado là ed era già uscito solo. Era l'ora tra le 9 e le 10. Allora mi reco di botto da Canton e non lo trovo: scendo nella corte, ed ecco Don Bosco impicciato per cercare Canton. Non può immaginarsi la sua sorpresa nel vedermi. Io prendo per la mano e lo conduco da Canton, col quale ha fissato varie cose. Quindi lo accompagno dal P. Giulio (Metti) e lo riconduco al Ministero per parlare con Menabrea. [483] Ieri, dopo le tre, andai per visitarlo, ma dopo lungo attendere non potei parlargli. Vi era la Moma e la Digny che lo condussero dall'Enrichetta (Nerli).

                Di oggi non so niente.

                Domani, lunedì, va a dire la Messa dalla Uguccioni ed alla sera dopo le 5 siamo tutti e due a pranzo da Canton. Canton si è offerto di condurre Don Bosco in diversi posti...

                Caro Federico! Mi è venuta una forte tentazione. Ho scritto alla buona Fanny che mi ottenga dal nostro Padre Generale il permesso di poter andare a Roma accompagnando Don Bosco. Lui andrebbe dal Marietti ed io andrei a stare a S. Quirico. Se riesce, è bella davvero Ho saputo che Don Bosco può condurre con sé, chi vuole, gratis.

                Avrà saputo la morte della madre dell'Enrichetta Nerli.

                Ieri Don Bosco è stato condotto dalla Moma a S. Giovannino. Oggi è a pranzo dall'Arcivescovo. Egli sta bene ed è allegro e gira per i Ministeri.

 

                Firenze, S. Marco, 10 gennaio 1869.

P. DOMENICO VERDA.

 

                Don Bosco si era presentato al Ministro Menabrea che aspettavalo con impazienza, e al primo incontro gli diceva cortesemente: - Sappia, Eccellenza, che io sono in ogni cosa col Papa! - Quindi ebbe con lui varii colloqui.

                Che cosa dissero? di che trattarono? Don Rua nella sua cronaca accennando a questa andata di Don Bosco a Firenze scrive: “Non si seppe alcunchè di preciso di ciò che Don Bosco fece colà”. Esaminati tutti i documenti dei nostri archivii, neppur noi ritroviamo alcunchè di più. È certo però che quelle chiamate pressanti avevano per oggetto fatti d'importanza innegabile. Noi pensiamo che lo si invitasse a accettare qualche pratica ufficiosa presso il Governo Pontificio, nell'interesse del Governo Italiano. Diremo meglio ciò che pensiamo dando uno sguardo alla storia di quei giorni.

                Il 24 novembre 1868 i muratori Monti e Tognetti per aver fatto saltare colle polveri il 22 ottobre 1867 una parte della caserma Serristori in Roma uccidendo 27 Zuavi, convertiti sinceramente avevano lasciato il capo sotto la ghigliottina. Vittorio Emanuele era stato spinto dai settarii ad interporsi [484] in loro favore, ma la gravezza del delitto e la pubblica sicurezza esigevano che si desse corso alla giustizia, per evitare il ripetersi degli attentati. Quindi la Suprema Consulta aveva confermata la sentenza di morte, alla quale però il Papa non aveva apposta la sua firma, non essendosi ciò mai praticato.

                Non è possibile descrivere il fermento che ne venne in tutta l'Italia. Le bestemmie più orribili contro la religione e le ingiurie più ignominiose contro il Papa non solo riempivano le gazzette e ripetevansi pei circoli, ma risuonavano nel Parlamento, ove il deputato Ferrari, chiamando martiri Monti e Tognetti, richiedeva, insieme con molti altri, che alle loro famiglie fosse assegnata una pensione.

                Intanto il Mazzini meditava ben altro disegno. Il suo ideale era di preparare la rivoluzione in Italia ed in Francia, abbattere il trono di Vittorio Emanuele e di Napoleone III, impadronirsi di Roma e proclamarvi la Repubblica democratica, senza Religione e senza Papa. Nuove società segrete lavoravano alacremente per l'esecuzione di tali progetti. La rivoluzione sarebbe scoppiata contemporaneamente a Milano, Torino, Genova, Napoli ed in tutta la Romagna. Nella congiura entravano pure militari, specialmente sottufficiali, e infatti il 27 marzo 1869 scoppiava l'insurrezione in Napoli e Faenza al grido di Morte al Re. Ma alcune lettere, intercettate alla posta, avevano scoperta la trama, così chè il movimento fu soffocato nel nascere.

                Re Vittorio, fra tante complicazioni, ora parteggiava con Garibaldi e col partito radicale, ora si accostava ai Conservatori della Permanente, ora tentava di riappattumarsi col Papa[19].

                Mentre Vittorio Emanuele era in queste angustie aveva fatto sapere replicatamente a Don Bosco come desiderasse di vederlo a Firenze. In Roma era incominciato il processo dell'Ajani, del Lussi e di 22 loro complici nella resistenza [485] opposta armata mano e con spargimento di sangue nell'ottobre del 1867 presso il Ponte Trastevere; e nell'uccisione proditoria di alcuni soldati. Erano delitti di alto tradimento, puniti dalle leggi colla pena di morte. Il Re temeva l'esito del processo, e il furore delle sette che volevano la liberazione degli imputati. Perciò si era indotto nuovamente a chiedere grazia per loro, inviando appositamente a Roma il generale Marozzo della Rocca. Il Santo Padre lo accolse e ricevette la lettera del Re, ma la depose sul tavolo facendo cadere il discorso ora sul Cardinale Marozzo della Rocca, ora sul Cardinal de Gregorio, e ciò con tanta disinvoltura che il Generale si trovò confuso e non seppe aprir bocca. Nel congedarlo il Papa gli fece notare che certamente Re Vittorio doveva avere molto danaro, giacchè aveva mandati 5000 franchi alla vedova del Monti, mentre vi erano per l'Italia moltissimi infelici, danneggiati dalle inondazioni, verso cui molto più a proposito avrebbe potuto esercitare la sua regale generosità.

                Al Re dava poi riscontro per iscritto.

                Fu in queste circostanze che il Ven. D. Bosco si presentò più volte al Palazzo Pitti per essere ricevuto dal Re ma non gli fu possibile incontrarlo. Gli fu detto che era fuori di Firenze. Dei suoi inutili passi alla Reggia egli stesso fece parola in Francia, sul finir del pranzo, ad una sua nobile ospite, alla presenza dell'architetto Domenico Del Piano, nostro confratello, senza fare alcun cenno dei motivi che aveanlo condotto.

                Quando poi egli giunse a Roma il processo era al suo termine. Gli accusati eran sudditi pontificii, i loro delitti erano provati, e la sentenza potevasi prevedere quale sarebbe stata a norma del codice penale. Il Governo Italiano temeva di essere costretto ad atti violenti per appagare le sette che facevano rumore in tutta l'Italia, con insulti alla Casa Reale, in difesa dei rei.

                E in Roma certamente vi fu chi per mezzo di Cardinali influenti fece conoscere quanto pericolosa fosse una sentenza [486] capitale in quei tempi così torbidi. Il mite animo del Pontefice propendeva di per sé a clemenza; e la sentenza in seconda istanza, emanata nel marzo del 1869, condannava l'Ajani col Lussi al carcere perpetuo e gli altri alla galera.

                Il Governo Italiano respirò.

                L'11 aprile il Pontefice celebrava il cinquantesimo anniversario della sua prima messa, e in que' giorni le Amministrazioni Ferroviarie delle linee da Ancona e da Napoli concedevano un ribasso, quasi del 50 %, e ordinavano convogli straordinarii.

                Ma Don Bosco era andato a Firenze anche per suo conto. Egli trattò lungamente col Cav. Canton sul modo di riuscire ad aver una casa in Roma presso la Chiesa del Santo Sudario; e gli parlò del documento di cui noi abbiamo fatto cenno. Il Canton presentò Don Bosco ad alcuni alti impiegati, suoi amici e buoni cattolici, che a tempo e luogo lo avrebbero potuto aiutare presso il Governo. Per ora si doveva solamente studiare il progetto: e Don Bosco esponeva, per sua norma, alcuni preliminari di convenzione da lui meditati e scritti in varii articoli.

 

 

LA CHIESA E IL SODALIZIO DEL S. SUDARIO IN ROMA.

 

                1° Il Sacerdote Bosco, seguendo lo spirito dell'Istituto di Torino col titolo di Oratorio di S. Francesco di Sales, sottentrerebbe alla cessata società o sodalizio del SS. Sudario che, secondo le tavole di fondazione, oltre alle pratiche religiose, aveva pure lo scopo di dare ospitalità ai pellegrini, visitar i carcerati e gli infermi, indirizzare i fanciulli per la via della salvezza ed altre simili opere di carità.

                2° Si obbliga di pagare le tasse di qualunque specie, fare a sue spese le riparazioni ordinarie tanto per la chiesa quanto per i fabbricati annessi; provvedere per la nettezza della chiesa, fornire e riparare i paramenti, banchi, sedie, candellieri, cera e vino e tutto quello che è necessario al divin culto.

                3° Provvede per l'amministrazione dell'istituto, della chiesa e dei fabbricati; sia per ciò che riguarda agli inquilini, sia alla manutenzione degli edifizii, non meno di sei persone; non meno di due sacerdoti, uno Rettore, l'altro Vicerettore, un sagrestano, due chierici pel servizio delle sacre funzioni nei giorni feriali e sopratutto nei giorni festivi. [487]

                4° Ogni giorno vi saranno non meno di due messe, con obbligo di assistere alle confessioni, visitar gli ammalati, e, se ne avranno il permesso, anche visitare i carcerati.

                5° Nei giorni festivi faranno la spiegazione del vangelo agli adulti e il catechismo per fanciulli più abbandonati, colla benedizione del SS. Sacramento.

                6° Adempirà i legati pii annessi, sia in messe lette o cantate, sia in tridui, novene, quarant'ore, e per tutte le altre solennità che corrono nel corso dell'anno.

 

                In allora pare non si parlasse dei diritti che spettavano alla Casa Reale.

                Don Bosco si fermò a Firenze una settimana, andando da uno all'altro dei varii Ministeri, tenendo colloqui particolari con qualche Ministro e con altri personaggi di alto grado. Ovunque si presentava, era bene accolto, avendo il merito di essere chiamato la cortesia e l'affabilità personificata. Nei discorsi famigliari coi Capi del Governo si lamentò che nel 1867 fossero state rotte le trattative per le nomine dei Vescovi, sicchè nel Piemonte erano ancora vacanti le sedi di Acqui, di Fossano e di Susa. Ascoltato con deferenza, delineò allora le basi di un accomodamento che, secondo lui, poteva riuscire a buon porto, ma sempre, ripeteva, e in ogni cosa col Papa. Così egli tenne viva una questione, della quale per il momento non si fece nulla, ma che infine venne rimessa su tappeto. E noi vedremo, com'egli con gran zelo si adoperò per scioglierla.

                Nello stesso tempo procurò di perorare la causa dei chierici, ai quali si voleva toglier del tutto l'esenzione dalla leva militare, mentre di essa godevano ancora in strettissimo numero le varie diocesi. Infatti il Ministro della guerra Bertolè Viale, volendo ingraziarsi i Mazziniani, il 18 novembre 1868 aveva presentato al Parlamento uno schema di legge per abolire tale immunità e togliere così alla Chiesa ogni modo di rifornirsi di giovani ecclesiastici, in vece di quelli che morivano.

                Alle istanze e alle evidenti ragioni ebbe cortese assicurazione che la legge con tutta probabilità non verrebbe approvata;  [488] benchè vi fosse poco a sperare, atteso l'animo dei legislatori.

                E continuavano le corrispondenze da Firenze a Torino, recando notizie di Don Bosco.

 

 

                                Signor Cavaliere,

 

                Eccole ottime nuove del nostro amatissimo Don Bosco, che mi incarica darle con mille cordiali saluti. Temo però che la sua gita qua sia rimasta infruttuosa per i loro giovani, ma sia fatta la volontà di Dio. Per noi e segnatamente per me è stata una vera consolazione. Iddio ne sia benedetto. Io lui adopro quanto posso, ma non sono poi la Marchesa Villarios. Don Bosco la prega a mandargli una ventina di copie del Cattolico Provveduto, tre delle quali legate, duecento medaglie del SS. Sacramento e di Maria Ausiliatrice, duecento immagini del quadro di Maria Ausiliatrice: cento coll'orazione stampata.

 

                12, 1869.

GEROLAMA UGUCCIONI.

 

                Di queste medaglie giungevano da ogni parte domande all'Oratorio. Notiamo quella della Principessa Elena di Soresina Vidoni, la quale da Cremona scriveva al Cavaliere il 12 gennaio: “Ci sono state chieste delle medaglie della Madonna di Don Bosco, medaglie che sono veramente prodigiose e vorrei averne un certo numero da distribuire; di quelle di ottone col SS. Sacramento da una parte e la Madonna Ausiliatrice dall'altra... Ne desiderano in molte case religiose”.

                Maria Ausiliatrice è dunque già chiamata: La Madonna di Don Bosco!

                Altra lettera giungeva al Cavaliere:

 

 

                               Signor Cavaliere,

 

                Ho passato una deliziosa giornata quasi tutta col nostro Don Bosco, che la riverisce tanto e le dice che ha inteso quanto Ella le scrive nella sua lettera e che le risponderà distesamente prima di lasciar Firenze, se lo può: altrimenti subito a Roma, dove sarà, pare, venerdì mattina 15.

 

                12, 1869.

GEROLAMA UGUCCIONI.

 

                Fu questo intero giorno, passato da Don Bosco in casa Uguccioni, un apprezzatissimo regalo per que' nobili signori, che sapevano quanto fosse per lui misurato il tempo. [489] Solamente alla sera e a ora tarda poteva intrattenersi coll'Arcivescovo perchè lungo il giorno recavasi a far visite ai benefattori e ad altre distinte persone. Il Prof. Filippo Parlatore, Direttore del Regio Museo di Fisica e Storia naturale, gli mandava poi un biglietto con sensi di riconoscenza per una visita che gli aveva fatto; e offrendogli copia di un libro da lui scritto, nel quale descriveva un suo viaggio per la Lapponia, lo ringraziava della viva parte che egli aveva presa nell'ascoltare i suoi racconti.

                Don Bosco fu anche a qualche chiesa o casa religiosa. Fu a celebrare la S. Messa in S. Marco, mentre il Padre Verda riceveva dal suo Superiore generale la licenza di accompagnare a Roma il Servo di Dio.

 

 

                               Carissimo Signor Cavaliere,

 

                Don Bosco saluta, sta bene. Che grande consolazione per me! Partiamo domani a sera.

                Questa mattina Don Bosco è stato a dire la S. Messa all'altare di S. Antonino, poi è andato a visitare la signora Sorelli Carolina in via dei Servi N.° 15.

                Domani pare che vada a S. Firenze.

 

                S. Marco, 13 gennaio 1869.

P. DOMENICO VERDA.

 

                Don Bosco stesso, prima di partire, scriveva a Don Rua:

 

Firenze, ore 6 del 14, 1869.

 

                               Carissimo D. Rua,

 

                Finora le nostre cose vanno bene; grazie a Dio la sanità mi accompagna; alle 9 di questa sera partirò per Roma. Raddoppiate le vostre preghiere. Intanto:

                1° Di' al Cavaliere che spero di poter mettere i cinque mila franchi a disposizione del debito residuo Filippi: per ora riceverai circa mille franchi per mano della Contessa Uguccioni. Qui avrei molte cose in corso, ma bisogna lasciare che Dio guidi il cuore delle persone caritatevoli.

                2° Lo stesso scriva al T. Rovetti, che si farà conto delle sue osservazioni; il Cotrona essendo libro già usato nelle scuole, non si volle ritoccar di più per non far gridare; ma le pubblicazioni seguenti saranno secondo il suo desiderio. [490]

                3° Don Savio non dimentichi di mandarmi il parere sulla nota questione. Di più mi sappia dire quale aumento di spesa ci darà il macinato tra tutte le nostre case e me ne dia cenno con sollecitudine: forse otterremo qualche riduzione.

                4° Ancora al Cavaliere. Faccia leggere e correggere da D. Picco, se si può, il fascicolo di cui parla e poi si stampi.

                5° Riguardo poi alla facoltà di stampare cose scelte da autori proibiti è bene che egli si presenti all'Arcivescovo con cui, prima di ogni altro, fu progettata la Biblioteca e lo scopo della medesima, e, se ne sarà caso, farà egli stesso scrivere a chi di ragione. Se poi egli giudicasse bene che quegli autori fossero affatto tralasciati, si faccia pure.

                6° Alla contessa Uguccioni si mandino con comodità una ventina di Chiave del Paradiso e di Giovane provveduto; sei Storia d'Italia: idem Sacra; ma non se ne tenga memoria nell'uffizio: con un catalogo di libri.

                7° Domenica recitate il SS. Rosario, colla S. Comunione, secondo l'intenzione del sig. Cav. Tomaso e Contessa Gerolama Uguccioni, che per noi sono due tesori di beneficenza e di benedizione.

                8° Cerca sul mio tavolino e vi deve essere, forse, la commendatizia di Mons. Galletti.

                9° Non ho ricevuto alcun programma della Biblioteca e ne sono privo.

                10° Item prendi il libretto del P. Teppa: Avvisi agli Ecclesiastici ecc.: mandane uno a Lanzo, l'altro a Mirabello, dove, raccolti chierici e preti, se ne legga ogni domenica un capo durante mia assenza. Si faccia lo stesso a Torino.

                Dio ci benedica tutti e ci conservi per la via del cielo. Amen. Un caro saluto a tutti.

Aff.mo in G. Cristo

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

                N.B. Lire italiane mille novantotto, delle quali si prega accusare ricevimento a Firenze, Uguccioni Gherardi, N. 4 Via Avelli.

 

                Il poscritto era di mano della Marchesa Uguccioni.

                Mentre Don Bosco era sulle mosse per lasciar Firenze veniva consegnato all'Oratorio questo foglio:

 

 

                Al Sac. Gio. Bosco - Torino.

 

                Regio Economato Generale dei benefizi ecclesiastici di Torino. - N. 2 17.

                L'Economo Generale sottoscritto annunzia con premura a V. S. che il Governo di S. M. si è degnato concederle su la Tesoreria di quest'Economato Generale la somma di lire quattrocento. [491] Tale somma verrà da questo Generale Uffizio pagata a V. S. o a chi sarà da Lei incaricato a riscuoterla, purchè sia persona conosciuta e munita d'una regolare quitanza su carta da bollo debitamente legalizzata, e giusta il modulo qui sotto esteso.

 

                Torino, il 14 gennaio 1869.

L'Economo Generale

REALIS.

 

                Altra graziosa largizione era annunziata quattro giorni dopo.

 

 

                Banca nazionale -- Sede di Torino. -- N.° 28.

 

Torino, il 18 gennaio 1869.

 

                Il Consiglio di Reggenza di questa sede della Banca Nazionale in sua tornata d'oggi, nel ripartire il fondo assegnato per opere di beneficenza, decideva di allogare a cotesto Oratorio di San Francesco di Sales a Porta Nuova, Vanchiglia e Valdocco, L. 250.

                Ho quindi l'onore di trasmettere alla S. V. Illustrissima colla presente un mandato di Pagamento di pari somma, N. 59, in capo alla S. V. ed esigibile a presentazione presso le casse di questo stabilimento.

                Le presento l'omaggio della mia profonda devozione.

 

Il Direttore della sede

FONTANA.

 

                Anche il Ministero dei lavori pubblici aveva disposto che a Don Bosco e ad una persona che lo accompagnasse, si desse un biglietto gratuito di circolazione di prima classe per tutta la rete ferroviaria del sud, valevole fino al 31 dicembre 1869.

                E Don Bosco, accompagnato dal P. Verda, partiva da Firenze lasciando nel cuore di molti fiorentini il desiderio di presto rivederlo.

                Partito il Servo di Dio, giungeva una lettera pel Cav. Oreglia, alla quale facevano seguito più altre.

 

Firenze, 14 gennaio 1869.

 

                               Carissimo Signor Cavaliere,

 

                ... Ebbi il vantaggio di veder Don Bosco il giorno dopo il suo arrivo e di assistere quindi lunedì alla S. Messa che Egli celebrò nella cappella della mia amica Uguccioni. Mi rincresce che il suo soggiorno qui sia stato breve, ma spero che al ritorno da Roma potrà trattenersi [492] qui un poco più di a lungo e che avrò la consolazione di rivederlo e di ascoltar le sue preziose parole.

VIRGINIA DE CAMBRAY DIGNY.

 

 

Firenze, 21 gennaio 1869.

 

                                Gentilissimo amico,

 

                .... Vidi un momento Don Bosco che mi fece sperare di trattenersi un po’ più a lungo in Firenze al suo ritorno da Roma: mi parve in buona salute e fu meco, al suo solito, gentile e festoso. La buona Marchesa Nerli, benchè afflittissima, per la morte di sua madre, sta abbastanza bene e cerca conforto al dolore nelle opere di pietà e di carità.

L. MANUELLLI GALILEI. 28 del 1869.

 

                               Gentilissimo signor Cavaliere,

 

                Non so davvero da qual parte rifarmi per domandarle scusa di non averla ancora ringraziata di quel tanto che fece e fece fare allorchè le annunziai per telegrafo la nuova sventura da cui veniva colpita insieme colla mia famiglia. Con D. Bosco, a voce, cercai di dimostrarle tutta la mia gratitudine.

                Vedo anche in questa circostanza un'assistenza particolare del cielo, avendo potuto sostenere dolore così straordinario senza risentirne la salute, il che è successo pure al mio babbo ed a Maria che tanto ha sentita la perdita della sua Nonna.....

                Don Bosco si degnò di venirmi a trovare, appena arrivato qua; può credere se mi fu di conforto la sua visita. In seguito lo rividi due volte, ma certo non potei fargli nessuna attenzione per la circostanza mia particolare.

                Firenze.

 

T. NERLI.

 

 

                               Carissimo Cavaliere,

 

                ....Ebbi la consolazione di passare molte ore con Don Bosco in Firenze, che mi ricolmò d'immensa bontà. Già gli scrissi a Roma, ma ho un bisogno di cuore immenso che egli ritorni presto in Firenze.

                Il Conte Ammiraglio Serra che associò suo figlio alla Biblioteca della Gioventù Italiana mi incarica di dirle che finora non ha ancor ricevuto alcun fascicolo. Ella potrebbe dirigerli al Ministero della Marina, ove il Conte predetto è Presidente del Consiglio d'Ammiragliato.

 

                15 febbraio 1869.

CANTON.

 

 

CAPO XXXIX. Viva aspettazione delle nobili famiglie Romane - Arrivo di Don Bosco - Accoglienze alla stazione - Dice messa a S. Bernardo - Visita il Card. Vicario ed è ospitato dal Tipografo Marietti - Difficoltà Per Don Bosco di far vita ritirata - Riprende le pratiche per ottenere l'approvazione della Pia Società e le Dimissorie - Seri ostacoli per il conseguimento delle Dimissorie - Il Teol. G. Margotti, interrogato dalla Sacra Congregazione, le manda un ragguaglio intorno all'Oratorio e a Mons. Riccardi - Confidenza di Don Bosco nella Madonna - I suoi alunni in Torino pregano per lui - Don Bosco benedice il nipote del Card. Berardi, gravemente infermo, e il fanciullo guarisce. - Obiezioni sul voto di povertà, inteso secondo le Regole della Pia Società - Il Card. Antonelli, cessati per l'invocazione e la benedizione di Maria Ausiliatrice i dolori della Podagra, va dal Papa a raccomandargli la causa di Don Bosco.

 

                COLLA mente piena de' suoi progetti, accompagnato da Padre Verda, Don Bosco avvicinavasi a Roma.

                Le prime signore di questa città e le loro famiglie godevano immensamente al pensiero che avrebbero, anche quest'anno, visto Don Bosco. Furono sempre le donne che promossero in ogni modo le opere di fede e di carità in ogni regione della terra, come ci attestano le storie ecclesiastiche.

                È da due mesi le donne romane aspettavano il Servo di Dio. [494] La Marchesa Vitelleschi l'11 novembre 1868 scriveva al Cav. Oreglia:

                “Ieri sera nel salone si parlava sul nostro tanto gradito e simpatico tema: Don Bosco e Compagno. Che bellezza di avere la sorte di rivedere a gennaio quell'Uomo di Dio. Sto sempre in paura di qualche nuovo ritardo, perchè smanio parlargli. Ne ho tanta necessità”.

                Un'altra signora, che si sottoscrive X…..Maria, in data 2 gennaio 1869, diceva:

                “Ricevo in questo punto un tesoro di lettera del nostro Don Bosco. Scrivo a Lei perchè lo ringrazii tanto da parte mia. Questa lettera me la tengo in tasca, perchè ogni tanto la rileggerò per cercar conforto. Mi era stata annunziata da alcuni giorni ed io l'aspettava, come può figurarsi, con viva impazienza... Si figuri quanto desidero la venuta di Don Bosco”.

                Cornelia Von Millingen, in data 10 del 1869:

                “Sento con piacere che Don Bosco viene presto e spero che vorrà dire la messa nella mia cappellina: ci conto”.

                Isabella C., il 13 gennaio:

                “Può credere quanta gioia io provi per la venuta di Don Bosco, che per grazia di Dio arriva questa sera. Ora è mi impegno di trovare la maniera di poterlo avvicinare”.

                Madre Maddalena Galleffi, il 14 del 1869, ore 9 antim.:

                “Feci sapere al Padre Ambrogio (reso immobile dalla paralisia alle gambe) che veniva a Roma Don Bosco di cui esso ha somma stima, ma non poté ancora conoscere di persona. Spera questa volta di fare la di lui conoscenza. Io spero qualche cosa di più, se a Dio piace...

                Appena pranzato mi è giunto l'avviso che stassera arriva Don Bosco e ho saputo la casa dove prende domicilio. Sempre lontano da Tor de' Specchi”.

                Queste notizie non erano esatte. Don Bosco arrivò il mattino del giorno 15 venerdì. Lo attendevano sotto la tettoia della stazione il Marchese Angelo Vitelleschi colla sua consorte, il Marchese Villarios, il Conte Calderari e Mons. [495] Emiliano Manacorda, il quale presentò al Servo di Dio la licenza di celebrare in tutte le chiese di Roma per due mesi, firmata in quello stesso giorno dal Cardinal Vicario.

                Tre carrozze principesche stavano innanzi all'uscita della stazione. Due erano del Cav. Filippo, fratello del Card. Berardi, e la terza di un altro nobile personaggio. Erano state condotte dentro al recinto della ferrovia, benchè fosse proibito introdurre carrozze in quel luogo, a meno non si trattasse di qualche grande personaggio religioso o politico. Per conseguenza erasi destata la curiosità degli impiegati e delle guardie ferroviarie, e di coloro che passavano: e molti si eran fermati per vedere chi doveva arrivare.

                Don Bosco fu invitato dal maggiordomo del Cardinale a salire sulla prima di quelle vetture.

                 - Per chi queste carrozze?

                 - Per Don Bosco e per chi lo accompagna.

                 - E qual bisogno v'è di questo?

                 - Il Card. Berardi ha voluto così: anzi mette una carrozza a sua disposizione per tutto il tempo che dimorerà in Roma.

                 - Oh! questo poi no; Don Bosco non è assuefatto a queste magnificenze.

                 - Ma almeno permetta...

                 - No... no; perdonatemi... Don Bosco va a piedi.

                Gli ripugnava di entrare in Roma con un treno quasi regale. Alla sua risoluta risposta il maggiordomo non osò più insistere e disse:

                 - Allora senta: Sua Eminenza il Cardinale la pregherebbe a voler fare il più presto possibile una visita ad un suo nipotino, il quale è gravemente ammalato; desidererebbe che lo raccomandasse a Maria SS. Ausiliatrice, che lo benedicesse, e lo facesse guarite.

                Don Bosco promise che sarebbe andato a vedere il fanciullo, ma nell'atto che si congedava, Mons. Manacorda gli fece osservare come egli fosse stanco pel viaggio, che il [496] Cardinale avrebbe avuto dispiacere che Don Bosco non avesse gradito quel suo atto di cortesia, e quindi lo consigliava ad usare di quella carrozza per quella volta.

                Don Bosco si arrese alla preghiera di Monsignore e le due vetture de' suoi nobili amici sfilarono alla vicina chiesa di S. Bernardo alle Terme, dove Don Bosco celebrò la Santa Messa. Padre Verda, sulla terza vettura, andò a prendere stanza nel convento del suo Ordine.

                Mentre il Servo di Dio era all'altare, entrò in Chiesa un signore mandato dal Cav. Filippo Berardi, che per affari urgenti non aveva potuto: trovarsi alla stazione. Quel signore pregò Mons. Manacorda a voler dire a Don Bosco che si degnasse di fare un memento pel piccolo infermo, il quale versava in gravissimo pericolo di vita. Monsignore fece subito la commissione al Venerabile, il quale ascoltò, fece cenno di assenso col capo, e continuò come sempre, assorto in Dio, la S. Messa.

                Il Procuratore Generale dei Monaci Cisterciensi, l'abate Bottino, lietissimo dell'onore fattogli dal Venerabile, si disse fortunato di potergli offrire un caffè.

                Da S. Bernardo il Venerabile fu condotto ad ossequiare il Card. Vicario e poi all'abitazione del Tipografo Cav. Pietro Marietti, dove aveva stabilito di fermar sua dimora.

                Queste notizie ci furono date da Mons. Manacorda.

                Don Bosco aveva risoluto di far vita molto nascosta per essere maggiormente in libertà; e impiegare tutto il tempo nel disbrigo de' suoi affari, ma a stento vi riuscì.

                Saputosi in Roma del suo arrivo, un gran numero di Romani e di forestieri cominciò ad affollare la casa del Cav. Marietti per aver udienza dal Venerabile; e il cavaliere, secondando il desiderio di Don Bosco, con qualche pretesto li congedava. Ma quelli protestando:

                 - Siete voi che ci volete impedire che trattiamo con Don Bosco dei nostri interessi! Voi volete tenervelo tutto per voi, Don Bosco! E i nostri affari non valgono i vostri? Se Don [497] Bosco sapesse che desideriamo parlargli, ci accoglierebbe volentieri.

                Il povero Cav. Marietti aveva un bel da fare per cavarsela. Con tutto ciò alcuni privilegiati riuscivano a penetrare presso il Servo di Dio, e ad incontrarlo per via, o alla porta dei sacri palazzi, ove lo aspettavano.

                Grande era la stima che godeva Don Bosco presso ogni ceto di persone. Il rev.mo Padre Domenicano Jandel lo teneva in alto concetto di prudenza e santità. Ci scriveva il rev.mo P. F. Giacinto Maria Cormier, poi Ministro Generale dei PP. Predicatori, dal convento di Bor. p. Nasac (Aveyron) nel luglio 1888, com'egli raccogliendo i documenti relativi alla vita del Padre Jandel trovasse prove della sua stima pel fondatore dei Salesiani e come in quegli anni volentieri detto padre lo visitasse a Roma.

                Don Bosco si era recato all'eterna città per vari affari, come abbiam detto, non esclusi gli incarichi ricevuti a Firenze, ma ciò che gli importava più di tutto era l'approvazione della Pia Società e la facoltà delle dimissorie per le sacre Ordinazioni. Le ripulse non erano riuscite a scoraggiare la sua eroica fortezza. Aveva dato tempo al tempo; ed era tornato alle suppliche, ora per lettera, ora personalmente, il più delle volte invano; ma egli, pago di far intendere anche solo una piccola ragione alla volta, attendeva fiducioso.

                Ora, benchè avesse presentate numerose Commendatizie, si trovò subito tra le incertezze e le difficoltà. Abbiamo in una nostra memoria le sue stesse parole:

                “Giunto a Roma cominciai a tastar il terreno, ma pur troppo era vero che pochi Prelati mi avrebbero secondato: tutti erano freddi, disperanti del buon esito e le persone più influenti mi avversavano. Erano giunte a Roma lettere molto contrarie alla Pia Società in cui si lodava Don Bosco, le sue intenzioni, l'Oratorio, il bene che vi si faceva per la gioventù; ma si osteggiava la Congregazione, principalmente per l'articolo che avrebbe sottratto i chierici alla giurisdizione dei [498] Vescovi. In questo senso citavansi memoriali e rescritti. Lo stesso Cardinale De Angelis, amico personale di Don Bosco, non approvava fosse concesso tale favore.

                Io faceva osservare che la facoltà delle dimissorie è parte fondamentale delle Congregazioni ecclesiastiche; e che eccettuate le Congregazioni Diocesane, le altre che hanno comunione di case in diverse diocesi, tra noi godono tutte di questo privilegio. Aggiungeva che molti Vescovi, come si legge nelle Commendatizie, desideravano di cooperare al consolidamento della Società Salesiana e favorirlo in tutto quello che giudicavasi utile e conveniente. Sennonchè venivami risposto che la facoltà delle dimissorie, se fosse concessa, sarebbe stata inclusa nell'approvazione delle Costituzioni; ma che per allora si sarebbe trattato soltanto dell'approvazione della Società in genere e non essere cosa facile neppur questa”.

                Lo stesso Teologo Giacomo Margotti, così affezionato a Don Bosco, era dal parere del Cardinale De Angelis e di altri prelati. La Santa Sede, non soddisfatta dalle informazioni di Mons. Tortone e dell'Arcivescovo di Torino, aveva in via confidenziale pregato il Teologo di dare un ragguaglio accurato intorno alle divergenze tra Mons. Riccardi e Don Bosco e sull'insegnamento che s'impartiva nel Seminario Arcivescovile. Il Teol. Margotti rispondeva a Mons. Svegliati

 

 

Torino, la festa di S. Francesco di Sales 1869.

 

                               Reverendissimo Monsignore,

                Per compiere alla meglio lo scabroso incarico ho dovuto consultare persone pie, dotte ed informate pienamente d'ogni cosa, senza mancare tuttavia all'impostami riservatezza. Ed eccole, Monsignore, il risultato delle mie ricerche.

                1° L'Istruzione Ecclesiastica nell'Oratorio di Don Bosco è per ogni parte commendevolissima. I suoi chierici ad una profonda pietà uniscono una soda dottrina, ed anche da questo lato l'Oratorio di Don Bosco ha reso e rende segnalati servigi alla Chiesa in genere ed in ispecie alla diocesi di Torino.

                2° L'insegnamento del Seminario Arcivescovile prende oggi [499] uno slancio straordinario. Dei tre professori nominati, il Barone è forse quello di cui si potrebbe temere e sulla prime anche qualche chierico si lamentò del suo insegnamento. Ma da un anno cessarono questi lamenti e non se ne udirono mai sul conto degli altri due professori Barbero e Testa. L'ultimo, in ispecie è uomo di buono spirito e profonda dottrina.

                3° Un insegnamento indipendente dall'Arcivescovo di Torino potrebbe produrre gravi conseguenze e generare due partiti non solo nel clero giovane, ma anche negli attempati sacerdoti, e il male sarebbe ben maggiore di quello che si deplora presentemente.

                4° L'insegnamento del Seminario deve venire sorvegliato, e quando dia luogo a qualche lagnanza, purchè l'Arcivescovo n'abbia cognizione, si può essere certi che vi apporrà rimedio. Importa assai che conosca il bisogno di sorvegliare.

                5° L'Oratorio di Don Bosco merita ogni favore, ma il principio d'indipendenza, ripeto, sarebbe un germe fatale di scissure e di scismi. Raccomandare l'Oratorio all'Arcivescovo, cosicchè da lui ottenesse ciò di cui abbisogna per sempre più prosperare, ecco il partito giudicato migliore da persone pratiche, che hanno in vista soltanto la gloria di Dio ed i vantaggi della Chiesa.

                E siccome io le scrivo questo veramente in Domino, così non ho nessun timore di sottoscrivermi con profondo ossequio,

                Di V. Sig. Rev.ma,

Dev.mo Obbl.mo Servitore

T. G. MARGOTTI.

 

                “Vidi, continua Don Bosco nella citata memoria, che era propriamente necessario un miracolo per cambiare i cuori, altrimenti sarebbe stato impossibile il venire ad una conclusione favorevole ai miei desiderii. Si prendevano le nostre povere regole e ad ogni parola si trovava una difficoltà insormontabile. Coloro che avrebbero potuto fare di più in mio favore, erano quelli che più risolutamente si manifestavano di parere contrario. Io però confidando nella Madonna e nelle preghiere che si facevano nell'Oratorio aveva speranza che tutto sarebbe superato”.

                Don Rua scriveva a sua volta nella cronaca:

                “Nel tempo che Don Bosco dimorò nell'eterna città i giovani dell'Oratorio non mancarono mai di recitare le preghiere prescritte. Anzi aggiunsero corone di comunioni per cui molti s'incaricarono di fare in giorno di propria scelta la [500] S. Comunione per Lui, in modo che ogni giorno della settimana ve ne fosse un certo numero a compiere tale uffizio di riconoscenza verso il loro buon padre”.

                E le preghiere dei figli furono esaudite.

                Erano già passati alcuni giorni dall'arrivo di Don Bosco a Roma, e pareva che egli si fosse dimenticato della raccomandazione fattagli dal Cardinal Berardi. Il nipote era un fanciulletto di circa undici anni, unico rampollo di ricca e nobilissima famiglia, quindi erede d'uno straordinario patrimonio: cui dovevano essere devoluti anche i beni di alcune altre case, e perciò molte speranze erano poste sopra di lui. Come si può immaginare, era il beniamino, la delizia, l'oggetto più caro de' genitori e dello zio. E da quindici giorni era consumato da una maligna febbre tifoidea, sicchè privo di forze, senza potersi muovere dal letto, già si giudicavano inutili i rimedii dell'arte medica, e si teneva come perduto.

                In que' giorni più volte l'Eminentissimo aveva fatto chiamare Don Bosco, ma ora per un motivo, ora per un altro, questi non aveva potuto andare. Finalmente con angosciosa impazienza gli aveva fatto dire:

                 - Venga per carità, venga per vedere se vi è ancor speranza di vita per questo giovane.

                E Don Bosco andò. Entrato nel palazzo gli tutti furono d'attorno e gli dissero:

                 - Don Bosco lo faccia guarire, lo faccia guarire!

                E il Servo di Dio, senza parlare del nipote, si volse al Cardinale, e:

                 - Eminenza, son venuto perchè Ella mi aiuti presso il S. Padre ad ottenere l'approvazione della Società di S. Francesco di Sales.

                 - Ella, rispose il Cardinale, mi faccia soltanto guarire questo nipote, e poi parlerò io in favore della sua Società presso il S. Padre.

                Allora Don Bosco fu introdotto nella stanza del piccolo infermo. Il Venerabile si avvicinò al letto, e:  [501]

                 - Abbiate fede, disse ai parenti, pregate Maria Ausiliatrice, incominciate una novena; ed Ella, signor Cardinale si occupi della Società di S. Francesco di Sales.

                E disse fra sé: - Lasciamo che la Madonna incominci Lei!

                Poi, recitate alcune preghiere, benedisse l'infermo. La febbre lo lasciò all'istante, et reliquit eum febris. Il Cardinale ripeté la promessa di fare quanto avrebbe potuto in favore della Pia Società, non facendo più ma superando le difficoltà, se il nipote guarisse. Si incominciò la novena, e dopo tre giorni Don Bosco ritornò a visitare il caro ammalato. Il ragazzetto era seduto sul letto, e appena lo vide:

                 - Oh! Don Bosco, io sto meglio, sa, ho già mangiato un po' di lesso ed un po' di fritto. - Era appena il terzo giorno della novena ed era tanto migliorato, che trovavasi fuori di pericolo. E si riebbe,  in breve, intieramente.

                Il fatto straordinario commosse tutta la famiglia: la grazia di Maria SS. era evidente. Il Card. Berardi fuori di sé dalla consolazione andò a far visita al Servo di Dio, e gli disse:

                 - Don Bosco, qualunque cosa vuole da me, son pronto a farla: non ha che a comandare!

                 - Lo sa che cosa desidero: si interessi della mia Società, ne parli al S. Padre, veda di aggiustare le cose in modo che possa conseguire ciò che desidero.

                 - Farò tutto, andrò subito dal S. Padre e gli parlerò, stia sicuro.

                E dimandata udienza al Papa, gli parlò. Tutto entusiasmato di Don Bosco, gli narrò il fatto avvenuto e gli raccomandò con vive istanze la Pia Società di San Francesco di Sales. Quel santo Pontefice ne rimase sorpreso e desiderò di veder presto il Venerabile.

                Nel frattempo la Sacra Congregazione aveva già tenuta qualche conferenza ed esaminate le Costituzioni, e la maggior obiezione che rimaneva era il ravvisare una contraddizione tra il voto di povertà e il possesso; come mai un individuo [502] potesse essere membro della Congregazione, professando povertà e ritenendo il possesso de' proprii beni. È cosa assurda, ripetevasi, che uno possa dirsi povero mentre possiede palazzi e ville e ha diritto di disporre per testamento delle sue ricchezze.

                Don Bosco recavasi invano a far visita agli uni e agli altri, dimostrando come la pratica della povertà evangelica, espressa nelle sue Regole, non fosse contraria alla natura di questo voto, e ciò fosse l'unico modo per salvare i beni degli Ordini religiosi dagli incameramenti della rivoluzione.

                Que' teologi però, che forse non conoscevano l'approvazione data dalla Chiesa alla Congregazione dei Rosminiani, solo dopo aver esaminata attentamente la questione, si accordarono in fine nell'idea di Don Bosco. Videro anch'essi che in questi tempi l'unico mezzo di sussistenza per un religioso doveva essere il proprio patrimonio.

                Si seppe ne' conventi di Roma della tesi sostenuta da Don Bosco e i Superiori de' frati Predicatori e de' Francescani furono a lui per consultarlo sopra il suo modo d'intendere il voto di povertà, domandarongli copia del suo regolamento e dichiararono che, se la Chiesa lo avesse approvato, avrebbero in questo punto ritoccato il loro nel modo da lui presentato e spiegato. E infatti, dopo qualche anno, lo addottarono tutti gli Ordini dell'antica osservanza. E fin d'allora qualche Eminentissimo assicurava Don Bosco che il Concilio Ecumenico avrebbe preso per base la stessa regola per provvedere all'esistenza di tutti gli Ordini religiosi.

                 - Così, esclamava il Servo di Dio in una conferenza ai Salesiani, il Signore, si è servito di noi per proporre un nuovo modello riguardo al voto dì povertà, secondo i bisogni de' tempi. Tutto a gloria di Dio, perchè è Lui che ha fatto tutto.

                Tuttavia siccome alcuni dei più influenti nelle Congregazioni giudicavano come impossibile quell'approvazione, egli, per eseguire gli incarichi ufficiosi accettati a Firenze e per assicurarsi un protettore, erasi portato a visitare il Card. Antonelli,  [503] cui eziandio pareva impossibile l'approvare in questi tempi la nostra Società, massimamente perchè gli sembrava di trovare nelle stesse sue Regole delle contraddizioni. E il buon esito dell'affare dipendeva in parte da lui. L'Eminentissimo se ne stava seduto sovra d'un canapè, travagliato fortemente dalla podagra.

                 - Venga avanti, Don Bosco carissimo, venga.

                 - Eminenza, come sta?

                 - Eh, vede come sto! Son qui inchiodato sopra la poltrona da alcuni giorni. La mia podagra è ritornata. Mi aveva lasciato dopo l'ultima sua visita. Allora mi feci raccomandare a Maria Ausiliatrice e mi sentii sollevato; ed ora di nuovo mi fa provare dolori atrocissimi.

                 - Eminenza, mi aiuti ne' miei affari, ed io la garantisco che starà meglio.

                 - Che cosa desidera da me?

                 - Son venuto qui per raccomandarmi a Lei che si occupi della Società di S. Francesco di Sales.

                 - Eh! diss'egli, mi pare assai difficile questo, tuttavia le prometto di raccomandarla al S. Padre non appena potrò andare all'udienza da Lui.

                 - Avrei bisogno che vi andasse presto.

                 - Ma ella vede come mi trovo; non posso muovermi. Il Papa è solito venire da me non potendo andar io nelle sue stanze, e allora gliene farò parola.

                 - Abbia fede in Maria Ausiliatrice e vada presto. Prometta soltanto d'impegnarsi per l'approvazione della Società di S. Francesco di Sales.

                Il Cardinale lo guardava e taceva.

                 - Procuri d'andar presto dal S. Padre, - replicò Don Bosco.

                 - Quando ...? - esclamò il Cardinale, fissandogli sorpreso gli occhi in faccia.

                 - Domani!

                 - Vuol dire che potrò proprio andare?  [504]

                 - Sì, domani!

                 - Ma come potrà essere?

                 - Abbia fede, fede viva in Maria Ausiliatrice, perchè altrimenti non facciamo nulla.

                 - Va bene, andrò domani, ma se poi

                 - Me ne rendo responsabile io: domani starà meglio. Lasci la cosa a Maria: Ella saprà come fare.

                 - Va bene, andrò domani; e se si avvera dò che mi promette, farò quanto posso per promuovere la sua Congregazione.

                All'indomani mattina il Cardinale Antonelli stava notevolmente meglio: gli spasimi erano cessati, andava all'udienza del S. Padre, e gli raccontava il suo dialogo con Don Bosco e la guarigione.

 

 

CAPO XL. Il Procuratore generale dei Lazzaristi aiuta Don Bosco co' suoi consigli - Don Bosco dà schiarimenti al Card. Quaglia e ad altri cardinali sulla Pia Società e sulle sue Costituzioni. - Giungono all'Oratorio notizie di Don Bosco: celebrò a Tor de' Specchi e al Gesù: andò a Frascati, a Mondragone e a Camaldoli: disse messa nella Cappella della Contessa Millingen - Don Bosco è ammesso all'udienza del Papa - Don Bosco e i collettori Piemontesi del danaro di S. Pietro - Perchè il Papa trattasse volentieri di affari con Don Bosco - Curioso episodio fra Pio IX ed un importuno introdotto da Don Bosco all'udienza - Affettuose accoglienze di Pio IX a Don Bosco - Sono esaminate le difficoltà sorte per le animadversioni e le dimissorie; il Papa accetta una proposta di Don Bosco - Varie importantissime concessioni del Pontefice, il quale permette le trattative per la Chiesa del Santo Sudario - Concede per iscritto indulgenze e la sua benedizione agli alunni del Venerabile che gli hanno indirizzata una lettera col loro obolo pel denaro di San Pietro - Don Bosco annunzia a Don Rua le indulgenze concesse dal Papa, un sussidio che manda il Conte Cibrario e la convenienza di differire la festa di S. Francesco: dà varie commissioni e la sapere che le cose sue vanno assai bene, ma che vi sono gravi difficoltà da superare - Pio IX si raccomanda a vari prelati, perchè cerchino di appagare Don Bosco - Don Bosco va a visitare il suo principale oppositore e lo trova infermo: lo guarisce e lo manda subito dal [506] Papa e così cessa quell'opposizione - Mons. Manacorda fa testimonianza di guarigioni prodigiose operate da Don Bosco a Roma - La testimonianza di D. Rua.

 

                DON Bosco, benchè avesse piena fiducia nell'aiuto finale della Madonna, non aveva trascurato di appigliarsi a quanto suggerivagli la virtù della prudenza. Egli non conosceva ancora certe disposizioni a prendersi, pratiche a farsi, e certe consuetudini e procedimenti. Era ricorso, essendo ancora a Torino, per consiglio ad alcuni membri di ordini religiosi, ma questi, o per un motivo o per un altro, avevano dichiarato di non poterlo assistere. Appena giunto a Roma, erasi rivolto al sig. Borgogno, Sacerdote e Procuratore generale dei Lazzaristi. Questi lo accolse con ogni segno di affezione, gli diede copia delle regole della sua Congregazione per norma, gli diede buoni suggerimenti per giungere al suo scopo, gli indicò vari documenti e come dovesse presentarli, lo incoraggiò, si disse pronto ad aiutarlo con tutte le sue forze, e lo invitò a recarsi da lui ogni volta si fosse trovato in impaccio. Il suo consiglio gli fece superare molte difficoltà e Don Bosco ricordava sempre con viva riconoscenza questo suo benefattore.

                Attenendosi alle norme ricevute, il Venerabile continuò a visitare Cardinali e Monsignori addetti alla Congregazione de' Vescovi e Regolari, fra i quali il Prefetto Card. Quaglia e il Segretario Mons. Svegliati. Con essi ebbe lunghi colloqui e fu richiesto di schiarimenti sulla Pia Società, la quale nelle sue Costituzioni presentava basi alquanto diverse da quelle delle Congregazioni già esistenti. Nel 1874, allorchè si discuteva sulla definitiva approvazione delle Costituzioni della Pia Società, il Venerabile per diffondere sempre meglio le sue idee e cattivarsi l'appoggio di autorevoli persone, scrisse e fece stampare dalla Tipografia Poliglotta della S. C. di Propaganda un Cenno storico sulla, Congregazione di S. Francesco di Sales e Relativi schiarimenti: un opuscolo di 20 pagine. In [507] esso, a pag.10, egli dice di avere nel 1869 esposte le sue idee a Mons. Svegliati, al Card. Quaglia, allo stesso S. Padre ed al benemerito Cardinale Berardi, e aggiunge:

                “Gli schiarimenti, le osservazioni essendo state quasi identiche, le espongo qui in forma di dialogo per maggior chiarezza del lettore.

                D. In questa società cercate il bene del prossimo o quello de' soci?

                R. Lo scopo di questa Società è il bene spirituale dei soci mediante l'esercizio della carità verso il prossimo e specialmente verso alla povera gioventù.

                D. Quale cosa osservate particolarmente nell'accettazione dei soci?

                R. Nell'accettazione dei soci si bada in modo speciale alla virtù dei medesimi; perciocchè la nostra Congregazione non è destinata ad accogliere convertiti, che desiderino di attendere alla preghiera, alla penitenza, alla ritiratezza, ma di accogliere individui di vita costumata, fondati nella virtù e nella religione, i quali vogliano dedicarsi al bene della gioventù soprattutto dei fanciulli più poveri e pericolanti. Per questa ragione finora abbiamo accettati soltanto giovanetti da più anni conosciuti e vissuti nelle nostre case con vita sotto ad ogni rapporto esemplare.

                D. Avete il noviziato?

                R. Abbiamo il noviziato, ma le pubbliche leggi, i luoghi dove viviamo, non permettono di avere una casa separata, che serva esclusivamente a questo scopo. Il Noviziato, che noi chiamiamo tempo di prova, si fa in un tratto della casa principale che è in Torino.

                D. In che cosa consiste questa prova?

                R. Questa prova dividesi in tre periodi di tempo. La prima è degli aspiranti, e deve precedere il Noviziato. La seconda è il Noviziato propriamente detto, che dura non meno di un anno. La terza prova è quella dei voti triennali. Finora abbiamo accettati soltanto quelli che nelle nostre case passarono quattro, cinque ed anche sette anni con vita edificante, tanto nello studio, quanto negli esercizii di cristiana pietà. Ciò posto l'aspirante è ammesso alla seconda prova, cioè alla pratica esatta delle regole della società, almeno per un anno, talvolta per due ed anche di più.

                D. In quali pratiche religiose si esercitano i Novizii?

                R. I Novizii si esercitano regolarmente nello studio e nella pratica delle Regole della Congregazione. Ogni mattino, preghiera vocale, meditazione, terza parte del Rosario e più volte alla settimana fanno la Santa Comunione. Lungo la giornata hanno lettura spirituale, visita al SS. Sacramento con lettura di materia ascetica, esame [508] di coscienza, e comunione spirituale. Ogni sera dell'anno, all'ora stabilita si raccolgono in Chiesa, cantano una lode sacra, di poi si legge la vita del santo di quella giornata; e dopo il canto delle Litanie Lauretane assistono alla benedizione col SS. Sacramento. Oltre a queste cose speciali, i novizii prendono eziandio parte a tutte le pratiche di pietà comuni agli altri giovani della casa, quali sono preghiere comuni mattino e sera con apposito sermoncino, sacre funzioni dei giorni festivi cioè: due messe, Mattutino e lodi della B. V., spiegazione del Vangelo al mattino; dopo mezzodì assistono, oppure fanno il catechismo ai fanciulli; intervengono all'istruzione comune, predica, ai Vespri, alla benedizione; e simili.

                D. Con quale frequenza si accostano alla confessione?

                R. Secondo le nostre regole si accostano ogni settimana alla Santa Confessione, presso ai Confessori dal superiore assegnati.

                D. Quali speciali istruzioni ascetiche date ai provandi?

                R. Oltre a quanto fu sopra esposto, ogni settimana il maestro dei provandi fa loro una conferenza morale sulle virtù da praticarsi e sui difetti da fuggirsi, prendendo per lo più per argomento qualche articolo delle costituzioni.

                D. In quali altre cose sono occupati?

                R. In questo tempo i Novizii sono occupati anche a fare il Catechismo ogni qual volta ne sia di bisogno, ad assistere i fanciulli delle, stabilimento, e talora anche a fare qualche scuola diurna o serale, a preparare i più ignoranti alla cresima, alla Comunione, a servire la Santa Messa e simili. In ciò consiste la parte più importante della prova. Chi non avesse attitudine a questo genere di occupazioni, non sarebbe accettato nella Congregazione.

                D. Quali ne sono i risultati morali?

                R. I risultati morali finora furono assai soddisfacenti. Quelli che riescono a queste prove divengono buoni soci, prendono affezione al lavoro, avversione all'ozio, e le occupazioni divenendo per loro come necessarie si prestano volentieri ad ogni momento in quello che può tornare alla maggior gloria di Dio. Quelli poi che non hanno attitudine a questo genere di vita, si lasciano liberi di secondare altrimenti la loro vocazione.

                D. Che regola tenete nello studio?

                R. Niuno è accettato come chierico nella Congregazione, se non ha con buon successo compiuto il corso ginnasiale, ossia la retorica. Ammessi poi alla filosofia, sono tutti radunati nella casa di Torino e si applicano a questa scienza non meno di due anni. Quelli che debbono prepararsi ad esami pubblici fanno il liceo di tre anni. Dico pubblici esami, perchè l'insegnamento pubblico e privato, essendo regolato da pubbliche leggi, che escludono dall'insegnamento tutti quelli i quali non hanno un titolo legale, è forza che i nostri maestri debbansi munire di una patente o di un pubblico diploma. [509] D. Avete idonei professori pei socii della Congregazione?

                R. Fra i molti che subiscono i pubblici esami, ne abbiamo in numero, sufficiente. Qualora poi ne sia mestieri, siamo assai bene aiutati da alcuni nostri allievi, già fatti pubblici insegnanti, che molto di buon grado vengono a prestare l'opera loro, ogni volta ne sono richiesti.

                D. Come fate nella Teologia?

                R. Per la Teologia abbiamo i corsi regolarmente stabiliti nell'Oratorio di S. Francesco di Sales.

                D. Quali parti di scienza sono specialmente coltivate?

                R. Abbiamo lo studio regolare di Ermeneutica Biblica, Storia Ecclesiastica, Teologia morale, dogmatica e speculativa.

                D. Chi avete per professori?

                D. Per professori abbiamo parecchi membri della Società, che con lode hanno conseguito il dottorato in questa facoltà con pubblici esami. Finora abbiamo sempre avuto uno dei più celebri professori del Seminario Arcivescovile che venne e viene tuttora puntualmente a dare lezioni lungo l'anno, e a suo tempo dirige gli esami. Esso appartiene alla Congregazione come esterno.

                D. Quali autori usate? E quanti anni di corso?

                R. In generale il nostro maestro è S. Tommaso d'Aquino; e ne' corsi ci atteniamo alle opere di S. Alfonso, secondo i trattati di Monsignor Scavini per la morale; quelli del Padre Perrone per la dogmatica e la speculativa. Il nostro corso Teologico è di cinque anni. Quando vi fosse l'età con qualche grave ragione si presentano agli ordini anche al quarto anno, ma si continua a fare il quinto anno di Teologia dopo il Sacerdozio.

                D. Come fate per lo studio di morale?

                R. Per lo studio di morale abbiamo il corso regolare in Congregazione. Ma prima di presentarsi a subir l'esame finale di Confessione, oltre al quinquennio, frequentano ancora due anni le conferenze, che, sotto all'immediata direzione dell'Arcivescovo, si tengono nel Convitto Ecclesiastico...

                D. Si dice che voi occupate anche in altre cose i vostri Chierici, vero?

                R. I nostri chierici, non di regola ordinaria, ma quando si deve fare qualche prova, o per particolare bisogno, sono occupati ad assistere nello studio, dove essi parimente possono studiare; sono occupati ad assistere nei dormitorii, nella ricreazione, nel tempo di passeggio di chiesa e simili; ma ciò fanno soltanto in tempo libero, senza che loro s'impedisca né la scuola, né lo studio. In caso poi di necessità alcuni sono anche temporaneamente applicati nelle scuole diurne e nelle scuole serali. Ma queste varie occupazioni si addicono al loro stato ed è lo scopo fondamentale della nostra società. A questo riguardo è bene di notare, che queste occupazioni preparano i socii [510] a lavorare pel bene delle anime; lavorano, ma il lavoro è regolare, in modo che rimane tempo sufficientissimo per attendere agli studii ed alla pietà. Anzi l'esperienza di trentatré anni ci ammaestra che queste assidue occupazioni sono un baluardo inespugnabile della moralità. Ed ho osservato che i più occupati ed i più laboriosi ricordano vie meglio l'antica loro condizione, godono molta sanità, si conservano più virtuosi, e, fatti Sacerdoti, riportano copioso frutto nel sacro Ministero.

                D. Non sarebbe meglio che i vostri chierici andassero in seminario?

                R. Fino a tanto che non si poté fare diversamente, i nostri Chierici frequentarono le scuole del Seminario. Ma, appena fu possibile, anche con grandi sacrifizii, si dovette provvedere altrimenti. I trattati sono diversi da quelli della nostra Congregazione, e spesso sono cangiati, giacchè ogni professore detta ed usa il suo proprio trattato. Inoltre i giorni e le ore stabilite per l'insegnamento in Seminario non coincidono coll'orario della nostra Casa. Dovrebbero percorrere oltre a sei chilometri al giorno tra andata e ritorno; il che importa tempo assai notabile. A questo si aggiunge che per recarsi in Seminario devono passare nei siti più popolati e più frequentati della città, dove le strane fogge di vestire e di parlare, i saltimbanchi, i giornali, i libri, le fotografie oscene, e non di rado gli scherzi ed il disprezzo, comprometterebbero, come di fatto è più volte avvenuto, la moralità e la stessa vocazione degli allievi.

 

                Esposte così letteralmente le cose che riguardavano allo studio, - conchiudeva Don Bosco - al Noviziato ed all'osservanza pratica delle regole, ognuno dei prelodati personaggi si mostrò soddisfatto”.

                Da Roma intanto si trasmettevano al Cavaliere le notizie del Venerabile; e dai brani di varie lettere il lettore stesso può ricavare il diario delle sue occupazioni.

 

 

Roma, 16 gennaio 1869.

 

                ... Prima di tutto le dirò che, oggi dopo pranzo, ho avuto la consolazione di vedere Don Bosco. L'ho trovato bene e mi ha promesso che verrà a dirmi la messa. E gli ho raccomandato di pregare per la pecorella a lei affidata...

CORNELIA VON MILLINGEN.

 

 

Roma, 19 gennaio 1869.

 

                ….È venuto l'ottimo Don Bosco ed abita dal Cav. Marietti, poco lungi dalla mia abitazione. Mi propongo di ossequiarlo, averne la benedizione sacerdotale e una parola di conforto. Sceglierò il tempo opportuno [511] o almeno meno affollato, se sarà possibile, prevedendo essere i primi momenti quelli di maggiori cure e pensieri... Don Bosco disse all'Em.mo Vicario che si tratteneva tre settimane, ma il Cardinale gli ha dato il celebret per due mesi, e credo che si tratterrà per questo tempo. Così si disse ieri in casa della Contessa Millingen... Siamo nell'anno in cui avrà luogo il Concilio Ecumenico Vaticano, dal quale dobbiamo attenderci grandi risultati e completo trionfo per la Religione e per la Chiesa.

 

SCIPIONE CONESTABILE DELLA STAFFA.

 

 

Roma, 20 - 1 - 1869.

 

                Questa mattina ho Visto Don Bosco che sta assai bene... Celebrò la Santa Messa sabato (16) a Tor de' Specchi e Domenica al Gesù.

                Permetta che, nel farle, i doveri della Madre Presidente, me le protesti colla più distinta stima.....

 

BETTINA PONZIANI TARABINI, Segretaria. [

21 gennaio 1869.

 

                Don Bosco, per la fretta, neppure visitò il mio negozio dei suoi libri col bel cartellone che sta sopra di esso. Spero però che potrò vederlo con più comodo, come mi ha promesso. Oggi è andato a Frascati e domani rimarrà in casa a dare udienza dalle 2 alle 5. Finora da pochi si conosce la sua presenza in Roma, quindi non è ancora tanto assediato.

 

M. MADDALENA GALLEFFI.

 

 

Roma, 22 gennaio 1869.

 

                Abbiamo Don Bosco con noi, ma disgraziatamente non ho ancora potuto parlargli a mio piacimento, e raccontargli tutte le mie pene tanto spirituali quanto temporali; ma spero potervi riuscire, sebbene sia molto difficile quest'anno, non incontrando le grazie delle persone che lo avvicinano, le quali mi fanno sempre mistero di tutto...

                Ieri sera Don Bosco è stato con Giulio Giovannino Calderari a Mondragone; oggi ivi ha detto la Messa; poi è andato a Camaldoli e sono ritornati a pranzo a Mondragone. Cosa che mi ha fatto sommo piacere si è l'aver dato Egli la Comunione al mio Pietro e la sua benedizione. Spero che ora egli studierà e si diporterà bene, e che questa benedizione gli gioverà, specialmente per l'anima.

 

CLOTILDE G. V.

26 gennaio 1869.

 

                Ieri ebbi una seconda Visita del nostro Don Bosco, che meco si trattenne nella camerina che Ella conosce, ove trovasi il negozio dei libri [512] qui depositati dall'Oratorio, e mi disse tante cose obbliganti, che io non merito.

 

M. MADDALENA GALLEFFI.

 

 

                Roma 29 gennaio 1869

                ... La Contessa Mellingen mi commette di dirle che da Maria SS. aspetta la grazia compita pel giovane Re, e le notifica che Don Bosco il giorno 27 corrente celebrò la Messa nella sua cappella.

 

SCIPIONE CONESTABILE DELLA STAFFA.

 

 

Roma, 29 - 1 - 1869.

 

                ... Ritengo che fra poco mi giungeranno gli altri libri che Don Bosco ordinò per me, ma non so se la mia vendita progredirà in bene, perchè la Befana passò, e ora si pensa a spese diverse dalle sacre o utili, e quindi le borse si troveranno esauste....

                Dalla Marchesa Villarios intesi che in questi ultimi giorni di carnevale Ella sarebbe stato occupato nel far carnevale, e perciò mi affrettai a ripeterle le commissioni, tanto dei libri quanto delle orazioni e novene...

                Don Bosco non l'ho più veduto, ma avremo il contento di averlo a celebrare nella nostra chiesa giovedì prossimo. Mercoledì fu dalla Milligen, ma non ho potuto vedere nessuno che sia in caso di darmene dettagli, perchè la mia segretaria che vi era invitata, era in quell'ora e giorno impegnata colla Congregazione delle Figlie di Maria. Creda che ambidue siamo spiacentissime di vederci tolto ogni mezzo onde soddisfare ai loro ben valutati desiderii, e solo ci andiamo lusingando che la Marchesa di Villarios potrà supplirci, perchè si trova più in mezzo alle persone che probabilmente possono essere frequentate da Don Bosco.

 

M. MADDALENA GALLEFFI.

 

                In queste lettere manca la notizia più importante. A Don Bosco era giunto il biglietto che lo invitava all'udienza pontificia pel giorno 23 gennaio.

                Pio IX lo aspettava commosso dai fatti a lui narrati dai due cardinali. Lo amava per le sue virtù e pel suo affetto generoso verso la Santa Sede. Un giorno aveva esclamato:

                 - Sono tre i miei amici disinteressati, e tutti tre piemontesi: Mons. Oreglia, il Teol. Margotti... L'uno dal Belgio mi manda il danaro di S. Pietro, senza nulla ritenere per sé. [513] Margotti vi aggiunge di suo le spese di posta e di trasferte; gli altri collettori invece si ritengono il 6 per cento in compenso delle stampe e delle loro fatiche... Il terzo è Don Bosco.

                Questi infatti, tutte le volte che andava a Roma, recava con sé vistose offerte dei fedeli, raccolte con zelo e consegnate a Roma integralmente, quantunque egli vivesse di elemosina.

                Pio IX amava intrattenersi con Don Bosco, sopratutto perchè lo stimava un santo. D'altra parte Don Bosco si faceva amare anche per le sue belle virtù esteriori. Interrogato, da Don Giulio Barberis, sul modo col quale egli veniva trattato dal Santo Padre, e perchè questi lo ricevesse sempre volentieri, il Venerabile rispose:

                 - Cerco sempre ogni modo di sbrigarmi in fretta. Bisogna andar preparati sulle cose che gli si vogliono domandare. Alcuni, per fare una domanda al Papa, vogliono star lì a raccontargli tutta la storia; e dicono e ridicono e vanno per le lunghe. Per lo più il Papa li interrompe e dice loro: - In conclusione, qual è la cosa che domandate? - Io vò sempre là con una farragine di cose da domandare; però me ne prendo nota precisa e mi preparo. Arrivato al cospetto del Papa, espongo la mia domanda in due parole; se sono cose speciali, come a me assai volte avviene, ricordo anche: il tal Papa, colla tal bolla, nella tal circostanza, ha concesso così e così, ed Egli in due parole spedisce tutto. E poi ride dicendo. - Voi usate poche parole per non stancarmi, ma io ne uso più poche di voi. - Altre volte Egli vede che ho la mia cartolina in mano e mi domanda: - A che numero siete? - Alla dodicesima domanda, che voglio fare a Vostra Santità. - E quante ne avete notate? - Diciotto, S. Padre! - Oh siamo tosto al buono.

                “Quella volta, credo, che le diciotto domande che aveva e d'importanza, le quali richiedevano tempo e riflessione e che altri forse avrebbe impiegato per esporle dieci minuti per una, io le sbrigai tutte in dieci o dodici minuti al più. Varie volte, dopo che ho finito di dir io, comincia il S. Padre, e mi domanda [514] di questo e di quello; e allora le cose procedono un po' più lentamente.

                La cosa poi che piace più di tutto al Papa, quando ci vò io, si è che non gli fo mai nessuna opposizione o insistenza. Gli pare bene di concedere? sia. Crede di non farlo? io non replico parola. Se sono semplici schiarimenti che si richiedano, io li espongo: del resto mi paresse anche ottima la cosa domandata, non replico parola, quando egli si dimostra poco propenso. Alcuni vanno da Lui, e insistono, insistono. Sono udienze che vanno per le lunghe, lo stancano e gli dispiacciono. Per me, fatta la mia esposizione, mi son fatto una legge di non aggiungere verbo”.

                Il giorno 23 era dunque fissato per l'udienza. Il Cav. Pietro Marietti aveva raccomandato a Don Bosco l'avvocato Tancredi Canonico, piemontese, che erasi a lui rivolto, assicurandolo come fosse una buona persona, che desiderava ottenere un'udienza privata dal Papa. E gli venne fissata l'udienza per lo stesso giorno. Era egli uno de' seguaci degli errori, segretamente propagati, dal visionario fanatico polacco Andrea Towianski, precursore dei modernisti, il quale credevasi un profeta eletto da Dio per la riforma della Chiesa. Il Canonico si trovava forse in buona fede, o piuttosto nella cecità di un'illusione, benchè non senza sua colpa, poichè se avesse consultato ecclesiastici, non solo dotti, ma pii, equilibrati e non facili a secondarlo per debolezza di mente o vaghezza di popolarità, avrebbe avuto mezzo di ritornare all'integrità della fede e della professione cattolica. Egli usava però gran riserbo nell'aprirsi ai profani; perciò aveva presso molti riputazione di pietà e di dottrina, e da lui era stata volta in italiano l'Imitazione di Cristo.

                Egli era giunto a Roma, recando uno scritto o messaggio al Papa, che da Zurigo aveagli fatto consegnare il Towianski. In questo si leggeva come il Papato fosse uscito di strada, e ciò che esso doveva fare per rientrarvi e condurre la Chiesa sulla via della sua vocazione. E domandava riforme radicali nella [515] Chiesa, nel dogma, nella disciplina, nell'istituzione e nel governo. Questa memoria fu poi da lui stampata e distribuita ai Cardinali in Conclave nel 1878.

                L'avvocato si lunsigava di poter aggiustare le cose della Santa Sede col Governo d'Italia, e della sua visita al Papa pubblicava nel 1903 una relazione, la quale incomincia così:

                “Il giorno 23 gennaio 1869 saliva le scale del Vaticano ed era ricevuto da Pio IX in udienza privata e presentandogli uno scritto del Towianski, gli diceva: - Santità, per mezzo di quest'uomo ho ricevuto da Dio beneficii spirituali che non si cancellano più. Ebbi una giovinezza dolorosa: io aveva perduta la fede. La Provvidenza mi avvicinò a quest'uomo. Se ho ricuperata la fede, se adesso ho una base, se ho l'amore di Gesù Cristo e della sua Chiesa, la gioia dell'animo è principalmente a lui che lo debbo”.

                Noi non contestiamo che il Canonico abbia fatto un tale panegirico del Towianski, ma certo è contro verità il dialogo che segue e che Pio IX abbia in qualche modo annuito agli spropositi dell'avvocato. Ben altrimenti narrò Don Bosco il fatto, come confermò la nobile famiglia Ricci e specialmente il cav. Roberto, che lo riferiva a D. Berto Gioachino.

                Appena il Canonico fu al cospetto del Papa, si gettò ai suoi piedi e:

                 - Santo Padre, gli disse, è già da molto tempo che desiderava parlarvi; finalmente ho potuto giungere fino a Voi. Ascoltate: io ho diverse cose da proporvi: voi siete persona santa, ma ingannata da quelli che vi circondano. E qui incominciò ad esporre le sue opinioni e a dare consigli a Pio IX sul come dovesse reggere la Chiesa.

                Il Papa lo ascoltò per qualche istante, poi lo interruppe sdegnato:

                 - Uscite di qua: non ho bisogno dei vostri consigli!

                E l'altro: Già io prevedevo che non avrei potuto dir tutto e perciò lascio questo scritto. - E lo depose sul tavolino. Appena uscito costui, il Papa suonò il campanello e domandò al Monsignore d'anticamera:  [516]  - Perchè avete lasciato passare quel signore? Fu raccomandato da Don Bosco!

                Don Bosco, che aspettava vicino alla porta aperta nell'anticamera e da qualche parola detta dal Papa ad alta voce, dall'aspetto turbato del Canonico, capì a volo di che si trattasse, e invitato ad entrare udì che il Papa diceva: - O che costui è un gran birbone, o che Don Bosco è un gran bonomo. E Don Bosco sorrise. E il Pontefice:

                 - Perchè mi avete fatto introdurre colui? E ridete ancora del mio sdegno?

                 - Rido, rispose il Venerabile, perchè è lo sdegno di un padre sempre amoroso. Ecco, o Santo Padre, come andò la cosa. Il Cav. Marietti me lo raccomandò, assicurandomi che era persona buona, ed io non son andato più avanti e stetti alla sua assicurazione.

                A queste parole rise anche Pio IX, che s'intrattenne per un'ora e mezzo con Don Bosco, trattandolo con una bontà indescrivibile.

                Il S. Padre si mostrò favorevolissimo alla Pia Società di S. Francesco di Sales, gli promise che avrebbe fatto di tutto per contentarlo e lo assicurò che la pratica finirebbe bene. Si esaminarono le difficoltà che erano gravi, e si studiò il modo di scioglierle. Erano complicate, perchè si voleva concedere soltanto la definitiva approvazione della Pia Società di San Francesco, rimandando l'approvazione delle singole regole a tempo più opportuno.

                In quanto alle animadversiones, disse al Papa d'aver egli procurato di accomodarle alle Costituzioni per quanto poteva. Faceva quindi un'esposizione di quelle che aveva inserite negli articoli, e di altre leggermente modificate, pronto a rimettersi al giudizio di Sua Santità. Di alcune e specialmente di quelle che riguardano l'azienda materiale dichiarò essere per molti anni impossibile l'attuazione, perchè la Società non aveva rendite di sorta e si reggeva colle giornaliere offerte dei fedeli. [517] Pio IX pesò le sue ragioni, convenne confidenzialmente su certe disposizioni che si sarebbero potute temperare; e, quando venisse il caso, gli insegnò il modo di regolarsi perchè potesse operare in coscienza.

                Per le dimissorie Don Bosco dimostrò come fosse inutile chiedere ai Vescovi le testimoniali dei giovanetti entrati nelle sue Case prima dei 14 anni, poichè i prelati sarebbero affatto ignari della loro condizione e condotta, né potrebbero da altri ricevere informazioni che da lui e da' suoi che li hanno sott'occhio per lo più da quattro e cinque anni. Il Papa accolse favorevolmente queste osservazioni e approvò che tali giovani fossero accettati in Congregazione senza testimoniali e quindi ammessi agli ordini sacri. Soggiunse anche che non aveva difficoltà di rilasciargli per iscritto il suo parere, perchè avesse un documento da giustificare la cosa innanzi alla Sacra Congregazione.

                Quanto alle dimissorie degli altri, che fossero entrati negli ospizii o collegi della Pia Società avendo già compiuti i 14 anni, Pio IX lo consigliò a fare speciale domanda per un numero determinato, ogni volta ve ne fosse mestieri.

                Dopo queste consolanti parole, il Papa aggiunse: - Facciamo un passo per volta; chi va piano, va sano. Quando le cose vanno bene, la Santa Sede suole aggiungere e non mai togliere.

                Quanto ai decreti del 1848 sul modo delle accettazioni al Noviziato e alla professione religiosa il Santo Padre gli disse: - S'incomincino ad eseguire quelle prescrizioni per quanto si può. Del resto vi do tutte le facoltà necessarie ed opportune. Nello stesso tempo lo dispensava dalla pubblica lettura dei decreti Romani Pontifices e Regulari disciplinae.

                Don Bosco passò quindi ad altri argomenti: venne a dire delle trattative che pensava di aprire col Governo d'Italia per la chiesa del Santo Sudario, trattative che egli prevedeva non sarebbero state di breve durata, e quindi si prestavano a tenerlo in diretta comunicazione col Ministero, e Pio IX approvò. [518] In fine, dopo aver chieste ed ottenute indulgenze per varie persone, gli presentò il seguente affettuoso indirizzo degli alunni de' suoi istituti, pregandolo a dar loro una speciale benedizione, e a scrivere un motto di sua mano in calce del foglio, come preziosissimo ricordo della sua bontà patema.

 

 

                               Beatissimo Padre,

 

                I giovanetti ricoverati nella Casa, detta Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino, del Collegio Convitto di Lanzo, del Piccolo Seminario di Mirabello, rappresentati dal loro Superiore, si prostrano umilmente ai piedi di V. S. supplicandola a volere con un suo tratto di speciale bontà gradire un tenuissimo segno della loro grande venerazione al Vicario di Gesù, accettando l'obolo che essi osano offerire come danaro di S. Pietro. Lo accetti come pegno del loro invariabile attaccamento al Supremo Gerarca della Chiesa, aggiungendo il massimo dei favori che essi implorano: - La santa sua benedizione.

 

                Il Papa lesse e poi scrisse:

 

                Die 23 Januarii 1869.

 

                Dominus vos benedicat et dirigat vos in semitis suis.

PIUS PP. IX.

 

 

                Il giorno dopo, Don Bosco scriveva all'Oratorio:

 

 

                               Carissimo Don Rua,

 

                1° Prego e fo' pregare per la signora Bertinetti; il Santo Padre le manda l'Apostolica benedizione coll'indulgenza plenaria. Procurate di assisterla e che nulla le manchi di quanto le occorre.

                2° Per Bodratto è tutto inteso col Vescovo di Casale e col suo Vicario Generale. Venga a Torino, e D. Durando lo presenti al Com. Dupraz, che gli farà il suo regolare patrimonio, siccome siamo stati intesi.

                3° Fa' sapere a D. Cerruti che sospenda il suo lavoro sulla Storia Ecclesiastica, finchè ci possiamo parlare e intanto si usi ogni riguardo per la sua sanità.

4° Manda una ventina di franchi al padre di Chiapale.

                5° Combinate e stampate l'articolo di cui parla il Cav. Gautier.

                6° In quanto al Riberi, accettato; ma procura prima di parlare col sig. Tortone per sapere quel che intende di fare. [519]

                7° Credo che a quest'ora avrai ricevuti mille franchi da Don Campolmi di Firenze, che è largizione del Conte Cibrario cui ho scritto.

                8° Perchè non mi mandi il nome di battesimo dei Canonici Casalegno e Millione e quello dell'abate Solari? Tricerri potrà dirlo; del resto il Calendario Ecclesiastico li nomina.

                9° Se vedi il Dott. Musso ed il sig. Anglesio, di' loro che porterò a Torino un'immaginetta anche per loro.

                10°' Parla col conte Viancino, priore della festa di S. Francesco di Sales, chè dovremo differirla un poco per farla più solenne.

                11° Le cose vanno assai bene, ma vi sono gravi difficoltà da superare; ma ringraziamo il Signore, abbiamo grandi motivi di essere contenti. Per ora continuate a pregare; fra breve potrò fissare il giorno della mia partenza da Roma.

                12° Il Santo Padre manda la benedizione con indulgenza plenaria a tutti i nostri giovani, a Casa Fossati e a Casa Dupraz.

                State allegri, cercate danari, il Cavaliere faccia affari, Buzzetti lo aiuti. Io di qui fo quel che posso.

                Dio ci benedica tutti e ci conservi nella sua santa grazia. Amen.

                Abbimi sempre nel Signore,

 

                Roma, 24 gennaio 1869.

Aff.mo in G. C.

Sac. GIOVANNI BOSCO.

 

                Ma le difficoltà non diminuivano da parte della Congregazione dei VV. e RR. Non si voleva esenzione alcuna dalla giurisdizione dei Vescovi. Si faceva osservare al S. Padre, che da molti anni non si era più approvata alcuna Congregazione, come quella di cui ora si trattava e della quale domandavasi l'approvazione: che di più vi erano decreti, che si opponevano a queste approvazioni: che per conseguenza non si doveva togliere ai Vescovi il diritto delle dimissorie per rimetterlo al Superiore della nuova Società. Pio IX aveva preso a difendere egli stesso Don Bosco e diceva:

                 - Ma non fatemi delle difficoltà.

                 - Vostra Santità ha fatto un decreto in proposito e non bisogna che receda.

                 - Non ho però rinunciato al potere di fare un altro decreto contrario.

                 - Ma veda: quest'eccezione potrebbe aprire l'adito ad altre. [520]

                 - Pensate a ciò che si deve fare ora; a ciò che si dovrà far poi ci penserò io.

                Monsignor Svegliati andava sempre opponendo a Don Bosco, che il voto dei Vescovi era contrario; e che l'accordargli certi privilegi era troppo.

                Il Papa era deciso d'approvare la Società, ed il Card. Berardi si portava da Mons. Svegliati e gli diceva: - Oh! Monsignore, il Papa non vuole che si facciano più difficoltà: vuole che si determini la questione. È il Papa che vuole così. Capisce? ... Il Papa vuole, e ciò pare che basti.

                Lo stesso Pio IX mandò a chiamare i diversi Monsignori e disse loro:

                 - Non voglio più difficoltà: si studi il modo di superare le difficoltà e non di farle.

                Disse a Mons. Jacobini:

                 - Contentate il povero Don Bosco in tutto quello che potete.

                A Don Bosco aveva detto: - Tirate Mons. Svegliati dalla parte vostra; egli è il principale oppositore, se vi riuscite, tutto è spianato.

                Lo stesso consiglio gli avevano ripetuto i Cardinali Antonelli e Berardi. E Don Bosco si decise d'andarlo a visitare nella sua abitazione. Questo prelato, per il suo stesso ufficio era stato sempre contrario all'approvazione della Pia Società, eseguendo i voleri di un alto personaggio suo superiore. Eppure tutto dipendeva da lui, era suo compito formolare il voto, ed egli era fermo che nessuna società religiosa potesse più essere approvata coi privilegi che si domandavano.

                Don Bosco lo trovò travagliato dai primi attacchi di una seria polmonite, sicchè non poteva uscir di casa e stava disteso sopra un sofà. - Ho bisogno del suo aiuto, - gli disse Don Bosco appena entrato: - son venuto per l'affare che sa; desidererei che mi appianasse tutte le difficoltà che sorgono contro l'approvazione [521] della Società di San Francesco di Sales; e perciò andasse dal S. Padre e s'interponesse in mio favore.

                 - Eh, Don Bosco! è una cosa molto seria e grave; e di più io non so quando potrò andare all'udienza, trovandomi come ella mi vede.

                 - Eppure ho bisogno che Ella vada e presto dal S. Padre.

                 - Ma come vuole che io vada con questa tosse così violenta?

                 - La supplico, faccia questo sforzo.

                 - Se è così, sabato procurerò di andarci in vettura.

                 - Oh! no; ci vada coi suoi piedi, e ci vada domani.

                Monsignore, in atteggiamento d'uomo stupito, lo guardò fisso, e disse:

                 - Eh! sì ...; ma... è troppo presto.

                 - Si raccomandi alla Madonna e prometta di interessarsi per la Pia Società di S. Francesco di Sales e di parlare in favore della sua approvazione, ed io Le prometto che guarirà.

                 - Ma... e se mi accade di peggio?

                 - Vada, abbia fede, viva fede in Maria Ausiliatrice, e guarirà.

                 - Se me lo assicura, vado.

                 - E quando?

                 - Di qui a tre giorni.

                 - No, domani.

                 - Ah, Don Bosco! esclamò con slancio; se io domani posso andare dal Papa, l'assicuro che parlerò in modo che tutto andrà bene per lei.

                Al domani la tosse era scomparsa ed egli sentivasi perfettamente guarito. Si presentò al Santo Padre, gli narrò la visita che gli avea fatta Don Bosco, e si dichiarò favorevole alla concessione de' favori chiesti dal Servo di Dio, pronto a secondare le intenzioni del Santo Padre, senza badare alle opinioni altrui. Alla sera fu a visitare Don Bosco, gli promise il suo aiuto, e aggiunse che l'avrebbe avvisato delle  [522] difficoltà che potessero sorgere contro l'approvazione del suo Istituto, mentre egli avrebbe fatto di tutto per superarle.

                Le grazie di Maria Ausiliatrice ai cardinali Berardi, Antonelli e a Mons. Sevegliati avevano conciliati a Don Bosco gli avversarii, rinfervorati gli amici tiepidi, confermato nella sua risoluzione il Sommo Pontefice, che vedeva nel Venerabile il messo di Dio, l'esecutore de' suoi disegni e l'operatore de' suoi portenti.

                Di alcuni di questi mandava notizia Mons. Manacorda al sig. Prof. D. Giovanni Bonetti, Direttore del Piccolo Seminario di Mirabello, il 31 gennaio.

                Avrei prima d'ora scritto qualche mia lettera ai cari figli di Don Bosco in Mirabello, dando loro qualche ragguaglio della venuta e dimora in Roma del loro padre; ma così non piacque al nostro Padre Celeste: fu questa l'unica e sufficientissima, ragione per cui mi astenni. Ora eccomi ai fatti nostri.

 

                E qui descritto l'arrivo in Roma di D. Bosco, le accoglienze, l'invito fattogli dal Cardinal Berardi di recarsi a visitare l'unico figlio di suo fratello, il giovanetto infermo di cui si è parlato, proseguiva:

 

                Intanto il Cardinale Berardi era impaziente di vedere in casa sua il nostro ben arrivato Don Bosco e mandarlo dal nipotino quasi morente... Andò Don Bosco due giorni dopo! ! ! e lo trovò malissimo e nella desolazione tutta la famiglia.

                 - A questo giovane ormai pare che ogni rimedio umano tornerebbe inutile, disse Don Bosco, ma non così la protezione della Vergine SS. Ausiliatrice. Facciamo una novena!

                Può ben capire, caro Don Bonetti, che il parlare di novena al letto di uno quasi spedito da tutti, è cosa che allarga poco il cuore. Tutti pregarono con Don Bosco, il quale finì con dare la benedizione al fanciulletto, e con queste parole che animarono a speranza tutta la famiglia e cagionarono grande allegrezza, disse al fanciullo:

                 - Voglio però che facciamo un patto tra noi; quando sarai guarito mi porterai a spasso fuori di porta, colla tua carrozza. Stabiliremo poi il giorno.

                Il giorno dopo il fanciullo era libero dalla febbre, ed al compirsi della novena sortiva di casa sano e salvo.

                Altre fatto. L'avvocato Ignazio Bertarello desiderava molto far [523] la conoscenza di Don Bosco, e confidava che una sua visita avrebbe guarito un unico suo nipote, rimasto vivo dopo varii suoi figli e nipoti morti. Condussi Don Bosco a celebrare la messa presso questo signore. Il giovane stava in letto. Celebrata la Messa, Don Bosco andò vicino al fanciullo Carluccio e domandò notizia della malattia.

                 - Ah! Don Bosco, dissero la madre, lo zio e la zia, almeno potessimo conservar questo! ...

                 - Preghiamo la Vergine Ausiliatrice, rispose Don Bosco; e Carluccio stia buono, e poi sia sicuro che camperà!

                Quindi gli diede la benedizione, gli impose le mani, gli donò una medaglia e partimmo.

                Il giorno dopo il nostro Carluccio stava molto bene e continua a star bene. Deo gratias.

                Avrei altri fatti, ma, mio caro, a stento posso scrivere; ho passata a letto tutta la scorsa settimana. Spero che scriverò meglio altra volta.

                Preghi per me. La saluto molto, molto, e con tutto cuore, anche a nome di Don Bosco. Saluti D. Provera, D. Cerruti e tutti codesti cari e buoni preti, chierici e giovani, ecc.

 

                I maggiori particolari dei prodigiosi avvenimenti riferiti sono tolti da memorie contemporanee, cioè dagli ampi sunti che vari confratelli fecero della conferenza tenuta loro da Don Bosco stesso al suo ritorno. È incredibile l'intima famigliarità paterna con la quale il Venerabile parlava alle prime reclute della sua Pia Società, che avevano bisogno di essere fortemente incoraggiate.

                Anche Don Rua, in data 7 marzo, scriveva nella sua Cronaca:

 

                Sulla sera di quel giorno D. Bosco radunò i membri della Società e raccontò loro l'esito del viaggio a Roma, che fu favorevole oltre ogni sua aspettazione. Eravi andato contro il parere di varii personaggi a lui affezionati, che credevano che non sarebbe riuscito a niente. Egli però confidato in Maria Ausiliatrice, rispettando i loro consigli, non tralasciò di fare quanto parevagli dal Signore suggerito. Colà giunto fu accolto da varie persone di alta importanza, fra gli altri dal Conte Berardi, nipote del Cardinale. Questi aveva un figliuoletto ammalato di febbre tifoidea e ormai senza alcuna speranza di guarigione. Sapendo che doveva giungere D. Bosco andò ad incontrarlo perchè tosto facesse una visita al bimbo e lo benedicesse raccomandandolo a Maria Ausiliatrice. Così fece D. Bosco e suggerì alla famiglia di fare una novena a Maria Ausiliatrice.  [524] Al terzo giorno della novena il bimbo aveva tanto migliorato che trovasi fuori di pericolo. In seguito si riebbe fra breve interamente. Come ciò si seppe dal Cardinale, ne ringraziò Don Bosco e si sentì così disposto in suo favore, che promise di fare quanto avrebbe potuto per favorire la sua Congregazione. Il buon esito degli affari dipendeva in gran parte dal Cardinale Antonelli, e recatosi Don Bosco a visitarlo, trovollo travagliato dalla podagra: - L'altra volta che vi parlai, o Don Bosco carissimo, gli disse il Cardinale, mi feci da voi raccomandare a Maria Ausiliatrice, e mi sentii sollevato; ora poi sono nuovamente tormentato dal mio malore. Eminenza, mi aiuti nei miei affari, ed io Le garantisco che fin da domani starà meglio e potrà recarsi dal Santo Padre a promuovere la mia causa. - Ma come ciò potrà essere; - Confidi in Maria Ausiliatrice, Ella saprà come ciò fare. - Farò quanto da me si potrà per promuovere la vostra Congregazione, se ciò mi promettete. - All'indomani stava notevolmente meglio e poté recarsi secondo la promessa a promuovere la causa della Congregazione. Parimenti un segretaro che poteva molto influire su questi affari, trovavasi molestato da leggera polmonite; ed egli pure s'impegnò ad occuparsi in favore di D. Bosco, dietro promessa di lui che la Vergine Ausiliatrice l'avrebbe fatto migliorare.....

 

 

CAPO XLI. Le ferie del Carnovale - Tre lettere di Don Bosco a Don Rua: I) Non Permette che si dia cosa alla stampa senza licenza: abbia cura della sanità: II) Usi grandi riguardi ad una bene fattrice: le ferie hanno interrotti gli affari; Dio ci aiuterà nelle strettezze finanziarie: III) Le difficoltà per l'approvazione della Pia Società sono appianate: lo assicura della guarigione di un chierico gravemente ammalato – Visita alla tomba di S. Pietro - Risposta ad un signore offeso perchè la sua guarigione, ottenuta dalla Madonna, non era stata attribuita al suo medico - Non trova confessori in una Chiesa in giorno festivo, e rimprovera il Superiore per una risposta inopportuna - Predice che gli italiani entreranno in Roma e la longevità di Pio IX - Celebra a S. Rufina - Il Papa gli accorda una seconda udienza e gli manda la sua carrozza: gli offre la casa di S. Caio in Roma per uno studentato di scienze sacre: gli promette indulgenze per l'Associazione dei divoti di Maria Ausiliatrice: gli concede onorificenze per alcuni ecclesiastici - Il Carnovale di Torino e la fiera di Gianduia; i giovani dell'Oratorio vi prendono parte con un banco di beneficenza - Il Carnovale in Valdocco - I primi due defunti predetti da Don Bosco - La Contessa di Camburzano applaude alla fiera di Gianduja - Don Francesia dà notizie del Carnovale alla Presidente di Tor de' Specchi.

 

                SOPRAGGIUNSERO le ferie del Carnevale, si chiusero gli uffizi ecclesiastici e civili, e Don Bosco poté respirare alquanto e occuparsi con più agio delle cose dell'Oratorio che non perdeva mai di vista. Scriveva più [526] lettere a Don Rua, dal quale era continuamente informato sull'andamento delle case.

 

 

I.

 

                               Carissimo Don Rua,

 

                Per motivi particolari da' ordine che si sospenda la stampa del vocabolario latino fino al mio ritorno. Dirai poi a Buzzetti, ed ad altri che abbiano ingerenza nella tipografia, che per l'avvenire non voglio più che stampisi cosa alcuna senza mio consenso, oppure che tu ne abbia ricevuto facoltà ad hoc.

                Credo però bene che potendolo tu faccia una conferenza insistendo sulla necessità dell'obbedienza di fatti e non di parole, e notando che non sarà mai buono a comandare chi non è capace di ubbidire.

                Abbi cura della sanità, riposa liberamente, sta' attento ai cibi che ti possono esser nocivi; fino alla metà di febbraio sospendi il mattutino e limitati alle ore, vespro, compieta, ma ripartiti.

Tuo aff.mo amico

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

 

Roma, 31 gennaio 1869.

 

 

II.

 

                               Carissimo Don Rua,

 

                Non so se la Bertinetti defunta sia la sorella o la moglie del fu Carlo; in qualunque caso dite alla Damigella Braia che abbia pazienza, si metta alla testa degli affari e faccia in modo che nulla manchi alla vivente. In quanto alle persone di servizio provveda quanto e necessario. Le vacanze hanno interrotto gli affari ed io debbo differire la mia dimora in Roma. Presto vi manderò qualche soldo. Continuate a pregare.

Aff.mo nel Signore

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Don Rua vada nella mia camera, apra il cancello dei mio tavolino ordinario e troverà un piego col mio indirizzo in cui vi sono dei vaglia, delle cedole pontificie, portate dal P. Gregorio di S. Teresa.

                Preghi la marchesa Fassati di affidare tal piego alla Duchessa di Montmorency, che me lo porti. Se in ciò vi sono difficoltà, lo mandi per la posta a Roma. [527]

 

III.

 

                               Carissimo Don Rua,

 

                Facciamoci coraggio, Dio ci aiuterà. Avrai già ricevuto lettera per andare ad esigere 2000 franchi e vedrò quello che potrò fare: spero di non andare a casa colle mani vuote.

                Da Lanzo Sala mi aveva sfatto sperare tremila franchi per la metà di questo mese; duemila debbono eziandio venir da Milano, di che parlane a Don Savio.

                Le ferie di Carnovale hanno interrotte le mie imprese; venerdì (21) ogni cosa sarà in movimento. Forse gravi difficoltà in tutto, ma si possono dire tutte appianate con esito molto superiore alla nostra aspettazione. Ma silenzio e preghiera. Fino all'epoca accennata non posso fissare il giorno di mia venuta a casa.

                So che avete molto da fare, ma bada, prima di ogni cosa, alla tua sanità e a quella degli altri.

                Di' a Magna, a Nona, a madama Gianelli, che il Santo Padre manda loro una speciale benedizione con indulgenza plenaria.

                Di' al Conte Viancino che desidero, come lo prego, di differire la festa di S. Francesco di Sales fino al mio ritorno, e che fra breve gli scriverò. L'ultimo giorno di carnevale dirò Messa pel Ch. Barberis, gli darò la benedizione, ed in una numerosa casa di educazione faranno la santa Comunione per lui; abbia fede e poi, velit, nolit, dovrà guarire.

                In quanto alle cose di Chieri si faccia quanto si può per lasciarle tranquille colla damigella Braja segretaria. Giunto in Torino tratteremo di ogni cosa.

                Di' a Berto che avrà molto da scrivere e che, se non fosse stato occupato, gli darei da fare.

                Saluta tutti; io prego per loro e lavoro per loro tutti. Dio ci benedica e ci aiuti a fare in tutto e per tutto la santa volontà del Signore. Amen.

 

                Roma, Morlupo, 3 febbraio 1869.

Aff.mo in G. C.

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Fra breve scriverò a Don Francesia.

 

                In quei giorni Don Bosco recavasi a celebrare e a pregare come faceva sempre andando a Roma, sulla tomba di S. Pietro, verso la quale sentivasi attratto da un affetto ardentissimo. Nelle nostre cronache non se ne fa che un cenno; ma poichè abbiamo avuto, non è molto, un prezioso documento circa tale suo atto di ossequio ai Principi degli  [528] Apostoli, sebbene riguardi il 1867, non avendolo conosciuto allora, lo trascriviamo qui volentieri, come prova della fama che già godeva il Servo di Dio.

 

                Nel Diario della Basilica Vaticana dal 1866 al 1869 (Archivio della stessa Basilica) si trova registrato quanto appresso.

                Martedì 22 gennaio 1867: il R. sig. Don Giovanni Bosco Sacerdote di Torino, venuto testé in Roma, celebrò la santa Messa nelle S. Grotte all'altare dei SS. Apostoli Pietro e Paolo. A questo Sacerdote, fondatore nella sua patria di un pio istituto di carità, che reggesi e governa colle spontanee oblazioni dei fedeli, il quale gode universalmente fama di provata santità, non discompagnata talvolta, come dicesi, da prodigi e predizioni dell'avvenire, si presentavano tre individui della Basilica, cioè Luca Bassi chierico accolito della Sagrestia, Filippo Boccanera Sampietrino, custode della medesima Sagrestia e Mariano Bissi, custode di chiesa, per essere liberati da epilessia, dolori reumatici e febbri inveterate; e su tutti fece orazione nella cappella della Sagrestia canonicale, esortandoli a confidare in Dio col mezzo dell'orazione e ad uniformarsi alla sua santissima volontà ”.

Ita est: Mons. G. CASCIOLI

Custode dell'Archivio Sudetto.

 

                Nel 1867 un nobile signore era stato guarito da Maria Ausiliatrice. Don Bosco ne fece pubblicare una relazione e quegli ne rimase offeso. Diceva: - Il mio medico si sarebbe fatto un onore immortale, e colla vostra pubblicazione ne avete offesa la fama. - E se l'era presa contro Don Bosco, di cui parlava in modo furibondo. Don Bosco e costui furono da un altro signore invitati a pranzo: e avvenne che questi, come aveva combinato prima, li mise vicini. L'amico stava sostenuto. Uno dei convitati, a bello studio, cominciò a interrogare Don Bosco intorno alle guarigioni ottenute per intercessione di Maria Ausiliatrice. Il Servo di Dio rispose che era grande davvero la bontà della Madonna, e grande la riconoscenza dei beneficati; ma che vi erano anche alcuni, i quali, mentre erano ammalati, promettevano mille cose, e poi quando erano guariti, trovavano mille pretesti per sottrarsi all'obbligazione: - Era il medico.... la medicina..., la costituzione..., una crisi... tutto! fuorchè la Madonna. - E [529] conchiuse: - Forse che anche il medico, la medicina, le cause fisiche, e via discorrendo, non sono in mano di Dio? - L'altro ascoltava senza batter palpebra. In ultimo incominciò a parlare con Don Bosco e ne divenne così amico, che non cessava di discorrere e non sapeva distaccarsi da lui.

                Don Bosco era stato invitato pel 2 febbraio dal Superiore di un Ordine insigne, alla festa solenne ed al pranzo. Entra in chiesa a mattino avanzato, va in sagrestia e desiderando di riconciliarsi prima di celebrare la messa: - Ci sarebbe un sacerdote? chiede al sagrestano. Vorrei confessarmi.

                 - Non c'è - gli fu risposto.

                 - Non si confessa oggi? Non v'è il Superiore?

                 - Sì, c'è.

                Domandò di parlargli: e fu condotto in una sala che metteva in una stanza, ove il reverendissimo stava giuocando al bigliardo con alcuni suoi amici. Saputo che si chiedeva di lui, gli fece domandare che cosa volesse.

                E Don Bosco: - Ditegli che vorrei riconciliarmi.

                E quegli, aperta alquanto la porta, si affacciò, guardò il prete e con voce alterata:

                 - Ma lei non sa che io non confesso?

                 - Ma allora chi è che confessa?

                 - Tra noi confessano solamente quelli che non son buoni a far altro.

                Don Bosco discese in sagrestia e quivi trovò un religioso, suo grande amico, da cui aveva ricevuto l'invito, l'unico che conoscesse in quel luogo, il quale gli fece mille feste, e Don Bosco poté confessarsi.

                Detta la Santa Messa fu presentato al Superiore, il quale non lo conosceva personalmente, e il Servo di Dio gli si diede a conoscere; e dolcemente rammaricandosi con lui: Ah, signor Abate, gli disse, possibile! un povero prete voleva riconciliarsi e non poteva trovare un confessore in una delle più grandi solennità. In chiesa non c'era alcuno: domandai del P. Abate, mi si rispose, che l'Abate non confessa. Chi é [530] dunque che confessa? io chiesi: e udii queste parole veramente strane: - Tra noi confessano solamente quelli che non son buoni a far altro!

                 - Ah sig. Don Bosco, scusi un poco, io non la conosceva. Ho torto: la prego solamente di non dir ciò al Santo Padre.

                 - Non dirò nulla, ma Ella non profferisca mai più quelle parole: Tra noi confessano solamente quelli che non son buoni a far altro. Anzi le dirò: scelga per confessare i religiosi più istruiti, persone di esperienza, perchè questa è la parte più delicata del Sacro Ministero.

                Più d'uno de' suoi tanti confidenti desiderava conoscere le sorti future di Roma, e di Pio IX, e del potere temporale dei Papi. Don Bosco disse che nel 1871 Pio IX avrebbe celebrato il suo giubileo Pontificale e assicurò che avrebbe oltrepassato gli anni di S. Pietro. Interrogato sugli avvenimenti politici, si schermì dal rispondere direttamente, ma accennò come Napoleone avrebbe abbandonato Roma, ritirandone il presidio francese, e predisse pure chiaramente la presa di Roma.

                Il 9 gennaio 1874 D. Gioachino Berto lo accompagnava per Roma, quando s'incontrò con un buon signore il quale fra le altre cose disse a Don Bosco: - Io non voleva credere che gli Italiani sarebbero entrati in Roma. Il P. Verda era del mio parere. Ma appena nel 187o entrò l'esercito di Vittorio Emanuele ricordai le parole che ella m'aveva detto un anno prima: cioè che gli italiani sarebbero certamente entrati.

                Don Bosco si recò anche, in qualche Istituto.

 

 

                               Signor Cavaliere stimatissimo,

 

                ... Le do ottime notizie del nostro Don Bosco. Questa mattina sono stato a prenderlo e l'ho condotto a S. Rufina dove ha detto la Messa alle figlie di Maria, fatto un bel fervorino prima della Comunione che è stata assai numerosa. Dopo la colazione siamo tutte state a baciargli la mano, indi ha fatto un bel discorso alle educande. Abbiamo avuto una mattinata carissima, e Don Bosco ha detto che gli è stata di consolazione...

                CORNELIA V. MILLINGEN. [531]

                Ma era fermo nel suo proposito di rimanere nascosto più che gli era possibile. Il Conte Scipione Conestabile della Staffa il 7 febbraio scriveva allo stesso, lamentandosi: “La Contessa Millingen la saluta. Don Bosco sta bene: non l'ho veduto che una sola volta!”

                Quel giorno, domenica di Quinquagesima, Don Bosco era aspettato in Vaticano e vi andò in gran gala. Egli stesso, paternamente e per mostrare la bontà di Pio IX, narrò il caro episodio nell'accennata conferenza ai Salesiani dell'Oratorio.

                “Avvicinandosi l'ora fissata per l'udienza, Pio IX, chiamati i servi, disse: - Don Bosco non ha la carrozza; andate a prenderlo colla mia. - E la carrozza del Papa partì. I servi del Papa scesero alla casa ove stava e mi invitarono a salire. Entrai. Immaginatevi: Una carrozza ove sarebbero state benissimo quattordici persone, tutta ricoperta di seta e frange, con entro Don Bosco! Andai all'udienza e, finita questa, la stessa carrozza m'aspettava. Mi domandarono dove voleva andare. - Casa Vitelleschi. - Ordine del Papa che ve la conduciamo. - Salii in vettura, e là giunti: - Abbiamo ordine del Papa di aspettarla e ricondurla a casa. - Se non che saputo da me che ivi doveva fermarmi molto tempo, si arresero a tornare indietro”.

                Questa udienza cagionò grande consolazione a Don Bosco. Pio IX, appena lo vide, gli disse:

                 - Don Bosco! vi pregherei di un piacere. Vorreste aprire a Roma uno studentato, e un oratorio come a Torino?

                 - Oh! Santo Padre; era proprio questa la mia idea; mi ha tolto la parola di bocca.

                 - Ebbene, andate a S. Cajo: qui, presso il Monastero dell'Incarnazione, vi è un locale: osservate se fa per voi e intanto vedete, se è cosa facile accordarvi col proprietario.

                E con premurosa bontà il S. Padre continuò a dirgli che se potevasi conchiudere questa compra, desiderava che di quello stesso anno vi si stabilisse un certo numero di preti e chierici Salesiani mandati da Torino, per studiare alla Minerva [532] e alla Gregoriana, Filosofia e Teologia. Presa la laurea ritornerebbero all'Oratorio per insegnare. Le pretese dell'Arcivescovo di Torino sarebbero cessate, e il Papa stesso, per mezzo del suo Vicario, avrebbe conferiti gli Ordini Sacri ai figli di Don Bosco!

                Il Venerabile accettò con riconoscenza quella proposta e dopo un lungo ragionare sullo stato della Pia Società, espose al Santo Padre il vivo desiderio di molti fedeli che fosse eretta canonicamente nella Chiesa di Maria SS. Ausiliatrice una Confraternita. Gli disse avrebbe presentati gli Statuti all'Arcivescovo di Torino e lo avrebbe pregato dell'erezione canonica: ed ora supplicava il S. Padre ad arricchire quell'Opera con varie indulgenze. Il Papa volentieri annuì.

                Gli presentò ancora domanda di onorificenze per alcuni insigni ecclesiastici e il Papa accolse anche una tal supplica benevolmente.

                In fine Pio IX gli donò una cassetta piena di crocifissi, ai quali aveva annessi 400 giorni d'indulgenza per ogni volta che si fossero baciati, o si fossero fatti baciare da altri.

                Don Bosco salì al Quirinale per visitare S. Cajo. Il luogo indicato dal Papa apparteneva al Monastero dell'Incarnazione, detto delle Barberine, perchè fondazione dell'Eccellentissima Casa Barberini, che ne aveva il Patronato. Consisteva in due grandi corpi di fabbrica, uno dei quali, vuoto da tempo, era conveniente all'opera di Don Bosco. Annessa aveva la chiesa e un campo vastissimo, ove potevansi innalzare altri edifizi.

                Di quei giorni il Municipio di Torino aveva permesso agli Istituti di beneficenza di porre in piazza Castello un loro banco per vendere, negli ultimi giorni di Carnevale, quanto avessero creduto meglio a vantaggio dei loro ricoverati,

                Don Bosco era stato l'ispiratore di questa idea. Il Carnevale di Torino era a que' tempi il più decoroso, tranquillo, e sollazzevole di tutta l'Italia. Un'apposita Commissione che aveva i pieni poteri e la gendarmeria ai suoi comandi, vegliava [533] per l'ordine la moralità e il rispetto ad ogni ceto di persone.

                Don Bosco, prima di partire per Roma, visti i bisogni particolari dell'Oratorio, aveva detto ai suoi di casa, come studiasse il modo di prender parte alla fiera del Carnevale. Diedero tutti un oh! di meraviglia e, quasi scandolezzati:

                 - Al Carnevale? I figli dell'Oratorio?

                 - Sì, sì; ci andremo, ma in modo da non prenderne i pazzi costumi. Ci andremo da pari nostri, per obbligare lui a venire dove siamo noi.

                Erano avanzati molti oggetti dell'ultima lotteria e con questi il Venerabile aveva pensato di far qualche cosa, mentre i buoni Torinesi, invitati, andarono a gara per mandargliene degli altri. Incaricò il Cav. Oreglia di questa faccenda ed egli partiva per Roma.

                Il Cavaliere preparò il suo banco, composto di varie tavole ornate decorosamente, sopra un largo palco, dietro le torri di Piazza Castello, in prospetto di via Po. Nello stesso tempo inviava una leggiadra poesia piemontese ai suoi conoscenti ed amici, perchè accorressero ad ammirare il suo banco ed a comprare.

                Varii di questi inviti li spedì anche a Roma.

 

 

Roma, 1° febbraio 1869.

 

                               Carissimo di S. Stefano,

 

                Può lei immaginarsi più che io descrivergli, quanta gola mi faccia il suo invito: cosa non pagherei per vedere lei al banco vendere e fare allegria. Ma bisogna fare un fioretto alla Madonna SS. di ciò. Don Bosco ci spiegò in casa Isabella il suo bellissimo invito, giacché, essendo piemontese, nulla capivamo: esso pure rideva nel leggerlo...

                Don Bosco è stato a dire la messa nella cappella di Mamà; io con esso ho avuto un colloquio in casa di Isabella. Speriamo che la Madonna SS. ci usi misericordia e specialmente illumini i miei fratelli...

CLOTILDE.

 

                Il banco del Cavaliere riuscì uno dei più belli e meglio forniti, specialmente di libri. La musica dell'Oratorio, per la [534] quale il Maestro De - Vecchi aveva scritta un'apposita polka fantastica, intitolata la Fiera di Gianduja, attirava un gran numero di persone. I giovani musici erano in costume giallo di dominò e tra essi primeggiava il cavaliere Oreglia, che, vestito da Gianduja, ne sosteneva magnificamente la parte, e con versi in dialetto, lepidi, arguti, corretti, invitava il popolo al suo banco. Tutta la nobiltà di Torino accorreva per udirlo ed egli spacciava a caro prezzo le sue mercanzie.

                Vi si recò pure il Principe Amedeo, il quale, dopo aver stretto amichevolmente la mano a Gianduja, gli lasciò la graziosa somma di 100 lire.

                 - E che cosa ne farai Gianduja? gli disse il Principe.

                 - Altezza, la dividerò tra i miei amici, che sono i poveri, e poi tutti insieme pregheremo per la conservazione di Vostra Altezza.

                 - Bravo Gianduja!

                Quando il Cavaliere, dopo aver raccontate le cose più amene di questo mondo, faceva riposare i suoi polmoni, i musici davano fiato ai loro strumenti, eseguendo pezzi di celebri maestri: ma ad ogni pezzo si gridava dalla moltitudine: La polka di Don Bosco! la polka di Don Bosco! - e la musica doveva appagare il comun desiderio. Così era stata chiamata la fantasia musicale del De - Vecchi, eseguita con istrumenti, improvvisati in gran parte e in strane fogge per quella circostanza, che producevano un piacevole effetto. La medesima composizione comparve allora stampata in ogni repertorio musicale.

                Per tre giorni, il banco entusiasmò anche i Sacerdoti ed i religiosi che numerosi vi accorrevano. Furono giorni di divertimento onesto, benefico, cristiano. Così si verificò ancora una volta ciò che spesso diceva Don Bosco:

                 - Ho sempre fatto di tutto, per far vedere che uno si può divertire, salva la legge di Dio.

                Mentre in città si agitava il gran tafferuglio del Carnevale, non meno allegri e svariati divertimenti animavano i [535] giovani in Valdocco. Nell'ultimo giorno, colla Comunione generale si suffragarono le anime del Purgatorio, e si pregava per que' compagni che Dio avrebbe chiamati all'eternità. A due specialmente giovarono queste preghiere.

                Troviamo in una nostra memoria e in un registro dell'Oratorio: “Ferrero Bartolomeo, di Michele, nativo di Villafranca Piemonte, studente di III ginnasiale, il 1° gennaio 1869 parte dall'Oratorio gravemente ammalato, e muore presso i suoi parenti.” Non è indicato né il luogo né il giorno della morte. Con tutta possibilità è quello sognato da Don Bosco il 30 ottobre 1868.

                Del secondo è scritto: “Oriali Angelo, di Tommaso, da Castelletto Ticino, l'8 febbraio 1869 parte convalescente, e muore a casa sua”.

                Sono i primi due de' sei predetti da Don Bosco.

                L'aver l'Oratorio, coi suoi giovani, preso parte al Carnevale dava motivo alla seguente lettera diretta al Cavaliere, la quale si può dire l'espressione dell'opinione pubblica dei Torinesi.

 

 

Fossano, 12 febbraio 1869.

 

                               Signor Cavaliere,

 

                ... Una signora, venendo da Torino, mi raccontò un nuovo prodigio di carità, una di quelle invenzioni di cui i servi di Dio come i Belzunce di Marsiglia e i Bosco di Torino sanno soli farsi autori. Già mi ha inteso. Dirgli la mia ammirazione per questo ritrovato di Gianduja e suo seguito, sarebbe difficil cosa.

                Mi pare che un tratto di questo genere sia più eloquente di molte pagine morali, per far conoscere ed amare una Religione che sa adattarsi così bene all'uomo, rendersi umile ed amabile ai grandi e ai piccoli e tutto accetta quello che può giovare al povero e sovvenire ai suoi bisogni.

Contessa ALESSI di CAMBURZANO.

 

                A Roma si desideravano notizie e le domandava la Presidente de' Tor de' Specchi. [536]

15 febbraio 1869.

 

                               Signor Cavaliere,

 

                Ieri Don Bosco venne qui per la seconda volta a farmi visita e lo trovai benissimo ed allegro. Domani, martedì, verrà a celebrare la Messa della Comunità, ci farà un fervorino e ci comunicherà. Immagini la consolazione mia e di tutte.

                Ho saputo che Don Bosco nella settimana testé finita fu nuovamente da Sua Santità per due ore e che gli dette dimostrazioni di stima e di affetto.

                Quando lei scriverà riguardo alla fiera? Ieri Don Bosco diceva: Nulla si sa fin qui della fiera e pure sono parecchi giorni che terminò il carnevale! - Io presi le sue parti dicendo che oltre un po' di riposo Lei doveva togliere i banchi, dar sesto a tutto. Scriva dunque presto. Il mio negozio va bene.

M. MADDALENA GALLEFFI.

 

                Il 18 febbraio Don Francesia mandava notizie della fiera alla Madre Galleffi.

 

                .....Il Cavaliere è andato a riposarsi della sua fiera, ove fece meravigliosa riuscita. Si ricavò due mila franchi senza le spese, che è minima cosa, ma in paragone di altri fu molto. I nostri oggetti erano troppo belli e preziosi e non da carnevale, e si smerciarono poco. Fecesi però bella comparsa. La fiera era, si può dire, tutta attorno al nostro banco, e la musica e Gianduia erano gli oggetti di gradito passatempo. Anzi il Cav. fu creduto e credesi tuttora che fosse un prete, tanto erano moderate, giuste, buone le sue facezie. Più d'uno ebbe la pazienza di ascoltare dalla mattina alle 11 fino alla mezzanotte. In Torino non si parlava di altro che del banco di Don Bosco, ove alcuni che conoscono niente Don Bosco che di nome, si pensavano che fosse egli che la facesse da Gianduia. Glielo dica che i Sant'Antonii così non sono ancora morti tutti. È però vero che il Gianduia di Don Bosco ha fatto epoca, ha predicato la morale in giorni di empietà, ed insegnato che si può essere allegri senza offendere il Signore. Al nostro banco venne pure il Principe Amedeo, sentì la musica e lasciò 100 franchi per la casa .....

 

 

CAPO XLII. La Sacra Congregazione dei VV. RR. riprende le sedute - Don Bosco è stanco e desidera un po' di solitudine - La Pia Società viene approvata - Don Bosco fa visita di congedo al Papa, che lo esorta ad affrettare l'approvazione delle regole: il Venerabile gli annuncia che il suo Pontificato sarà più lungo di quello di S. Pietro - Emiliano Manacorda comunica al Cav. Oreglia l'approvazione della Pia Società e la proposta di S. Caio - Pratiche per l'acquisto di questa casa - Il Card. Antonelli offre il danaro per la spesa del contratto - Lettere e postulazioni di Don Bosco per aver somme per quella compra - Un avvocato, che ottenne dalla Madonna la guarigione di suo figlio ridotto agli estremi, si assume l'incarico degli incombenti legali - Altre oblazioni pel desiderato acquisto - Alcune lettere al Cavaliere: Don Bosco visita la famiglia Marini: celebra nel palazzo Barberini: Mons. Manacorda nominato Prelato domestico Don Bosco va a Frascati: in casa Vitelleschi: centomila medaglie di Maria Ausiliatrice: visita di Don Bosco ad una nobile inferma - Lettera della Marchesa di Villarios a D. Rua - Lettera di Don Bosco allo stesso: si prepari una bella festa per S. Francesco: onorificenza destinata all'Abate Solari: la congregazione e S. Caio: visiterà Mirabello; una benedizione del Papa al Teol. Borel - Don Rua comunica questa lettera ai Collegi.

 

                ERA incominciata la quaresima e le istanze di Don Bosco erano portate definitivamente avanti alla Congregazione dei Vescovi e Regolari. Si esaminarono partitamente gli articoli delle Costituzioni e si ponderarono [538] le osservazioni di alcuni Vescovi. Si tennero più sedute. Monsignor Svegliati espose alla Commissione de' Cardinali il parere del Papa. Don Bosco fu ancora chiamato a dare qualche spiegazione. Da circa un mese, narrava il P. Verda, le gravissime trattative stancavano la sua mente e talvolta era uscito di casa e andava a passeggiare solo, co' suoi pensieri, in luoghi lontani dall'abitato. Un giorno il Cardinale Monaco La Valletta, alla fine di una seduta, avrebbe desiderato di accompagnarsi con lui e lo invitò a salire in carrozza; ma egli aveva bisogno di temperare l'arsura dei polmoni con aria libera e non gli reggevano le forze a nuovi ragionamenti; e perciò umilmente si scusò, adducendone il motivo, di non potere con suo dispiacere accettare in quel momento un tanto onore. E l'Eminentissimo annuì mostrando il suo rincrescimento.

                Mentre camminava così soletto, talvolta fu incontrato da qualche noto Monsignore, il quale, lo interrogava:

                 - Come? Don Bosco a piedi?

                 - Sì, Monsignore!

                 - E perchè solo? Lo accompagno io!

                 - No, no, Monsignore, mi scusi: ho bisogno di essere solo.

                 - Ma si smarrirà per la strada?

                 - Per oggi meglio così: ho bisogno di riposare. - E si congedava.

                Doveva essere ben stanco e a mal partito, per ragionare in quel modo!

                Quando seppe il dì in cui la Sacra Congregazione sarebbe venuta alla definitiva discussione riguardo alla Pia Società, aveva fatto scrivere all'Oratorio che si fosse fatto in modo che per quel giorno, dandosi il turno, vi fossero stati continuamente, alcuni giovani in adorazione avanti al SS. Sacramento per ottenere il buon esito dell'affare. E molti studenti ed artigiani, ai quali non era stato fissato il tempo dell'adorazione, si portarono in chiesa privandosi di [539] un tempo notevole di ricreazione; e tanta pietà piacque al Signore.

                Il 19 febbraio la Pia Società di S. Francesco di Sales tra approvata della Sacra Congregazione e il Sommo Pontefice ratificò con gioia quella approvazione.

                Di quella sera Don Bosco tornò in Vaticano e disse al Papa, ringraziando:

                 - In questa settimana tutti i miei giovani erano in pena per me e stancavano il cielo colle preghiere pel buon esito della mia missione.

                A queste parole caddero dagli occhi del Sommo Pontefice dolci lacrime e, intrattenendosi a ragionare di quell'approvazione, Pio IX diceva al Servo di Dio: - Signor abate, bisogna che facciate presto a condurre a termine anche l'approvazione delle Costituzioni, io sono informato di tutto, conosco il vostro scopo e vi sosterrò in ogni maniera. Ma io sono vecchio, da un momento all'altro posso mancare, e chi sa chi verrà eletto Papa dopo di me e come si prolungheranno le cose.

                 - Santo Padre, rispose Don Bosco con la sua tranquillità abituale, il Signore vi riserva ancora a grandi cose, a fare del gran bene alla sua Chiesa.

                 - Eh! rispose Pio IX - manca solo un anno e mezzo ai venticinque e c'è il non videbis dies Petri.

                 - Non è verità di fede!

                 - È vero che non è di fede, ma è tal detto che dai secoli non venne ancora smentito.

                 - Ascolti, Santità, proseguì sorridendo Don Bosco: anzitutto bisogna dedurre un anno e mezzo in cui V. S. fu a Gaeta e non a Roma. Poi S. Pietro, oltre i 25 anni di Roma, stette 7 anni ad Antiochia e 2 a Gerusalemme: e perciò io dico a V. S.: non solo videbis dies Petri, ma altri ancora.

                 - Ebbene: quando saremo giunti a quel punto, allora terrò conto di quanto mi avete detto, e vi loderò della predizione. [540] In fine il S. Padre gli diede alcune norme sapienti, perchè la Pia Società si fondasse sempre meglio nella vita religiosa, e lo incaricava di riferirle come guida pratica ai confratelli. Anche per i giovani alunni ebbe consigli e ammonimenti. L'udienza era durata un'ora.

                La sera stessa Mons. Manacorda scriveva a Torino:

 

 

                                Carissimo Don Rua,

 

                Don Bosco ha ricevuto la sua lettera, poche ore dopo che io spedissi l'ultima mia.

                Ora che tutto è ultimato riguardo alla Congregazione di S. Francesco di Sales, si va in giro per trovare con che pagare la nuova casa in Roma. Le apparenze sono favorevoli. Spero che anche in questa parte il Signore non abbandonerà il suo servo fedele. Lunedì o martedì forse si farà l'istrumento e così Don Bosco ritornerà in Torino portatore di due atti pubblici della massima importanza. Acquisto di una casa: Approvazione della Società. Sia benedetto Iddio, e benedetta la Vergine, Aiuto dei Cristiani.

                Don Savio è autorizzato da Don Bosco di conchiudere il contratto di vendita di quello stabile che sa: e farà l'istrumento Don Bosco appena giunto costà.

                Si conchiuda pure, come pare meglio, le cose con D. Bongiovanni. Così Don Bosco .....

EMILIANO MANACORDA.

 

                Roma, 19 febbraio 1869.

 

 

                Don Bosco aveva preso commiato dal Papa, ma fermavasi ancora per qualche giorno in Roma, per attendere la firma di alcuni Brevi, il decreto d'approvazione della Pia Società e condurre a buon porto l'acquisto della Casa di S. Caio. Da circa due settimane occupavasi attivamente a questo scopo.

                Fu a visitare le Suore, cui apparteneva quel locale, dal quale si erano ritirate; che accolsero volentieri la proposta. Fu pure a parlare col Principe Barberini, che dovea già conoscere le intenzioni del Papa, e quindi, di comune accordo, fu convenuto il contratto per 50.000 lire. La Provvidenza dispose che ei trovasse anche il danaro per il compromesso. Il Cardinale Antonelli, appena seppe conchiuso quell'affare, gli mandò subito 2000 lire, dicendo:  [541]  - Questa è la prima offerta per la grazia ottenuta da Maria Ausiliatrice; e non sarà la sola; ne farò delle altre.

                A Don Bosco mancava ancora una persona che in sua vece si occupasse del contratto, poichè non poteva distogliersi dagli altri affari. E pur questa l'ebbe presto a suoi cenni, nella persona dell'avvocato Ignazio Bertarello, cui, come abbiamo visto in una lettera di Mons. Manacorda, il Venerabile aveva guarito l'unico figlio. Nel giubilo della riconoscenza l'avvocato aveva esclamato: - Don Bosco ci comandi qualunque cosa e faremo tutto! - E a preghiera di Don Bosco si prese l'impegno di preparare quanto era necessario per concludere il contratto.

                Per conto suo Don Bosco continuava a cercar mezzi pel pagamento di quella casa ed era secondato da suoi benefattori, poichè le sue lettere andavano al cuore. Eccone una delle prime, dirette alla Madre Galleffi.

 

 

                               Benemerita Madre Presidente,

 

                Nel tempo passato Ella venne più volte colla sua carità in aiuto della chiesa e dei poveri giovanetti che vivono in Torino.

                Ora, non più i Torinesi, ma le raccomando quelli di Roma. Col beneplacito del Santo Padre si tratterebbe di iniziare una piccola casa simile all'Oratorio di San Francesco di Sales in Roma. S. Caio, detto delle Barberine, col locale annesso sarebbe assai opportuno, poichè è località salubre e somministrerebbe comodità ai giovanetti, che vivono tra questo sito e la Trinità di Monti, di frequentare il catechismo e di avere anche una scuola.

                La difficoltà solo sta nella spesa di primo acquisto che monterebbe a nove mila e quattrocento scudi.

                Avvi già qualche offerta; bisogna che Ella pure per amore del Signore e della Santa Vergine Maria faccia quello che può nel suo particolare, fra le sue caritatevoli religiose e fra le persone con cui Ella ha qualche relazione.

                Altra difficoltà è la premura di chiudere il contratto, perchè àvvi chi sta all'erta per iniziare trattative, appena fossero interrotte le nostre.

                La Signora Merolli si mostrò molto propensa ad aiutarci, e vuole anche interessare altre pie persone ad associarsi; Ella parlerà con Lei, e Lei la incoraggisca e le prometta la benedizione di Dio, e quella dei [542] poveri ragazzi, che, salvandosi mercé la loro carità, invocheranno mai sempre le grazie del Cielo sopra i loro benefattori.

                Dio benedica Lei e tutti quelli che in modo particolare danno opera pel bene dei ragazzi abbandonati; e raccomandandomi alla carità delle sante sue preghiere ho l'onore di professarmi colla più sentita gratitudine di V. S. Benemerita,

 

                Roma, 17 febbraio 1869.

Aff.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Dopo alcuni giorni rispondeva ad un biglietto di questa santa religiosa:

 

 

Roma, 20 febbraio 1869.

 

                               Benemerita signora Madre,

 

                Dica alla persona che offrì fr. 30 che dimani, lunedì, farò ben volentieri un memento speciale nella Santa Messa, che a Dio piacendo spero di poter celebrare nella cappella del B. Labre.

                L'affare va assai bene, ma siamo ancora lontani dalla somma che ci vorrebbe, perciò coraggio a cercare, e molte preghiere; io confido molto nella sua carità: spero che Ella aiuterà efficacemente a compiere questo miracolo. Dio benedica Lei e tutte le sue figlie religiose, conceda a tutte il centuplo della carità che mi fanno.

                A Lei poi in particolare conceda in fine una bellissima ghirlanda di fiori in cielo. Amen.

                Con gratitudine mi professo

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Le visite si alternavano colle lettere, e gli amici scrivevano al Cav. Oreglia notizie di Don Bosco, sicchè possiamo quasi seguire gli ultimi suoi passi nell'eterna città.

 

                Roma 18 - febbraio 1869. - ... Don Bosco sta animato ad accrescere le sue grandi opere di beneficenza. Si affatica a trovar somme; certo che il prodigio sempre lo circonda. Ciò che mi consola è che così l'avremo spesso a Roma. Egli si mostra molto soddisfatto delle sue udienze col Papa, le quali sono molto lunghe. Spinto dalla Volontà Sovrana, questo santo uomo ha messo mano all'opera...

                MARIA V. [543]

                Roma 21 febbraio 1869. - Abbiamo tutta la famiglia, avuto il piacere di rivedere il rev.do Don Bosco. Ci siamo rallegrati con lui della buona salute che gode ed a tutti ha fatto l'impressione che si è abbastanza rimesso. Ci disse che la sua dimora non era molto lunga e m'immagino Ella con quanta ansietà l'attende in Torino...

MARIANNA MARINI.

 

                Roma 23 febbraio 1869. - Mentre abbiamo nelle sue orazioni tutta intiera la fiducia, l'abbiamo nei giovani dell'Oratorio che si associeranno seco lei nell'ottenere l'effetto desiderato. Nella cappella del palazzo Barberini l'ottimo Don Bosco ha celebrato la S. Messa in questa mattina, a cui, dietro invito ricevuto, abbiamo tutti assistito. Così riuscimmo a intrattenerci con Don Bosco rispettabile e caro Sacerdote. Don Bosco fa sapere a Lei che sta bene, che è contento, che si propone di lasciar Roma nella settimana ventura, e che predispongano tutto per solennizzare nella Domenica prima di marzo la festa di San Francesco di Sales...

SCIPIONE CONESTABILE DELLA STAFFA.

 

                Roma, 24 - 2 - 1869. - In Roma abbiamo Don Bosco, ma ancora non mi è riuscito poter sentire una sua messa; lo spero però; ne farò richiesta all'Ecc.mo Mons. Manacorda da cui voglio recarmi onde farle i miei complimenti per essere stato elevato, come saprà, all'onore di essere nominato Prelato Domestico di Sua Santità.

C. GUALDI.

 

                Firenze, li 24 febbraio 1869. - ... Sento che Don Bosco è per tornare e che è stato a visitare i miei Padri nel Sacro Eremo di Frascati con il C. Calderari ecc. Ne sono molto contento. Passerà per Firenze? Lo spero...

D. GIUSEPPE EMILIANO NERI.

 

                Roma, 25 febbraio 1869. - La lettera di Gianduja è stata letta alla presenza di Fanny e della Contessa Calderari fra le risa e gli applausi degli ascoltanti. Oramai s'avvicina il tempo che il nostro carissimo Don Bosco ripartirà da Roma. Ier l'altro ha pranzato da noi. Maria aveva espressamente invitato un altro suo fratello con consorte, che sono qui a Roma, per fargli conoscere questo Sant'Uomo, onde conseguirne la benefica influenza. L'affare dell'apertura della casa in Roma procede bene, e la Provvidenza a poco a poco accomoderà tutto, quantunque pel momento forse non si vegga quell'abbondanza di offerte che pur si desidererebbe; ma il nostro caro Don Bosco colla sua santa calma addita la sicurezza che il denaro necessario si troverà. Talvolta reca maraviglia che famiglie straricche rispondano che pel momento non è loro possibile dar denaro; se non é [544] possibile ora che nuotano nell'oro, non so qual fenomeno potrà essere causa di tale possibilità. La Duchessa di Sora è stata ed è tutt'ora malata. In quanto alle medaglie, Guidi dice che presto saranno ultimate; però alla zecca la parola presto, corrisponde a piano, egli mi disse che dovendosi coniare monete ed altre medaglie dalle stesse macchine, vi vuole un poco di tempo. Finisco la mia lettera col rendergli mille saluti di Maria e di tutti di famiglia. Nelle sue preci alla Vergine Benedetta si rammenti dello scrivente...

ANGELO VITELLESCHI.

 

                Il Cavaliere aveva data commissione perchè si procurassero al più presto possibile 50.000, o meglio 100.000 medaglie di Maria Ausiliatrice, perchè ormai egli ne era senza.

 

                Roma 27 febbraio 1869. - ... Mi rallegro del bene fatto anche moralmente colla sua fiera, però sono in pena per la sua salute che credo abbia trascurata eccessivamente...

                Sento che fra pochi giorni partirà il nostro Don Bosco. Lei sarà contentissimo, non così noi... ma speriamo. Ho bisogno di un Cattolico Provveduto coi fogli dorati, del quale per fare un dono secondo il desiderio di Don Bosco, ne ho privata persona che l'aveva acquistato...

M. MADDALENA GALLEFFI.

 

                Roma, 28 febbraio 1869. - Per mezzo di Don Bosco, che purtroppo ci lascia, le rispondo e di nuovo la ringrazio tanto della carità usata al povero R. e spero che non sarà perduta e presto o tardi frutterà in quell'anima; il povero giovane è molto ammalato. Quanto mi rincresce che Don Bosco parta! Ma lei mi perdona questa parola, non è vero? Dunque dirò che per loro mi rallegro che torni costì... Aspetto domani mia nipote ed ancora spero che possa vedere Don Bosco... Ci dia notizie dell'arrivo di Don Bosco.

CORNELIA V. M.

 

                Roma, io marzo 1869. - Maria in questi giorni è stata tribolata per la morte di una sua carissima amica. Questa è la Contessa Du Chastel, madre di quel giovinetto che è compagno del mio Giovannino nel passeggio. Era una santa donna e come tale è morta. Nel benedire negli ultimi momenti il suo figlio gli disse: Sois un saint garçon; pense à Dieu et à l'éternité. Don Bosco nella sua dimora in Roma la visitò ed anch'egli la trovò una donna di ardente fede e di perfetta rassegnazione...

ANGELO VITELLESCHI.

 

                Allo stesso D. Rua la Marchesa Fanny Amati di Villarios aveva scritto il 23 febbraio: “Don Bosco, grazie a Dio sta [545] bene, ed è molto contento. Egli è da tutti desiderato e gode la stima universale, ammirabile sempre per quella calma che non può venire che dal cielo. Quantunque si sia poco goduto in quest'anno, l'assicuro che lo vediamo partire con dispiacere e da questo arguisco quale deve essere la loro consolazione, sentendo il suo prossimo ritorno... Dica, la prego, una Salve secondo la mia intenzione, ai piedi di quella cara immagine di Maria Ausiliatrice, che mi pare sempre di avere innanzi agli occhi”.

                Don Rua aveva anche da Don Bosco istesso ricevute notizie:

 

 

                                Mio caro Don Rua,

 

                Non posso ancora fissare il giorno della mia partenza; forse lunedì o martedì prossimi. Ma venerdì, a Dio piacendo, sarò all'Oratorio, ne avrai avviso da Firenze. Intanto prepara tutto per fare una bella festa di S. Francesco di Sales la domenica sette marzo. Danne pure avviso al Conte Viancino che ne è Priore, e digli che abbia pazienza di passare tutto quel giorno con noi. Di' all'Ab. Solari che ho una immaginetta a dargli di suo gusto.

                Le cose nostre stanno così: La congregazione definitivamente approvata: facoltà di ordinare titulo mensae communis; facoltà delle dimissorie annesse non all'individuo, ma alla congregazione.

                Poi è conchiuso il contratto per l'acquisto della Chiesa e locale annesso (S. Cajo) in una delle più belle e forse la più bella località di Roma. Sul Quirinale, dalle quattro fontane verso Porta Pia vi è il monastero delle Barberine, cui è annesso il nostro futuro studentato... e quello che a Dio piacerà. Il primo acquisto è di fr. 50.000, vedrò quello che potrò pagare tosto, ma spero di aggiustare bene le cose e di non andare a casa con le saccocce totalmente vuote. Molte cose di molta importanza le saprai a voce. Queste cose puoi comunicarle a quelli della Congregazione, ma con raccomandazione che non vadano fuori di casa. In ogni cosa prudenza e preghiera. Comunica queste cose a Lanzo e a Mirabello. Dirai poi a D. Bonetti che nella seconda settimana dopo il mio arrivo andrò a fargli una visita.

                La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi. Sia lodato e ringraziato ogni momento il SS. e divinissimo Sacramento. Così sia.

                Abbiatemi in tutto

 

                Roma, 26 febbraio 1869,

Aff.mo in Gesù Cristo

Sac. GIOVANNI BOSCO. [546]

 

                P. S. Di' al Teol. Borel che in un'udienza il S. Padre gli mandò la sua benedizione, con una medaglia che gli darò. Benedisse anche tutte le sue famiglie.

                Io sono piuttosto stanco di mente e di corpo, perciò avrei vero bisogno che al mio arrivo non si facesse alcuna dimostrazione. Niente più che se venissi dalla città di Torino: ciò mi sarebbe di non piccolo sollievo.

 

                Don Rua, ricevuta questa lettera, la fece trascrivere da Don Berto, facendo omettere le frasi che si riferivano ad alcuni individui in particolare, e ne mandò copia a Mirabello e a Lanzo.

 

 

CAPO XLIII. Il Duca e la Duchessa di Sora - Attinenze di questi Signori con Don Bosco - Due loro memorie per iscritto sulla visita di Don Bosco a Villa Ludovisi nel 1867 - Due lettere del Venerabile a questi benefattori, di quello stesso anno - Don Bosco a Roma nel 1869: lettere e visite: prega il Duca ad aiutarlo per la compra del locale a S. Caio.

 

                FRA tanti nobili amici che Don Bosco contava a Roma non ultimo era D. Rodolfo Boncompagni Ludovisi, Duca di Sora, poi Principe di Piombino. Il Cav. Oreglia di S. Stefano gli aveva fatto conoscere Don Bosco, e già da più anni, prima del 1869, egli era col Servo di Dio in cordiale relazione, che durò fino al 1888. Nel 1867 il Principe aveva 35 anni: e non morì che il 12 dicembre 1911.

                La sua nobile consorte Donna Agnese, figlia del Principe Borghese Boncompagni, Principessa di Piombino, e ai tempi del Venerabile, Duchessa di Sora, fece lo spoglio delle carte appartenenti al venerando suo defunto marito, e trovò cinque lettere di Don Bosco e alcuni foglietti di ricordi sulla visita di questi a Villa Ludovisi. Ed ella di tutto traeva copia, la faceva autenticare dalla Curia Vescovile di Foligno, e la trasmetteva all'Oratorio di Torino; lamentandosi che non poche altre lettere di Don Bosco doveva aver ricevute il Principe, ma disgraziatamente dovevano essere state distrutte o smarrite prima della morte del Venerabile. [548] La lettera con cui accompagnò i documenti porta la data - La Quiete, Foligno 3 settembre 1912. - “Dica al Venerabile - diceva tra le altre cose - che mi ottenga la salvezza, anche per ritrovare il piissimo mio marito, che voglio sperare stia in paradiso”.

                Ai foglietti del marito aggiungeva per iscritto anche i suoi ricordi, i quali riguardano le relazioni che Don Bosco ebbe con loro nel 1867. Noi ne abbiamo già scritto nell'ottavo volume delle nostre Memorie, e vogliamo completare quella narrazione.

                Primieramente esponiamo la nota della Principessa, aggiungendo alla narrazione le postille spiegative da lei stessa apposte anni dopo.

                Oggi 12 gennaio, sabato, Don Giovanni Bosco viene a dirci la Santa Messa[20] dopo la quale parlò sul Sacrifizio della Messa e Gesù Sacramentato; poi viene su e con noi prende il caffè.

                Benedice i 5 ragazzi, parla a Ugo[21] per la sua prima comunione: è colpito da Luigi pel suo buon carattere. Io gli dò, incaricata da papà[22], un involtino di biglietti, sul quale esso aveva scritto a Don Bosco p. g. r.; e Don Bosco, che forse aveva dimenticato ciò che scrissi e la promessa fatta, mi disse di avere particolarmente piacere di quelle 3 lettere. Ecco l'occasione di quest'elemosina. Nel mese di maggio, quando il Cavaliere Oreglia era qua, papà era tutto preoccupato di Paolo. M'incaricò di scrivere che se, un buon matrimonio si decideva per esso, nei 6 mesi, darebbe 1000 fr. per l'Opera di Don Bosco.

                Sappiamo ora che, dopo 6 mesi e pochi giorni, il matrimonio non era solo combinato, ma fatto[23].

                16. - Mi confesso da Don Bosco.

                Il 17 venne da me il Principe Pignatelli e mi domanda a  [549] nome del Re[24] di preparare un appuntamento per esso. Scrivo a questo fine a Don Bosco.

                Il 18 altra domanda della Duchessa di S. Cesario per l'istesso fine[25].

                Or ecco il manoscritto del Principe:

 

 

Sabato, 11 maggio 1867.

 

                Il 12 gennaio di quest'anno Don Bosco venne a celebrare la messa nella nostra cappella della Villa. Comunicò varii e, finita la messa, ad istigazione di D. Cesare[26] risalì l'altare per dirci qualche buona Parola. Premesso che i sacerdoti debbono celebrare la messa con vero spirito, esorta noi tutti ad avere la pratica di ascoltare la messa ogni giorno, quindi c'inculca la bella divozione di pregare innanzi al SS.mo Sacramento con gran calore, poichè dobbiamo domandare a Gesù tutte le grazie ed offerirgli tutti i nostri affanni, pregare per il Papa, per l’estirpazione delle eresie che invadono oggi la nostra Italia. Riscaldandosi disse quindi: “Fede, fede, fede dobbiamo aver sempre e specialmente in questi tristissimi tempi”. Salito al salone, ad uno ad uno parlò con tutti noi; a tutti dette qualche avvertimento, e parlò pure con Bertelli[27], tuttora convalescente.

                Anche per me viene la mia volta e incomincio col raccomandargli P... e la sua conversione sollecita; per questo gli prometto una offerta per la sua chiesa, ed esso mi promette che gli scriverà, appena sarà in Torino, per raccomandargli i suoi ragazzi e la sua chiesa. Gli parlo di me e del mio poco fervore, mi dice di star tranquillo... Mi andai poi a confessare da lui e la volli fare generalissima. Detti i miei falli, mi disse che mi riconciliava con Dio mi assolveva da tutto... mi esortava a migliorarmi, a vincere l'accidia nella preghiera, mi prometteva che avrebbe pregato [550] per me e per i miei. Avendo avuto qualche dubbio, dopo due ore vi sono tornato ad esporglieli... Mi disse: “State tranquillo; sui peccati che avete fatti fino al 19 gennaio 1867, ore 10 1/2, ne rispondo io e non ci pensate più .....”.

                Don Bosco, ritornato a Torino, scriveva nel 1867 queste lettere al Duca e alla Duchessa.

 

 

                               Eccellenza e carissimo signor Duca,

 

                Ricevo con gran piacere la sua lettera e la ringrazio che nella sua carità si ricordi tuttora del povero Don Bosco, come esso si ricorda di Lei e di tutta la sua famiglia ogni giorno nella santa messa. Cominciando dimani, domenica, farò una novena in cui io celebrerò ogni giorno la messa ed alcuni dei miei più buoni giovanetti faranno la loro comunione per la Signora di Lei moglie; le faccia coraggio, preghiamo con fede e speriamo molto. Non mancherò di raccomandare il nostro caro Ugo nella santa messa; mi faccia poi sapere il giorno della sua prima Comunione ed io in quel giorno dirò la santa messa per Lui.

                Mi rincresce che ho mandato un pacco di biglietti con mille commissioni per la Signora Duchessa di Lei moglie, cui Ella certamente non potrà applicarsi; abbia Ella la bontà di aiutarla. Oltre alle persone là indicate può anche portare alcuni biglietti alla Signora Principessa Altieri per cui ivi unisco una lettera, che Ella può racchiudere in un pacco di trecento biglietti e mandarlo da parte mia. Ella mi dice che è sempre un cattivaccio, ed io sono contento che, se lo creda, perchè questo è segno che non lo è, ma io voglio pregar molto per Lei affinchè non solo si faccia buono, ma si faccia santo come santi certamente si faranno la Signora moglie, i suoi giovanetti e tutta la sua famiglia.

                Dio la benedica, e benedica tutti quelli di sua casa e la Santa Vergine ci aiuti tutti a camminare per la via del Paradiso. Amen.

                Colla più sentita gratitudine mi raccomando alle sue preghiere e mi professo

                Di V. E., Signor Duca,

 

                Torino, 29 marzo 1867,

Obbl.mo servitore

Sac. G. Bosco.

 

                P. S. I miei ossequi al Rev. do Sig. D. Cesare.

 

 

                               Benemerita Signora Duchessa,

 

                Con grande mio piacere ho ricevuto i cristiani augurii che nella sua grande carità si compiacque di farmi. Dio la rimeriti, e centupli sopra [551] di Lei e sopra tutta la sua famiglia quelle benedizioni che si degnò pregarmi al giorno di S. Giovanni.

                Desideravo di sapere di sue notizie ed avevo già scritto in proposito a Roma per avere il suo indirizzo, quando mi giunse la sua lettera. Dica così al Signor di Lei marito che io ho raccomandato la sua sanità e continuerò a raccomandarla nella Santa Messa ed ho ferma fiducia nella potenza di Maria Ausiliatrice che nello stato suo attuale non le accadrà niun sinistro. Dica al caro Ugo che ben volentieri dimanderò al Signore per lui la virtù dell'umiltà e della carità, siccome mi ha scritto; e vi aggiungerò la preghiera alla B. V. Ausiliatrice che lo faccia un modello di virtù pei suoi fratelli e la consolazione dei suoi genitori. Al sig. D. Cesare che lo ringrazio delle belle espressioni che volle aggiungere nella stessa lettera. Lo raccomanderò in modo speciale al Signore, affinchè Dio gli ispiri tutte quelle parole, tutti quei pensieri che servono a fare altrettanti S. Luigi tutti quelli di sua famiglia. Le do anche di nostre notizie. Noi qui godiamo ottima salute, ma abbiamo il colera nei paesi vicini che fa strage. Ricevo lettera da Roma in cui mi si dice che si è sviluppato il mal nero, che ignoro quale sia. Noi abbiamo piena fiducia in Maria Ausiliatrice. Ella pure colla sua famiglia vivano tranquilli! Niuno di quelli che prendono parte alla costruzione della chiesa in onore di Maria Ausiliatrice sarà vittima di questi malanni, purchè si riponga fiducia in Lei.

                A proposito di questa chiesa le dirò che si lavora alacremente, Maria continua a fare la questuante, e tutto si spera che col terminare di questo anno i lavori siano tutti compiuti. Chi sa che Ella o la famiglia non vengano a fare una visita?

                Chi sa che Don Bosco non passi a Senigallia? Vedremo. Dio benedica Lei, Signora Duchessa, e con lei benedica tutta la sua famiglia, dia a me, a loro tutti, la grazia di perseverare nella santa via del cielo fino alla fine della vita.

                Raccomando in fine me e li miei poveri giovinetti alla carità delle sante sue preghiere e mi professo con profonda gratitudine di V. E.

 

                Torino, 30 - 7 - 67.

Obbl.mo Servitore

SAC. Bosco GIOVANNI.

 

                Ritornato Don Bosco a Roma nel 1869, continuarono le corrispondenze e si rinnovarono le visite.

 

 

                               Benemerito e carissimo Signor Duca,

 

                Sono spiacente di non essermi trovato a casa, quando Ella si compiacque di venire, ed inviare persona presso di me.

                Domani alle 9 circa mi reco a casa sua e, se nulla osta, celebrerò la Santa Messa e intanto avrò l'onore di ossequiare Lei colla rispettabile [552] di Lei famiglia. Dio benedica Lei, la signora Duchessa, con tutti i suoi figliuolini, e a tutti conceda sanità e benedizione, mentre con profonda gratitudine ho l'onore di potermi professare

                Di V. E.

 

                Roma, 28 - 69,

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

 

                               Eccellenza e carissimo Signor Duca,

 

                Ricevo la graziosa somma di fr. 100 che V. E. nella sua carità offre per estinguere i debiti incorsi nella costruzione della chiesa di Maria Ausiliatrice, e ci ho subito messa una intenzione particolare affinchè il Pater noster, che i nostri giovinetti dicono tutte le sere alla benedizione del SS. Sacramento, sia secondo la intenzione che mi accenna; vale a dire affinchè Dio sollievi la Signora Duchessa nello stato interessante in cui si trova. Fede e tranquillità e non si tema niente. Ora avrei bisogno che tra lei e la Signora Duchessa facessero un miracolo, ma un miracolo grande. Di consenso col Santo Padre si trovò conveniente l'acquisto della chiesa di S. Cajo, detta delle Barberine, col locale annesso. Qui noi potremmo fare, ossia iniziare una casa, fare catechismi ed anche scuola ai poveri ragazzi tra il Quirinale e la Trinità dei Monti.

                Ma per fare l'istrumento vi vuole la piccola somma di fr. 50.000. Non dico che la prepari tutta Ella o la Signora di Lei moglie, perchè qualche cosa ho già. Si adoperi per cercarmene almeno una particella e così l'anno del Concilio Ecumenico sarebbe segnalato, fra le altre cose, dall'impianto di una nostra casa in Roma. Farà questo miracolo, non è vero?

                Dio benedica Lei, la Signora Duchessa e tutta la rispettabile sua famiglia e raccomandandomi alla carità delle Sante sue preghiere mi professo di V. S.

 

                Roma, 15 febbraio 69.

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

 

Roma, 20 febbraio 69.

 

                               Carissimo Signor Duca,

 

                La E. V. mandò qui per avere da me qualche risposta che io pensavo già di aver fatta, la ricevuta cioè dei 100 franchi, che Ella offriva affinchè si pregasse in modo particolare la S. Vergine (per) la Signora Duchessa di Lei moglie. La sua volontà fu fedelmente eseguita e nella mia pochezza continuo a fare ogni giorno un memento speciale nella santa Messa. [553] Io provo gran pena per gli affanni che prova questa Signora, ma sono pieno di fiducia che sarà solamente esercizio di pazienza e che non vi saranno cattive conseguenze.

                Dio benedica Lei, tutta la sua famiglia e mi creda con gratitudine di V. E.

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. - Il miracolo per la casa di S. Cajo si fa?

 

                Nel trascrivere queste pagine noi pensiamo... quanti tesori di lettere e memorie scritte sono nascoste, e ne siamo certi, in tante nobili Case, non solo in Roma, ma in cento altre città d'Italia, Francia, Spagna, che tennero rapporti col nostro Fondatore, ne ricevettero le visite, ed ebbero anche la felicità d'ospitarlo!

 

 

CAPO XLIV. Letture Cattoliche - L’ultima messa di Don Bosco a Roma - Partenza da Roma e arrivo a Firenze - A Torino - Accoglienze trionfali all'Oratorio - Affetto del Teol. Borel per Don Bosco - Don Bosco presenta all'Arcivescovo di Torino il Decreto di Approvazione e una lettera di Mons. Svegliati - Tenore dei due documenti - Profezia di Don Bosco ad una inferma - La solennità di S. Francesco di Sales - Un'accademia in onore di Don Bosco e sue parole di ringraziamento - Conferenza tenuta da Don Bosco a tutti i Salesiani intorno all'esito del suo viaggio a Roma; gli avvisi dati dal Papa ai Salesiani - Fioretti per la novena di S. Giuseppe - Il Cavaliere descrive alla Presidente di Tor de' Specchi la gioia degli alunni per l'arrivo di Don Bosco - Lettera di Don Bosco alla stessa per ringraziarla della carità usatagli nel suo soggiorno in Roma.

 

                FINALMENTE Madre Maddalena Galleffi il 1° marzo dava l'annunzio al Cav. Oreglia che Don Bosco lasciava Roma: “Poche righe a volo... Riceverò stamattina Don Bosco che è sul punto di partire. Si è mostrato molto soddisfatto del poco che io mi sono adoperata pe' suoi affari e mi ha promesso preghiere e benedizioni. Attendo Letture Cattoliche di marzo...”

                Queste avevano per titolo: Valentina, ossia una degna figlia di Maria. Versione del Sac. Pietro Bazetti. L'operetta rileva l'amabile Provvidenza Divina che soccorre una poveretta;  [555] le croci che santificano la giovane signora in mezzo alle grandi ricchezze: il premio e la consolazione in questa vita a un'anima che arde di amore per Dio e per il prossimo.

                Don Bosco fu impedito dall'andare a Tor de' Specchi; e la buona Religiosa scriveva al Cavaliere: “Godo nel pensare alla loro giusta consolazione nel rivedere Don Bosco: questa non diminuisce la mia pena nel vederlo allontanato da Roma. Mi promise di tornare l'ultimo giorno della sua dimora, ma non venne”.

                Il giorno 2 marzo celebrò la S. Messa in S. Pietro in Vincoli, ove era aspettato da un gran numero di persone; e il Marchese Angelo Vitelleschi ne dava ragguaglio al Cavaliere:

                “Oggi il carissimo Don Bosco ci lascia con nostro sommo dispiacere. Ieri sera Guidi gli faceva avere le mille medaglie in argento, le quali Don Bosco stesso porterà seco in Torino per le altre pare che presto saranno finite; anzi per oggi promise di mandarmene cinquemila di S. Giuseppe”.

                In quel mattino fu recato a Don Bosco un plico coi suggelli della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, perchè lo consegnasse a S. E. Mons. Riccardi. Racchiudeva il decreto di approvazione della Pia Società Salesiana e una lettera per l'Arcivescovo.

                Buona parte di quell'ultimo giorno Don Bosco lo passò, col suo ospite il Tipografo Marietti: e verso mezzanotte si recò alla stazione, accompagnato dal Padre Verda. Il Card. Berardi e le famiglie Vitelleschi e Villarios mandarono le loro carrozze per accompagnarlo.

                Molti amici lo aspettavano per salutarlo. Giunto a Firenze la Marchesa Uguccioni scriveva a Torino:

 

 

                               Signor Cavaliere,

 

                Le annunzio con vero piacere l'arrivo di Don Bosco a Firenze questa mattina circa le 9. Ebbi la consolazione di averlo qui a dire la S. Messa nella mia cappellina. Le annunzio poi con gran rincrescimento che venerdì mattina verso le 10 conta di essere a Torino. Vede come [556] sono egoista. Don Bosco mi incarica di dirle cosa che mi sembra inutile, cioè che gli faccia trovare qualcuno alla stazione.

 

                3 marzo 1869.

GEROLAMA UGUCCIONI GHERARDI.

 

                A Firenze Don Bosco fu ospite dell'Arcivescovo e s'intrattenne col Cav. Canton, al quale raccontò delle pratiche già a buon punto per la casa di S. Cajo proposta dal Papa, senza rinunziare alle trattative per le Chiese del S. Sudario.

                Ripartito da Firenze il giorno 4, alle ore 11 pomeridiane, lo seguiva una lettera dell'Uguccioni al Cav. Oreglia:

 

                Ecco dei nuovi libri che mi prendo la libertà di domandarle, perchè mi sono stati richiesti dalle Signore di Ripoli e credo di obbedire ad un cenno di Don Bosco, procurandone lo spaccio. Sento dal Rev. P. Verda che quel nostro Santo ha fatto molta impressione a Roma. Roma, città dei santi! ! ! Bisogna pur dire che sia santo davvero! ! Ma non torna più! ! Se Ella potrà dirmene qualche cosa, mi farà somma grazia.

 

                Don Rua, nella sua Cronaca, descrive l'arrivo del Venerabile nell'Oratorio.

                “25 marzo, venerdì. - Circa alle ore 7 e1/2 di sera Don Bosco giunge in Torino accompagnato da uno dei figli del cav. Marietti. La musica andò alla portieria. Due file di alti pali, uno sì l'altro no, portavano sulla cima un globo di cristallo con entro un lume, gli altri una grossa fiamma, cominciando dalla portieria fino sotto ai portici. Di qua e di là, divisi in due ali, stavano schierati i giovani, lasciando il passaggio libero; gli studenti da una parte, gli artigiani dall'altra. D. Bosco, preceduto dalla musica, passò in mezzo tra le più vive acclamazioni. L'illuminazione dei poggiuoli lo rendeva visibile a tutta la famiglia e si potevano chiaramente leggere le iscrizioni preparate per la circostanza. Egli saliva all'anticamera della prefettura, e quivi prese un po' di respiro e un po' di refezione raccontando alcune vicende del suo soggiorno a Roma. Si fermò specialmente a far vedere la pianta della nuova località, colà acquistata, colla Chiesa, che sola era [557] stimata del valore di centocinquanta mila lire. In cortile intanto si suonarono diversi pezzi di musica e l'inno. Fu un continuo evviva, un continuo succedersi di mille segni di giubilo”.

                Quella sera accadeva una scena che commosse tutti i Salesiani e i giovani che ne furono testimonii.

                Il Teologo Borel, che si trovava a letto gravemente ammalato nel vicino Ospizio del Rifugio, sentendo nell'Oratorio il risuonare della musica e le grida di evviva e i battimani, capì che era arrivato Don Bosco e, approfittando dell'essere solo, poichè in quel momento nessuno lo custodiva, si alzò e si vestì. Appoggiandosi quindi alle pareti e ad un bastoncello, scese le scale, uscì dal Rifugio, percorse il tratto della via Cottolengo, ed entrò nell'Oratorio. Attraversato a stento e barcollando il cortile, giunse sotto i portici mentre Don Bosco, circondato da tutti i giovani, era giunto ai piedi della scala che metteva nelle sue camere, anzi era già salito sul primo gradino.

                 - Oh Don Bosco! oh Don Bosco! ... si sforzava di gridare il Teologo con fioca voce.

                I giovani fecero largo.

                 - Oh Teologo! rispose Don Bosco, volgendosi prontamente.

                 - La Pia Società è approvata? continuò il venerando sacerdote.

                 - Sì, è approvata!

                 - Deo gratias! Ora, muoio contento!

                E senza altro aggiungere, si voltò, ritornò alla sua casa e si rimise in letto.

                Quanto amore e quanta stima professava per Don Bosco il Teologo Borel! Verso il 1870, riavutosi alquanto dai suoi mali, incontrava per Torino Don Albera e gli diceva: - Voi dell'Oratorio credete di conoscere Don Bosco! È nulla ciò che sapete. Oh se avessi tempo di raccontarvi ciò che so di meraviglioso intorno a lui, stupireste!  [558] Il Teologo conosceva intimamente le cose dell'Oratorio, e sapeva assai bene l'immensa stima che i giovani avevano per il Venerabile, da tenerlo per un santo straordinario.

                Don Bosco non tardava a recarsi in Arcivescovado. Dice la Cronaca di Don Rua:

                “6 marzo. Don Bosco presenta a Monsignor nostro Arcivescovo il decreto di approvazione della Congregazione o Società di S. Francesco di Sales, con una lettera di accompagnamento spedita da Roma”.

                Il Decreto era del tenore seguente:

 

DECRETO[28].

 

                La salute delle anime, affidata alla cura del Santissimo Signor Nostro Papa Pio IX dal Principe dei Pastori, Lo rende di continuo vigilante a fine di non tralasciare alcuna cosa intentata, perchè la Sacrosanta Cattolica Fede, senza cui è impossibile piacere a Dio, in ogni parte della terra sempre fiorisca e si dilati. Per la qual cosa predilige sopratutto colla singolare Apostolica sua benevolenza quegli uomini Ecclesiastici, i quali riuniti in società, si prendono cura della gioventù, l'ammaestrano nello spirito della scienza e della Pietà, e con ogni studio [559] e sforzo s'adoperano di arrecare abbondanti frutti di virtù e di onestà nella vigna del Signore. Tostochè Sua Santità ebbe conosciuto essere tra simili Società la Pia Congregazione de' religiosi, che, preso nome da San Francesco di Sales, fu eretta in Torino nel 1841 dal sacerdote Giovanni Bosco, la onorò con un decreto di Apostolica lode addì i luglio 1864. Ma il summentovato Fondatore, venuto testè a Roma, insistette appresso alla S. Sede, perchè si degnasse approvare la prefata Congregazione e le sue Costituzioni. Il Sommo Pontefice pertanto, nell'udienza avuta dal sottoscritto Mons. Segretario di questa Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, in data 19 febbraio 1869, attese le Lettere Commendatizie di moltissimi Vescovi, approvò e confermò l'enunciata Congregazione sotto il governo del Superiore Generale, salva la giurisdizione degli Ordinarii secondo la forma dei Sacri Canoni e delle Apostoliche Costituzioni, come a tenore del presente Decreto l'approva e conferma, differita a tempo più opportuno la approvazione delle Costituzioni, le quali dovranno correggersi secondo le osservazioni per ordine di Sua Santità già altre volte comunicate, eccetto la quarta, che dovrà modificarsi come segue: Cioè la Santità Sua benignamente annuendo alle preghiere del sacerdote Giovanni Bosco, concesso al medesimo, come a Superiore Generale della Pia [560] Congregazione, la facoltà, valevole soltanto per tutto il decennio prossimo venturo, di rilasciare le Lettere Dimissoriali per ricevere la Tonsura e gli Ordini tanto Minori, quanto Maggiori, agli alunni, che avanti i quattordici anni furono accolti in qualche collegio o convitto della medesima Congregazione o vi saranno accolti in avvenire, e che a suo tempo diedero il nome alla prefata Pia Congregazione o lo daranno in appresso; ma in modo che, se per qualsiasi motivo vengano licenziati dalla Pia Congregazione, debbano rimanere sospesi dall'esercizio degli Ordini ricevuti, finchè provvedutisi di sufficiente Sacro Patrimonio, se sono insigniti dei Sacri Ordini, non trovino qualche Vescovo che benevolmente li accolga.

                Non ostante qualunque contraria disposizione.

 

                Dato a Roma, dalla Segreteria della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, addì 1° Marzo 1869.

 

A Card. QUAGLIA Prefetto

 

S. SVEGLIATI, Segretario.

 

 

                Al decreto era unita una Nota della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari a Mons. Riccardi Arcivescovo di Torino, la quale, annunziando l'approvazione della Società di San Francesco di Sales, diceva così:

 

3 marzo 1869.

 

                La Santità di Nostro Signore, essendosi degnata di approvare l'Istituto fondato in costesta città dal benemerito sacerdote Don Giovanni Bosco, come la S. V. rileverà dall'annesso decreto, ha ordinato contemporaneamente che i chierici alunni del suddetto Istituto continuino a frequentare le scuole di S. Teologia del Seminario Arcivescovile fino a nuova disposizione della S. Sede, sebbene il Superiore possa ai medesimi rilasciare le lettere dimissoriali per la sacra ordinazione, qualora siano entrati nell'indicato istituto, prima di aver compiuto l'anno decimo quarto di loro età. E ciò in considerazione che prima della detta età può anche omettersi la fede di stato libero.

                L'Istituto in parola, estendendo i suoi vantaggi morali principalmente alla città e diocesi di Torino, non può non interessare lo zelo della E. V. a mostrargli ogni impegno, onde maggiormente raggiunga [561] lo scopo per cui venne fondato. E sebbene la cosa si raccomandi per se stessa, tuttavia questa Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, che ha la tutela e la sorveglianza di tali pie fondazioni, non può dispensarsi dal fare ogni premura alla S. V., onde continui a coprire della di lei protezione un'opera così buona, nata sotto la invocazione di S. Francesco di Sales. Con tale lusinga le auguro dal Signore ogni più estesa prosperità, ecc.

                Il giorno di sabato, 6 marzo, Don Bosco aveva confessato fino circa le dieci del mattino; e alla sera confessò dalle 6 sino alla mezzanotte.

                In sacristia si presentarono varie persone che desideravano la sua benedizione. Eravi tra esse la signora Lucia Perlo da Caramagna Piemonte, che aveva la figlia, per nome Maddalena, di anni 18 circa, molto ammalata. Sentendo dai medici che l'infermità volgeva in etisia, la condusse a Torino e la presentò a Don Bosco. Il Servo di Dio la benedisse dicendo alla madre:

                 - Questa vostra figlia, nel mese di maggio, riacquisterà la salute.

                E così fu: la figlia guarì ed entrò fra le suore Giuseppine di Torino. Questo fatto ci venne raccontato da Don Bartolomeo Marchisio, compaesano della giovane.

                Don Rua così descrive, nella Cronaca, la festa celebratasi il giorno dopo.

                “7 marzo, domenica. - Festa di S. Francesco di Sales, nella nuova Chiesa, essendo priore il Conte Viancino. Fu solennissima e passò con santa allegria di tutta la Comunità.

                Don Bosco confessò al mattino dalle 6 e1/2 fino alle 9, sotto il pulpito. Il Teol. Murialdo Leonardo venne a cantar la Messa e fare il panegirico, e Mons. Balma a dare la benedizione. Per questi personaggi ed alcuni altri fu ammanito un pranzo a parte.

                Fuvvi di singolare in questa festa che il Conte Viancino compiè una promessa per grazia ricevuta. Una settimana prima era venuto a raccomandarsi alle preghiere dell'Oratorio per poter fare l'esazione di un credito assai considerevole,  [562] che parevagli quasi perduto, promettendo la decima a Maria Ausiliatrice, se vi riusciva. All'indomani della promessa ricevè avviso di recarsi alla posta. Colà trova una lettera cortesissima del suo debitore, in cui era acclusa l'intiera somma dovuta per capitale, con tutti gli interessi che da qualche anno più non gli venivano pagati, e tutto ciò accompagnato da espressioni della più sincera amicizia e gratitudine”.

                Dopo pranzo alle 2 e ½ circa, si raccolsero i giovani nello studio preparato con addobbi per festeggiare l'arrivo di Don Bosco. Stava alla destra del nostro buon padre Mons. Balma, alla sinistra alcuni sacerdoti della casa e forastieri, D. Picco, D. Pechenino e varii chierici. Alla destra di Mons. Balma, il Baron Bianco di Barbania, il Conte Viancino ed altri personaggi illustri. L'accademia durò un'ora e mezzo. Si cantò l'inno messo in musica da Don Cagliero, accompagnato dalla banda; si lessero varie composizioni analoghe in prosa ed in poesia, in piemontese ed in italiano, si recitò qualche dialogo, e Gastini cantò le sue ballate. Sei giovanetti, vestiti alla calabrese, cantarono la canzone napoletana Nuia portammo la musica bella, che riuscì piacevolissima.

                Don Bosco, dopo la lettura delle composizioni, parlò: - Tutto quello che avete espresso non appartiene a me, ma qui a Mons. Balma e agli altri benefattori. Io dovrei essere l'ultimo, poichè sono essi che concorsero colle loro elemosine, ed intervenendo colla loro presenza resero più bella questa festa. Io vi ringrazio delle preghiere che avete fatte durante la mia assenza, le quali furono esaudite e per cui si sono ottenuti molti favori, come vi dirò poi. Adesso ringraziamo, e molto, il Signore Gesù Sacramentato.

                Quindi si andò in Chiesa per i vespri solenni, cantati dai giovani. Il Maestro Beatrice cantò l'Ave Maria prima della benedizione.

                Alla sera, lotteria ed illuminazione. Su tutte le finestre interne della casa e sui poggiuoli brillavano lumi disposti a disegno e formanti iscrizioni in onore di S. Francesco di Sales [563] e per l'arrivo di Don Bosco. Le preghiere furono dette nello studio.

                Quella sera D. Bosco parlò ai membri della Congregazione radunati nel refettorio, ove convennero eziandio coloro che aspiravano ad appartenere alla Pia Società di S. Francesco di Sales. Non mancavano i Direttori delle altre case con Don Pestarino di Mornese. Di questa conferenza, della quale abbiamo già fatto cenno, possediamo vari riassunti. Secondo il più diffuso Don Bosco esordì così:

 

                È vostro vivo desiderio in questo momento sapere l'esito del mio viaggio a Roma e che cosa siasi conchiuso intorno alla nostra Società. E ancor io provo un gran piacere nel narravi l'esito delle mie fatiche, perchè si vede in modo palese che il Signore voleva che le nostre cose si stabilissero in modo sicuro. Questo viaggio mi fu favorevole oltre ogni mia aspettazione.

                Tutti sapete che questa nostra Casa, o meglio questa nostra Società, finora andava avanti così senza avere un fondamento sicuro di sua esistenza: aveva regole, ma non essendo approvate si restringevano a legare individui attorno ad una persona per uno scopo determinato. E quindi, morto Don Bosco, poteva forse anche morire la sua Società. Fin dall'anno 1864 la Società fu lodata, e Don Bosco ne era stato costituito capo, ma nulla di più; poi nel 1867 fu da parecchi Vescovi commendata e raccomandata. Ma ora si trattava di venire ad una conclusione definitiva, o di approvazione, o di scioglimento. La vita nostra era precaria. E ad ogni occasione i Vescovi potevano richiamare i loro chierici, perchè soggetti alla loro giurisdizione; ed allora la Società restava sciolta di fatto. Perciò era d'uopo che i membri fossero quindi liberi e affrancati dalla giurisdizione Vescovile. Perciò pensai di andare a Roma. Si frapponevano immensi ostacoli. Il Consiglio diocesano richiesto di un modulo, che salvasse ad un tempo l'autorità vescovile e l'esistenza della Società, aveva lasciata la cosa in ponte. Molti Vescovi ed altre persone, per altro piissime e di più a me favorevoli, mi voleano persuadere essere inutile la mia andata, perchè non sarei riuscito a far approvare le mie regole e per conseguenza la Società; tanto più che a Roma si doveva pensare al concilio ecumenico. Adducevano gran numero di ragioni e di insuperabili difficoltà. Da Roma mi scrivevano e mi davano anche avvisi, coi quali mi si assicurava essere cosa affatto inutile e tempo perduto l'andare a Roma, perchè non avrebbero mai concesso ciò che dimandava, ed essere impossibile l'approvazione delle Regole.

                Io pensai allora: - Tutto mi è contrario, eppure il cuore mi dice [564] che, se vado a Roma, il Signore nelle mani del quale sta il cuor degli uomini, mi vorrà aiutare. Dunque andrò a Roma! - E pieno di fiducia partii. Era intimamente persuaso che la Madonna mi avrebbe aiutato e ogni cosa avrebbe disposto in mio favore; e niuno mi avrebbe tolta questa persuasione. Rispettava i consigli dei miei amici, ma non voleva tralasciar di fare quanto pareami essermi suggerito dal Signore. Partii adunque confidando unicamente nel Signore e nella Madonna.

 

                Passò quindi a descrivere, fra la viva attenzione di tutto l'uditorio, quanto noi abbiamo narrato nei capitoli precedenti sulle pratiche da lui aperte per ottenere le sospirata approvazione. Enumerò le difficoltà incontrate, che sembravano insuperabili; palesò e descrisse l'intervento della Madonna Santissima nel persuadere que' Prelati che opinavano di non poter acconsentire a certe domande; disse come un tale intervento valse più di qualunque ragione; ricordò il paterno affetto col quale il Papa lo accolse; ringraziò Iddio dell'approvazione concessa dalla Chiesa alla Pia Società; specificò i favori e le indulgenze elargite dal Sommo Pontefice; e facendo notare l'importanza del decreto del 1° marzo osservava:

 

                Il S. Padre approvò adunque la Congregazione non solo secondo la mia aspettazione, ma, posso ben dire che se sperava come uno, ottenni come dieci. Ecco il risultato principale:

                1° La Società di S. Francesco di Sales è definitivamente approvata.

                2° I giovani, entrati prima dei quattordici anni nel Collegio di Torino, o negli altri dipendenti dal Superiore della Società di S. Francesco di Sales, sono sottratti alla giurisdizione vescovile, e il Superiore Generale potrà dar loro le dimissorie. Per costoro non abbiamo dunque più bisogno di chiedere la licenza dai Vescovi per poterli ordinare. I giovani poi che entrano dopo i quattordici anni e che appartengono alla Società, dietro lista spedita a Roma, saranno muniti

                delle dimissorie della S. Sede.

                3° Si potranno ordinare senza necessità di patrimonio, ma solo titulo mensae communis.

                Intanto vi dico aver ferma speranza, che la legge sui chierici non passerà, e che Maria Ausiliatrice ci aiuterà.

                Vi sono altre cose che saranno spiegate in appresso .....

                Quello che ha di particolare la nostra Società si è che si può adattare a qualunque forma di governo, sia repubblicano, o monarchico [565] assoluto, o costituzionale; poichè i suoi membri in faccia alla società civile sono considerati come liberi cittadini, e possono possedere e disporre per testamento.

 

                Scese in seguito (secondo altre memorie) a narrare distesamente della casa a noi assicurata sul Quirinale, dietro suggerimento di Stia Santità, per fondarvi uno studentato, e, ringraziando il Signore, soggiungeva:

 

                Io ebbi poi due lunghissime conferenze col S. Padre Pio IX ed in queste mi diede molti consigli da riferirvi e che disse essere di somma importanza. Io me li sono notati, e ve li esporrò poco per volta. Si mostrò molto benevolo verso di noi, poichè egli, come sempre, fu ed era favorevolissimo per l'approvazione della Pia Società.

                Egli mi disse adunque:

                In I° luogo: estote prudentes sicut serpentes et simplices sicut columbae. Nello spirito e nell'unione osservate e imitate i Gesuiti. Essi in primo luogo non manifestano a nessuno ciò che riguarda l'ordinamento e l'andamento interno delle loro case. Quindi non danno appiglio alla gente di metter lingua nei loro affari Chi è che possa dire ciò che i Gesuiti fanno, trattano, dispongono nelle loro Case? Così voi parlate della vostra Società meno che potete; se siete interrogati, poche parole e poi cambiate argomento; e dovendone parlare, ditene sempre bene. Nessuno conosca ciò che fate nell'interno: chi vada, chi venga, quali ordini diano i Superiori, se vi saranno cambiamenti di personale, e via discorrendo. Tenete celati tutti i difetti della Comunità. Se qualche cosa avvenga che possa in qualche modo macchiare o diminuire il nome o la riputazione della Società, fate che rimanga sepolta ad ogni estraneo.

                In 2° luogo non sentirete mai un Padre della Compagnia parlare meno favorevolmente di uno dei loro. Anzi è sempre con grandi elogi che rispondono a chi entra con loro in discorso di qualsivoglia loro confratello. La carità è ingegnosa nel trovar sempre argomento di lode. Allo stesso modo sanno sostenere e far conoscere i pregi di quanto fra loro si dà alle stampe o, comunque sia, operasi a vantaggio della Chiesa, dei popoli, delle missioni, e della gioventù: uno per tutti e tutti per uno, ecco la loro insegna. Così voi difendetevi a vicenda in ogni circostanza: non si palesino le miserie di un membro della Società, per quanti difetti egli abbia. Ogni membro sia disposto a sacrificare se stesso per salvare il corpo: e a vicenda animatevi al bene.

                In 3° luogo ricordate che non il numero fa una Casa, ma lo spirito. Vi sia un solo spirito per raggiungere un unico fine; quindi vi sarà Società, quando siate anche due o tre soltanto, ma questi buoni.  [566] I molti e cattivi imbrogliano. Guardatevi dal ricevere con troppa facilità un individuo senza averlo ben provato nella vostra Società. Bricchetti alla prova. Chi vuole entrare nella Società si metta primo a qualche cimento per vedere se regge. Se lo vedeste dubbioso, non lo ricevete.

                In 4° luogo la vostra Congregazione fiorirà se si osserveranno le regole, fino a che non vi entreranno dei nobili, o dei ricchi, perchè con essi incominceranno ad introdursi le agiatezze, le parzialità e quindi la rilassatezza.

                Procurate di attenervi sempre ai poveri figli del popolo. Non fallite il vostro scopo primiero e la vostra società l'abbia sempre sott'occhio: non aspiri a cose maggiori. Meglio far bene su queste sue prime basi, che optime, in un'altra sfera che non è la sua. Educate i giovani poveri, non mai abbiate collegi pei ricchi e pei nobili. Intanto che vi occuperete della gioventù povera e degli orfanelli, sempre collo scopo di dare membri al clero, la vostra Società andrà avanti bene; ma se vi occuperete per metter su collegi ed istituti di nobili, allora la Società degenererà. Tenete le modiche pensioni. Non accrescetele mai. Non prendete ad amministrare case ricche. State celati, nascondetevi per non essere veduti. Se educherete i poveri, se sarete poveri, se non farete chiasso, nessuno avrà invidia di voi, nessuno vi cercherà, vi lasceranno tranquilli e farete del bene. Tutti i collegi colpiti oggigiorno, lo furono perchè, parlando molto di loro, accesero gelosia. Fate parlare di voi il meno che sia possibile: e poi se starete alle vostre Regole, non mancherete a questa prudenza.

                5° Se qualcheduno possiede qualche ricchezza, ritocchi il suo testamento tutti gli anni, e il Superiore sappia colui che si vuol lasciare crede, poichè possa anch'esso disporre. Così sarete cautelati e non sorgeranno contestazioni o perdite. Principalmente quando i beni son lasciati all'individuo, per la casa.

                Il Santo Pontefice mi diceva eziandio:

                 - Io stimo che sia in condizione migliore una Casa religiosa dove si prega poco, ma si lavora molto, di un'altra nella quale si facciano molte preghiere e si lavori niente o poco.

                E mi raccomandò che si guardasse bene dall'affidare a' religiosi giovani la cura delle sacrestie nelle Chiese pubbliche, perchè diceva che quivi si mena regolarmente una vita oziosa, che vi si trovano più pericoli di quello che non si creda, e che l'esperienza insegna essere ciò causa di lagrimevoli cadute.

                Il Papa finì coll'incoraggiarci ad andare avanti per guadagnare anime al Signore. Egli era sommamente commosso per le meraviglie che Dio operava in nostro favore e delle grazie che spandeva su di noi. Ed è perciò che il suo Vicario ci accompagna colle sue benedizioni.

 

                Don Bosco chiudeva la conferenza così:  [567] Ecco in breve il motivo per cui sono andato a Roma e in generale ciò che ho fatto colà. Abbiamo ottenuto esenzioni e privilegi, ma noi saremo sempre obbedientissimi ai Vescovi ed ai parroci, e non ci serviremo delle nostre facoltà, se non esauriti tutti gli altri mezzi, anche di umile deferenza. Del resto siane di cuore ringraziato Iddio e faccia ora che la Congregazione nostra si purifichi nel suo intero corpo e nei suoi membri e che possa apportare degni frutti a sua gloria e al bene delle anime. In questo modo ci faremo amare, e nel nome del Signore opereremo grandi cose.

 

                Ciò detto, Don Bosco scioglieva l'assemblea. Gli avvisi di Pio IX furono più volte da lui ripetuti e spiegati, in privato e nelle Conferenze. Il domani i Direttori si congedavano dal caro padre, recando seco i fioretti per la novena di S. Giuseppe.

 

                Fioretti per la novena di S. Giuseppe - marzo 1869.

 

                1° Patire, ed anche morire, ma non peccare.

                2° Le ricchezze, gli onori, i piaceri, che mi serviranno al punto di morte?

                3 ° Tardi o tosto mi dovrò presentare al tribunale di Dio.

                4° È una pazzia cercare la felicità lontano da Dio.

                5° Oh quanto sarà lunga l'eternità.

                6° Come si vive, così si muore.

                7° Dio non abbandona il giovane virtuoso.

                8° Che dolce piacere riposare in pace con Dio.

                9° O Paradiso, quanto devi essere bello! Voglio guadagnarti.

                10° In onore di S. Giuseppe, non macchierò giammai la mia lingua con parole indecenti.

 

 

                Il Cav. Oreglia il giorno dopo scriveva alla Presidente Galleffi :

 

                Nell'Oratorio paiono diventati tutti matti. Chi canta, chi suona, chi grida, tutti così allegri che più nessuno sta nella pelle. Neanche le campane stanno quiete un momento, per cui obblighiamo anche i lontani a rallegrarsi con noi. Don Bosco è arrivato e quindi non è più [568] possibile tener quieti, non solo i ragazzi, ma anche i grandi. Poche cose posso dirle in dettaglio: Lei capisce bene cosa possono fare 900 giovani che sono contenti. Se fosse qui, ne sarebbe assordata per un mese. Grazie a Dio, Don Bosco sta bene ed è allegro è contento anche lui... Già mi parlò di Lei... spero che sarà stata soddisfatta di Don Bosco, benchè certo egli non potè fare il millesimo di quanto fa Ella per noi... Ma ora si tratta di affari in grande. Bisogna proprio che si metta nell'impegno di vendere tanti libri, da procurarci i mezzi da fabbricare la casa in Roma...

 

                Qualche giorno dopo anche Don Bosco scriveva alla stessa religiosa :

 

 

                               Benemerita Signora Presidente,

 

                Sebbene il Cav. Oreglia ed altri le scrivano di quando in quando anche da parte mia, giudico però mio dovere di esprimerle in questo giorno almeno alcuni pensieri di gratitudine. Pertanto ringrazio Lei e, nella sua persona, ringrazio tutte le sue figlie religiose, della bontà e della carità usatami durante il mio soggiorno in Roma ed in tante altre occasioni.

                Io intendo di raccomandare ogni giorno nella Santa Messa Lei e tutte le sue figlie, affinchè Dio loro conceda il centuplo di quanto fanno per questi poveri giovanetti; la Santa Vergine poi pagherà a tutti la parte sua.

                Non mi fu più possibile di parlare al P. Ambrogio prima di partire da Roma, ma non ho mai mancato di raccomandarlo al Signore e far particolari preci per lui.

                Il Cav. Oreglia nella prossima settimana parte per Roma, onde prendere parte alla messa cinquantenaria del Santo Padre. Egli le parlerà di molte cose. Esso e D. Francesia si uniscono meco ad ossequiarla. Se vede mad. Merolli la riverisca da parte mia e le dica che io intendo di raccomandare Lei e le persone che ho vedute in sua casa alle preghiere che si fanno all'altare di Maria Ausiliatrice ogni giorno.

                Se poi vedesse la principessa Orsini, abbia la bontà di dirle che a nome di Maria Ausiliatrice si adoperi per la mia commissione.

                Alle Marchese Villarios, Vitelleschi, Calderari ecc. buone feste.

                Dio conceda a tutti il dono della perseveranza. Così sia.

 

                Torino, 25 marzo 69.

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

 

CAPO XLV. Parlata di Don Bosco ai giovani: Narra ciò che ha fatto a Roma: efficacia delle loro preghiere; stima che il Papa ha di loro: compra di una casa in Roma: benedizioni del Santo Padre, crocifissi indulgenziati e altre indulgenze. - Il Capitolo accetta nuovi socii. - Le prime dimissorie - Conferenza di Don Bosco ai Salesiani: Si osservi con esattezza il regolamento: questo segni in Congregazione unità di corpo, di spirito, di volere, e di obbedienza; non rompere mai questa unità: la visita quotidiana al SS. Sacramento.

 

                PRATICA costante di Don Bosco fu di interessare i suoi alunni per tutto ciò che si riferiva all'Oratorio. Egli desiderava che lo considerassero come casa propria; e perciò li teneva informati di quanto lo riguardava e credeva conveniente che essi conoscessero. Costituita la Pia Società di S. Francesco di Sales, continuò a fare altrettanto: egli voleva che per molti alunni divenisse l'ideale della vita cristiana, lo scopo dei loro studii, il porto sicuro della loro vocazione, la partecipazione alle opere e ai gloriosi destini promessi dalla Madonna.

                Pertanto l'8 di marzo, lunedì, dopo le orazioni della sera egli si recò a parlare a tutti i giovani della casa, studenti ed artigiani, raccolti nello studio ed espose il motivo per cui era andato a Roma, dicendo che l'Oratorio non è sostenuto dall'aria, ma che esiste una Congregazione la quale ne è il sostegno. [570] E proseguì:

 

                Andai a Roma contro il parere di tutti. Di qui mi dicevano che era inutile andare, che avrei fatto niente: di là si ripeteva che avrei fatto il viaggio, rimanendo a mani vuote. Ma io mi sentiva stimolato ad andarvi, desiderando vivamente l'approvazione della nostra Pia Società; e quei medesimi che mi sconsigliavano da quell'andata, furono quelli che mi aiutarono, acciocchè fosse definitivamente approvata. Ora dunque la nostra Società è definitivamente approvata dal Papa. Le vostre preghiere furono esaudite, il Signore mutò in un momento il cuore di tutti e dispose di più che quei tali avessero bisogno di Don Bosco. D. Francesia vi racconterà domani a sera il fatto. Si ottenne insomma dalla Madonna, per mezzo della preghiera, ciò che si desiderava.

                La Congregazione fu approvata colle dimissorie: cioè a dire che un giovane il quale voglia appartenere a questa Congregazione, purchè sia entrato nelle nostre case prima dei quattordici anni, può farsi prete anche senza patrimonio.

                Il Santo Padre crede che siate tanti S. Luigi, sì buona è l'opinione che ha di voi. Io gli rispondeva di sì, che eravate tutti altrettanti San Luigi, ma sotto il mantello colle dita facevo le cornette. Egli però non vedeva.

                 - Io spero di vederne qualcheduno dei vostri figliuoli, mi diceva il Santo Padre, e, se non potrò vederli in questo mondo, li vedrò poi in paradiso, dove da qui a poco tempo spero di andare.

                Ed io a lui: - Santo Padre, abbiamo ancora tante cose da fare prima di andare in paradiso!

                Altra cosa che debbo dirvi si è che subito dopo l'approvazione della nostra Società, il Santo Padre mi suggerì di comperare una casa in Roma, ed io che voleva appunto esporgli questo disegno, gli dissi:

                 - Non sa che mi ha cavato la parola di bocca?

                 - Ebbene si vede che il Signore ci ha ispirati. Andate subito a vedere nel tal sito.

                Andai, si parlò, si contrattò, si conchiuse, la casa è nostra e si può dire pagata. E volete che ve lo dica? Sono venuto a casa non senza quattrini: se ieri abbiamo fatto una bella festa, sono i quattrini che ho portato, i quali vi hanno contribuito.

                Il Santo Padre mi lasciò di dirvi queste parole: - Dominus vos benedicat et dirigat vos in semitis suis. - Concesse poi trecento giorni d'indulgenza ogni volta che si dice: - Maria, Auxilium Christianorum, ora pro nobis.

                Ho portato in giù un pacchetto di croci per distribuirne una caduno ed hanno i medesimi privilegi dell'altra volta, cioè quattrocento giorni d'indulgenza ogni volta che si baciano o si danno a baciare; ed uno che la baci tutti i giorni acquista alla fine del mese l'indulgenza plenaria; similmente dandola a baciare in articulo mortis. [571] Il Papa inoltre concesse indulgenze per i divoti di Maria Ausiliatrice che vedrete poi, ed altre che saprete man mano che arriveranno.

                Intanto continuate a pregare per me, che io pregherò anche per voi. Sono contento che, in generale, durante questa mia assenza vi siete regolati bene.

                So che si è pregato molto, non solo qui, ma in tutte le case nostre, a Lanzo, a Mirabello; e si continua ancora. Ringraziamo il Signore dal quale si ottennero tanti benefizii. È stato questo veramente un miracolo, e questo portento lo hanno ottenuto le vostre preghiere. Il Signore, che è così buono, non ha potuto resistere alle vostre suppliche. Ringraziamolo adunque con tenerezza figliale, perchè Egli è che ci concesse tutto.

                Là a Roma metteremo uno studentato con preti, e chierici; e sotto la loro direzione anche giovani che vogliano diventar dotti. Manderemo i migliori per condotta e studio.

                Ancora una cosa.

                Il Santo Padre mi consigliò di dirvi che chiunque ha sostanze, faccia presto testamento, per non aver poi più da pensarvi e disturbarsi in punto di morte (risa generati). Buona notte!

 

                L'8 e il 9 marzo Don Bosco radunò il Capitolo per esaminare la nota dei membri della Società e vedere se vi fossero altri da proporre per la medesima; e infatti parecchi furono accettati alla prova. Il giorno 8 fu memorabile, perchè Don Bosco spedì la prima dimissoria pel ch. Giuseppe Monateri del Collegio di Mirabello.

                L'11 marzo, giovedì, il Venerabile dopo le orazioni della sera radunò nel refettorio dei chierici tutti i membri della Società, professi e aspiranti, ai quali - come rileviamo dalle nostre memorie - così parlò.

 

                Domenica sera abbiamo veduto quale sia stato l'esito del viaggio a Roma e come sia stata definitivamente approvata dalla Chiesa la nostra Società col privilegio delle dimissorie.

                Ora mi gode l'animo di annunziarvi che due dei nostri confratelli potranno ben presto approfittarsi dei favori a noi concessi dalla Santa Sede, e si presenteranno alle Ordinazioni senza altro titolo che di appartenere alla Società di S. Francesco di Sales. Sono Monateri Giuseppe e Croserio Augusto. Ringraziamo il Signore che si voglia servire di noi, come di strumenti per procurare la sua gloria e la salute delle anime. E certamente un segno della sua speciale dilezione l'abbiamo in questo, che mai nessuno dei nostri chierici ha dovuto interrompere [572] i suoi studi, differire la vestizione chiericale o le Sacre Ordinazioni per mancanza di mezzi materiali. La Provvidenza si è sempre mostrata in ciò in modo meraviglioso. Questo ci è un pegno che vie maggiormente ci assisterà ora che veramente ci siamo offerti anima e corpo a Lui.

                Perciò ora è bene che veniamo a poco a poco spiegando le cose necessarie a farsi ed a sistemarle con regole.

                Come ognuno di voi 'sa, finora la nostra società non aveva Regole ben determinate. Andavamo avanti, senza aver bene precisati i nostri obblighi. Non essendovi ancora approvazione da parte della Chiesa, la Società era come in aria e poteva da un giorno all'altro rovinare; stavamo in forse, se questa nostra casa fosse per seguitare nel suo scopo, o potesse esser chiusa senza più, e quindi non potendosi stabilire nulla di certo, era inevitabile un po' di rilassatezza. Miei cari, in questo momento la cosa non è più così. La nostra Congregazione è approvata: siamo vincolati gli uni cogli altri. Io sono legato a voi, voi siete legati a me, e tutti insieme siamo legati a Dio. La Chiesa ha parlato, Dio ha accettato i nostri servigi, noi siamo tenuti ad osservare le nostre promesse. Non siamo più persone private, ma formiamo, una Società, un corpo visibile; godiamo dei privilegi: tutto il mondo ci osserva e la Chiesa ha diritto all'opera nostra. Bisogna dunque che d'ora innanzi ogni parte del nostro regolamento sia eseguita puntualmente. Non voglio già che tutto ad un tratto cambiamo faccia all'Oratorio; questo produrrebbe disordini e dall'altra parte sarebbe impossibile. Una cosa dopo l'altra, procureremo di fare tutto. Son molte cose da stabilire e da rifare, perciò ho bisogno di parlarvi più di frequente per venirvele spiegando. Questa sera vi dico poche cose, ma da ritenersi, perchè sono come le basi della nostra Società. Noi siamo quelli che dobbiamo fondare questi principi su ferme basi, affinchè quei che verranno dopo, non abbiano che a seguirci. Ricordiamoci sempre che noi abbiamo eletto di vivere in Società. O quam bonum et quam jucundum habitare fratres in unum, esclamava il santo Profeta David, divinamente inspirato, parlando delle Congregazioni religiose. Oh come è bello e dolce cosa il vivere come fratelli in società. È bello il vivere uniti col vincolo di un amore fratellevole, confortandosi a vicenda nella prosperità e nelle strettezze, nel contento e nelle afflizioni, prestandosi mutuo soccorso di opere e di consiglio; è bello vivere liberi da ogni terreno impaccio, camminando diritto verso il cielo sotto la guida del Superiore. Ma se vogliamo che questi beni ci derivino dalla nostra Società, è d'uopo che ad essa abbiamo sempre rivolto il nostro sguardo, perchè viva e prosperi. O quam jucundum... E perchè sia cosa dolce questo abitare insieme, bisogna togliere ogni invidia, ogni gelosia: bisogna amarci come fratelli, sopportarci gli uni gli altri, aiutarci, soccorrerci, stimarci, compatirci. Ciascuno deve guardarsi attentamente dal dir male della Congregazione, anzi deve [573] procurare di farla stimare da tutti. Noi abbiamo scelto di abitare in unum. Che cosa vuol dire questo abitare in unum? Vuol dire in unum locum, in unum spiritum, in unum agendi finem. Eccolo in poche parole.

                Dobbiamo prima di tutto, ed è questa la prima condizione di una Società religiosa, abitare in unum di corpo.

                Una congregazione religiosa deve, come un corpo umano constare del capo e delle membra, le une subordinate alle altre, tutte poi subordinate al capo. Supponete che si esponga un capo spiccato dal busto; è vero che questo capo sarà bello e artistico; ma da sè senza il busto è una cosa mostruosa. Così io non posso fare senza di voi che forniate il corpo. Così le membra non possono stare senza il capo. Un sol capo si richiede, poichè essendo come un corpo, se a questo corpo si sovrappongono due o più teste, egli diventa un mostro e non vi è più uniformità. Adunque un sol capo colle sue membra corrispondenti. Le membra poi subalterne al capo, le une devono avere un officio proprio differente da quello delle altre, ciascuno compiere diverse funzioni secondo la diversa sua condizione. Così per es. se le braccia dicessero: - Noi vogliamo fare da noi: vogliamo fare quello che piace a noi; vogliamo fare da testa: - farebbero ridere. Così se lo stomaco dicesse; - Io voglio camminare: - Ma no, gli si risponderebbe; tu per mezzo della bocca devi ricevere il cibo che ti porgono le mani. - Così le gambe: - Noi vogliamo mangiare! - Ma no; voi dovete portare il corpo da un luogo all'altro. - Perchè una Società come la nostra prosperi è necessario che sia bene organizzata; vi sia cioè chi comandi e chi obbedisca, chi faccia una cosa e chi ne faccia un'altra secondo la propria capacità. Nè chi ubbidisce deve invidiare la sorte di chi comanda; nè chi lavora, la sorte di chi studia, o simili; perchè tanto gli uni come gli altri sono necessarii, ed ove tutti studiassero, tutti comandassero, non vi potrebbe più esistere varietà. Supponete che nel corpo vi fosse tutto occhio, o tutto orecchie, o tutto mani ecc. vi sarebbe ancora un corpo vivente? No, ma un mostro, Se tutto il corpo fosse piedi, chi gli servirebbe di guida? Siccome adunque ogni membro deve avere il suo ufficio che gli è proprio, così ciascheduno individuo della Congregazione deve fare quel che gli vien comandato e non altro.

                Quindi nella nostra Società vi deve essere chi predica, chi confessa, chi studia, chi insegna, chi provvede ai bisogni materiali e chi ai morali. Ciò posto, si richiede obbedienza al Capo, che metterà uno ad un officio e l'altro ad un altro. E questo è come il perno su cui si regge tutta la nostra Società, perchè se manca l'obbedienza, tutto sarà disordine. Se invece regna l'obbedienza, allora si formerà un corpo solo e un'anima sola per amare e servire il Signore.

                Quindi ciascuno sia obbediente; nessuno pensi di fare questo, di fare quello. Nessuno dica: - Io vorrei aver questo o quell'altro impiego;  [574] ma stia pronto a compiere qualunque parte gli sia affidata, stia, dove il Superiore lo colloca, ad attendere esattamente al suo officio; ognuno di voi badi bene di avvezzarsi a vedere nella volontà del Superiore la volontà di Dio. Ciascuno si occupi e lavori quanto lo permette la sanità propria e capacità. Uno riuscirà un buon predicatore, e costui faccia bene e con zelo il suo uffizio; un altro buon professore o maestro, e costui faccia scuola e insegni. Un altro buon spenditore, e costui spenda: per contrario un altro potrà fare il buon cuoco, ebbene si eserciti nella sua professione: un altro lo scopatore, ed anche egli compia il suo dovere. Alcuno talvolta dirà di perdere il suo tempo ad esercitare quell'ufficio, di non esser quella la sua inclinazione, di sentirsi di far più bene altrove. No; ciascuno si assoggetti a ciò che gli si affida, disimpegni quell'affare, e poi vada avanti tranquillo. E il frutto? Il frutto, ecco la grande utilità del vivere in comune, il frutto è sempre eguale per tutti, tanto per uno che esercita un uffizio alto, come per colui che esercita il più umile: cosicchè tanto avrà di merito colui che predica, colui che confessa, che insegna, che studia, come colui che lavora in cucina, lava i piatti, o che scopa. Nella Società il bene di uno resta diviso fra tutti, come anche il male in certo qual modo resta male di tutti. Perciò qualunque impiego uno abbia, lo adempia. Ciascuno avanti a Dio avrà eguale il merito per l'obbedienza. Ma notate: se si fa il bene, si ha il merito eguale innanzi a Dio; se si fa il male, tutta la Congregazione ne perde. Si lavora in comune e si gode in comune. Dunque vi sia unità di corpo.

                In secondo luogo vi deve essere unità di spirito e di volere. Qual è lo spirito che deve animare questo corpo? Miei cari, è la carità. Vi sia carità nel tollerarci e correggerci gli uni gli altri; mai lagnarci l'uno dell'altro; carità nel sostenerci: carità specialmente nel mai sparlare dei membri del corpo. Questa è una cosa essenzialissima alla nostra Società; perchè se vogliamo fare del bene nel mondo è d'uopo che siamo uniti fra noi e godiamo l'altrui riputazione. Questo sarebbe il più gran male che possa essere nella Società. Quindi mai più si vedano di quei crocchi di chierici e di altre persone che tagliano i panni addosso a questo o a quello; tanto più poi quando questo si faccia contro qualche superiore. Difendiamoci a vicenda: crediamo nostro l'onore ed il bene della Società: ed abbiamo per fermo che non è un buon membro quello che non è disposto a sacrificare se stesso per salvare il corpo.

                Ciascuno sia sempre pronto a dividere il suo piacere col piacere degli altri, ed anche sia disposto ad assumersi la parte di dolore di un altro; di maniera che se uno ricevesse un gran favore, e questo sia anche di contento per i suoi confratelli. Sarà uno afflitto? Studino i suoi confratelli di alleviargli le pene. Quando poi alcuno venisse a trascorrere in qualche mancanza, costui si corregga, si compatisca, ma non si disprezzi mai alcuno per difetti, o fisici, o morali. Amiamoci sempre come veri fratelli, perocchè fratres dice Davidde. [575] Finalmente vi deve essere unità di ubbidienza. In ogni corpo vi deve essere una mente che regga i suoi movimenti, e tanto più attivo ed operoso sarà il corpo, quanto più le membra sono pronte ad ogni suo cenno. Così nella nostra Società sarà necessario che alcuno comandi e tutti gli altri ubbidiscano. Accadrà talvolta che chi comanda sia il meno degno: si dovrà perciò negargli ubbidienza? So, perchè così facendo il corpo resta disorganizzato, e però inatto ad ogni operazione. Si abbia sempre presente che il Superiore è il rappresentante di Dio, e chi ubbidisce a Lui, ubbidisce a Dio medesimo. Che importa ch'egli sia in molte cose inferiore a me? Sarà più meritoria la mia sommissione. D'altra parte si pensi che il comandare è un peso enorme, e quel povero superiore ben volentieri se ne sgraverebbe, qualora non l'obbligasse a ritenerlo il vostro bene medesimo. Per la qual cosa procurate d'alleggerirglielo col mostrarvi pronti all'ubbidienza e sopratutto accettate di buon animo qualunque suo comando ed ammonizione, perchè egli fa uno sforzo per comandarvi: e quando vedesse che le sue parole vi sdegnano e vi inquietano, forse non oserebbe ammonirvi altre volte, e allora il male sarebbe vostro e suo. Se noi, considerandoci come membri di questo corpo, che è la nostra Società, ci acconceremo a qualunque funzione ci tocchi fare, se questo corpo sarà animato dallo spirito di carità, e guidato dall'ubbidienza, avrà in sè il principio della propria sussistenza, e l'energia a operare grandi cose a gloria di Dio, al bene del prossimo, ed a salute dei suoi membri.

                Non vuolsi però con ciò intendere che uno sia obbligato ad indossare pesi che non possa portare. Ciascheduno, quando non si sentisse di fare quel tale uffizio che gli è stato affidato, ne parli e gli sarà tolto. Quello solo che si richiede si è che ognuno sia disposto a fare ciò che può quando gli venisse imposto, dimodochè se anche un prete fosse in necessità di lavare i piatti, lo faccia, tanto più che abbiamo qui l'esempio di parecchi che lasciarono di fare scuola per lavorare in cucina.

                Dobbiamo eziandio avere sempre di mira lo scopo della Società, che è l'educazione morale e scientifica dei poveri giovani abbandonati, con quei mezzi che la Divina Provvidenza ci manda.

                Inoltre, ricordando il paragone del corpo, se il capo deve dirigere tutte le membra, vi sono alcune membra che subordinatamente al capo presiedono, e dirigono i movimenti e gli uffizi di altre membra. Qui intendo di dire come questa Società consti di un Capitolo Superiore, i cui membri tengono le veci di Don Bosco, e ai quali si deve obbedire come allo stesso Don Bosco.

                E, affinchè ognuno sappia come regolarsi, è necessario che si conosca anche chi sono coloro a cui egli deve obbedire. Prefetto s'intende che è Don Rua: Direttore Spirituale dei chierici Don Cagliero, Direttore per le cose scientifiche Don Francesia e così gli altri che già si conoscono. In questo modo si viene a formare l'unum. [576] Ora che prende piede la nostra Congregazione, è necessario che sovente ci raduniamo per spiegare le cose più essenziali, e poi le altre di mano in mano che avremo tempo. I privilegi poi concessi alla nostra Congregazione possono già fin d'ora giovarci, e fra pochi giorni manderemo due degli addetti a prendere gli ordini con nessun altro titolo, se non quello di membri della Società di S. Francesco di Sales.

                Questo in generale; in particolare vi do due consigli. Si guardi bene dal rompere questa unità. Ho già osservato una cosa che non mi fa troppo piacere. Questa cosa è il vedere come vi siano sempre quei due, tre, quattro, o cinque confratelli là riuniti insieme, sempre gli stessi e quasi sempre separati dagli altri. Non so che cosa facciano; non voglio dubitar male, col dire che parlino meno bene, s'intende secondo il nostro scopo. Che cosa è questo far corpo a parte? Aver forse interessi diversi da quelli dei compagni? Dunque desidero, e voi procurate di tenervi sempre in mezzo ai giovani in tempo di ricreazione, discorrere, divertirvi con loro, dar dei buoni consigli. Vigilanza. Quando non potete intrattenervi nei loro divertimenti, almeno assisteteli, girate le parti più remote della casa e procurate di impedire il male. Non potete credere il bene che si può fare col salire una scala, passare per un corridoio, fare un giro di qua e di là per il cortile.

                In secondo luogo si abbia cura di far sempre tutti i giorni quella visita al SS. Sacramento, che è prescritta dalle nostre regole. Così, santificando prima noi stessi, procureremo di santificare gli altri. Quante grazie riceverete per voi, per quelli che sono affidati alle vostre cure.

                Del resto sappiate che, d'ora in avanti, quando si avrà da mandare qualche chierico a prendere le ordinazioni, il Superiore è obbligato in coscienza a giudicare se l'individuo ha la pietà e la scienza voluta.

                In ultimo vi dirò essere necessario che confidiamo nella Divina Provvidenza. Se pel passato si andò avanti e non ci mancò niente, dalle prove del passato dobbiamo sperar bene per l'avvenire.

 

 

CAPO XLVI. Don Bosco è aspettato a Milano; suoi discorsi famigliari: grazie non ottenute da Maria per infedeltà di promesse, causa l'attacco al danaro - La Marchesa Radicali e il brindisi di Don Bosco a un pranzo diplomatico - Don Bosco a Mirabello; sogna quanto tempo ogni alunno avrà ancora di vita - Esercizii spirituali di giovani esterni dell'Oratorio in preparazione alla Pasqua - Due statue d'angioli in rame dorato collocate sui campanili della nuova Chiesa - Contratto per la costruzione dell'organo: generosità del fabbricante - Don Bosco scrive a Mons. Ricci per la spedizione del Breve delle indulgenze concesse alla Confraternita di Maria Ausiliatrice - Il Breve - Intercessione efficace di Domenico Savio presso il Signore.

 

                IL Venerabile era appena rientrato nell'Oratorio, e il sig. Giuseppe Guenzati scrivevagli ch'era aspettato a Milano, poichè l'aveva promesso.

                Ai chierici rincrescevano le sue assenze continue, poichè, quando lo vedevano in libertà, volentieri gli facevano corona per ascoltare le sue parole. Il 13 marzo, sabato, dopo le confessioni, mentre cenava raccontò come fosse morta una persona, e perchè non fosse stata esaudita la novena colla quale era stata raccomandata alla Madonna:

                 - Io andai, diceva, le diedi la benedizione e dissi ai famigliari che facessero una novena a Maria SS. Ausiliatrice.

                L'inferma era da più giorni in agonia e quei di casa mi promisero [578] tremila franchi per l'Oratorio. Ed ecco che l'ammalata incominciò subito a star meglio e a mangiar la minestra. Ciò visto i parenti dissero che avrebbero mandato più solamente 500 franchi; ma l'ammalata ritornò come prima in pericolo di morte. Promisero per la seconda volta che avrebbero offerto quei 3000 franchi e l'inferma migliorò con speranza di piena guarigione. Ma i parenti, quando videro compiti i loro desiderii, mandarono a dire a Don Bosco: - Le offriamo le 3000 lire, ma solamente mille per Don Bosco. Le altre due mila vogliamo siano divise fra il danaro di S. Pietro e la tale opera di carità. - E l'inferma peggiorò di nuovo.

                 - Ed ora è morta! - soggiunse il cavaliere Oreglia che era presente.

                Questa narrazione ricordò un altro fatto avvenuto qualche anno prima.

                L'amore al danaro è più radicato nel cuore dei Signori che in quello dei poveri. Una signora di 80 anni, ricchissima, inferma, già confortata coi Sacramenti, piena di spavento nel vedersi vicina la morte, mandò a chiamare Don Bosco, chiedendogli con vive istanze la grazia della guarigione. - Sì, rispose Don Bosco, la Madonna le farà la grazia, purchè lei si disponga a fare una generosa offerta alla Chiesa, che si costruisce in suo onore in Valdocco.

                 - E qual somma io debbo offerire?

                 - Quella che vuole: veda lei. Io non posso fissarle l'offerta. Dia una somma che, senza suo grave incomodo, sia realmente proporzionata alle sue sostanze, e in modo che possa aver nome di sacrifizio.

                 - Mi suggerisca lei.

                 - Le ripeto ciò che già le ho detto. Faccia che la Madonna conosca che lei fa un'offerta con amore e con disinteresse. Capisce bene che, in questo stato, non essendoci più nulla da sperare negli uomini, tutto si deve aspettare da Dio. Consideri la gravezza del suo male e la sua età tanto avanzata. [579] Pensi che essendo sul punto di dover lasciare il tutto e per sempre, per conservare questo tutto, si può sacrificare qualche cosa che abbia un certo valore non dispregevole.

                 - Ma io non saprei che cosa fare per la sua Chiesa.

                 - Giacchè vuole un consiglio, io le dirò che potrebbe incaricarsi della costruzione di un altare nelle cappelle laterali.

                 - E questo altare quanto costerebbe?

                 - Non saprei dirglielo con precisione. Dalle sei alle otto mila lire.

                 - Otto mila lire? Un po' troppo: io non posso.

                 - Io le ho detto ciò che mi pareva, perchè me lo ha chiesto. Io non conosco le sue finanze. Faccia quello che può. Dèsse anche solamente un soldo, se questa offerta è proporzionata alle sue sostanze, la Madonna le farà la grazia.

                 - Va bene: ci penserò.

                Don Bosco uscì da quella casa nauseato da tanta avarizia. Intanto la malattia della vecchia precipitava verso la fine ed ecco venire due suoi cugini a far visita a Don Bosco. L'inferma non aveva nè figli, nè nipoti, ai quali trasmettere l'eredità. Dopo i primi complimenti costoro vennero a concludere:

                 - Perdoni Don Bosco; la somma proposta di 8000 lire è un po' troppo forte.

                 - Come sarebbe a dire?

                 - Che lo preghiamo, a nome della Signora, a volerle fare la grazia per una somma minore... un po' più onesta.

                 - Buona gente! Son io che faccio la grazia, oppure è la Madonna? Io non propongo nulla: nè 8000 nè 100.000. Ho detto solamente una parola così per dire, dopo esserne stato pregato. Ma che cosa sono le otto e le cento mila lire per una ricca di quella sorta? E volete che la Madonna esaudisca un cuore così gretto, accordandole una grazia così portentosa? La Signora faccia come vuole! Io non c'entro più.

                 - Ma... ma... volevano ancora replicare gli inviati; e Don Bosco, con dolce fermezza, li congedò. [580] All'indomani quella Signora moriva per non sapersi risolvere: tanto era attaccata al danaro.

                Il 14 marzo era l'anniversario della nascita di Re Vittorio Emanuele. Citiamo questa data perchè Don Bosco in tal giorno, come in altre ricorrenze di feste patriottiche, si recava al pranzo diplomatico, imbandito dal Prefetto di Torino, il Conte Radicati. I commensali eran tutti uomini politici costituiti in dignità. Il Prefetto vi invitava il Servo di Dio per compiacere la piissima consorte, che, per somma disgrazia, era diventata cieca. Essa, delicatissima di coscienza, aggiungeva presso Don Bosco le sue istanze a quelle del marito, desiderosa di averlo a mensa, perchè colla sua presenza impedisse i discorsi contro la religione.

                Di questa nobile matrona, da tutti rispettata per la dignità de' modi, per la vasta istruzione e per la grande bontà, accenniamo un fatto che ne dipinge il carattere profondamente cristiano.

                Uno di questi grandi conviti doveva imbandirsi di venerdì, e la Contessa non voleva assolutamente che fosse servito di grasso. Il Conte andò a parlarne al sig. Durando prete della Missione, il quale lo consigliò a preparare vivande di grasso e di magro, sicchè ciascuno dei convitati si potesse servire a piacimento. La contessa, appena ebbe notizia di questa risposta, esclamò con energia: - No, non voglio che in mia casa si commettano peccati!

                Il Conte venne allora da Don Bosco, e questi gli disse non esservi altro partito che ricorrere al Papa: e, urgendo la cosa, egli stesso telegrafò. Da Roma fu risposto a Don Bosco: Permesso il grasso, purchè si annunzi ai convitati la licenza ottenuta. - La contessa, appena furono tutti intorno alla mensa, disse a un signore che le era vicino: - Legga di grazia, ad alta voce, questo telegramma. - E così fu fatto.

                Questa nobildonna, in tali grandi occasioni, voleva adunque Don Bosco, il quale regolavasi da perfetto gentiluomo, ed era ammirabile nel sapere stringere a sè anche le persone [581] di principi contrarii, senza mai dissimulare la verità. Tra gli invitati vi erano personaggi di tutti i partiti e colori; liberali, democratici, razionalisti, ed anche qualche cattolico. Una volta, giunto il pranzo ai brindisi, chi inneggiava all'Unità Italiana, chi alla libertà, chi a Cavour, chi al Re, chi a Garibaldi, ecc.

                In ultimo fu invitato anche Don Bosco a parlare, e il Servo di Dio si levò senza scomporsi, e alzando il bicchiere, disse:

                 - Porto il mio brindisi e grido: evviva a Sua Maestà Vittorio Emanuele, a Cavour, a Garibaldi, ai Ministri tutti, schierati sotto la bandiera del Papa, affinchè tutti possano salvarsi l'anima!

                Uno scoppio di applausi accolse fra la più grande ilarità le sue parole e da molti si ripeteva:

                 - Don Bosco non vuol proprio la morte di nessuno!

                A metà del mese egli mantenne la sua parola di recarsi a Mirabello. Il giovane Evasio Rabagliati, che era entrato in collegio l'8 gennaio, s'incontrò per la prima volta col Servo di Dio, e alla sera lo udì raccontare questo sogno.

                Aveva sognato, nella prima notte del suo arrivo, di trovarsi nella stanza degli esami e si vide venire innanzi due persone. Una, con una canna, teneva una lanterna e l'altra aveva un fascio di carte sotto il braccio. Lo invitarono a salire nelle camerate e ve lo accompagnarono. Si fermavano ai piedi d'ogni letto. L'una abbassava la lanterna perchè Don Bosco conoscesse la fisionomia del giovane dormiente e l'altra toglieva dal fascio un foglio e lo metteva sulla coperta del letto. Su questo foglio era scritto il numero degli anni che a ciascuno rimaneva di vita.

                Il racconto di questo sogno fece un'impressione immensa. Anche Rabagliati andò a chiedere a Don Bosco quanto gli rimanesse da vivere. Don Bosco sorrise e gli domandò: - Conosci l'aritmetica? - Sì, e colle dita della mano gli fece contare e sottrarre e sommare una gran quantità di numeri [582] finchè ne uscì fuori il numero 27. Rabagliati tenne bene a memoria questo numero. Quando si compiva questo numero di anni egli era in America missionario Salesiano e in quell'anno fece una lunga malattia mortale a Buenos Aires, sicchè tutti credevano che egli ne dovesse morire. Di notte non poteva mai prender sonno, perchè provava una specie di convulsione continua che andava sempre crescendo, sicchè nell'ultimo mese non poteva più resistere. Don Costamagna, che sapeva questo segreto, invitò le varie case salesiane a pregare per l'infermo, il quale guarì.

                Egli avea chiesto già a Don Bosco spiegazione di quel sogno prima di andare missionario, e una volta gli era stato risposto:

                 - Non credere alle fandonie.

                Altra volta: - Ma che importa? Gli anni possono incominciare a contarsi non solo dall'epoca del sogno, ma anche dal giorno che ti sei fatto salesiano, ovvero hai emesso i voti.

                Don Bosco aveva così risposto, vedendolo troppo fisso in quell'idea; ma tutti evidentemente riconobbero avergli le preghiere dei compagni prolungata la vita.

                Don Evasio Rabagliati fu l'apostolo e il padre dei lebbrosi in Colombia, e ora è missionario nel Chilì, e con Mons. Costamagna testifica il nostro racconto.

                Questi sogni di Don Bosco per le camerate furono varii. Ora vide una spada pendente da un filo su certi letti, ora un cartello in testa ad ogni letto, ove erano scritte le colpe di ogni giovane, ora queste colpe erano accennate con una parola sulla fronte di ciascuno.

                Intanto, in Valdocco e nei due altri Oratorii festivi, i catechismi della quaresima volgevano al termine; e Don Bosco mandava un suo stampato ai genitori dei giovani, ai capi fabbrica, ai capi di bottega, modellato su quello diramato nel 1849, per gli Esercizi predicati nella Chiesa della Misericordia in Torino. [583] Mentre santificavansi le anime, si andavano compiendo nuovi lavori per la Chiesa di Maria Ausiliatrice. Ciascuno de' due campanili, fiancheggianti la facciata, doveva essere sormontato da un angelo in rame battuto e indorato, dell'altezza di due metri e mezzo. Don Bosco ne aveva dato il disegno, e si vedono ancora. A destra: un angelo, recante colla mano sinistra una bandiera, in cui, a traforo nel metallo e a grossi caratteri, è scritto: “Lepanto”. A sinistra un altro, in atto di offrire colla mano destra una corona d'alloro alla Santa Vergine, dominatrice sulla cupola.

                In un primo disegno, che noi abbiam visto, anche il secondo angelo sollevava una bandiera sulla quale era, pur a traforo la cifra 19... seguita da due fori. Indicava una nuova data e cioè il mille novecento, ommesse le decine ed unità di anni. Si mise poi, come si è detto, in mano all'angelo una corona: ma noi non abbiam mai dimenticato quella data misteriosa, la quale, a parer nostro, indicava un nuovo trionfo della Madonna. Che questo si affretti e attiri tutte le genti sotto il manto di Maria!

                L'esecuzione di questi angeli venne affidata ai fratelli Broggi di Milano per il prezzo di lire 3300; e le statue riuscirono decorose e di bell'effetto.

                Don Bosco ne riceveva l'annunzio con questa lettera.

 

 

Milano, 24 marzo 1869.

 

                               Mo. to Rev. do Sig. D. Gio. Bosco,

 

                Da parte dell'indoratore Giuseppe Grassi, le partecipo che il medesimo accetta l'esecuzione del lavoro in trattativa per la somma di L. it. 700, invece delle 800 esposte nel preventivo, colle condizioni tutte accennate nella lettera scrittagli dal signor Cavaliere Oreglia.

                Devo pure significarle che Broggi manderà il suo lavorante a Torino martedì o mercoledì prossimo, per aprire la cassa già speditale contenente l'Angelo e si fermerà per eseguire il necessario lavoro di connetterlo come si deve e intanto farà spedire a Milano la cassa vuota per riporvi l'altro Angelo da spedire a Torino, non essendo conveniente di fare un'altra cassa, la quale costa L. 16.

                Se V. S. Rev. ma trovasse di cambiare in qualche cosa le suddette [584] disposizioni, favorirà darmene avviso: intanto sempre pronti a' di lei pregiati comandi, ho il bene e l'onore di riverirla con tutta la stima e di vero cuore.

Devot.mo Servo

Gius. GUENZATI di AG.°

 

                P. S. Passando di qui il Cavaliere Oreglia ritengo faccia capo alla mia casa in tutto quanto le occorrerà, come se fosse V. S. stessa. Ho il bene di nuovo riverirla col sig. Cavaliere.

 

                Il sig. Broggi aveva anche mandate due grosse lampade argentate, con fregi indorati, per l'altar maggiore, al prezzo di lire 500.

                Altro pensiero di Don Bosco era la costruzione dell'Organo. Era venuto a trattative col Lingiardi di Pavia, e le aveva ormai condotte a termine. Don Francesia scriveva alla Madre Galleffi.

 

                ... Ieri la Madonna ne fece un'altra che le farà onore. Si trattava di stipulare i patti per la fabbricazione dell'organo, e il prezzo era piuttosto alto pel desiderio che riuscisse bello ed acconcio alla chiesa. La somma si approssimava alle 20 mila lire. Il fabbricante l'aveva già diminuita fino alle 15, e ieri infine, come colpito dalla consolazione di fare un organo nella chiesa di Maria, tolse ancora 3 mila franchi e piangeva proprio dal piacere, di poter concorrere anch'esso al decoro del tempio; dicendo che la sua famiglia avrebbe provato grande diletto, sapendo stretto il patto ed anche il dono concesso. L'organo sarà unico in Torino, e tornerà ad essere una quarta o quinta meraviglia di Valdocco. Di questa settimana si trova in alto sulla cima del campanile un primo angelo, che si è fatto venire da Milano, e presto ascenderà pure il secondo.

 

                Mentre provvedeva al compimento delle opere materiali del Santuario, il Servo di Dio non dimenticava quell'ampia schiera di anime che si sarebbero messe, in ogni parte del mondo, sotto il manto di Maria Ausiliatrice; e scriveva a S. E. Mons. Ricci, Maestro di Camera di Sua Santità.

 

 

                               Eccellenza Rev.ma,

 

                il sig. Conte e la signora Contessa Viancino nostri insigni benefattori fanno una gita a Roma per la festa del giorno 11 aprile. Sarà difficile che Essi possano avere l'onore di prendere la benedizione del [585] Santo Padre; se non possono ottener tanto, veda se può almeno procacciar loro qualche biglietto fra i posti riservati; sono persone agiate e molto caritatevoli.

                Ho dovuto partire senza più aver avuto l'onore di poterla ossequiare; rinnovo qui i ringraziamenti per tanti segni di bontà che mi ha usato nel mio soggiorno a Roma. - Ora la pregherei ancor di un favore. L'ultima volta che fui all'udienza del Santo Padre aveva portato meco una domanda per indulgenze per un'associazione in onore di Maria Ausiliatrice, formalità siccome il medesimo Santo Padre mi aveva indicato. Se la ritenne sul tavolo e non ne ho più potuto sapere niente. Potrebbe Ella usarmi questa cortesia e vedere se si può trovare o almeno se si debba rinnovare quella dimanda. L'avrei come (grazia) segnalata se potessi averla presto, perchè ho un fascicolo in corso di stampa, cui è relativa e farebbe parte di quella materia. Se poi non si può, abbia solamente la bontà di farmi scrivere una sola parola dal suo sig. Segretario, cui auguro ogni bene.

                Dio benedica Lei e tutta la sua famiglia e mi abbia colla più profonda gratitudine

                Di V. E. Rev.ma

 

                Torino, 31 marzo 1869,

Sac. Gio Bosco.

 

                P. S. Don Francesia cogli altri nostri preti La riveriscono, ed il cav. Oreglia Le porterà in persona i comuni saluti pel giorno 11 aprile.

 

                E giunse l'atteso decreto a favore dell'Associazione dei Divoti di Maria Ausiliatrice, di cui il Venerabile aveva parlato e per la quale aveva lasciato un'istanza al S. Padre.

 

 

PIO PP. IX.

A FUTURA MEMORIA DEL FATTO.

 

                Il diletto Nostro figlio Giovanni Bosco, sacerdote Torinese, Ci espose aver egli in animo, per eccitare ed accrescere la divozione dei fedeli verso la Santa Madre di Dio e l'Augusto Sacramento dell'Eucaristia, d'istituire, colla licenza dell'Ordinario, nella Chiesa dedicata a Maria SS. Ausiliatrice nella città di Torino, una Pia Società col nome di Associazione dei Divoti di Maria Ausiliatrice, i cui Soci abbiano per iscopo principale di Promuovere il culto della Immacolata Madre di Dio e dell'Augusto Sacramento. [586] Affinchè poi, proponendo loro maggiori aiuti per arrivare alla celeste beatitudine, diano i fedeli con maggiore impegno il nome a questa Associazione, ed attendano a compiere le prescritte opere di pietà, Ci porse umile preghiera, che volessimo a questo fine, per Nostra benignità, aprire i Tesori della Chiesa, la dispensa dei quali a Noi commise l'Altissimo Iddio.

                Noi adunque, assai commendando, le salutari e proficue cure del predetto Nostro amato figliuolo, affinchè col divino aiuto vie maggiore incremento di giorno in giorno prenda questa Associazione, appoggiati alla misericordia di Dio ed all'autorità de' Beati Apostoli Pietro e Paolo, a tutti e singoli i fedeli Cristiani dell'uno e dell'altro sesso, che ora e per l'avvenire verranno inscritti nella Pia Società che ha nome di Associazione dei Divoti di Maria Ausiliatrice, canonicamente eretta nella Chiesa dedicata a Maria Ausiliatrice nella città di Torino, e che veramente pentiti e confessati e comunicati, avranno divotamente visitato questa medesima Chiesa, l'Oratorio o l'Altare della Società, dai primi vespri fino al tramonto del sole, nelle feste della Natività, Circoncisione, Epifania ed Ascensione di N. S. G. C., nella Domenica di Pentecoste, nella Solennità del SS. Corpo del Signore, e similmente nelle sette Principali feste dell'Incarmacolata, Vergine Madre di Dio, e quivi avranno pregato per la concordia dei Principi Cristiani, per l'estirpazione delle eresie, e per l'esaltazione di S. Madre Chiesa, in qualunque dei sopradetti giorni ciò avranno fatto, misericordiosamente concediamo nel Signore Plenaria Indulgenza e remissione di tutti i loro peccati.

                Inoltre ai medesimi Soci, i quali, almeno con cuor contrito adempiranno le sopradette opere di pietà in ciascun giorno di novene o tridui, che solennemente in detta Chiesa si sogliono fare in onore della Madre di Dio, concediamo sette anni d'Indulgenza ed altrettante quarantene: ogni qual volta poi interverranno al divoto Esercizio, che con licenza dell'Ordinario ogni mattina si celebra in detta Chiesa, e parimente di cuore pentiti reciteranno le consuete. Preghiere ed altre per la concordia [587] fra i Principi Cristiani, l'estirpazione delle eresie e l'esaltazione di S. Madre Chiesa, concediamo cento giorni d'Indulgenza.

                Le quali singole Indulgenze, remissioni di peccati e condoni di pene, misericordiosamente concediamo nel Signore, che per modo di suffragio si possano anche applicare alle anime dei fedeli Cristiani che a Dio congiunte in carità passarono di questa vita.

                Valevoli le presenti per dieci anni solamente.

                Dato a Roma, presso S. Pietro, sotto l'anello del Pescatore, li 16 marzo 1869, l'anno 23° del Nostro Pontificato.

 

N. Card. PARACCIANI CLARELLI[29]. [588]

                Altra consolazione provava Don Bosco al ricordo dei molti giovani nei quali aveva acceso il più caldo amore verso Maria Santissima e che, già defunti, egli riteneva in paradiso, ad intercedere continuamente per lui, innanzi al trono della celeste Madre. Col suo pensiero egli viveva assai spesso in mezzo a loro, ed esclamava commosso: Benedictus Deus in sanctis suis! Le prove della loro santità egli le aveva nelle grazie che dicevano di aver ottenute coloro che, ora ad uno, ora ad un altro dei suoi giovanetti, erano ricorsi, specialmente a Savio Domenico. Dal 1868 al 1885, di molte di queste grazie se ne fecero relazioni a Don Bosco.

                Una si riferisce alla fine di marzo 1869, ed è la seguente:

                Era l'anno 1869, sul fine di marzo, quando fui sorpreso da dolori acutissimi cagionati dalla rottura di un viscere organico; e per l'eccesso di questi fui costretta ad andarmene a letto. A caso, mentre stava in letto oppressa dai dolori, potei avere la vita del giovane Savio Domenico, la quale io lessi nello spazio di tre giorni. Dopo questi i dolori eransi alquanto mitigati ed io mi alzai da letto per riprendere forza, colla speranza di riposar meglio dopo qualche ora. Ma la cosa andò al contrario, perchè, rimessami in letto, subito mi sorpresero dolori così acerbi per cui non poteva star coricata, ne aver forza di alzarmi. Mentre era così tormentata, per quattro volte mi venne il pensiero di votarmi a Savio Domenico; per tre volte resistetti, ma alla quarta mi risolsi e dissi al santo giovane:

                Se è vero che tu sia già in cielo, fa' di mitigare questi miei dolori, se tale è la volontà di Dio. [589]

                Ciò detto promisi di fare una novena di tre Pater Ave e Gloria in suo onore: e subito cominciai a recitare i tre Pater. Cosa ammirabile! Terminava appena il terzo Pater, quando m'invase un dolce sopore che come balsamo mitigò i miei dolori e all'istante mi addormentai. Dopo mezz'ora di sonno mi svegliai libera affatto dai dolori.

QUARATI GIOANNA

di Bergamasco d'Alessandria.

 

 

CAPO XLVII. Letture Cattoliche - Don Bosco visita il Collegio di Lanzo - Dà agli alunni alcune notizie del Papa. Due lettere di Don Bosco al Sindaco di Lanzo per l'ampliazione del Collegio - Il Municipio non accetta le sue Proposte - Don Bosco amplia il locale a sue spese - Sogno: I giovani che si confessano e i lacci del demonio - Album colla sottoscrizione di tutti i Salesiani e dei giovani delle case di Don Bosco da presentarsi al Papa, in occasione del cinquantesimo anniversario della sua prima messa - Don Bosco tiene conferenza ai Salesiani: Emissione di voti: non propalare ciò che si fa tra di noi: mortificazione: si debbono eleggere i membri del Capitolo: procuriamo di essere degni, fondatori della Pia Società - Sacerdote inglese nell'Oratorio, che porta al Papa una stupenda medaglia d'oro de' suoi compatriotti - Feste solennissime al Santo Padre per la sua Messa d'Oro - Lettera di Don Bosco ad una Signora.

 

                MENTRE gli alunni di Lanzo, associati in gran numero alle Letture Cattoliche, leggevano con grande interesse il racconto ristampato nel fascicolo di aprile “La Valle d'Almeria”, Don Bosco giungeva in mezzo a loro. Era il mercoledì, 31 marzo, alla sera.

                Dopo le orazioni, egli parlò alquanto delle udienze che aveagli concesse il Sommo Pontefice, del quale descrisse la fiorente sanità, la meravigliosa intelligenza, e l'ardente [591] affetto che portava ai giovanetti. Quindi riferì i consigli che il Papa loro mandava, gli stessi già comunicati agli alunni dell'Oratorio; e loro annunziava l'Apostolica Benedizione.

                Nel Collegio in tutto quest'anno non v'era stata finora neppure una leggera infermità. Fiorentissima la salute di tutti e l'annunzio dato da Don Bosco nel dicembre scorso non era più ricordato. Solo alcuno dei confidenti dell'intero segreto aspettava e taceva.

                Il Servo di Dio, benchè occupato a lungo dalle confessioni, non lasciò di ispezionare la casa, di tener conferenze, d'interrogare superiori e soggetti, di dare udienza a chiunque la domandasse; e risultato della sua diligenza fu anche una proposta al Municipio.

 

 

                               Ill.mo Signor Sindaco,

 

                Nell'occasione della visita fatta testè alle scuole del Municipio di Lanzo, affidate alle nostre cure, sono stato assai soddisfatto per ciò che riguarda alla disciplina ed al profitto scientifico e morale che scorgo fra i giovanetti tanto interni, quanto esterni.

                Ma ho dovuto osservare, con vero rincrescimento, l'agglomerazione degli allievi che sono certamente in numero maggiore di quanto porta la capacità del locale. Mi tornò eziandio di non leggiero rincrescimento il vedere i dormitori, lo studio, il refettorio così stivati di giovani da non potersene più aggiungere alcuno, mentre sono continue le domande di accettazione che da varii paesi si fanno.

                Per provvedere all'uno e all'altro di questi preveduti bisogni aveva già altre volte trattato col Municipio, che prese ogni cosa nella dovuta considerazione, e si addusse la sola mancanza di mezzi materiali, se non vennero dati per allora opportuni provvedimenti. Sebbene sia assai limitato lo stato delle mie finanze, tuttavia pel desiderio di provvedere al bene della studiosa gioventù e rendere stabile e florido il crescente collegio di Lanzo, mi sarei determinato di assumermi alcuni lavori a mio conto, secondo i principii già manifestati, cioè:

                1° Il Sacerdote Bosco si assumerebbe a proprie spese l'ampliazione delli attuali locali del Collegio ad uso delle scuole, secondo il disegno e il limite da sottoporsi al beneplacito del Municipio.

                2° Il Municipio non fa alcuna prestazione pecuniaria, ma intende compensare le spese fatte dal Sac. Bosco nel caso presente, lasciando il novello locale ad uso libero del medesimo per lo spazio di quarant'anni, purchè continui a servire per la pubblica istruzione scientifica della gioventù. [592]

                3° Passati quarant'anni, la nuova località rimarrà di totale e assoluta proprietà del Municipio.

                Credo bene di notare che in questo contratto il Municipio non cagiona alcun gravame a chi succederà nella pubblica amministrazione del paese, perchè con poche tavole di terreno verrebbe a lucrare un edifizio senza costo di spesa che servirebbe per le pubbliche scuole, a rimediare ad un difetto dell'attuale edifizio del collegio, e che mentre se ne lascia ad altri l'uso, deve servire a continuare ad essere impiegato a benefizio del paese.

                Neppure credo si abbiano ad incontrare difficoltà presso il Consiglio Provinciale, perchè non sarebbe un contratto niente oneroso dalla parte del Municipio, giacchè vestirebbe la natura della convenzione di chi permette la fabbricazione sul proprio suolo, a condizione che, dopo trascorso quel numero di anni, l'edifizio ceda in proprietà del padrone del terreno.

                Nemmeno può ingenerare difficoltà il caso in cui fossero cangiati i programmi dalla parte del Governo, perchè qualunque essi siano, saranno sempre quelli che si dovranno usare nelle pubbliche scuole, siccome fu convenuto all'apertura del Collegio l'anno 1864.

                Sono persuaso, Ill.mo Sig. Sindaco, che Ella comprenderà di leggieri che in questa proposta, per cui dovrò sottostare a non leggeri sacrifizii, io non ho altro scopo che il pubblico bene della gioventù a cui nella mia pochezza mi sono totalmente consacrato, e pregandola a manifestare questi miei sentimenti agli altri Signori del Municipio, ho l'onore di potermi con pienezza di stima professare,

                Di V. S. Ill.ma,

 

                Collegio - Convitto di Lanzo, 2 aprile 1869.

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                La risposta del Municipio fu tale da addossare a Don Bosco la maggior parte dei pesi che importava il progetto; e Don Bosco, alcun tempo dopo, replicò:

 

 

                               Ill.mo Signor Sindaco,

 

                Ho ricevuto il verbale che V. S. Ill.ma si compiacque di comunicarmi relativamente alla proposta diretta ad avere mezzi opportuni per l'ampliazione del collegio di Lanzo.

                Ho letto attentamente, ma con vero rincrescimento ho veduto che le apposte condizioni rendono impossibile l'esecuzione del progetto. Fra le altre non so darmi ragione della 1° 2° e 5° condizione, che tornerebbero di grave dispendio dal canto mio, senza che vi sia compenso di sorta dall'altra parte. [593] Non potendosi pertanto effettuare il mio progetto, la prego di volersi adoperare a che sia provveduto locale opportuno per le due Retoriche e per la 1° elementare, se pure giudica che si faccia divisa in due, come si è finora praticato, sebbene non esista obbligo nella convenzione.

                Io spero che tal cosa al Municipio non tornerà difficile, qualora volesse a questo uopo impiegare il sussidio che percepisce dal Consiglio Provinciale per la manutenzione del collegio di Lanzo.

                Mi creda colla dovuta stima, quale ho l'onore di professarmi,

                Di V. S. Ill.ma,

 

                Torino, 12. maggio 1869,

Dev.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Non si potè venire ad un accordo; ciò non ostante Don Bosco ingrandì qualche locale delle scuole, e costrusse un nuovo dormitorio, colla spesa di circa 20, 000 lire.

                Egli era partito da Lanzo il sabato 3 aprile dopo aver raccontato ai giovani un sogno da lui avuto pochi giorni prima in Torino, di cui non aveva ancor fatto parola all'Oratorio, ove ne ripeteva la descrizione il 4 aprile, domenica.

                Leggiamo nelle nostre memorie:

                “Don Bosco, il 4 aprile, a tutti i giovani radunati nello studio dopo le orazioni della sera raccontò il seguente sogno:

 

                “Mi trovavo vicino alla porta della mia camera e mentre uscivo, tutto ad un tratto guardo attorno e mi trovo in Chiesa, in mezzo ad una moltitudine tale di giovani che la Chiesa ne era piena zeppa. Erano i giovani dell'Oratorio di Torino, quelli di Lanzo e di Mirabello ed altri molti che io non conosceva. Non pregavano, ma sembravano prepararsi per potersi confessare. Una quantità immensa stava assiepando il mio confessionale sotto il pulpito, aspettandomi. Io, dopo aver guardato un poco, mi sono messo a pensare come mai potessi fare a confessarli tutti. Ma poi temeva di essere addormentato e di sognare, e per assicurarmi che non dormiva, mi sono messo a battere le mani e ne sentiva il rumore; e per accertarmi di più allungai il braccio e toccai il muro, che è di dietro al mio piccolo confessionale. Certo così di essere svegliato, dissi: - Già che son qui, confessiamo: - e cominciai a confessare. Ma presto, vedendo tanti giovani, mi alzai per guardare se vi fossero altri confessori che mi aiutassero; e non vedendo nessuno, mi incamminai per andare in sagrestia a chiedere di qualche prete, il quale venisse ad ascoltare le confessioni. Ed ecco che [594] vidi qua e là giovani che avevano una corda al collo che loro stringeva la gola.

                 - Perchè quella corda? domandai; levatevela. - E non mi rispondevano e mi guardavano fisso.

                 - Orsù, dissi ad alcuno: va' e leva quella corda.

                Il giovane comandato andò, ma mi rispose:

                 - Non posso levarla; vi è uno dietro che la tiene. Venga a vedere.

                Volsi allora gli occhi con maggiore attenzione su quella moltitudine di giovani e mi parve di vedere dietro alle spalle di molti spuntare due lunghissime corna. Mi avvicinai un po' più per veder meglio, e girando alle spalle di colui che mi era più vicino, vidi una brutta bestia, con un ceffo orribile, in forma di gattone, con lunghe corna, che stringeva quel laccio. Ma costui abbassava il muso, lo nascondeva giù tra le zampe, rannicchiandosi quasi per non lasciarsi vedere. Io interrogava questo giovane e altri, chiedendo il loro nome, ed essi non mi rispondevano: interrogo quel brutto animale ed esso si nasconde ancor più. Allora dissi ad un giovane:

                 - Olà! va' in sagrestia e di' a D. Merlone, direttore della sagrestia, che ti dia il secchiello dell'acqua benedetta!

                Il giovane ritornò ben presto col secchiello, ma in quel mentre io scopriva che ciaschedun giovane aveva dietro alle spalle un servitore così poco grazioso come il primo, e ch'egli pure sempre più si raggomitolava. Io temeva ancora di dormire. Presi allora l'aspersorio e domandai ad uno di quei gattoni:

                 - Dimmi: chi sei tu?

                L'animale, che mi guardava, allarga la bocca, allunga la lingua e poi si mette a digrignare i denti in atto di avventarsi contro di me.

                 - Dimmi presto: che cosa fai qui, brutta bestia? Infuria come ti pare, io non ti temo. Vedi? con quest'acqua ti lavo per bene.

                Il mostro mi guardava raccapricciato; poi si metteva a contorcersi in modo tale, che le gambe di dietro venivano su a toccare le spalle davanti. E di bel nuovo voleva avventarsi contro di me. Io lo considerava attentamente e vidi che aveva in mano varii lacci.

                 - Orsù, dimmi: che cosa fai qui?

                E alzai l'aspersorio. Egli allora si divincolò e voleva fuggire.

                 - Non fuggirai, io continuava: rimani, te lo comando!

                Ringhiò, e: - Guarda! - mi disse: e mi presentava i lacci.

                 - Dimmi, io soggiunsi, che cosa sono questi tre lacci? Che cosa significano?

                 - E non sai? Io stando qui, mi rispose, con questi 3 lacci stringo i giovani perchè si confessino male: con questi io conduco alla perdizione con me i nove decimi del genere umano.

                 - E come? in che maniera?

                 - Oh! non te lo voglio dire: tu lo palesi ai giovani. [595]

                 - Olà! voglio sapere che cosa sono questi tre lacci. Parla! altrimenti ti getto addosso l'acqua benedetta.

                 - - Per pietà mandami all'inferno, ma non gettarmi addosso quell'acqua.

                 - In nome di Gesù Cristo, parla adunque!

                Il mostro, storcendosi spaventosamente, rispose: - Il primo modo col quale stringo questo laccio è col far tacere ai giovanetti i loro peccati in confessione.

                 - E il secondo?

                 - Il secondo è spingerli a confessarsi senza dolore.

                 - Il terzo?

                 - Il terzo non te lo voglio dire.

                 - - Come? non me lo vuoi dire? Adesso ti getto sopra quest'acqua benedetta.

                 - No, no: non parlerò; - e si mise a gridare forte: - E come? E non ti basta? Ho già detto troppo! - E ritornò a infuriarsi.

                 - Ed io voglio che tu lo dica per riferirlo ai Direttori! - E ripetendo la minaccia alzai il braccio. Allora uscirono fiamme dai suoi occhi, e poi alcune goccie di sangue e disse: - Il terzo è non fare proponimento fermo e non seguire gli avvisi del confessore.

                 - Brutta bestia! - gli gridai per la seconda volta, e mentre voleva domandargli altre cose e intimargli di svelarmi in qual modo si potesse rimediare a quel gran male e render vane le sue arti, tutti gli altri orribili gattoni, che fino allora si erano studiati di star nascosti, incominciarono un sordo mormorio, poi ruppero in lamenti, e si misero a gridare e a prendersela tutti contro colui che aveva parlato e fecero una sollevazione generale.

                Io, vedendo quello scompiglio, e pensando che non avrei ricavato più nulla di vantaggioso da quelle bestie, alzai l'aspersorio, e gettando l'acqua benedetta su quel gattone che aveva parlato: - Ora va'! - gli dissi; e quello disparve. Quindi gettai l'acqua santa da tutte parti. Allora, con grandissimo strepito, tutti quei mostri si diedero a precipitosa fuga, chi da una parte, chi dall'altra. A quel rumore mi svegliai e mi trovai nel letto.

                Oh, cari giovani, quanti, che io non mi sarei mai creduto, avevano il laccio al collo e il gattone dietro. Ecco adunque questi tre lacci che cosa sono. Il primo, che tiene allacciati i giovani, significa quello per cui uno tace in confessione. Il laccio gli chiude la bocca affinchè per vergogna non si confessi di tutto: oppure invece di confessare che certi peccati li commise quattro volte per esempio, dica tre o quattro, mentre sono quattro precise. E costui manca di sincerità allo stesso modo di chi tace. Il secondo laccio è la mancanza di dolore; e il terzo la mancanza di proponimento. Quindi se vogliamo rompere questi lacci e toglierli dalle mani del demonio, confessiamo tutti i peccati e procuriamoci un vero dolore ed un fermo proponimento di obbedire al confessore. [596] Quel mostro, poco prima di andare così in furia, mi disse ancora:

                 - Osserva il profitto che i giovani ricavano dalle confessioni. Il frutto di queste deve essere l'emendazione, e se vuoi conoscere se io tengo i giovani allacciati, guarda se si emendano.

                Devo ancora osservare che ho voluto farmi dire dal demonio perchè stesse dietro alle spalle dei giovani, ed ei mi rispose: - Perchè non mi vedano e per poterli più facilmente trascinare giù nel mio regno. Vidi che erano molti quelli che  avevano alle spalle quei mostri, più di quelli che credeva.

                Date a questo sogno quel peso che volete, ma il fatto sta ed è che ho voluto osservare e vedere un po' se fosse vero ciò che ho sognato, ed ho trovato che la cosa era veramente così. Approfittiamoci pertanto di questa occasione, che abbiamo di acquistare l'indulgenza plenaria, facendo una buona confessione colla comunione. Facciamo il possibile per liberarci da questi lacci del demonio. Il S. Padre concede l'indulgenza plenaria a tutti quelli, i quali nel giorno che sì fa la festa del cinquantenario della sua prima messa, nella prossima domenica 11 aprile, confessati e comunicati, pregheranno secondo l'intenzione di Santa Chiesa. Sabato il nostro sig. Cavaliere avrà un'udienza particolare dal Santo Padre ed offrirà l'Album dove sono sottoscritti tutti i giovani dell'Oratorio e delle altre case..

                Intanto voi osservate se per lo addietro avete messe in pratica tutte le condizioni necessarie per far bene la S. Confessione; io domenica vi raccomanderò tutti nella S. Messa.

 

                L'Album, cui accennava Don Bosco, era un elegante fascicolo di gran formato e di 48 pagine. Sul frontespizio si leggevano queste sole parole: L'UNDICI APRILE 1869. Seguivano, nelle altre pagine, un'iscrizione latina e un indirizzo in italiano.

                L'epigrafe diceva così:

 

                Laetitia . Maxima - Gestientes - Et Ante. Pedes . Tuos . Sanctissimos . Provoluti - Tibi - 0 . PIE. IX . Pontifex. Maxime - Iam . Inde . A . Quinquaginta . Annis - Sacra. Deo.  Facienti - Mente . Et. Corde . Gratulantes - Sacerdotes. Alumni. Sacrorum. Et Iuvenes - Asceteriorum . Taurinensium - Quibus. A . S. . Francisco. Salesio. Aloysio. Et Iosepho - Nomina . Sunt . Facta - Et Ephebeorum . A . S. Philippo. Apud . Lanceum - A . S. . Carolo - Apud . Mirabellum - Plurimos . Adhuc . Annos - A . Deo . Optimo . Maximo [597] Praecantur - Ut . Tute . Ipse . Aliquando . Videas - Integrum. Christiani. Nominis . Triumphum.

 

                L'indirizzo in italiano.

 

 

                               Beatissimo Padre,

 

                Noi siamo Poveri giovanetti, che desideriamo di farvi sentire una Parola, che vi attesti il grande amore che portiamo a Voi, o Beatissimo Padre, in questo giorno di universale letizia. I nostri Superiori ci raccontarono le continue prove di affetto che Voi mostrate in generale per la gioventù, e specialmente per quella che accorre agli Oratori e Collegi diretti dall'amato nostro Padre D. Bosco. Oh come ci commosse quel tenero affetto! Noi Vi ringraziamo infinitamente, e Vi abbiamo pregato e Vi preghiamo dal Signore una ricompensa, che si avvicini ai Vostri meriti. In questo giorno poi in cui tutto il mondo invia regali ed auguri alla Veneratissima Vostra Persona, noi non abbiamo potuto tacere, ed ultimi per meriti e non per affezione, osiamo avanzarci al Vostro amatissimo cospetto e dirvi che oggi vorremmo avere tutte le ricchezze di questo mondo per offerirle al Paterno Vostro cuore, e la sapienza di Salomone per saper esaltare meritamente le Vostre glorie. Ma noi siamo poverelli, e non abbiamo ancora nella nostra età quella scienza necessaria per parlare a Voi e lodare Voi, Vicario di Gesù Cristo. Ma fin d'ora vogliamo tutti sacrificare a Voi i vostri affetti, i nostri pensieri, il nostro ingegno, il nostro cuore. Nel giorno faustissimo in cui si compierà il Vostro cinquantenario di Sacerdozio, caldamente ci raccomandiamo che vogliate comprendere anche noi tra quelli per cui innalzate le preci del Divin Sacrifizio, e noi raccolti intorno all'altare di Gesù in Sacramento, oltre a speciali preghiere, faremo la nostra Santa Comunione secondo la Vostra intenzione, e uniti ai nostri buoni Direttori, che applicheranno la Messa per voi, Vi auguriamo da Dio molti anni ancora di vita gloriosa in terra. Oh! la gloria non Vi manca, chè ormai tutto il mondo Vi ammira, e Vi benedice; ma non Vi mancano Pure le spine! Oh quanto ci rincresce, o Veneratissimo Padre! Facesse [598] il Signore che in quella gran festa per tutti i buoni, anche i Vostri figliuoli che si allontanarono da Voi, Vi benedicessero e ritornassero ai Vostri piedi. Noi preghiamo anche per ciò, sapendo che pur questa è la Vostra intenzione e brama, acciocchè vi conosca il mondo e Vi ami. Noi Vi vorremo sempre bene, e riconosceremo sempre la Sede di Roma, come l'ancora di salute, come l'arca di Noè, dove potremo riparare nei giorni del diluvio.

                Accettate, o Veneratissimo Padre, queste povere, ma sincere attestazioni di fede e di affezione, e degnatevi di benedire tutti noi, che in ispirito ci prostriamo devoti ai Vostri piedi santissimi.

 

                (Seguivano le firme de' Sacerdoti in N.° di 32, dei Chierici in N.° di 73, degli Alunni in N°. di 3430).

 

 

                Ma per Don Bosco il più bell'omaggio al Pontefice era quello di formare i Salesiani secondo lo spirito da lui voluto: perciò non si stancava di esortarli alla vita di perfetti religiosi. Peccato che poche furono le sue conferenze conservate dalle cronache e quelle poche, piuttosto a modo di tracce, che di intiero ragionamento. Tuttavia non vogliamo ommettere, ciò che fu conservato.

 

6 aprile 1869.

 

                Nella biblioteca dell'Oratorio ebbe luogo la sera, dopo le orazioni, la conferenza di S. Francesco di Sales. Dopo il Veni Creator Spiritus, recitato alternativamente, Don Bosco vestito di cotta sedette, e i due sacerdoti D. Garino e D. Dalmazzo, l'uno dopo l'altro, fecero i loro voti ad triennium, assistiti da Don Rua e da D. Cagliero. Dopo si recitò il Te Deum. Ciò fatto, Don Bosco ci disse addattate cose per questa circostanza.

                “ Quando qualcheduno fa i voti, siamo soliti a date qualche avviso più essenziale a questo riguardo. Prima di tutto desidero che nessuno dica niente ad estranei di ciò che si fa qui. Se qualcheduno di fuori ci domandasse qualche notizia intorno a noi, si dica qualche cosa in generale, per es: che la nostra Società è approvata, ma nulla di ciò che si fa, che si dice nell'interno della casa; come sarebbe dei consigli di qualche superiore, di qualche divergenza fra confratelli, di qualche disordine o difficoltà. I mondani non intendendo queste [599] cose non compatiscono. Nolite projicere margaritas vestras ante porcos. I mondani non sapranno dir altro, se non che siamo stolti a volere abbandonare il mondo. Se accadrà qualche cosa di disgustoso, questo calice ce lo berremmo noi soli e che nessuno sappia niente. Questo è dettame di cristiana prudenza. Ciascuno stia contento di quello che gli vien affidato dai Superiori: non cerchi di aver quella o quell'altra cosa. Procuriamo di star uniti in un solo spirito. Raccomando che tutti insieme vogliamo quello che vogliono i superiori. Riguardo alla tavola ciascuno sia contento di quel poco che la Provvidenza ci manda: ci sia quel tanto che è necessario, e basta. Otia, vina, dapes, sono la rovina della castità.

                Otia: Abbiamo la carne che è un nemico formidabile e per combatterlo dobbiamo fuggire l'ozio: otia... Facciamoci un impegno per osservare l'orario della Casa: che in tempo di occupazione nessuno si veda a passeggiare, ad eccezione di bisogno per sanità. Ciascuno si occupi in quel che deve occuparsi e non in altro... Si faccia la visita al SS. Sacramento. Si frequenti la confessione e la Comunione regolarmente. Facciamoci un impegno per mettere in pratica tutte le regole della congregazione. Al mattino, al suono della levata, ciascuno, senza qualche motivo di sanità, non stia mai a letto, ma vada in Chiesa a fare cogli altri le sue preghiere; e se non può fare cogli altri questi esercizii di pietà, li faccia da sè e non li trascuri.

                Vina. Noi non dobbiamo osservare quello che fanno gli altri, ma se ci cadono sotto gli occhi cose che non vanno bene, noi non possiamo non vedere. Infatti vediamo qualche povero sacerdote secolare dato al vizio del bere. Escono di casa, vanno alle bettole, si ubbriacano e cadono in uno stato il più deplorevole e lagrimevole. E come custodire la castità in queste occasioni? Ah! se non si perde, è un vero miracolo! ...

                Dapes. Temperanza nel mangiare. Per noi qui non c'è pericolo, perchè abbiamo solo il necessario, ma si osservi il digiuno del venerdì per quanto si può.

                Adesso succederanno delle crisi, perchè è vero che la Società è approvata, ma non basta ancora; bisogna riordinarla, stabilirla: bisogna esaminare quali individui non facciano per la Società e spedirli: altri che sono indecisi si determinino: ciascuno pensi a risolvere, perchè il Superiore è obbligato in coscienza a fare così.

                Ora ci saranno diversi religiosi e parroci di campagna che domanderanno di entrare nella Congregazione: bisogna però andare molto adagio nell'accettarli, perchè essi vorrebbero venir qui a comandare, anche con buono spirito; ma ci disturberebbero, o difficilmente potrebbero adattarsi al nostro genere di vita.

                Stiamo attenti che nulla si cambii delle tradizioni, altrimenti difficilmente si potrà richiamare l'antico fervore.

                Udite un fatto. Vi era un padre rettore di un convento, il quale voleva portar rimedio ai disordini che in esso accadevano: voleva  [600] riformarlo. Vedeva che i frati uscivano, liberamente, portando il vano pretesto non poter vivere senza fare al mattino e alla sera una passeggiata per divagarsi alquanto. Egli aveva pensato di ridurre il vitto a due pietanze, dicendo che così i religiosi avrebbero potuto più facilmente digerire.

                Come pensò, così fece; ma i religiosi levarono i lamenti, dicendo al Padre Provinciale che il loro superiore li faceva morir di fame. Il Rettore disse al Provinciale in sua difesa, che le rendite del convento non potevano sopportare tanta spesa pel cibo. Il Provinciale gli rispose: - Guardate; i vostri religiosi sopporteranno le discipline, le penitenze anche rigide, ma se li colpite nel ventre, non li potrete ridurre all'obbedienza, e vi scapperanno.

                 - Io non posso fare altrimenti, replicò il Rettore. Scriverò al Padre Generale.

                 - Ma no: perchè il vostro convento sarà allora distrutto dai Superiori! - La cosa restò a questo punto ed il fatto sta ed è che questo convento sarebbe stato risparmiato e sarebbe stato esente dalla soppressione dell'autorità civile; ma per questo motivo, che furono colpiti nel ventre, si disciolse da per sè. Si sbandarono, prima ancora che venisse l'ordine di uscirne. Avete inteso?

                Un'altra volta stabiliremo il personale del Capitolo. Quelli che vi erano sono per scadere.

                Tratteremo poi il modo col quale potremo eleggerli e chi saranno gli elettori. Quindi si daranno i voti. Forse i votanti saranno solamente i professi perpetui. Poi bisogna pensare ad un locale, ad un oratorio privato per radunarci.

                Guardiamoci di farci proprio degni fondatori della Società di San Francesco di Sales, affinchè coloro che leggeranno la nostra storia possano trovare in noi tanti modelli e che non abbiano invece ad esclamare:

                 - Che razza di fondatori eran quelli!

                Aiutatemi colla buona volontà ed obbedienza in questa grande impresa. Tocca a voi rendere facile il mio compito. Si ha un bel dire: mettetevi a capo di una Congregazione! Bisogna essere alla prova. La diversità di sentimenti e di pensieri, e la fatica di ridurre molti ad uno spirito e ad un'anima, sola, è cosa di immensa difficoltà. Ma col vostro aiuto filiale tutto mi sarà facile.

 

                Di quei giorni passavano a Torino molti cattolici stranieri che andavano a Roma per assistere alle feste giubilari della messa d'oro di Pio IX; e venivano a visitare la Chiesa di Maria Ausiliatrice e vedere Don Bosco. Fra questi giunse, accompagnato dal Cav. Faà di Bruno, un sacerdote, partito [601] dall'Inghilterra, il quale portava al Papa una medaglia di oro, del valore di 500 sterline, dal diametro di più di 16 centimetri, dono dei fedeli di quell'isola. Da una parte aveva un ritratto stupendo del S. Padre con un popolo di figure che magnificavano la definizione dell'Immacolato Concepimento; dall'altra la Vergine, abbellita dal confronto di Adamo e di Eva a Lei rivolti con affetto dolcissimo, mentre una colomba misteriosa le pioveva dall'alto un nembo di raggi. Era lavoro di Vechte, artista francese, pareggiato al Cellini.

                Don Bosco e Don Ghivarello maravigliarono a quel miracolo d'arte.

                Era come la primizia di un'infinità di donativi preziosissimi, in oggetti sacri e profani, mentre ad un milione ammontava l'obolo di S. Pietro. Il Teol. Margotti di Torino, a mezzo dell'Unità Cattolica, aveva egli solo raccolto 300.000 lire, la maggior parte in oro.

                Il 10 aprile il Cav. Oreglia, recatosi a Roma, era ammesso all'udienza privata dal Papa, al quale presentava l'Album dell'Oratorio; e l'11 assisteva alla messa cinquantenaria celebrata dal Pontefice in S. Pietro, dalle otto alle nove. Circa 100.000 persone gremivano tutta la basilica, anche la corsia della gran navata di mezzo, che in simili casi soleva mantenersi sgombra dalle file delle milizie, ed anche gli atrii, formando una massa unita e compatta.

                Nell'ora medesima in cento e mille templi del mondo, una moltitudine, rispetto alla quale gli adunati in S. Pietro non erano che un pugno, stava assistendo ai sacri misteri, attorniando in ispirito l'altare di Pio IX. I pellegrini accorsi da ogni parte a Roma avevano raddoppiata la popolazione della città e molti dovettero pernottare negli atrii delle chiese, e sotto i portici. Le feste religiose, cittadine, militari, durarono tre giorni con splendore sovrano, con tripudio affettuoso e inenarrabile dei popoli.

                Anche i Collegi di D. Bosco partecipavano a tanto gaudio filiale, con comunioni generali, musiche, e luminarie. [602] Così Don Bosco offriva a Pio IX il tributo del suo ardentissimo affetto col quale il suo cuore stringeva anche tutta la Chiesa Cattolica. E non era il tributo di un giorno o di una speciale solennità, ma quello di ogni istante della sua vita, operosa, piena di zelo, pronta ad ogni più arduo sacrificio. E questo affettuoso omaggio era illimitato, perchè si estendeva verso ciascuno dei figli del Sommo Pontefice, col quale conviveva, s'incontrava, s'intratteneva, era in corrispondenza per lettera. In ognuno venerava l'immagine di Dio, il carattere del Cristiano, a qualsivoglia classe della società appartenesse.

                Chiudiamo questo capo con una lettera che egli scriveva alla Signora Rosa Gnecco, Via Giulia 21, Genova.

 

 

                               Pregiatissima Signora,

 

                Dio sia sempre benedetto e quando ci dà consolazioni e quando ci dà afflizioni. Preghiamo con fede e speriamo. Se non è contrario al bene dell'anima, Dio ci concederà quanto dimandiamo.

                Dica tutti i giorni: tre Pater, Ave e Gloria al SS.mo Sacramento con una Salve Regina. Io pregherò eziandio nella Santa Messa; Dio è un buon padre.

                Dio ha già concesso molte grazie a quelli che promettono di fare qualche oblazione per la continuazione dei lavori della chiesa qui dedicata a Maria Ausiliatrice.

                Ogni bene venga sopra di Lei e sopra le persone che mi raccomanda; preghi anche per me che mi professo di V. S. Preg.ma

 

                Torino, 14 aprile 1869.

Obbl.mo Servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

 

CAPO XLVIII. Erezione canonica dell'Associazione dei Divoti di Maria Ausiliatrice - Gli statuti - Il decreto - Letture Cattoliche: ASSOCIAZIONE DEI DIVOTI DI MARIA AUSILIATRICE CANONICAMENTE ERETTA NELLA CHIESA A LEI DEDICATA IN TORINO - Numero degli aggregati - Don Bosco parte per Mornese: Nel viaggio fa tacere un maldicente - Progetti di Don Bosco sulle Figlie di Maria Immacolata - Chi era Maria Mazzarello - Lettera di Don Bosco a Don Rua: Differisce ad altro tempo il suo intervento ad un pranzo: ordina la visita ad un locale, sul Corso del Re: un rimprovero a un prete della casa: il quadro di S. Pietro: si cerchi la sua Storia Ecclesiastica preparata per la stampa: ammonimenti da ripetersi agli artigiani.

 

                IL 18 aprile 1869 l'Arcivescovo di Torino approvava gli statuti dell'Associazione dei divoti di Maria Ausiliatrice presentati dal Venerabile, e dichiarava canonicamente eretta l'Associazione stessa nel Santuario di Valdocco, in modo - come dice il decreto - che i fedeli dell'uno e dell'altro sesso che si sarebbero ad essa ascritti, adempiendo le opere prescritte, avrebbero potuto partecipare dei Tesori della Chiesa, antecedentemente concessi dal S. Padre Pio IX.

                Ecco i documenti: - la supplica di Don Bosco[30]. [604]

 

                                Eccellenza Reverendissima,

 

                Il sottoscritto espone umilmente a V. E. Rev.ma che pel solo desiderio di promuovere la gloria di Dio e il bene delle anime avrebbe in animo che nella chiesa di Maria Ausiliatrice, or fa un anno da V. E. consacrata al divin Culto, si iniziasse una pia unione di fedeli sotto il nome di Associazione dei Divoti di Maria Ausiliatrice: scopo principale sarebbe di promuovere la venerazione al SS.mo Sacramento e la divozione a Maria Auxilium Christianorum: titolo che sembra tornare di vivo gradimento all'Augusta Regina del Cielo.

                A tale effetto si compilarono alcune Regole che furono modellate e quasi copiate sopra gli statuti della celebre Confraternita di Maria Ausiliatrice, eretta in Monaco di Baviera, affinchè questi esercizio di pietà abbiano una forma stabile e tutta secondo lo spirito di Santa Chiesa.

                L'umile esponente supplica V. E. a voler prendere in benigna considerazione questo pio progetto, facendole umile preghiera di esaminare tali statuti, aggiungere, togliere, cangiare, quanto giudica opportuno, e poi, come umilmente La supplica, approvarlo con tutte quelle clausole che V. E. giudicasse più opportune a promuovere le glorie dell'Augusta Regina del Cielo e il bene delle anime.

                L'altare dell'Associazione sarebbe l'altare maggiore di detta chiesa come quello che è privilegiato e presso cui già si fanno la maggior parte degli esercizi di pietà che formano lo scopo di questa associazione.

                Pieno di speranza di conseguire il favore, colla più profonda gratitudine implora la Sua Santa Benedizione e si professa

Umilissimo supplicante

Sacerdote GIOVANNI BOSCO.

 

                Il Regolamento era il seguente:

 

 

ASSOCIAZIONE DEI DIVOTI DI MARIA AUSILIATRICE.

 

                1° Nella Chiesa dedicata in Torino a Maria Ausiliatrice, con autorizzazione di S. Ecc. Rev.ma l'Arcivescovo di Torino, è canonicamente instituita una Associazione de' suoi Divoti che si propongono di promuovere le glorie della divina Madre del Salvatore, per meritarsi la protezione di Lei in vita e particolarmente in punto di morte.

                2° Due mezzi speciali si propongono: Dilatare la divozione alla Beata Vergine e la venerazione a Gesù Sacramentato.

                3° A tale uopo si adopereranno colle parole, col consiglio, colle opere e coll'autorità di promuovere il decoro e la divozione nelle Novene, Feste e Solennità che nel corso dell'anno si compiono ad onore della B. V. Maria e del SS. Sacramento. [605]

                4° La diffusione di buoni libri, immagini, medaglie, pagelle, intervenire e raccomandare l'intervento alle processioni in onore di Maria SS. e del SS. Sacramento, la frequente Comunione, l'assistenza alla santa Messa, l'accompagnamento al Viatico, sono le cose che gli Aggregati si propongono di promuovere con tutti i mezzi compatibili al loro stato.

                5° Gli Associati si daranno massima cura per sè e presso alle persone da loro dipendenti d'impedire la bestemmia e qualunque discorso contrario alla Religione e per quanto sta in loro togliere qualunque ostacolo che possa impedire la santificazione dei giorni festivi.

                6° Ogni Associato secondo i consigli dei Catechismi e dei Maestri di spirito è caldamente esortato di accostarsi alla santa Confessione e Comunione, ogni quindici giorni od una volta al mese, e di ascoltare ogni giorno la santa Messa, purchè le obbligazioni del proprio stato lo permettano.

                7° In onore di Gesù Sacramentato gli Associati ogni giorno, dopo le ordinarie preghiere del mattino e della sera, reciteranno le giaculatorie: Sia lodato e ringraziato ogni momento il SS. e Divinissimo Sacramento; ed in onore della B. V.: Maria, Auxilium Christianorum, ora pro nobis. Pei Sacerdoti basta che nella S. Messa mettano l'intenzione di pregare per tutti gli Aggregati a questa pia Associazione. Queste preghiere serviranno come di vincolo ad unire tutti gli Associati in un cuor solo ed in un'anima sola per rendere il dovuto onore a Gesù nascosto nella Santa Eucaristia ed all'augusta sua Genitrice, ed a partecipare di tutte le opere di pietà che si compieranno da ogni Associato.

 

 

Vantaggi spirituali degli Associati.

 

                1° Tutti gli Aggregati, per darsi vicendevole aiuto a camminare per la strada della salvezza, intendono di fare comunione di tutte le opere buone che fa ciascuno in privato o nella Chiesa di Maria Ausiliatrice, oppure altrove.

                2° Parteciperanno eziandio delle pratiche di pietà che si compiono all'Altare dell'Associazione che è l'Altare Maggiore di questa Chiesa: altare privilegiato quotidiano secondo il decreto della Sacra Congregazione in data 22 marzo 1868. A questo Altare, fra le altre cose, ogni mattino circa le ore sei nei giorni feriali, e circa alle sette nei dì festivi, si celebrerà una Messa, colla recita della terza parte del SS. Rosario, con particolari preghiere e colla Comunione di tutti quelli che vi possono intervenire.

                Il regnante Pio IX benignamente concede 100 giorni d'indulgenza a tutti e per ogni volta che si prende parte a questo Esercizio di pietà.

                Ogni sera avrà luogo canto di laudi sacre, lettura spirituale, preghiere, benedizione col SS. Sacramento, cui terrà dietro la recita del SS. Rosario, come al mattino. [606]

                3° Ogni Aggregato può lucrare l'Indulgenza Plenaria nella Solennità del SS. Natale, della Circoncisione, dell'Epifania e dell'Ascensione di N. S. G. C., nella Domenica di Pentecoste, nel giorno del Corpus Domini.

                4° Indulgenza parimenti plenaria nelle Feste dell'Immacolata Concezione della B. V., della sua Natività, Presentazione al Tempio, Annunziazione, Purificazione, Visitazione, sua Assunzione al Cielo.

                5° La medesima Indulgenza plenaria potranno lucrare in qualunque giorno della novena o nella festa di Maria Auxilium Christianorum; nella festa di S. Francesco di Sales, di S. Luigi Gonzaga, e in quel giorno di ciascun mese che sceglieranno per fare l'Esercizio della Buona Morte.

                Le indulgenze notate in questo numero si possono anche lucrare da quelli che non fossero inscritti nella pia Associazione.

                6° Ogni Aggregato, intervenendo alle pratiche di pietà che in questa Chiesa compionsi nel corso dell'anno in occasione di Tridui o Novene, può una volta al giorno lucrare l'Indulgenza di sette anni e di altrettante quarantene. È bene qui di notare che per l'acquisto delle suddette Indulgenze Plenarie è sempre prescritta la Sacramentale Confessione e Comunione, a meno che l'Aggregato abbia la lodevole pratica di accostarsi ogni settimana alla Confessione. In questo caso si cerca soltanto lo stato di grazia.

                7° Ogni anno, nel primo giorno non impedito dopo la Festa di Maria Ausiliatrice, si canta una Messa da Requiem con altri particolari suffragi per le Anime dei Confratelli defunti in generale, e particolarmente per coloro che fossero stati da Dio chiamati alla vita eterna nel corso di quell'anno.

                8° Qualora un Confratello od una Consorella cadessero ammalati, oppure a Dio piacesse di chiamarli a miglior vita, saranno in modo speciale raccomandati alle preghiere che ogni giorno si fanno all'Altare di Maria Ausiliatrice, purchè se ne dia avviso al Direttore della Chiesa.

 

 

Accettazione.

 

                1° Chiunque desidera far parte di questa pia Associazione farà scrivere il suo nome e cognome, luogo di dimora, sopra apposito registro, che si conserva nella Sacrestia della Chiesa di Maria Ausiliatrice. In quella occasione, se la desidera, gli sarà data un'immagine, una medaglia col libretto dell'Associazione.

                2° I Parroci ed ogni, altro che abbia cura d'anime, i Direttori di collegi o delle case di educazione o di istituti di beneficenza possono aggregare qualunque loro dipendente; purchè mandino i nomi degli Aggregati al Direttore della Chiesa, che è pure il Direttore della pia Associazione.

                3° Non vi è alcuna annualità pecuniaria: ciascuno, se vuole, può [607] fare ogni anno qualche oblazione per sostenere le spese che occorrono nella Novena e Festa di Maria Ausiliatrice, e per tutte le altre Sacre Funzioni che si compiono nelle varie occorrenze dell'anno nella Chiesa dell'Associazione.

 

                Visa supra scripta statua, seu capitula, a Nobis firmata, tamquam praedictae piae societati ac fidelium pietati consona approbamus, reservata Nobis facultate eadem variandi, iuxta rerum ac temporum circumstantias.

 

                Datum Taurini, die 18 aprilis 1809.

ALEXANDER, Archiepisc.

Th. GAUDE, pro Cancellarius.

 

                Ecco, in fine, il decreto di erezione:

 

 

ALESSANDRO OTTAVIANO RICCARDI

 

                DEI CONTI DI NETRO - CAVALIERE DELL'ORDINE SUPREMO

                DELL SS. ANNUNZIATA, ECC. ECC. - PER GRAZIA DI DIO E DELLA S. SEDE APOSTOLICA ARCIVESCOVO DI TORINO - PRELATO DOMESTICO DI S. S. PAPA PIO IX E ASSISTENTE AL SOGLIO PONTIFICIO[31].

 

                Visto il Memoriale a Noi presentato dal M. Rev. Sacerdote Giovanni Bosco, Rettore della Chiesa da Poco tempo in questa [608] città eretta sotto l'invocazione dell'Immacolata Vergine Ausiliatrice, e consideratone il tenore, ben volentieri acconsentendo ai pii voti dell'Oratore, per alimentare ed accrescere la divozione dei fedeli verso la Santa Madre di Dio e l'Augusto Sacramento dell'Eucaristia, col tenore del presente Decreto erigiamo e dichiariamo canonicamente eretta pei fedeli dell'uno e dell'altro sesso, all'Altare Maggiore della predetta Chiesa, la Pia Società che avrà nome di Associazione dei Divoti di Maria Ausiliatrice, in modo che tutti quelli che ad essa si ascriveranno, adempiendo le prescritte opere, possano partecipare dei Tesori della Chiesa. E poichè gli Statuti a Noi parimente presentati e da Noi firmati abbiam conosciuto essere adatti al governo ed all'incremento della Pia Associazione, questi medesimi Noi approviamo, riservandoci la facoltà di aggiungere o di variare quelle cose, che giudicheremo essere di maggiore utilità per detta Pia Associazione.

                Questo nostro Decreto, col sopradetto ricorso e cogli Statuti vogliamo siano riportati nei Registri della nostra Curia, ed un autentico esemplare ne sia rilasciato all'Oratore.

 

                Dato in Torino, il giorno 18 aprile 1869.

ALESSANDRO Arcivescovo.

Teol. Gaude Pro - Canc.

 

 

                Il Servo di Dio ne benedisse il Signore e completò tosto il fascicolo già preparato per le Letture Cattoliche di maggio: - Associazione dei divoti di Maria Ausiliatrice canonicamente eretta nella Chiesa a Lei dedicata in Torino, con ragguaglio storico su questo titolo pel Sacerdote Giovanni Bosco.

                Nella prefazione il Venerabile così espone il sommario della materia, contenuta nel libretto, al Lettore.

 

                Era appena in costruzione la Chiesa dedicata a Maria Ausiliatrice in Torino e già si facevano ripetute dimande perchè venisse iniziata una pia associazione di divoti, i quali uniti nel medesimo spirito di preghiera e di pietà facessero ossequio alla gran Madre del Salvatore invocata col bel titolo di Aiuto dei Cristiani. [609] Compiuta poi la consacrazione del sacro edifizio, si moltiplicarono tali richieste da tutte partì e da persone di ogni età e di ogni condizione. Egli è per secondare questo pio e generale desiderio che venne formata l'Associazione, le cui regole saranno qui brevemente esposte.

                Precederà un ragguaglio storico sul titolo di Maria, Auxilium Christianorum; di poi seguirà il decreto della canonica erezione della Associazione, quindi il Breve con cui il Sommo Pontefice con grande bontà degnavasi concedere speciali Indulgenze agli aggregati, cogli statuti della pia Associazione e colle analoghe Indulgenze ed alcune preghiere a comodo di chi volesse servirsene per indirizzare gli affetti del suo cuore a questa grande benefattrice de' miseri mortali.

                La santa Vergine Maria, che in tante guise ha benedetto e favorito quelli che l'hanno supplicata col prezioso titolo di Ausiliatrice, continui a spandere copiosi i celesti tesori, non solo sopra gli aggregati di questa pia Associazione, ma sopra tutti quelli che la invocheranno nelle loro necessità spirituali o temporali, a segno che tutti abbiano motivi di benedirla sopra la terra per andare poi un giorno a lodarla e ringraziarla eternamente in cielo. Così sia.

 

                Com'è accennato, questo libretto contiene una serie di preghiere, giaculatorie e pratiche di pietà indulgenziate e un trattatello sulle Indulgenze. Se ne fecero molte edizioni, che man mano registrarono i nuovi favori concessi all'Associazione e al Santuario dai Sommi Pontefici.

                Don Bosco, dopo di aver disposto che il suo fascicolo si spedisse prima del fine di aprile, invitato da D. Pestarino, partì per Mornese.

                Ogni suo viaggio era segnalato da qualche aneddoto singolare. Qui ne riferiamo uno, del quale non ricordiamo con precisione il tempo in cui avvenne; ma certo fu dopo aperta al divin culto la chiesa di Maria Ausiliatrice. Dichiariamo anche che non è da confondersi con altri fatti simiglianti.

                Viaggiava adunque Don Bosco in un vagone di seconda classe insieme con varie persone, tra cui un signore ben vestito che incominciò a parlar male dell'Arcivescovo, poi del Marchese Fassati, e di molti istituti di beneficenza: quindi venne a biasimare la Direzione dell'Opera del Cottolengo, e infine lo stesso Don Bosco con i modi più ingiuriosi, perchè,  [610] diceva aveva sprecati tanti danari nel far fabbricare una chiesa, invece di soccorrere i poveri.

                Don Bosco non aveva fiatato, quando una signora che aveva seco un figliuoletto, disse a quel signore: - Scusi: ella avrà dato molti denari a Don Bosco per esigere che non li sprechi per quella Chiesa, non è vero?

                 - Come? quegli rispose: dar danari a Don Bosco? Piuttosto li getto via.

                 - Dunque non ha motivo di lagnarsi tanto, soggiunse la signora.

                Un ebreo, che non conosceva personalmente Don Bosco, ma era da lui conosciuto, prese a difenderlo, dicendolo persona onesta, e come egli pure gli avesse mandato cinquanta lire per la chiesa.

                Stizzito per quell'opposizione, il maldicente prese a parlare contro l'Oratorio con modi e frasi così indecenti e spudorate, che quella buona signora fece alzare il suo figliuoletto e, ponendone il capo sulle sue ginocchia, glielo involgeva come scherzando nello scialle, mettendo in ultimo le mani sulle sue orecchie.

                Quell'uomo, visto quell'atto:

                 - Ma che fa, signora, le disse: non vede che finirà per soffocare quel bambino?

                 - Amo meglio che mi resti qui soffocato, rispose la donna, piuttosto che abbia da sentire discorsi simili ai suoi.

                Quel signore ruppe in un riso sguaiato, esclamando:

                 - Già! la gente educata dai preti si fa scrupolo di ogni cosa! A che tanta delicatezza? alla fin fine sono cose di questo mondo!

                E continuava a ridere sgangheratamente, a compatire la dabbenaggine, diceva lui, di quella signora, e ad usar frasi indecenti.

                La buona madre era rossa per la vergogna; e Don Bosco, che fino a quel punto aveva taciuto, prendendo le difese di quella signora:  [611]

                 - Alto là, esclamò, è tempo di finirla.

                 - A chi dice?

                 - A Lei; i suoi non son discorsi da tenersi fra persone civili e tanto meno al cospetto di signore.

                 - Sappia che non intendo ricevere lezioni da lei!

                 - Intenda o non intenda, la cosa è così.

                 - Lei crede forse che io non sia capace a ricacciarle in gola le parole?

                 - Crede che io abbia paura di Lei? Nè di Lei, nè di cento suo pari.

                 - Che cosa intende di dire con queste parole; non ho paura? Faccia la prova...

                 - Sì; dico e ripeto che non ho paura di Lei. Se avessi da fare con un villano e un male educato, allora temerei, ma trattandosi di una persona di buona famiglia, che gode una posizione in società, istruita, civile, non temo che venga a maneggiar le mani, e son certo che le questioni si verranno ad appianare ragionando.

                Quel signore, ad una risposta così imprevista, restò interdetto e, calmatosi alquanto, domandò:

                 - Dunque Lei mi conosce?

                 - Certamente. Il Commendatore B.....

                Costui faceva gli affari del Marchese Fassati e aveva parlato anche del suo padrone nel modo più disonorante,

                Vedendosi battuto da un prete, e non sapendo chi egli fosse, dopo breve silenzio, smanioso di prendere in qualche modo la rivincita, riprese a dire:

                 - Ma quel furbacchione di D. Bosco come sa bene accalappiare la gente; fa danaro sotto pretesto di mantenere i suoi giovani, e poi compra campi e vigne a Castelnuovo, e arricchisce i suoi fratelli che tengono cavalli e vettura.

                 - Ma scusi, signore; ella è male informata; Don Bosco non ha fratelli.

                 - Che cosa ne sa lei? Io lo conosco abbastanza.

                 - Ed io tomo a ripeterle che Don Bosco non ha fratelli,  [612] i quali per conseguenza non possono avere nè cavalli nè vettura, e se andrà a Castelnuovo tutti potranno dirle che i nipoti di Don Bosco fanno il contadino come lo faceva il loro padre. Veda adunque che, parlando di ciò che non sa, si mette a rischio di ricevere una smentita. E poi a sparlare in pubblico di persona dalla quale si potrebbe ricevere danno, la crede cosa prudente? Per esempio, se il Marchese Fassati venisse a sapere ciò che ha detto di lui sarebbe contento?

                 - Ciò che ho detto fu a modo di conversazione.

                 - E chiama conversazione denigrare a quel modo la fama di un personaggio, nobile, conosciuto da tutti per la sua carità? la crede cosa da nulla? Non dubita che qualcheduno possa riferire al Marchese, che le dà il pane, ciò che si permette di dire contro di lui?

                 - Non credo che qui ci sia chi possa dirglielo, a meno che non ci vada Lei.

                 - E se io vi andassi?

                 - Oh! non farà questo!

                 - Eppure io l'assicuro che la prima volta che verrò a sapere che lei ha tenuto ancora discorsi immorali e scandalosi, andrò subito a riferire ogni cosa al Marchese. Ciò le serva di regola, perchè ciò che prometto lo faccio.

                 - Io la assicuro, disse quegli balbettando... e protesto, protesto che mai più terrò simili discorsi... per farle piacere, s'immagini... ma lei chi è?

                 - Io... sono il sagrestano di Don Bosco!

                Quel signore guardò Don Bosco ed ammutolì. Era così umiliato che gli altri viaggiatori a stento trattenevano un sorriso di compiacenza. Quella buona madre che aveva liberato il capo del figlio dallo scialle, si volse a ringraziare colui che aveva prese così vittoriosamente le sue parti. Il maldicente incominciava a dubitare chi fosse colui col quale aveva disputato, e stette pensoso a capo basso sino al fine del viaggio.

                Quando Don Bosco scese dal vagone, ebbe subito intorno varie persone che lo salutarono per nome. Il Commendatore... [613] era disceso egli pure e, avvicinatosi tutto umile, gli domandò:

                 - È lei Don Bosco?

                 - Ebbene?

                 - Mi scusi un poco...

                 - Senta! gli rispose con dignità il Venerabile; siccome Lei si è fatto lecito di biasimare uomini innocenti, benemeriti, in presenza di tante persone, credo che potrò ancor io riferire a quegli stessi uomini, in privato, ciò che Lei non temette di dire in pubblico sul conto loro.

                 - La prego, non dica nulla; ciò sarebbe la mia rovina.

                 - Dobbiamo essere giusti: quindi francamente le rispondo; non posso assicurarla di nulla.

                Il Commendatore insisteva pregando, ma Don Bosco tenne fermo e non volle promettere nulla; e quegli, tutto mortificato, si ritirò.

                Il 19 aprile giungeva verso sera a Mornese accolto festevolmente da tanti suoi amici, e com'era solito fare nel recarsi a qualche paese, tenne qualche fervorino, confessò e benedisse infermi. Visitava pure il vasto collegio in costruzione, destinato in prima idea a giovani studenti, ancor lontano dal compimento, quantunque già più stanze fossero abitabili. Don Carlo Ghivarello ne aveva fatto il disegno e ne sorvegliava l'esecuzione. I Mornesini desideravano presto compiuti i loro voti, e, nei giorni festivi, continuavano a prestarsi gratuitamente pel trasporto dei materiali. Don Pestarino provvedeva vino e merenda ai portatori e fieno ai giumenti e ai buoi. Le figlie di Maria si spargevano per i vigneti, raccoglievano sassi, che portavano sulla pubblica via e quivi i carri venivano a raccoglierli.

                Don Bosco s'intrattenne con Don Pestarino sul modo di condurre a termine nel più breve tempo possibile quel maestoso fabbricato; di superare qualche difficoltà finanziaria; di affidare agli artigiani dell'Oratorio il lavoro delle porte, delle finestre, dei banchi di scuola e delle ferramenta:  [614] e di mandarvi a suo tempo qualche falegname dell'Oratorio.

                Mentre sembrava tutto occupato a vantaggio della gioventù maschile, dal complesso dei fatti che poi si svolsero, si capì che già nella sua mente maturava il disegno di raccogliere una nuova schiera di anime elette sotto il manto di Maria Ausiliatrice, le quali si prendessero cura delle fanciulle. Ne conosceva la necessità. Continue erano le istanze, anche di civili famiglie, che gli chiedevano di allogare ragazze in qualche istituto. A questo fine, solo pochi giorni prima, aveva scritto una lettera alla Rev.da Madre Eudossia, Superiora delle Fedeli Compagne di Gesù in Torino.

 

 

                               Rev.da Madre Superiora,

 

                Mi è indirizzata questa lettera, e prego la sua bontà a voler spedire un prospetto del suo educandato a chi scrive, con quelle osservazioni che giudicherà.

                In questa occasione auguro ogni celeste benedizione a Lei e a tutta la sua famiglia, mentre con gratitudine mi professo

                Di V. S. Rev.da

 

                13 aprile 1869.

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                E non era semplicemente un suo progetto, ma una vera ispirazione di Maria SS., che sotto il suo manto di Ausiliatrice voleva raccogliere anche le sue figlie. E dove si sarebbe iniziato il primo educatorio? In Mornese, terra lontana dai centri di commercio, dalle strade ferrate, e senza comodità di vetture. Quando e con quali mezzi? Iddio lo sapeva e basta. E Don Bosco avrebbe cercato nei vari ordini già approvati le prime insegnanti, le educatrici e le maestre? No! le avrebbe scelte tra le figlie dell'Immacolata di Mornese; tra quelle povere contadinelle senza istruzione, quasi tutte analfabete, che nulla sanno di pedagogia; ma chi le ha predestinate è il Dio delle scienze. Esse apriranno la prima casa della nuova istituzione, raccoglieranno le prime allieve, e la loro [615] Comunità diverrà una Congregazione religiosa che si formerà le maestre autorizzate all'insegnamento, e in cento regioni del mondo raccoglierà migliaia di fanciulle in fiorentissimi collegi, nel nome e sotto la protezione di Maria Ausiliatrice. E chi sarà, da Don Bosco, messa a capo di così grande impresa. Una santa giovane la quale non curando opposizioni, sopportando fatiche, privazioni e sacrifizii, era riuscita con viva carità ad attirare al Signore tutte le figlie del paese natio. Il Venerabile da più anni aveva conosciuto qual tesoro ella fosse. È bene raccogliere qui alcuni dati.

                Verso il 1862, recatosi in Acqui per una festa o conferenza, alla quale prendeva parte il Clero con a capo il Vescovo Mons. Contratto, Don Bosco vi trovò pure D. Pestarino e, a cose finite, viaggiando insieme con lui da Acqui ad Alessandria, avevano discorso delle loro occupazioni a vantaggio delle anime. Don Pestarino gli aveva narrato della Pia Unione delle Figlie dell'Immacolata, delle quali era Direttore e come alcune di queste in Mornese avessero preso ad occuparsi delle fanciulle. Giunti ad Alessandria, dovendo mettersi i due sacerdoti in vie diverse per restituirsi alle loro residenze, Don Bosco invitò D. Pestarino a fargli una visita in Valdocco e questi dopo qualche mese veniva all'Oratorio, si innamorava dello spirito della Pia Società, e pregava Don Bosco ad accettarlo tra i suoi figli, offrendo se stesso e le sue sostanze. Don Bosco lo accettava, ma, come abbiam detto, volle che continuasse in patria il suo apostolato.

                Nell'aprile del 1869 si parlò certo delle Figlie e della loro salita vita e, senza dubbio, anche di chi le precedeva tutte nel buon esempio, cioè di Maria Mazzarello.

                Questa ammirabile figliuola era nata nel maggio del 1837 da genitori contadini, veri modelli di vita cristiana, profondamente compresi de' loro doveri verso la prole, sotto i quali ella crebbe qual modello di obbedienza filiale. Suo padre si chiamava Giuseppe, sua madre Maria Maddalena Calcagno, della vicina parrocchia di Tramontana. [616] I primi anni della fanciulla trascorsero nella semplicità e nel lavoro dei campi. Benchè solamente decenne, Don Pestarino l'aveva ammessa alla prima comunione, e poco tempo dopo le permise di accostarsi alla S. Mensa tutte le domeniche e poi tutti i giorni.

                Sui 15 anni fece voto di perpetua verginità e, benchè abitasse in una cascina lontana, tanto d'estate che d'inverno, qualunque tempo facesse, non mancava mai di assistere alla prima messa in parrocchia, ritornando a casa a tempo per incominciare cogli altri i lavori campestri. Aveva un braccio di ferro per lavorare colla vanga ed era instancabile. Accudiva anche a tutte le faccende domestiche.

                Pregava sempre: amava le letture spirituali, la mortificazione e il digiuno: era di coscienza delicatissima. Trovava le sue delizie, nel recarsi quando poteva a far visita a Gesù in Sacramento.

                A 17 anni era entrata tra le figlie dell'Immacolata; anzi fu tra le prime cinque che aderirono alla proposta della Direttrice Angela Maccagno, che più tardi vide salire il numero di queste figlie a 17.

                Nel 1860, essendo scoppiato in Mornese il tifo, ne cadde gravemente inferma tutta la famiglia di uno zio di Maria. Ella se n'accorse e fu loro assidua infermiera per un mese intero con tanto zelo, da meritarsi il nome di suora di carità. I suoi ammalati guarirono, ma in fine essa stessa contrasse il morbo, e, quasi per due mesi, fu in pericolo di morte. Il suo abbandono in Dio edificò tutto il paese.

                Guarita, si avvide di aver perduto l'antico vigore e di mancar di forze per lavorare nei vigneti; quindi, colla licenza dei genitori e di D. Pestarino, si decise d'imparare il mestiere da sarta. Un fine sublime l'animava: quello stesso che aveva mosso Giovanni Bosco pastorello a imparare i giuochi di prestigio: il poter far del bene alle compagne. Maria Mazzarello voleva col mestiere procurarsi il mezzo per salvare le anime delle fanciulle. Sovente le era parso in sogno di trovarsi [617] con numerosa turba di queste. Era una sua idea insistente. Avendo comunicati i suoi progetti a Petronilla Mazzarello, sua degna ed intima amica, ebbe la sua approvazione e la proposta di esserle compagna. Maria contava allora 23 anni; era l'anno 1861.

                Colla fedele compagna si recò dal sarto del paese, Valentino Campi, imparò a cucire e a conoscere, le stoffe, e dalla sarta Antonietta Barco imparò il modo di tagliare abiti da donna. Dopo qualche mese, avendo la Barco lasciato Mornese per seguire il marito in altro borgo, le donne cominciarono a rivolgersi a Maria e a Petronilla; e alcune madri di famiglia, vedendo i lavori ben eseguiti, le pregarono d'insegnare alle loro figlie, ed esse accettarono due o tre giovanette, alle quali, insieme con il cucito ed il taglio, facevano un po' di dottrina cristiana.

                Avevano il loro laboratorio in una piccola e oscura camera, dove stavano a disagio; poi affittarono una camera con due finestre, vicino alla Chiesa, ove poterono accettare qualche altra allieva, continuando ad essere il buon esempio di tutte. Nel loro zelo davano cristiani avvertimenti anche alle giovani adulte e alle stesse mamme, che si recavano a dar loro commissione di lavori.

                Albergavano anche alcune bambine bisognose. Un mercante, rimasto vedovo con due figliuole, pregò le due amiche, di tenerle presso di loro, non solo di giorno ma anche di notte, perchè egli era sempre fuori di casa e non se ne poteva occupare. Maria le accettò e in seguito prese a pigione due stanze, nella parte opposta della strada, di fronte al suo laboratorio, capaci ciascuna di cinque letti, e accolse cinque bambine. Petronilla andò a dormire con esse e a far loro da mamma, sorvegliandole, insegnando loro il timore e l'amore di Dio e la pratiche di pietà.

                Alle fanciulle inviavano il vitto le famiglie, poichè anche Maria e Petronilla si recavano a pranzo e a cena presso i loro parenti, benchè in diverso tempo, per non lasciar mai sole le allieve. [618] Le cose erano a questo punto quando D. Pestarino venne per la prima volta all'Oratorio. Don Bosco ascoltò con piacere il racconto della vita esemplare delle due contadinelle, e Don Pestarino, al suo ritorno, portò loro due medaglie della Madonna e ne diede una a Maria e l'altra a Petronilla, dicendo:

                 - Ve le manda Don Bosco, e mi ha incaricato di dirvi in suo nome, di tenerle con devozione, perchè vi libereranno da molti mali e vi saranno di aiuto in tutte le vicende della vita. Mi ha detto anche di raccomandarvi che preghiate molto, ma che soprattutto badiate ad impedire l'offesa di Dio, fosse anche un sol peccato veniale.

                Le due giovani non conoscevano Don Bosco, ma seppero da D. Pestarino, che era un santo prete il quale si occupava della gioventù. Il Venerabile forse già vide in Maria Mazzarello la pietra fondamentale dell'istituto che egli avrebbe fondato per le fanciulle; tuttavia su questo disegno tenne un prudente riserbo.

                La medaglia donata fu come un premio allo zelo che esercitavano: e le raccomandazioni il primo saggio delle cure paterne che il Venerabile avrebbe avuto per il nuovo Istituto.

                Maria e Petronilla, ignare di quanto il cielo avrebbe disposto di esse, continuavano il loro laboratorio come meglio potevano, senza alcuna regola fissa. D. Pestarino però, recatosi a Torino per la festa di S. Francesco di Sales nel 1863, portò loro un orario che disse stato scritto dalla mano stessa di Don Bosco, lo spiegò loro secondo le idee che il Venerabile gli aveva espresso e raccomandò loro di osservarlo. Era, con qualche variante, un riassunto di quello dell'Oratorio, e certo un primo passo per infondere in esse lo stesso spirito.

                Mentre Maria con le più sante industrie avviava le sue allieve al bene e alla frequenza dei sacramenti, incominciò anche un po' di Oratorio in un cortiletto, sotto le finestre del laboratorio. Per le prime v'invitò le sue allieve, le quali la domenica seguente ne condussero altre, e poi altre, sicchè non andò molto che vi si recavano tutte le figlie del paese. [619] Essendo il luogo ristretto, nel dopo pranzo venivano condotte all'aria aperta, ad una cappella distante dal paese un quarto d'ora. Là si divertivano finchè non suonasse la campana che le invitava alla Dottrina in parrocchia, donde, dopo aver assistito a tutte le funzioni parrocchiali, andavano alle case loro e nella bella stagione ritornavano alla cappella di S. Silvestro a riprendere i loro canti e i loro giuochi. Maria Mazzarello era sempre in mezzo a loro; inventava ogni volta nuovi passatempi, le tratteneva col racconto di fatti edificanti, dava franchi e saggi consigli ed ammonimenti a chi ne aveva di bisogno. Le sue mire eran quelle di farle disprezzare il rispetto umano, di impedire il peccato, e di renderle fervorose cristiane. E ci riusciva, perchè tutte l'amavano e la obbedivano, e la sua influenza era tale che nessuna giovane più interveniva ai balli.

                Nel 1864, in ottobre, Don Bosco andava a Mornese con un centinaio dei suoi giovani. Abbiamo descritta a suo luogo questa passeggiata. Maria con le altre figlie dell'Immacolata aveva avuto da D. Pestarino l'incarico degli alloggi, delle cucine e degli apprestamenti di tavola. Don Pestarino, il giorno dopo l'arrivo, presentava a Don Bosco le figlie dell'Immacolata e lo pregò a benedirle. Il Servo di Dio accettò e fece a tutte una breve esortazione d'incoraggiamento ad essere costanti nel praticare la virtù e la vita che avevano abbracciato. La sua parola semplice, ma ardente come il cuore da cui partiva, fu di mirabile efficacia, perchè animata dallo spirito di Dio. Tutte quelle buone giovani rimasero santamente impressionate e si sentirono crescere l'interno fervore: Maria poi provò in sè qualche cosa di straordinario, che non sapeva spiegare. Le parole del Servo di Dio corrispondevano pienamente ai desiderii e agli affetti del suo cuore; avrebbe voluto che egli non cessasse di parlare e sarebbe stata sempre a sentirlo. Quando Don Bosco disse che potevano andare per le loro occupazioni, essa partì, contenta d'averlo visto da vicino, ma desiderosissima di vederlo e udirlo ancora. Potè [620] appagare il suo desiderio. Tutte le sere che rimase a Mornese, Don Bosco teneva un discorsetto ai giovani, ed essa, sbrigate in fretta o sospese le sue faccende, volava ad ascoltarlo. Si cacciava avanti più che poteva tra quella folla, e non si può descrivere l'atteggiamento del suo volto e l'attenzione con cui l'ascoltava. Petronilla e le compagne le dicevano:

                 - Dove hai preso il coraggio di andar là in mezzo a tanti uomini e giovani?

                Ed essa:

                 - Don Bosco è un santo, un santo! ….ed io lo sento!

                E giubilava della stima in cui il Venerabile era tenuto. Mise il colmo al suo entusiasmo la predica che Don Bosco fece in parrocchia sull'efficacia della protezione di Maria SS.

                Così Iddio aveva fatto conoscere alla Mazzarello il Venerabile e la preparava a poco a poco, senza che ella se ne accorgesse, a cooperare alla sua grand'opera di salute per la gioventù. Don Pestarino, che aveva la propria abitazione nel centro del paese, si era fabbricata una casetta vicino alla chiesa parrocchiale con cinque camere al pian terreno e quattro sopra. Quivi abitava egli stesso, specialmente d'inverno, volendo trovarsi prestissimo in chiesa per la S. Messa e le confessioni. Tutti quei del paese eran suoi penitenti, eccettuati una dozzina. Era sua intenzione di cedere col tempo questa casetta alle Figlie dell'Immacolata non solo perchè servisse per le loro adunanze, ma anche per l'abitazione di quelle che fossero rimaste senza genitori, e non potessero o non amassero vivere coi fratelli e colle sorelle.

                Nel 1865 venuto a Torino, come faceva ogni anno, per la festa e conferenza di San Francesco di Sales, prese consiglio da Don Bosco, e fu deciso esser meglio che egli cedesse subito la sua casa pel fine indicato. Don Pestarino, tornato a Mornese, in segreto e con prudenza interrogò ad una ad una le Figlie dell'Immacolata' per sapere quale desiderasse di entrare nella sua casa e quale no. Parecchie dichiararono di voler vivere in famiglia. Maria non solo si disse pronta a passare [621] alla nuova abitazione ma raggiante di gioia esortava altre a seguirla, felice di poter effettuare il suo ideale, cioè di occupare, senza impacci, tutta la vita a pro' delle fanciulle. Cinque figlie dell'Immacolata vi presero stanza con tre allieve, alle quali poi se ne aggiunsero alcune altre. A quella casa fu dato il nome di Casa dell'Immacolata. Don Bosco mandò loro una maestra da Fontanile, la quale però dopo poco tempo se ne andava.

                Quelle Figlie non avevano intenzione di fare una Congregazione, e neppure Don Pestarino. Egli, secondo il consiglio avuto da Don Bosco, aveva detto loro prudentemente: Abiterete qui in prova: continuerete a fare come facevate nel laboratorio di prima, e in seguito vedremo. Se qualcuna vorrà tornare in famiglia, potrà farlo sempre liberamente.

                Nel 1867 Don Bosco tornava a Mornese, come si è detto, per assistere alla benedizione della cappella del Collegio in costruzione. In quella circostanza tenne conferenza alle Figlie di Maria visitando la casa dell'Immacolata, ma neppure in questa visita fece trapelare i suoi disegni, essendo avvezzo non a prevenire, ma a seguire gli ordini della Divina Provvidenza.

                Nemmeno nel 1869, quando la sua decisione era ormai vicina, egli disse lo scopo che avrebbe avuto il nuovo Collegio in costruzione. Si limitò a sollecitarne il compimento dimostrando che aveva concepito sull'inaugurazione di quel fabbricato grandi cose.

                Da Mornese scriveva per altri affari a Don Rua: il suo spirito era sempre presente nell'Oratorio.

 

 

                               Carissimo Don Rua,

 

                Mentre vo assestando alcune cose, ti scrivo per quelle che tu potrai compiere in vece mia.

                1° Aveva detto di andare domenica prossima a pranzo dal Cav. Archini, ma essendo in più modi impegnato in quel giorno, è bene che lo prevenga a voler differire a qualsiasi altro giorno la sua [622] cortesia. - Così potrò anche trattenermi più tranquillamente colla famiglia.

                2° A D. Savio che non dimentichi di passare dal Cav. Turvano nel corso della settimana, oppure che passi a vedere l'altro locale che fa fronte all'allea e che confina col nuovo acquisto del conte Tornielli.

                3° Di a D. Ch... che domenica passata l'ho fatto cercare e non mi fu possibile di poterlo ritrovare: gli dirai se le regole permettono di andare dove si vuole senza licenza, e che parmi tempo di finirla.

                4° Si solliciti la cornice del quadro di S. Pietro.

                5° Guarda un po', o fa' guardare se è possibile trovare la mia Storia Ecclesiastica con foglio e con correzioni e preparazione alla stampa.

                6° Porta o fa' portare questa lettera acchiusa all'Ab. Boghino per lo scopo entro indicato.

                Saluta Goffi e D. Cagliero e tutta la nobile brigata. Dio ci benedica tutti. Amen.

                Credimi sempre,

 

                Mornese, 21 aprile 1869,

Aff.mo in G. C.

Sac. Gio. Bosco.

 

                P .S. - Sarò a casa giovedì a sera. Per qualche sera batti un po' il chiodo sopra i cattivi discorsi fra gli artigiani.

 

 

CAPO XLIX. Don Bosco ritorna a Torino - Convenzione per messe e suffragi con, una benefattrice - Nuova edizione della Storia Ecclesiastica - Gran concorso di gente intorno a Don Bosco - Circolare ai parenti morosi nel pagar le pensioni, con minaccia di rimandare i loro figli a casa - Motivi ed effetti di questa circolare; carità di Don Bosco verso i buoni giovanetti - Uno spiacevole incontro di Don Albera coll'Arcivescovo - Don Bosco sempre rispettoso e amorevole verso Monsignore - Lettera di Don Bosco riguardo i suoi chierici al Rettore del Seminario.

 

                RIENTRATO in Torino, Don Bosco recavasi a pranzo dal Cav. Felice Archini, col quale, come con tutta la sua famiglia, era in grande attinenza. Siccome questo nome figurerà più d'una volta nel corso di queste pagine, diremo, fin da questa volta, di una sua convenzione per messe e suffragi.

                Il Venerabile soleva spesso rammentare ai ricoverati il nome e i meriti dei loro benefattori e l'obbligo perpetuo della riconoscenza. Pochi giorni prima egli aveva convenuto, nei patti seguenti, colla famiglia Archini.

 

                Convenzione tra la Nobile Donna Serafina Archini Cauvin di Nizza Marittima, del fu Giacomo, e moglie del Nobile Cav. Felice Colonnello in ritiro, ed il M. Rev. Don Bosco Giovanni, Direttore dell'Oratorio di S. Francesco di Sales in Valdocco, o per lui il suo rappresentante. Di consenso col suo diletto Consorte il sig. Cav. Felice, la signora Archini [624] consegna al prefato Don Bosco Giovanni la rendita di L. 100 annue alle seguenti condizioni:

                1° Che vita durante la medesima Donna Serafina Archini, sino al giorno del di Lei decesso, vengano celebrate ogni anno alcune messe, di cui una da requiem coll'intervento e comunione dei ragazzi dell'Oratorio, e preghiere in suffragio dell'anima del fu Barone ed amico Cav. Francesco Bozzi, addì 27 maggio, giorno del suo anniversario.

                2° Alla morte poi della Donna Serafina Archini deve cessare detta messa per il Barone Cav. Francesco Bozzi, per essere convertita in perpetuo in una eguale messa da requiem e preghiere all'anima della prelodata Donna Serafina Archini.

                3° Tre altre messe lette dovranno frattanto essere celebrate annualmente come segue: una in onore della SS. Vergine Addolorata al Venerdì di Passione; altra alli 4 maggio in suffragio della fu Margherita (Milita) Castelli Cauvin; e la terza alli 7 settembre in suffragio del fu Giacomo Cauvin.

                4° Alla morte del Cav. Felice Archini le succitate tre messe lette dovranno essere convertite in una messa da requiem da celebrarsi ogni anno coll'intervento, comunione e preghiere dei ragazzi dell'Oratorio, nel giorno del di Lui anniversario.

                Il Sottoscritto Don Bosco Giovanni direttore dell'Oratorio di San Francesco di Sales, o per Lui il suo rappresentante, si obbliga di eseguire quanto nella presente convenzione si contiene.

 

                Torino, 17 aprile 1869.

Sac. Gio. Bosco.

Donna SERAFINA ARCHINI CAUVIN

Sac. MICHELE RUA,

Prefetto dell'Orat. di S. Franc. di Sales.

 

                Speciali strettezze costrinsero Don Bosco a qualche altra simile convenzione, ma poi stabilì di non accettarne più in via ordinaria, specialmente se perpetue: 1° Perchè si consumano i capitali e ai posteri restano gli oneri; 2° Perchè l'intervento dei giovani a queste messe cantate è spesso un disturbo all'orario della casa.

                Intanto egli aveva ripreso il suo lavoro intorno a una nuova edizione della Storia Ecclesiastica accresciuta di molto, e corretta e ricorretta in cento luoghi. Le tolse la forma di dialogo sicchè riuscì un'opera nuova. Fra i tanti avvisi che dava ai giovani, ne aggiunse uno per metterli in guardia contro la Società Segrete. [625] In questi lavori era molto disturbato dal concorso dei fedeli. Il 24 aprile D. Francesia scriveva alla Madre Galleffi: “Don Bosco sta bene, assediato veramente da migliaia di persone. Ci prepariamo al mese di maggio e alla novena di Maria Ausiliatrice. Si sperano molte cose in quel giorno e molte grazie che sicuramente Maria concederà”.

                Contemporaneamente, per rimediare a un grave sconcio nell'amministrazione dell'Oratorio, al fine del secondo trimestre dell'anno scolastico il Venerabile faceva inviare una circolare ai parenti e ai benefattori degli alunni studenti, che avevano promesso di pagare una retta mensile di 5, 10, 12, e il primo trimestre di 15 ed anche di 24 lire, e che dopo non si curavano, con animo deliberato o per trascuratezza, di compiere il loro dovere.

                Erano migliaia e migliaia di lire che annualmente il Prefetto non poteva esigere: grave deficienza nel bilancio di chi aveva da mantenere gratuitamente altre centinaia di alunni.

La circolare era del tenore seguente:

 

 

                               .... Signore.

 

                Mi fo premura di significare a V. S. che secondo il regolamento di questa casa ogni pensione o quota stabilita nell'accettazione degli allievi deve pagarsi a trimestri anticipati, e che l'inadempimento di questo articolo indica il richiamo del giovanetto presso ai parenti medesimi.

                Se pertanto V. S. non adempie a questo articolo del regolamento fra giorni 15 dovremo, nostro malgrado, rinviare a V. S. l'allievo stesso per sollecitare quanto è di dovere.

                Gradisca i sensi di stima e di rispetto con cui godo professarmi Di V. S.,

Dev.mo Servo

D. MICHELE RUA,

Prefetto dell'Oratorio.

 

                Questo provvedimento non era davvero una semplice questione di danaro. Era un mezzo opportuno per allontanare gli indegni e i poltroni dall'Oratorio; per rivendicare i diritti della giustizia, poichè certe persone benestanti con inganni e per sordida avarizia facevano mantenere e istruire dalla [626] pubblica carità i loro figliuoli; era un mezzo per ricordare la beneficenza concessa ai ricoverati nell'Oratorio.

                Don Rua, fedele esecutore degli ordini di Don Bosco, era esemplare nei doveri del suo ufficio. Qualche somma potè esigere, qualche giovane rimandò ai parenti, e Don Bosco, al quale i più si appellavano invocandone la carità, faceva rispondere benignamente concedendo more al pagamento e anche il condono del debito. Questo favore l'ebbero molti giovani veramente buoni, che Don Bosco ritenne con sè, qualunque fosse l'animo e le condizioni delle loro famiglie. Era sempre il trionfo della carità.

                Fra i numerosi e commoventi aneddoti, che accaddero in proposito, ne raccontiamo due soli.

                Un ottimo giovanetto aveva i parenti poveri, che non potevano più pagare l'esigua pensione promessa. Avendo egli saputo della intimazione giunta ai suoi, si presentò tutto commosso a Don Bosco, supplicandolo a non permettere che fosse mandato a casa.

                 - Sta' tranquillo; gli rispose il Servo di Dio.

                 - Ma intanto...

                 - Se ti fanno uscire dalla porta dell'Oratorio, tu rientra da quella della Chiesa di Maria Ausiliatrice, e nessuno ti disturberà.

                Il cuore del giovane si legò sempre più a Don Bosco, e si confermò in lui la vocazione allo stato religioso.

                Un altro fatto che prova la carità di Don Bosco ce lo narra il confratello D. Antonio Aime:

 

                Era l'anno 1877 e tutto l'Oratorio celebrava con grande fervore il mese di marzo in onore del Patriarca S. Giuseppe. Verso la metà di detto mese ricevetti una lettera da mia sorella in cui mi diceva che essa non poteva più pagare nè la mia pensione, nè le spese mie qui nell'Oratorio, e quindi che io avrei dovuto ritornare al paese per intraprendere un'altra carriera; tanto più che il Prefetto le aveva scritto che se non pagava, mi avrebbe mandato a casa. Non posso spiegare l'angoscia che provò il mio cuore in quel giorno, nella notte e nel mattino seguente. Piansi, pregai, perchè il Signore mi ispirasse quello che doveva fare. Il giorno dopo mi sentii ispirato a ricorrere a San [627] Giuseppe; feci ricorso a Lui, lui prostrai ai piedi del suo altare, gli offersi le orazioni di tutti i miei compagni così buoni e fervorosi, e rimasi per lungo tratto di tempo, come per aspettare una risposta. Mi alzai ed uscii dalla chiesa cogli occhi gonfi di lagrime.

                Alla porta della sacrestia trovai il Sac. D. Gioachino Berto, il quale, vedendomi così triste e sconsolato, insistette perchè glie ne dicessi la causa. Non potendo io parlare per l'emozione, gli consegnai la lettera di mia sorella, la fattura e la lettera del Prefetto. Don Berto dopo averle lette: - Sta' tranquillo, mi disse, vieni con me. Don Bosco aggiusterà tutto. - Mi accompagnò alla stanza dell'amato Padre, cui consegnò i documenti indicati. Don Bosco li lesse attentamente, poi sorridendo mi fece sedere sul sofà vicino al suo tavolo e, tolta da un cassetto una scatola di tabacco spagnolino, volle che ne prendessi un pizzico. Quando mi vide starnutare fragorosamente, si mise a ridere in modo, che anch'io mi sentii obbligato a ridere con lui. Allora il buon Padre mi disse: “Adesso sono contento, perchè ti vedo allegro. Va' subito dal sig. Prefetto e digli che Don Bosco si incarica di pagare i tuoi debiti passati, presenti e quindi che d'ora innanzi presenti sempre a me i tuoi conti”.

                Lascio... immaginare qual fu la mia consolazione, e la riconoscenza che da quel momento sentii nel mio cuore verso il gran Patriarca S. Giuseppe ed il nostro amato Padre Don Bosco.

                Da quel giorno mi sentii salesiano e colla grazia di Dio spero di morire nella nostra amata Congregazione.

 

                Sul fine di aprile accadde un fatto spiacevole che ci pare di non dover passare sotto silenzio. Non si potrebbe avere una giusta idea della lotta sostenuta dalla nascente Pia Società, qualora si tacessero certi episodii.

                L'Arcivescovo Mons. Riccardi erasi recato ad amministrare la cresima a None, patria di D. Albera. Il Priore Teol. Abrate aveva radunati i preti della sua parrocchia e molti parroci circonvicini: e con questi il teol. Borel e D. Albera Salesiano, da lui beneficato. D. Albera, per far piacere al Priore, che gradì molto il pensiero, lesse una poesia all'Arcivescovo il quale però non gli volse neppure lo sguardo, sicchè lo stesso domestico di Sua Eccellenza brontolava lamentandosi di quella trascuratezza.

                Sul fine del pranzo Don Albera fu presentato all'Arcivescovo, che lo prese per mano, gli pose un braccio attorno al collo e stringendogli il capo al petto prese a dirgli:  [628]

                 - Voi non sapete chi sia il vostro Arcivescovo, voi non lo amate, voi amate solamente Don Bosco: per voi Don Bosco è tutto, e non pensate che a lui.

                Don Albera rispose:

                 - Io amo il mio Arcivescovo, ma se io sono prete lo debbo...

                L'Arcivescovo lo interruppe dicendo:

                 - Tacete, tacete. Non so spiegarmi come abbiate tanta affezione a Don Bosco. Che santità è la sua? Un prete che osa scrivere al suo Vescovo. Mi stupisco! perchè gli ho ordinato che mandi i suoi chierici a compiere il IV anno di Teologia in Seminario. Egli è un superbo, che non vuole stare soggetto. Egli vuol fondare una Congregazione per sottrarsi all'autorità dell'Arcivescovo. Se è santo, lo dimostri coll'essere ossequente al suo Superiore.

                Don Albera, lagrimando, voleva parlare, voleva difendere Don Bosco e: - Monsignore: - incominciò. Ma l'Arcivescovo fissandolo riprese: - Tacete! tacete! Seppi da Roma che hanno approvata la vostra, così detta, Congregazione; ma che cosa è questa vostra Congregazione? è una miseria e io son certo che di qui a 10 anni non se ne parlerà più: non può essere altrimenti. Vedremo! vedremo! ... - E continuava a campane doppie contro Don Bosco.

                I presenti approvavano quasi tutti quanto diceva l'Arcivescovo. Don Albera, triste e addolorato, si trovava in una tortura di nuovo genere. Tentò di svincolarsi, ma non potè, e il braccio dell'Arcivescovo lo tenne stretto per dieci minuti, cioè per tutto il tempo che durò quel colloquio.

                Quindi l'Arcivescovo se ne andò alla vettura accompagnato dal Clero, e a Don Albera, che pur lo seguiva rispettosamente, non disse più una parola.

                Il Priore, che in tempo del suddetto colloquio era assente, informato di ciò che era accaduto, esclamò:

                 - Mi rincresce di non essermi trovato presente, perchè gli avrei risposto io e gli avrei detto che Don Bosco, dietro [629] mia raccomandazione, mantiene anche ora, istruisce, ed educa nel suo Oratorio una decina di alunni della mia parrocchia, i quali danno speranze di riuscire pii e zelanti sacerdoti.

                Il Servo di Dio, che non dagli uomini, ma dal Signore aspettava aiuto e compenso, non si confondeva per questo e diceva a Don Albera che gli aveva narrato ciò che eragli occorso a None:

                 - Monsignor Riccardi non ha mal animo contro Don Bosco e i suoi: ciò che lo muove talvolta a parlare, è, direi, gelosia d'amore troppo spinto alla sua diocesi, o effetto di un rapporto malevolo di qualcuno che ci osteggia.

                Simili frasi udirono più volte dalle labbra di Don Bosco altri salesiani.

                Per parte sua il Venerabile rimase sempre rispettoso e amorevole verso Monsignore, anzi cercò sempre di togliere ogni malinteso. Una lettera da lui scritta al Can. Vogliotti Rettore del Seminario e Provicario Generale, diceva:

 

 

                               Rev.mo Signor Rettore,

 

                Ecco la nota dei chierici della Diocesi di Torino che intendono di far parte della Congregazione di S. Francesco di Sales e prima dei quattordici anni ricevuti in questa casa. Due passavano l'età; un d'essi è Mussetti, che forse ora è qui senza ferma risoluzione di permanere assolutamente. Adesso egli non ha nè di che vestirsi, nè alloggio, nè vitto, perciò credo non sia caso d'interpellarlo pel timore che la necessità lo spinga a dire in un modo colle parole e poi nel suo cuore abbia altro divisamento. La sua condotta per altro è buona. Nelle prossime vacanze autunnali ho in animo che ognuno faccia una muta di regolari esercizi e in quella occasione pesare bene la vocazione di ciascuno, perchè si metta nei dovuti rapporti col Superiore Ecclesiastico, qualora non apparissero abbastanza chiari i segni di vocazione religiosa.

                Le domando, come vero favore, di volermi sempre dar quegli avvisi e quei consigli ch'Ella giudicherà tornar alla maggior gloria di Dio. E professando a Lei la più sentita gratitudine, le auguro ogni benedizione celeste e mi professo

                Di V. S. Rev.ma

 

                Torino, 20 maggio 1869,

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Mi farà pure un vero piacere se si servirà di noi e di questa casa in tutto quello che sarà capace.

 

 

CAPO L. Don Bosco, Don Bonetti e i Valdesi - Due risposte di Don Bonetti alle obbiezioni d'un Ministro Protestante - Lettera di Don Bosco che domanda sussidii per comprare un terreno presso l'Oratorio di S. Luigi a Portanuova - Circostanze commoventi della morte di un giovane e la misericordia di Dio - Una raccomandazione inefficace - La Legge toglie ai chierici ogni esenzione dalla leva militare. - Promessa di Don Bosco che nessuno de' suoi chierici sarebbe andato sotto le armi - Lettera di un chierico al Venerabile - Questi chiede e riceve consiglio dal Cav. Canton per ottenere dal Governo Italiano la Chiesa del S. Sudario - Domanda del Servo di Dio al Ministro Menabrea - Il Cav. Canton avvisa Don Bosco che è in vista qualche altro sacerdote per l'ufficiatura del S. Sudario.

 

                TORNIAMO a volgere lo sguardo sull'azione continua di Don Bosco e de' suoi collaboratori per strappare dai lacci del protestantesimo quelli che n'erano stati accalappiati, e nel preservarne tanti altri, specialmente i giovanetti. Tutto egli metteva in opera. Opuscoli, corrispondenza epistolare, discussioni, scuole cattoliche, conferenze. Non risparmiava pensieri e fatiche, pur di compiere questa sua missione sacerdotale.

                Don Giovanni Bonetti, Direttore del piccolo Seminario di Mirabello, era stato da lui addestrato ai combattimenti contro l'eresia. Egli aveva appreso egregiamente i metodi di Don Bosco, aveva assistito a qualche sua disputa coi Valdesi,  [631] teneva a memoria tutti i suoi opuscoli di controversia, possedeva, come abbiamo già narrato, vaste e profonde cognizioni di storia ecclesiastica e di teologia. Il Venerabile talora servivasi di lui per rispondere ai nemici della Chiesa, e D. Bonetti nulla faceva o scriveva senza il suo consiglio. Gli eretici si avvidero del nuovo valente avversario, forse in occasione di qualche predica nel Casalese: e un ministro protestante della Provincia di Alessandria gli scrisse blaterando le solite obbiezioni contro la Chiesa Cattolica. Don Bonetti gli rispose così:

 

 

                               Signor Ministro,

 

                Dal signor Arciprete di Pietra Marazzi mi fu trasmesso il nuovo scritto di V. S. in data 6 aprile p. p. Lo lessi, ed osservando le questioni da Lei proposte sarà difficile esaurirle, se non con molti e gravi volumi. A fine di evitare la confusione e tenere la discussione in limiti ragionevoli da cui ricavare logiche ed utili conseguenze, conviene che ci atteniamo ai principii e da questi proceda la discussione. A parer mio nella sostanza tutte le colpe che ella ascrive alla Chiesa Romana si possono ridurre a questa. Ella alla parola di Dio, che secondo Lei si contiene tutta nella Bibbia, ha aggiunto tradizioni umane, umane invenzioni, ha ripudiato insomma questa massima: che la Santa Scrittura è la sola Regola di fede e della morale. Per concretare i termini di una tale discussione, dobbiamo anzi tutto esaminare.

                1° Di qual Bibbia si serve Ella? Del testo originale, in cui furono scritti i libri santi, ovvero di una versione dei medesimi? E se si serve di una versione, questa qual è, e sopra quale testo fu eseguita?

                2° Come mi prova l'autenticità della Bibbia, e che per esempio Matteo, Marco, Luca, Giovanni e non altri sono gli autori dei quattro Vangeli?

                3° Risposto che mi avrà, se così le piace, parleremo della divina inspirazione e della interpretazione della Sacra Scrittura.

                Quello che altresì mi ha indotto a proporle un tal metodo di discussione, si è l'avermi Ella ricordato l'infelice De - Sanctis del quale si dice intimo amico. Sappia che questo De - Sanctis, dopo la sua apostasia, tenne più conferenze religiose con un Sacerdote Cattolico tuttora vivente, notissimo all'Italia per la sua dottrina e per la sua carità, il quale ricevette prove di particolare stima dai Protestanti. Nelle accennate conferenze si cominciò dalla Bibbia, cioè come propongo io, ed il De - Sanctis aveva finito per mostrarsi convinto e dichiararsi pronto a far ritorno alla Chiesa Cattolica, e fu unicamente pel miserabile motivo di sua famiglia che non mantenne la parola. Chi sa che [632] una discussione logica, imparziale dello stesso principio, non ostante tutta la fermezza che Ella mi manifesta nel voler perseverare nella setta evangelica, non finisca col ricondurla alla Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana, da cui Ella si è allontanata?

                Scrivendole nel mese di maggio, in cui noi Cattolici onoriamo specialmente l'augusta madre del Salvatore, le aggiungo un consiglio, una preghiera., Quante volte anch'Ella sulle ginocchia della Mamma avrà invocato Maria? Ebbene, voglia ripetere ancora qualche volta le parole dall'angelo indirizzate a Maria: Dio ti salvi, piena di grazia, il Signore è teco, tu sei benedetta fra le donne. Sono parole di uno Spirito celeste e registrate nel Vangelo, per cui professa tanta venerazione.

                Io intanto, abborrendo gli errori di Lei, ma amando la sua persona, non cesserò di pregare Iddio, affinchè si degni di illuminarla e conchiudo facendo voti, che possa venire un giorno in cui Ella, invece di ripetere l'apostrofe del povero De - Sanctis a Roma, colla quale termina il suo scritto, goda di esclamare col gran Bossuet: “O Chiesa Romana, santa Chiesa Romana, madre di tutte le Chiese, e madre di tutti i fedeli, noi ci terremo sempre attaccati alla tua unità col più intimo del nostro cuore. Inaridisca la mia lingua e resti immobile nella mia bocca, se non sei sempre la prima nella mia memoria, se io sempre non ti metto al principio dei miei cantici di gioia”.

Suo dev.mo Servo

Sac. Gio. BONETTI.

 

                A Pietra Marazzi da vari anni si erano insediati i Protestanti. Il Ministro rispose a Don Bonetti assai diffusamente e Don Bonetti replicava:

 

 

                               Pregiatissimo Signore,

 

                Le molte occupazioni, cui dovetti sottostare nei giorni passati, furono cagione del ritardo al dovuto riscontro, tanto più che dovetti leggere attentamente il vostro non piccolo quaderno. Io mi pensava di trovare in esso una chiara risposta alle mie domande, ma voi vi siete portato sopra questioni che non hanno niente che fare colle nostre. Io pertanto non voglio fermarmi alla questione letteraria notando gli errori di grammatica che nel vostro scritto si contengono, nemmeno usare parole plateali per rispondere alle calunniose espressioni ivi usate; lasciamo a parte le bassezze e gli insulti, e datemi chiara risposta sui quesiti già proposti:

                1° Di qual Bibbia voi intendete servirvi? Del Diodati, voi mi dite, che fece la sua traduzione sul testo originale greco ed ebraico. Ma chi vi assicura che Giovanni Diodati sia stato fedele nella sua versione?  [633] E quando potrete esserne assicurato, chi vi sta garante che il Vangelo di S. Luca, di S. Matteo ed altri non siano opera di Tito Livio, di Sallustio, di Seneca, di Giuseppe Flavio, di Filone Ebreo, o di altro antico scrittore?

                Voi mi mandate a leggere qualche autore cattolico, ma se voi ammettete la credenza di questi autori, ogni quistione è finita, perciocchè voi, Dio lo voglia, fate ritorno al Cattolicismo.

                Se pertanto voi volete essere consentaneo a voi medesimo, dovete seguire i principii protestanti e tenervi alla sola Bibbia.

                2° Esaurito questo primo punto si può passare ad un altro così espresso: Credete voi che un buon Cattolico si può salvare nella propria religione? Gli antichi ministri Valdesi Maston e Malones, il moderno Amedeo Bert, gli Anglicani Milnes, Vatson, Gatzan dicono di sì.

                Se voi convenite con essi, io non aggiungo altro, se non le parole di Enrico IV re di Francia.

                Questo monarca invitato da un congresso di ministri protestanti a seguire la loro setta, fece loro questa dimanda: - Credete voi che i Cattolici si possano salvare nella loro religione?

                 - Sì, risposero.

                Ripigliò con senno il Re: - Se il cattolico può salvarsi nella sua Religione, perchè voi l'avete abbandonata? Voi dite che il cattolico può salvarsi nella sua religione: i cattolici all'opposto assicurano che i protestanti sono fuori della vera credenza; dunque è ragionevole che io segua quella religione, in cui per consenso dei cattolici e dei protestanti io posso salvarmi.

                Sciolti questi due quesiti passeremo ad altri di non minor importanza. Ma bisogna che siamo chiari, positivi, e non passare a una nuova questione fino a tanto che sia esaurita la prima, e che intorno a quella convengano le parti. Credami, Signor Ministro, trattandosi di cose da cui dipende la futura felicità dell'uomo, bisogna stabilire dei principii chiari, positivi, da cui si possano poi dedurre le conseguenze pratiche; che se noi vaghiamo da uno in un altro argomento, perdiamo tempo e fabbrichiamo una torre di Babele.

                Il desiderio della verità, la carità di N. S. G. C. accompagni ogni nostra parola, ogni nostro concetto. Io farò in modo che niente sfugga contro al rispetto a Voi dovuto: che se mai involontariamente mi sfuggisse qualche cosa inopportuna, vi prego di richiamarmela e la rivocherò assai di buon grado.

                Prego Dio che vi renda felice, mentre colla dovuta stima ho l'onore di professarmi

Umile servitore

Sac. G. BONETTI.

 

                Questa lettere non hanno data: e quindi non possiamo precisar l'anno in cui furono scritte. Tuttavia non potevamo [634] trascurarle. Non hanno esse tutta la squisita carità, lo zelo ardente e l'amabile sapore di quelle di Don Bosco?

                Ma delle premure di Don Bosco erano specialmente oggetto i fanciulli popolani di Torino, ai quali eran tese molte insidie dagli eretici, specialmente colle scuole. Il danaro non mancava a que' signori: e la loro propaganda non costava loro nessuna fatica.

                E il Venerabile chiamava in aiuto le anime buone perchè l'Oratorio di S. Luigi Gonzaga e le sue scuole correvano pericolo di essere annientate.

 

                Nella città di Torino, fin dall'anno 1848 vicino al viale dei Platani, mercè conveniente pigione aprivasi un Oratorio festivo con annesso giardino di ricreazione e scuole pei giovanetti appartenenti alla classe povera o meno agiata del popolo, i quali per lo più nei giorni festivi vagano per le vie e per le piazze con gran rischio della rovina spirituale. Crebbe l'importanza di questa istituzione nel 1850, quando in vicinanza fu fabbricato il tempio con Ospizio e scuole pei Protestanti. Tuttavia, benedicendo il Signore l'opera sua, vi fu costantemente grande affluenza di ragazzi ed anche di adulti a segno di far desiderare più spaziosa località. Catechismo, prediche, messa, confessioni, scuole, strastulli di vario genere si praticavano con vera soddisfazione, quando un incidente inaspettato mise a repentaglio le Comuni sollecitudini e le comuni speranze. Perciocchè nel prolungamento di una via, detta di S. Pio V, venne diviso quel sito in due parti lasciando da un lato la scuola, dall'altro la Chiesa.

                In simile guisa l'edifizio e il giardino di ricreazione divenuti inservibili al nostro scopo, apparve l'assoluta necessità di provvedere in quei popolatissimi caseggiati, nel cui centro àvvi il tempio de' Protestanti, altro locale pei poveri giovanetti che si trovano così ad ogni momento esposti al pericolo dell'immoralità e dell'eresia. Questo locale si trovò appunto, come si desiderava, vicino a quello di cui ci eravamo finora serviti, proprietà del sig. Falchero, e facente fronte da levante al Viale sopra mentovato, poco distante dal tempio e dalle scuole dei Protestanti, ed a ponente colla via di S. Pio V.

                L'area è di circa 25 are con qualche poco di fabbricazione. La superficie sarebbe sufficiente per l'edifizio di una Chiesa, delle scuole e di un giardino per la ricreazione. La spesa di primo acquisto ammonterebbe in totale a fr. 16.000.

                Ora l'urgenza sarebbe per l'acquisto del terreno: il rimanente poi delle spese che occorrano per la relativa costruzione si abbandonerebbe nelle mani della divina Provvidenza che certamente non verrà meno, siccome ne abbiamo caparra in simili casi pel passato. [635] Egli è per mettere insieme questa somma che si fa ricorso alla carità delle persone che la Divina Provvidenza pose in grado nei tempi eccezionali di venire in aiuto a quelle opere che riguardano al bene del prossimo e a gloria di nostra Santa Cattolica Religione.

                Una delle prime copie di questo appello manoscritto era inviata al Conte Eugenio De Maistre.

 

 

Oratorio di S. Francesco di Sales, Torino - Valdocco, 5 maggio 1869.

 

                               Carissimo Sig. Conte Eugenio,

 

                La bontà con cui più volte colla sua carità mi venne in aiuto dovrebbe farmi dire basta senza rinnovare domande; ma lo stato miserevole di questa città e il caso eccezionale di cui si tratta, mi spingono a fare anche in questo caso ricorso.

                Vedrà dal foglio unito di che si tratta e quale sia la necessità a cui si vorrebbe provvedere, che è quanto dire: togliere la povera gioventù dalle fauci dell'eresia.

                Io le sono già obbligato per molti titoli e perciò qualunque cosa Ella si disponga di fare, io non diminuirò la mia sollecitudine di pregare e di far pregare ogni giorno il Signore Iddio per Lei e per tutta la sua famiglia.

                Non so se il sig. Francesco di Lei fratello possa anche fare qualche cosa; se giudicasse di farne parola, io rimetto tutto alla sua prudenza.

                La prego di fare i miei umili ossequi a tutti di sua famiglia ed augurando ad ognuno copiose celesti benedizioni, ho l'onore di potermi colla più sincera e profonda gratitudine professare

                Della S. V. Carissima,

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                In questo stesso giorno moriva nell'Oratorio un artigiano, legatore di libri: il terzo dei predetti da Don Bosco. Leggiamo nelle memorie necrologiche dell'Oratorio:

 

5 maggio 1869.

 

                Ciocca Adolfo di Giaveno, in età d'anni 17, moriva il 5 maggio 1869 nell'Oratorio. Fu giovane di assai buone speranze, ma, traviato dai cattivi compagni, non produsse i frutti che se ne aspettavano. Tuttavia fu singolare in lui la riconoscenza, che ebbe sempre per le persone, che s'impegnarono per collocarlo nell'Oratorio. Un sogno fatto nel principio della malattia lo fece rientrare in se stesso, si pentì del passato, ne chiese perdono a Dio e al Superiore, e munito dei SS. Sacramenti passò all'altra vita nel bacio del Signore. [636] Il fatto andò così. Eravi nell'Oratorio questo giovane dell'età di 17 anni, alunno artigiano, che era già attaccato da un lento malore, quando la mattina del giorno 3 maggio i musici dovevano andare ad un paesello alquanto distante da Torino, per prender parte col canto alle sacre funzioni in quel luogo. Essendo il nostro Adolfo grandemente esperto nelle cose di musica e buon suonatore di piano, era sommamente conveniente che non mancasse. E siccome la sua malattia non era ancora molto avanzata, supplicato dai suoi compagni di andare in loro compagnia, accondiscese, si alzò dal letto, e andò alla stazione. Dopo una mezz'ora di viaggio il male lo vinse in maniera, che giunto al paese, più non potevasi reggere sulle gambe, ed alcuni compagni lo portarono ad un albergo che trovarono, ove fu assistito con molta cura. I giovani cantarono, pranzarono, ma la loro allegria era temperata dal pensiero del compagno che soffriva. Venuta la sera, D. Cagliero andò a pagare l'albergatore, fece condurre il giovane infermo sul convoglio, e dopo circa un'ora giunse a Torino, ove, messo in vettura, fu condotto all'Oratorio. Dalla portieria all'infermeria fu strasportato sulle braccia dei compagni. Messo a letto e chiamato il medico, egli mandò a pregare Don Bosco che andasse ad assisterlo, perchè aveva bisogno di dirgli qualche cosa.

                Don Bosco andò subito e, come fu a lui vicino, il giovane prese a dire:

                 - Ah! Don Bosco, mi perdoni! Le chiedo scusa di vero, cuore, sono proprio pentito.

                 - Sì, sì, Adolfo mio, rispondeagli Don Bosco affettuosamente, sta' tranquillo, ti perdono.

                 - Ah! Don Bosco, replicava l'infermo per la seconda volta; mi perdoni, le chiedo scusa.

                 - Sì, Adolfo, te lo ripeto, ti perdono: ma parla, di' ciò che vuoi dirmi.

                 - L'altra notte prima di partire per quella festa, feci un sogno, che temo grandemente sia per avverarsi. Mi pareva [637] di essere vicino a Don Bosco con molti miei compagni. Ma io a poco a poco incominciava ad allontanarmi da lei, e quanto più mi scostava un cane feroce ed arrabbiato, che da lungi stava osservandomi, si avvicinava sempre più a me; sicchè pareva che mi avesse da uccidere da un momento all'altro. Io mi era fermato, ma poi presi di bel nuovo ad allontanarmi da Don Bosco e il cane, con ferocia crescente, mi si era fatto ancor più d'appresso. Dopo poco tempo io mi era allontanato del tutto da lei ed allora il cane mi si avventò contro, mi gettò per terra e mi faceva grandi ferite, dilaniandomi. Io subitamente chiamai Don Bosco che mi venisse a soccorrere, e lei, udita la mia voce, corse subito, mi strappò dalle fauci di quel cane, mi portò qui in infermeria, medicò e fasciò le mie ferite ed io mi sentii guarito. Quel cane feroce era il demonio, lo riconobbi: egli tentava di trascinarmi all'eterna perdizione.

                Don Bosco lo calmò, lo aiutò a fare una buona confessione. Adolfo fu contento, e diceva dopo a Don Bosco:

                 - I compagni cattivi che ho frequentati sono il tale, il tale e il tale altro. Quindi la pregherei ancora ad ammonire costoro, e a dir loro da parte mia, che avrei infinitamente più caro che mi avessero dato a bere il veleno, che mi avessero ucciso, piuttosto che soffrire le amarezze di animo che ora provo. Chieda perdono da parte mia eziandio a tutti quei miei condiscepoli che ho scandalizzato coi miei cattivi discorsi.

                Don Bosco glie lo promise, e con dolci parole gli mise in cuore una piena fiducia nella misericordia di Dio.

                Dopo alcune ore Adolfo spirava placidamente.

                Da questo fatto si può intendere quanto sia doloroso in punto di morte l'aver dato in vita gravi scandali ai compagni, tenuti discorsi osceni, frequentate le compagnie dei tristi: mentre per parte nostra vi troviamo una ragione delle ultime parole che Don Bosco aveva scritte da Mornese a Don Rua: “Per qualche ora batti un po' il chiodo sopra i cattivi [638] discorsi fra gli artigiani”. Difatti si videro gli artigiani con maggior fervore e frequenza accostarsi ai Sacramenti e assistere alle pie pratiche del mese di maggio.

                In que' giorni fra le altre opere buone Don Bosco si adoperava a far uscire dal carcere di Civita Castellana un suo allievo, Bartolomeo Vaschetti, ivi detenuto da cinque mesi. Disertore dalle truppe italiane, erasi rifugiato nel Territorio Pontificio, dove, per misura prudenziale, tutti i disertori esteri venivano imprigionati e non rilasciati finchè una persona dello Stato non si rendesse garante presso le autorità. E la testimonianza resa da Don Bosco liberò il carcerato.

                Ma non riusciva ad ottenere un favore al benemerito Prof. Giuseppe Bonzanino, che sul principio dell'Oratorio e per più anni aveva accolto gratuitamente alle sue scuole private di ginnasio inferiore i nostri giovanetti studenti

 

9 - 5 - 69.

 

                               Carissimo Sig. Professore,

 

                Le nostre speranze rimasero totalmente deluse, come vedrà dalla lettera del Marchese Gualterio alla Contessa Digny. Pazienza.

                Se le sembra potersi tentare qualche altra strada, io farò quanto mi dice.

                Dio benedica Lei e tutta la sua famiglia, e mi creda con gratitudine.

                Di V. S. Carissima,

Aff.mo amico

Sac. Giov. Bosco.

 

                Non sappiamo di che si trattasse. Ma in altra più grave circostanza vide allora Don Bosco fallire le sue speranze. Il parlamento, contro le previsioni di molti, votava la legge che aboliva del tutto l'esenzione dei chierici dalla leva militare.

                Questa legge veniva promulgata il 27 maggio, e Don Bosco ne mandava l'annuncio ai Direttori dei collegi di Mirabello e di Lanzo, per mezzo di D. Lazzero. [639]

 

                               Carissimo in G. e M.

 

                Come saprai la legge dei Chierici è passata. A tal proposito Don Bosco mi lascia di avvertirti che tu incoraggisca i tuoi chierici pericolanti... perchè nessuno della Società sarà colpito. È parola di Don Bosco, e tanto basta.

                I miei rispetti e saluti a te come padre, e quel che dico del padre sia inteso dei figli.

                Spero di rivederti presto, e teco una porzione di tua famiglia.

                Voglimi sempre del bene, come te ne vuole il

tuo aff.mo

D. LAZZERO GIUSEPPE.

 

                I chierici provarono un gran sollievo per la promessa di Don Bosco: e d'uno di essi abbiamo questa cara lettera di ringraziamento.

 

 

                               Reverendissimo Signor Don Bosco.

 

                Nel tempo stesso in cui ho saputo essere passata la legge, direi iniquissima, contro i Chierici, ebbi una novella prova della paterna ed amorevolissima sollecitudine che ella si prende pei cari suoi figli. Più gravi sono i pericoli e più ella per loro conforto lavora indefesso. Quanto a me, chiamato agli studi in maniera straordinaria, guidato presso Don Bosco, per vie da me non mai prevedute, dalla provvida mano del Signore, che di me sembra essersi presa una specialissima cura, quantunque sempre tanto indegno, fin dal primo giorno in cui conobbi questa amata Società, fin d'allora l'amai, e non ho cessato ancora un istante di essere contentissimo del mio stato e dei voti perpetui da me fatti. Sono tante e sì grandi le prove d'affezione e della cura che ella sempre si prese di me, che io non posso esprimerle abbastanza con parole, quanto sento di dover esserle grato e quante obbligazioni abbia inverso di Lei. Di quanti beni spirituali e corporali non godetti io in questa società che certamente altrove non avrei goduti mai!

                Ma di tanta paterna sollecitudine ben altra più forte prova mi vien compartita dalla grande sua bontà in questa occasione. Senza di lei a quali pericoli non sarei io ora esposto per l'anima e pel corpo, chiamato sotto la leva militare da sì rigorosa legge. Il Signore saprà però da tanto male trarre molto bene e per la Società e per la Chiesa tutta, io lo spero. Aveva già tante volte avuto da Lei promessa che mi avrebbe liberato dalla milizia a qualunque costo: io quindi tutto appoggiato alla sua parola fui per nulla turbato alla notizia di tal legge a mio riguardo; ma riflettendo alla grandezza del benefizio che mi veniva fatto, mi sentii obbligato di farle sentire i miei più vivi sensi di  [640] gratitudine e di riconoscenza. Piaccia a Dio che ciò mi tenga sempre più legato coll'affetto alla Società, ed a' miei superiori, e che mai per l'avvenire possa loro rendermi menomamente ingrato.

                E al mio Signore di quante grazie non gli son io debitore! Come potrò ringraziarlo degnamente di una così singolare e premurosa protezione!

                Mi aiuti ella stessa, ed il Signore mi conceda alla fine, e presto, il Paradiso, affinchè prolunghi colà i miei ringraziamenti per tutta l'eternità.

                Signor Don Bosco, io sono tutto suo per tanti e tanti riguardi; lo era già prima, ma ora lo sono doppiamente. Disponga pur di me secondo il suo beneplacito, mi tratti come una palla da giuoco in sua mano, impiegando le deboli mie forze dove più le pare, se mai potessi in qualche cosa essere utile alla Società o alle anime redente col sangue preziosissimo del divin Gesù Salvatore. Scusi i modi di esprimermi, ma voglia accettare i miei più vivi sensi d'amore, riconoscenza e gratitudine inverso di Lei. Le auguro di tutto cuore le buone feste di Maria Ausiliatrice, e non potendo anch'io essere presente a tanta solennità, mi raccomando tanto alle sue preghiere.

                Mi conceda, o amato signor Don Bosco, la patema sua benedizione, ed io, baciandole riverentemente la mano godo sommamente dirmi suo,

 

                Lanzo Torinese, 29 maggio 1869.

Sempre aff.mo figliuolo spirituale

Ch. DAGHERO GIUSEPPE.

 

                E davvero quella legge, in allora e per più anni dopo, non colpì alcun salesiano. La protezione della Madonna SS., la carità istancabile di Don Bosco, la generosità e l'industria dei benefattori seppero operare prodigi di salvezza. Per tutti, finchè fu permesso, fu pagato il riscatto.

                Don Bosco intanto non aveva smesso il disegno di ottenere dal Governo la Chiesa del S. Sudario in Roma, e chiedeva informazioni e consigli agli amici di Firenze, pregandoli di un'azione efficace presso il Ministero.

 

Torino, 8 - 5 - 69.

 

                               Car.mo e Benemerito sig. Cavaliere,

 

                Ho ricevuto la sua lettera col pro - memoria. Mi terrò ai suoi suggerimenti che si compiace di darmi. Premessi i miei più vivi ringraziamenti alla S. V. car.ma, avrei ancora bisogno di qualche  [641] schiarimento a proposito, prima di formolare una dimanda a Firenze e sapere:

                1° Se dal 1851, anno a cui estende il promemoria, non cangiarono le persone e lo stato dell'amministrazione.

                2° La confraternita della S. Sindone esiste ancora ed esercita qualche autorità nella proprietà, o sui frutti o sull'amministrazione delle case o della chiesa?

                Se può Ella darmi schiarimenti ad hoc, va bene, altrimenti mi terrò alla dimanda in genere. Non so però se tale dimanda sia da inoltrarsi al sig. Conte Gualtiero o al sig. Conte Menabrea. Quando potessi ottenere la nomina dal nostro Governo, per ciò che riguarda a Roma non avrei alcuna difficoltà. Vi sarebbe la spesa della ristorazione della chiesa, che è cosa ingente, ma a questo si potrà anche provvedere appena la amministrazione sia definitivamente affidata a qualche persona determinata. Ella però mi continui i suoi preziosi consigli ed io li seguirò colla dovuta prudenza e con quella gratitudine che il favore si merita.

                Dio benedica Lei e la sua famiglia e mi creda con pienezza di stima di V. S. Carissima

aff.mo ed obbl.mo servo

Sac. Giov. Bosco.

 

                Il Cav. Canton gli rispondeva:

 

 

                               Rev.mo e Carissimo Signore,

 

                Sono in ritardo a riscontrare la preg.ma di lei lettera in data 8 corr. mese. Mi perdoni, non è per mancanza; per varie cagioni fui impossibilitato a riscontrarla.

                Passo subito a dirle:

                1° Che dal 1851 vi furono pochi cambiamenti nelle persone amministratrici della Chiesa e rendite del S. Sudario in Roma; solo si succedettero i nostri Ministri nell'eterna città, senza che per altro si occupassero molto della chiesa e dei restauri. Si fu per tale motivo che, non avendosi fatte a tempo debito le riparazioni, si dovette chiudere quasi la chiesa per l'impossibilità d'uffiziarla decentemente. Però i fondi non soffrirono avaria, epperciò son sicuro ch'ella non avrebbe a sottostare a spese o passività forti.

                2° La Confraternita del S. Sudario è estinta. Il Ministero degli Affari esteri, incaricato in base ad una semplice delegazione del Governo Pontificio alla Legazione Sarda che preesisteva, ne continua l'amministrazione adempiendo scrupolosamente tutti gli obblighi spirituali e temporali eseguiti da certo Cav. Bernetti, che è pure l'amministratore d'un Palazzo che il nostro Governo ha in Roma, conosciuto sotto il nome di Palazzo di Firenze in Campo Marzio. Seppi anche il che il Segretario è morto. [642] V. S. inoltri e presto la sua dimanda al Conte di Menabrea, formolata nel senso ch'ella chiede l'ufficiatura della chiesa del S. Sudario in Roma, che Ella è certa che il governo Pontificio vedrà con piacere tale atto e concessione, e che intanto chiede di sapere quali siano i trattamenti che si farebbero all'ecclesiastico che si adoperasse d'uffiziare la chiesa.

                Mi mandi la sua memoria, io la manderò a S. E. So ch'egli è ben disposto, e si desidererebbe veramente che la chiesa del S. Sudario rifunzionasse.

                Non so se questo mio riscontro soddisferà V. S. In ogni caso sono pronto a darle ancora tutti li schiarimenti ch'ella desidera.

                Mi creda di cuore e con rispetto

 

                17 maggio 1869.

Suo dev.mo e aff.mo

CANTON.

 

                E il Venerabile affrettavasi ad uniformarsi alle indicazioni del sig. Canton, cui mandava la sua istanza perchè la presentasse al Ministro.

 

 

                A Sua Eccellenza il Ministro Menabrea.

 

                               Eccellenza,

 

                Il Sottoscritto ricorre rispettosamente a V. E. per un favore che mentre tornerebbe di grande vantaggio ad un'opera di pubblica beneficenza, sarebbe eziandio glorioso al Governo e sommamente apprezzato dalla pubblica opinione dei buoni.

                Si rende noto a V. E. che allo stabilimento detto Oratorio di S. Francesco di Sales, in cui sono ricoverati oltre ottocento poveri fanciulli, di cui alcuni, che ne abbiano chiari segni di vocazione, abbracciano lo stato ecclesiastico, tornerebbe di non leggera utilità una chiesa ove potessero occuparsi uno o più preti con alcuni chierici, i quali, mentre si adoperano a promuovere il decoro delle sacre funzioni, avrebbero in pari tempo un mezzo materiale a fine di proseguir i loro studi.

                D'altro canto àvvi la chiesa del SS. Sudario posta nel sito più centrale di Roma, la quale chiusa da parecchi anni non è più funzionata, e va perdendo dell'antico e monumentale suo splendore a segno da minacciare rovina, se non sarà quanto prima ristorata e restituita ad uno stato da poter servire al divino culto. Ciò premesso, lo scrivente si fa ardito di supplicare V. E. onde voglia degnarsi di concedere a lui o per lui ad un prete del mentovato stabilimento, la Chiesa del SS. Sudario in Roma. A tale uopo si obbligherebbe della regolare ufficiatura, dell'adempimento di tutti gli oneri, della nettezza e di quanto concerne al decoro delle sacre funzioni. [643] Per quanto spetta al Governo Pontificio, l'esponente si assume di compiere le incombenze che potessero riferirsi a tale pratica, persuaso di non incontrare difficoltà, trattandosi di cose di utilità pubblica, civile e religiosa.

                Riguardo poi alle spese che occorrerebbero per la ristorazione, il governo, se lo giudicasse opportuno, potrebbe, o fare eseguire i lavori a suo conto, oppure cedere il patronato cogli altri diritti a chi volesse adoperarvi la spesa relativa a questi restauri. Ma ciò essendo cosa accessoria, si rimette totalmente al buon volere della E. V.

                È questa l'opera che si propone alla E. V. In questa guisa sarebbe tolto il motivo di grave rincrescimento, quale provano tutti gl'Italiani nel vedere una maestosa basilica, sita nella più favorevole località di quella città, chiusa e minacciante rovina.

                Spero che il sovra esposto verrà preso in benigna considerazione, e perciò augurando alla E. V. copiose celesti benedizioni, si professa con profonda gratitudine,

                Della E. V.

 

                Maggio 1869.

Um.mo Supplicante

Sac. Gio. Bosco.

 

                E il cav. Canton avvisava Don Bosco di aver eseguito il suo mandato.

 

 

                               Ill.mo e Rev.mo Signore,

 

                S. E. il Conte Menabrea è in possesso della memoria per l'Ufficiatura della Chiesa del S. Sudario in Roma ch'ella mi ha trasmesso ieri. Io fo voti perchè a V. S., di preferenza d'altri, venga l'incarico affidato.

                Seppi però da fonte autorevole che S. E. già da qualche tempo ha un sacerdote Savoiardo in vista per ciò. Mi riserbo, appena saprò dirle alcunchè, di scriverle. Se ella ha mezzo di far anche appoggiare la sua dimanda da alcuno dei parenti in Torino di Casa Manabrea, od anche presso il Digny, sarà bene.

                Sempre disposto ai di lei cenni e raccomandandomi alle di lei preghiere, passo a dirmi,

                Di V. S. Rev.ma,

 

                20 maggio 1869,

Dev.mo e aff.mo

CANTON.

 

 

CAPO LI. Il Popolo riconosce sempre più in Don Bosco il dono della guarigioni - Novena di Maria Ausiliatrice: guarigione istantanea di una fanciulla cieca. - La vigilia della festa: un generale moribondo riacquista la sanità in modo mirabile - Cenni della festa: una guarigione promessa ed ottenuta - Un medico incredulo convertito e risanato - Don Bosco a Lanzo Per la festa di S. Filippo Neri: fatti meravigliosi - Lettera di Don Bosco al Can. Almerico Guerra in ringraziamento di un suo libro - Letture Cattoliche.

 

                DON Bosco, scrisse Don Bonetti Giovanni in una sua memoria, fu dotato copiosamente del dono di operare guarigioni, ora di presenza, ora anche da lontano; e questo dono era così manifesto ed accertato che in Torino il Servo di Dio era ogni giorno visitato da moltissimi ammalati o dai loro parenti, che venivano anche da remoti paesi affine di implorare le sue preghiere e la sua benedizione.

                È perciò che ovunque si recasse accorrevasi a lui da tutte parti; e ad ogni posta le lettere erano numerosissime, e soventissimo, anche dall'estero, gli pervenivano telegrammi. I moribondi il più delle volte ottenevano miglioramento, e poscia la guarigione, in modo straordinario; oppure, se prima maldisposti, si disponevano alla morte coi migliori sentimenti di pietà e di religione. [645] Alla prova dei fatti si videro sempre uniti presso i popoli i nomi di Maria Ausiliatrice e di Don Bosco, essendo opinione comune che la Madonna concedesse tante grazie per le preghiere del fedele suo Servo: e se il consenso universale costituisce una prova nella dimostrazione di una verità, questa prova esiste indubitatamente riguardo a Don Bosco..

                Nell'Oratorio, nel mese di maggio, e specialmente nella novena e festa di Maria Ausiliatrice, si cominciò ad essere testimoni di tali meraviglie. Eccone alcune del 1869.

                Racconta Don Francesco Dalmazzo:

                “ La sera della vigilia di una solennità (Pentecoste, 16 maggio) i giovani verso le cinque si erano in buon numero recati nella sagrestia della chiesa di Maria Ausiliatrice per prepararsi alla confessione; e stavano attendendo che Don Bosco discendesse dalla sua camera. Mentre io traversava la sagrestia per andare in chiesa, vidi entrare una donna avvanzata in età, che teneva per mano una fanciulla tra i dieci o dodici anni cogli occhi bendati e perfettamente cieca. Questa era di Vinovo e chiamavasi Maria Stardero; era qui condotta perchè Don Bosco la benedicesse. Mi fermai, dissi qualche parola alla vecchia, la quale lui fece vedere gli occhi della povera inferma. Vidi ed osservai, con non poca mia pena, che erano privi della cornea della pupilla e bianchi come due ovoli.

                Io avrei potuto vedere il fatto portentoso che accadde, in tutte le più minute circostanze, se mi fossi fermato; ma mi furono riferite pochi istanti dopo dai giovani presenti.

                Don Bosco discese in sagrestia e quella vecchia, che era zia della bambina, gli presentò la povera cieca perchè la benedicesse. - Da quanto tempo hai male agli occhi? chiese alla fanciulla.

                - Che soffro è molto, ma che non ci vedo è forse da due anni.

                - Sono stati consultati i medici? che ne dicono? e i rimedii che ti hanno ordinato li hai praticati?

                - Rimedii? Si figuri, rispose la zia, se non abbiamo [646] adoperati rimedii! Ma nessuno ha giovato. I medici poi dicono che gli occhi sono guasti e non lasciano alcuna speranza. - E la poveretta piangeva.

                E Don Bosco alla fanciulla: - Distingui gli oggetti grossi dai piccoli?

                - Io non distinguo nulla, affatto nulla; risponde la Maria.

                - Togliete questa benda, disse allora il Servo di Dio; - e fatta condurre la fanciulla davanti una finestra ben illuminata le domanda: - Vedi la luce di questa finestra?

                - Povera me! non vedo nulla!

                - Vorresti vedere?

                - Vedere? Io lo desidero più che ogni altra cosa di questo mondo... Oh come è triste la mia sorte. - E singhiozzava.

                - Ti servirai degli occhi pel bene dell'anima e non per offendere Dio?

                - Glielo prometto con tutto il cuore.

                - E tu riacquisterai la vista!

                Don Bosco allora chiese alla zia ed alla nipote se avevano divozione e confidenza verso Maria SS., e avuta risposta affermativa, condusse entrambe ad un inginocchiatoio e fattele prostrare, interrogò la fanciulla se sapesse dir bene l'Ave Maria; e inteso che sì, gliela fece recitare, associandosi egli colla buona vecchia alla sua preghiera. Udendo poi che sapeva anche la Salve Regina, anche questa venne recitata. Quindi Don Bosco, incoraggiando entrambe ad avere grande, assoluta confidenza nella Madonna, diede alla bambina la sua benedizione e, tratta fuori dalle tasche una medaglia di Maria SS. Ausiliatrice, gliela presentò dicendo: - A gloria di Dio e della beatissima Vergine dimmi: - Che cosa ho io in mano?

                La zia sollecita si alza e dice a Don Bosco: - È cieca, sa, e non vede niente!

                Don Bosco non le bada e ripete alla bambina: - Guarda bene: che cosa ho io in mano?  [647] La bambina fa uno sforzo, e ad un tratto, spalancando un bel paio di occhi, fissa quell'oggetto e alzando le mani grida: - Io vedo!

                - Che cosa?

                - Una medaglia! la medaglia della Madonna!

                - E dall'altra lato della medaglia che cosa c'è?

                - S. Giuseppe con un bastone fiorito in mano.

                - Oh Santa Vergine, esclamò la zia; dunque ci vedi?

                - Ma sì che ci vedo. La Santa Vergine mi ha fatta la grazia.

                E così dicendo stende la mano per prendere la medaglia che Don Bosco le porge, ma questa le cade in un angolo oscuro della sagrestia. La zia si curva per raccattarla, ma Don Bosco vi si oppone dicendole: - Lasciate fare a lei: vedremo se la Santa Vergine le ha ottenuta perfettamente la vista. - E la giovinetta ritrova subito la medaglia. La zia si mise a piangere per la commozione e dopo aver ringraziato Don Bosco e la Madonna, continuando a piangere, se ne andò. La giovanetta come frenetica, gridando dalla gioia, aveala preceduta; e senza dir più una parola a nessuno si dirigeva in fretta verso Vinovo, tenendole dietro alla lunga la zia e un'altra donna che avevala accompagnata.

                Molti alunni erano stati presenti al miracolo e con questi il Sac. Scaravelli Alfonso, Genta Francesco di Chieri e Maria Artero, maestra di scuola”.

                La fanciulla guarita non molto tempo dopo tornò all'Oratorio a ringraziare la SS. Vergine della vista ricuperata e a presentare per la sua Chiesa l'offerta maggiore che le permettevano i mezzi di sua famiglia. Da quel tempo non ebbe più il minimo incomodo agli occhi, ed anche oggi (1916) li ha sanissimi, e la zia che aveala accompagnata non patì più fino al termine della vita un grave reumatismo, che, facendole dolere la spalla e il braccio destro, la rendeva da un bel pezzo incapace di qualunque grave fatica, specie in campagna. [648] Il mese di maggio fu segnalato quest'anno da un altro miracolo della Madonna.

                “Fra i molti venuti a ringraziare la Madonna per favori ricevuti vi fu un patrizio torinese, scrisse D. Francesia alla Presidente di Tor de' Specchi, che dopo aver ricevuto l'olio santo ebbe la promessa da Don Bosco che sarebbesi riavuto e avrebbe potuto rivenire a vedere la festa di Maria Ausiliatrice. E venne e il vederla fu causa di comune meraviglia e devozione”. Ecco altri particolari.

                Un generale, abitante a Torino, ridotto da una fortissima malattia agli estremi, il 22, sabato, venne confessato dal Servo di Dio, che, con istupore di tutta la famiglia, non credette opportuno dargli gli altri sacramenti, sebbene i medici dichiarassero che il pericolo di morte era imminente. Don Bosco aveva tenuto all'ammalato questo discorso:

                 - Generale, doman l'altro celebriamo la festa di Maria SS. Ausiliatrice; la preghi di cuore, ed in riconoscenza della sua guarigione venga quel giorno a comunicarsi là.

                Essendo il giorno seguente fuor di maniera peggiorato l'infermo, cosicchè temevasi dovesse soccombere da un momento all'altro, la famiglia voleva fargli amministrare gli ultimi sacramenti; ma perchè Don Bosco avea raccomandato che non gli dessero l'Olio Santo, se non ci si trovasse lui, alle otto della sera mandarono di corsa ad avvertirlo del gravissimo pericolo in cui stava il generale e del timore che i medici avevano manifestato di non ritrovarlo vivo la mattina dopo. Quel giorno, essendo la vigilia di una festa tanto cara alla famiglia salesiana, Don Bosco era stato in confessionale dall'alba; e vi ritornava verso le 6 pomeridiane. Quando vennero a chiamarlo ei si trovava ancora circondato da un bel numero di fanciulli, che aspettavano di confessarsi.

                 - Venga presto, gli dicono, chè il generale muore e forse ella non giunge a tempo. - Ma vedete bene, ei risponde, che io confesso e non posso rimandare questi poveri fanciulli: quando avrò fatto, verrò. - E con questo continuò a confessare [649] fino alle undici. La vettura lo aspettava da tre ore, quando: - Faccia presto, per carità, gli dice colui che era venuto a prenderlo - ma D. Bosco gli risponde che non ne può più e ha bisogno di prendere qualcosa, non avendo preso più nulla da mezzogiorno. - Venga, venga; in casa del generale avrà tutto. - Sale allora in vettura ed in due minuti sono all'uscio del generale. - Presto, presto, gli dicono quei della famiglia; forse non è più in tempo: il povero generale è tanto peggiorato! - Ed egli: - Uomini di poca fede! Non vi aveva io detto che il generale farà domani la Comunione in Maria Ausiliatrice? È quasi mezzanotte ed io ho bisogno di mangiare, tanto più che domani dovrò trovarmi in confessionale alle cinque: mi favoriscano un po' di cibo.

                Don Bosco si mette allora con tutta calma a tavola, e poi, preso un po' di refezione, benedice l'infermo, non parla d'Olio Santo, risale in vettura e torna all'Oratorio. Il generale, che credevano morto, trovavasi invece in uno stato di immobilità, inesplicabile agli stessi periti dell'arte, ma che era un semplice sonno: e il fatto sta che alla mattina seguente di buon'ora egli dice al figlio che gli faccia avere gli abiti, perchè voleva recarsi, secondo il convenuto tra loro, a ricevere la S. Comunione dalle mani di Don Bosco. Verso le otto, mentre il Servo di Dio si parava per andare all'altare, gli si presenta un tale, tutto pallido, che gli dice: - D. Bosco, son venuto: eccomi qui. - Ho piacere: ma con chi ho l'onore di parlare? - Come! come! non riconosce più il generale? - Ah! benedetta sia Maria SS. Ausiliatrice. Glielo aveva ben detto che oggi ella sarebbe venuta in questo santuario dedicato a questa nostra buona Madre! - Mi scusi, signore, desidererei si compiacesse udire la mia confessione, perchè voglio, secondo il suo consiglio, comunicarmi alla sua Messa. - Non si confessò ier l'altro? - Sissignore, e voglio almen accusarmi di aver mancato di fede, perchè me ne conosco colpevole. [650] Il sacerdote allora lo riconciliò, quindi gli diede la S. Comunione, ed il generale ritornossene a casa in istato di perfetta salute[32].

                Il 23 domenica finiva la bella e santa novena di Maria Ausiliatrice con molta frequenza di forestieri. L'Unità Cattolica scriveva il 26 maggio:

 

                La cara festa fu per la seconda volta celebrata tra noi con maggior pompa e magnificenza dell'anno scorso. È incredibile il concorso dei fedeli alla nuova Chiesa, quantunque il tempo fosse piovoso. Le Comunioni ascesero a qualche migliaio. Pontificò nei secondi Vespri Mons. Gastaldi, Vescovo di Saluzzo, ed impartì la benedizione col Santissimo l'Arcivescovo di Torino. Il Canonico Nasi parlò all'immenso uditorio della potenza e della bontà di Maria, e ne parlò più col cuore che colla voce, come un figlio amoroso parla della più grande ed affettuosissima madre. Quattrocento voci cantarono il Sancta Maria, sucurre miseris, e quell'antifona sapientemente musicata dal Sacerdote D. Cagliero, nei tempi presenti riusciva più che mai sublime. Era un popolo di cantori che provocavano l'intervento materno della Vergine potente in favor della Chiesa e del Clero: interveni pro Clero. Fu un vero trionfo di Maria che in tempi così tristi siasi potuto celebrare la festa con tranquillità e tanta religione.

 

                Altre prove di sua bontà dava la Madonna in quel tempo.

                Un medico, molto stimato nella pratica dell'arte sua, presentossi un giorno all'Oratorio e domandò di parlare con Don Bosco.

                Giunto dinanzi a lui, dopo alcune parole, uscì fuori con questo discorso: - Dicono che lei guarisce tutte le malattie: è vero?

                 - Io? nient'affatto, esclamò il Venerabile.

                 - Se me l'hanno assicurato! nominandomi le persone e dicendomi anche il genere delle malattie.

                 - Ecco: molti vengono qui a chieder grazie per intercessione di Maria Santissima Ausiliatrice; se poi dopo un triduo od una novena costoro ottengono quanto desiderano,  [651] e guariscono: non sono mica io: è un favore unicamente della SS. Vergine.

                 - Ebbene: Maria guarisca me, ed io crederò a questi miracoli.

                 - Qual è la sua malattia?

                Il dottore narrò che egli era soggetto ad epilessia e che, specialmente da un anno a quella parte, gli assalti del male s'eran fatti tanto violenti da non poter uscire senz'essere accompagnato, per paura di qualche insulto. Conchiuse dicendo che in nessun rimedio aveva trovato giovamento, e che nella disperazione era venuto al Santuario di Maria Ausiliatrice a cercar salute come tanti altri.

                 - Allora faccia come gli altri: s'inginocchi per recitar meco qualche preghiera, e si disponga a purificare e nutrir l'anima sua colla confessione e comunione, se vuole che la S. Vergine lo consoli.

                 - Mi ordini altro, perchè questo non lo posso fare.

                 - E perchè?

                 - Commetterei un'ipocrisia, dacchè non credo nè in Dio nè alla Vergine, nè alla preghiera, nè ai miracoli.

                Il Venerabile restò alquanto costernato a quest'atto d'incredulità, poi coll'aiuto divino trovò parole sì penetranti, che il dottore s'inginocchiò, si fece il segno della Croce.

                 - Mi meraviglio, diceva egli, di saperlo fare ancora, essendo quarant'anni che non mi sono più segnato.

                Intanto pregò, poi si confessò, e quando si fu alzato disse di sentirsi interiormente mutato, e ripieno di una gioia che non avrebbe aspettato. Anche la salute esterna rifiorì e non ebbe più a lamentare nemmeno un insulto del brutto male; cosicchè potè tornar sovente a ringraziare Maria SS. Ausiliatrice, che lo avea guarito e d'anima e di corpo.

                Finite le feste di Maria Ausiliatrice, il giorno 30 di maggio si doveva celebrare nel Collegio di Lanzo la solennità del Patrono, San Filippo Neri. La chiesa e il cortile erano addobbati splendidamente in attesa di Don Bosco che, dovendo [652] arrivare il mattino del 29, seguito dai cantori dell'Oratorio e dalla banda musicale che sarebbero giunti alla sera, aveva destato fra i giovani un entusiasmo indescrivibile.

                Ma non tutti, con vivo dolore, potevano partecipare alla gioia comune. Sette alunni erano infermi per vaiuolo che in alcuni incominciava allora a manifestare le sue pustole, che in altri erano già sviluppate. Essendo un d'essi andato imprudentemente sul poggiuolo all'aria aperta con pustole non ancora mature, queste erano rientrate, e a forza di sudoriferi si riusciva a stento a farle ricomparire. Gli infermi, per ordine del dottor Magnetti, stavano appartati dai compagni in una camera calda, ove le finestre e la porta erano difese anche da doppia coperta. Ma gli infermi, impazienti di quella reclusione, avevano combinato un disegno: - Don Bosco viene; ci benedice e noi risanati godremo la festa! - E senz'altro mandarono a chiamare il Direttore e lo pregarono di accompagnare Don Bosco nella loro stanza, appena fosse giunto. Intanto ciascuno fece porre i suoi abiti ai piedi del letto.

                Don Bosco arriva, tutti gli alunni gli corrono incontro acclamandolo, sicchè il Direttore dovette ritardare di una buona mezz'ora a condurlo in infermeria. E gli ammalati mandano un messo con premurose istanze. Don Bosco va a visitarli; e quelli appena lo videro, tutti ad una voce:

                 - Oh! Don Bosco, ci benedica, ci guarisca!

                Don Bosco sorrise a quella domanda e chiese loro se avessero fede nella Madonna. Risposero di sì. Ed egli:

                 - Recitiamo dunque tutti insieme, l'Ave Maria! quindi li benedisse.

                Ciò fatto, i giovani seduti sul letto, colle mani tese verso i vestiti, gli domandarono: - Possiamo alzarci?

                 - Ma avete proprio fede nella Madonna?

                 - Sì... sì...

                 - Ebbene: alzatevi! - disse D. Bosco, e si ritirò

                I giovani, in fretta e in furia, incominciano a vestirsi.  [653] Il direttore, accompagnato Don Bosco in camera, ritornò subito presso gli infermi per constatare l'efficacia della benedizione. Ma sei di que' giovani eran già corsi in cortile a giuocare. Solo uno s'era fermato a letto, un certo Giovanni Baravalle, il quale gli chiese se alzandosi non avrebbe peggiorata la sua condizione. Il direttore, vedendo in lui mancare quella fede che giudicava necessaria per poter guarire sul momento, stante la gravità del morbo, non maggiore del resto a quella degli altri, gli impose di non alzarsi. Scese quindi in cortile. Su quella vetta alpina spirava un vento umido e freddo, ed egli era soprappensiero ed angustiato sia per la sua responsabilità, sia per gli ordini del medico che aveva raccomandato molte precauzioni, tra cui che gl'infermi non fossero assolutamente esposti all'aria. In mezzo al tumulto de' giuochi, andò in cerca dei suoi infermi, li esaminò ad uno ad uno nella faccia, nel collo e nelle braccia, e vide che tutte le pustole e le macchie erano scomparse.

                Fra i guariti vi erano gli alunni Giuseppe Demagistris, poi professore nei Regi licei in Torino e Carlo Passerini professore nei corsi tecnici in questa stessa città. Ambedue son pronti a testificare il fatto con giuramento.

                Il domani, 30 maggio, in collegio fu gran festa, che finì la sera colla solenne distribuzione del premio di buona condotta, dato a sei convittori col plebiscito di tutti i compagni. Era presente un gran numero d'invitati.

                Il primo chiamato a ricevere il premio fu Demagistris.. . Il Dottore Magnetti si alzò e rispose per lui a quell'appello: - Infermo! - Ma con suo stupore l'ode rispondere: - Presente! - E lo vede avanzarsi.

                Il secondo chiamato fu Passerini e il medico ripetè! Infermo! e il giovane rispondendo: - Presente! - andò innanzi a Don Bosco. Il medico non potè contenere il suo sdegno: chiamò a parte i due alunni, li visitò, disse che le pustole erano rientrate, e che l'affare era serio e che i Superiori erano responsabili di quanto potesse accadere. Quindi [654] salì in infermeria e, trovatovi il solo Baravalle, ne uscì dispettosamente.

                Infatti, senza l'intervento di un aiuto soprannaturale, quei giovani non avrebbero potuto senza grave pericolo passare da un caldo ambiente all'aria fredda del cortile e rimanervi per lungo tempo senza pericolo. Invece erano guariti perfettamente, eccetto il Baravalle, la cui malattia continuò il suo corso regolare, perchè, con le buone cure del Dott. Magnetti, egli potè lasciare il letto circa venti giorni dopo.

                Da Torino Don Bosco scriveva al rev.mo signore Don Almerico Guerra a Lucca. Questi in un suo libro: Le vocazioni allo Stato Ecclesiastico, inviato in omaggio al Venerabile, con parole di somma lode aveva fatto più volte menzione di lui, elogiando il suo zelo nel favorire le vocazioni ecclesiastiche, commendando varie sue operette e l'edizione purgata dei classici latini, e chiamando i collegi e le scuole di Don Bosco “veri seminari di virtù” che “forniscono buonissimi chierici ed ottimi Preti”.

 

Torino - Valdocco, 6 - 6 - 69.

 

                               Carissimo nel Signore,

 

                Ho ricevuto il suo libro Le Vocazioni allo stato ecclesiastico e la ringrazio ben di cuore. Esso è veramente fatto tutto secondo il mio spirito e desidero vivamente che esso corra tra le mani degli educatori della gioventù. La cosa che mi rincresce si è la galante comparsa che fa fare alla povera mia persona, che non ne ha merito. Tuttavia la ringrazio cordialmente della sua bontà.

                Intanto se l'edizione è in suo potere la prego di mandarmene per ora dieci copie: più tardi ne dimanderò maggior numero. L'importo prego dimandarlo al comun amico P. Bertini, con cui ho conti aperti.

                Se mai si trattasse della ristampa, volentieri vi farei alcune noterelle. Sarebbero lezioni a Minerva: ma se non altro saranno sempre segni di buon volere verso ad un amico.

                Dio benedica Lei e le sue fatiche, preghi per la povera anima mia e mi creda con gratitudine ed affetto

                Di V. S. Rev.ma,

aff.mo in G. C.

Sac. Gio. Bosco. [655]

                Da Don Bertini il sac. Almerico Guerra riceveva i fascicoli delle Letture Cattoliche. Anche queste, nei mesi di giugno e luglio di quell'anno, trattavano in modo più generale l'argomento delle vocazioni col titolo: - L'entrata nel mondo ovvero consigli ad un giovanetto che lascia le scuole per abbracciare uno stato. - Era un'aurea operetta che aveva anche di mira i giovani della classe operaia. In capo alla prefazione recava il passo biblico: “Mettete in pratica le cose che apparaste e il Dio della pace sarà con voi (Filippesi IV, 9).” Molte ammonizioni sono tratte dalla Sacra Scrittura. Avvisa i giovani dei pericoli che incontreranno nel mondo, e insegna loro i modi per superarli. Suggerisce i mezzi di perseverare nella retta via. Dimostra l'importanza di seguire la propria vocazione, di studiarsi per conoscerla e l'obbligo di seguirla, o nello stato ecclesiastico, o nel religioso, o in quello secolare. Osserva che lo stato che meglio conviene al maggior numero de' giovani si è di seguire quello del proprio padre, abbracciando l'arte il mestiere da lui professato, senza ambire di mutar fortuna, col darsi agli studi, o col cercare impieghi in città, lontani dai parenti.

                È un opuscolo che (ritoccato, ove sembra conveniente), dovrebbe essere ristampato e messo in mano a quanti finiscono il tirocinio nelle nostre Scuole Professionali.

 

 

CAPO LII. Il Procuratore generale del Re in Torino esige che Don Bosco domandi il Regio Exequatur per il decreto Pontificio del 1° marzo - Don Bosco acconsente a fare la domanda - Il Consiglio di Stato la respinge - Cause della negativa - Scioglimento pacifico della questione - Documenti.

 

                NEL 1867 il Ministro dell'Interno Urbano Rattazzi, avendo avuto notizia del decreto 23 luglio 1864, col quale la S. Sede aveva collaudata la Pia Società di S. Francesco di Sales, domandò a Don Bosco di poter vedere quell'atto pontificio. Don Bosco glielo aveva mandato, perchè si potesse asserire non aver egli fatto nulla, inconscio il Governo. Fu una semplice curiosità del Rattazzi. Infatti nè si parlò di Regio Exequatur, nè vi fu alcuna molestia.

                Si è detto come le modalità della parte legale delle Costituzioni della Pia Società Salesiana fossero state consigliate a Don Bosco dal predetto Ministro.

                Ma il decreto del 1° marzo 1869 che approvava la Pia Società interessò un po' più il Procuratore del Re in Torino, che intimò a Don Bosco, con minacce, di consegnargli quel Decreto che dichiarava esente dalla giurisdizione dell'Ordinario lo stabilimento da lui diretto, cioè l'Oratorio, e di presentar istanza per avere il R. Exequatur.

                Come mai l'autorità politica s'interessava tanto in una cosa strettamente ecclesiastica? !  [657] Don Bosco non tardò a soddisfare il volere del Procuratore del Re, dichiarando, che sebbene non avesse creduto necessario inviargli in antecedenza il decreto, tuttavia, ove occorresse, egli non aveva difficoltà a che si compissero le pratiche del R. Exequatur, ed anzi lo pregava ad iniziarle. In seguito, gl'inviava anche un'istanza in proposito.

                Il Procuratore, dopo circa un mese e mezzo, gli rispondeva che prima di dar corso all'istanza, era necessario che presentasse anche il decreto del 19 febbraio, accennato nel decreto del 1° marzo 1869.

                Il Servo di Dio rispose che non c'era alcun decreto papale in data 19 febbraio, riguardante la Pia Società di S. Francesco di Sales; ma che la data suddetta non indicava altro che il giorno in cui la causa dell'approvazione della Pia Società di S. Francesco di Sales era stata discussa e approvata dalla S. Congregazione e dal S. Padre, come è detto chiaramente nel 1° marzo.

                Le pratiche intanto continuarono, ed ebbero, per conclusione, il rinvio dell'istanza a Don Bosco colla seguente nota in calce:

 

                N° 40 V°. Non si fa luogo al chiesto Exequatur.

                Torino, 23 novembre 1869.

Il Procuratore Generale

EULA.

 

                Nello stesso tempo il Procuratore ritenne e non restituì il decreto di approvazione della Pia Società.

                Ma neppure questa specie di sequestro ebbe alcuna disgustosa conseguenza, perchè il Procuratore, per interposizione di autorevole persona, desistette dalle sue pretese e Don Bosco potè godere liberamente del privilegio concessogli.

                Ecco, in ordine, i documenti che abbiamo, intorno a, tale vertenza. [658]

 

                UFFICIO

                DEL PROCURATORE GENERALE

                PRESSO LA CORTE D'APPELLO

                DI TORINO

                N. 2032.

Torino, 8 giugno 1869.

 

                               Ill.mo e M. Rev.do sig. Teol. Giovanni Bosco

 

                Venni da varie fonti assicurato, che la S. V. Ill.ma e Molto Rev.da abbia da alcuni mesi ottenuto dalla Santa Sede un Breve, con cui lo Stabilimento da Lei diretto sarebbe stato dichiarato esente dalla giurisdizione dell'Ordinario Diocesano, e che Ella avrebbe già posto in esecuzione il Breve stesso.

                Non essendosi siffatta provvisione presentata pel Regio Exequatur, io potrei promuovere senz'altro un procedimento penale per violazione delle disposizioni che regolano il Regio Exequatur.

                Innanzi tutto però credo di rivolgermi alla S. V. Ill.ma e Molto Rev.da invitandola a presentare a questo Generale Ufficio, senza maggior indugio, il Breve di cui si tratta, insieme colla relativa domanda di Exequatur.

                Attenderò in ogni caso che si compiaccia di farmi un cenno di riscontro.

Il Procuratore Generale

EULA.

10 giugno 1869.

 

                               Ill.mo sig. Procuratore Generale,

 

                Mentre ringrazio di tutto cuore la V. S. Ill.ma per la bontà che si degna usarmi, mi affretto di mandarle non il Breve, ma il Decreto con cui la Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari commenda la Pia Società di S. Francesco di Sales.

                Debbo per altro notare che, appena ricevuto tale decreto, ho giudicato opportuno di consultare un accreditato avvocato, perchè mi dicesse se dovessi presentarlo al R°. Exequatur. Mi rispose che a lui sembrava di no. Perchè tutte le Congregazioni Ecclesiastiche, i cui individui conservano i diritti civili, esercitano qualche giurisdizione senza che abbiano alcuna approvazione governativa in proposito. Tanto meno, soggiunse, nel mio caso, non esercitandosi alcuna giurisdizione. Fecemi le seguenti osservazioni che varranno anche a far noto che le fonti a cui vennero attinte le notizie a V. S. Ill.ma deferite, erano inesatte.

                Questo decreto riguarda per nulla allo Stabilimento di S. Francesco di Sales; ma bensì ad una Pia Società di individui che hanno il pio scopo di conservare lo spirito e le norme che l'esperienza fa conoscere vantaggiose per la coltura dei ragazzi poveri ed abbandonati, al cui [659] vantaggio sono totalmente consecrati quelli che alla medesima intendono di ascriversi. I suoi membri, se vogliono, possono stare alle case loro e prestare l'opera loro per togliere dalle strade e dalle piazze i poveri ragazzi, a fine di avviarli alla moralità, a qualche arte o mestiere.

                Codesta pia Società non esenta dalla giurisdizione dell'Ordinario, ma dipende totalmente: salva Ordinarium iurisdictione, dice il decreto.

                Le regole poi sono appena lodate, ma non approvate, siccome apparisce dalle stesse parole del Decreto: Ditata ad opportunius tempus constitutionum approbatione, quae emendandae erunt, etc.

                Vi è la facoltà di dare le dimissorie a quelli che accolti nelle nostre case prima dei quattordici anni, volessero poi far parte della Società, ma queste dimissorie non racchiudono alcuna giurisdizione. Qualora fosse il caso, che finora non s'è ancora dato in questa archidiocesi, il Superiore della Società dichiara semplicemente che il candidato N. N. a lui sembra istruito, di buoni costumi, esente dai difetti di irregolarità, e perciò poter essere ammesso alle Sacre Ordinazioni. Con questa dichiarazione egli si presenta dal suo Ordinario il quale, dopo essersi assicurato della scienza, moralità e di quanto ricercasi a chi vuol essere ammesso a tutti i gradi, ammette o non ammette secondochè giudicherà opportuno. Mi sembra che il Superiore di codesta Società in simili casi non eserciti giurisdizione alcuna, e che la giurisdizione sia tutta in mano dell'Ordinario.

                Tuttavia nel desiderio di tenermi a qualunque legale prescrizione, se V. S. Ill.ma giudicasse che questo Decreto dovesse sottoporsi al R.° Exequatur, io la supplico a voler fare quanto occorre in proposito, che dal canto mio non mi rifiuto alla tassa, alle formalità e prescrizioni dalle vigenti leggi prescritte.

                Pieno di gratitudine sui benevoli riguardi che V. S. Ill.ma si degna usarmi, confidando tuttora nella continuazione della sua bontà, ho l'alto onore di potermi professare,

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

 

                UFFICIO

                DEL PROCURATORE GENERALE

                PRESSO LA CORTE D APPELLO

                DI TORINO

                N. 2076.

                Regio Exequatur.

Torino, 13 giugno 1869.

 

 

                               All'Ill.mo e M. Rev.do sig. Teol. Giovanni Bosco,

 

                Avendo esaminato il decreto della Santa Congregazione dei VV. e RR. statomi trasmesso dalla S. V. Ill.ma e Molto Rev.da colla pregiata [660] sua lettera del 10 corr. mese, ho dovuto convincermi come tale provvisione debba andar soggetta al Regio Exequatur.

                La prego pertanto di volerne fare la voluta dimanda, presentandola a questo Generale Ufficio stesso su carta da bollo di C.mi 50, dopo di che sarà mia cura di dare in proposito gli opportuni provvedimenti.

Il Procuratore Generale

EULA.

 

 

Torino, 16giugno 1869.

 

                               Onorevolissimo sig. Procuratore Generale,

 

                Il Sottoscritto espone rispettosamente a V. S. Onorevolissima come nel suo desiderio di promuovere il bene della gioventù povera e pericolante, col permesso delle autorità ecclesiastiche, apriva parecchi oratorii con giardini e scuole annesse. A fine poi di provvedere assistenti e maestri che acquistassero e conservassero lo spirito e le norme che lo studio e la esperienza fanno ravvisare più opportune, formava un'Associazione di caritatevoli e zelanti individui col nome di Pia Società di S. Francesco di Sales. Ora in data 1° marzo dell'anno corrente dalla Congregazione dei Vescovi e Regolari essendosi ottenuto un Decreto a favore di tale associazione, supplica V. S. a volerlo esaminare e, dove lo giudichi, sottoporlo al Regio Exequatur in conformità alle vigenti leggi.

                Con gratitudine ho l'onore di professarmi,

                Della S. V. Onorevolissima

Umile Ricorrente

Sac. Gio. Bosco.

 

 

                UFFICIO

                DEL PROCURATORE GENERALE

                PRESSO LA CORTE D'APPELLO

                DI TORINO

                N. 40.

Torino, il 2 agosto 1869.

 

 

                               All'Ill.mo e M. R. Teol. D. Giovanni Bosco,

 

                Prima di provvedere sull'istanza esposta dalla S. V. Ill.ma e M. Rev.da per ottenere che sia concesso il R. Exequatur al Rescritto Pontificio del 1° marzo u. s. relativo alla Congregazione di Sacerdoti, istituita sotto il titolo di S. Francesco di Sales, mi occorrerebbe ancora di prendere visione del Decreto 19 febbraio p. p. indicato dal Rescritto stesso.

                Mi rivolgo perciò alla cortesia della S. V. Ill.ma pregandola di voler far tenere siffatto decreto a questo Generale Ufficio.

Il Procuratore Generale

                EULA. [661]

                REGNO D'ITALIA

                MINISTERO DI G. G. E DEA CULTI

                3°Divisione - Sezione il N° 13.258 

Firenze, il 3 ottobre 1869,

                Affari di Culto

                OGGETTO

                Congregazione Religiosa Secolare

 

 

                A S. E. il Presidente del Consiglio di Stato.

 

Relazione Ministeriale.

 

                Il Procuratore Generale di Torino venne a sapere che in questa città erasi fondata una Pia Congregazione di Presbiteri, Chierici, e Laici, stretti dai soliti tre voti semplici di povertà, castità ed obbedienza, con un Generale o Rettore Maggiore, ed avente per iscopo, oltre alla propria santificazione, di attendere alla educazione temporale e spirituale dei poveri adolescenti. In somma era questa una Congregazione Regolare con vita comune e caratteri ecclesiastici.

                La Santa Sede, alla quale si fece ricorso per l'approvazione della nuova fondazione, in lui Rescritto del 23 luglio 1864, disse: “Attentis litteris commendatitiis praedictorum antistitum, uti Congregationem votorum simplicium sub regimine Moderatoris Generalis, salva Ordinariorum iurisdictione ad praescriptum sacrorum Canonum et Apostolicarum Constitutionum, amplissimis verbis laudavit atque commendavit...  dilata  ad opportunius tempus Constitutionum approbatione”.

                Fu un Decreto questo, che approvò lo scopo dell'unione, lodò l'unione stessa, ma non volle per allora approvare le Costituzioni, forse per non parere che si volesse dar vita ad un Ente morale ecclesiastico, schivando così gli effetti della legge di soppressione: disse però differita quella approvazione a tempo più opportuno, sperando forse che un tempo abbia a venire in cui gli Ordini Religiosi possano essere riammessi nel Regno.

                L'Arcivescovo di Torino lodò l'opera del Don Bosco; ma il Bosco, che voleva per tempo spiegare la giurisdizione generalizia sui Presbiteri e sui Chierici della sua Congregazione, reluttò quando l'Arcivescovo gli ordinò di mandare i Chierici al Seminario, secondo i Canoni del Concilio di Trento.

                Chiese Esso allora ed ottenne dalla Santa Sede un Rescritto in data del 1° marzo ultimo, col quale venne quella Congregazione dichiarata esente dalla giurisdizione dell'Ordinario Diocesano: ma tutto ciò compiutosi, il Procuratore Generale fece sapere al Bosco che tal Rescritto doveva per le leggi del Regno essere presentato all'Autorità Governativa pel Regio Exequatur .

                Sebbene non di buona voglia, pure il Don Bosco aderiva all'avviso ricevuto e presentava il Rescritto al Procuratore Generale.

                Da tale Rescritto E. V. rileverà, che il Don Bosco fu rivestito di [662] giurisdizione quasi vescovile sui componenti la sua Società, in detrimento della giurisdizione dell'Ordinario Diocesano, creando così una condizione di cose nuova, in pregiudizio degli ordinamenti giurisdizionali del Regno, in fatto ecclesiastico e contraria assolutamente all'art. 14° delle istruzioni emanate dal Pontefice Benedetto XIV per la esecuzione del Concordato conchiuso col Papa Benedetto XIII, istruzione e concordato tuttora vigenti nel Regno.

                Il Procuratore generale, per varie e gravi ragioni, opina che abbia a negarsi l'Exequatur a tale Rescritto, perchè volendosi anche considerare quella Congregazione una semplice unione libera di cittadini, costituitasi Essa in Sodalizio Religioso in tutte le forme ecclesiastiche, e con la vita comune, altro non è che la vera riproduzione di quelle Congregazioni abolite con la legge del 7 luglio 1866; e in altro aspetto lo stesso scopo che si propone, quello cioè dell'educazione dei giovani, potrebbe essere falsato, in quantochè gli individui di cui si compone la Congregazione, sono conosciuti per sentimenti restii e decisamente contrari al governo.

                Lo scrivente, mentre non dissente dal parere del Procuratore Generale che sia da negarsi il Regio Exequatur, si onora di inviare al E. V. gli atti analoghi per le deliberazioni del Consiglio di Stato a norma del decreto 5 marzo 1863.

Pel Ministro

FERRERI.

 

                Torino - Congregazione Religiosa di San

                Francesco di Sales - Bosco Sac. Giovanni.

 

                Adunanza delli 8 ottobre 1869 - N.° 793 - 5568.

 

                Exequatur  al Rescritto Pontificio in data 1° marzo 1869, con cui si fa facoltà a Don Gio. Bosco, quale Capo e Rettore della Congregazione suindicata, di concedere le lettere dimissoriali per conseguire la tonsura e gli ordini minori e maggiori.

 

SEZIONE DI GRAZIA E  GIUSTIZIA

E DEI CULTI

 

                La Sezione,

 

                Veduta la nota del Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti in data 3 ottobre 1869, Divisione 3, Sezione I° N° 13.258, con cui si richiede l'avviso del Consiglio di Stato circa una domanda del Sac. Teol. Gio. Bosco diretta ad ottenere il Regio Exequatur ad una Provvisione Pontificia in data del 1° marzo di quest'anno, mercè la quale come Direttore di una Pia Congregazione da Lui fondata in Torino sotto il titolo di S. Francesco di Sales per l'educazione temporale e spirituale degli adolescenti, viene autorizzato per un Decennio a rilasciare [663] le lettere dimissoriali agli alunni che sono stati o saranno accolti in qualche Collegio o Convitto della detta Congregazione dalla età di quattordici anni, e in appresso si sono o saranno ascritti a tempo debito alla Congregazione medesima, affinchè possano essere ammessi alla tonsura ed agli ordini, così minori come maggiori:

                Visto il parere del Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Torino con tutte le carte unite,

                Sentito il Relatore,

                Ritenuto, che, conte appare da un certificato del Cancelliere della Corte d'Appello di Torino, non havvi decreto, o provvedimento od altro atto qualsiasi, dal quale si possa arguire che la Pia Congregazione fondata dal Sac. Teol. Gio. Bosco sia stata in qualche modo considerata come avente personalità giuridica, e che perciò non è il caso di tenerne riguardo per gli effetti della legge del 7 luglio 1866;

                Atteso che la provvisione, di cui si tratta, concede al Sac. Teol. Gio. Bosco una facoltà che è esclusivamente propria degli Ordinarii, e sottrae alla legittima giurisdizione di questi gli alunni dei Collegi e convitti della Pia Congregazione di S. Francesco di Sales dal medesimo fondata e diretta:

                Che con ciò viene turbato il regolare esercizio degli Ordinarii, alla cui Diocesi appartengono gli alunni dei detti Collegii e Convitti e si infrangono quelle statuizioni canoniche di che è diritto e dovere della podestà civile di promuovere ed assicurare la rigorosa osservanza;

                Per questi motivi è d'avviso che il chiesto R.° Exequatur non sia concesso.

 

                Visto il tenore della Relazione Ministeriale, che per non volere “Don Bosco rivestito di giurisdizione quasi vescovile sui componenti la sua società, in detrimento della giurisdizione dell'Ordinario Diocesano, ecc. ecc.” insinua essere la Pia Società Salesiana “la vera riproduzione di quelle Congregazioni abolite con la legge del 7 luglio 1866”, non si può dubitare che qualche malevolo congiurasse ai danni di Don Bosco, servendosi di ogni mezzo, pur di vedere la sua Istituzione annientata. È facile intuire da chi mosse, forse un po' leggermente, questa manovra, e non è necessario che ne facciamo il nome. Basti il rilievo, per delineare sempre meglio le difficoltà e le lotte che dovette superare e sostenere il Venerabile per fondare la Pia Società Salesiana, e per meglio comprendere l'assistenza speciale che gli accordava ad ogni istante Maria Ausiliatrice.

 

 

CAPO LIII. Don Bosco a Bricherasio - Lettera da Firenze che gli dà notizia delle pratiche per la Chiesa del SS. Sudario - Le feste negli Oratori di S. Luigi e S. Giovanni Battista - Lettera di Pio IX a Don Bosco per gli atti di ossequio dell'11 aprile - Fastidi che danno a Don Bosco le eredità - Pretese di certi parenti sull'eredità Bertinetti: Lettera del Prefetto di Torino a Don Bosco; e risposta - Don Bosco scrive ad una signora genovese per aver aiuto nella compra del terreno presso l'Oratorio di S. Luigi - Accettazione del Collegio di Cherasco - Delicatezza di Don Bosco nel proporre a due Salesiani un mutamento di casa - Due lettere di Don Bosco riguardo al nuovo Collegio - Don Bosco va a S. Ignazio: il solito ammonimento a certi giovani dell'Oratorio che vanno alla Dora - Ultimo memorabile colloquio di Don Bosco col Conte Cibrario.

 

                MENTRE succedevansi le incresciose vertenze per l'Exequatur, le lettere scritte o ricevute da Don Bosco dovevano indicarci alcuni altri affari nei quali egli si occupava.

                Il 14 giugno lo troviamo a Bricherasio nella villeggiatura del conte di Viancino. Aveva scritto alla Signora Contessa. [665]

 

                Oratorio di S. Francesco di Sales.

 

Torino - Valdocco, 14 giugno 1869.

 

                               Chiarissima signora Contessa,

 

                Per non affidare gli affari importanti alla carta, ho pensato d'inviare un plenipotenziario nella persona di Don Bosco, affinchè tratti le cose di presenza

                Pertanto pel convoglio che giunge a Pinerolo alle 6, mercoledì a sera, l'incaricato si recherà al suo posto. Si raccomanda soltanto alla signora madre che faccia un po' più economia, dando al balordo figlio le porzioni un po' più piccole.

                Porterò meco i libri che accenna il sig. Conte; chi sa che non sia anche meco il sig. Cav. Villanova.

                Ogni celeste benedizione scenda copiosa sopra di Lei, sopra l'amato di Lei marito, e ad ambedue porti ogni bene spirituale e temporale.

                Preghi per la povera anima mia e mi creda con gratitudine

                Di V. S. chiarissima,

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                A Torino lo aspettavano lettere venute dal Ministero degli Affari Esteri, dove, oltre l'avv. Carlo Canton, egli contava due altri amici: Gal cav. avv. Giovanni Battista, capo Sezione di prima classe, e D'Ondes Reggio Barone Vito, uffiziale dell'Ordine Mauriziano, professore, deputato membro del Consiglio del Contenzioso Diplomatico.

 

Firenze, 16 giugno 1869.

 

                               Rev.mo Signore,

 

                Era sul punto di scriverle, quando ho ricevuto la sua veneratissima lettera riguardante il Franceschini e che comunicherò al medesimo.

                La ragione per cui le scriveva è questa. Il Conte Gal mio collega ed amico carissimo, assentandosi da questa città per suoi gravi interessi, mi lasciò l'incarico, che io ben volentieri ho accettato, di leggere le lettere a lui inviate, concernenti cose di nostra Santa Chiesa e darvi opera come meglio potrei. Laonde ho in mia mano la  lettera che V. Reverenza scrisse al medesimo per ottenerle dal Governo la cessione della Chiesa in Roma, ed io ne ho già parlato efficacemente al Segretario Generale del Ministero degli affari esteri Comm. Blanc. Speriamo avere favorevole risoluzione. [666] La ringrazio di tutto cuore degli auguri che mi fa per ogni mio bene; io non merito nulla per quel poco che faccio nel difendere la nostra Santa Madre Chiesa. È un dovere rigoroso che adempio come cristiano Cattolico.

                Mi comandi in ciò che posso servirla,

Dev.mo

D'ONDES REGGIO.

 

                Neppure le imminenti solennità interruppero il continuo lavorio della mente di Don Bosco, sebbene vi prendesse viva parte. Le amava per la gloria che arrecavano a Dio e per il gran bene che producevano ai giovani, specialmente coi Sacramenti. In quei giorni il suo cuore di padre riposava partecipando alla gioia di tutti. Era in lui naturale il gaudere cum gaudentibus. Il suo volto tranquillo e raggiante e il suo amabilissimo sorriso raddoppiavano la contentezza, l'entusiasmo e la riconoscenza di quelli che sentivano di essere suoi figli. Così accadde anche in quell'anno alla festa di S. Giovanni Battista, celebrata colla solita pompa, e a quella di San Luigi Gonzaga.

                Di quei giorni una lettera di un suo antico collaboratore, ricordandogli i tempi antichi e dedicandogli la traduzione del Betlemme del celebre oratoriano di Londra, il P. Guglielmo Faber, gli doveva tornare di conforto

 

 

                               Caro Don Bosco,

 

                Scorsero ormai più di vent'anni dacchè io veniva alla domenica a fare il catechismo ai suoi monelli nel suo germe di futuro Oratorio. Una cameruccia al pian terreno con soffitto e solaio sorretto da un trave ritto in mezzo a fare l'uffizio di colonna, la cui rozza forma era velata da qualche brano di tappezzeria di carta, in un luogo appartato, disabitato, eccettuata la sua casuccia, e quasi fuori di città, era quel germe gettato in terra buona, e che ebbe a sorgere poi in albero, tra i cui rami migliaia di uccelli dovevano venire a rifugiarsi.

                Quante cose passarono da quel tempo! Una di esse, che io non posso mai dimenticare, è la perdita di quella bell'anima di D. Cafasso. Un'altra che pur mi commove vivamente, è il veder ancora sul suo Trono, prospero come allora, e sopra il Trono divenuto anche più glorioso benchè smembrato, lo stesso Regnante Pontefice, che allora, come adesso, era portato a cieli dai buoni, mentre i tristi macchinavano [667] contro a Lui nell'ombra; ed il vedervelo mentre tanti, che gli cantarono sì spesso le esequie, sono già col corpo nella fossa, e coll'anima, dove il Giudice Supremo l'avrà posta.

                Un'altra ancora è il veder imminente un Concilio Ecumenico convocato dal Papa, mentre eravamo avvezzati a considerare la convocazione di un tale Concilio, come cosa d'impossibile effettuazione in avvenire, dopo il Concilio di Trento. Quanto dovranno essere grandi gli effetti del nuovo Concilio'

                Quella cameruccia faciente uffizio di cappella, dove i bimbi di Dio accorrevano a udire l'insegnamento della Chiesa, per mezzo della quale parla Cristo stesso, mi rappresentava Betlemme e Nazaret, dove la Santa Infanzia di Gesù aveva per tempio una squallida spelonca ed una povera casa. E poichè piacque al nostro caro Gesù di considerare come fatto a Lui stesso ciò che facciamo ai suoi poverelli, parevami di fare, come i pastori a Betlemme, qualche cosa per Lui, parlando di Dio a quei fanciulli attirativi al Suo Santo Nome. Nè a ciò arrestasi l'analogia che mi passa per la niente. Io cerco oggi invano quella povera cameruccia faciente uffizio di cappella; vi trovo invece un tempio magnifico, uno dei più belli di Torino, come il povero Betlemme di Gesù si trasformò nello stupendo e divino edifizio della Chiesa Universale.

                Mettendo in veste italiana questo libro su Betlemme, del rinomato Padre Faber, non potei evitare di sentirmi più vivamente presenti alla mente quelle dolci rimembranze; ed offrendolo al pubblico mi pare naturale di porlo sotto gli auspicii d'un corrispondente nome a me caro, quale è quello di Vostra Reverenza. Con ciò non miro a dare rinomanza nè alla materia del libro, nè a V. R., chè tanto l'uno che l'altra ne hanno più che non possa procurargli ogni mio sforzo; ma bensì a rinfrescare quei teneri ed affettuosi sentimenti che mai cessarono tra noi, ed affinchè V. R. non dimentichi, specialmente quando prega, la povera anima del suo affezionatissimo

 

                Mondonio, festa di S. Litigi, 1869,

LUIGI MUSSA.

 

                Se fu gradita al Venerabile questa lettera, un conforto ed un'allegrezza mille volte maggiore gli doveva arrecare un foglio del Romano Pontefice, con firma autografa, che portava la data della vigilia della natività di San Giovanni Battista.

 

 

PIO PAPA IX.

Diletto Figlio, Salute ed Apostolica Benedizione.

 

                I molti segni di fede e di devozione che tu Ci hai dati, tendevano senza alcun dubbio a farci conoscere il tuo grande [668] attaccamento all'Apostolica Sede e a Noi stessi. Anzi essi Ci facevano Palese come tu diligentemente li adoperi a infondere anche in altri l'amore che nutri per questa Cattedra Suprema, e che hai molti seguaci nel tuo amore. E di ciò un altro splendido pegno Noi l'avemmo nell'affettuosissima lettera che Ci hai inviata in tuo nome e in nome degli Oratori e degli Istituti al quali presiedi, quando commemorammo, dopo cinquant'anni, la Nostra Prima Messa. È quasi inutile che Noi li diciamo come Ci sieno tornati carissimi tali pegni di devota congratulazione, e perciò Ci farai cosa carissima, se ciò vorrai comunicare al sacerdoti, agli alunni, e agli altri giovanetti di cui hai cura. Che anzi tu potrai aggiungere, che Noi nel celebrare la S. Messa, com'essi avevano desiderato, li abbiamo ricordati al Signore nelle nostre preghiere, avendo particolarmente raccomandati al Signore tutti quelli, che a lor volta avrebbero pregato per Noi. Del resto essi avranno tutta la Nostra riconoscenza, se continueranno a pregare, come faranno, per la conversione di coloro che deviarono dal retto sentiero, affinchè tutti conoscano ed amino il Padre Celeste e il suo Inviato, Gesù Cristo, del quale, benchè immeritevoli, in terra facciamo le veci. Intanto, in pegno della nostra particolare benevolenza ed auspice della grazia divina, impartiamo con sommo affetto a te e ai suddetti amati figli, affidati alle tue cure, l'Apostolica Benedizione.

                Dato a Roma, Presso S. Pietro, il 23 giugno 1869, l'anno 24° del Nostro Pontificato.

 

PIO PP. IX..

 

                Il Diletto Figlio Don Giovanni Bosco, Torino[33]. [669]

 

                Questa lettera, che si conserva religiosamente insieme, con la busta nei nostri archivi, recava esternamente l'indirizzo: All'Ill.mo Signore, il sig. Don Giovanni Bosco, Torino.

                Ma le gioie e, se non sempre i dolori, almeno i fastidi, si alternano incessantemente in questo povero mondo, e i più noiosi a Don Bosco provenivano da certe eredità colle quali alcuni dei suoi ammiratori ed amici, non avendo credi necessarii, gli lasciavano parte delle loro ricchezze, perchè le impiegasse nelle sue opere di beneficenza. Quasi ognuna di esse portava con sè una sequela di disturbi gravissimi, di ostilità e liti, spesso senza fine, per causa di coloro che si trovavano esclusi dal testatore e contestavano le sue ultime volontà. Per questo Don Bosco, insisteva sempre: - Chi vuol fare carità, la faccia mentre è sano, e non aspetti in punto di morte.

                L'ultima eredità (altri lasciti erano stati di poca importanza fu quella del sig. Bertinetti di Chieri, che D Bosco, morta l'usufruttuaria, avrebbe destinata per qualche opera a benefizio di quella città. Ed ecco giungergli il foglio seguente:

 

 

                PREFETTURA

                DELLA PROVINCIA DI TORINO

                Div. 2° Sez. 2a

                N. 12916.

Torino, giugno 1869.

                Oggetto :

                Eredità di Bertinetti Carlo.

 

                D'incarico del Ministero Interni, mi pregio trasmettere alla S. V. Rev.ma l'unito ricorso col quale alcuni parenti del fu Carlo Bertinetti

 

tulationis fuisse, quocirca desideriis Nostris satisfacies si hoc ipsum sacerdotibus, alumnis ceterisque iuvenibus quorum curam geris, Nostro Nomine renunciaveris. Quin etiam licebit adiicere, illos in precibus Nostris, quas sacrum facientes obtulimus, partem prout optaverunt habuisse, namque eos omnes praesertim Deo commendavimus, qui vicissim pro Nobis illum essent adprecati. Ceterum Nos egregie demerebuntur si instent, uti facient, orantes pro conversione illorum qui a recto tramite deflexerunt, ut agnoscant omnes et diligant Coelestem Patrem et quem misit Iesum Christum, cuius vice, licet immerentes, in terris fungimur. Interea signum praecipuae dilectionis Nostrae et divini favoris auspicem Apostolicam benedictionem tibi ac memoratis dilectis filiis tuae sollicitudini demandatis peramanter impertimus.

 

                Datum Romae, apud Sanctum Petrum, die 23 Iunii 1869, Pontificatus

                Nostri anno vigesimo quarto.

PIUS PP. IX.

 

                Dilecto Fiato Presbytero Ioanni Bosco, Augustam Taurinorum. [670] fanno istanza, acciò nell'autorizzazione sovrana del promuoversi a favore della Pia Opera di S. Francesco di Sales per poter accettare l'eredità lasciatale dallo stesso Bertinetti con testamento segreto delli 15 ottobre 1868, venga imposto l'obbligo all'Opera Pia erede di corrispondere un annuale sussidio ad essi ricorrenti.

                Attendo dalla compiacenza di Lei, colla restituzione del memoriale, ecc. ecc.

Il Prefetto

RADICATI.

 

                Don Bosco rispose:

 

 

                               III.mo signor Prefetto,

 

                In riscontro alla lettera 28 corrente, relativa alla eredità Bertinetti, lo scrivente si fa premura di dare i seguenti schiarimenti:

                1° L'istituzione che in Torino è nota sotto al titolo di Pia Opera di S. Francesco di Sales non ha alcuna relazione con quella di cui il Sac. Bosco è direttore, sotto al nome di Oratorio di S. Francesco di Sales.

                2° Dal momento che il Testatore non ha in alcun modo nominato i pretendenti alla sua eredità, è chiaro segno che egli intendeva disporre altrimenti delle sue sostanze.

                3° Questa eredità è per intiero in mano della sorella sig. Giaciuta Bertinetti, che ne gode l'intiero usufrutto, sua vita naturale durante.

                4° Il testatore non ha costituito erede alcun corpo morale che abbisogni di essere autorizzato a ricevere l'eredità; ma ha testato a favore e in capo allo esponente con quelle disposizioni e clausole che sono espresse nel testamento. Pronto a dar volentieri qualunque altro schiarimento possa occorrere al riguardo ho l'onore di professarmi

Umil.mo esponente

Sac. Gio. Bosco.

 

                Mentre cercava di liberarsi da queste insistenze, non perdeva di vista la compera del terreno necessario per dar sviluppo all'opera sua presso l'Oratorio di S. Luigi, sul corso del Re in Torino. Abbiamo altre copie della riferita Circolare, rimesse dì quei giorni al Conte De Maistre e ad una signora Genovese, alla quale scriveva questa lettera.

 

                Torino, 30 giugno 1869.

Torino, 3 - 7 - 69.

 

                               Pregiatissima Signorina,

 

                Ben di buon grado m'associo alle preghiere della signora di Lei genitrice per implorare quella grazia speciale che le sta tanto a cuore. [671] Facciamo adunque così: Dal giorno 4 del corrente (domenica) si dicano per nove giorni tre Pater, Ave e Gloria al SS. Sacramento con tre Salve Regina alla B. V. A. Noi qui daremo ogni sera la benedizione col venerabile Sacramento con particolari preghiere all'altare della Santa V. con tutti i nostri giovanetti radunati. Io poi nella mia pochezza farò ogni giorno un memento speciale nella Santa Messa. Speriamo.

                La ringrazio poi della carità che promette per la Chiesa di M. A. che veramente è tuttora priva di mobiglio interno; e pei nostri poveri giovani che certamente non mancheranno d'invocare le benedizioni del cielo sopra di Lei e sopra tutti quei benefattori che loro somministrano il pane della vita.

                Ho un'impresa molto urgente, come vedrà dal foglietto che le unisco. Chi sa che Ella non possa raccomandarla a qualche pia persona e così cooperare a togliere le anime dei poveri fanciulli dalle fauci dell'eresia. In ogni modo mi compatisca la libertà. Dio benedica Lei, la sig. sua genitrice e fratello, con tutta la famiglia Cataldi. La Santa Vergine ottenga dal suo divin Figlio che tutti abbiano lunghi anni di vita felice e il dono prezioso della perseveranza nel bene. Amen.

                Mi raccomando alle sue preghiere e mi professo con gratitudine,

                Di V. S. pregiatissima,

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco Gio.

 

                In calce alla circolare inclusa in questa lettera si legge la postilla: “Raccomando rispettosamente alla signora Cataldi Carolina l'oggetto sovra indicato, con preghiera di voler eziandio intercedere presso a quelle caritatevoli persone nel modo che nella sua prudenza giudicasse opportuno. - Torino, 3 luglio 1869 - Sac. Gio. Bosco”.

                Un altro pensiero occupava Don Bosco in questi mesi. Il Municipio di Cherasco s'era rivolto a lui per aprire un Collegio Convitto in quella città e le trattative erano ormai a buon punto.

                Le condizioni del Contratto furono, nella sostanza, quelle proposte al Municipio di Cavour; e vennero accettate. Il locale destinato pel collegio fu il magnifico convento della Madonna del Popolo, appartenente, prima della soppressione degli Ordini Religiosi, ai Somaschi, i quali avevano pur l'incarico dell'annessa parrocchia, la direzione delle pubbliche [672] scuole e l'insegnamento nelle medesime. Mons. Galletti, Vescovo d'Alba, approvava quella convenzione e, morto il religioso amministratore, stabiliva che parroco della chiesa sarebbe stato il Direttore scelto da Don Bosco.

                La Chiesa della Madonna del popolo, per la magnifica facciata, per l'interna forma quasi ottangolare, per la vasta ed elevata cupola e pei molti pregevoli ornati in stucco, è riguardata come uno dei tempii più maestosi del Piemonte.

                Sarebbe stata la quarta casa salesiana, non contando Trofarello; e Don Bosco bisognava che pensasse al personale dirigente e insegnante. Era necessario fare qualche mutamento e così scriveva ad alcuni di quelli che aveva messi in lista. Chiunque legga, non può non ammirare l'amabile delicatezza delle sue frasi.

                Scriveva a Don Antonio Sala, Prefetto nel Collegio di Lanzo.

 

 

Torino, 3 - 7 - 69.

 

                               Carissimo D. Sala,

 

                Ci troviamo in assoluto bisogno di un economo, giacchè D. Savio non può più occuparsi della casa di Torino. Ora dimmi se tu potresti anticipare la tua venuta senza sconcerti nel tuo ufficio. Bodratto, aiutato da D. Costamagna, potrebbe bastare. Tu potresti venire non come cosa definitiva ma per aiutarmi, e all'epoca degli esami potresti ritornare in Lanzo per giorni ed anche settimane. Per tua norma ti dico che niuno sa che ti scrivo questa lettera, perciò dimmi liberamente il tuo parere.

                Dio benedica te e le tue fatiche; prega per me che ti sono con vero affetto

Aff.mo in G. C.

Sac. Gio. Bosco.

 

                Più tardi un altro foglio era da lui spedito a D. Francesco Provera, prefetto nel Collegio di Mirabello.

 

 

                               Carissimo Don Provera,

 

                La mia testa corre sempre di progetto in progetto; e fra gli altri è questo.

                Se si mandasse Bodratto a Cherasco e tu andassi a Lanzo, che ne diresti nel tuo cuore? Io voglio fare ciò, ma se 1° è di tutto tuo  [673] gradimento; 2°se non hai, anche in modo il più confidenziale, da fare alcuna osservazione in contrario. Farei questa mutazione, perchè Bodratto è pratico di coltivazione di terra e delle scuole elementari; a Cherasco le elementari, almeno per quest'anno sono affidate a maestri esterni, e noi non abbiamo alcuno che possa controllare.

                Intendo che ciò sia noto solo a noi due per ora; scrivimi a Trofarello a volta di corriere. Dio ci benedica. Amen.

Aff.mo in G. G.

Sac. Gio. Bosco.

 

                A proposito delle trattative col Municipio di Cherasco abbiamo due lettere a personaggi che avevano molto contribuito all'apertura di quella Casa. La prima è diretta ad un Teologo, del quale non abbiamo l'indirizzo, dove si fa menzione del Cav. Lissone, e dei fratello parroco della Chiesa Primaziale.

 

 

Torino - Valdocco, 26 - 7 - 69.

 

                               Carissimo Sig. Teologo,

 

                La sua lettera mi giunse tardi e non potei più risponderle a tempo; ma le cose di cui si trattò vi fu pieno accordo nel senso del Municipio. Ora le mando il programma del Collegio: io avrei bisogno che fosse attentamente letto dal Cav. Lissone e da chi si giudica opportuno; che mi fossero fatti i più piccoli riflessi, e quindi inviarmelo per prepararne la stampa. Il medesimo cavaliere saprà anche dire se per la parte del convitto, essendo una specie di continuazione del già preesistente, bisogna dimandare facoltà al Provveditore, e se egli si assumerebbe questa trattativa; o se giudica che io mi metta all'opera. Meglio però se io sto indietro.

                La prego di riverire il prelodato signore con suo fratello Abate e nel raccomandarmi alle sue preghiere mi professo con affetto

                Di V. S. Rev.ma

Aff.mo Amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                La seconda lettera, senza data, è diretta al Cav. Lissone.

 

 

                               Chiarissimo Sig. Dottore,

 

                Credo bene di scrivere a V. S. alcune linee per vedere se si possa dare principio alla pratica del pareggiamento al più presto possibile. Credo che il provveditore non esigerà copia del capitolato col Municipio, perchè le convenzioni finanziane sono affatto estranee all'insegnamento. [674] Per Lanzo non si è presentato; ad ogni modo si può cominciare a presentare la memoria col programma, disegno topografico e dichiarazione igienica, e, se occorre poi altro, sarà dimandato.

                Credo meglio che sia fatta la dimanda dal Municipio come proprietario, giacchè io non ne sono che amministratore e direttore dipendente dal municipio. Si potrebbe, p. e., dire che il Municipio aveva l'insegnamento pareggiato ab antico; e che quasi ad esperimento chiese che tale pareggiamento fosse trasferito al corso tecnico; ma che il troppo piccolo numero degli allievi persuase di ritornare al corso ginnasiale, per cui si chiede la conferma del pareggiamento, nella persona dei professori titolari ecc. Forse do lezioni a Minerva, ma se non altro ha il mio pensiero. Del resto abbia soltanto la bontà di scrivere due linee, ed io farò anticipatamente una gita a Cherasco quando che sia.

                Il Collegio essendo già stato pareggiato, forse potrebbe farsi a meno del disegno e della dichiarazione igienica; ma in ciò è bene abbondare. Dio le dia ogni bene e mi creda colla più sentita gratitudine,

                Di V. S. Chiarissima,

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Intanto, prima della fine di luglio, Don Bosco andava a S. Ignazio per gli esercizi spirituali. In que' giorni tre giovani uscirono nascostamente dall'Oratorio per recarsi a prendere un bagno nella Dora, ed ecco una mano misteriosa a percuoterli replicatamente e con violenza sulle spalle, sicchè spaventati uscirono dalle acque, tornarono nell'Oratorio, e narrarono ai compagni il fatto, confermando così un annunzio che Don Bosco aveva mandato. Don Luigi Rocca, Economo generale della Pia Società, che in quell'anno faceva il quinto corso ginnasiale, ci asseriva più volte che tutti gli alunni erano informatissimi di quel fatto, e che conosceva quelli che erano stati colpiti.

                Scendendo da S. Ignazio, il Venerabile si recò al Collegio di S. Filippo a Lanzo, ove apprese che il Conte Cibrario era giunto colà per recarsi ad Usseglio sulle Alpi, a passare qualche giorno di campagna. Era alloggiato al Cappel Verde. Don Bosco andò a visitarlo, accompagnato dal Direttore del Collegio. Il nobil uomo era in quei giorni un po' disgustato [675] per avere uno dei nostri Direttori scacciato un giovane da lui raccomandato. Don Bosco, prevedendo una discussione animata, volle affrontarla per togliere ogni malinteso. Ammesso all'udienza, entrò nella sala, lasciando il suo compagno nell'anticamera, e il colloquio durò più di un'ora. Il Venerabile narrò che il Conte gli fece un'accoglienza tutt'altro che pacifica. Dopo qualche tempo però, essendosi calmato, uscì fuori egli stesso, e invitò chi stava nell'anticamera a entrare. Don Bosco era seduto a destra. Il ministro prese a parlare dell'avidità che avevano gli Americani per i titoli onorifici, non ostante che per legge non possano farne pompa in pubblico, e come fossero pronti a pagare anche 30.000 lire per opere pie, per una semplice croce da porre nel loro salotto.

                Il Servo di Dio ricordò, con riconoscenza, il gran bene che il signor Conte aveva fatto così, specialmente in favore dell'Oratorio.

                Questi ringraziò, affermando che avrebbe sempre aiutato Don Bosco con tutto il suo potere.

                Il Venerabile, allora, aggiunse come anche in altre guise egli fosse stato aiutato dal signor Conte.

                 - Io non so d'averla aiutata altrimenti, se non col procurarle qualche elemosina per mezzo delle decorazioni osservò il nobil uomo.

                 - Eppure, Eccellenza, in ben altri modi Ella mi ha giovato. Ella non può immaginarsi quanti vantaggi mi abbia procurato la lettura delle sue opere storiche. Veda, di certe intricate questioni, che non aveva mai ben comprese, ne capii la soluzione naturale, evidente, solo nelle sue pagine.

                Ed entrò a fare i più grandi elogi sui molteplici scritti del Conte, e sul loro pregio, e sull'indefesso lavoro dell'uomo venerando come scrittore, non ostante le tante altre sue occupazioni.

                Il Conte sorrideva soddisfatto dicendo: - Certo che il tempo io non l'ho mai perduto. Al mattino immancabilmente m'alzo verso le 4, e mi metto tosto a tavolino e lavoro [676] fin verso le 9, quando incominciano le udienze. Talora poi, a tarda sera, mi rimetto sulle mie carte sin verso mezzanotte.

                 - Dunque abbiamo motivo di rallegrarci di più, nel conoscere che la patria sarà da lei onorata con nuovi scritti.

                 - Ho di fatto qualche cosa per le mani; ma ormai son vecchio e mi avvicino ai settanta.

                 - Lei vecchio? È vecchio chi è oppresso da infermità. Ma lei è sano, robusto, ha la mente limpidissima come un giovanotto. Speriamo, speriamo.

                 - Sì, speriamo; tuttavia l'uomo è sempre uomo, e volere o no, n'avrò forse per poco.

                 - Io le auguro una vita ancor molto lunga. Però se mi permette, vorrei dirle una cosa, signor Conte.

                 - Parli, parli, Don Bosco.

                 - Sa che io l'amo ed ho molta stima per lei. Or bene, se la sua vita avesse ad essere non troppo lunga, prima di morire si ricordi che ha qualche partita da aggiustare colla Chiesa.

                Il Conte a questa improvvisa uscita di Don Bosco si fece serio, abbassò il capo, stette un istante pensoso, indi prese la mano di Don Bosco e stringendola:

                 - Ha ragione, gli disse; vi ho già pensato... Lo farò, lo farò certamente... e presto.

                Così finì quella visita, e fu l'ultima volta che Don Bosco vide il conte Cibrario.

 

 

CAPO LIV. Pratiche a Roma per la compra della casa e terreno presso San Cajo - Timori e opposizioni delle Monache Barberine - Lettera di Don Bosco al loro Cardinal Protettore - Il Principe Barberini fa sciogliere il contratto - Conseguenze dolorose per le Suore - Sussidio a Don Bosco dal Regio Economato - Lettera di ringraziamento ad un benefattore - D. Bosco compra in Valdocco la casa Demaria - Letture Cattoliche: I CONCILII GENERALI E LA CHIESA CATTOLICA - Suppliche al Santo Padre per ottenere la facoltà delle dimissorie per alcuni chierici entrati nell'Oratorio, dopo aver compiuti i quattordici anni di età - L'incardinazione di un Francescano nella Pia Società.

 

                IL Venerabile, mentre continuava a Firenze le pratiche per ottenere dal Governo Italiano la Chiesa del Santo Sudario in Roma, non cessava di proseguire in quelle riguardanti la Casa delle Monache Barberine presso S. Cajo. Mons. Manacorda aveva da lui la procura generale per conchiudere il contratto. Durante il soggiorno di Don Bosco in Roma quest'affare sembrava conchiuso; ma poi le proprietarie, temendo grave il disturbo che un vicino istituto avrebbe recato alle loro divozioni e alla loro tranquillità, avevano incominciato a pentirsi della vendita promessa, nè mancavano alcuni che le confermavano nei loro timori. La cosa fu riferita al Papa, il quale mandò a dir loro:  [678]  - O fate voi il contratto, o lo faremo noi absque consensu Capituli.

                La frase scherzevole indicava chiaro l'augusto desiderio.

                Pel momento parvero acconciarsi a quel manifesto volere, ma poi altri presero a sobbillarle dicendo che il prezzo offerto era inferiore al valore del fondo, che si sarebbero trovati dei compratori, i quali avrebbero esibito cento e anche centocinquanta mila lire! E il fatto è che le pratiche si protrassero ancora.

                Lo stesso Principe Barberini, che era prima favorevole a Don Bosco, fermo nel suo patronato di famiglia su quel Convento s'impegnò di rompere il contratto: e il Card. Protettore delle Barberine accoglieva favorevolmente le ragioni che le monache opponevano a quella vendita.

                Il Venerabile, informato di tutto, scriveva al Cardinale questa compitissima lettera:

 

 

                               Eminenza Reverendissima,

 

                Prego V. E. Rev.ma a volermi dare benigno compatimento, se, in mezzo alle gravi di Lei occupazioni, io le aggiungo altro disturbo. Mi ascolti con bontà, e poi si degni di darmi quel consiglio, che a V. E. parrà migliore per la gloria di Dio intorno al progettato acquisto del locale di S. Caio presso al Venerando Monastero detto delle Barberine. Nel passato mese di gennaio io esternava il desiderio col Santo Padre di aprire in Roma uno studentato pei chierici della nostra Congregazione: il Santo Padre ne mostrò gradimento e mi suggeriva il locale suddetto e nominava Mons. Franchi come deputato incaricato di trattare quella vendita. Prima di ogni altra cosa mi recai dalle Monache, dimandandone il parere. Risposero che loro rincresceva quella vendita, ma che le strettezze finanziarie le avevano a ciò determinate, e che in vista dell'uso totalmente religioso cui sarebbe destinata la chiesa e la casa annessa, preferivano me a qualunque altro accorrente.

                Allora andai dal prelodato Mons. Franchi e lo richiesi se realmente quel locale fosse in vendita, se non vi fossero ancora trattative vertenti. Rispose essere deliberazione presa per la effettuazione di quella vendita, nè esservi impegno con altro offerente. Interrogato se bastava trattare con lui, soggiunse che egli ne era incaricato, e che a suo tempo ne avrebbe poi egli stesso parlato col Cardinale Protettore.

                Con biglietto di questo prelato visitai il locale, si trattò del prezzo l'ultima dimanda fu di franchi cinquantamila, che io accettai, e in [679] segno della conclusione del contratto mi furono dati i tipi e disegni di quella località; si stabilirono le rate e le epoche del pagamento e il contratto si ebbe per definitivamente conchiuso. Dal medesimo Monsignor Franchi seppi allora, che V. E. era il Cardinale Protettore, e d'accordo con esso ho cercato di parlare con V. E. Rev.ma e a tal fine mi recai più volte alla rispettabile di Lei casa. Ma le molte occupazioni di V. E. e la mia ignoranza delle ore a ciò più opportune impedirono il desiderato colloquio.

                Intanto, alcuni affari di premura richiamandomi a Torino, ho firmato una procura a Mons. Manacorda, per quanto era da farsi nella stipulazione relativa a S. Caio.

                Di più tra le offerte di alcuni caritatevoli signori e un po' di danaro in altra guisa preparato si poteva a qualunque momento divenire al prefato istrumento.

                In questo modo il contratto sembrava definitivamente conchiuso, ed io mi reputai finora legalmente vincolato. Alcune voci vaghe mi fecero supporre che le Monache temessero gli schiamazzi dei fanciulli, mentre dai chierici studenti non vi sarebbe a temere tal cosa. Fu addotto il protettorato del Principe Barberini; qui parimenti nel trapasso della proprietà si sarebbero potuti conservare illesi tutti i diritti di quell'eccellente e caritatevole signore.

                Fu chi disse V. E. essere stata spiacente di questo contratto perchè non fu la cosa per tempo a Lei comunicata come di dovere: e ciò mi rincresce perchè ciò sarebbe avvenuto senza volerlo, anzi contro alla mia buona volontà, che desiderava ardentemente di compiacere V. E., che da molto tempo conosco di nome e che ho sempre avuto in grande venerazione.

                Non parlo del consenso del Santo Padre, il quale, per la parte che lo riguarda, è totalmente favorevole. Ciò posto io mi fo ardito di pregare la E. V. a volersi fare consigliere non solo delle Monache ma della povera mia persona e per amore di Nostro Signore farmi dire nel modo che a Lei torna di minore disturbo: Se questo contratto persiste tuttora come era stato conchiuso e quali incombenze rimangono a compirsi per divenire alla stipulazione dell'istrumento;

                Oppure se tale contratto si debba giudicare definitivamente rotto, e in questo caso, sebbene con vero e grave mio danno e con rincrescimento per le voci che l'hanno proclamato conchiuso, io mi rassegnerei ad inviarle i disegni e i tipi di quella località, e così sarei fatto libero di rivolgere altrove le relative mie indagini.

                Prego la sua grande bontà a voler compatire la lunghezza di questa lettera, così voluta dall'argomento che la riflette, e pregando di cuore Iddio che si degni concederle lunghi anni di vita felice, reputo ad alto onore di potermi protestare

                Della E. V. Rev.ma,

 

                Torino, 21 luglio 1869,

Sac. GIOVANNI Bosco. [680]

 

                Non ci consta che il Cardinale abbia risposto; ma alle insistenze del Principe Barberini il Santo Padre cedette; e Don Bosco, avvertito, lasciò cadere quel progetto, con dispiacere, ma umilmente e senza levar pretese. Le Monache però non tardarono, forse, a pentirsene. Il Governo Italiano, entrato in Roma, sopprimeva i monasteri ed altre case religiose, impossessandosi anche dei loro beni. Le Monache Barberine furono le prime ad essere cacciate e spogliate di ogni loro avere nell'ottobre del 1871. Ci diceva Mons. Fratejacci: “Se Don Bosco fosse andato ad abitare in quel vastissimo locale, tutto quel sito col monastero sarebbe stato risparmiato e rispettato; e i sacerdoti Salesiani avrebbero prestato loro il servizio religioso. Ed anche altri non ebbero a rallegrarsene”.

 

                Il Venerabile, da parte sua, non lasciò inoperosa la somma che teneva preparata per l'acquisto di S. Cajo. Trascriviamo dagli atti notarili dell'Oratorio:

                Con atto 30 luglio 1869, rogato Cassinis, il sig. Carlo Demaria vende a Don Bosco giornate 1.1.10.9 pari a ettari 0, 38, 72 terreni e fabbricati posti in Valdocco per il prezzo di lire 44.000. Questa casa esiste sul corso Regina Margherita a destra sull'angolo di chi entra sulla piazza di Maria Ausiliatrice, per rettificare la quale colle sue adiacenze Don Bosco la comprava. Era allora un'osteria.

 

                E la Provvidenza continuava a venire in suo aiuto. Scriveva al Comm. Giovanni Battista Dupraz.

 

 

                               Carissimo Sig. Commendatore,

 

                Nella sua grande carità prima di partire ha voluto fare una limosina di f. 50 a questa Chiesa. Quella somma in questi momenti ha un gran valore, sia per la quotidiana diminuzione di benefattori che Dio chiama al paradiso, sia per la moltitudine delle spese cui dobbiamo far fronte.

                Io le professo la mia gratitudine, facendo ogni sera recitare un Pater, Ave, Gloria al SS. Sacramento dai giovanetti alla benedizione dell'altare di M. A., e lo diremo ogni sera finchè Ella e la Sig. di Lei moglie siano sani e salvi ritornati fra noi. [681] Dio li benedica tutti due, preghino per me che con vera gratitudine mi professo

                Di V. S. Carissima,

 

                Torino, 26 luglio 1869,

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                L'Economo Generale dei Benefizi Ecclesiastici in Torino gli annunziava un'offerta maggiore.

 

 

                REGIO ECONOMATO GENERALE

                DEI BENEFIZI ECCLESIASTICI IN TORINO

                N. 7504.

 

                               Rev. Sac. Gio. Bosco,

                L'Economo Generale sottoscritto annunzia con premura a V. S. che il Governo di S. M. si è degnato concederle su la Tesoreria di quest'Economato Generale la somma di lire quattrocento per aiutarlo a sopperire alle spese del culto, che nei dì festivi si pratica nei tre Oratori da lei fondati.

                Tale somma verrà da questo Generale Uffizio pagata a V. S. od a chi sarà da Lei incaricato a riscuoterla, purchè sia persona conosciuta e munita d'una regolare quitanza debitamente legalizzata, e giusta il modulo qui sotto esteso.

 

                Torino, il 27 luglio 1869.

L'Economo Generale

V. REALIS.

 

                E il Venerabile inviava agli Associati delle Letture Cattoliche un suo libretto pel mese di agosto. Da tempo vi lavorava attorno, nei pochi momenti liberi.

                Il fascicolo portava il titolo: I CONCILII GENERALI E LA CHIUSA CATTOLICA, conversazioni tra un parroco e un giovane parrocchiano, pel Sacerdote Giovanni Bosco.

                Il proemio dice così:

 

                In un villaggio del Piemonte vivono tuttora due giovani fratelli appartenenti ad agiata famiglia. Il maggiore chiamasi Enrico, Tommaso il minore. Il primo avendo passato alcun tempo in città ebbe la sventura di darsi alle cattive letture e frequentare malvagi compagni. Richiamato in seno alla famiglia non è a dire come egli pretendesse di essere sapiente e qualche cosa di grosso. Di tutto voleva parlare, con [682] tutti intavolare questioni. Ma siccome tutta la sua sapienza l'aveva attinta dai seducenti giornali e dai romanzi, così nelle sue conversazioni, specialmente in materia di religione, gettava fuori ad ogni tratto i più madornali spropositi. Le sue risposte più riscaldate egli bramava tenerle col fratello Tommaso, giovane in sui 18 anni, d'indole assai faceta, il quale, sebbene non abbia fatto tanti studi quanto Enrico, tuttavia assai meglio di lui conosce le cose che riguardano la religione. Collo studio del suo catechismo, colla lettura di buoni libri di cui è amantissimo, coll'assiduità alle istruzioni parrocchiali, Tommaso si rese capace a rispondere a vari quesiti e con disinvoltura e chiarezza sciogliere molte difficoltà che gli faceva il fratello, al quale spesso chiudeva la bocca, facendolo arrossire. Però un giorno dell'ora scorso inverno, Enrico, portato il discorso sulla Chiesa e sul prossimo concilio ecumenico, si diede a spropositare orribilmente. Tommaso per un poco seppe rispondergli per le rime; ma poscia con suo dispiacere, soprafatto da un mondo di non mai udite domande e insidiose interrogazioni, rimase imbrogliato. Alla sera di quel giorno stesso il buon giovane, quale pecorella bisognosa di buon pascolo, si portò dall'amato prevosto, con cui si tennero le seguenti conversazioni.

 

                Del processo di queste noi diremo poche parole, in forma di indice. Esse trattano i temi seguenti:

                Che cosa sono i Concilii e loro utilità. - Chi possa convocarli. - Il Papa è superiore al Concilio: nelle cose di fede e di morale è infallibile anche per se solo. - Infallibilità ed autorità del Concilio generale se unito al Papa. - Le definizioni e le leggi di un Concilio obbligano per se stesse i Cristiani. Breve cenno storico dei singoli Concilii ecumenici. - Il Concilio Vaticano I, e le gravi ragioni che mossero il Papa a convocarlo.

                In queste pagine risplende l'ardente amore che infiammava Don Bosco per il Papa e la Chiesa. Egli fa voti che la infallibilità dottrinale del Romano Pontefice, sebbene nota e certissima, sia dichiarata nel prossimo Concilio dogma di fede, a gloria di Dio e della sua Chiesa, a sicurezza e consolazione dei buoni, ad ornamento, con nuova e più bella gemma, della veneranda fronte del successore di S. Pietro.

                Propone preghiere particolari coll'invocazione di Maria Ausiliatrice, consigliando ai fedeli di recitarle tutti i giorni,  [683] fino al termine del Concilio; perchè questo non venga impedito nè disturbato dai nemici di Dio e della Chiesa e perchè i scismatici si riuniscano tutti alla Chiesa Cattolica, e i protestanti, specialmente dell'Inghilterra, tornino all'unità della fede. A questo fine suggeriva due mezzi riputandoli molto efficaci per ottenere il sospirato intento.

 

                Sarebbe cosa lodevolissima che  per le su accennate preghiere tutti quanti i fedeli, specialmente i figli e le figlie, formassero tra di loro società - divisi in tante compagnie da dieci in dodici ciascuna. Così si verrebbe a rendere una testimonianza di fede, di speranza e di amore al glorioso e magnanimo Pontefice, e alla santa Chiesa nostra dolcissima madre.

                A questo scopo noi ci raccomandiamo ai nostri lettori, pregandoli di associarvisi. I parroci lo inculchino ai loro parrocchiani; i superiori di stabilimenti alle persone loro soggette. I padri e le madri di famiglia ai loro dipendenti. In questa guisa, oltre al buon effetto della preghiera e della frequenza ai santi Sacramenti, un altro vantaggio si otterrà pur anche ed è di risvegliare e mantenere viva tra il popolo cristiano la fede nel prossimo Concilio, pronti gli animi a ricevere poscia con docilità gli statuti e osservarne fedelmente le leggi (Ved. pag. 164).

                Circa due anni or sono venne diretto un invito ai cattolici di fare voto di credere, professare, difendere e colle parole e cogli scritti, e se fosse d'uopo anche colla vita, l'invidividuale infallibilità del Papa, sebbene ella non sia ancora dichiarata verità di fede, in quella guisa che da buoni cattolici solevasi praticare riguardo all'Immacolata Concezione di Maria, prima della solenne definizione, fatta dal regnante ed immortale Pio IX agli 8 dicembre 1854. Noi cogliamo volentieri questa propizia occasione per indirizzare ai nostri lettori sifatto invito, anzi cordialmente li eccitiamo a fare questo voto ad onore di Gesù Cristo e del suo Vicario in terra, per acquisto di maggiori meriti in cielo, pregando ad un tempo il pietoso Iddio a fare sì che presto si bella verità venga dalla Santa Chiesa solennemente dichiarata quale dogma di fede (Ved. pag. 59).

 

                Noi crediamo che Don Bosco abbia fatto questi voti.

                In fine del fascicolo D. Bosco recava le parole del Cardinale Arcivescovo di Dublino: “Se gettiamo lo sguardo sulla terra intera qual miserando spettacolo non ci si offre agli occhi! Dappertutto rivoluzioni, dappertutto ribellioni, dappertutto discordie civili e minacce di guerra”. E dopo aver fatto passare a rassegna le sciagure, gli scompigli di diverse [684] parti del mondo, egli si ferma sull'Italia e continua: “Fissiamo lo sguardo sull'Italia e che veggiamo noi? ... Dappertutto regna la confusione. Di tutta l'Italica terra un angolo solo rimane esente da tanta sciagura. In quest'angolo regna un venerando vecchio (il Papa) non infranto dagli anni, non indebolito dalle ansie e dal dolore; un vecchio, il quale nel suo ristretto e impoverito reame sa pure mantenere la pace; sa dare al mondo un esempio d'invitta costanza, e difendere i diritti della Società e dell'autorità. Sì poco egli teme e le trame e le mene, che ha chiamato a Concilio in Roma tutti i Vescovi dell'Universo. La causa della giustizia e dell'Ordine sarà da questo Concilio ecumenico protetta e difesa; e trionferanno, sì, di tutti gli ostacoli quei Vescovi che non si radunano che per faticare alla salute dell'umanità. E non è questo uno spettacolo degno dell'Onnipotente?”

                Chi riflette alla vita di Don Bosco non sa darsi ragione come potesse dedicarsi contemporaneamente a tanti lavori.

                Anche per tutto ciò che riguardava i suoi chierici, vestizioni, patrimonii, Ordinazioni, e dimissorie, provvedeva egli a tutto e scriveva sempre di sua mano. Nelle nostre memorie abbiamo questo periodo.

                “Il 13 agosto 1869 Pio IX con un Rescritto rilascia l'implorata facoltà delle dimissiorie ad un ordinando che era stato ricevuto nella Società dopo il quattordicesimo anno”.

                In quei giorni egli aveva già preparato una supplica alla Santa Sede per ottenere le Remissorie al ch. Bodratto; e poi la rinnovò estendendola a tutti quei Salesiani ricevuti nell'Oratorio dopo i quattordici anni, e già ascritti fra i Chierici.

 

 

                               Beatissimo Padre,

 

                Il sacerdote Giovanni Bosco umilmente prostrato ai piedi di V. B. col massimo rispetto espone che con delegazione del Vescovo di Acqui di santa memoria vestiva dell'abito Ecclesiastico il chierico Bodratto Francesco, suo Diocesano. Ma per la sua età già alquanto inoltrata non potendo fare lo studio in Seminario pose per condizione che, come eziandio il candidato desiderava, appartenesse alla Congregazione di S. Francesco di Sales, da lui molto amata e beneficata. A tale effetto [685] si disponeva a dare le opportune Remissorie al Vescovo di Casale dove questa Società è approvata come Congregazione Diocesana.

                Il Vescovo di Casale accettava il candidato, ma mentre si andavano compiendo le pratiche, la Divina Provvidenza chiamava agli eterni riposi quel venerando Prelato. Ora per la sede vacante di quella Diocesi non potendosi rilasciare le opportune Remissorie, col consiglio del Vescovo di Casale e col beneplacito dello stesso Vicario Generale Capitolare di Acqui, con tutta umiltà e rispetto supplica V. B. a volersi degnare di rilasciare le implorate Remissorie a favore del chierico mentovato, e così egli possa essere ordinato dal Vescovo della Diocesi Casalese, dopo che abbia dato saggio de studio, de vita et moribus. Presentemente egli va compiendo il quinquennio di Teologia.

                Colla più profonda gratitudine e colla più alta venerazione si prostra ai piedi

                Di Vostra Beatitudine,

                Umilissimo Ricorrente

 

                NB. - La copia che abbiamo è così: senza firma.

 

 

                               Beatissimo Padre,

 

                Il Sac. Giovanni Bosco prostrato ai piedi di V. B. espone umilmente che in data del 1° marzo anno corrente (1869) la Santità Vostra degnavasi di benignamente approvare definitivamente la Pia Società di S. Francesco di Sales, come Congregazione religiosa di voti semplici, concedendo al Superiore della medesima la facoltà di dare le Lettere Dimissoriali a quelli che accolti ne' suoi Ospizi per fare gli studi prima dei quattordici anni d'età avevano a suo tempo abbracciata questa Congregazione.

                Ora è nata una difficoltà per alcuni che si ascrissero alla medesima Congregazione, i quali fecero i loro studi, compierono il tempo di Noviziato, emisero i voti prescritti dalle Costituzioni della Società, ma entrarono in convitto pochi mesi dopo l'età sopra mentovata. Costoro non sarebbero riconosciuti come Chierici dai loro Vescovi, perchè loro non consta nè della carriera chiericale da essi percorsa, nè degli studi fatti, e quando anche constasse, forse non sarebbero riconosciuti, e perciò dovrebbero ricominciarli. A fine di togliere questa difficoltà e mettere in posizione normale lo stato e la coscienza, questi Chierici, col massimo rispetto supplicano unitamente all'Oratore perchè V. S. si degni per questo solo caso concedere la facoltà di dare le Dimissorie anche a questi, sebbene siano stati accolti a fare in questa casa i loro studi, pochi mesi dopo l'età di anni quattordici.

                I loro nomi sono:

                1. - Belmonte Domenico da Geròla, Diocesi di Fossano.

                2. - Bertello Giuseppe da Castagnole di Pinerolo, Diocesi di Torino.

                3. - Berto Gioachino da Villar - Almese, Diocesi di Susa. [686]

                4 - Bodratto Francesco da Mornese, Diocesi d'Acqui.

                5. - Bodratto Giovanni da Mornese, Diocesi d'Acqui.

                6. - Daghero Giuseppe da Cumiana, Diocesi di Torino.

                7. - Guidazio Pietro da Verolengo, Diocesi d'Ivrea.

                8. - Nasi Angelo da S. Benigno, Diocesi d'Ivrea.

                9. - Paglia Francesco da Rivarolo, Diocesi d'Ivrea.

                10. - Ricciardi Chiaffredo da Villafalletto, Diocesi di Fossano.

                11. - Turco Nepomuceno, da Cremolino, Diocesi d'Acqui.

                Questi sono i chierici che fra cento circa, di cui è composta la Congregazione di S. Francesco di Sales, vennero accolti nelle nostre scuole dopo l'anno quattordicesimo di età: ma di quanto loro occorse per lo studio, vestito e vitto, ne furono e sono tuttora provveduti dall'Oratore umile esponente.

                Che della grazia.

 

                Il S. Padre accolse benevolmente la supplica. D. Bosco gli umiliò pure un'istanza per l'incardinazione nella Pia Società di un frate dei Minori Riformati. La riferiamo perchè ci mostra ancor una volta come il Venerabile si adoperasse con ogni sollecitudine per sgombrare gli ostacoli che si frapponevano sulla via della vocazione ai suoi figli spirituali.

 

 

                                Beatissime Pater,

 

                Ioannes Bosco sacerdos, ad pedes Beatitudinis tuae provolutus, humillime exponit quae sequuntur:

                Clericus Rochus Damus, loci Idoli (vulgo Edolo), Dioecesis Brixiensis, quindecim annos natus religionem Fratrum Minorum Reformatorum strictioris observantiae ingressus est a die 28 augusti 1862. Die vero 30 augusti 1863 eamdem religionem professus est emittens vota simplicia ad triennium, quae complementum habuerunt anno 1866. Tandem die 17 Junii 1868, ob civilem abrogationem sui Ordinis in nostris regionibus, sancti Francisci religionem derelinquere debuit.

                Nunc vero post annum approbationis, iam Societatem seu Congregationem Salesianam profiteri desiderans, a Sanctitate tua humili precatione postulat, ut huic Congregationi adscribi eamdemque profiteri et in eadem sacros ordines suo tempore suscipere possit et valeat.

                Haec facultas ideo necessaria est, quia, ex huius Societatis approbationis Decreto, Superior generalis litteras dimissoriales eis tantum relaxare potest, qui ante annum decimum quartum in aliquo hospitio vel convictu ad Salesianam Congregationem pertinentibus, recepti fuerint. Ita in Decreto diei 1° martii 1869.

 

 

CAPO LV. Lettera circolare di Don Bosco ai Salesiani: Confidenza nel Superiore: conseguenze pratiche di questo articolo del regolamento - Don Bosco parte per Montemagno: è fermato in Asti: visita a quell'Oratorio festivo: confessa antichi allievi: giunge in ritardo a Montemagno: il Marchese Fassati riconosce che Don Bosco “anche quando sbaglia l'indovina” - Morte di due giovani dell'Oratorio - A Lanzo si avvera con esattezza una predizione di Don Bosco - Letture Cattoliche - La chiusura dell'anno scolastico nell'Oratorio e la distribuzione dei premi.

 

                TEMPO di riposo per Don Bosco era quando poteva trovarsi in mezzo ai suoi figli, i Salesiani, e intrattenersi con qualcuno di essi, o con tutti radunati, o nelle quiete della sera farli passare tutti innanzi alla sua mente, meditando il modo di sopperire ad ogni loro bisogno. Ora il suo cuore gioiva, perchè fra poche settimane avrebbe nella casa di Trofarello tenuto gli esercizi spirituali. L'amore santificato di famiglia era un'inclinazione prepotente nel suo cuore. Lo spettacolo che lo incantava era quello di cui parla il salmo, là dove dice: - Fili tui, sicut novellae olivarum in circuitu mensae tuae.

                Nell'agosto, a promuovere lo spirito di famiglia, egli inviava questa circolare a tutte le sue case. [688]

 

                               Figliuoli amatissimi,

 

                La Divina Provvidenza dispose che la nostra Pia Società fosse dalla S. Sede definitivamente approvata, e noi, mentre nell'umiltà del nostro cuore ringraziamo la bontà del Signore, dobbiamo adoperarci con tutta sollecitudine per corrispondere allo scopo che ci siamo prefissi entrando in Congregazione e mantenere l'esatta osservanza delle regole in tutti quelli che le hanno professate.

                Tra gli articoli di esse àvvi quello che riguarda alle relazioni e alla confidenza che devono passare tra Superiori e inferiori: “Ciascuno, si dice al Capo 5° art. 6°, abbia grande confidenza col Superiore; nè gli nasconda alcun segreto del suo cuore”.

                Questo articolo è della massima importanza, e si è osservato che i trattenimenti del Superiore co' suoi subalterni tornarono di grande vantaggio, perciocchè in questo modo gli uni possono con tutta libertà esporre i loro bisogni e dimandarne gli opportuni consigli, mentre il Superiore stesso sarà in grado di conoscere lo stato de' suoi confratelli, provvedere ai loro bisogni e prendere quelle deliberazioni che concorrono a facilitare l'osservanza delle regole e il vantaggio dell'intera Società. Sembra che ciò appunto voglia significare lo Spirito Santo, quando dice: Vae soli, quia quum ceciderit non habet sublevantem se (Eccl. IV, 10). Guai a chi è solo perchè egli non ha chi lo aiuti ad alzarsi nella caduta. Di poi soggiunge: Per chi vive in società, se uno cade o si trova in pericolo di cadere, viene da un altro sostenuto e in certo modo resta puntellata la sua caduta. Si unus ceciderit, ab altero fulcietur. (Idem). In questa guisa, dice S. Tommaso, il religioso conseguisce il suo scopo, egli è avvisato nei pericoli, è aiutato a risorgere in caso di caduta: Juvatur a sociis ad resurgendum.

                Affinchè si possa riportare questo vantaggio dalla nostra Società si è pensato bene di stabilire alcune cose che si possono dire conseguenze pratiche dell'articolo sopra nominato. [689]

                1° Ogni mese saranno tenute due conferenze, di cui una intorno alla lettura e spiegazione semplice delle regole della Congregazione. L'altra conferenza intorno a materia morale, ma in modo pratico ed adattato alle persone a cui si parla.

                2° Ogni socio una volta al mese si presenterà al Direttore di quella casa cui appartiene e gli esporrà quanto egli giudicherà vantaggioso al bene dell'anima sua, e, se ha qualche dubbio intorno all'osservanza delle regole, lo esporrà, chiedendo quei consigli che gli sembrano opportuni pel suo profitto spirituale e temporale.

                Dal canto suo il direttore, colla dovuta carità, ascolterà a tempo determinato ogni cosa, anzi procurerà di interrogare separatamente ciascun socio intorno alla sanità corporale, agli uffizi che compie, all'osservanza religiosa, agli studi o lavoro che deve attendere. In fine procurerà d'incoraggiarlo, aiutarlo coll'opera e col consiglio per mettersi in uno stato di potere godere la pace del cuore colla tranquillità di coscienza, che deve essere lo scopo principale di tutti quelli che fanno parte di questa Pia Società.

                3° Di regola ordinaria il Direttore d'ogni casa particolare una volta al mese darà al Rettor Maggiore conto esatto sulla stato morale o sanitario dei confratelli; più un cenno sull'andamento materiale della casa a lui affidata.

                Si nota una piccola eccezione per la casa Madre. Quelli che qui compongono il Capitolo e quei Sacerdoti che lo domandano possono presentarsi al Rettore Maggiore ed esporgli quanto è del caso.

                Il rendere conto di sè al proprio superiore è pratica generale di tutte le case religiose e se ne trova un gran vantaggio, così che io ne spero gran bene eziandio fra noi, sopratutto per conseguire la tanto necessaria pace del cuore e la tranquillità di coscienza.

                Molte cose dovranno dirsi a questo riguardo. Ciò si farà con altre lettere, con apposite conferenze e specialmente nei prossimi spirituali esercizii di Trofarello, se Iddio nella sua grande [690] misericordia ci conserverà, come spero, e ci aiuterà a poterci nel prossimo mese di settembre tutti colà raccogliere.

                Animo, miei cari figliuoli! Noi abbiamo una grande impresa tra mano. Molte anime attendono la salvezza da noi; tra queste anime la prima deve essere la nostra, di poi quella dei nostri soci e quella di qualunque fedele Cristiano cui ci accada poter recare qualche vantaggio. Dio è con noi. Adoperiamoci per corrispondere ai celesti favori che ci ha concessi e che speriamo ci voglia in maggior copia per l'avvenire concedere.

                La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi e ci conceda lo spirito del fervore e il prezioso dono della perseveranza nella società.

                Amen.

 

                Solenne giorno dell'Assunzione di M. SS. 1869.

Aff.mo in G. C.

Sac. G. Bosco.

 

                P. S. Questa lettera sarà letta a tutti i soci della nostra Pia Società[34].

 

                Il giorno 14 agosto, sabato, Don Bosco partiva dall'Oratorio per Montemagno, ove il domani celebravasi solennemente la festa dell'Assunta.

                Era atteso a Montemagno dal Marchese Fassati, che, per onorarlo, avea preparato in quel giorno un gran pranzo con inviti. Don Francesia avea preceduto di un giorno il Venerabile. Quando giunse la vettura senza Don Bosco, il Marchese andò sulle furie, perchè troppo gli era cara la sua presenza e, rivoltosi a Don Francesia:

                 - Lei che sorge sempre a difendere Don Bosco, vorrei [691] sapere quale scusa avrà il coraggio di recare in sua discolpa per averci burlati in questa maniera!

                Don Francesia tranquillamente osservò:

                 - Io, per lunga esperienza, ho veduto che Don Bosco, anche quando sbaglia, l'indovina sempre.

                Verso le 5 pomeridiane i convitati si assisero a mensa. Il Marchese era di malumore.

                Quale era la causa del ritardo di Don Bosco? Giunto in Asti, egli era andato a visitare la famiglia Cerrato, la quale a bello studio aveagli fatto perdere la corsa dell'omnibus, trattenendolo di soverchio con sempre nuove visite di amici e ragionamenti interessanti. Don Bosco, avvedutosi tardi che l'ora trascorreva, volle recarsi a tutti i costi al luogo della partenza, ma la carrozza, già da mezz'ora, era partita. Mentre stava pensando se dovesse o no ritornare indietro, il sig. Cerrato, godendo in cuore della sua vittoria, lo invitò a recarsi nell'Oratorio festivo del Canonico Giovanni Cerrutti, Penitenziere. Era questo il fine di quella piccola trama. Don Bosco accettò, e predicò, confessò, diede la benedizione, quindi si avviò verso casa Cerrato per passarvi la notte.

                E si faceva notte quand'ecco dietro alle spalle di Don Bosco risuona una voce che diceva:

                 - Contacc! Ma quel prete lì sembra tutto Don Bosco!

                Il Venerabile, sentendo pronunciare il suo nome, si volse e un uomo dalla barba folta si avvicina a lui, lo prende per la mano, e baciandola calorosamente:

                 - È lui! è proprio lui! Oh Don Bosco! Come sta?

                 - E lei come sta?

                 - Ma che Lei d'Egitto! Mi dia del tu, come mi dava tanti anni fa. Non mi conosce più?

                 - Ma sì... sì... tu sei il tale... sei Giacomo!

                 - Egli mi conosce ancora! Sì, sono Giacomo. L'ho sempre detto che Don Bosco mi voleva bene: mi conosce ancora dopo 14 anni che non mi ha più visto! E ne facevo allora delle birichinate e gliene ho dati dei dispiaceri, povero Don Bosco:  [692]

                 - Son ben contento di vederti e che tu mi voglia bene: tu sai che Don Bosco ti ha sempre voluto bene... e che cosa fai tu qui?

                 - Faccio il negoziante: i miei affari non vanno male; e me la passo in modo che non posso lamentarmi.

                 - E sei sempre bravo?

                 - Bravo sì, ma non come vuole lei.

                 - Come sarebbe a dire?

                 - Là, non voglio dir di più... sarebbe un parlar male... Ah! dei Don Bosco non ne ho trovato più nessuno! ... ce n'è un solo! ... Da altri non mi sento nè coraggio nè voglia di andarmi a confessare... anzi... per nulla.

                 - E da Don Bosco?

                 - A Don Bosco non posso dire di no e in qualunque momento egli voglia io son pronto.

                 - Ma qui in Asti, oltre di te ci saranno altri miei amici?

                 - Oh sì! ce ne siamo diversi, che parliamo sempre di Don Bosco e dell'Oratorio, e dopo che abbiamo lasciato l'Oratorio non siamo più stati a confessarci.

                 - Siamo intesi adunque; venite domani mattina.

                 - Verrò, sì.

                 - Ma sarai di parola?

                 - Forse non sarò capace di perseverare, ma a Don Bosco non mancheremo certamente di parola in nessun modo; mi dica dove va domani a dir messa e verrò io e condurrò anche gli altri.

                Prima che rincasasse varii altri ex - allievi si erano avvicinati al Venerabile. E all'indomani 15 giovanotti e padri di famiglia si confessavano da lui e dalle sue mani ricevevano la S. Comunione. Poi lo accompagnarono alla vettura: ove gli si strinsero attorno e, piangendo dalla contentezza, baciandogli la mano ripetevano:

                 - Grazie, grazie del bene che ci ha fatto, della consolazione che ci ha data. Non solo i signori le vogliono bene, ma tutti, ma anche la povera gente lo ama. [693] I popolani, che oziavano sulla piazza, stupivano nel veder un prete circondato da tanti uomini e fatto segno a tali dimostrazioni d'affetto.

                Quando Don Bosco giunse a Montemagno, il Marchese Fassati e la Marchesa lo ricevettero rimproverandolo amorevolmente:

                 - Don Bosco promette e poi manca di parola!

                Don Bosco, come se più non si ricordasse dell'invito pel giorno antecedente:

                 - E perchè, disse, mi fanno questo rimprovero?

                 - Per qual cagione non è venuto ieri? continuò il Marchese.

                 - È vero, ha ragione, dirò: - e prese a raccontargli quanto gli era occorso in Asti. Il Marchese non potè frenare le lagrime ed esclamò:

                 - Quando è così, le auguro di avere tali impedimenti tutte le volte che ho l'onore di invitarlo a casa mia.

                E Don Francesia al Marchese: - - Ebbene, signor Marchese? non è vero che Don Bosco l'indovina, anche quando sbaglia?

                 - Non so che dire, concluse il Marchese, ha ragione lei!

                Intanto si avverava la predizione fatta da Don Bosco a Lanzo alla fine del 1868. Aveva detto che uno in quell'anno scolastico sarebbe morto, che apparteneva alla seconda classe elementare, e che la lettera iniziale del suo nome era “V” Si era al luglio 1869 e in collegio non era morto alcuno. Quando il giovanetto Ulderico Valagossa, robusto e sanissimo, di seconda elementare, cade gravemente ammalato. Un mese durò l'infermità e l'avvocato Luigi Andreis, il quale conosceva la predizione, s'informava curiosamente di quella malattia, e ripeteva a chi gli esternava la speranza di vederla finir bene:

                 - Valagossa morrà: Don Bosco lo ha detto.

                Il giovane intanto entrava in convalescenza; e il padre, venuto a visitarlo, trovandolo ormai guarito e in ricreazione [694] cogli altri, non volle condurlo a casa. Ma eccolo dopo una settimana ricadere infermo e morire. - Don Bosco l'aveva predetto! - esclamò l'avvocato e con lui tutto il collegio.

                Vallagossa morì una domenica, dopo otto giorni di agonia, mentre si cantava il vespro nella chiesa del Collegio e si diffondevano per gli atri le care parole: Et misericordia ejus, a progenie in progenies, timentibus cum. Era un ottimo giovanetto.

                Nei registri del Municipio di Lanzo sta scritto: Valagossa Ulderico morì a Lanzo il 22 agosto alle 4 di sera del 1869. Aveva 11 anni. Era nato a Biassono (Monza). Suo padre Felice, sua madre Francesca Bismara.

                Nello stesso mese dovevano giungere all'Oratorio le notizie della morte del quarto e del quinto dei sei predetti da Don Bosco. Leggiamo nei Registri:

                Boggiatto Ferdinando di Giuseppe da Testona, studente di II ginnasiale, morì a casa propria nel luglio 1869.

                Giacchetti Ch. Carlo di Lorenzo da Lessone, studente di 1° Teologia; il 17 luglio 1869 partì dall'Oratorio et requievit in Domino.

                A pensieri di un'altra vita rivolgeva le menti dei giovani anche il fascicolo delle Letture Cattoliche di settembre ed ottobre: - Il mese di novembre santificato; ossia la divozione verso le anime del purgatorio - Promossa per via di brevi considerazioni e scelti esempi - col modo di ascoltare la santa messa in suffragio delle anime del Purgatorio.

                E così, omai, finiva l'anno scolastico, e il Venerabile invitava i personaggi più distinti di Torino alla distribuzione dei premii nell'Oratorio, col seguente biglietto.

 

                ORATORIO

                DI S. FRANCESCO DI SALES

                TORINO.

 

                Mercoledì, 8 settembre, alle ore 6 pom. avrà luogo la solenne distribuzione dei premii agli alunni delle scuole ginnasiali. Prego pertanto V. S. Ill.ma a volerci in tale occasione onorare di sua presenza per rendere così più maestosa la nostra festa e dare incoraggiamento ai nostri allievi.

 

                Torino, 6 settembre 1869.

Sac. GIOVANNI Bosco. [695]

 

                Il giorno della Natività di Maria SS. si festeggiò nel modo più solenne che si potè, poichè si aspettavano ad onorare la festa anche i membri del quinto Congresso Pedagogico che appunto in quei giorni si teneva in Torino.

                Dopo le sacre funzioni nella chiesa di Maria SS. Ausiliatrice, nel pomeriggio si diede principio alla festa, resa più brillante dal gran numero degli invitati, che risposero personalmente all'invito, e dai parenti dei giovanetti che venivano a dividere le consolazioni dei loro figliuoli.

                Fra gli intervalli della distribuzione de' premi e delle menzioni onorevoli, rallegrava la festa la musica vocale ed istrumentale dei nostri giovanetti.

                Fu cantato un inno composto dal Sac. Giovanni Cagliero, direttore della musica vocale; e si suonarono varie sinfonie del maestro Giovanni De - Vecchi, che piacquero assai,

                Sovra ogni altra però fu cara una sinfonia fantastica adattata alla circostanza, la quale figurava la partenza dei giovani alla volta della casa paterna, e dove con maestria ed arte veniva rappresentato il partire di un convoglio ferroviario, il suo correre sulle rotaie e l'arrivo allo scalo, poi un suono festivo di campane, e scoppi di petardi e armoniosi concenti della banda di un paese in festa.

                Corona dell'opera fu la bella orazione che in quella circostanza proferì il dotto e cattolico professore Carlo cav. Bacchialoni, dottore collegiato in lettere e filosofia, che riscosse gli applausi universali.

                Questa orazione venne stampata e la conserviamo negli archivi.

                Chiuse le scuole regolari, Don Bosco indisse per i Salesiani due corsi di esercizii spirituali nella casa di Trofarello, perchè tutti vi potessero intervenire senza lasciar soli i giovani rimasti nell'Oratorio e ne' Collegi.

 

 

CAPO LVI. Il Primo corso di esercizi spirituali a Trofarello - Le istruzioni di Don Bosco - Vari riassunti: Obbedienza - Povertà - Voto di Povertà - I parenti - Elogio della castità, e mezzi negativi e positivi per conservarla - Parlate di Don Bosco, dopo le orazioni della sera, agli esercitanti in Trofarello - Si annunzia che Mons. Comboni prepara per i Salesiani una casa in Egitto - Emissione di voti - Ultima predica e chiusura degli esercizii - Amorevolezza di Don Bosco verso quegli alunni che non intendono far parte della Pia Società - Il Cav. Federico Oreglia di Santo Stefano si ascrive alla Compagnia di Gesù: sua lettera di congedo a Don Bosco e a varii confratelli - La seconda muta di esercizi. - Se non fossi Salesiano, io mi farei Salesiano!

 

                Il primo corso d'esercizii spirituali principiò il 13 settembre lunedì. Il Venerabile predicò le istruzioni, Don Rua le meditazioni. Gli uditori erano alcuni sacerdoti, numerosi chierici, laici coadiutori, e giovani studenti ed artigiani, aspiranti alla Pia Società?

                La Iª istruzione di Don Bosco fu un ragguaglio storico del principio e svolgimento degli Oratorii festivi e della Pia Società di S. Francesco di Sales dal 1841 al 1869. La voce, i sentimenti, le parole manifestarono l'immensa sua gratitudine alla Madre celeste.

                Fortunatamente abbiamo le tracce di tutte le istruzioni [697] di Don Bosco in un quadernetto, insieme con altre tracce, scritte in parte su fogli distaccati, che probabilmente furono predicate dal Venerabile agli Esercizi tenutisi nel 1870, a Lanzo Torinese. Noi le pubblichiamo tutte testualmente, in appendice al presente volume[35]. Qui ci limitiamo a indicare i temi che Don Bosco svolse in questo primo corso di esercizi tenutisi nel 1869, che sono i primi notati nel citato manoscritto, come ci risulta dal confronto fatto colle memorie prese da chi udì il Venerabile.

                I temi furono i seguenti.

                13 settembre, lunedì, sera: Introduzione: ragguaglio storico della fondazione della Pia Società.

                14 settembre, martedì, mattino: Vantaggi di chi vive in congregazione - sera: idem.

                15 settembre, mercoledì, mattino - Voto dell'ubbidienza - sera: Ubbidienza ai Superiori.

                16 settembre, giovedì, mattino: Voto di povertà sera: I Parenti.

                17 settembre, venerdì, mattino: Castità: mezzi positivi per conservarla  Sera: Mezzi negativi.

                18 settembre, sabato, mattino: Ricordi. Lavoriamo con fede, con speranza e con carità verso Dio, verso i superiari, verso i confratelli e verso gl'inferiori.

                Di alcune delle istruzioni tenute dal Venerabile noi possiamo offrire ai confratelli un sunto alquanto diffuso, coll'aiuto di varie memorie.

 

 

I.

 

OBBEDIENZA.

 

                Dell'istruzione di Don Bosco sull'obbedienza abbiamo questa nota.

 

                Don Bosco in primo luogo notò che sotto il voto di obbedienza, cadono tutte le prescrizioni fatte dal Superiore con l'intenzione [698] dichiarata di obbligare in forza del voto, purchè non siano contrarie od affatto estranee allo spirito delle costituzioni.

                Quindi spiegò che il voto di obbedienza restringe l'obbligazione sotto pena di peccato più o meno grave, secondo la materia, riguardo a quelle cose comandate dal Superiore, perchè prescritte dai Comandamenti di Dio e dalla Chiesa. Il quarto comandamento col nome di padre e di madre indica anche coloro che riguardo a noi tengono le loro veci e che per tali li abbiamo accettati da Dio col nostro voto.

                Il solo Rettor Maggiore, e il Direttore riguardo ai suoi sudditi, può comandare in nome della santa obbedienza e allora potrà essere caso di grave colpa. Non così se questo comando partisse da altri superiori, ad eccezione che tale disubbidienza desse scandalo e producesse danno al suddito o ad altri.

                Nel resto le nostre Regole non obbligano sotto pena di peccato. Se uno non facesse la meditazione, la lettura spirituale, l'esame di coscienza, la visita al SS. Sacramento, se non digiunasse al venerdì, se non recitasse il Rosario, se non si confessasse ogni otto giorni, resterebbe privo di quel merito, ma non farebbe peccato, a meno che non fosse cagione col suo cattivo esempio di rilassatezza nella Comunità. E se fosse grave lo scandalo e il danno prodotto, sarebbe anche grave la trasgressione.

 

 

II.

 

POVERTÀ.

 

                Per la maggior parte degli uomini le ricchezze sono spine per le angustie e le fatiche che richiedono l'acquistarle e il conservarle. Sono lacci per le ingiustizie che fanno commettere, per le avarizie, per la durezza di cuore verso il prossimo; sono un giogo che tien l'anima curva alla terra, le impedisce di aspirare alle cose celesti e solo il fango tiene per sua porzione. L'onesta povertà non ha preoccupazioni che la turbino, non ha rimorsi che le diano angustia, è al sicuro da tante tentazioni del demonio, è madre di ogni virtù, aspira al cielo e confida in quell'amoroso Signore che ha detto:

                 - Non potete servire a Dio ed alle ricchezze.

                Ma non vogliate angustiarvi dicendo: Cosa mangeremo, o cosa berremo, o di che ci vestiremo? ... Il vostro Padre celeste sa che di tutte queste cose avete bisogno. Cercate adunque in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia e avrete di soprappiù tutte queste cose. Non vogliate adunque mettervi in pena pel dì di domani (Matt. VI).

                Quanto fosse grande il pregio della virtù della povertà lo mostrò il Divin Salvatore col suo esempio. Paupertas non inveniebatur in coelis, in terris abundabat; et nesciebat homo pretium eius. Hanc itaque Dei Filius concupiscens, descendit ut eam eligat sibi, et nobis faciat pretiosam (S. Bernardo in O. N.). [699] Gesù Cristo nacque, visse, abitò, si nutrì, e morì povero: in laboribas a juventute mea.

                E questa santa povertà era argomento continuo della Dottrina che predicava. Alle moltitudini annunziava la necessità di distaccare il cuore delle cose dalla terra e ciò imponeva a coloro che invitava ad essere suoi apostoli; e da quelli che gli domandavano di essere da lui accettati come discepoli per formare società con lui, esigeva che rinunziassero a quanto possedevano, anche alle loro famiglie.

                Un giorno si presentò a Gesù un tale, che, inginocchiatosi, gli domandò:

                 - Maestro buono, che farò per acquistare la vita eterna?

                E Gesù:

                 - Tu sai i comandamenti: osservali.

                 - Maestro, io li ho tutti osservati fin dalla mia giovinezza.

                A questa risposta Gesù gli die' segno di grande affetto e gli disse:

                 - Una cosa sola ti manca, se vuoi essere perfetto; va', vendi quanto hai e dallo a' poveri e avrai un tesoro nel cielo: vieni e seguimi. A questa parola, rattristatosi, colui se ne andò sconsolato: perchè aveva molte possessioni. E Gesù, dato intorno uno sguardo, disse ai suoi discepoli:

                 - Quanto è difficile che i ricchi entrino nel regno di Dio.

                E ai discepoli stupefatti delle sue parole Gesù disse ancora: Figliuolini, quanto è difficile che entrino nel regno de' cieli quelli che pongono fidanza nelle ricchezze! (Marc. X e seg.). È più facile ad un cammello il passare per la cruna di un ago, che ad un ricco entrare nel regno di Dio.

                Udito ciò, i discepoli restarono sempre più ammirati e dicevano l'un l'altro: - E chi può essere salvo? - Ma Gesù guardandoli disse loro: - Impossibile è questo presso agli uomini; ma appresso Dio tutto è possibile. - Difficilissimo è che l'uomo carnale distacchi il cuore dalle ricchezze, ma colla grazia di Dio molti le impiegano a soccorrere generosamente i poveri e la Chiesa, e molti si spogliano di tutto per dedicarsi al divino servizio.

                Alla risposta del Salvatore, Pietro prese la parola, anche a nome degli altri apostoli, e gli disse: - Ecco che noi abbiamo abbandonate tutte le cose e ti abbiamo seguito: che sarà adunque di noi?

                E Gesù disse loro: - In verità vi dico, che voi che mi avete seguito, nella rigenerazione, allorchè il Figliuolo dell'uomo sederà sul trono della sua maestà, sederete anche voi sopra dodici troni e giudicherete le dodici tribù d'Israele. In verità vi dico che non vi ha alcuno il quale abbia abbandonato la casa, o i fratelli o le sorelle o il padre o la madre o i figliuoli o le possessioni per me e pel vangelo, e che non riceva il centuplo, adesso in questo tempo, in case e fratelli o sorelle, e madri e figliuoli e possessioni, in mezzo alle persecuzioni; e nel secolo avvenire la vita eterna. [700] E non sembra questa la storia di tutte le Congregazioni religiose, anche della nostra?

                Dopo aver narrato la parabola della gran cena alla quale gli invitati ricusarono d'intervenire, Gesù, messosi in cammino, si volse alla numerosa turba di popolo che lo seguiva, e disse loro: - Chi viene a me e ama suo padre e sua madre più di me, non è degno di me: e chi ama il figlio o la figlia più di me, non è degno di me. Chi non odia persino l'anima sua non può essere mio discepolo. - E ripeteva ad alta voce: - Se alcuno vuol tenermi dietro, rinneghi se stesso, prenda dì per dì la sua croce e mi seguiti.

                Queste parole contenevano fors'anco un avviso ai parenti dei discepoli che lo circondavano, e a questi raccomandava la perseveranza nel seguirlo coraggiosamente e portare la croce. Non si trattava di confidare in soccorsi e forze umane.

                Colla sua grazia Dio sosterrà quelli che con fatica e sudore vogliono arrivare al premio della loro vocazione. Diceva: Chi di voi volendo edificare una torre, non fa prima i conti delle spese che vi vorranno e se abbia con che finirla. Affinchè, dopo gettate le fondamenta, non potendo egli terminarla, non comincino tutti quei che vedono a burlarsi di lui, dicendo: Costui ha cominciato a fabbricare e non ha potuto finire.

                Voleva dire: E voi, che siete venuti alla mia sequela, siate costanti nel fabbricare la torre della perfezione cristiana. Se vi perdeste di coraggio, troppo grande sarebbe per voi la vergogna ed il danno. I mondani è necessario che facciano i loro conti per non lasciare a metà una impresa. Ma voi non dovete temere. Mettete nei conti delle spese gli implorati aiuti di Dio, che non mancheranno. Omnia possibilia sunt credenti.

                Sorgeranno persecuzioni e tentazioni, e il Divin Salvatore prosegue con altra parabola:

                Quale è quel Re, che stando per muovere guerra a un altro Re, non consulti prima a tavolino se possa con diecimila uomini andare incontro ad uno che gli vien contro con ventimila? Altrimenti, mentre questi è tuttora lontano, gli spedisce ambasciatori e lo prega di pace,

                Abbiamo da sostenere la guerra contro il demonio, contro il mondo, e contro noi stessi, e se venissimo a patti coi nostri nemici sarebbe eterna ignominia e irreparabile sciagura. Noi non dobbiamo temere le armi dei nostri nemici, perchè Dio ci porge le sue armi spirituali. Cadent a latere tuo mille, et decem millia a dextris tuis, ad te autem non appropinquabit. E l'arma potente è il voto di povertà colla rinunzia di tutto e di cuore, e Dio tutto darà a voi: Apud Deum autem omnia possibilia sunt.

                E per conclusione delle due parabole Gesù Cristo esclamava: Così pertanto chiunque di voi non rinunzia a tutto quello che possiede non può essere mio discepolo (S. Luca XIV). [701]

 

III.

 

VOTO DI POVERTÀ.

 

                Alcuni di voi sono legati dai voti, altri sono pronti a far sacrificio di se stessi e delle cose loro al Signore. Dirò pertanto qual sia la portata del nostro voto di povertà.

                Il voto di povertà presso di noi riguarda l'amministrazione di qualsivoglia cosa, non già il possesso: perciò i professi possono ritenere il dominio radicale, come si dice, dei loro beni; ma ne è loro interamente proibita l'amministrazione, come pure la distribuzione e l'uso delle rendite, senza il consenso del Superiore. - Tutti i socii prima dell'emissione dei voti debbono stendere il loro testamento. - Potranno disporre liberamente del dominio sia per testamento, sia, col permesso però del Rettor Maggiore, per atti tra i vivi. - Tutti i doni loro fatti e i frutti di qualunque industria o lavoro materiale od intellettuale appartengono alla Società. - Qualunque cosa i professi avessero acquistato in vista della Società dovranno rifonderla tra i beni della comunità, a comune utile della Società. - Niuno tenga denaro presso di sè o presso altri.

                Il nostro voto è questo: Observantia voti paupertatis, in hoc praecipue consistit, ut animum ab omnibus terrestribus alienum habeat, quod nos vita quoqueversu communi ad victum et vestimentum consequi curabimus, nec quidpiam, nisi peculiari Superioris permissione, pro nobis retinentes[36].

                Ed era la regola degli apostoli: Habentes autem alimenta, et quibus tegamur, his contenti simus (I. Timoteo VI, 8). L'Apostolo S. Paolo scriveva ai que' di Filippi: Omnia... arbitror ut stercora, ut Christum lucrifaciam (III. 8). E a questa purità d'intenzione Gesù aveva promesso un gran premio: Beati pauperes spiritu, quoniam ipsorum est regnum coelorum (Matth. V, 3). Non dice in futuro, come delle altre beatitudini, ma dice est.

                La nostra deve essere povertà di fatto e non di nome. Gloriantur de nomine paupertatis, et socios paupertatis fugiunt (S. Bernardo). Socii della povertà sono le privazioni, gli stenti, il lavoro ecc.,

                Nella cella, negli abiti, nella mensa, nei libri, nei viaggi, etc. Pauperes esse volunt, eo tamen pacto ut nihil eis desit. (S. Bernardo de Adv. Dom.) .

                Noi intanto riflettiamo 1° che un religioso deve possedere quello che aveva Gesù Cristo: Propter vos egenus factus est, cum esset dives ut illius inopia vos divites essetis (II. Cor. VIII, 9). Il nostro Divin Maestro era tale, che nessun di noi può superarlo nella povertà. Nulla ei possedeva a questo mondo. La sola veste per ripararsi dalle intemperie [702] si poteva dir sua, e i carnefici se la giuocarono coi dadi, sotto i suoi occhi, mentre moriva sulla croce.

                2° Ricordiamoci che qui volunt divites fieri, incidunt in laqueum diaboli (I. Timot. V, 9). Il danaro fece commettere molte colpe all'apostolo Giuda, lo indusse al più orribile dei delitti, e lo spinse a finire i suoi giorni con una morte spaventosa.

                3° Non si dimentichi l'antica nostra condizione, della quale scrive S. Gerolamo a Nepoziano parlando di certi monaci: - Nec plus habeas quam cum clericus esse cepisti. - Natus in paupere domo, et in tugurio rusticano, qui vix milio et cibario pane rugientem saturare ventrem poteram, nunc similam et mella fastidio.

                4° S. Tommaso di Villanova e tanti altri, con uno sguardo a Gesù Crocifisso, non trovavano difficoltà nella vita religiosa. Oh quali saranno i pensieri consolanti nel punto della morte di chi si fece povero per Gesù Cristo.

                Individualmente noi adunque nulla dobbiamo avere di proprio; possediamo però qualche cosa in comune: ma almen coll'affetto fa mestieri che rinunciamo anche a tutti i beni presenti, a tutti i legami e a tutto quello che si ama nel mondo, onde sia pronto il religioso a perdere tutto, piuttosto che mancare alla santa sua professione e a Dio.

                Se noi ci manterremo fedeli al voto di povertà, noi saremo quasi mendichi, ma che molti facciamo ricchi (dei doni dello spirito santo): quasi destituiti di tutto e possessori di ogni cosa (perchè la povertà è la nostra vera ricchezza) II Cor. VI, 10.

                Ed io aggiungo: nihil habentes et omnia possidentes, anche di beni temporali. Gesù lo ha promesso. Nemo est qui reliquerit domum... aut agros propter me... qui non accipiat centies tantum nunc in tempore hoc, domos... et agros. E ciò era per l'abitazione, il sostentamento e per l'opere svariatissime di carità spirituali e temporali che avrebbe affidate alle congregazioni di questi poverelli. Il Cuore di Gesù nutre tenerezza indescrivibile per coloro che furono ossequenti al suo invito. In tutto il mondo ben presto si può dire che non ci fu monte o pianura senza convento o monastero o collegio, nei quali nulla mancava del necessario.

                Ma guai a quelle case religiose nelle quali s'incomincia a vivere da ricchi. Lo proclamavano S. Agostino e S. Gerolamo fin dai loro tempi. Infatti molti conventi caddero, ma gloriosamente, cum persecutionibus, odiati per la difesa che essi presero per la causa della fede e dei diritti della Chiesa. Ma le rovine di moltissimi e famosi antichi Ordini e i loro beni dispersi sono prova come l'ira di Dio abbia permesse tante sciagure in punizione del voto messo in non cale.

                Dopo questi Ordini sorsero Congregazioni novelle, numerose come le antiche, e cosa mirabile cum persecutionibus; e Gesù largheggiò subito con esse e largheggerà finchè non si attaccheranno alle ricchezze. Oh santa e benedetta povertà!  [703] Deus meus et omnia, esclamava S. Francesco d'Assisi. Son povero, ma omnia possum in eo qui me confortat, diremo con S. Paolo. Ed è per questo che i veri poveri per amore di Gesù Cristo fecero miracoli. È per questo che un religioso alza la mano con fede e guarisce gli infermi. Bisogna abbandonarsi nelle mani della Divina Provvidenza, che non verrà mai meno. È per questo che i settantadue discepoli mandati a due a due da Gesù in tutte le città e luoghi dove egli era per andare, ebbero la potestà di fare miracoli, ed ebbero certamente anch'essi la promessa fatta agli apostoli (Luca X).

                Il Divin Salvatore mandando i suoi apostoli a predicare la sua venuta diceva loro: - Andando, annunziate e dite: il regno dei cieli è vicino. Rendete la sanità ai malati, risuscitate i morti, mondate i lebbrosi, cacciate i demonii; date gratuitamente, quello che gratuitamente avete ricevuto. Non vogliate avere nè oro nè argento, nè danaro nelle vostre borse, nè bisacce pel viaggio, nè due vestiti, nè scarpe, nè bastone.

                 - Oh, Signore, avran pensato gli apostoli, e come provvedere alle nostre necessità?

                Gesù continuò: - Merita l'operaio il suo sostentamento. In qualunque città o castello entrerete, informatevi chi in essa sia degno, e presso di lui fermatevi, sino a che ve n'andiate. All'entrar poi nella casa, salutatela con dire: Pace sia a questa casa! ...

                Andarono gli Apostoli e, ritornati dalla loro missione, Gesù disse loro: - Quando vi mandai senza sacco, senza borsa, senza scarpe, vi mancò egli mai nulla? - Ed essi risposero: - Nulla!

                E anche noi possiamo rispondere a Gesù: - Siamo poveri, ma non ci mancò mai nulla! (Matt. X. - Luca XXII, 35, 56).

 

 

IV.

 

I PARENTI.

 

                Disse Dio ad Abramo: Egredere de terra tua, et de cognatione tua, et de domo patris tui, et veni in terram quam monstrabo tibi. (Gen. XII, 1).

                Melchisedech, sacerdote del sommo, Dio, sine patre, sine matre, sine genealogia (S. Paolo agli Ebrei VII, 3).

                I ministri di Dio devono allontanarsi dalla patria e dai parenti, se vogliono fare del bene. - Nemo propheta acceptus est in patria sua. (Luca IV, 24).

                Dottrina di Gesù Cristo: Egli, tutto cuore, che comandava si onorasse il padre e la madre, che consolò tante famiglie col risanare e risuscitare i loro cari, così parlò trattando di fede e di vocazione: Si quis venit ad me et non odit patrem suum et matrem suam, etc, non Potest meus esse discipulus (Luca XIV, 26). [704] Veni enim separare hominem adversus patrem suum, et filiam adversus matrem suam (Matt. X, 35) - perchè inimici hominis, domestici eius.

                Imperocchè frequenter amici carnales aversantur profectui spirituali; propinqui enim carnis in hoc negotio amici non sunt, sed inimici (S. Tommaso). - Mosè, stando per morire, disse quasi lo stesso dei leviti che avevano obbedito al coniando del Signore: Qui dixit patri sito et matri suae: Nescio vos; et fratribus suis: Ignoro vos... hi costudierunt eloquium tuum et pactum tuum servaverunt (Deut. 33, 9).

                È un sacrificio, ma Dio lo vuole e sarà divinamente ricompensato. Abbiamo la promessa del centuplo in questo mondo di quanto avremo abbandonato, e della vita eterna. La promessa è a chi reliquerit omnia

                Ma chi ha parenti poveri, in necessità, non entri in Religione; rimanga per aiutarli. Chi volesse aiutarli, non potrà mai vivere in Congregazione col cuore contento.

                Se i parenti non son poveri, il religioso che si consacra tutto a Dio, possedendo qualche cosa, abbandoni la casa, il campo, la vigna, il prato, tutto quello che ha, come vuole il Divin maestro: Vendite quae possidetis, et date eleemosynam. E Gesù ci diede l'esempio di questa povertà. Non aveva che la sua povera casa di Nazareth ed egli l'abbandonò, sicchè potè dire: Le volpi hanno le tane, gli uccelli dell'aria i loro nidi, ma il figliuolo dell'uomo non ha dove posare il capo.

                E se ancora ci rimanesse qualche cosa: Quod superest, date eleemosynam E tra i poveri non potrebbero annoverare la loro Comunità? Sit haeres, sed mater filiorum, idest gregis sui, Ecclesia, quae illos genuit nutrivit et pavit (S. Gio. Gris.).

                Vi sono di quelli che, mossi dalle insinuazioni dei parenti, dimenticano le promesse fatte a Dio, e il fine dei loro studi è di giungere al sacerdozio per procurare maggior agiatezza alla loro famiglia. Dice S. Gerolamo a Nep.: Obsecro itaque te, et repetens iterumque monebo, ne officium clericatus antiquae militiae putes: idest ne lucra saeculi in Christi quaeras militia.

                Sarà facile che trovino i mezzi? Saranno essi in vita nel tempo vagheggiato? Saranno in bisogno?

                Ma perchè diffidare della Provvidenza? Preghiamo! - Quando un figlio abbandona i genitori per obbedire alla vocazione, Gesù Cristo prende il suo posto nella famiglia.

                Gesù ci dà l'esempio del distacco che andava predicando.

                Alle dolci rimostranze della sua santissima madre, che avealo smarrito, risponde: Quid est quod me quaerebatis? Nesciebatis quia in his, quae Patris mei sunt, oportet me esse? (Luca II, 49).

                Quando una buona donna gridò beata sua madre, Egli disse: Quinimmo beati, qui audiunt verbum Dei, et custodiunt illud (Luca XI, 28).

                Vanno a trovarlo la madre sua e i suoi fratelli e non potevano  [705] accostarsi a lui a motivo della folla. E fu riferito a lui: - La tua madre e i tuoi fratelli son là fuori e bramano di vederti. Ed egli rispose: Chi è la mia madre e chi sono i miei fratelli? - Ed estesa la mano verso de' suoi discepoli: - Costoro, disse, sono la madre e i fratelli che io ho. - Mater mea et fratres mei hi sunt, qui verbum Dei audiunt, et faciunt (Luca VIII, 19, 21, Matt. XII, 46, 50).

                Labora, sicut bonus miles Christi Jesu (II. Timot. II, 3).

                Non andare alla propria casa, fuorchè per motivi gravi e consigliati dai Superiori, come fece S. Luigi. Andarvi quando i parenti fossero gravemente ammalati. Andare a casa nelle vacanze, o per visite in occasione di feste chiassose, è lo stesso che dire: Vado per raffreddarmi nelle cose di pietà. Uno dei discepoli disse a Gesù: Domine, permitte me primum ire, et sepelire patrem meum. Jesus autem ait illi: Sequere me et dimitte mortuos sepelire mortuos suos (Matt. VIII, 21, 22) Tu vade et annuntia regnum Dei (Luca IX, 60). Gesù non voleva proibire tale ufficio di pietà e di carità, ma segnalava un pericolo, e l'obbligo di seguitarlo senza indugio. Un altro gli disse: Sequar te, Domine; sed permitte mihi primum renuntiare his quae domi sunt: a dire addio a que' di casa mia. E Gesù rispose: Nemo mittens manum suam ad aratrum, et respiciens retro, aptus est regno Dei (Luca IX, 61, 62).

                Più uno si sbroglia e si distacca dalla relazione dei parenti e da quella di altri del mondo più egli acquista di virtù e di perfezione. S. Antonio eremita bruciò un pacco di lettere provenienti dalla sua famiglia, senza leggerle. - Privazioni largamente ricompensate!

                Molto meno impacciarsi in affari temporali, e in commissioni di parenti e di altri. - Nemo, militans Deo, implicat se negotiis secularibus, ut ei placeat, cui se probavit (II, Tim. II, 4) - affine di piacere a colui che lo ha arruolato nel suo servizio. Rompere adunque ogni relazione che si possa avere col mondo.

                Noi dobbiamo dire: - Mondo più per me non sei, - io per te non sono più - tutti e ognor gli affetti miei - ho donati al mio Gesù.

 

 

V.

 

ELOGIO DELLA CASTITÀ E MEZZI NEGATIVI PER CONSERVARLA.

 

                La castità è necessaria in tutti, ma specialmente a chi si dedica al bene della gioventù. Virtù grande che innalza l'uomo al grado degli Angeli: Erunt sicut Angeli Dei in coelo. Era conosciuta nell'antico testamento. Giuseppe, Elia, Daniele, Susanna.

                Nel nuovo testamento la castità si congiunge colla verginità e il Profeta annunziava: Ecce virgo concipiet et pariet filium.

                Elogi che bastino a celebrare degnamente la virtù della castità si potranno udire solamente dalla bocca degli angioli. Gesù volle nascere [706] di una Vergine e fu Re dei Vergini. Suo discepolo prediletto fu l'Apostolo Giovanni, perchè vergine; morendo, a lui consegnò la sua SS. Madre. A Roma Giovanni fu liberato dalla caldaia dell'olio bollente in premio della sua verginità. E per questo motivo nell'isola di Patmos fu condotto in visione a contemplare nel paradiso il trionfo dei Vergini.

                Questa virtù fa degli uomini che la praticano, tanti angeli.

                Ma guai a chi la perde. La carità, la castità, l'umiltà sono tre regine che vanno sempre insieme: una non può esistere, senza le altre. Fintanto che uno è casto, ha sempre viva fede, ferma speranza e ardente carità, ma quando si abbandona al vizio, incomincia a dubitar delle verità della fede. L'incredulità, l'eresia non ebbero e non hanno altro principio.

                Per conservare questa virtù vi sono mezzi positivi e negativi. I negativi sono la fuga delle occasioni. Quindi chiudere le finestre per cui entra il demonio a rubarci questa virtù. Sono i due occhi, dei quali dobbiamo frenare la curiosità, perchè quel che si vede, se è illecito, lascia un'impressione cattiva. Pepigi foedus cum oculis meis ut ne cogitarem quidem de virgine (Iob. XXXI, I).

                Quindi coloro che, recandosi in patria, vanno a qualche festino, non si asterranno dal veder certe cose che metteranno in gran pericolo questa virtù. Oculus meus depraedatus est animam meam (Thren. III, 51).

                Non fissare gli sguardi in volto alle persone di diverso sesso e neppure a que' giovani che fossero più avvenenti. La stessa precauzione si usi nel fare il catechismo alle ragazze o ai ragazzi. Trattare con riserbo co' famigliari e con affettuosa riverenza la propria madre. Non si dimentichi il contegno di S. Luigi in molte circostanze della sua vita: ei non poteva soffrire che altri vedesse nudi i suoi piedi.

                Non mai leggere libri immorali, romanzi, commedie, racconti sentimentali, o profani. Questi ultimi faranno eccezione per coloro che sono obbligati a studiarli o ad insegnarli. Vi sono tanti libri buoni ed istruttivi in ogni genere di scienza da leggersi! ...

                Chiudere ambedue le orecchie, perchè un male incalcolabile avviene dall'aver udito qualche discorso o anche solo qualche parola maliziosa. Fuggire i luoghi pericolosi per la presenza di certi sboccati. Evitare i discorsi colle persone di mondo, i ritrovi de' giuocatori.

Non accettare di prender parte ai conviti secolareschi. Ma se si è costretti ad andare, sentendo dei cattivi discorsi, non parlare, dar segni di dispiacere, chiuder le orecchie, e, invocando l'aiuto di Dio, fare o dire quello che il Signore ispira, o allontanarsi con qualche pretesto.

Anche in certe famiglie vi sono pericoli di questo genere e talora anche più gravi È perciò che io dò consiglio di non andare a casa, se non si è obbligati da uno stretto dovere.

Perchè non entri il demonio, chiudete la porta: questa è la bocca,  [707] perchè è colla lingua che si fanno i riprovevoli discorsi. Non dirò di quelli che offendono direttamente la bella virtù, ma sibbene di certi parlari che sembrano indifferenti; di certi racconti, favole, storielle non cattive in sè, ma per certe circostanze; di motti non troppo castigati; questi bastano certe volte a destar cattivi pensieri nei giovani, che furono già vittima di certe miserie, ovvero inducono altri a interpretarle male, cagionando disistima verso chi ha parlato. E i buoni in tali casi, potendolo, si allontanano. Quindi non parlar più del necessario e sempre di cose utili all'anima.

                Per la bocca entra il cibo... Non si mangino cose forti, piccanti, ricercate, di difficile digestione, troppo abbondanti o troppo gustose come sarebbero le paste dolci, le confetture. Non si bevano vini squisiti o liquori inebrianti, e tanto più se con intemperanza, perchè facendo in questo modo è un doppio miracolo se conservasi la bella virtù. Se non fosse altro, si dà in pensieri o desiderii illeciti deliberatamente, con pericolo di azioni abbominevoli. Alla sera non star del tutto digiuni; ma più ci terremo leggeri nel mangiare, più saremo sicuri. Aggiungo di far mortificazioni, non solo col non procurarci cibi che ci fanno gola, ma col frenare questi desiderii. Siamo contenti di quello che la Provvidenza ci somministra.

                In quanto alle occasioni pericolose vi dirò di evitare dallo star soli con persone di altro sesso. Dovendo trattare con esse siate più brevi che potete e, dato sul principio uno sguardo indifferente, parlate colla faccia volta da un lato, volgendo gli occhi qua e là senza affettazione. Non accompagnatevi con esse per istrada. Astenersi dallo stringer loro la mano, fossero pure vostre sorelle, dar loro sguardi affettuosi, far loro dei regali, scrivere lettere troppo tenere, far confidenze troppo spinte, dar preferenza più ad una che all'altra. Qui familiaritatem non vult vitare suspectam, cito labitur in ruinam. Siamo cristiani, siamo religiosi, e non dobbiamo invischiarci nelle cose della terra. Perciò fuggire tanquam a facie colubri, e troncare ogni relazione.

                Grandi riguardi si usino anche trattando con persone religiose: Hospitiolum tuum aut raro, aut nunquam, mulieris pedes terant. Omnes puellas aut virgines Christi, aut aequaliter ignora, aut acqualiter dilige. Nec sub eodem tecto mansites: nec in praeterita castitate confidas (S. Girolamo a Nep.) - Si, propter officium clericatus, aut vidua visitatur, aut virgo, numquam solus domum introducas, etc. (id).

                Fuggir pure le amicizie particolari coi giovani, perchè hanno delle attrattive che si fanno amare. Astenersi dai baci, dal prenderli per mano, da metter loro le mani sulla faccia, accarezzarli, comunque sia, con maniere affettuose; del permettersi atto o parola che possa destar in loro una cattiva immaginazione, un affetto sensibile; e peggio trattenersi così con essi da solo a solo. Giammai introdurli nella propria cella. Ciò desta invidie, sospetti, maldicenze, scandalo.

                E, questi riguardi cercate d'inculcarli prudentemente anche fra gli [708] alunni. Non lusingarsi delle passate vittorie, perchè si vince una o due, tre volte, ma poi la quarta si cade. Apprehende fugam, si vis referre victoriam. Non si creda, perchè siamo già avanzati d'età di essere sicuri: niente affatto; poichè chi più forte di Sansone, chi più santo di Davidde, chi più sapiente di Salomone? Eppure, malgrado tante virtù, caddero miseramente. Non dimentichiamo che habemus thesaurum in vasis fictilibus.

 

 

VI.

 

MEZZI POSITIVI PER CONSERVARE LA CASTITÀ.

 

                Per conservare la virtù della castità ci sono mezzi negativi e positivi. I mezzi negativi li abbiamo ridotti alla fuga delle occasioni e di tutto ciò che può cagionare cattiva immaginazione e sensazione.

                I mezzi positivi si riducono a quattro: - Preghiera. - Fuga dell'ozio. - Frequenza dei SS. Sacramenti. - Vigilanza nelle cose piccole.

                Scrisse Salomone nel libro della Sapienza al Capo VIII, 19: “Io era fanciullo ingegnoso, ed ebbi in sorte un'anima buona. Ed essendo io più buono venni ad avere corpo immacolato. E tosto ch'io seppi come io non poteva essere continente, se Dio non mel concedeva (ed era effetto di sapienza il sapere da chi venga tal dono) io mi presentai al Signore e lo pregai, e dissi con tutto il mio cuore: - . Dammi quella sapienza che assiste al tuo trono, e non mi rigettare dal numero de' tuoi figliuoli ...”.

                Il 1° mezzo è dunque la preghiera.

                Per preghiera s'intende tutto ciò che solleva i nostri affetti a Dio. La meditazione al mattino è la prima. Ciascuno la faccia sempre, ma, scendendo alla pratica, concluda sempre colla risoluzione di ricavarne frutto, di evitare un difetto, di praticare qualche virtù. Bisogna pregare, se si vuole ottenere. Quindi le preghiere che si dicono in comune al mattino e alla sera, devono servire ad impetrare da Dio tutto ciò che ci abbisogna per l'anima e pel corpo. Si dicano bene, e sempre. Ciascuno, quando può, le reciti insieme cogli altri; se non può, pazienza, ma non trascuri mai di recitarle... Non le dimentichi... Si reciti ogni giorno il Rosario e si assista alla S. Messa, e si legga qualche libro divoto.

                La preghiera deve essere manifestazione di fede che inviti gli astanti a lodare Iddio. Noi Salesiani incominciamo a udir bene la S. Messa, e i sacerdoti la celebrino con gravità riverente, edificante, facendo con esattezza le cerimonie. Questi, e coloro che sono vicini alle ordinazioni, studino bene le rubriche. Siano insegnate anche agli alunni, e loro s'inculchi la compostezza necessaria in questa santa azione. Fa tanto bene il vedere un giovanetto che con devozione serve la S. Messa. È passato in proverbio nei paesi: - Quel giovane serve così [709] bene la messa, perchè è lui alunno di Don Bosco. - E voi, sacerdoti, recitate il vostro Breviario digne, attente ac devote, e, potendo, dinanzi al santo tabernacolo. Si facciano bene le genuflessioni e i segni di croce, per eccitamento alla preghiera. - Distribuite immagini, libretti, medaglie che ricordino la bontà di Maria SS. Incoraggiate gli alunni a cantare le sue lodi, a celebrare le sue novelle e le sue feste, i suoi sabati, e loro fate notare le indulgenze concesse per tali occasioni dalla Santa Sede. Abbiate per questa Madre Santissima un'ardente divozione: Sileat misericordia tua, virgo Beata, si quis est qui te invocatam in necessitatibus meminerit defuisse. S. Bern. Sermo 4° de Assumptione.

                Ecco ciò che voleva dirvi sulla preghiera; intorno ad essa debbo notare che la maggior parte di voi fa ciò che vi ho raccomandato ed io ne son contento.

                Il 2° mezzo è la fuga dell'ozio.

                Vult et non vult piger. Desideria occidunt pigrum Prov., XIII, 4; XXI, 25. - In desideriis est omnis otiosus. (S. Girolamo ad Rusticum). - Omnem malitiam docuit otiositas. E San Gerolamo ad Rusticum, aggiunge: Facito aliquid operis ut te diabolus semper occupatum inveniat. Nunquam de manu et oculis recedat liber.

                Se noi ci teniamo occupati, il demonio non ci potrà mai vincere. Aspetta sempre ad assalirci quando siamo in ozio. Levarsi subito al mattino al segno della levata. Non andare a riposare in tempo indebito. Nel giorno, quando si fossero terminati i proprii doveri, inizierai a leggere qualche libro che tratti di cose di spirito. Ci sarebbe anche da leggere la Storia Ecclesiastica, e se ne legga quei tratti che il tempo ci permette. Abbiamo il Calmet, il Bercastel, il Rohrbacher. La traduzione della Bibbia del Martini col testo e note è uno dei più belli studii che si possano fare sulla Bibbia. Divinas scripturas saepius lege, immo nunquam de manibus tuis sacra lectio deponatur (Hier. ad Nep).

                Quando la mente stanca non regge ad un'occupazione e si ha bisogno di sollievo, a preferenza di far niente, passeggiate, saltate, giuocate, date mano a qualche lavoro materiale. Così consigliava S. Filippo Neri. Non state mai un minuto in ozio. Insomma non dar riposo al corpo e concedergli solo quel tanto che è indispensabile alla sua conservazione.

                Il 3° mezzo positivo per conservare la virtù della purità è la frequenza dei Sacramenti. Il Concilio di Trento ha espresso il suo vivo desiderio che si accostassero alla Santa Comunione, tutte le volte, quelli che assistono alla Santa Messa. È il cibo che dà la forza; è il cibo di vita. Qui manducat hunc panem, vivet in aeternum (Joan. VI. 59).

                In quanto alla Confessione chi ha la coscienza tranquilla può aspettare fino agli otto od anche ai quindici giorni: ma chi fosse tentato può anche andare più sovente lungo la settimana. Così darebbe un colpo risoluto al tentatore con grande vantaggio dell'anima sua. Si confessi delle cose spinose, anche dubbie; delle cose piccole e delle [710] circostanze per avere un consiglio sicuro. Abbiamo necessità di una guida. Nec ipse te doceas, et absque doctore ingrediaris viam quam numquam ingressus es (Ad Rusticum).

                Chi non potesse comunicarsi tutti i giorni sacramentalmente, non lasci mai di fare la Comunione spirituale, e la inculchi ad altri.

                La visita a Gesù Sacramentato si faccia ogni giorno, per quanto si può in comune e all'ora stabilita: e chi non potesse recarsi alla Chiesa coi confratelli, la faccia in altro tempo, ma non si lasci mai. Nel far la visita, si reciti qualche giaculatoria, per es.: Sia lodato e ringraziato ogni momento il SS. e divinissimo Sacramento.

                Il 4° mezzo è fuggire le cose piccole, le piccole occasioni e tentazioni. Si vis magnus esse, a minimo incipe (S. Agost.) Principiis obsta.

                Metterci subito in guardia, quando siamo tentati; dar mano a far qualche cosa, cambiar posizione, passeggiare, distrarci con qualche fantasia o ricordi a noi graditi, passare da una occupazione a un'altra, o cose simili. Appena incomincia la tentazione, è facile la vittoria, ma se si sta alquanto in mora a combattere, questa diventa difficile, perchè tanto si diviene più deboli, quanto il nemico acquista di forza. Respingete subito l'assalto coll'allontanarvi dal pericolo, ma subito, subito, perchè nelle cose contro la modestia, se acconsentite, non vi è parvità di materia. Si tronchi, pel momento, la lettura di un libro anche buono, se troppo ci impressiona qualche descrizione. Quando vediamo qualche litografia, quadro, immagine, che in noi desta qualche disturbo, benchè non sia cattiva, qualche ragazzo o qualche ragazza, vestiti non troppo decentemente, facciamo subito una mortificazione, rivolgendo altrove il nostro sguardo. Ricordiamoci che qui spernit medica, paulatim decidet; e che qui amat Deum, nihil negligit. E intanto portar gran rispetto a noi stessi, camminare modestamente per le strade: sedere, conversare, scherzare, ricrearsi ecc. in modo che il nostro contegno rispecchi la bella virtù.

                Mettiamo adunque in pratica tutti i mezzi per vincere, anzi per prevenire le tentazioni. Non andare a coricarsi dopo pranzo. Venuta l'ora del riposo, coricarsi colle mani giunte sul petto. Pregare finchè ci siamo addormentati, e, qualora nella notte ci svegliamo, ripigliare la preghiera: dir delle giaculatorie, baciare l'abitino, o il crocifisso o la medaglia che si porta indosso. Aver nella cella un poco d'acqua benedetta; fare il segno della santa croce con fede.

                Se metteremo in pratica questi avvisi, potremo poi anche noi cantare, come speriamo, quell'inno che cantano coloro che vestiti di candida veste sequuntur Agnum quocumque ierit. Onorate al sabato la Madonna con qualche pratica di pietà; inculcate questo anche ai giovani, ma incominciate voi stessi a darne l'esempio.

 

                Don Bosco, ogni sera dopo le orazioni, teneva nella cappella un discorsetto agli esercitandi. Fu questo suo uso costante [711] quando poteva. Ecco il sunto di ciò che disse quest'anno.

                13 settembre. - Abbiamo accennato ai segni di una vocazione religiosa. Riguardo a noi e alla vita Salesiana ne aggiungerò due altri di grande importanza: Lo stare volentieri coi giovani; aver desiderio di adoperarsi perchè abbraccino lo stato ecclesiastico.

                14 settembre. - Detestare il male fatto nel passato, correggere il presente: aver dispiacere del bene trascurato; risolvere fermamente di cooperare con qualunque sacrifizio alla salute del prossimo.

                15 settembre. - Avvisava quelli che fossero risoluti di emettere i voti a dare il proprio nome a Don Rua o a D. Cagliero; ed esortava tutti a fare testamento.

                Il 16 settembre quattro socii emettevano i voti perpetui. Erano tra essi D. Savio Angelo e D. Giulio Barberis. Cinque altri emettevano i voti triennali.

                Don Bosco disse alla sera come per motivi urgenti di famiglia, o per grave malattia di qualche parente, si poteva e si doveva permettere ad alcuni membri della Pia Società di andare in patria, senza violare le Costituzioni; ma per chi avesse bisogno di far vacanza o curare un'infermità o mutar aria, esservi le case di Chieri, di Lanzo, di Mirabello, di Trofarello, e la nuova di Cherasco che presto sarebbe aperta, fornite di ogni cosa necessaria. Fece poi notare che, se avesse potuto, avrebbe proibito la lettura dei giornali: tollerava che fossero letti i buoni fogli giornalieri in privato, ma giammai in pubblico, alla presenza de' giovani.

                Il 17 settembre si lesse a tavola una lunga lettera scritta a Don Bosco dal Missionario Don Comboni che stava preparando al Gran Cairo il locale per un istituto che i Salesiani dovevano stabilire in Egitto per le Missioni d'Africa.

                Alla sera quattro socii fecero i voti triennali e, prima di andare a riposo Don Bosco così parlò:

                “L'altra volta abbiamo parlato del voto di castità e [712] alcuno di voi ne fu un poco inquietato. E diceva: Come, dovendo trattare coi giovani, non prenderne mai nessuno per mano, non provare nessuna simpatia? Se ci assale qualche cattiva immaginazione, dobbiamo fuggire e chiuderei in camera? - E così continuava ad esporre altre sue obiezioni.

                Ma io, mentre ripeto e confermo ciò che ho indicato come causa di gravi pericoli e che voi dovete fuggire, osserverò che dove per sè non vi è colpa, le esagerazioni non debbono aver luogo. Io non volli dire che una stretta di mano, una simpatia onesta, una parola affettuosa, ancorchè talora producano qualche cattiva immaginazione, se questa non è acconsentita, sono peccato: ma dico solamente che non bisogna mettersi nelle occasioni che siano tali per un animo debole. Aggiungo anzi che certi tratti di fraterna benevolenza si facciano pure, quando ne fosse il bisogno, ma sempre con riguardo, e che non sia una cosa continuata.

                La retta intenzione, la grazia: di Dio, il continuo lavoro, la preghiera, i sacramenti, l'obbedienza alle regole, formano tale un'armatura che difficilmente può essere spezzata dal demonio. E di ciò son una splendida prova tutti questi nostri campioni che lavorano in mezzo ai nostri giovani.

                Del resto chi non si sentisse di conservare questa virtù stando fra i giovani, io lo consiglio a non entrare nella nostra Pia Società”.

                Il 18 settembre Don Bosco fece la predica di conclusione della quale possiamo riferire alcuni pensieri.

 

                Non amare per fine umano le creature, gli amici, i parenti, i Superiori, i compagni, ma Dio sopra tutte le cose e il prossimo per amor di Dio. Qui manet in charitate, in Deo manet, et Deus in eo (I. Jona.; IV, 16). Se Dio è con noi, possiamo tutto: Omnia possum in eo qui me confortat (S. Paolo ai Filip., IV, 13).

                Lavorare con fede, speranza, e carità.

                Lavorare con fede, aspirando al premio che ci aspetta in cielo. Non fare le cose perchè il Superiore ci dica un bravo! un bene! o perchè saremo applauditi da coloro che ci conoscono. No, non operiamo per queste miserie, ma per far cosa grata al Signore. [713] Lavorare con speranza. Quando siamo stanchi, quando abbiamo delle tribolazioni, alziamo gli occhi al cielo; gran mercede ci attende in vita, in morte, nell'eternità; là il premio ci aspetta. Facciamo come quel solitario che prendeva conforto dal cielo, contemplando dalle fessure della sua piccola ed oscura grotta un tratto del firmamento. Qui confidit in illo, non minorabitur (Eccli. XXXII, 28).

                Lavorare con carità verso Dio. Egli solo è degno di essere amato e servito, vero rimuneratore di ogni più piccola cosa che facciamo per lui. Ei ci riama come un padre affettuosissimo. Charitate Perpetua dilexi te...

                È pur nostro dovere usar modi caritatevoli cogli inferiori ed aiutarli. Non dir mai con aria d'autorità: Fa' questo; fa' quello: ma usar sempre modi graziosi, soavi, dolci. Non dir mai al coadiutore o ad un famiglio, quando accade qualche contestazione, ed è cosa che mi dispiace tanto: Finiscila, obbedisci. Che cosa sei tu? Nient'altro che un servo. In casa nostra non vi è alcun servo. Siamo tutti eguali avanti al Signore. Gesù stesso non volle che lo chiamassero padrone, ma padre, maestro, e diceva essere velluto sulla terra per servire e non per essere servito. Tanto è padrone nella nostra Comunità il Superiore, come l'ultimo scopatore...

                Il Superiore studii l'indole de' suoi soggetti, il loro carattere, le loro inclinazioni, le loro abilità, i loro modi di pensare, per saper comandare, in maniera da rendere facile l'obbedienza, ricordando che non sa comandare chi non sa obbedire. Non comandar mai cose troppo difficili o ripugnanti .....

                Quando per trarre qualcuno al bene, o guadagnar qualche anima, servisse un'immagine, un foglietto, un libro ecc, si doni volentieri; ma non per altro fine... È anche nostro scopo diffondere buoni libri. Facciamo quel che possiamo nel praticar ciò nei luoghi e nel tempo stabilito. - Pazienza nel sopportare i difetti altrui, come dice S. Paolo: Alter alterius onera portate. Procuriamo di amarci come fratelli, aiutarci, compatirci sostener l'onore l'uno dell'altro: non mai aspri rimproveri o derisioni, ma avvisarci caritatevolmente. Sbandiamo ogni parola grossolana, trattiamoci sempre con bel garbo, cortesemente e con carità.

                Carità verso i Superiori, sopportando i loro difetti... Pratichiamo noi quello che diciamo agli altri. Siamo gelosi custodi delle regole anche le più piccole, e specialmente dei voti...

                Uno spettacolo lagrimevole è il vedere turbe di ragazzi che sono nel mondo, che avrebbero bisogno di essere educati ed istruiti, e nessuno ci pensa. Talvolta anche in mezzo a quelli radunati in un Oratorio, vi è un sacerdote, vi è un chierico, i quali sembrano non avere altro impegno che divertire se stessi e non pensano a dare un'istruzione religiosa a quelli loro affidati dalla misericordia di Dio.

                Fate volentieri il Catechismo, raccontate esempi di carità operati [714] dai santi, esempi che dimostrino la misericordia e la giustizia di Dio, che saranno ascoltati avidamente... Quanti ragazzi aspettano l'istruzione religiosa, le spiegazioni sulla santa legge di Dio. Preparateli a ricevere con frequenza i santi Sacramenti... Ah'... Parvuli petierunt panem, et non non erat qui frangeret eis. (Tr., IV, 4).

                Noi abbiamo scelta a questo mondo la cosa migliore: salvar le anime. È vero che non siamo in numero sufficiente alla necessità, perchè sono tanti quelli che han bisogno di aiuto per salvarsi! Ma facciamo quel che possiamo. Il campo è aperto. Dall'Impero Birmano, dall'Africa, dall'America, da Genova, da Roma, ci scrivono invocando la nostra opera. Pregate il Signore che mandi degli operai. Messis... multa... operarii autem pauci. Rogate ergo Dominum messis, ut mittat operarios in messem suam (Luca X, 2).

                Coraggio! il salvar le anime, fra le cose divine, è la più divina. Dicano gli uomini del mondo che è passato il tempo dei religiosi, che i conventi rovinano ovunque; noi, a qualunque costo, vogliamo cooperare col Signore alla salute delle anime...

                Il mondo non ci pensa all'anima. Al Parlamento di Parigi si discute, si studia, e così nelle Camere di Firenze, come a Pietroburgo, a Berlino, a Londra, si tratta di finanze, di annate, di guerre e di conquiste; ma nessuno pensa all'anima, come se non si avesse: Propterea dilatavit infernus animam suam et aperuit os suum absque ullo termino; et descendent fortes ejus, et populus eius, et sublimes, gloriosique ejus ad eum (Isaia V, 14).

 

                Cantato il Te Deum, fatto il pranzo di congedo, ogni confratello ritornò alla propria residenza. Tutti erano contenti, sia quelli che avevano fatto i voti, come quelli che avevano rimandata ad altro tempo la loro professione; sia coloro che si erano fatti ascrivere, come quelli che si contentavano di essere aspiranti, o anche aspiravano a incardinarsi in qualche diocesi. Don Bosco non faceva pressione per la scelta dello stato e, qualora tenessero una condotta non riprovevole, loro prestava ogni amorevolezza paterna, anche fino al termine degli studi. La sua parola prudente, affettuosa con tutti, senza far eccezioni, produceva mirabili effetti sugli animi. Eccone una prova.

                Don Merlone stava nell'Oratorio da oltre 12 anni, ma non aveva mai mostrato volontà di fermarsi in Congregazione. Era già sacerdote. Deciso finalmente di andar via, esce un giorno con Don Bosco e può parlare molto a lungo con lui. [715] Tornato a casa Don Barberis lo vide che pareva fuori di sè. - Io teneva già Don Bosco per un santo, diceva D. Merlone, ma quest'oggi me ne sono maggiormente persuaso. Mi ha sciolte tutte le difficoltà che io faceva: ha messo il mio cuore in pace. Si vede che i santi non pensano solo per loro. Oh che cuor grande ha mai Don Bosco! Egli non restringe i suoi pensieri alla sua Congregazione; purchè si faccia del bene, sia dovunque. Mi fece vedere che cosa poteva fare un prete che vive fuori di Congregazione, mi descrisse il vastissimo campo che anche fuori vi è da coltivare. Io era deciso di andarmene e, sebbene egli non mi abbia detto di fermarmi, pure ora non voglio uscire dall'Oratorio. Voglio ancora aspettare e vedere se la mia vocazione possa essere di fermarmi qui.

                E si fermò ancora due anni nell'Oratorio, e poi andò viceparroco. Don Barberis scriveva nella sua cronaca: “Mi restò tanto impresso questo fatto, che sebbene siano passati sei anni, l'ho come presente; tale era l'entusiasmo col quale parlava D. Merlone”.

                Coloro che avevano assistito agli esercizi eran tutti tornati alle loro residenze, ma un dolore preveduto affliggeva in que' giorni Don Bosco. Il Cavaliere Federico Oreglia di Santo Stefano, dopo nove anni di aggregazione alla Pia Società, abbandonava l'Oratorio per entrare nella Compagnia di Gesù. Conosciuto come Salesiano in gran parte dell'Italia, stimato per la sua virtù da moltissime nobili famiglie della penisola, lavoratore indefesso per le opere di Don Bosco, religioso edificante per la fedeltà ai suoi doveri, questa dipartita poteva destare nel mondo meraviglie e dicerie, e nell'Oratorio una disgustosa impressione.

                Il Cavaliere scriveva umilmente a Don Bosco.

 

 

                V. G. M. G.

Torino, 19 settembre 1869.

                               Molto Rev. Don Bosco.

 

                Entro questa settimana io debbo definitivamente partire per la mia nuova destinazione: sarà illusione, sarà verità, io credo di dovere [716] almeno provare. Lei che giudicò non poter approvare la mia decisione, vorrà almeno compatirla e considerarla non altrimenti che un atto che io compio per scarico ed a quiete di mia coscienza.

                Parto dall'Oratorio, dove per ben nove anni ho goduta tutta la sua affezione e confidenza, per cui può essere persuaso che sento tutta l'amarezza di questo distacco.

                Non ho vergogna di dire e mi terrò onorato di ripetere sempre come per nove anni ho mangiato il pane della sua carità; ben poco è ciò che ho fatto per corrispondere e ricambiare tanta sua bontà verso di me. Non però fu mai mancanza di volontà.

                Lasciando questa casa porto tutto meco il carico, sempre dolcissimo, delle infinite mie obbligazioni verso di Lei e di ognuno di quelli che mi furono superiori o compagni. Se non potrò loro in alcun modo giovare, almeno lui sarà dolce il riconoscermi e manifestarmi loro debitore, e debitore insolvibile. Dove mi sarà dato di essere utile a Lei, alla casa, alla Congregazione o a qualsivoglia de' suoi membri mi terrò, e lo prego a considerarmi sempre, come loro servo, amico e fratello.

                Per debito di gratitudine e di giustizia, non cesserò mai di pregare sopra di Lei e di tutta la sua famiglia ogni bene dal Signore.

                Da Lei e dai suoi spero e invoco a titolo di carità un qualche memento e qualche applicazione della Salve Regina che si recita in fine del Santo Rosario.

                Credo bene notare che qui mi rapporto a quanto, per incarico avutone, mi significava a nome di Lei il P. Vasco che, cioè, Lei desiderava che partissi senza che nè in casa nè fuori si sapesse lo scopo vero di mia partenza. Io, contento di poterle in qualche modo dimostrare la mia gratitudine, le dirò che neanco i miei più prossimi parenti, come madre e fratelli, nulla ne sanno, e qui ne parlai con Buzzetti a cui Lei lo disse e a D. Sala che vidi essersi accorto dei miei apparecchi.

                Questo per sua norma, onde giustificare ciò che Ella non credette comunicarmi direttamente.

                Troverà tre lettere identiche le quali scrissi collo scopo di distruggere qualsiasi chiacchiera, che al di fuori potessero fare persone malevoli a danno della Casa o della Congregazione per la mia partenza. Ella può darle, ritenerle, o annullarle, come le piace e giudica meglio. Occorrendo in seguito qualsiasi mia testimonianza, Lei conti sempre sulla mia buona disposizione, sempre che i miei superiori me lo permettano.

                Mi duole al sommo di partire senza poter riverire e ringraziare ognuno di quanti compongono la Congregazione e famiglia. Ma poichè una partenza tacita e segreta può meglio giovare alle sue vedute, mi sottometto volentieri a questo vero sacrificio, e la prego in seguito, quando il crederà, far conoscere questo mio desiderio e rammarico, almeno a qualcuno che possa poi agli altri comunicarlo. [717] Le chieggo perdono di tutte le noie e dispiaceri che le ho dati in qualsiasi modo e tempo, e la prego condonarmi tutto quel male che in ogni maniera potessi aver fatto a Lei, alla Congregazione, alla Casa o agli individui col cattivo esempio dato, sia con parole che con fatti.

                La prego anche perdonarmi tutto il bene che non ho fatto, per cui alla Casa possa esserne avvenuto danno.

                In fine la prego di credere che io esco da questa casa col cuore attaccatissimo ad essa, e se è possibile più affezionato che pel passato.

                Sa il Signore gli obblighi di gratitudine e di riconoscenza che io porto meco verso la sua persona e famiglia: per cui se io mi stacco dalla sua obbedienza, non per questo rinuncio a sdebitarmi quanto più e meglio potrò dei molti debiti che a Lei mi legano. Voglia il Signore permettere che le occasioni mi si presentino molte e frequenti.

                Se d'ora innanzi non avrò più diritto di chiamarmi suo figlio, sarò sempre felicissimo, se mi crederà quale mi è dolce e gradito ripetermi, ora e per sempre, colla più sincera gratitudine e rispetto

                Di Lei, M. Rev.do Don Bosco,

Obbl.mo Servitore

FEDERICO OREGLIA.

 

                Le tre lettere, identiche, erano indirizzate a D. Michele Rua, a D. Celestino Durando e a D. G. B. Lemoyne. Togliamo da esse la parte principale.

 

                Il Signore mi chiama ad una vita, senza fallo, di maggior rigore, ispirandomi di entrare nella Compagnia di Gesù. Non è decisione presa a volo, ma maturata all'appoggio di consigli di persone per pietà, scienza e conoscenza d'anime, indubitatamente rispettabili e sperimentate. Per cui in me è nata la convinzione assoluta essere questa precisa volontà del Signore; benchè non voglio tacerle che dall'amatissimo comun padre Don Bosco non abbia avuta che una semplice adesione ma non approvazione dell'esposto mio proposito.

                Non giova qui esporre i motivi per cui altri mi diedero un opposto parere, e il perchè questo abbia prevalso: ciò che importa e che io desidero si conosca per espressa mia dichiarazione si è che unico motivo di questa mia risoluzione fu la convinzione in me nata essere questo il volere di Dio. Quindi niun motivo di malcontento o malumore proveniente o dalla osservanza delle regole o da ordini de' superiori o da questioni o freddure di qualsiasi genere, diede origine o corroborò questo pensiero. Se qualche motivo può aver causato questo passo, per me certo sensibile e doloroso, egli è da dedursi unicamente da' miei peccati i quali, senza forse, mi resero indegno di continuare a fare parte di questa nuova falange di Gesù Cristo, il quale, per sua misericordia, anzichè abbandonarmi a me stesso volle a me inspirare [718] il bisogno d'una vita più rigorosa e togliermi a quei pericoli che la prevenzione di me stesso mi renderebbe forse insuperabili in una Congregazione informata a tanta dolcezza da rendere ogni vincolo e legame tanto facile e leggiero quasi come non fosse. Il prevenire possibilmente ogni dubbio e rispondere ad ogni quesito sulla vera cagione di mia partenza dall'Oratorio e della mia uscita dalla Congregazione io credetti utile tanto, perchè essa non sia di scandalo a i Confratelli esistenti, nè d'attrattiva ad imitazione, basandola su false cause; come anche a chi volesse dalla mia partenza arguirne un appoggio e farne un'arma a fomentare una guerra tanto ingiusta quanto sleale, come da tanto tempo si fa all'amatissimo Don Bosco ed alla sua Congregazione...

                Adempiuto per tal modo a questo dovere impostomi dalla conoscenza che ho dell'umana malizia, che in modo subdolo perseguita il carissimo Don Bosco nelle opere sue e massime nella sua Congregazione, finisco col chiedere a Dio ed a lei e per lei a tutti gli appartenenti alla Congregazione perdono d'ogni qualsiasi disgusto, mancanza di rispetto od offesa volontaria od involontaria loro avessi fatta! ...

 

                Il Cavaliere Oreglia partiva per Roma il 20 settembre, nel qual giorno incominciava a Trofarello il secondo corso di esercizi spirituali.

                Il Venerabile, vedendo allontanarsi un confratello che aveva reso non piccoli servigi al suo nascente istituto, non poteva non sentirne rincrescimento. Non era il pensiero dell'aiuto che veniva a mancargli, perchè era solito ripetere: “Le opere di Dio non hanno bisogno dell'aiuto dell'uomo”; la causa del suo dispiacere va cercata nel suo cuore di padre e nella stima altissima che egli aveva per la nuova opera del Signore. Un giorno che da vari confratelli si parlava con grande ammirazione dei vari ordini religiosi, rilevando i meriti di ciascuno, vi fu uno che altamente elogiando le gesta valorose e lo zelo invitto di uno di questi, concluse dicendo che, per sè, si sarebbe ascritto volentieri a quell'istituto, qualora non fosse stato Salesiano.

                Don Bosco, che di gran cuore aveva condiviso tutte le lodi, udendo la conclusione, esclamò con calma incisiva:

                 - Oh! no... se non fossi Salesiano, io mi farei Salesiano!

 

 

CAPO LVII. Don Bosco scrive alla Superiora delle Fedeli compagne ringraziandola delle offerte e delle carità usate ai giovanetti dell'Oratorio; e fa elogi del suo Istituto - Scrive a Don Belmonte che i suoi parenti lo vorrebbero a casa: lo incarica dell'ufficio di Prefetto a Mirabello: gli dà alcuni avvisi - D. Bonetti è incaricato della novena del Rosario ai Becchi - Voti religiosi emessi a Trofarello - Una lettera di Don Bosco a D. Domenico Curti: assicura preghiere per un'inferma: rammenta in quali limiti si sia domandata la grazia al Signore - È annunziata l'apertura del Collegio di Cherasco - Avviso ai parenti di quegli alunni dell'Oratorio che pagano pensione; una lite disgustosa risolta a danno di Don Bosco, il quale non conserva rancore - La virtù della giustizia esercitata dal Venerabile.

 

                DON Bosco, in ogni momento libero dal sacro ministero, si metteva a tavolino. Una sua lettera, indirizzata a Suor Eudossia, Superiora dell'Istituto delle Fedeli Compagne di Gesù in Torino, dimostra la sua umile e profonda riconoscenza per chi beneficava i suoi alunni e lo spirito di Dio di cui era ricolmo.

 

 

Rev.da Signora Madre,

 

                È un ritardo indiscreto, ma è un dovere e si deve compiere. - Le dico adunque che a suo tempo ho ricevuto fr. 130, di cui f. 100 provenienti [720] dalla casa di Torino affidata alle sollecitudini di V. S. R. ed offerti ad onore di Maria Ausiliatrice, e fr. 30 offerti per due grazie ricevute da persone, il cui bene sta molto a cuore alla pia e zelante Madre Superiora Generale.

                Ringrazio Lei di tutto il bene che ci fa lungo l'anno, specialmente col rappezzare la biancheria di nostri poveri giovanetti. Creda, signora Madre, che queste opere di carità, sono gelosamente da Dio registrate nel libro della vita eterna; e queste opere, avendo la promessa di un centuplo anche in questa vita, non potranno a meno di meritare speciali favori del cielo sopra di Lei e sopra tutta la fortunata famiglia dalla divina Provvidenza a Lei affidata.

                Non meno la ringrazio del danaro che mi ha mandato, e che servirà a provvedere alcune delle molte cose che tuttora mancano alla Chiesa di Maria Ausiliatrice.

                Se poi ha occasione di scrivere alla Madre Generale, dica che io non ho mai omesso di raccomandare ogni giorno nella Santa Messa Lei e tutte le sue Case; che le grazie dimandate saranno per intero concesse, colla sola distinzione che talvolta Iddio, invece di una cosa, Egli la cangia e ne concede un'altra che Egli vede di sua maggior gloria. Una grazia poi tutta speciale fu concessa alle sue famiglie che si mantennero nell'osservanza religiosa, guadagnando molto in fervore e zelo per le anime. La casa poi di Torino ha questo di straordinario che, mentre gli educandati o sono sciolti dalla forza delle leggi, o per mancanza di allieve si vedono altrove abbandonati, questa casa per moralità, sanità, scienza, e tranquillità potrebbe servire di modello a qualunque casa di educazione la più soddisfacente.

                Intanto prego Iddio che benedica Lei e tutto l'Istituto, affinchè ogni cosa riesca a maggior gloria di Dio e a vantaggio delle anime Amen.

                Mi creda con gratitudine di V. S. R.

 

                Torino, 21 settembre 1869.

Obbl.mo Servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

                Il 22 dello stesso mese scriveva, da buon padre, una lettera a D. Domenico Belmonte, suggerendogli il modo di rispondere ai parenti che lo invitavano a casa: e insieme gli manifestava il suo divisamento di affidargli l'ufficio di Prefetto a Mirabello.

 

 

                               Carissimo Don Belmonte,

 

                Un certo disse al Salvatore: Domine, sequar te quocumque ieris, sed permitte me primum ire et sepelire patrem meum. Jesus ait: Sequere [721] me, et dimitte mortuos sepelire mortuos suos (Matt. cap. 8, 21). Tu vado, annuntia regnum Dei (Luca 9, 60). Alius ait: Domine, sequar te quocumque ieris, sed permitte mihi, renuntiare his quae domi sunt. Ait ad illum Jesus: Nemo mittens manum, etc. (luogo citato). Perciò scrivi lettera e prega; io farò altrettanto. Ora passiamo ad altro.

                Tu mi aggiungi alcune parole che mi dimostrano, o meglio confermano, quella figliale affezione che tu hai sempre nutrito per me, e che io in modo assai più intenso ho sempre avuto per te. Ho sempre cercato e studiato di metterti fra le mani quelle cose che mi sembrano consentanee al tuo carattere e secondo la maggior gloria di Dio. Con questo pensiero avrei divisato di affidarti l'uffizio di Prefetto a Mirabello. Come vedi il passo è gigantesco: oggi semplice suddito, dimani superiore ed arbitro di un istituto, ove racchiudonsi quasi 200 individui! Tuttavia tu riuscirai:

                1° Col cercare la gloria di Dio in quello che fai. Fare del bene a chi puoi, del male a nessuno. Vigilanza in tutto.

                2° Dipendenza figliale dal Direttore, studiando di secondare le sue mire e coadiuvandolo nelle sue fatiche. Molte cose superano le tue forze, perciò alcune attribuzioni saranno riserbate al Direttore.

                3° Il danaro sia presso il Direttore, i pagamenti si facciano a Lui o con suo consenso.

                4° Studia di conciliare l'economia della casa col contento dei subalterni. Quanto è necessario a tutti: ma intrepido nell'opporti agli abusi e scialacqui.

                Altra cosa ti consiglierei per tua tranquillità ed è che mandassi tuo fratello a Torino. Ciò ti toglierebbe da brighe e forse da dispiaceri.

                Del resto abbandoniamoci nelle sante mani del Signore: Esso è con noi e diremo con S. Paolo: Omnia possum in eo qui me confortat.

                Dio benedica te e le tue fatiche; saluta D. Provera e tutti gli altri nostri fratelli, e tu credimi sempre

 

                Trofarello, 22 settembre 1869,

Aff.mo in G. C.

Sac. Giov. Bosco.

 

                Nello stesso giorno disponeva per la novena e la festa del S. Rosario ai Becchi, e scriveva altra lettera al Vicario Generale. Aveva bisogno di svagare Don Bonetti.

 

 

                                Rev.mo Mons. Vicario Generale,

 

                Nella novena in preparazione alla festa della B. V. sotto il titolo del Rosario, solita a farsi in Castelnuovo d'Asti, avrei bisogno di mandare predicatore il Sac. Gio. Bonetti, Rettore del piccolo Seminario di Mirabello.

                Ma esso non avendo più fatta confermare la patente per le confessioni [722] in questa Diocesi, nè ora avendola seco qui a Trofarello, dimanda per mezzo mio alla S. V. Rev.ma per questa occasione di essere autorizzato ad ascoltare le confessioni dei fedeli che ne lo richiedessero.

                Persuaso del favore, reputo ad onore il potermi professare con profonda gratitudine,

                Della S. V. Rev.ma,

 

                Trofarello, 22 settembre 1869,

Obbl.mo Servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

                Il Vicario apponeva alla domanda il seguente rescritto:

 

                V.° Ben volentieri si concede quanto ut supra si implora, cum insuper facultate ad omnia in Dioecesi Taurinensi reservata.

 

                Torino, 22 settembre 1869.

ZAPPATA, Vic. Gen.

 

                Il giorno 23, Don Bosco presiedeva alla cara cerimonia dell'emissione dei voti. Sette socii li professavano triennali, due perpetui. Negli esercizii di quest'anno i voti perpetui erano adunque stati sei e i triennali sedici. A questi si devono aggiungere il Sac. Francesco Dalmazzo, e D. Giovanni Garino che il 15 aprile avevano professato per tre anni.

                Lo stesso giorno il Venerabile scriveva al Can. Curti.

 

 

Trofarello, 23 settembre 1869.

 

                               Rev.mo Sig. Canonico,

 

                La sua lettera vennemi a raggiungere in Trofarello dove sono coi miei preti e maestri a fare gli esercizi spirituali e la ringrazio ben di cuore della parte che prende a mio riguardo. Assicuri la signora Benedetti Celeste, che io l'ho sempre raccomandata al Signore nella S. Messa e spero che Dio, nella sua grande misericordia, o le concederà la perfetta guarigione o almeno le donerà la necessaria pazienza per sopportare con vantaggio dell'anima sua.

                Ella per altro non dimentichi che, quando era gravemente ammalata, abbiamo limitata la nostra supplica a Dio di ottenere di potersi occupare circa le cose più necessarie della famiglia. Ad ogni modo io continuerò a raccomandarla ogni giorno all'altare di Maria Ausiliatrice, e la ringrazio della somma di fr. 50 che mi manda e che andrò ad esigere dal Cav. San Marzano appena giunto in Torino. [723] Dio benedica Lei e le sue fatiche; preghi anche per me che con profonda gratitudine ho l'onore di professarmi,

                Di V. S. Rev.ma,

aff.mo in G. C.

Sac. Giov. Bosco.

 

                La domenica 26 settembre, l'Unità Cattolica dava l'annunzio che Don Bosco avrebbe aperto un nuovo Collegio a Cherasco.

 

 

                Collegio - Convitto di Cherasco.

 

                Nella città di Cherasco pel prossimo anno scolastico sarà aperto alla studiosa gioventù un Collegio - Convitto, che abbraccia le quattro classi elementari e le cinque ginnasiali. L'insegnamento è pareggiato; perciò gli insegnanti, la disciplina, i programmi sono in conformità agli istituti governativi. La direzione e l'amministrazione è affidata al Sacerdote Giovanni Bosco, che è rappresentato dal Sacerdote Francesia, dottore in belle lettere, che ne è Direttore locale. I buoni successi avvenuti nelle altre scuole dirette da Don Bosco sono ampia garanzia che nel novello collegio nulla mancherà di quanto potrà contribuire alla moralità, sanità e profitto scientifico degli allievi. Vi sono due qualità di pensioni: una di lire 24, l'altra di lire 35. La stazione più vicina alla ferrovia è quella di Bra, donde un pubblico servizio, in meno di mezz'ora, trasporta i viaggiatori al collegio. Le domande si fanno al Direttore del Collegio o al delegato scolastico mandamentale in Cherasco.

 

                Così finiva il mese di settembre. Nell'Oratorio si aspettava il ritorno di que' studenti che erano andati in vacanze, conforme la seguente circolare.

 

Oratorio di S. Francesco di Sales, Torino - Valdocco

Settembre 1869.

 

                                Riverito Signore,

 

                Mi fo dovere di notificare a V. S. che le nostre scuole in questo anno riprenderanno il loro corso regolare il 18 del prossimo ottobre e che da tal giorno si comincia a computare la pensione per tutti gli alunni che faranno ritorno.

                Chi avesse qualche debito verso lo stabilimento deve nel ritorno portare il saldo unitamente all'anticipazione di un trimestre della pensione fissatagli. [724] Mentre le comunico queste cose La prego a gradire i scusi di profonda stima con citi godo professarmi, Di V. S.

Obbl.mo Servo

Il Direttore.

 

                N.B. Il tempo stabilito per parlare agli allievi è da un'ora alle due pomeridiane tutti i giorni feriali.

 

                Questo ed altri documenti di simil genere si giudicheranno di poca o nessuna importanza per le nostre memorie ma noi non vogliamo trascurarli perchè ciò che facevano i nostri maggiori sia quasi scuola d'esperienza e di norma a coloro che verranno dopo di noi.

                In Torino intanto si poneva fine a una questione che aveva cagionato a Don Bosco gravi dispiaceri.

                Due fratelli, Cesare e Domenico Bongiovanni, rimasero orfani in tenera età. Certa signora Domenica Bongiovanni vedova Musso, loro zia, si prese cura di essi, e conoscendo Don Bosco, verso cui aveva tutta la stima, volle affidarli a lui affinchè facesse loro insegnare una professione, con cui potessero col tempo provvedere ai bisogni della vita onoratamente e da buoni cristiani.

                La zia suddetta, morendo, lasciava un testamento, in cui nominava Don Bosco erede universale di tutte le sue sostanze, coll'obbligo verso i suoi nipoti - “di far loro insegnare una professione, così essa scriveva, perchè possano col tempo provvedere ai bisogni della vita onoratamente e da buoni cristiani, raccomandando caldamente ai medesimi di rispettarlo ed amarlo e di stare nel suo istituto il più che sarà possibile, od almeno fino all'età di venticinque anni. Qualora però (essa soggiungeva) giunti alla maggiore età, non volessero assolutamente rimanervi, allora il sig. Don Bosco sarà obbligato di corrispondere, a quello che sortirà, la pensione di lire cento (100) annue, pagabili a semestri. Giunti poi all'età di venticinque anni, pagherà [725] ai medesimi il capitale di lire duemila per caduno e con ciò s'intenderà cessata la pensione. Potrà anche il sig. Don Bosco pagare anticipatamente le dette lire duemila od anche differirle sino all'età degli anni 30, qualora nella sua prudenza creda che ciò possa esser di utilità o convenienza ai detti miei nipoti”.

                Don Bosco si prese cura degli orfani, e vedendoli dotati d'ingegno svegliato e di buone qualità morali, ed anche per secondare le loro istanze, li applicò agli studi per la carriera ecclesiastica, a cui mostravano inclinazione. Domenico fece formale domanda a Don Bosco di essere avviato agli studi, dicendo che rinunziava ad ogni futuro compenso che avrebbe potuto esigere.

                Pertanto il Venerabile mantenne i due fratelli durante tutto il corso ginnasiale, filosofico e teologico, senza aver da loro nessun profitto. Fatti poi sacerdoti, il fratello maggiore Cesare rimase con noi sino alla morte. Il più giovane Domenico, resosi insubordinato, chiese egli stesso di uscire; e Don Bosco, che l'aveva fatto provvedere, prima delle ordinazioni, di un patrimonio ecclesiastico, gli permise di aggregarsi al Clero della Diocesi.

                Uscito il D. Domenico pochi giorni prima che compisse i 25 anni, richiese le cento lire di annua pensione e il capitale di lire duemila, e Don Bosco non annuì alla dimanda, sperando che venisse a migliori consigli.

                È da notare che la sostanza lasciata in eredità a Don Bosco consisteva in umili casette del valore complessivo di non più di cinquemila lire, quantunque molti anni dopo siensi alienate ad un prezzo discreto, essendo state espropriate dal Governo per la fabbrica di un arsenale. Ma stava il fatto che il Venerabile aveva speso assai di più per l'educazione dei due fratelli, ed anche solo per questo egli riteneva esorbitanti quelle pretese.

                Il disgusto pel modo di procedere di Don Bongiovanni fu condiviso cordialmente da quanti conoscevano bene la [726] cosa. Anche Mons. Gastaldi, in una lettera al Teol. Golzio, Rettore del Convitto Ecclesiastico di S. Francesco d'Assisi dove il Domenico si trovava per lo studio della Morale pratica, fece gravi rimostranze perchè si fosse permessa una lite contro una persona così rispettabile quale era Don Bosco.

                Il Venerabile difese, a mezzo di procuratore, ciò che era persuaso fosse suo diritto, tanto più che Buzzetti, tutore degli orfani, conosceva e gli aveva chiaramente indicate le intenzioni della testatrice; e, finita la questione, coll'animo suo mite e tranquillo, perdonò di cuore a chi gli aveva cagionato danni e dispiaceri. Il Bongiovanni non fu contento di veder obbligato il Venerabile a dargli 2000 lire, ma ne pretendeva per via legale altre 2000, come eredità del piissimo suo fratello Don Cesare Giuseppe, morto salesiano nell'Oratorio, come abbiamo narrato nel Capo XXIII di questo volume. E il generoso Comm. Dupraz, amico di Don Bosco, s'interpose e tacitò il Bongiovanni con L. 1400

                “Dopo questa lite, attestò con giuramento lo stesso litigante, Don Bosco mi trattò sempre bene e direi quasi affabilmente, ed io sempre lo trattai con grande rispetto e venerazione e presi sempre parte a quella dimostrazione filiale che si faceva e si fa ogni anno in onore di Don Bosco concorrendo anche all'offerta per un regalo a Don Bosco ed intervenendo al pranzo che egli dava ai suoi antichi allievi. Da questo posso arguire che Don Bosco non ha conservato verso di me alcun rancore o freddezza, il che per la mia debolezza io non ho fatto”.

                Don Albera ci assicurava che D. Bongiovanni negli ultimi anni manifestò più volte acerbo dolore di aver così disgustato Don Bosco e che, ricordando questo fatto, andava anche ripetendo:

                 - Chi sa, se mi salverò io? !

                Ma anche dopo morte, Don Bosco die' prova del suo perdono a questo suo ex - allievo, che fu il primo Curato di S. Alfonso in Torino, perchè trovandosi in disperate condizioni [727] finanziarie nel costrurre la nuova chiesa parrocchiale di S. Alfonso, fu più volte a pregare dinnanzi alla tomba del Servo di Dio in Valsalice, e non tardò a trovare le somme necessarie. Egli stesso ci raccontava prima le sue distrette, poi la grazia ottenuta.

                A noi qui piace constatare come Don Bosco possedesse la virtù della giustizia in grado eroico, e con l'ordine voluto, verso il prossimo, dando unicuique suum. Omnibus omnia factus, non aveva per se stesso bisogno di sorta e tutto gli bastava, poichè rifuggiva dall'aversi il menomo riguardo. Non poteva essere ingiusto chi spendeva tutto se medesimo a vantaggio degli altri.

                Non ostante la sua povertà e le difficoltà che dovette superare per tante sue opere, il Venerabile pagò sempre gli operai e i provveditori, e non si udì mai a dire che alcuno abbia patito danno per lui. Ciò è comprovato da molti, ad es. dai fratelli Buzzetti, capimastri e impresari, i quali cominciarono la loro fortuna nei lavori affidati loro da Don Bosco.

                Carlo Buzzetti, che lavorò lunghi anni per Don Bosco e fu il costruttore del Santuario di Maria Ausiliatrice, e poi attese alla costruzione di un'altra chiesa in Torino, lagnandosi delle difficoltà che incontrava per quest'ultima, ricordava con piacere Don Bosco esclamando:

                 - Una parola di Don Bosco per me vale più di una cambiale! Io, per lui, sarei pronto ad assumermi la costruzione di dieci chiese contemporaneamente!

                Nell'ordinare lavori o provviste il Venerabile avvisava che probabilmente non avrebbe potuto tosto soddisfare alla spesa, perchè, vivendo di carità, doveva pur egli attenderla dalla Provvidenza; ma di mano in mano che era in grado, pagava anche senza esserne richiesto, e, non potendo in una volta, soddisfaceva a più riprese. Talora, avendo debiti rilevanti, si umiliava, richiedendo se potevasi condonargliene una parte a titolo di carità in favore dei suoi ricoverati. Non [728] riuscendovi, pagava fino all'ultimo centesimo. Similmente dovendo soddisfare a più creditori, se non poteva pagarli tutti, sempre preferiva quelli che sapeva trovarsi in maggiore bisogno e ne avevano diritto.

                Insomma fece sempre fronte ai suoi impegni, quantunque con suo dispiacere non potesse tal volta sdebitarsi alle scadenze volute, e tal altra dovesse chiedere nuove more per fare i pagamenti.

                Ma la Madonna non mancava di aiutarlo. Le offerte arrivavano, giungeva il corriere della posta ed egli diceva poi a Don Rua: - Quanto è ammirabile la Divina Provvidenza: gli oblatori sono quasi tutte persone che non ci conoscono, non ci hanno mai veduti ed il Signore manda loro l'ispirazione di venirci in soccorso: ed ecco qui biglietti dalla Francia, dal Belgio, dall'Austria, dalla Germania, dalle Russie. Quanto dobbiamo essere riconoscenti alla Divina Provvidenza!

                Egli aspettava tutto da Lei. Tranquillo, quando era privo di ogni mezzo materiale, non ricorreva a speculazioni. Il sig. Bisio un giorno gli fece proposta di un acquisto vantaggioso, di compra e di rivendita, ed egli lo riprese, assicurandolo che la Provvidenza l'avrebbe aiutato in altro modo.

                Quando poteva, era scrupoloso nell'affrettare i pagamenti, temendo che qualcuno avesse a soffrir danno per qualche ritardo. Una volta Giuseppe Rossi gli disse come fosse entrata una somma e che si dovevano pagare delle provviste fatte per l'Oratorio:

                 - Ebbene, gli rispose Don Bosco, va' subito a pagare quel debito con questo danaro, perchè questo danaro non è più nostro, ma è di chi ci ha fatte le provviste.

                Altre volte, avendo ricevuto qualche offerta verso sera, disse allo stesso:

                 - Se fosse conveniente andar a bussare a quest'ora alle porte dei creditori, fin di stanotte mi disferei di questo danaro.

                “Era tale il suo distacco dalle cose terrene, conferma il [729] succitato Giuseppe Rossi, che egli era contento tanto quando aveva danari, come quando non ne aveva. Mi chiedeva tal volta: - A quanto ascendono i tuoi debiti? - E rispondendogli talora che eran di cento e più mila lire, rispondevami:

                - Pagheremo, pagheremo! Ho già fatto tanti calcoli e tutti saranno soddisfatti”.

                Noi poi abbiamo ammirato più volte la sua sollecitudine nel raccomandare ai dipendenti di esercitare col massimo scrupolo di coscienza la virtù della giustizia: ciò egli ripeteva continuamente nelle prediche.

                Per questa sua Virtù e per la costante attenzione e premura a soddisfare i debiti, ogni suo fornitore od impresario era disposto a somministrargli qualunque merce, o a fargli qualunque lavoro. Non pochi gli dicevano:

                 - Noi siamo più sicuri del fatto nostro lavorando e provvedendo per lei che non per qualunque altro committente, sia pure un gran negoziante. - E ripetevano a Rossi Giuseppe: - Oh se facessero tutti, come loro dell'Oratorio, sì, che farebbe piacere mandar provviste! Quando veniamo all'Oratorio, non torniamo mai a casa senza ricevere qualche somma o acconto, e tosto o tardi il saldo.

                Altri asserivano: - Don Bosco è un buon pagatore. Avessimo molti avventori, dei quali potessimo essere sicuri come di lui. Tarderà talvolta a pagare, ma pazienza! Siamo però certi di essere pagati.

                Perfino gli Ebrei avevan piena fiducia di essere soddisfatti da Don Bosco a tempo debito, e volentieri aprivano con lui conti correnti e facevano contratti, fidandosi della sua parola.

                In fine era tanta la fama della sua giustizia che molti dei suoi creditori ricorrevano a lui anche per risolvere pacificamente le loro questioni e ne avevano sempre consigli di buona riuscita per la pace e concordia delle famiglie.

                Tutta questa fiducia veniva anche ricompensata in altro modo. Pareva che il Signore si compiacesse di benedire in [730] modo affatto particolare coloro che facevano credito al suo Servo. Sta il fatto che essi stessi attribuivano la loro agiatezza o la buona piega che prendevano i loro pericolanti affari ai servizi che rendevano al Servo di Dio.

                Non altrimenti il Signore benediceva in modo particolare tutti i suoi benefattori. Da molti noi abbiamo udito questa dichiarazione:

                 - Più io do a Don Bosco, più i miei affari vanno prosperando.

 

 

CAPO LVIII. Lettera di Don Bosco al Vescovo d'Alba e memoria da spedir alla Sacra Congregazione per l'apertura della Casa di Cherasco - Risposta da Roma favorevole alla supplica - Don Bosco ai Becchi per la festa del S. Rosario - Mons. Lavigerie manda da Algeri due orfanelli arabi a Don Bosco - Don Bosco a Villastellone e a Calliano - Scrive ad un giovane lodando i suoi proponimenti e dandogli consigli di prudenza - Ringrazia una signora per generosa offerta: consigli per sostenere una tribolazione di famiglia - Assicura una superiora che fondando una casa a Villalvernia fa il volere di Dio - Si apre la casa di Cherasco - L'Unità Cattolica loda il Collegio di Lanzo - L'Oratorio festivo in una sagrestia della Chiesa di Maria Ausiliatrice - Don Bosco ottiene dal Ministero della guerra oggetti militari di corredo fuori d'uso - Letture Cattoliche: ANGELINA O L'ORFANELLA DEGLI APENNINI - Don Bosco corregge le composizioni letterarie dei suoi preti - Le testimonianze della santità del Servo di Dio continuano nell'Oratorio - Gli alunni migliori delle scuole e dei laboratorii siedono per turno a pranzo con Don Bosco nelle domeniche.

 

                IL Venerabile pensava ed ultimare le pratiche per l'apertura della nuova casa di Cherasco. Scriveva al Vescovo d'Alba, Mons. Eugenio Galletti. [732]

 

Torino - Valdocco, 2 ottobre 1869.

 

                               Reverendissimo Monsignore,

 

                Mando a V. S. Rev.ma la memoria per essere inviata alla Congregazione dei Vescovi e Regolari o alla Congregazione del Concilio. Io ho fatto il meno, Ella faccia il più, specialmente notando che ogni cosa fu fatta col consenso di Lei e che in quest'opera Ella ravvisa la maggior gloria di Dio, come nella mia pochezza confido che sia così.

                Don Francesia subirà l'esame di confessione al giorno 8 corrente e le manderemo il risultato del medesimo per quella deliberazione che meglio crederà.

                Il Tosellini è tuttora pieno di fuoco; speriamo la continuazione.

                Colla più profonda gratitudine ho l'onore di professarmi

                Di V. S. Rev.ma,

Obbl.mo servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

                La memoria alla quale Don Bosco accenna, riguardava il nuovo Collegio di Cherasco. Era una supplica alla Santa Sede perchè desse la sua licenza e le facoltà opportune. Monsignore la esaminò, e trasmise a Roma con una sua lettera che attestava la sua piena approvazione per quella fondazione.

                Il memoriale aveva forma di supplica.

 

 

                               Beatissime Pater,

 

                Ioannes Bosco Sacerdos, Superior generalis Piae Societatis a Sancto Francisco Salesio dictae, Beatitudinis Tuae ad pedes provolutus, humillime exponit, divina Providentia factum esse, ut in urbe vulgo Cherasco nuncupata, Dioeceseos Albensis Pedemontis, collegium convictusque adolescentulorum studio deditorum, nec non ecclesiae parochialis administratio eidem Societati demandata essent. Omnia quae hucusque facta sunt, semper de Episcopi consensu et consilio peracta sunt. At decreto laudationis et approbationis eiusdem Societatis, inter alias haec adnimadversio adnectebatur “pro fundatione novarum domorum, et pro suscipienda in posterum ab Ordinariis directione Seminariorum, recurrendum erit in singulis casibus ad Sanctam Sedem”. Licet vero stricte loquendo haec potius temporaria administratio, quam novae domus fundatio sit appellanda, tamen ad dubia eliminanda et ad debitum Sanctae Sedis obsequium praestandum, facultates quae ad majorem Dei gloriam promovendam necessariae censentur, humili precatione expostulantur. Insuper hoc collegium (quod in potestatem Municipii Clarascensis mille cecidit) et [733] parochialis Ecclesiae cura ad fratres Congregationis Somascae spectabant ante promulgationem novissimarum Italici Gubernii legum dispersionis Religiosorum. Hoc etiam in casu, et hac potissimum causa opportunas facultates humillime petuntur. Hisce praemissis, orator, latis verbis, declarat in omnibus et per omnia paratum esse stare omnibus Sanctae Sedis mandatis, et si tempus erit quo supra memoratum Institutum Somascae Congregationis, obinissam administrationem denuo suscipere valeat, libentissimo animo restituere, jura, loca, administrationes, quae quocumque titulo ci competere poterunt.

 

                Si ebbe risposta favorevole.

 

                Ex audientia SS.mi, habita ab infrascripto Domino Secr.o Sacrae Congregationis Episcoporum et Regularium, sub die 19 novembris 1869, Sanctitas sua, attentis peculiaribus circumstantiis, et audita relatione Episcopi Albensis, benigne annuit ac propterea mandavit, eidem Episcopo committi, ut veris existentibus narratis, enunciatam cessionem dictae domus et ecclesiae in omnibus juxta preces, Sacerdoti Ioanni Bosco, donec memoratum Institutum Congregationi Somascae restituatur, pro suo arbitrio et conscientia approbet atque confirmet. Contrariis quibuscumque non obstantibus.

 

Card. QUAGLIA Praef.

                (L.S.) S. Svegliati Secr.ius.

 

                Don Bosco, iniziata questa pratica, il 3 ottobre era ai Becchi colla solita comitiva per la festa del Santo Rosario. In quei giorni di tranquillità egli parlava volentieri del Concilio Ecumenico e manifestava il suo vivo desiderio che si proclamasse il dogma dell'infallibilità personale del Papa per i vantaggi immensi che produrrebbe quella definizione. Egli non lasciava mai occasione per istruire i preti, i chierici, i giovani che erano con lui, e in quei giorni scendeva a discorrere dei dogmi in generale. D. Bonetti, presente, metteva in carta le sue parole.

                “- Che cosa è un dogma? aveva detto Don Bosco.

                Il dogma è una verità sopranaturale, la quale esplicitamente o implicitamente si trova nelle sacre scritture, ed è confermata dalla definizione della Chiesa, o radunata in Concilio o dispersa per l'orbe. Il dogma va predicato. Fu materia precipua della predicazione dei Santi Padri: esso è la sostanza [734] della nostra Religione, quindi è necessario che i fedeli ne siano istruiti e lo conoscano: esso ha relazione intima colla morale. Deve perciò essere predicato in modo conveniente, con esattezza, perchè non venga ad essere ai fedeli piuttosto di danno che di spirituale vantaggio.

                Pare che ora sia alquanto trascurata da alcuni la predicazione del dogma: è d'uopo farla risorgere: la difficoltà nel trattarne non ci deve spaventare, qualora noi cercheremo di prepararci bene.

                Il dogma va predicato:

                1° Perchè esso è la parte più nobile e vitale della religione;

                2° Il dogma è il segno, il carattere con cui il fedele si distingue dall'infedele;

                3° Il dogma è germe delle virtù sopranaturali;

                4° Il dogma è la materia della nostra fede: perchè fides est sperandarum substantia rerum argumentum, dice S. Paolo, non apparentium: e deve essere noto ai fedeli, affinchè possa essere esercitata la loro fede.

                5° Il dogma dimostra la relazione che passa tra le verità naturali e le sopranaturali. Supera la forza della ragione, ma non è mai contraria a questa. Vi è tal nesso tra le verità dogmatiche, che, negata una, logicamente si dovrebbero negare tutte.

                6° Il dogma va predicato, perchè nutrisce l'umiltà che è il fondamento della vita morale. È la sottomissione dell'intelligenza a Dio rivelante e alla Chiesa docente”.

                Don Bosco, ritornato in Torino, aspettava l'arrivo da Algeri di due giovanetti arabi, appartenenti alla tribù dei Kabili, rimasti orfani nel tempo della gran fame causata dalla siccità, che aveva privato dei genitori migliaia di poveri giovanetti. L'Arcivescovo Mons. Lavigerie ne andava raccogliendo centinaia, comprandoli anche sui mercati degli schiavi e provvedendo alla loro cristiana educazione.

                Il degno Prelato aveva proposto a Don Bosco di accetarne [735] sotto la sua direzione alcuni, che fino allora erano stati ribelli ad ogni sorta di educazione. Don Bosco annuì e Monsignore spediva in Italia i primi due. Non erano ancor battezzati. Uno si chiamava Aly, l'altro Carubi. Erano nei dodici anni.

                Sbarcati a Genova il 7 di ottobre, vennero condotti alla ferrovia e consegnati al capo - convoglio. Alla stazione di Torino, rimasti soli, non si smarrirono. Vestiti nel loro abito nazionale, col candido mantello svolazzante e il fez rosso col fiocco turchino, con faccia imperterrita chiesero con l'unica parola che sapevano in italiano: - Don Bosco! - E fu loro indicata la via più diretta verso l'Oratorio. Ad ogni svolto ripetevano a qualche cittadino: Don Bosco! e così giunsero all'Oratorio. Don Bosco finiva allora di pranzare, e i due figli del deserto gli furono presentati in refettorio. Egli, presili amorevolmente per mano, col suo sorriso, con qualche carezza e qualche parola in francese, cercò di far loro intendere che li accoglieva volentieri, e che sarebbe stato loro amico.

                E li affidò ad un assistente che sapeva qualche frase di arabo per essere stato in Palestina, perchè provvedesse ai loro bisogni e cercasse d'istruirli.

                L'8 ottobre Don Bosco andava a Villastellone, come appare da un biglietto di Don Rua al Teol. Appendino.

 

 

                               Rev. Sig. Teologo,

 

                Parlai col sig. Don Bosco della commissione lasciatami ieri; ed egli m'incaricò di farle sue scuse di non essersi recato costà; con suo rincrescimento per alcune occupazioni soppraggiuntegli dovette privarsi di tal piacere; ma siccome quod differtur non aufertur, così mi lascia di notificarle che sarebbesi recato presso la S. V. venerdì, 8 del corrente, col secondo convoglio. Per tal modo potranno parlarsi sulla commissione riguardante la Margherita Assom e sulle altre faccende e combinare alla maggior gloria di Dio tante belle cose.

 

                Ottobre 1869.

Suo dev.mo servo

Sac. RUA, Prefetto.

 

                La domenica seguente Don, Bosco si trovava a Calliano; di là rispondeva alla lettera di un alunno chierico. [736]

 

                               Carissimo Garino,

 

                Ho ricevuto con piacere la tua lettera, e godo della tua ferma volontà di farti buono per divenire un ottimo ecclesiastico. Dal canto mio farò tutto quello che posso; ma ho bisogno anche di qualche cosa da parte tua. Di che cosa? Di una confidenza illimitata in tutto ciò che riguarda al bene dell'anima tua.

                Avrei bisogno di farti cacciatore di anime, ma pel timore che tu rimanga da altri cacciato, ti propongo soltanto di farti modello a' tuoi compagni nel bene operare. Peraltro sarà sempre per te una fortuna grande quando potrai promuovere qualche bene, od impedire qualche male tra tuoi compagni.

                Amami come io ti amo nel Signore, prega eziandio per me che ti sono di cuore

 

                Calliano, 10 ottobre 69,

Aff.mo

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                Tornato a Torino, ringraziava una benefattrice, dandole i chiesti consigli.

 

 

Torino, 11 - 9 - 69.

 

                               Benemerita Signora,

 

                Per mano della zelante suor Filomena ho ricevuto la vistosa somma di fr. 1000, che nella sua carità offre ad onore di Maria Ausiliatrice e da impiegarsi pei varii e gravi bisogni di questo novello edifizio. Io non ho potuto trattenermi a parlare con quella religiosa, se non di volo, e perciò non potei incaricarla dei miei sentiti ringraziamenti di cui voleva pregarla.

                Ora mentre compio questo mio dovere di gratitudine, l'assicuro che continuerò a fare in comune ogni giorno speciali preghiere all'altare di Maria Ausiliatrice, e spero che la grazia che dimanda le verrà senza fallo concessa.

                Ella dice che finora non si è ancora ottenuta; mi dice che è una tribolazione di famiglia, che non so quale sia, ma ecco quanto le posso dire di positivo: Continui a pregare e si rassegni ai divini voleri. La tribolazione volge al suo fine. Vi sono cose che adesso sembrano spine, che Dio cangerà in fiori. Un guardo al Crocifisso ed un fiat voluntas tua; è questo che Dio vuole da Lei.

                Intanto prenda questo consiglio: le piaghe in famiglia si devono medicare e non amputare. Dissimulare ciò che dispiace, parlare con tutti, e consigliare con tutta carità e fermezza, è il rimedio con cui Ella guarirà ogni cosa. [737] Mi perdoni questa libertà: io do lezioni a Minerva; me ne dia compatimento. Domani (12) io celebrerò la santa messa ed i miei ragazzi faranno la loro comunione secondo la pia di Lei intenzione. Dio benedica Lei e tutta la sua famiglia e a tutti conceda lunghi anni di vita felice col prezioso dono della perseveranza finale.

                Gradisca i profondi atti della mia sincera gratitudine con cui ho l'onore di potermi professare

                Di V. S. B.

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Abbiamo di quel mese un'altra lettera di Don Bosco che ci fu trasmessa dal Monastero della Visitazione di Pinerolo ed era diretta ad una Superiora che fondava una Casa a Villalvernia.

 

 

                               Rev.da signora Madre,

 

                Non badi a nissuno e sia sicura della volontà del Signore intorno a quanto fu operato per la casa di Villalvernia. Ciò che dicono gli altri, sia accettato con rispetto e servirà di norma per l'avvenire. Dopo il temporale sarà più consolante la comparsa del sole. I cavoli trapiantati crescono di più e si moltiplicano. Coraggio adunque e fede nella Divina Provvidenza. Dio benedica Lei, le sue fatiche e tutte le sue figlie; preghi per me e per li miei poveri giovanetti, e mi creda

                Di V. S. R.da

 

                Torino, 27 ottobre 69,

Obbl.mo servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

                Intanto erano partiti per Cherasco il Direttore Don Giovanni Battista Francesia, dottore in belle lettere, e il personale destinatogli; e il collegio era stato aperto. Di quel mese il Servo di Dio faceva pubblicare sull'Unità Cattolica un articoletto sul Collegio di Lanzo, con breve cenno del programma. L'articoletto cominciava così[37].

 

                Continua anche quest'anno ad essere aperto quest'istituto, giudicato così utile e per gli studi e per la moralità. Ci piace anche notare che gli studi elementari e ginnasiali, oltre ad essere conformi ai [738] programmi governativi, sono sì bene, coltivati, per impegno di quei maestri, che in quest'anno scolastico ultimo scorso quanti si presentarono nel Ginnasio Cavour agli esami di licenza ginnasiale, altrettanti furono promossi e parecchi con onore.

 

                Quanto all'Ospizio di Valdocco, Don Bosco aveva dato a D. Carlo Ghivarello l'incarico di preparare il disegno per gli uffizii.

                Provvedeva anche all'Oratorio festivo di Valdocco, perchè ritornasse a produrre abbondantissimi frutti. Da qualche anno i giovani esterni erano ridotti a piccolo numero, sia per la moltitudine degli interni che occupavano i cortili e la Chiesa di S. Francesco, sia per l'obbligo imposto da molti padroni ai garzoni operai di lavorare al mattino dei giorni di festa, sia in ultimo perchè aperta la chiesa di Maria Ausiliatrice, quella di S. Francesco dovette temporaneamente servire a varii usi, per mancanza di spazio nell'Ospizio, e per radunanze che erano indispensabili. I soli catechismi della quaresima facevano rivivere e ricordavano l'antica affluenza. Dopo la Pasqua ritornava esiguo il numero di coloro che assistevano alle funzioni nella nuova Chiesa. Non era però in tramonto: ma un'eclissi parziale. Don Bosco pertanto per accrescerne il numero destinò per essi la vasta sagrestia posta a ponente del nuovo tempio, e incaricò il chierico Giulio Barberis dell'Oratorio festivo. Invitati, accorsero i primi giovani, poi altri ed altri, quanti ne poteva contenere quell'ambiente, dove, mattino e sera, si facevano agli accorsi istruzioni religiose e, aperte le porte che danno sul Sancta Sanctorum del presbiterio, essi ascoltavano la santa Messa e assistevano alla benedizione col SS. La ricreazione tenevasi nel lungo ma stretto cortile a ponente della Chiesa di Maria Ausiliatrice.

                Le preoccupazioni del Venerabile per gli interni erano continue. Nuovamente aveva fatto ricorso al Ministero della guerra per poter riparare dal freddo i suoi alunni e ne riceveva, come sempre, cortese risposta. [739]

 

                MINISTERO DELLA GUERRA

                N. 5811.

Firenze, 16 novembre 1869.

 

                A sollievo dei poveri giovanetti che sono ricoverati nella Pia Casa da V. S. diretta, il Ministero ha disposto che dalla Direzione dei Magazzini del materiale per i Servizi Amministrativi in cotesta città siano tenuti a disposizione della persona che Ella incaricherà di farne il ritiro e di lasciarne apposita ricevuta, i seguenti oggetti di corredo fuori servizio.

                N. 200 coperte di lana da campo.

                 ~  100 fodere da capezzali.

                 ~  113 fodere di tela canapa.

                 ~    15 fodere da pagliaricci.

                 ~    28 lenzuola da letti.

                Di quanto sopra lo scrivente pregiasi rendere consapevole V. S. R. in risposta alla di lei delli 10 corrente.

Per il Ministro

LERICI

 

Al Sig. Don Bosco.

 

 

                In pari tempo si occupava sempre delle Letture Cattoliche. Queste, nel mese di novembre, regalavano agli abbonati un fascicolo scritto dal Venerabile nel 1869: ANGELINA O L'ORFANELLA DEGLI APPENNINI pel sacerdote Giovanni Bosco.

                Così diceva al lettore: “Nel decorso del passato autunno per motivo del sacro ministero mi sono recato in un paese dove udii a raccontare cose, che mi parvero assai interessanti, di una giovinetta. Sebbene sia morta sul principio di questo secolo, se ne conserva tuttor viva la memoria, come se fosse testè soltanto mancata in mezzo a loro. Il parroco di quel luogo mi somministrò molte particolarità e fra le altre mi diede copia di un manoscritto, il cui originale si conserva tra gli archivi parrocchiali. Dai racconti particolari e più positivamente da quel manoscritto ho raccolto quanto mi parve più curioso, più ameno e più importante pei nostri lettori. Io sono semplice relatore, e sarà per me gran mercede se taluno leggerà con qualche suo vantaggio, o almeno darà benevolo compatimento a quelle cose in cui non l'avessi  [740] potuto appagare. Dio ci colmi tutti de' suoi celesti favori e ci conceda lunghi anni di vita felice”.

                È la vita di una nobile e ricchissima signorina, la quale, impedita di farsi religiosa, per amore della povertà evangelica si allontana dal palazzo paterno, fugge in un paese remoto e si assoggetta a servire, sconosciuta e per tutta la vita, in una casa di contadini. Colle vicende di questa buona giovane si dimostra quale uso i ricchi debbano fare delle loro ricchezze, e si espongono le ragioni che inducono un luterano a morire riconciliato colla Chiesa.

                Oltre lo scrivere e il pubblicare libri propri, occupava Don Bosco anche il correggere, direi quasi, parola per parola i manoscritti de' suoi figli, che dovevano esser dati alle stampe.

                Avendo commesso a D. Lemoyne di scrivere la biografia del Chierico Mazzarello, così gli rispondeva dopo aver attentamente esaminato quel lavoro.

 

 

                               Carissimo D. Lemoyne,

 

                Il tuo lavoro va benissimo, ma bisogna notare la convenienza e lo scopo. A questo riguardo bisogna: 1° Togliere o almeno temperare gli slanci poetici, perciò, quanto è soltanto descrittivo, eliminarlo. 2° Pensare che si scrive in prosa storica, e perciò la morale sia come impastata nel racconto, e non come materia separata. - 3° Molte cose non sono espedienti, come vedrai, nel contatto delle cose politiche, per es.: cacciata dei Gesuiti da Genova. - 4° Ciò posto, il capo Mornese si riduca, e in forma di prefazione si espongano le cose, località, storia e indole, secondo il Casalis: di poi si accenni alle fonti, donde furono attinte le notizie di cui ti servi, quindi farai passaggio al cominciamento del racconto. - 5° Ho notato alcune cose, facendo soltanto passare sopra la matita, affinchè tu osservi il senso e la connessione delle cose. Qui hai due quaderni, gli altri due te li manderò appena li avrò potuti leggere, che spero fra poco. Essendo questo il primo lavoro, ci vuole un po' di pazienza. Non sarà più così, dopo alcuni quaderni modificati e attentamente osservati.

                Coraggio e speranza nel Signore. Dio benedica te e le tue fatiche. Credimi,

 

                Torino, 3 novembre 1869,

Aff.mo in G. C.

Sac. Gio. Bosco. [741]

                Mentre egli sbrigava tutte queste faccende, l'Oratorio erasi riempiuto di alunni, che dovevano essere testimoni delle sue meravigliose virtù. E di queste vari lasciarono memorie in iscritto. Noi ne riportiamo una, perchè si noti come il Servo di Dio proseguisse nella sua missione, e crescesse vieppiù la fama della sua santità.

                Quest'anno, nella festa d’Ognissanti, entrava il giovane Giuseppe Bernardo Corno in qualità di studente. La madre avealo presentato a Don Bosco nella Borgata dei Becchi. Percorse in quattro anni le classi ginnasiali, poi il primo corso di filosofia, dovette per ragion di salute lasciare Don Bosco, col quale mantenne sempre buone relazioni, per affetto riconoscente e per venerazione. Questo alunno Sacerdote, Dottore in Sacra Teologia, Notaio apostolico, Cancelliere della Curia di Torino, Cerimoniere Arcivescovile, ed ora Prelato domestico di Sua Santità, chiamato a testimoniare nel processo diocesano sulla vita e virtù di Don Bosco, così esponeva le sue impressioni dei cinque anni di permanenza nell'Oratorio.

                “Era voce generale che Don Bosco avesse doni sopranaturali. Annunziò più volte la morte di varii giovani. Scrutava ne' cuori altrui e udii da qualcuno che veramente aveva letto nella sua coscienza. Alcune volte si verificò che egli aveva visto da lontano ciò che accadeva nell'Oratorio. Confermo che alcuni de' suoi giovani colpevoli di qualche mancanza avevano paura di lasciarsi vedere da lui, temendo che egli leggesse sulla loro fronte il fallo. Grande era la fama della sua santità anche fuori. Don Bosco aveva gran cura de' suoi giovani; li istruiva egli stesso o per mezzo de' suoi coadiutori. Nei giorni festivi predicava le verità della fede e promuoveva a tutta possa la pietà. Tutte le sere, prima di andare al riposo, ci faceva un fervorino. Il suo metodo di educazione era tutto paterno, attirando i giovani con bei modi, per cui gli erano molto affezionati. Inculcava loro la frequenza ai Sacramenti, la quale per tanti alunni si poteva dire settimanale; per molti [742] altri più frequente ancora; e nelle solennità e nell'esercizio della buona morte diveniva comunione generale. Egli confessava molto e assiduamente, ed aveva altresì sacerdoti confessori che lo aiutavano, poichè dava piena libertà della scelta ai penitenti. Era dotato pure di singolare prudenza, attesochè in sì gran numero di giovani, venuti da ogni parte; non si verificò mai alcun disordine di qualche entità”.

                Così il teste. Noi aggiungiamo:

                Per i suoi cari giovani, Don Bosco, acciocchè avessero un eccitamento di più nel tenere buona condotta, fece rivivere un'usanza che a poco a poco era caduta, cioè che certi alunni in date circostanze fossero invitati a pranzo con lui. Era stata causa precipua di quell'interruzione il numero sempre crescente dei Salesiani e la ristrettezza del refettorio dei Superiori, posto nei sotterranei presso le cucine. In quest'anno, essendo stata destinata a tale refettorio tutta la sala al piano dei portici, che risponde all'area della primitiva tettoia adattata da Don Bosco a cappella nel 1846, il Venerabile stabilì che tornassero, per turno, a pranzare con lui ogni domenica i migliori di ogni scuola e di ciascun laboratorio. Ciò serviva ad incoraggiare al bene un'intera classe. Il buon padre godeva assai nel vedere questi alunni, li desiderava, e sostenne questa costumanza, anche quando da parte di certi melodisti sorse qualche contrarietà. Egli riteneva cosa di gran momento che i giovani più distinti avessero occasione di avvicinarsi ai Superiori, e avrebbe voluto che questo premio si desse loro più volte all'anno.

                Il loro posto a mensa non era però vicino a Don Bosco. Siffatto privilegio era riservato da tempo antico ai giovani eletti per la lavanda dei piedi nel giovedì santo, lavanda fatta dallo stesso Rettor Maggiore.

                Grande era l'utile per gli alunni premiati. Immancabilmente, finito il pranzo, passavano a salutare Don Bosco ed egli diceva a ciascuno una parola che produceva sempre un gran bene. Tal volta con una frase che sembrava detta [743] a caso, egli faceva intendere il genere di vita che un alunno doveva abbracciare: tal altra giovava a far germogliare una vocazione, o ad assicurarla, o anche a compirla. In certe occasioni egli donava a ciascuno una pasta dolce.

                In attesa di questo premio i giovani ne parlavano molti giorni prima con gran desiderio, vi facevano sopra i loro conti, e tutti ricordavano per anni interi la fortuna di aver pranzato con Don Bosco.

                Gli altri, che noti avevano questa sorte, non aspettavano inviti speciali per avvicinarsi a Don Bosco. Le scene gioiose e commoventi da noi descritte diffusamente altrove, che fin dal 1850 avevan sempre rallegrato i vari refettori ove Don Bosco si recava a prender cibo, continuarono anche in quest'anno 1869. Appena i Salesiani ne uscivano, una turba di ragazzi irrompeva correndo ove era Don Bosco, occupavano ogni spazio, sicchè in fretta si dovevano togliere le tovaglie dalle mense. Ciò accadeva specialmente dopo cena.

                Ma non passò gran tempo che i giovani dovettero contentarsi di vedere solamente in cortile il loro amato Don Bosco. Le visite, che egli riceveva nello stesso refettorio, e i commensali forestieri che sovente capitavano, finirono con troncare quelle così care e famigliari dimostrazioni d'affetto. Oh quanti ricordi!

                Continuarono però gli inviti a pranzo per gli alunni migliori, fino al termine della vita del Servo di Dio, e si conservano ancora i nomi di molti che ebbero questo premio.

 

 

CAPO LIX. È tolto nuovamente ai giovani dell'Oratorio il biglietto di favore sulle ferrovie dell'Alta Italia - Pratiche di Don Bosco presso le Amministrazioni della strada ferrata perchè si conceda di nuovo la riduzione di tariffa - Il Prefetto di Torino s'interessa in favore di Don Bosco, ma nulla si ottiene - L'Arcivescovo invita il Vicario di Lanzo a dare un esame di vocazione ai Salesiani del Collegio - Don Bosco, richiesto, manda al Vicario la risposta da trasmettere all'Arcivescovo - Annunzia una sua visita al Collegio di Lanzo - L'Arcivescovo si lamenta per un chierico salesiano della sua diocesi ordinato dal Vescovo di Casale - Cause di questa ordinazione - Lettera di Monsignore a Don Bosco rimproverandolo di aver violati i sacri canoni - Umile risposta di Don Bosco per esporre le sue ragioni - L'Arcivescovo gli scrive che non accetta ragioni e scuse - Don Bosco chiede consiglio al Can. Fissore - Il Vescovo di Casale difende il suo operato - Mons. Fissore dichiara in quale stima abbia sempre tenuto Don Bosco.

 

                LA costanza di Don Bosco nel cercare e conservare vantaggi materiali ai suoi alunni fu ognor degna di lode. Il suo era sempre il cuore di un buon padre di famiglia. La Direzione delle Ferrovie dell'Alta Italia un'altra volta aveva tolto ai suoi alunni il biglietto di favore al principio di quest'anno; e Don Bosco, avvicinandosi il [745] tempo nel quale molti giovani si sarebbero restituiti alle loro case, e altri sarebbero partiti dai loro paesi per essere ricoverati nell'Oratorio, faceva pervenire una nuova domanda al Direttore Generale delle Ferrovie. La lettera è senza data.

 

 

                               Ill.mo Sig. Direttore Generale,

 

                Per diminuire quanto è possibile il disturbo a V. S. Ill.ma, mi fo ardito di mettere qui per iscritto quanto vorrei esporle di presenza e la prego a volerlo leggere colla solita sua bontà.

                Finchè le Ferrovie erano amministrate dal Governo, i giovani di cotesto stabilimento furono sempre considerati come poveri e come tali avevano i trasporti gratuiti, ed i superiori delle varie case godevano caduno un biglietto di favore con un compagno. Questi favori furono parimente concessi dalla Amministrazione delle Ferrovie Meridionali e Romane.

                Passate poi le ferrovie dello Stato alla Società dell'Alta Italia fu accordato quasi il medesimo benefizio, vale a dire la riduzione degli indigenti, del 75 per 100.

                Fra impegno degli amministratori di vegliare che non succedesse abuso nel concesso favore e si ottenne per ogni caso di partenza dalle stazioni di Torino. Ma avvenne che alcuno, riuscendo a sedurre un giovane che da Saluzzo doveva venire allo stabilimento, si servì del biglietto altrui. In seguito a questo fatto, con lettera in data 20 giugno 1867, era ridotto a metà prezzo.

                Altri male intenzionati ingannarono altro giovanetto nella stazione di Biella coll'alterazione del numero scritto nel biglietto di concessione, e in seguito a tal fatto, che è del tutto indipendente dai direttori di questo stabilimento, veniva interamente sospeso il favore con lettera 15 febbraio 1869.

                Dopo quel fatto furono persino negate le riduzioni che soglionsi concedere a tutte le case di educazione, quando gli allievi raggiungono un numero determinato. Le cose stanno in questi termini; io porgo rispettosa ma calda preghiera a V. S. Ill.ma, affinchè si degni di considerare:

                1° Che i Direttori di questo stabilimento non sono in alcuna cosa colpevoli dei fatti per cui fu tolto il favore, anzi hanno sempre vigilato e raccomandato di vegliare e di punire i colpevoli ogni volta fossero scoperti. Non è mai succeduto disordine nella stazione di partenza.

                2° Che questa casa vive di provvidenza quotidiana, e che si è sempre prestata in ogni tempo a ricoverare quei poveri ragazzi che avessero appartenuto agli applicati alle ferrovie o fossero in qualche modo dai Direttori delle medesime raccomandati, e che fu sempre tenuta [746] fra le indigenti, siccome è considerata dalla Società delle Meridionali e Romane, da cui è tuttora beneficata.

                3° Che l'Amministrazione della ferrovia dell'Alta Italia non ottiene alcun vantaggio dalla negazione del favore, poichè quando concedeva il 75 per 100 la spesa annua montava a circa fr. 4000; allora che fu ridotta alla metà si spesero fr. 2000. In quest'anno poi, in cui fu sospeso il favore, si sono spesi appena fr. 150. La ragione n'è che per mancanza di mezzi i viaggi si fanno per lo più a piedi o sopra carrettoni e simili.

                4° Si supplica perciò, qualora non si voglia più concedere il favore del 75 per 100, come si accorda ad altre case di beneficenza, almeno si accordi ai superiori di questi stabilimenti; e si permetta che i giovanetti possano godere il favore generale, che è concesso a tutte le case di educazione, quando raggiungono il numero dodici...

Sac. Gio. Bosco.

 

                Nè mancò di presentarsi ai varii uffizii, ma nulla ottenne. Era accolto con squisita cortesia e rispetto, si ascoltavano le sue ragioni, si esponevano i criteri generali, che avevano suggerita questa deliberazione, e si prometteva che col tempo non sarebbe stata difficile ottenere la chiesta riduzione.

                Don Bosco vedendo, in fine, che nulla poteva sperare, si rivolse al Prefetto della città, il Conte Radicati.

 

 

                               Illustrissimo sig. Prefetto,

 

                Nei tempi passati V. S. Ill.ma fu sempre un insigne benefattore verso i poveri giovani ricoverati nello stabilimento dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, e ciò mi dà speranza che al presente si degni di farci una raccomandazione per lo scopo che brevemente qui le espongo.

                Fino a tanto che le Ferrovie furono amministrate dal Governo i nostri ragazzi ed i loro superiori hanno sempre goduto del trasporto gratuito, come tuttora godono nelle Ferrovie Romane e Meridionali. Quando quelle caddero nella nuova Amministrazione, detta dell'Alta Italia, ci venne accordato l'insigne favore della riduzione del 75 per %, siccome si suole concedere agli indigenti.

                Ma dopo meno di due anni, a motivo che uno dei nostri ragazzi nel ritorno a Torino si lasciò sedurre a cedere ad altri il proprio biglietto, con lettera del mese di aprile del 1867 il favore era ridotto a metà prezzo, finchè un altro ragazzo nella stazione di Porta Susa avendo variato il numero ad uno dei biglietti, fu tolto l'intero favore a tutto lo stabilimento, sebbene esso non avesse colpa alcuna, giacchè [747] erasi sempre usata la vigilanza possibile per impedire qualsiasi disordine fra i nostri allievi nell'uso dei relativi biglietti.

                Dopo ciò non solo fu tolto il favore individuale, ma fino quello che si suole concedere indistintamente e per regola generale a tutte le case di educazione, quando gli allievi viaggiatori raggiungono il numero dodici.

                Aggiunse poi novello rincrescimento, quando questa medesima agevolezza fu eziandio tolta ad altre case, adducendosi per solo motivo che dipendevano dallo scrivente. Per esempio nel passato settembre il Piccolo Seminario di Mirabello, che nell'amministrazione ha nulla a fare coll'esponente, dimandava il solito sconto per dodici allievi. Fu risposto di far vidimare la supplica dal Sindaco del paese. Il che fatto con perdita di tempo e di danaro, fu risposto non potersi concedere tale agevolezza, perchè quello era stabilimento dipendente come sopra.

                Ciò premesso, io prego V. S. Ill.ma a volermi con bontà raccomandare alla Direzione dell'Alta Italia, affinchè mi conceda non i favori primieri, ma soltanto quelle agevolezze che si concedono a tutti gli istituti educativi.

                Ella potrebbe notare che questo nostro Stabilimento ha sempre accolto i giovanetti che, fatti orfani o altrimenti resi infelici per disastri avvenuti nelle Ferrovie, dai Direttori di quelle vennero al sottoscritto indirizzati. Attualmente questi giovani sono in numero di circa 20. Essi continueranno ad essere tenuti, nè, occorrendo, mai si rifiuterà a qualsiasi caso di novella raccomandazione, ma dimando almeno di non essere escluso dalle agevolezze comuni. Se Ella, signor Prefetto, mi farà questa raccomandazione, avrà un novello motivo alla nostra gratitudine, ed offrendole questa Casa in quello che la potesse servire, ho l'onore di professarmi,

                Di V. S. Ill.ma,

Obbl.mo servitore

Sac. Giov. Bosco.

                (18 ottobre 1869).

 

                Neppure i buoni uffizii del Prefetto raggiunsero l'intento.

 

 

                PREFETTURA

                DELLA PROVINCIA DI TORINO

                Divisione 2. Sez. Opere Pie

Torino, 9 novembre 1869.

                Prot. 22053

                N. Reg. 1034

                Risposta alla Nota del 18 Ottobre 1869.

                OGGETTO

                Trasporto sulle Ferrovie dell'Alta Italia

 

                In seguito alla nota della S. V. Reverenda, in data 18 scorso ottobre, ho pregato caldamente la Direzione delle Ferrovie dell'Alta [748] Italia a voler riammettere codesto pio Istituto nel benefizio del godimento del prezzo ridotto, in caso di trasporto sulle Ferrovie da essa esercitate di giovani dell'Oratorio di S. Francesco di Sales.

                Mi duole di aver nulla potuto ottenere, come la V. S. rileverà dall'unita Nota della prefata Direzione Ferroviaria, che colla presente le comunico.

P. il Prefetto

MASCARETI.

 

                Al Sig. Direttore dell'Oratorio di S. Francesco di Sales in Valdocco - Torino.

 

                Don Bosco si rassegnò aspettando che si mutassero le circostanze e gli uomini, mentre altre questioni sorgevano ad occuparlo.

                Mons. Riccardi di Netro aveva incaricato il Teol. Albert, Vicario di Lanzo, di dare una specie di esame di vocazione ad ogni chierico del Collegio Salesiano. Il Direttore Don Lemoyne ne aveva scritto a Don Bosco, per suggerimento dello stesso Vicario, che desiderava aver da lui la norma da seguire. Don Bosco rispondeva:

 

 

                                Caro Lemoyne,

 

                Ecco la risposta che il sig. Vicario può fare: egli poi modifichi come meglio giudicherà.

                Giovedì prossimo, noi abbiamo l'esercizio della buona morte: dopo mezzogiorno conto di andare a Lanzo, se ti sembra che gli allievi si possano già calcolare tutti arrivati.

                Dirai a Bodratto padre, che mi adoprerò per aggiustare il suo merlotto, se non mi volerà via dalle mani.

                Dio benedica te e tutta la tua famiglia Lanzese. Amen.

Aff.mo in G. C.

Sac. Gio. Bosco.

                P. S. Che fa Guidazio?

 

                La risposta in foglio staccato era così redatta:

 

                Il Vicario T. Albert potrebbe rispondere:

                I Sacc. Albera Paolo, Dalmazzo Francesco, Racca Pietro dimorano all'Oratorio di Torino, perciò non si poterono interrogare.

                Il Sac. Costamagna Giacomo, i Chierici Dagliero Giuseppe, Davico Modesto, da parte di V. E. Rev.ma interrogati se sono ascritti [749] e se intendono di far parte della Congregazione di S. Francesco di Sales, risposero affermativamente, anzi di avere già tutti emessi i voti. Abbracciarono questa Congregazione, perchè loro era l'unico mezzo per fare i loro studi, essendo sprovveduti di beni di fortuna; giudicarono questa una strada loro aperta dalla Divina Provvidenza per procacciarsi la salvezza dell'anima propria e fare del bene agli altri.

                Interrogati, se intendevano di togliersi dalla sottomissione di V. E., mi risposero unanimi non essere mai stato loro pensiero di togliersi da questa sottomissione, e se finora si occuparono a far scuola, catechismi, prestar assistenza, ciò fecero nella intima persuasione di incontrare il pieno di lei gradimento.

                Inoltre assicurano che essi hanno sempre intese in questo senso le loro regole, chè, nella copia fattami vedere al N. 8 art. 3°, si dice: Tamquam Superiori subiicientur Episcopo illius dioecesis, ubi domus est ad quam pertinent. Nell'articolo 2° dello stesso capitolo si dice: Post Romanum Pontificem etc... (si può mettere tutto il numero).

                Essi adunque hanno una fermissima volontà di appartenere alla Congregazione Salesiana, ma non mai fare cosa che disdica alla più scrupolosa sottomissione a V. E., e protestano che essi hanno sempre così inteso il numero sopra esposto, come così pure fu loro costantemente spiegato; che essi intendono di occuparsi in ogni cosa loro possibile a fare catechismi, scuole, servizi di Chiesa, senza altro scopo, che avere il suo gradimento e fare quel belle che possono, sotto gli ordini e con la più rispettosa ubbidienza a V. E., siccome comandano le Regole Salesiane.

                Questi sono i comuni loro pensieri  Dal canto mio poi debbo fare onore alla verità, dicendo che la mia Parrocchia, specialmente i giovanetti, da che i Sacerdoti e Chierici Salesiani vennero a Lanzo... (Il sig. Vicario aggiunga quanto in Domino judicaverit).

 

                Tale inquisizione, fa pena il dirlo, era un nuovo saggio delle difficoltà che sì volevano opporre a Don Bosco. L'Arcivescovo giunse anche al punto d'intimare la sospensione a quei sacerdoti che dimorassero nell'Oratorio senza appartenere alla Congregazione, mentre non ve n'era alcuno che non fosse o professo, o ascritto, o aspirante.

                Il diacono Giuseppe Cagliero di Castelnuovo d'Asti, ascritto alla Pia Società di S. Francesco di Sales, non aveva ancor pronunciati i voti. Era entrato come alunno nell'Oratorio prima d'aver compiuto il quattordicesimo anno di età. Avvicinandosi il tempo delle sacre ordinazioni, Don Bosco lo mandò a pregare l'Arcivescovo Riccardi, perchè volesse [750] ammetterlo al Presbiterato. Monsignore lo invitò a dichiarare se volesse appartenere al Clero della diocesi, oppure alla Congregazione, e, addotte sue ragioni, concluse: - Vi ordinerò, se mi promettete per iscritto di uscire dall'Oratorio. - Cagliero aveva ascoltato tacendo; e l'Arcivescovo, presa una penna, gliela metteva fra le dita dicendogli:

                 - Scrivete!

                Il diacono, di naturale un po' brusco, di poche parole e risoluto, lasciò cadere la penna e rispose: - Non voglio.

                E l'Arcivescovo: - Allora, se è così, rassegnatevi a non ricevere l'ordinazione.

                E il diacono: - Pazienza: aspetterò!

                 - Ma infine, replicò l'Arcivescovo vedendolo così fermo nel suo proposito; perchè volete restare con Don Bosco? Che cosa è poi questa vostra Congregazione? Chi sono quelli che fanno parte di essa? Quanti siete?

                 - Non so.

                 - Ecco un foglio; scrivete il nome de' suoi membri.

                 - Eccellenza, non li conosco tutti; si rivolga a Don Bosco; io non scrivo.

                 - Allora scriverò io!

                E prese la penna aspettando che Cagliero dettasse; ma Cagliero si chiuse in silenzio. L'Arcivescovo insisteva, scrisse il nome di Don Bosco e, guardando il diacono, esclamò:

                 - Don Bosco... e poi? !

                Cagliero continuava a tacere. Allora Monsignore riprese a scrivere esclamando:

                 - Don Albera... che è di Don Bosco, più di Don Bosco stesso.

                Ma vedendo che Cagliero stava sempre in silenzio, si alzò e gli disse: - Se è così, andate!

                Il Diacono, salutato l'Arcivescovo, ritornò nell'Oratorio, e parlò con Don Bosco, il quale scrisse ed egli tracopiò la seguente lettera. [751]

 

                                Eccellenza Reverendissima,

 

                il timore ed il rispetto dovuto a V. E. mi hanno ieri sera impedito di poter esprimere quello che mi dettava il cuore, tanto più che si trattava di una deliberazione, intorno a cui ero stato consigliato di andare molto a rilento a pormi definitivi legami.

                Giunto a casa, dopo aver pregato, mi metto al tavolino e scrivo quello che ho nel fondo del mio cuore, quello che direi se mi trovassi al punto di morte.

                Dico adunque essere mia intenzione e deliberazione di appartenere alla Congregazione di San Francesco di Sales. Venni qui da giovanetto e, se non avessi avuti qui aiuti morali e materiali, certamente io non avrei potuto percorrere la carriera degli studi. Quindi affezione grande a quel luogo e a quelle persone da cui ricevei il pane della scienza e della moralità. Don Bosco mi lasciò sempre libero ed io, sebbene appartenessi di corpo e di spirito alla mentovata Congregazione, tuttavia non mi ero mai definitivamente pronunciato, come intendo di fare col presente mio povero scritto.

                La prego soltanto di permettermi alcune parole. Ella mi ripetè più volte: Se io volessi appartenere a V. E., o all'Oratorio. A questo proposito io le debbo dire che Don Bosco nello spiegar le regole di questa Congregazione ne ha sempre detto, che in ogni cosa fu sempre guidato dall'Arcivescovo. Nelle Costituzioni si dice che il legittimo Superiore è il Vescovo della Diocesi. Io stesso nella mia pochezza ho sempre fatti catechismi, scuole e servizio nelle Chiese: ma in ogni cosa ho sempre avuto in animo che queste opere fossero da V. E. benedette ed approvate. Difatti nell'ultima ordinazione ho avuto la consolazione di vedere che fra venticinque ordinandi, oltre a venti erano stati miei allievi in questa casa.

                Perciò prego V. E. a credere che fu sempre ed è tuttora mio fermo volere di obbedire e sottomettermi ad ogni di lei volontà e adoperarmi per quanto mi è possibile, pel bene della Diocesi, secondo le regole della Congregazione Salesiana, che appunto ciò comandano strettamente al N. 8, articoli 2° e 3°.

                Abbia ora la bontà di compatire questa mia misera lettera: ho parlato col linguaggio del cuore; del resto non mancherò di pregare come ho fatto in passato per la preziosa di lei conservazione, mentre ho l'alto onore di potermi professare,

                Di V. E. Rev.ma,

 

                Torino, 6 novembre 1869,

Obbl.mo Servitore

Ch. CAGLIERO GIUSEPPE.

 

                Queste difficoltà e le replicate lusinghe di un avvenire lucroso e onorifico non tardarono a rendere più ferma e decisa [752] la volontà dell'ottimo discepolo di Don Bosco. Difatti il 12 novembre, superata ogni incertezza, egli fece la sua professione secondo le regole dell'umile e contrastata Pia Società di S. Francesco di Sales.

                Ciò fatto, a suggerimento di vari membri del Capitolo Superiore della Pia Società, il nuovo professo fu all'indomani, essendo assente Don Bosco, destinato dal Capitolo alla Casa filiale di Mirabello; e il Vescovo di Casale Mons. Ferrè, che il 14 teneva sacre ordinazioni extra tempus, conoscendo lo spirito di Don Bosco e della Pia Società, da lui approvata come Istituto diocesano, e le difficoltà che si muovevano al Servo di Dio e ai suoi figli, fu lieto di conferire senz'indugio al povero diacono il presbiterato.

                La notizia non tardò a giungere all'orecchio dell'Arcivescovo, il quale scrisse a Don Bosco:

 

                Curia Arcivescovile di Torino.

Torino, addì 26 novembre 1869.

 

                               Molto Rev.do Signore,

 

                Con gravissima mia sorpresa seppi che il sig. Diacono Cagliero Giuseppe, aggregato alla Congregazione Salesiana, eretta in questa città e dalla S. V. M. R.da governata, venne il 14 dell'andante mese ordinato Sacerdote da M. Vescovo di Casale D. Pietro Maria Ferré a totale mia insaputa.

                La S.V., come pure il Diacono Cagliero, erano informatissimi che io avrei tenuto ordinazioni nel corr. mese La S. V., a tenore e mente del Decreto dei VV. e RR. del 1° marzo 1869 ha ben la facoltà di dare ai suoi sudditi le lettere dimissorie per la tonsura e per gli ordini sì minori che maggiori, ma queste Ella deve rivolgerle a me, quale Vescovo Diocesano, a meno che io fossi assente, o non volessi tenere ordinazione.

                Ora avendo Ella fatto ordinare Sacerdote il Diacono Cagliero, suo suddito, da Mons. Vescovo di Casale, senza che vi concorresse alcuna di quelle circostanze che possono giustificare un tal suo procedimento, violò le prescrizioni dei sacri Canoni ed i diritti che in proposito mi spettano quale Vescovo Diocesano, diritti che io sono in obbligo di religiosamente custodire e tutelare.

                L'Ordinazione impertanto del Diacono Cagliero, considerata come deggio considerarla, a petto del sullodato decreto 1° marzo 1869, io non posso a meno di reputarla affatto illecita. [753] Mentre compio al per me increscevole dovere di ciò far presente alla S. V., la pongo pure in avvertenza che la S. V. ed il sig. D. Cagliero e M. Ferrè Vescovo di Casale, per aver avuto parte in detta ordinazione illecita, a tenore del decreto di Papa Clemente VIII, 15 marzo 1596, e della Bolla di Benedetto XIV, 27 febbraio 1747, sono incorsi nelle pene ivi rispettivamente loro minacciate, cioè la S. V. incorre nella pena della perdita sui officii ac dignitatis et vocis activae et passivae; il sig. D. Cagliero nella pena suspensionis, atque etiam, si in suscepto ordine ministraverit, irregularitatem incurrit; e M. Vescovo di Casale non facile effugit poenas canonicas adversus eos propositas, qui alienum subditum, absque sufficientibus dimissoriis, ordinare praesumunt.

                Tanto significando alla S. V. e, per mezzo di Lei, al Sig. D. Cagliero, per loro norma e governo, mi protesto con distinta stima

                Di V. S. M. Rev.da,

Dev.mo Servo

ALESSANDRO, Arcivescovo.

 

                Al 31. R. S. D. Giovanni Bosco, Superiore della Congregazione Salesiana.

 

                Don Bosco umilmente rispondeva:

 

 

                               Eccellenza Reverendissima,

 

                Non può immaginarsi V. E. Rev.ma quanto rincrescimento e quanta dolorosa afflizione mi abbia cagionato la sua lettera riguardo all'ordinazione del Ch. Giuseppe Cagliero. In ogni tempo, ma specialmente dopo l'approvazione della nostra povera Congregazione, ho raccomandato e ripetutamente predicato ai membri di essa che ci mettessimo tutti di pieno accordo per evitare qualunque più piccola cosa che avesse potuto cagionar dispiacere od essere in opposizione alla volontà dei Vescovi e specialmente di V. E.; così appunto comandano le nostre Regole. Spero per altro che la sincera narrazione del fatto possa, se non del tutto giustificare l'avvenuto, almeno renderlo degno di qualche compatimento.

                Forse la E. V. ricorderà come poco tempo fa Ella abbia giudicato bene di intimare la sospensione ai preti diocesani che non aggregati avessero voluto continuare ad occuparsi nelle cose della nostra Congregazione; i poveri ordinandi tremavano in tutti i modi. Questa è la cagione per cui il nominato Ch. Cagliero quando si presentò all'E. V. non sapeva quasi nemmeno, nè parlare, nè scrivere. Trattandosi poi dell'ordinazione del medesimo al presbiterato, mi sono dato premura di recarmi più volte, e di mattino e di sera, da V. E. a fine di parlarle in proposito, ed anche di altre cose che credo non convenire che siano scritte. Ma ora perchè Ella era assente, ora perchè non era giorno di udienza, non mi fu possibile di potermele avvicinare. Allora mi sono determinato di mandare il chierico a Mirabello perchè fosse ordinato [754] dal Vescovo di quella casa, che aveva ottenuto un Extra tempus, tanto più che per allora V. E. non teneva ordinazione, la quale difatti tenne alcune settimane più tardi.

                Ho giudicato di poter ciò fare con animo affatto alieno di ledere minimamente i diritti dell'Arcivescovo Ordinario, ma unicamente in conformità del decreto del Tridentino riportato da Benedetto XIV, De Ordinatione Regularium 27 febb. 1747. Ivi si legge: Congregatio Concilii censuit superiores regulares posse suo subdito itidem regulari, qui praeditus qualitatibus requisitis ordines suscipere voluerit, liberas dimissorias concedere, ad Episcopum tamen Dioecesanum, nempe illius monasterii in cuius familia ab iis, ad quos pertinet regularis, positus sit. Ho anche fatta dimanda, e voleva anche farla a V. E., se questo decreto era praticato nel mio senso e ne ebbi risposta affermativa. Appoggiato alle ragioni sopra mentovate ho giudicato, di consenso col Vescovo di Casale, che il candidato potesse recarsi a prendere l'Ordinazione dall'Ordinario di quella casa dove di fatto egli dimorava. Altro motivo che mi determinò a questo erano gli Esercizi spirituali. Ella non ha stimato sufficienti gli Esercizi, che noi facciamo qui a Torino e a Trofarello, come fu già di alcuni nello scorso settembre, e ciò era cagione nelle gravi strettezze di dover sottostare alle spese di viaggio e di altro che sarebbe stato necessario per recarsi al luogo degli esercitandi diocesani.

                Malgrado questa mia buona volontà e persuasione, se mai non avessi raccolto il vero senso di quanto ho sopra esposto, io mi raccomando a volermi dare benigno compatimento, assicurandola che questa sua volontà per l'avvenire sarà fedelmente eseguita. Anzi, colle parole del prelodato Pontefice, io la supplico per la misericordia del Signore e per quella carità dello Spirito Santo, che ognuno stringe nell'unità di fede a coltivare la vigna del Signore, a voler passar sopra a quanto possa averle recato dispiacere in questo affare.

                Ella sa che da trent'anni, nella mia pochezza, fo quel che posso per questa Diocesi. Molti chierici, vicecurati e parroci della Diocesi furono nostri allievi. Non ho mai dimandato nè stipendi, nè impieghi. L'unica mercede che ho sempre dimandata e che con tutta l'umiltà del cuore dimando, si è compatimento e consiglio nelle cose che V. E. giudicasse tornare alla maggior gloria di Dio.

                Per le ragioni sopra esposte e per l'assoluta ignoranza e totale esenzione di colpa del Sacerdote Cagliero Giuseppe non ho ardito comunicargli la parte della lettera che lo riguarda, a meno che mi facesse dire essere tale il suo volere.

                Sempre animato per fare quel che posso nel Sacro Ministero, mi permetta che colla massima venerazione abbia l'onore di potermi professare,

                Dell'E. V. Rev.ma,

 

                Torino, 28 novembre 1869,

Dev.mo Servitore

Sac. GIOVANNI Bosco. [755]

 

                Di quel giorno, Mons. Arcivescovo, affidata la diocesi al Vicario Gen. Mons. Zappata e compiuta una solenne funzione in S. Giovanni, partiva per Roma, ove era già stato preceduto da alcuni suffraganei, coi quali fu ospitato nella Canonica Vaticana. Di là scriveva una seconda lettera Don Bosco.

 

 

                Gabinetto Particolare dell'Arcivescovo.

 

Roma, addì 8 dicembre 1869.

 

                               Illustrissimo e Molto Rev.do Signore,

 

                Voglio credere che la lettera mia abbia cagionato rincrescimento e dolore alla S. V. Ill.ma e Molto Rev.da, e tanto più lo credo sinceramente, quanto più son persuaso che il fatto di cui mi lagno, non fu effetto di animo cattivo, ma di ignoranza. Siccome però non stava a me a rimediarvi.. fui costretto a scriverle in quel modo, affinchè potessero provvedere al riguardo. Non fu dunque solo per lagnarmi del modo che tenevano meco e V. S. e D. Cagliero e Mons. Vescovo di Casale, ma sì ancora perchè ricorrano alla Santa Sede per l'opportuna assoluzione. Ciò premesso, credo necessario rispondere categoricamente alla sua lettera onde rettificare ciò che in essa viene affermato, a scanso di equivoci. E prima, se intimai la sospensione ai preti giovani diocesani, che non aggregati volessero continuare ad occuparsi nelle case della sua Congregazione, vi fui costretto per venire a conoscere quali erano i suoi alunni e quali i miei, giacchè, mentre Ella mi scriveva ad un modo, il Cagliero protestava in Curia ad un altro.

                Non so poi in secondo luogo come i suoi alunni avessero a temere, giacchè tutte le mie istanze non erano rivolte a loro che a sapere chi volesse o no star soggetto all'Arcivescovo, senza aver neanche detto una parola che potesse mostrare il desiderio di togliere alla Congregazione quelli ai quali fosse piaciuto di farne parte. Non so in verità quanto possa valer la scusa di essere venuta parecchie volte e di mattino e di sera per parlarmi in proposito dell'ordinazione del Chierico Cagliero, giacchè io ho dato sempre udienza, e non rifiutai di ricevere nessuno. Ella poi poteva, anzi doveva, per questo rivolgersi alla Curia in cui àvvi un impiegato apposito per questo, e che Ella conosce avendo avuto a fare con lui altre volte. La risoluzione quindi da Lei presa di mandare il Cagliero a Mirabello non può esserle stata inspirata dal non aver potuto conferir meco. Io non nego che Ella poteva mandare il Chierico Cagliero a Mirabello, ma colle carte richieste dai Sacri Canoni e non prima che avesse ricorso alla mia Curia per la dispensa dell'età, ed imminenti le S. Ordinazioni mandarlo alla vigilia, si può dire, dell'Ordinazione, era un contravvenire alle leggi della Chiesa ed un burlarsi del Vescovo, cui si sottrae in fraudem legis un chierico [756] statogli soggetto fino a pochi giorni prima, tanto più che il ritardo delle Ordinazioni in Diocesi non era che di una settimana. E tanto è vero che fu mandato in fraudem legis che subito dopo l'Ordinazione ritornò in Torino. Da ciò può vedere quanto male sia stata consigliata nell'interpretazione del decreto della Sacra Congregazione da Lei citato, imperocchè quel decreto richiede manifestamente che il Regolare debba essere presentato al Vescovo della casa in cui è di famiglia, e non a quello nella Diocesi del quale è la casa ove si manda per prendere le Ordinazioni, essendo che altrimenti sarebbe affatto inutile. E certo se Ella avesse conferito meco o coll'impiegato della Curia addetto alle Ordinazioni, non avremmo mancato di farle osservare quanto sopra, e mostrarle che questa fu sempre l'interpretazione data al Decreto suaccennato.

                Quanto agli Esercizi Spirituali le osservo che quando dissi al Cagliero di farli, io era nella persuasione che non appartenesse alla Congregazione. In questa persuasione era ben giusto che ne li richiedessi, sia per non fare distinzioni e non accordar privilegi, sia perchè gli Esercizi per gli Ordinandi sono ben diversi da quelli che si fanno comunemente, dettandovisi prediche speciali. Questa persuasione poi era nata in me non solo da quanto avevami detto il Cagliero, ma più ancora dall'essere il medesimo ricorso alla mia Curia per ottenere la dispensa dell'età, cosa che non avrebbe dovuto fare in caso diverso, toccando ai Superiori Regolari ricorrere per i loro sudditi: e farne loro la commendatizia.

                Da tutto ciò che le accennai io sono autorizzato a credere in questa pratica un intrigo che ben non saprei spiegarmi, ma che deploro grandemente, e che non vorrei veder riprodotto. Del resto le ripeto ch'io non le scrissi solo per lagnarmi, ma perchè potessero provvedersi per l'assoluzione delle censure incorse. Quanto a me sono ben lieto di perdonare il tutto, e di augurarmi che in avvenire non vi saranno nuovi sconci. E in questa fiducia mi rassegno con tutta stima

                Di V. S. Ill.ma e M. Rev.da

Devot. ed Obbl.mo Servo

ALESSANDRO, Arc. di Torino.

 

                Il Servo di Dio, avuta questa seconda lettera, si rivolgeva per consiglio al Can. Celestino Fissore.

 

 

                               Ill.mo Signor Canonico,

 

                Quante miserie vi sono in questo mondo, e a quante tribolazioni va soggetto il povero Don Bosco!

                In mia assenza un Chierico della nostra Congregazione andò a ricevere gli Ordini a Casale, dove abbiamo una casa approvata come Congregazione Diocesana. Il nostro Arcivescovo, forse è taluno che lo  [757] suggerì, prese la cosa in senso ostile alla sua autorità, ed è ben diversa la mia intenzione. Ha scritto una lettera cui risposi, ed egli tosto replicò.

                Ora pregherei di leggere se vi è qualche recente disposizione ad hoc. Il decreto della S. Congregazione del Concilio è comunemente inteso così dalli Ordini Religiosi che ho interpellati, che perciò dovrebbero incorrere tutti nelle pene annunciate.

                Benedetto XIV nota e biasima il caso che un Superiore, falsis de causis, facesse cangiar domicilio al suo suddito per l'ordinazione e che tosto lo richiamasse alla primiera casa: ma non stabilisce alcuna pena.

                Qui le ragioni sono gravissime, come spero potercele dire di presenza.

                Noti poi che l'ordinazione in questa diocesi fu tenuta non otto ma quindici giorni dopo.

                Si potrebbe anche domandare: Se un Superiore può disporre de' suoi sudditi, non potrà far loro cangiar domicilio anche per l'ordinazione, se vi è grave causa?

                Ella adunque mi faccia quest'opera di carità; consideri la cosa: poi mi dica l'ora che di meno la disturba ed andrò a sua casa, a meno che le tornasse più caro venire qui all'Oratorio.

                Credo che Ella avrà la Bulla de Regularium Ordinatione che le ho citata: se occorre, la trasmetto prontamente.

                Raccomando ogni cosa alle sue preghiere, e ringraziandola finora d'ogni cosa, ho l'onore di potermi professare con gratitudine di V. S. Ill.ma

 

                Torino, 18 dicembre 1869,

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

                P. S. Una cosa anche da notarsi si è che il Vescovo di Casale è persona ben istrutta.

 

                Il Canonico rispondeva sollecitamente a Don Bosco:

 

 

                               Molto Rev.do Signor Don Bosco,

 

                Mi occuperò volentieri della nota questione, ma per farne un giudizio mi torna indispensabile consultare il Decreto 1° marzo corrente anno, che non conosco punto. La prego di volermelo favorire e poi martedì dalle otto e mezzo fino alle dieci e mezzo del mattino io sarò a sua disposizione in casa mia. Prendo parte di cuore ai suoi dispiaceri, e prego il Signore a benedirla. Mi protesto coi sentimenti di perfetta considerazione,

 

                Torino, 17 dicembre 1869,

Suo Dev.mo Servitore

Can. CELESTINO FISSORE. [758]

 

                La ragione che aveva mosso il Capitolo Superiore della Pia Società Salesiana ad inviare il diac. Cagliero a Mirabello, per essere ordinato a Casale, stava nel fatto che a Torino egli avrebbe avuto nuove sollecitazioni ad allontanarsi dall'Oratorio.

                Ma la questione non andò oltre.

                Don Gio. Cagliero, che in ogni vertenza di simil genere era informatissimo per la parte che vi aveva, come Direttore Spirituale della Pia Società, testificò come l'Arcivescovo avesse scritto le sue rimostranze anche al Vescovo di Casale e Mons. Ferrè gli rispondesse vittoriosamente. E aggiungeva:

                “Questi screzi coll'Arcivescovo non furono noti che a Don Bosco, ai pochi interessati ed ai membri del Capitolo. Dopo, che io sappia, le cose passarono assai tranquille fino verso la fine del 1870, anno in cui morì l'Arcivescovo; e Don Bosco fu lasciato in pace. Pendente l'anno della vedovanza della Diocesi, non mi consta che sia avvenuto malinteso alcuno col Vicario Capitolare”.

                Noi crediamo di qui ricordare come il Can. Fissore, poi da anni Arcivescovo di Vercelli, scrivesse in morte di Don Bosco al suo successore Don Rua:

                “Io fui dei primi a conoscere i saggi di sode virtù sacerdotali, che diede il compianto fin da quando studiava nel Convitto Ecclesiastico di S. Francesco d'Assisi. Ebbi sempre occasione di vederne progressivamente lo sviluppo nella vita privata e pubblica, ed oso mettermi pure tra i Primi a deplorare il vuoto che lascia in terra, ma a crederlo già premiato subito dal Signore”. Tale fu la stima che una persona così autorevole, la quale fu al corrente di altre vertenze ben più lunghe e spinose, insorte negli anni seguenti tra l'Autorità diocesana e il Venerabile, ebbe sempre del nostro Servo di Dio.

 

 

CAPO LX. Don Bosco a Lanzo - Letture Cattoliche Don - Bosco a Mirabello: sua lettera alla Contessa Callori: per la diffusione dell'Opuscolo sul giubileo: festa di S. Carlo: augurii pel suo prossimo viaggio a Roma - Don Bosco a Cherasco va in cerca di offerte per pagare il terreno presso l'Oratorio di S. Luigi e costrurre una cappella o chiesa: propone una carta di obbligazione - Apertura del Concilio Ecumenico Vaticano - Inno e canti nell'Oratorio - Conversione d'un sacerdote, apostata - Conferenza tenuta da Don Bosco ai membri della Congregazione per la rielezione del Capitolo Superiore - Verbale di questa adunanza - Cade il Ministero Menabrea e sono sospese le trattative per la chiesa del Santo Sudario - Muore l'ultimo de' sei predetti da Don Bosco - Suoi augurii in versi per le feste Natalizie - Difficile educazione riuscita - Battesimo dei due giovani Algerini - Offerta dei giovani dell'Oratorio al S. Padre - Il Galantuomo pel 1870 e sua prefazione.

 

                GLI ultimi due mesi del 1869 tennero occupato Don Bosco nelle vertenze sopra esposte, ma non furono men ricchi dei precedenti di opere sante. Il giovedì della seconda settimana di novembre, come aveva promesso, fu a visitare il Collegio di Lanzo. Ognuna di queste visite produceva il bene d'una missione apostolica. [760] All'Oratorio si pubblicava intanto l'ultimo fascicolo delle Letture Cattoliche, quello del mese di dicembre. Era un libretto di attualità: Il Giubileo pel Concilio Vaticano: Istruzione del P. Secondo Franco. L'autore dimostrava che cosa sia il giubileo e il fine particolare di questo: donde tragga la Chiesa, e con quale autorità, le indulgenze che applica ai fedeli: i beni, che si contengono nel Giubileo, pei giusti e per i peccatori: la facilità e il modo pratico di acquistare il Giubileo. In appendice si leggevano due programmi, quello della Biblioteca della Gioventù Italiana e quello delle Letture Cattoliche.

                La seconda visita di Don Bosco l'ebbe il piccolo seminario di Mirabello, come appare da una cara lettera, indirizzata alla Contessa Callori.

 

 

                               Benemerita signora Contessa,

 

                Mons. Manacorda in una a D. Cagliero chiuse il biglietto ivi unito. Lo aprì inavvertitamente, ma non lesse nulla, quindi segreti inviolati.

                Ella mi disse ripetutamente che è signora, e questo mi dà coraggio a chiedere. Il sig. Prevosto di Vignale desidererebbe pel giubileo dare 2500 libretti sul giubileo del P. Franco, ma parlando del prezzo si raccomandò di aiutarlo e poi si mise a piangere. Io promisi che confidenzialmente avrei invitato V. S. ad aiutarlo. Facciamo dunque così. Il fascicolo nell'associazione è di cent. 15. Siano essi ripartiti; centesimi 5 a Don Bosco; centesimi 5 al Prevosto; centesimi 5 a Lei. Ella pertanto contrarrebbe l'enorme debito di fr. 125 da pagarsi senza interesse prima del termine dell'anno 1870 all'Uffizio delle Letture Cattoliche. Veda un poco come io fo bene i calcoli col danaro altrui. Ella però mi risponda come vuole. Abbiamo fatto una festa a Mirabello che fu una vera meraviglia. Il Vescovo fu più volte commosso fino alle lagrime. Ho detto a D. Bonetti che ne desse un cenno a Lei, unicamente affinchè si consoli nel Signore del frutto della sua carità.

                Se mi potrà far sapere il giorno di sua partenza per Roma, faremo una preghiera speciale affinchè tutti possano fare buon viaggio. Dal canto mio farò un particolar memento ogni mattino nella Santa Messa fino al suo felice ritorno, o almeno fino alla visita che spero di farle in Roma.

                Non dimentichi l'affare del caro Bimbo. La Presidente Galleffi Superiora delle Oblate di Torre de' Specchi è prevenuta della sua visita;  [761] vedrà molta virtù nascosta sotto alle apparenze di una fantesca, sebbene appartenga ad una delle principali famiglie.

                Dio conceda ogni bene a Lei e a tutta la sua famiglia; preghi per me che colla più profonda gratitudine mi professo

                Di V. S. B.

 

                Torino, 27 - 11 - 1869.

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                La terza visita del Venerabile era riservata pel nuovo collegio di Cherasco.

 

 

                Oratorio di S. Francesco di Sales

                Torino - Valdocco.

8 novembre 1869.

 

                               Carissimo D. Francesia,

 

                Ti mando la risposta che credo possa farsi in soddisfazione ai requisiti del Provveditore. La porterai al sig. Sindaco, cui farai tanti saluti da parte mia.

                Se non ci è affare di assoluta premura, io andrei a Cherasco da lunedì prossimo in otto giorni, che è il 22 corrente e mi fermerò alcuni giorni. Potrei andar prima, ma soltanto di volo e non vorrei.

                Ti raccomando di avere molta cura della tua sanità, di quella di D. Provera e di tutti gli altri.

                Se Ottonello è contento del piano, io pretendo che lo suoni, in modo da poterlo poi suonare in Paradiso.

                D. Francesia, coraggio nel Signore. Dio benedica te e tutta la cara famiglia. Salutali tutti da parte mia. Amen.

Aff.mo in G. C.

Sac. Giov. Bosco.

 

                E intanto cercava offerte per la compra del terreno presso l'Oratorio di S. Luigi a Porta Nuova. Scriveva all'Avvocato Galvagno a Fossano per Marene.

 

 

Torino, 24 novembre 1869.

 

                               Chiarissimo Signore,

 

                Già altre volte V. S. chiarissima, mossa dal solo spirito di carità, venne in aiuto delle nostre caritatevoli imprese, che trovavansi in bisogni assai maggiori di quello che Ella forse si immaginava. Ora si presenta un'opera eccezionale a compiersi come può vedere dall'unito [762] foglietto; e per questo mi fo ardito di fare ricorso alla sua carità per quell'aiuto che le inspirerà la carità del suo cuore.

                Non voglio scrivere molte cose: Le dico soltanto che essendo urgente il bisogno, si accetta colla massima gratitudine qualunque cosa nella sua bontà sia per offerire.

                Dal canto mio non mancherò di pregare il Signore Iddio che le conceda stabile sanità con lunghi anni di vita felice, mentre con profonda gratitudine mi professo

Obbl.mo Servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

                E le offerte non mancavano. Abbiamo nota di quella fatta dal Conte e dalla Contessa di Viancino;

 

 

Oratorio di S. Francesco di Sales. - Torino - Valdocco.

 

                Ricevo L. 1200 dal sig. Conte Viancino e L. 3300 dalla Signora Contessa quale generosa oblazione per la compera del terreno per l'Oratorio di S. Luigi a Portanuova e ne rendo le dovute grazie. Il Signore rimeriti i benemeriti oblatori.

 

                Torino, 29 novembre 1869.

Per DON Bosco

Sac. ALBERA PAOLO.

 

                Sul terreno comprato dovevasi erigere una nuova chiesa. Dell'importanza e necessità di questa costruzione Don Bosco ne aveva parlato ad alcuni distinti signori, e nella festa dell'Immacolata il Barone Ricci gli rilasciava la seguente obbligazione in carta da bollo. Era la prima offerta per la futura chiesa di S. Giovanni Evangelista, colla quale Don Bosco intendeva di onorare il nome di Pio IX.

 

                Il sottoscritto, affine di agevolare dal canto suo la costruzione di una nuova Chiesa, nelle vicinanze del tempio Valdese, o quanto meno di un pubblico oratorio da essere officiato sotto la direzione del Reverendo Don Bosco, colla presente scrittura si obbliga di corrispondere allo stesso la somma dell'uno per cento sulle spese che verranno fatte nella costruzione della Chiesa, comprendendovi il prezzo del terreno acquistato. Dichiara però di restringere la sua offerta nel limite di L. 1000: dico Mille. Se per caso ben avventurato si spendesse una somma maggiore di L. 100.000, dico centomila: egli limita a tale estremo il suo soccorso, riducendolo ove s'impiegasse nella costruzione della Chiesa una somma minore. [763]

 

                Li pagamenti saranno ripartiti in tre rate:

                La 1ª appena si darà principio alle opere di costruzione.

                Le altre due nelli anni successivi da corrispondersi anticipatamente.

                In fede rilascia la presente obbligazione munita della sua firma.

 

                Torino, 8 dicembre 1869,

                Via Bogino N. 12, Piano 2°, casa Fassati.

 

Barone FELICIANO Ricci DES FERRES.

 

                In quel medesimo giorno, l'8 dicembre 1869, in Roma con splendidissima cerimonia si aperse nella Basilica Vaticana il Concilio Ecumenico XX. I Vescovi intervenuti da ogni parte del mondo erano quasi settecento. Il solo Governo Russo aveva proibito ai Vescovi Cattolici di recarsi a Roma. Ciascuno può immaginarsi l'effetto che doveva produrre lo sfilare di quella interminabile processione di preti, superiori e generali di Ordini, prelati, abati, vescovi, patriarchi e membri del Sacro Collegio, a capo dei quali stava il sommo Pontefice, colla sua splendida corte, quale usava tenere allorchè appariva in tutta la magnificenza di sovrano. Celebrata la messa Pontificale nel lato della crociera, a destra della confessione di S. Pietro, e cantato il Veni creator, Pio IX dichiarò aperto il Concilio, e l'Arcivescovo di Iconio, Mons. Passavalle, lesse il sermone d'inaugurazione. Circa cinquantamila persone erano radunate nella basilica.

                Don Bosco e i suoi giovani esultarono. Il ch. Albera scrisse un inno. Don Cagliero lo mise in musica e fu cantato nell'Oratorio in ogni circostanza per tutto l'anno seguente, e ripetuto nel 1916 nell'arrivo del Card. Cagliero. L'inno era in onore di Pio IX e del Concilio.

                Nell'Oratorio fu anche causa di viva gioia la conversione di un sacerdote che da più mesi abitava con Don Bosco, mandato dal suo Ordinario, perchè si riabilitasse.

                L'Unità Cattolica ne dava notizia il 12 dicembre.

 

                Onorevole ritrattazione. - Riceviamo dal molto reverendo sacerdote Carlo Morandi, della diocesi di Cremona, una onorevole ritrattazione [764] da lui fatta il giorno 8 dicembre, ad onore di Maria Immacolata e del Concilio Ecumenico.

                L'ottimo ministro di Dio ci annunzia nel medesimo tempo la prossima pubblicazione d'un opuscoletto nelle Letture Cattoliche di Torino col titolo: Un ritorno nell'arca santa, anche a riparazione dello scandalo di apostasia da lui dato pel corso di quindici mesi. Ci duole non poter riprodurre per la sua lunghezza la detta ritrattazione, che è tutta piena di bei sentimenti cattolici che altamente onorano, oltre lo stesso convertito, anche la religione nostra santissima, che sa ispirare il pentimento del fallo e dà la forza di confessarlo e fornisce i mezzi di ripararlo!

 

                Per que' giorni Don Bosco aveva indetta una conferenza e si legge nell'antico manoscritto, contenente i Verbali dei Capitoli, la seguente pagina:

                “1869. Il 10 dicembre radunatisi tutti i membri della Società di S. Francesco di Sales fecesi l'elezione dei membri del Capitolo, avendo tutti finito il tempo della loro carica. Il Rettore Sac. Bosco Giovanni, dopo la recita del Veni Creator col verso ed Oremus, cominciò, secondo il Regolamento, ad eleggere egli stesso Prefetto, quale era già prima, il Sac. Rua Michele, e direttore spirituale il Sac. Cagliero Giovanni. Distribuite quindi le schede ai professi assoluti, ciascuno di questi diede in secreto il voto per l'Economo e i tre Consiglieri. Fatto lo scrutinio, trovaronsi eletti Economo Angelo Savio; Consiglieri: Ghivarello Carlo, Durando Celestino, i quali già prima avevano la stessa carica, Albera Paolo, che venne al posto lasciato vacante dal Sac. Francesia Giovanni, andato Direttore nel nuovo Collegio di Cherasco”.

                Oltre questa memoria ufficiale, abbiamo altre memorie private dell'adunanza. Don Bosco così prese a parlare:

                “- Questa sera ci siamo radunati per rieleggere il nostro Capitolo. I membri del Capitolo, secondo le nostre regole scadono dall'impiego dopo tre anni dalla loro elezione. Ora, siccome sono tre anni che furono eletti, è necessario che si faccia di nuovo la elezione. Il Capitolo consta di un Prefetto, di un Direttore Spirituale, di un Economo e di tre Consiglieri. [765] I due primi, cioè il Prefetto ed il Direttore Spirituale, secondo le regole sono eletti dal Direttore Generale, e gli altri a pluralità di voti. Possono dare il voto tutti quelli che emisero i voti perpetui, e non possono dare il voto quelli che emisero solo i voti temporarii. Questo è stabilito chiaramente dalle regole, e quindi non vi si può transigere sopra. Resta ancora questione indecisa se possano essere eletti membri del Capitolo quelli che non abbiano ancor fatti i voti perpetui, e per questa volta lascieremo intatta la questione e faremo come si è fatto finora. Si avverta che possono essere rieletti membri del Capitolo quelli che già vi furono o che vi sono. Finora formarono il Capitolo D. Rua prefetto; D. Cagliero Direttore Spirituale, D. Savio Economo, e Consiglieri Don Ghivarello, D. Durando, e D. Francesia, che ora deve essere sostituito, perchè lontano.

                Qui si domandò se si dovevano eleggere due Economi; siccome uno non può attendere a tutto, cioè ai bisogni della Casa ed ai bisogni della Società; se per economo del Capitolo si deve anche intendere colui che sorveglia ai bisogni della Casa. E Don Bosco continuò:

                - Quando diciamo Economo della Società non dobbiamo mai confonderlo coll'Economo della Casa, poichè può stare benissimo l'Economo della Casa distinto dall'Economo della Congregazione. Quindi quando diciamo Economo della Società, cioè colui che si elegge nel Capitolo, non lo dobbiamo confondere coll'Economo della Casa. L'Economo della Casa è come un Vice - Economo od un aiutante, come il Prefetto ha un aiutante nel Vice - prefetto. Tutto questo sia per norma dei votanti ed anche per gli altri, affinchè conoscano quali sono i loro superiori.

                Ciò detto si contò il numero di coloro che avevano fatto i voti perpetui, il quale fu di quattordici. Sarebbero stati eletti quelli che avessero ottenuti voti maggiori. Allora Don Bosco dopo la recita del Veni Creator col vers. ed Oremus e le altre preghiere prescritte, cominciò secondo il regolamento ad eleggere [766] egli stesso il prefetto col confermare in carica il sac. Rua Michele, e direttore spirituale nominò il sac. Cagliero Giovanni. Distribuite quindi le schede in bianco ai professi perpetui, ciascuno di questi diede in segreto il voto per l'economo e i tre consiglieri. Fatto lo scrutinio (da D. Rua e da D. Cagliero) trovaronsi eletti: Economo il sac. Savio Angelo: Consiglieri il Sac. Ghivarello Carlo e il Sac. Durando Celestino, i quali già prima avevano la stessa carica. Il sac. Albera Paolo venne al posto lasciato vacante dal Sac. Francesia Giovanni, andato Direttore nel nuovo collegio di Cherasco.

                Furono eletti all'unanimità Don Ghivarello e Don Durando, ebbe parecchi voti per economo anche D. Sala Antonio, che di tale ufficio era incaricato nell'Oratorio. D. Lazzero Giuseppe ottenne un voto di meno di Don Albera, il quale ne ebbe otto.

                Il Direttore generale Don Bosco lesse a chiara voce il nome degli eletti, e quindi riprese a parlare.

                - Ora ecco rieletto il nostro Capitolo, il quale deve sempre rappresentare i Superiori della Società. E questo non è solo una cosa così combinata fra noi, ma in tutte le Società religiose vi è sempre questo Capitolo, il quale è molto distinto dagli altri ed è facile conoscerne i membri. Così sono i Domenicani, i Barnabiti, ed in tanti altri ordini; ed in queste Congregazioni il Capitolo ha perfin la tavola separata, cosa che col tempo combineremo anche noi.

                Questi poi che sono eletti devono pensare che la carica che hanno, richiede pazienza e sacrificio, e non si promette loro nessun premio, eccetto quello che ci darà il Signore.

                Quello che non posso dissimularvi si è che siamo in una via tutta piena di spine, ed avremo a soffrire molto per causa degli uomini e per tante altre cause. Noi siamo quelli che primi dobbiamo passare su queste spine siccome in sul principio della Società; ma dobbiamo consolarci perchè non siamo soli, poichè abbiamo da una parte il nostro Divin Salvatore,  [767] dall'altra la SS. Vergine. Essi camminano con noi, ci insegnano la via, ci consolano e ci sorreggono.

                Quello poi che il Signore più di tutto ha voluto far conoscere si è che dopo le spine vi saran le rose ed in abbondanza. Egli ci promette grandi aiuti, molte benedizioni spirituali e temporali. Ci vedremo anche molto prosperati ed egli ci manderà anche quello che ci abbisogna pel temporale in abbondanza, purchè si faccia sempre servir tutto a sua maggior gloria.

                Ciò che mi consola, e lo dico anche con un po' di compiacenza, si è che quest'anno vedo che la nostra Congregazione è molto bene avviata e tutti sono impegnati perchè le cose vadano bene. Pare che la nostra condizione sia molto migliore dell'anno scorso. Voglio anche che prima dell'anno si stampi una scheda, o catalogo in cui sarà scritto il nome di tutti quelli che compongono la nostra Congregazione, e così ciascheduno tenendo presso di sè questa scheda o catalogo, potrà facilmente conoscere tutti quelli che sono nella Società. Questo schema lo terrà ciascuno presso di sè, senza che si faccia correre nelle mani altrui.

                Desidero pure che in calce a questa lista si lasci uno spazio, dove in fine dell'anno si scriverà quelli che il Signore chiamò all'eternità in quell'anno stesso. Ogni anno si metterà poi in disparte uno di questi cataloghi e si aggiungerà una monografia di quelli che passarono all'altra vita. In questa monografia si accenneranno le virtù principali in cui si segnalò il defunto. In questo modo si potrà, per esempio dopo ottant'anni, conoscere gli individui della Società, l'aumento o la diminuzione della medesima. La scheda si rinnoverà ogni anno. Ogni casa particolare avrà anche un catalogo particolare in cui si troveranno notati tutti quelli che in allora si troveranno in quella.”

                Don Bosco in questa conferenza non avea più parlato come aveva fatto in altre, dell'importanza di possedere una casa in Roma. Su quella di S. Cajo non era più il caso di [768] nutrire speranze; e le pratiche della Chiesa del S. Sudario, per motivi che riguardavano il Ministro di Francia (forse per interessi di una casa religiosa Savoiarda) non erano state per allora condotte a termine. Tuttavia si sarebbero potute riprendere essendosi dimostrato il Ministro Menabrea abbastanza benevolo alle proposte di Don Bosco. Questo ministro però, osteggiato dalla Camera dei deputati, aveva date le sue dimissioni con tutti i colleghi, e il 14 dicembre deponeva il potere.

                Gli succedeva, il giorno 15, il medico Lanza col nuovo Ministero, il quale, come abbiamo veduto, conosceva e stimava Don Bosco.

                Mentre il Servo di Dio andava pensando a chiederne l'appoggio, nell'Oratorio spirava l'ultimo dei sei, predetti sul fine del 1868, appartenenti alla casa. Si legge nel Necrologio, scritto da Don Rua.

 

                Bonelli Giovanni fu Luca di Vico Mondovì moriva nell'Oratorio il 19 dicembre 1869. Uomo semplice e timidissimo. Fu francescano e nella soppressione degli ordini religiosi venne accettato nell'Oratorio, ove prestò volentieri l'opera sua prima da portinaio, poi da sagrestano, facendo volentieri quel tanto che i suoi incomodi gli permettevano di fare. Singolare fu in lui l'osservanza del silenzio; di modo che si può con sicurezza asserire non aver egli nel tempo che fu all'Oratorio detto una parola di troppo.

 

                Questa morte consolante accresceva, se pur era possibile, il prestigio che esercitava il Venerabile sull'animo dei giovani.

                Egli intanto, approssimandosi il Natale, mandava i suoi auguri di felicità agli amici e ai benefattori.

                Al Baron Bianco di Barbania scriveva in versi:

 

Ogni dì voleva andare

Dal Baron, mio buon compare;

Ma finora fu un progetto

Che rimase senza effetto;

Sia pigrizia, sia per male,

Io son quasi sempre uguale: [769]

Mangio, dormo, e un poco a spasso

Vita fo da Michelasso.

Ma affinchè nissuno dica

Che al Baron non parlo mica,

Voglio mettermi a far testa

E augurargli buona festa.

Una volta, manco male,

Ciò dicevasi in plurale:

Buone feste, cari amici,

State allegri e ognor felici;

Ma da che ragion di stato

Tante cose ebbe cangiato,

Noi dobbiamo uniformarci

Negli augurii da mandarci.

Ma che vale questa critica?

Chi cangiar può la politica?

Vada l'acqua giù del Po,

Io intanto augurerò.

Abbia dunque il mio compare

Piedi e gambe da volare,

Di Matusalem l'etade,

Sia Davidde in santitade,

Sia Sansone per fortezza,

Salomone per saviezza,

Cogli amici ognor contento

Viva lieto ogni momento.

Ma al suo cuoco che dirò

Quando tardi giungerò?

Quando è già finito il pranzo

Che per lui più nulla avanzo?

Cercherò la Provvidenza!

Egli cerchi la credenza

Si prepari altra porzione

Che a lui basti e al buon Barone.

Finalmente, o mio Barone,

Terminiamo la canzone!

Compatirmi si compiaccia,

Ma una visita mi faccia!

 

 

                Agli augurii succedeva solennissima la festa del S. Natale. In questo giorno vennero rigenerati colle acque battesimali i due giovanetti Algerini. Non era stata cosa facile educarli ed istruirli nella religione cristiana, come accadde anche per qualche altro loro connazionale mandato a Torino [770] nel 1870. Mons. Lavigerie aveva scritto a Don Bosco che essi erano intrattabili, e quando il Venerabile li ebbe alla prova, dovette riconoscere che il fatto passava la sua aspettazione. Questi arabi rassomigliavano meno ad esseri umani che a bestie selvagge. Eglino coll’agilità della tigre si slanciavano a mordere ed a tentare di far strazio, colle loro unghie, di quelli che loro non andavano a genio. Per altro Don Bosco ebbe questo primo vantaggio, che al loro presentarsi gliene impose colla sua presenza e si accorse ben anco che egli non era loro antipatico. Mise allora ogni cura a trar partito dell’amor proprio della loro razza. I migliori soggetti dell’Oratorio furono incaricati di usar loro tutte le cure e le attenzioni che si potevano. Bentosto lo spettacolo della esemplare condotta di questi giovani influì potentemente sullo spirito degli Arabi; eglino furono umiliati nel riconoscere la morale distanza che li separava dai loro compagni, e per l’onore del paese si applicarono a correggere questa loro inferiorità. Erano appena trascorsi pochi mesi dopo il loro ingresso in Oratorio che una totale trasformazione erasi già operata nei modi e nelle abitudini di questi figli del deserto, come pure nei loro pensieri e nei loro sentimenti. Un dolce sorriso aveva sul loro volto preso il posto della feroce espressione delle altre volte; ed in quelli occhi animati, che prima slanciavano lampi di collera e di odio, si vedeva scintillare la soddisfazione e la pace. La luce del Cristianesimo aveva penetrato, col suo dolce calore, questi esseri ribelli, i quali non si erano mai inchinati davanti alla forza, ma che già piegavano liberamente le ginocchia davanti a Gesù Cristo ed alla sua legge. Così il Conte Carlo Conestabile nel suo lavoro: Opere religiose e morali in Italia.

                Erano adunque disposti al battesimo. Vestiti secondo l’usanza degli arabi, nel loro colore olivigno, coi crespi e ricciuti capelli, produssero la più viva commozione, nella immensa moltitudine, onde era stipata la Chiesa di Maria Ausiliatrice. Aly ebbe come nome Stefano; e Carrubi, Pietro. [771] Furono padrini l'avv. Leone Fontana, che f u poi sindaco di Torino per molti anni, e la signora Oriola, sua madre, noti al pubblico torinese per le loro opere di cristiana carità.

                Di quei giorni i giovanetti dell'Oratorio manifestavano il loro grande e generoso affetto al Vicario di Gesù Cristo. Scrive l'Unità Cattolica del 28 dicembre.

                “Offerte al S. P. Pio IX in omaggio ed in aiuto al Concilio Ecumenico. - Torino, Valdocco. Da D. Rua, prefetto dell'Oratorio di San Francesco di Sales, liste di offerte fatte da quei giovani in occasione del Concilio, lire 205, 15”.

                Con un atto di omaggio al Vicario di N. S. Gesù Cristo finiva l'anno 1869. Nelle nostre memorie non si fa cenno della strenna data da Don Bosco agli alunni; ma siamo indotti a credere che egli parlasse delle preghiere da farsi pel buon esito del Concilio Vaticano.

                Se non abbiamo la strenna ai giovani, conosciamo però i cari auguri, indirizzati popolarmente e festevolmente agli associati delle Letture Cattoliche nel Galantuomo, almanacco per l'anno 1870.

 

                L'aveva già detto tante volte che il mondo era ammalato e che avrebbe avuto bisogno di un buon medico per guarire. Malattie nei poveri che vogliono ad ogni modo diventar ricchi, malattie ne' ricchi che stanchi di tanta fortuna invidiano la sorte dei poveri, e fanno tutto il possibile per diventare tali; malattie negli scolari che vogliono sapere più dei loro maestri, e che perciò mancano dalla scuola, e lasciano che i libri studino da sè; malattie anche ne' maestri che non sanno più come frenare la gioventù appena è arrivata ai 12 anni; malattie in alto, malattie in basso, malattie dappertutto. Quasi quasi vorrei dire che dove si sta meglio è negli ospedali. Con tanti mali era dunque necessario che i medici si dessero una parola di convegno per trovare il modo di guarire tutto il mondo, ridotto quasi agli estremi. Ed ecco il gran medico delle anime, il glorioso Papa Papa Pio IX, dolente sui mali gravissimi, onde è afflitta la misera umanità, bandisce un gran consiglio, invitando tutti i Vescovi della religione cattolica a raccogliersi in Roma e cercare un rimedio adattato. Sarà pure un grande spettacolo veder tanti e tanti Pastori, animati tutti da un medesimo sentimento, venire a Roma, come gli apostoli si radunarono a Gerusalemme agli inviti di S. Pietro, ed invocare [772] il Padre dei lumi, e ridonare altra vita al mondo. Giorni felici sorgeranno a sollievo nostro e dei nostri figli. Vecchio io come sono, vorrei correre alla nuova Gerusalemme a ringraziare il fortunato Pontefice, della grande e pietosa idea, e ringraziare pure i vescovi suoi fratelli che ubbidienti partirono al suo cenno. Ve ne sono di quelli che han dovuto viaggiare per tre mesi continui, e per istrade faticosissime, ma come l'arabo nel gran deserto ha sempre l'occhio, rivolto all'Oreb, e lo saluta con trasporto di gioia come lo vede da lungi, così essi non pensando che a Roma, non volendo che Roma, sopportarono con gioia gli strapazzi de' mari e de' vapori, e gli incomodi de' lontani trasporti; e come il viaggiatore, se arriva finalmente alla meta de' suoi desideri,

 

………………………………..oblia

La noia e il mal della passata via,

 

così i Vescovi, carichi di anni, si condussero all'eterna città. Che Iddio li consoli, li conforti nelle loro imprese, e li benedica nelle sante loro brame. Vorrei avere quindici anni di meno, e poi anch'io mi porterei a Roma, a unirmi co' supremi pastori del popolo cristiano per implorargli da Dio sanità temporale e spirituale. Non potendo venire di corpo, verrò certamente di spirito, e pregherò assai e farò pregare perchè il tutto succeda a maggior gloria di Dio, al trionfo della sua Chiesa, e alla salute delle anime.

                Intanto noi poveri infermi, che viviamo in questo grande ospitale che per superbia chiamasi mondo, e che siamo caduti in tanto abisso da non più poterci sanare, ringraziamo Iddio di tal benefizio, e facciamo fermo proponimento di voler prendere, anche prima che si proponga, quel rimedio che ci verrà imposto. È lo Spirito Santo che lo inspirerà, e dalla sua mente non potrà uscire che santo, utile, e prodigioso rimedio. E così anche in questi giorni, noi tuttora viventi vedremo il mondo intiero, meravigliare delle grandi guarigioni della Chiesa, ed applaudire palma a palma al suo trionfo. Termino augurando buon viaggio agli Augusti che recherannosi a Roma, felice dimora in essa, e glorioso ritorno alle loro sedi.

                Voi, miei cari lettori, pregate Dio per il medesimo uopo, e speriamo con certezza che saremo esauditi.

 

 

CAPO LXI. 1870 - Elenco stampato del numero e dei nomi de' Salesiani e delle loro case - Supplica di Don Bosco al Regio Economato per ottenere un'elargizione in favore de' suoi chierici - Letture Cattoliche - La redenzione degli schiavi - I Salesiani andranno in regioni lontane - Cortesia proverbiale del Venerabile e una signora di Bergamo - Don Bosco sostenitore dell'infallibilità personale del Papa - Suppliche del mondo cattolico al Concilio perchè questa verità sia definita dogma di lede - Mons. Dupanloup, Vescovo d'Orlèans, cerca persuadere i prelati subalpini essere inopportuna tale definizione: Don Bosco gli è contrario - Döllinger, le eresie e le sètte tumultuano contro la credenza universale dei cattolici - Il Vescovo di Malines propone che sia definita dogma - Solenne profezia: L'avvenire di Parigi, di Roma e della Chiesa: avviso e incoraggiamento al Sommo Pontefice - Don Bosco scrive e fa copiare questa sua predizione - Documenti e commento della medesima - Resoconto religioso e materiale della Pia Società da presentarsi al Papa - Don Bosco chiede al Rettore del Seminario di Torino che i suoi chierici siano ammessi all'esame di Filosofia.

 

                NELLA conferenza tenuta ai Salesiani il 10 dicembre 1869, Don Bosco aveva annunziato che a partire dal 1870 si sarebbe stampato ogni anno il catalogo di tutti quelli che componevano la Pia Società. Così fu [774] fatto, e dal primo Catalogo risulta che nel 1870 la Congregazione contava 102 Socii; 28 erano professi perpetui, 33 coi voti triennali, 41 ascritti. Non è fatto cenno di 22 aspiranti. Quattro le case aperte per l'educazione dei giovani: Torino, Mirabello, Lanzo, Cherasco.

                Per i chierici egli mandava una supplica al Regio Economato Generale dei Benefici Ecclesiastici per ottenere una elargizione.

 

Torino, 1870.

 

                               Ill.mo sig. Economo Generale,

 

                I chierici, di cui è nota a parte, sogliono prestare caritatevole servizio nelle scuole, o nella sorveglianza dei poveri fanciulli che frequentano gli oratorii o giardini di ricreazione di questa città. Essi, nel tempo addietro, ricevevano individualmente o collettivamente un caritatevole sussidio dal Regio Economato generale e con questo mezzo potevano provvedere, almeno in parte, al loro vestiario ed altre spese più urgenti.

                Questa beneficenza essendo da qualche tempo loro cessata, l'esponente, umilmente; ma caldamente, si fa ardito di rinnovar la preghiera presso la S. V. Ill.ma affinchè questi chierici benemeriti siano presi in benevola considerazione, e loro si conceda quel caritatevole aiuto che alla bontà della S. V, sarà beneviso.

                Qui unisco nota dei supplicanti cui si può concedere un sussidio speciale in capo a caduno, o un sussidio complessivo in capo allo scrivente.

                Con gratitudine profonda si professa,

                Di V. S. Ill.ma,

Obbl.mo servitore

Sac. GIOVANNI BOSCO.

 

                Intanto l'arrivo de' primi due arabi nell'Oratorio e l'annunzio che altri sarebbero stati gli inviati da Mons. Lavigerie, parve suggerisse il fascicolo delle Letture Cattoliche pel gennaio del 1870. Eccone il titolo: Nicolò Olivieri e il riscatto delle fanciulle arabe: Cenni storici di Jacopo Bernardi. Quest'opuscolo illustra una gloria italiana. La Magistratura pel riscatto degli schiavi, specialmente di Tunisi, era stata fondata in Genova molto prima del 1400. Inoltre la Confraternita, che appellavasi della Morte, ed aveva sede presso la [775] Chiesa Canonicale di S. Donato, associata a quella di Roma, aveva per scopo principale siffatta redenzione. Da un libro stampato nel 1679, risulta che da essa eransi riscattati più di 250.000 schiavi, senza noverare quelli che avevano ottenuto un simile beneficio da caritatevoli individui privati e da cinque ospedali fondati a quest'uopo nella città d'Algeri, protetti dai consoli della Repubblica, ai quali una costante carità inviava danaro, medicine, lenzuola, ed altre cose che servivano per cure speciali degli infermi.

                Quindi il sacerdote Nicolò Olivieri, nativo di Voltaggio, s'infiammò di carità all'esempio degli avi, e nel 1838 ideava di fondare la pia opera del riscatto delle fanciulle more. Continui furono i suoi viaggi in Africa alla compra di quelle povere creature e in Europa per ottenere elemosine. I patimenti di ogni genere e la santità della sua vita presentano quadri incantevoli. Moriva a Marsiglia il 25 ottobre 1864, dopo aver riscattate e collocate in molti istituti d'Italia, di Francia, di Germania, 810 morette e un certo numero di morettini. Ed ebbe la consolazione di vedere le sue piccole schiave redente, crescere nelle più sublimi virtù, e molte fare una morte invidiabile. Don Biagio Verri, D. Daniele Comboni, e il Ven. Ludovico da Casoria furono gli intrepidi continuatori della sua missione.

                Questo opuscolo risvegliò tra i nostri l'idea delle missioni, poichè Don Bosco, fin dal principio della fondazione dell'Oratorio, a quando a quando aveva accennato a stabilimenti di sue case in Africa, in America e nell'Asia; e più volte Don Francesco Dalmazzo aveva udito ripetere dalle sue labbra, che i Salesiani presto sarebbero partiti per regioni lontane.

                Nei primi giorni di gennaio il Venerabile ebbe occasione di acquistare alle sue opere una benefattrice, procuratagli da D. Antonio Sala. Ad ogni passo la sua squisita benevolenza gli guadagnava un cuore. La signora stessa descrisse il suo incontro col Servo di Dio. [776] Era l'anno 1870 ed io viaggiava alla volta di Roma in compagnia di due mie nipoti. Da Milano a Torino nel compartimento nostro trovavasi un Sacerdote che, bontà sua, appiccò con noi discorso. Da un parlare in altro si manifestò per un prete dell'Istituto Bosco. Sul momento di far sosta alla stazione di Torino, nel congedarsi ci disse: “Domani, alle nove, le aspetto alla Chiesa dell'Ausiliatrice ad ascoltar messa, dopo di che le presenterò a Don Bosco”. Siccome la fermata nostra a Torino era limitata ad un giorno neppur intiero, l'invito mi seccò quasi, dacchè avrei voluto esser libera da trafficar la giornata a norma dell'itinerario prestabilito. Tuttavolta, per non parer incivile, persuasi le mie nipoti ad assentire quanto alla Messa, la quale tornava a conto a dare buon principio alla giornata. Diffatti al mattino, all'ora posta, fummo in Chiesa, dove il Sacerdote stava aspettandoci, sicchè appena ci scorse andò in sacristia a pararsi. Dopo celebrata la S. Messa, eccocelo ai fianchi, offerendosi conduttore. Confesso avrei rinunziato alla visita, dacchè più mi premeva l'andarmene, di quello che presentarmi a persona verso la quale mi sentiva impacciata. Entriamo in un'anticamera dove già più persone, all'aspetto distinte, stavano in attesa d'essere introdotte. In un baleno la guida s'era dileguata lasciandoci in asso. Volta alle mie nipoti dissi: “Chissà quanto ci converrà aspettare!” Non per anco finito di così esclamare che si apre un uscio e il nostro prete ci fa segno di avanzarci; detto fatto, siamo alla presenza di Don Bosco. L'aspetto venerando e l'impronta di santo che traspariva dal suo volto guadagnò siffattamente i nostri animi che, senz'intesa, piegammo tutte le ginocchia a' suoi piedi. Esso ci fe' sedere e c'intrattenne per un buon quarto d'ora. Siccome l'affabilità sua ci aveva levato di riservo, gli spiegammo il piano del nostro viaggio, sul quale ci presidiò con ottime norme; io teneva un pacco di lettere raccomandatizie, ma esso me ne volle aggiungere una sua, dicendomi che mi sarebbe tornata utile, ci benedisse, e - Entro quindici giorni, disse, sarò anch'io a Roma, chi sa v'abbia a vedere di nuovo.

                Commosse, ci scostammo felici di non aver ripulsato, per inconsiderazione, l'insperato benefizio. Quanto al biglietto, confesso, lo riposi con indifferenza, persuasa di non averlo ad usare.

                Dopo esserci soffermate a Genova, Bologna e Firenze, in capo ad otto giorni entrammo a Roma. L'alloggio era stato accaparrato per noi da un sacerdote ch'era di fresco tornato in patria. Stanca dall'aver viaggiato tutta notte, con un mal di capo che mi faceva desiderare il riposo, prendo la cittadina che ci trasportò alla casa assegnataci. Entro, e la camera era qual ci si addiceva, ma che? l'ingresso era preceduto da un'anticamera occupata da un signore, che obbligava noi donne ad avercelo per sentinella. Diedi un acconto alla locatiera, significandole l'inconveniente di esporre a quel passaggio le mie giovani nepoti, e senza più diedi ordine al vetturale di trasportarci in via [777] Graziosa, presso le Figlie del S. Cuore. Strada facendo pensava: senza tetto dove ricovereremo? Le lettere ch'io teneva erano dirette a Vescovi bergamaschi adunati in Concilio, una per Mons. Cenni in Vaticano, altre ancora a Religiosi e Religiose perchè s'impegnassero a tutt'altri uffizi che di procurarmi alloggio. Pensa, ripensa, mi sovviene del biglietto di Don Bosco. Deposti i bauli e le mie nipoti presso le monache, dico al vetturale di trasportarmi sul Corso, in via dei Caronari. L'indicatomi dal biglietto era un Coronaro del Papa, vero gentiluomo, devotissimo di Don Bosco. Appena seppe della mia bisogna, si diè d'attorno a mezzo d'un suo cognato a far incetta d'una camera. Era l'anno del Concilio Vaticano, e Roma rigurgitava di forestieri. Dopo lungo andirivieni fui allogata in Piazza Barberini nel Palazzo Tenerani. Conduttori della pensione erano due giovani sposi che ospitavano famiglie estere. Trenta giorni durammo a Roma con provvidenza tanto spiccata dell'Angelo che a Torino ci aveva benedette, che ridirne le liete combinazioni mi porterebbe all'infinito. Basti per tutte l'udienza avuta due volte da Pio IX, una privata, l'altra avuta in comune con quattro signore di nostra conoscenza. Le prestazioni poi di quel signore furono, quali ce le aveva pronosticate Don Bosco, utilissime alle escursioni ai vari monumenti di Roma.

 

DALM CLEMENTINA.

 

 

                Anche Don Bosco era risoluto di recarsi a Roma. Il suo cuore e la sua mente erano rivolti al Concilio Vaticano. La infallibilità personale del Papa in materia di fede e di costumi, quando insegna ex cathedra, era una credenza antica e universale quanto la Chiesa stessa: e le suppliche di molti Vescovi e il desiderio del popolo cristiano chiedevano che questa verità fosse definita dommaticamente. Don Bosco aveva sempre tenuto in singolar pregio questa prerogativa del Romano Pontefice, e gioiva di queste manifestazioni di fede, mentre si persuadeva sempre più della necessità di questa definizione. Ma fin da quando usciva la Bolla della Convocazione del Concilio nel 1868, e incominciavano i Vescovi e il popolo cattolico a manifestare i loro voti, era pur incominciato e continuava un fermento ostile tra i nemici della Chiesa. In Francia i giornali cattolici liberali si schierarono decisamente coi Gallicani, coi Giansenisti, contro la definizione dell'infallibilità. Le sciagurate stampe del Janus, del Gratry, di Mons. Maret e del Dupanloup facevano il resto. [778] Lo stesso accadeva in Germania. Il teologo Giovanni Döllinger la combatteva nell'Allgemeine Zeitung e in seguito diffondeva, anche durante il tempo del Concilio e dappertutto, libelli pieni di false, eretiche e calunniose osservazioni. Gli facevano eco giornali, fogli, foglietti, opuscoli e memoriali innumerevoli, che attizzavano il fuoco nell'Allemagna e nella Svizzera con strane novelle. Indegni cattolici, minacciavano di separarsi da Roma.

                Lo stesso accadeva nell'Austria, nell'Ungheria, e in Inghilterra; e l'agitazione, anzichè diminuire, andava ognora crescendo. I politici agitavano le Corti e i Ministeri, temendo riaffermata l'autorità della Chiesa senza dipendenza dallo Stato: e in Vaticano giunse qualche nota della diplomazia.

                Eppure, sebbene prima del Concilio si fosse tanto parlato e anche scritto in difesa dell'Infallibilità, tuttavia il Papa non aveva fatto inserire questo tema negli schemi della costituzione de Ecclesia, ossia negli argomenti che si dovevano trattare dai Padri.

                Ma gli increduli ed i massoni, divorati dall'esasperazione e dall'inquietudine, vedendo che la Chiesa dopo tante persecuzioni si mostrava piena di vita, convocavano a Napoli un Conciliabolo anticattolico, in nome del libero pensiero, per fare una guerra ad oltranza contro il Papa ed il Papato: conciliabolo che risuonava delle più orrende bestemmie. A Bologna Giosuè Carducci stampava un inno a Satana. Tutto il mondo protestante, scismatico, settario, era in rumore, agitato dalle passioni anticristiane.

                Intanto nelle logge massoniche si decretava di usare ogni mezzo per seminare la discordia tra l'episcopato e le società cattoliche, il che in parte riuscì. Don Bosco se ne avvide e fu dolentissimo quando venne a conoscere che varii Vescovi si dichiaravano contrarii all'opportunità di tale definizione. Prima dell'apertura del Concilio era venuto in Piemonte Mons. Dupanloup, Vescovo d'Orlèans, non solo acerrimo sostenitore dell'inopportunità della definizione, ma fors'anche [779] avversario, su questo punto, all'intera dottrina cattolica. Visitò alcuni Vescovi per averli alleati ne' suoi piani di opposizione, e tra essi furono Mons. Sola Vescovo di Nizza, Mons. Losana Vescovo di Biella, Mons. Moreno Vescovo d'Ivrea, Mons. Renaldi Vescovo di Pinerolo, Mons. Gastaldi Vescovo di Saluzzo, Mons. Riccardi di Netro, Arcivescovo di Torino.

                Dal canto suo Don Bosco, con altri Vescovi e prelati e Teologi, sosteneva calorosamente tale opportunità, accennando che la definizione dommatica avrebbe posto termine agli errori del Gallicanismo diffusi in Francia e del Febronianismo in Germania; mentre era necessaria per le missioni e qualora il Sommo Pontefice venisse a trovarsi nelle dolorose strettezze di Pio VII.

                Mons. Gastaldi, Vescovo di Saluzzo, era rimasto dubbioso alle ragioni di Dupanloup che invitavalo ad aumentare il partito di opposizione; e prima di partire per Roma, sceso all'Oratorio, erasi intrattenuto in lunga conversazione con Don Bosco su quell'argomento. Così afferma D. Rua.

                Non senza motivo il Venerabile era dunque in qualche apprensione e perciò pregava e faceva pregare per la Chiesa.

                Anche a Roma non si cessava di discutere dell'infallibilità; e certo egli dovette provare un gran sollievo quando seppe che il 25 dicembre 1869 l'Arcivescovo di Malines aveva avanzata la proposta di definirla articolo di fede. Da quel momento essa divenne il tema più importante del Concilio.

                E il 6 gennaio, festa dell'Epifania, o della manifestazione del Signore, vi fu la seconda Sessione del Concilio, nella quale i Padri, secondo il rito, fecero un dopo l'altro, e pel primo il Sommo Pontefice, la solenne professione di fede. La vigilia di quella memoranda solennità Don Bosco vide in sogno quanto noi qui riportiamo: è lo stesso Servo di Dio che scrisse quanto vide e udì.

                “Dio solo può tutto, conosce tutto, vede tutto. Dio non ha nè passato, nè futuro; ma a Lui ogni cosa è presente come [780] in un punto solo. Davanti a Dio non v'è cosa nascosta, nè presso di lui àvvi distanza di luogo o di persona. Egli solo nella sua infinita misericordia e per la sua gloria può manifestare le cose future agli uomini.

                La vigilia dell'Epifania dell'anno corrente 1870 scomparvero tutti gli oggetti materiali della camera e mi trovai alla considerazione di cose sopranaturali. Fu cosa di brevi istanti, ma si vide molto. Sebbene di forma, di apparenze sensibili, tuttavia non si possono se non con grande difficoltà comunicare ad altri con segni esterni e sensibili. Se ne ha un'idea da quanto segue. Ivi è la parola di Dio accomodata alla parola dell'uomo.

                Dal Sud viene la guerra, dal Nord viene la pace.

                Le leggi di Francia non riconoscono più il Creatore, ed il Creatore si farà conoscere e la visiterà tre volte colla verga del suo furore.

                Nella prima abbatterà la sua superbia, colle sconfitte, col saccheggio e colla strage dei raccolti, degli animali e degli uomini.

                Nella seconda la grande prostituta di Babilonia, quella che i buoni sospirando chiamano il postribolo d'Europa, sarà privata del capo in preda al disordine.

                Parigi... Parigi! ! ... invece di armarti del nome del Signore, ti circondi di case d'immoralità Esse saranno da te stessa distrutte: l'idolo tuo, il Panteon, sarà incenerito, affinchè si avveri che mentita est iniquitas sibi. I tuoi nemici ti metteranno nelle angustie, nella fame, nello spavento, e nell'abbominio delle nazioni. Ma guai a te se non riconoscerai la mano che ti percuote! Voglio punire l'immoralità, l'abbandono, il disprezzo della mia legge, dice il Signore.

                Nella terza cadrai in mano straniera: i tuoi nemici di lontano vedranno i tuoi palagi in fiamme, le tue abitazioni divenute un mucchio di rovine, bagnate dal sangue dei tuoi prodi che non sono più.

                Ma ecco un gran guerriero dal Nord porta uno stendardo,  [781] sulla destra che lo regge sta scritto: Irresistibile mano del Signore. In quell'istante il Venerando Vecchio del Lazio gli andò incontro sventolando una fiaccola ardentissima. Allora lo stendardo si dilatò e di nero che era divenne bianco come la neve. Nel mezzo dello stendardo in caratteri d'oro stava scritto il nome di Chi tutto può.

                Il guerriero coi suoi fece un profondo inchino al Vecchio e si strinsero la mano.

                Ora la voce del Cielo è al Pastore dei pastori. Tu sei nella grande conferenza coi tuoi assessori; ma il nemico del bene non istà un istante in quiete; egli studia e pratica tutte le arti contro di te. Seminerà discordia tra i tuoi assessori; susciterà nemici tra i figli miei. Le potenze del secolo vomiteranno fuoco, e vorrebbero che le parole fossero soffocate nella gola ai custodi della mia legge. Ciò non sarà. Faranno male, male a se stessi. Tu accelera; se non si sciolgono le difficoltà, siano troncate. Se sarai nelle angustie, non arrestarti, ma continua finchè non sia troncato il capo dell'idra dell'errore. Questo colpo farà tremare la terra e l'inferno, ma il mondo sarà assicurato e tutti i buoni esulteranno. Raccogli adunque intorno a te anche solo due assessori, ma ovunque tu vada, continua e termina l'opera che ti fu affidata. I giorni corrono veloci, gli anni tuoi si avanzano al numero stabilito; ma la gran Regina sarà sempre il tuo aiuto, e come nei tempi passati così per l'avvenire sarà sempre magnum et singulare in Ecclesia prasidium.

                Ma tu, Italia, terra di benedizioni, chi ti ha immersa nella desolazione? ... Non dire i nemici; ma gli amici tuoi. Non odi che i tuoi figli domandano il pane della fede e non trovano chi  loro lo spezzi? Che farò? Batterò i pastori, disperderò il gregge, affinchè i sedenti sulla cattedra di Mosè cerchino buoni pascoli e il gregge docilmente ascolti e si nutrisca.

                Ma sopra il gregge e sopra i pastori peserà la mano; la carestia, la pestilenza, la guerra faranno sì che le [782] madri dovranno piangere il sangue dei figli e dei mariti morti in terra nemica.

                E di te, o Roma, che sarà? Roma ingrata, Roma effeminata, Roma superba! Tu sei giunta a tale che non cerchi altro, nè altro ammiri nel tuo Sovrano, se non il lusso, dimenticando che la tua e sua gloria sta sul Golgota. Ora egli è vecchio, cadente, inerme, spogliato; tuttavia colla schiava parola fa tremare tutto il mondo.

                Roma! ... io verrò quattro volte a te!

                Nella 1ª percuoterò le tue terre e gli abitanti di esse.

                Nella 2ª porterò la strage e lo sterminio fino alle tue mura. Non apri ancor l'occhio?

                Verrò la terza, abbatterò le difese e i difensori ed al comando del Padre sottentrerà il regno del terrore, dello spavento e della desolazione.

                Ma i miei savii fuggono, la mia legge è tuttora calpestata, perciò farò la quarta visita. Guai a te se la mia legge sarà ancora un nome vano per te! Succederanno prevaricazioni nei dotti e negli ignoranti. Il tuo sangue ed il sangue dei figli tuoi laveranno le macchie che tu fai alla legge del tuo Dio.

                La guerra, la peste, la fame sono i flagelli con cui sarà percossa la superbia e la malizia degli uomini. Dove sono, o ricchi, le vostre magnificenze, le vostre ville, i vostri palagi? Sono divenute la spazzatura delle piazze e delle strade!

                Ma voi, o sacerdoti, perchè non correte a piangere tra il vestibolo e l'altare, invocando la sospensione dei flagelli? Perchè non prendete lo scudo della fede e non andate sopra i tetti, nelle case, nelle vie, nelle piazze, in ogni luogo anche inaccessibile, a portare il seme della mia parola? Ignorate che questa è la terribile spada a due tagli che abbatte i miei nemici e che rompe le ire di Dio e degli uomini?

                Queste cose dovranno inesorabilmente venire l'una dopo l'altra.

                Le cose succedonsi troppo lentamente.

                Ma l'Augusta Regina del cielo è presente. [783]

                La potenza del Signore è nelle sue mani; disperde come nebbia i suoi nemici. Riveste il Venerando Vecchio di tutti i suoi antichi abiti.

                Succederà ancora un violento uragano.

                L'iniquità è consumata, il peccato avrà fine e, prima che trascorrano, due plenilunii del mese dei fiori, l'iride di pace comparirà sulla terra.

                Il gran Ministro vedrà la sposa del suo Re vestita a festa.

                In tutto il mondo apparirà un sole così luminoso quale non fu mai dalle fiamme del Cenacolo fino ad oggi, nè più si vedrà fino all'ultimo dei giorni”.

                Don Bosco fece trarre copia di questo scritto da Don Giulio Barberis e fu quella che portò con sè a Roma.

                Altra copia ne fece trascrivere, qualche settimana dopo, da D. Gioachino Berto, il quale notò in una sua memoria: Don Bosco mi comunicò in iscritto una profezia che incominciava con questi termini precisi: Dio può tutto, conosce tutto, ecc., raccomandandomi il più stretto segreto e di non palesare ad alcuno chi ne fosse l'autore. Fra le altre cose riguardava la guerra tra la Francia e la Prussia, nonchè le condizioni della Chiesa e la desolazione che sovrastava all'Italia, come spiegò a me che interrogavalo a questo riguardo. Ei me ne fece fare una copia per mandare in Roma a qualche Prelato

                La Civiltà Cattolica, anno vigesimo terzo, vol. VI, serie ottava, anno 1872, a pagina 299 e 303, accenna al suddetto vaticinio e ne riferisce letteralmente alcuni periodi, preceduti da un'autorevole sua testimonianza: “Ci piace ricordare un recentissimo (vaticinio) non mai stampato ed ignoto al pubblico, che da una città dell'alta Italia fu comunicato ad un personaggio in Roma ai 12 febbraio del 1870. Noi ignoriamo da chi provenga. Ma possiamo certificare che lo abbiamo avuto nelle mani, prima che Parigi fosse bombardata dagli Alemanni ed incendiata dai comunisti. E diremo che ci die' meraviglia il vedervi prenunziata la caduta pure di Roma, allorchè davvero non si giudicava prossima nè probabile”. [784] Noi abbiamo varie copie di questa profezia. La più autorevole è un manoscritto di D. Berto. Reca in fronte la nota: Venne comunicata il 12 febbraio 1870 al S. Padre; in margine ha varie postille autografe del Venerabile, e in fine alcuni Schiarimenti, evidentemente scritti o dettati in antecedenza e poi di nuovo riveduti dal Venerabile. Le postille e gli schiarimenti dilucidavano e determinavano gli avvenimenti predetti, i quali, come vedremo, in gran parte avvennero poco dopo, e in parte, almeno fino ad oggi, non si sarebbero verificati. Questi, secondo Don Bosco, pareva che fossero per verificarsi intorno al 1874 “Purchè - sono sue parole autografe - nuove iniquità non vengano ad opporsi ai divini voleri”. È da notarsi che in seguito, interrogato circa il compimento dei medesimi, il Venerabile rispose chiaramente che forse non si sarebbero più verificati, poichè il Signore, nella sua misericordia, talvolta suole accennare agli uomini semplicemente la via che potrebbero prendere in questa o quella circostanza per uscire da qualche difficoltà, e nulla più; quindi, ove non si seguano le direttive tracciate, è chiaro che non può nemmeno avverarsi ciò che venne indicato[38].

                Don Bosco preparava intanto il seguente Stato della Pia Società Salesiana da presentare al Sommo Pontefice.

 

 

STATO RELIGIOSO - MATERIALE DELLA SOCIETÀ

DI S. FRANCESCO DI SALES SUL PRINCIPIO DELL'ANNO 1870.

 

                Questa Società, sul principio dell'anno 1870, ha l'amministrazione di quattro case di educazione della gioventù:

                1° Di S. Francesco di Sales in Valdocco - Torino. [785]

                2° Di S. Carlo col nome di piccolo Seminario in Mirabello.

                3° Di S. Filippo Neri col nome di collegio - convitto in Lanzo.

                4° Collegio convitto della Madonna del popolo nella città di Cherasco.

                Si aggiunge la casa sanitaria di Trofarello.

 

Casa di S. Francesco di Sales.

 

                Questa è casa principale e cominciò come segue:

                1841 - Si dà principio al Catechismo ad una schiera di giovanetti poveri ed abbandonati il giorno dell'Immacolata Concezione di Maria.

                1843 - Il numero degli allievi cresce in modo maraviglioso.

                1844 - Con autorizzazione di S. E. Mons. Luigi Fransoni, anche nel giorno dell'Immacolata Concezione, si benedice la prima chiesetta esclusivamente per l'istruzione religiosa della gioventù.

                1846 - Cominciano le scuole serali e domenicali pei più grandicelli con buon risultato. Sul finire dello stesso anno alcuni ragazzi più poveri e pericolanti sono ricoverati e così ha principio l'Ospizio di carità.

                1847 - Il numero dei giovani crescendo fuori misura, con autorizzazione del Superiore Ecclesiastico, nel giorno sacro a Maria Immacolata si benedice e si apre la chiesa, scuola e cortile, sotto il nome di Oratorio di S. Luigi a Porta Nuova.

                1849 - Altro Oratorio, come sopra, si apre vicino al Po, sotto il titolo del Santo Angelo Custode.

                1851 - Si dà mano e si compie la costruzione regolare di una chiesa sotto il titolo di S. Francesco di Sales.

                1852 - Già prima il Superiore Ecclesiastico aveva concesse varie particolari facoltà. In quest'anno, con decreto 31 marzo, approva l'opera degli Oratori, costituisce direttore capo il Sacerdote Giovanni Bosco, concedendogli tutte le facoltà necessarie od opportune per questa istituzione.

                1853 - 57 - In questo quinquennio aumenta oltre ogni credere il numero dei giovanetti tanto negli Oratorii quanto negli Ospizii. - Si organizzano le scuole ginnasiali e parecchi giovanetti sono avviati allo stato ecclesiastico.

                1858 - L'Arcivescovo di Torino, dopo aver più volte consigliato una Congregazione, manda il Sacerdote Bosco con sua lettera commendatizia a. Roma, affinchè chiegga al glorioso regnante Pio IX consiglio, norma, per una congregazione che valga a conservare lo spirito e l'esistenza degli Oratorii. Il Santo Padre dà il piano di una congregazione, i cui individui in faccia alla Chiesa siano veri religiosi, in faccia alla civile società siano altrettanti liberi cittadini.

                1863 - Formolate e messe in pratica le costituzioni per una società religiosa, colle commendatizie di molti vescovi sono umiliate al Santo Padre che si degna trasmetterle all'autorevole Congregazione [786] dei Vescovi e Regolari. - In questo medesimo anno si intraprende la direzione dell'Oratorio di S. Giuseppe nella parrocchia di San Pietro e Paolo.

                1864 - La sempre benemerita Congregazione sopra mentovata con decreto 1° luglio espone che con speciale bontà il Santo Padre loda la Congregazione Salesiana, ne stabilisce il Sacerdote Bosco superiore a vita, sebbene si stabilisca che il successore debba soltanto durare dodici anni in ufficio.

                1868 - Il Vescovo di Casale approva la Società di S. Francesco come congregazione diocesana, e concede al Superiore della medesima molte facoltà spirituali.

                1869 - Colla commendatizia di 24 Vescovi le costituzioni con alcune modificazioni sono di nuovo presentate alla Sacra Congregazione dei Vescovi e regolari. Con decreto 1° marzo la Congregazione è definitivamente approvata colla facoltà limitata di dare le dimissorie per gli ordinandi. I giovani attualmente ricoverati nella casa di Valdocco sono ottocento circa; di cui oltre la metà sono istruiti ed educati per lo stato ecclesiastico. Quelli che frequentano gli Oratori nei giorni festivi sono circa tremila. La casa, il sito, la chiesa col rispettivo suppellettile, appartengono alla Società Salesiana, rappresentata nella persona del Rettor maggiore.

 

Piccolo Seminario di Mirabello.

 

                È un Collegio - convitto dove si fanno scuole elementari e ginnasiali. Lo scopo si è di coltivare giovanetti da avviarsi allo stato ecclesiastico. È detto Piccolo Seminario Vescovile, perchè nell'insegnamento, disciplina, e religiosa istruzione, dipende dal Vescovo di Casale, nella cui diocesi esiste.

                Questa casa cominciò nel 1863; presentemente tiene accolti circa 200 allievi; è di proprietà della Società, come la casa di Torino.

                Il Vescovo di Casale con decreto 13 gennaio 1868 approvava questa casa come Congregazione diocesana, e con altro decreto 4 aprile dello stesso anno concedeva molte facoltà riguardanti alla direzione ed amministrazione della medesima.

                Essa è stabilita casa di provazione per quelli che aspirano alla Congregazione Salesiana.

 

Collegio - Convitto di S. Filippo Neri.

 

                Questa casa è situata in Lanzo, paese della Diocesi di Torino. Fu aperta nel 1864 a fine di poter secondare incessanti dimande di giovanetti che non potevano essere accolti nelle altre case. Vi sono gli studi elementari e ginnasiali come a Mirabello. Il numero degli allievi interni è di 150, altrettanti esterni, totale 300. [787]

 

Collegio della Madonna del Popolo.

 

                Questa casa fu aperta nella città di Cherasco nell'ottobre 1869. Vi è annessa anche una piccola parrocchia dello stesso nome. Finora non vi è nè capitolo, nè alcuna cosa conchiusa. L'amministrazione e direzione è provvisoria, fino a tanto che se ne abbia autorizzazione della Santa Sede, a norma della supplica umiliata al Santo Padre, sul fine dello scorso settembre l869. La città di Cherasco appartiene alla Diocesi di Alba.

                Ogni cosa fu sempre diretta e consigliata dal Vescovo di quella diocesi, che si può dire piuttosto il padre di tutti che il superiore.

                I giovanetti interni sono per ora 60: gli esterni 400.

 

Casa di Trofarello.

 

                La casa di Trofarello, diocesi di Torino, è specialmente destinata a fare gli esercizii spirituali che ogni anno in tempo di vacanze si tengono regolarmente per tutti quelli della Società. Serve anche a sollievo di coloro che sono convalescenti, o di sanità cagionevole, oppure hanno bisogno di quiete per applicarsi a studii o a lavori alquanto gravi.

 

Membri della Società Salesiana.

 

                I membri che attualmente compongono la Società Salesiana sono cento e ventiquattro, di cui professi N. 60. Ammessi alla prova, ovvero in noviziato N. 42. Postulanti N. 22.

 

Condizioni finanziarie.

 

                Questa Società non ha alcun reddito fisso. I ricoverati nella casa di Valdocco vivono di sola beneficenza. Nelle altre case àvvi una piccola pensione. Parecchi però sono gratuiti, o semigratuiti. L'amministrazione tanto delle Chiese, quanto delle Case, non è aggravata da alcun debito, ad eccezione dei debiti riguardanti alle opere in costruzione. Ivi si può calcolare che la spesa è pareggiata da alcuni crediti che sono in corso di esazione.

 

Condizioni morali.

 

                Grazie alla bontà del Signore, lo stato morale di questa Congregazione è soddisfacente, le regole sono osservate e lo spirito di pietà finora corrisponde all'aspettazione. In media si può dire che due terzi degli studenti domandano di abbracciare lo stato ecclesiastico.

                Vi sono altre venticinque domande per apertura di nuove case. Ma il personale basta per le case ora esistenti e non di più.

                Forse nel prossimo ottobre vi saranno gli individui per aprire un [788] altra casa nella città di Alassio, diocesi di Albenga. Ivi appare assai grave il bisogno. Le autorità civili ed ecclesiastiche concorrono in pieno accordo.

 

Opere Particolari.

 

                Secondo lo scopo della Congregazione, i Sacerdoti si prestano, per quanto è possibile, alla predicazione di esercizii spirituali, tridui, novene e a supplire ai Parroci in caso di necessità.

                La stampa delle Letture Cattoliche. Questa pubblicazione benedetta dal S. Padre progredì prosperamente. Corre l'anno diciottesimo, e in media si diffusero ogni mese non meno di dodici mila libretti di cento e otto pagine caduno.

                La Biblioteca dei Classici Italiani, purgati per uso della gioventù. Corre il 21 anno ed il numero degli associati fa sperare assai bene.

                Si somministra il servizio religioso a tre case di povere giovani pericolanti, che escono di prigione; a quella detta Laboratorio di S. Giuseppe, che ha per oggetto di raccogliere giovanette lungo la settimana per lavorare, il giorno festivo per le pratiche religiose; a quella detta di San Pio V, che è ricovero ed anche Radunanza festiva per le ragazze più pericolanti della città.

                Qualunque osservazione o consiglio che l'autorevole Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari giudicasse di dare a maggior gloria di Dio, si avrebbe come un gran tesoro per tutti i socii della Congregazione di S. Francesco di Sales.

 

Riassunto.

 

                Membri della Congregazione N. 124

                Allievi interni accolti nelle quattro case della Congregazione N. 1210.

                Giovani esterni che frequentano le scuole o gli Oratorii festivi N. 3500 circa.

                Totale dei giovanetti dalla Divina Provvidenza affidati ai Socii della Congregazione Salesiana sono 4710.

 

                Ciò che premeva a Don Bosco si era pure far conoscere all'Autorità Ecclesiastica Diocesana che anche i suoi chierici, iscritti al corso di Filosofia, studiavano. L'anno prima gli esaminatori avevano trattato con molta severità quelli dell'Oratorio, e questi si erano naturalmente lamentati; ma agli esami semestrali Don Bosco non volle che si ritirassero da prova novella. In verità il testo adottato in Seminario e in altre diocesi era di una filosofia vaporosa, non scevra di qualche [789] errore, ma bisognava studiarlo, poichè su quello i Professori li avrebbero interrogati.

                Don Bosco scriveva adunque al Canonico Vogliotti, Rettore del Seminario e Provicario dell'Archidiocesi.

 

 

                               Ill.mo e Molto Reverendo sig. Rettore,

 

                Il giorno prima che S. E. Rev.ma il nostro Arcivescovo partisse per Roma gli ho dimandato il permesso che alcuni chierici, specialmente appartenenti alla Congregazione di S. Francesco di Sales, potessero prendere l'esame cogli altri in Seminario.

                Ho eziandio notato che il sig. Vicario Generale pel passato non aveva giudicato di concederlo senza regolare dimissoria del proprio Vescovo con qualche altra condizione.

                S. E. benignamente rispondeva che se si trattasse di dispensare da esami, avrebbe meglio ponderati i motivi della dimanda, ma che trattandosi solamente di ammettere agli esami, non vedeva niuna difficoltà, e che si fossero pertanto presentati al tempo fissato, e che in appresso si sarebbe poi stabilita una regola da tenersi al riguardo.

                Se pertanto non havvi difficoltà da parte di S. V. Ill.ma, sabato io manderò anche quei sette filosofi che in quest'anno studiarono qui in casa, sotto alla direzione del T. Bracco coadiuvato da altri di questa casa.

                Voglia gradire i sentimenti della continua mia gratitudine, con cui ho l'onore di potermi professare

                Di V. S. Ill.ma e M. Rev.da,

Obbl.mo Servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

 

CAPO LXII. Perchè Don Bosco è sempre sprovvisto di tutto - Parte per Firenze - Suo biglietto a D. Rua scritto dal treno - Induce due sposi, suoi compagni di viaggio, uniti solo civilmente, a presentarsi all'Arcivescovo di Bologna - Altro suo biglietto a D. Rua da Firenze - A Roma prende alloggio presso Mons. Manacorda - Sua visita al Card. Quaglia e all'Arcivescovo di Torino - S'informa a qual punto siano le cose del Concilio riguardo all'infallibilità - Disposizioni di animo dei Vescovi: la grande maggioranza giudica opportuna la definizione dogmatica: la minoranza è di parere contrario - La Congregazione dei Postulati raccomanda al Papa l'accettazione delle suppliche della maggioranza - Don Bosco sostenitore dell'Infallibilità Pontificia - Persuade Mons. Gastaldi a farsi campione dell'opportunità di proclamare l'Infallibilità Pontificia articolo di fede - Lettera di Don Bosco a D. Rua: chiede due opere di Mons. Gastaldi: Letture Cattoliche per il Papa, e musica per due Cardinali - Vescovi Piemontesi che sostengono essere inopportuna la proclamazione di quel dogma - Colloquio di Don Bosco con un Monsignore su questo argomento - Disputa col Can. Audisio - Ricordo di Mons. Scalabrini - Perchè il Papa va alle funzioni in sedia gestatoria.

 

                FINALMENTE Don Bosco erasi deciso di partire per recare al Papa la voce del cielo al Pastore dei pastori; e all'ultima ora si vide sprovvisto di ogni cosa, e si dovette correre per la casa in cerca del bisognevole. [791] Egli, infatti, quando i benefattori gli donavano vesti, calze, fazzoletti, camicie o altra biancheria, tutto comandava che fosse messo in comune nella casa, non volendo ritenere per sè alcun oggetto. Don Berto desiderava custodirgli in camera ciò che era più necessario, almeno per cambiarsi, per non andarne in cerca nella guardaroba comune.

                 - Oh no! esclamava Don Bosco: non sapete che se io ritengo questi oggetti per me, il Signore non me ne manda più? Ho sempre visto che se io do via tutto, subito dopo la Provvidenza mi provvede di nuovo e continuamente. E allora ce n'è per me e per gli altri.

                Il 20 gennaio, adunque, Don Bosco si recò alla ferrovia senza compagno e, giunto alla stazione, scriveva colla matita un biglietto a D. Rua:

 

 

                               Carissimo Don Rua,

 

                Mandami a Firenze un pezzo di carta del Dottore Lissone di Cherasco.

                Coll'occasione anche i quaderni di Storia Ecclesiastica, che Berto ha terminati.

                Berto conservi la brutta copia di quanto trascrive.

                Pregate, Dio vi benedica tutti.

Aff.mo Sac. Bosco Giov.

 

                Mentre il treno correva sulla linea ferrata verso Bologna, a un punto salirono nello scompartimento, ove era Don Bosco, due giovani sposi, accompagnati da un vecchio con altre persone. Appena essi videro il prete, fecero atto come se si fossero incontrati in cosa di cattivo augurio, e restarono confusi e indecisi se dovessero ivi prender posto. Tuttavia salirono. Alla fisonomia non parevano gente sfacciata e nemica dei preti.

                Don Bosco disse loro senz'altro.

                 - Si accomodino, non si turbino per questo incontro. Veggo che sono novelli sposi. Il prete adunque non deve disagiarli colla sua presenza. Egli rappresenta il Sacramento che hanno ricevuto poc'anzi. Auguro loro anch'io tutte le benedizioni [792] che possono desiderare. Si sono presentati poche ore fa a un prete, ed eccoli in compagnia d'un altro prete.

                Quelle persone si guardarono in faccia alquanto sbalordite, ma non apparivano più ripugnanti di trovarsi con quel compagno di viaggio.

                Don Bosco continuò:

                 - Io sono ben persuaso che saranno andati in Chiesa a stringere il loro matrimonio, non è vero?

                Nessuno rispose; ma l'uno diceva sottovoce all'altro:

                 - Rispondi tu; di' tu.

                Quel vecchietto prese alfine la parola:

                 - Ma, dica, è poi davvero necessario andare in Chiesa? Quando si va innanzi al Sindaco non basta?

                 - Il matrimonio non è un Sacramento? Tocca al Sindaco o alla Chiesa amministrare i Sacramenti?

                 - Già ... non ci avevamo pensato... pareva che bastasse l'uffiziale civile.

                 - Capiscono bene che non basta.

                 - E ora come facciamo?

                 - Si va dal parroco, e si aggiusta ogni cosa.

                 - Ma... nel parroco non abbiamo confidenza.

                 - Ebbene, andate dal vostro Vescovo o dal Vicario Generale, ed ogni difficoltà sarà appianata.

                Gli sposi parlavano frattanto fra di loro, se fosse conveniente tornare a dirittura indietro e fare ciò che Don Bosco aveva loro suggerito. Erano persone colle quali si poteva ragionare. E lo sposo disse a Don Bosco:

                 - E se arrivati a Bologna ci presentassimo a quel vescovo? !

                 - Sia pure: ma vadano subito, appena arrivati, vadano in Arcivescovado, e poi facciano tutto ciò che loro si dirà.

                 - Faremo come ci consiglia, esclamarono i due sposi.

                Così restarono d'accordo. Il Venerabile colla soave franchezza delle sue parole trovava sempre il modo di fare del bene a quanti lo avvicinavano anche per un momento. [793]

                Giunto a Firenze vi restò alcuni giorni. Di là mandava un altro biglietto all'Oratorio.

 

 

                               Carissimo D. Rua,

 

                Altro pacco. Berto veda dove può collocare il foglietto. Ho ricevute le carte inviate. Sono al momento della partenza. Ti scriverò da Roma. Preghiamo e speriamo. Dio ci benedica tutti e credetemi

                24 del 1870,

Aff.mo

Sac. Giov. Bosco.

 

                La società italiana per le strade ferrate meridionali aveva concesso a lui, e a un suo compagno, un biglietto gratuito di prima classe per tutta la rete, valevole dal 1° gennaio al 31 dicembre 1870. Il biglietto aveva la firma del Direttore generale Bona.

                Don Bosco risaliva in treno e, giunto a Roma la sera del 24, prese alloggio con Mons. Manacorda che abitava in via della Pedacchia ai piedi del Campidoglio, dalla signora Rosa Mercurelli, coronaia.

                Colle stesse parole di Don Bosco, proferite nell'adunanza dei Salesiani il 9 marzo, colle sue lettere spedite da Roma a quelli dell'Oratorio, colla testimonianza giurata di persone autorevoli, noi diremo che ciò egli fece in Roma.

                “Appena fui a Roma, egli raccontò, la prima cosa che feci fu di presentarmi subito al Cardinale Quaglia a far il rendiconto della Società, che si fa ogni tre anni. In questo rendiconto si espone l'incremento o la diminuzione della Società, gli acquisti e le perdite materiali, i lavori, le case aperte di nuovo, lo stato morale dei soci ed il loro stato scientifico. Il detto Cardinale restò estremamente sorpreso all'udire gli straordinarii incrementi e il buon avviamento della Società, ed esclamò: - Oh! se questa Società seguiterà per cinquanta anni di questo passo, i suoi membri sorpasseranno i 2000. Io allora risposi scherzando: - Oh! sì, Eminenza, se dopo cinquant'anni Ella vorrà questo calcolo, io Le presenterò il numero degli associati. [794]

                - Allora, nè io nè voi, rispose il Cardinale, non saremo più a far questi calcoli. - Lodò in seguito, con segni di molta compiacenza, la Società e ne stese una minuta relazione che presentò poi al S. Padre”.

                Fatta anche una visita doverosa all'Arcivescovo di Torino dal quale fu accolto con ogni urbanità, però non scevra da un po' di freddezza, osservò subito come andassero le cose del Concilio. Vide che alla proposta dell'Arcivescovo di Malines - che l'infallibilità del Papa fosse definita domma - i Vescovi Belgi e cento altri avevano presentata la propria adesione. La maggior parte dei Padri bramavano la definizione.

                Nel Concilio però si erano formate due correnti, quella cioè della maggioranza e quella della così detta minoranza, che si limitava a combattere l'opportunità della definizione. Cinquanta Vescovi Francesi la promovevano; la avversavano quasi venticinque, ma i loro popoli e il Clero la desideravano con morale unanimità, e con vive istanze in favore disapprovavano il contengo dei riluttanti, recando loro non lievi disturbi.

                Mons. Dupanloup che aveva estesa la sua influenza sospetta fino all'Oriente, sviluppava un'attività incredibile per impedire la definizione, ed era in frequente corrispondenza epistolare col Döllinger; e informava minutamente i nemici del Concilio a Parigi di quanto accadeva nell'eterna città. Mons. Darboy, primo duce della minoranza, pregava l'Imperatore Napoleone a voler intervenire contro il Concilio, in favore del suo partito.

                I Vescovi tedeschi e austriaci, benchè della minoranza, come richiedeva il loro dovere ammonirono con lettere pastorali il loro clero e popolo che allontanandosi da ogni agitazione promossa dai dissidenti e dagli eretici contro il Concilio, ne aspettassero con tutta fiducia i decreti, sicuri che lo Spirito Santo non avrebbe mai abbandonata la sua Chiesa. Facevano però eccezione Mons. Aynal, vescovo di Kalocsa e [795] Mons. Strossmayer, Vescovo di Diakovar, che aderivano ai più risoluti dei Vescovi Francesi della minoranza.

                E intanto il Cardinale Rauscher aveva redatto una supplica al Santo Padre contro la definizione, che fu sottoscritta da Vescovi tedeschi, austriaci ed ungheresi; e un'altra nella stesso senso venne concertata da francesi, una terza dai NordAmericani, una quarta da Orientali, e una quinta da parecchi Vescovi dell'alta Italia. Fra tutti figuravano sottoscritti cento trentasei nomi e nelle suppliche si accennavano le varie difficoltà e l'inopportunità della definizione secondo il loro avviso. Il Cardinale Schwarzenberg fece pervenire le cinque petizioni con una lettera d'accompagnamento, non già al Papa, ma alla Congregazione dei postulati.

                Questa, ricevute tali suppliche, ad unanimità, eccetto lo stesso Rauscher, risolse, il 9 di febbraio, di raccomandare a Pio IX l'accettazione delle petizioni per la definizione dommatica, sottoscritte da oltre quattrocento Padri. I Monsignori Marming e Senestrey erano stati di una operosità instancabile per preparare e attuare la definizione.

                Dallo stesso zelo era acceso Don Bosco. Aveva risoluto di star ritirato più che poteva per evitare ogni dimostrazione di affetto e di riverenza da parte de' suoi amici: di non accettare inviti per visite a comunità o per predicazioni; di scusarsi, per quanto poteva, di recarsi a benedire gli ammalati. Egli, diceva aver tutto ciò per veri disturbi in circostanze, nelle quali erano tutti occupati nelle cose del Concilio. Suggerivagli quel riserbo eziandio l'interesse della Chiesa Cattolica, volendo adoperare la sua attività pel trionfo di un domma che era voluto dal Signore.

                Appena giunto in Roma, egli aveva appreso da Mons. Manacorda come il Sommo Pontefice avesse manifestato il suo dispiacere perchè Mons. Gastaldi si fosse dichiarato favorevole alle opinioni di Dupanloup, specialmente riguardo all'inopportunità della definizione. Il Vescovo di Orlèans aveva esposto al Vescovo di Saluzzo, facile alle forti impressioni, le dolorose [796] conseguenze religiose e politiche, che, secondo lui, sarebbero infallantemente sorte da tale definizione. Perciò dicevasi in Roma che Mons. Gastaldi preparasse una memoria per combatterne l'opportunità.

                Don Bosco, senza por tempo in mezzo, fu a visitarlo per dissuaderlo dal fare un tal passo, ragionò a lungo con lui sul non mettere incagli ai disegni di Dio, gli fece notare che certe paure gli sembravano esagerate, che non era più il tempo d'indietreggiare e di tacere, trattandosi di una verità fondamentale, negata e bestemmiata dagli empi del mondo intero, e che le conseguenze della definizione dovevano lasciarsi in mano a Dio.

                Monsignore, il quale era pieno di zelo e di pietà profonda, e nutriva somma venerazione ed amore per Don Bosco, fu così soddisfatto e convinto da quelle ragioni, che gli disse:

                 - Fin d'oggi mi accingo a trattare la cosa sotto questo aspetto e preparerò una memoria in difesa dell'infallibilità personale del Papa e sull'opportunità della definizione dommatica.

                 - Prepari su quest'argomento, soggiunse Don Bosco, un vero discorso che dirà in pieno Concilio. Io l'assicuro che farà cosa graditissima al Papa e che le acquisterà grande onore al cospetto di tutta la Chiesa.

                I confidenti si avvidero di questo improvviso cambiamento di pensiero di Mons. Gastaldi, e fu per loro come un colpo di fulmine a ciel sereno. Nessuno aveva penetrato il suo colloquio con Don Bosco.

                Mons. Gastaldi fu a trovare egli stesso il Servo di Dio, e i colloqui si ripeterono, anzi Don Bosco, dietro domanda di Monsignore, gli procurò opere teologiche trattanti profondamente la questione, e segnò di sua mano i luoghi di maggiore importanza, perchè li consultasse. Così attestavano il Canonico Anfossi e D. Giovanni Turchi.

                Non pago di ciò, Don Bosco volle far conoscere pure [797] in Roma il buono spirito del suo vecchio amico. Scriveva a D. Rua.

 

 

                               Carissimo D. Rua,

 

                Ho ricevuto in Roma la lettera scrittami a Firenze. Fa' coraggio a Sala; io lo raccomando al Signore.

                Manda a Mons. Gastaldi copie 100 del suo libretto Il Curato d'Ars e 100 dell'altro intitolato Dell'autorità del Romano Pontefice e mandale a lui stesso, alla Canonica del Vaticano.

                Parla con D. Savio e poi scrivimi se è meglio che io porti quel po' di danaro, che ho qui, pei bisogni della casa; oppure fare un consolidato pontificio che possa servire pel sostentamento dell'Ospizio che speriamo di aprire nel futuro ottobre.

                Per oggi non posso scrivere di più, ma scriverò più a lungo quanto prima. Dio ci benedica. Pregate. Finora le cose della Casa vanno bene.

                Sospiro i libri pel Papa e la musica pel Cardinale Antonelli e il Card. Berardi.

                Vale in Domino et vale die.

 

                Roma, 27 - 1870.

Aff.mo in G. C.

Sac. Giov. Bosco.

 

                P.S. - I saluti cordialissimi di Emiliano Manacorda.

 

                Fu questo il primo atto di Don Bosco desideroso di cooperare, per quanto stava in lui, al glorioso avvenimento. Egli non ebbe, benchè minima, alcuna parte diretta nelle cose del Concilio; pure, per mezzo delle numerose sue aderenze tra i Padri e i Teologi, influì molto contro le opinioni erronee di alcuni. Per tutto il tempo che stette a Roma, egli lavorò a disporre gli animi di parecchi della minoranza ad appoggiare la definizione dommatica.

                Testifica Mons. Giovanni Anfossi: “Ho udito da Mons. Losana, Vescovo di Biella, che in que' giorni Don Bosco non aveva requie per ottenere questo trionfo del Pontificato Romano”. “Ebbe la consolazione, depose Don Rua, di togliere colle sue ragioni, parecchi Vescovi, che vennero a visitarlo, dalle titubanze in cui si trovavano su tale controversia e di dissuaderli dell'opposizione che si preparavano a fare. Citerò [798] fra gli altri Monsignor Galletti Vescovo d'Alba e Mons. Gastaldi Vescovo di Saluzzo, che da quel punto divennero caldi difensori dell'Infallibilità Pontificia”. Anche Don Francesco Dalmazzo rese di ciò testimonianza giurata concludendo: “Le suddette cose le udii più volte ripetere dal Cardinale D'Avanzo, col quale spesso mi intratteneva a Roma”.

                Cosa ardua era convincere alcuni Vescovi subalpini che appartenevano al partito della minoranza.

                Alcuni, che vedevano di mal occhio le istituzioni di Don Bosco, rimasero fermi nelle loro idee, e il Santo Padre Pio IX ebbe a dire in quell'anno al Venerabile:

                 - Consolatevi: gli avversarii vostri sono anche gli avversarii miei! Questa è per me una prova di più che l'opera vostra è opera di Dio.

                Anche Mons. Sola, Vescovo di Nizza, non volle rinunziare alle proprie opinioni; e quando venne proposto lo schema dell'infallibilità, l'oppugnò apertamente producendo penosa impressione nell'assemblea. Anzi destò grave tumulto, quando a provare l'autorità del suo asserto, finì per esclamare: - Io sono teologo laureato nella celebre Università di Torino.

                 - E ciò fa contro di voi! - rispose il Cardinale Capalti; indicando che l'insegnamento di detta Università era sospetto.

                Il Venerabile adunque era sempre là, ove poteva dire una buona parola sulla grande questione del giorno. Teneva conferenze or coll'uno ora coll'altro dei prelati, e colle prove più semplici e convincenti dimostrava indiscutibile la sostanza della tesi e l'opportunità della sua definizione solenne. La questione dell'opportunità gli pareva ridicola; poichè dal momento che il Papa aveva proposta quella definizione e il Concilio l'aveva accettata, era certamente opportuna; perocchè a chi spettava decidere dell'opportunità era precisamente il Papa medesimo.

                 - Quanto alla sostanza, diceva a qualche Vescovo che per gli studi fatti aveva su ciò qualche pregiudizio, il non voler credere l'infallibilità è un'aperta contraddizione colla [799] realtà dei fatti; i Suoi parroci e i preti tutti la insegnano dal pulpito, nel Seminario e nelle scuole; tutto il popolo la crede come se fosse già definita, e non gli cade neppure in mente che su ciò possa farsi questione.

                E soggiungeva:

                 - Il Signore ha dato l'infallibilità alla sua Chiesa; resta solo a vedere dove questa risieda. Ogni vescovo è per certo fallibile, quindi non nei singoli si ha da cercare questo dono; e se ciascuno è fallibile, anche radunati tutti insieme i Vescovi non potranno diventare infallibili pel solo fatto di essersi radunati. Che cosa li rende adunque infallibili, e dà loro ciò che non hanno? È l'essere collegati col Papa! ... In nomine meo! ... Dunque la fonte dell'infallibilità risiede nel Papa. Ora da un corpo si possono amputare certe membra senza che succeda la morte: ma il capo non può essere tolto; spiccato questo, manca subito la vita.

                 - Oh! vi sono tante obiezioni, esclamò un giorno un Monsignore: varii Papi par che abbiano sbagliato.

                 - Errori degli storici! esclamò Don Bosco: e confutò ciascun fatto in particolare, indicando vari teologi e prelati, atti a chiarir meglio la questione.

                Mons. Audisio, Canonico di San Pietro in Vaticano, e già preside dell'Accademia di Superga, era capo di un nucleo che oppugnava l'infallibilità personale del Papa, o pretendeva limitarla. Quando seppe che da alcuni de' suoi e da parecchi Vescovi, anche stranieri, si faceva capo a Don Bosco e quasi tutti ne partivano con altre idee, cioè decisi a sostenere non solo la tesi dell'infallibilità, ma anche quella dell'opportunità della definizione dommatica, se l'ebbe a male, e un giorno si recò egli pure alla Pedacchia.

                Essendo Don Bosco impegnato in varie udienze con ragguardevoli persone, per due volte non potè riceverlo. Ritornò la terza volta, deciso di parlargli a qualunque costo. Dopo aver aspettato a lungo, finalmente venne introdotto.

                Il colloquio durò più di due ore. Mons. Audisio stimava il [800] Venerabile per le sue cognizioni storiche, lo temeva Come avversario e impegnò una vera disputa. Dopo qualche tempo furono ammessi al colloquio anche altri dotti personaggi venuti anch'essi per trattare della grande questione con Don Bosco, e l'Audisio lo attaccò direttamente alla loro presenza sull'infallibilità e su Papa Onorio I, chiedendogli se questi non avesse errato nella questione del monoteismo; se le due lettere da lui scritte al Patriarca Sergio di Costantinopoli non fossero esitanti nel combattere la nuova eresia, o tali almeno da non far riconoscere in lui il Maestro di verità. E domandava a Don Bosco, se in questo caso fosse vero che la sua opinione lo persuaderebbe ad essergli favorevole.

                Don Bosco avrebbe potuto rinfacciargli la sua poco buona fede. Aveva sul tavolino un'opera stampata in Roma nel 1865 col titolo: Storia Religiosa e civile dei Papi Per Guglielmo Audisio, canonico di S. Pietro in Vaticano e Professore di Diritto Razionale delle Genti all'Università della Sapienza.

                Al volume 2°, a pag. 292 e 494, l'Audisio aveva difesa la condotta d'Onorio dalle calunnie dei settarii provando quel Pontefice: 1° non essere colpevole del silenzio o della sospensione del giudizio; 2° Essere integerrimo nella dottrina, e concludeva che, morendo, Onorio “lasciava fama di grande e intemerato pastore, nel culto e nei sacri edifizii splendido e munificentissimo; e la sua prudenza sì calunniata verso i monoteliti aver spento per allora lo scisma di Grado e dell'Istria”.

                Don Bosco avrebbe potuto presentar subito quel libro all'autore per tutta risposta, ma non volle offenderlo con una così brusca confutazione. Si schermì tuttavia dal rispondere, adducendo la sua poco scienza a petto della grande erudizione di un tanto maestro.

                L'Audisio replicò l'interrogazione chiedendo una risposta. I presenti erano Padre Perrone, Mons. Galletti e qualche altro Vescovo, e Don Bosco ripetè che non toccava a lui di parlare fra così dotti cultori della storia. L'Audisio allora entrò a parlare direttamente contro l'infallibilità personale [801] del Papa. Parlava con eloquenza: trattava con tale padronanza la storia, i punti controversi, il pro' e il contro, facendosi egli stesso le domande e le risposte, che era una meraviglia l'udirlo.

                Il Venerabile lo lasciò dire per un'ora senza interromperlo. L'Audisio erasi acceso nella questione e si vedeva che molto spirito di parte guidava le sue parole.

                Quando ebbe finito, Don Bosco lodò la sua erudizione, si scusò di non poter tener dietro a tutti i punti esposti, replicò di non aver fatto studi profondi in proposito, e soggiunse:

                 - Giacchè si tratta di una questione di tanta importanza non debbo limitarmi a ragioni e prove mie. Ho qui con me un'autorità, alla quale Ella pure certamente non potrà contradire. È un'opera di un autore dotto, pio, coscienzioso, e, se vuole, gliene leggerò una pagina che dilucida bene la questione. Io sono pienamente d'accordo con questo esimio scrittore, che ha scritto egregiamente, e non è ignoto a V. S.

                 - Che dice? e di quale autore intende parlare? Io non condivido opinioni contrarie alle mie.

                 - Quand'ella sappia di chi si tratta, non potrà fare a meno di accondiscendere e quietarsi.

                 - Ciò non può essere; ma vediamo chi sia questo autore e quali siano le sue prove.

                E Don Bosco, con graziosa lentezza, preso un volume e, tenendone celato il frontispizio, disse: - Qui in poche parole sono portate delle ragioni solidissime per sostenere l'infallibilità del Pontefice, e l'autore è di tale autorità, che non può desiderarsi maggiore. - E si mise a leggere.

                Forse il Venerabile lesse pure questo passo che riguarda S. Leone il Grande.

 

                “Nulla abbiamo della sua vita privata, ma egli ha dipinto sè stesso nei suoi sermoni e nelle sue lettere. L'umiltà dell'uomo; l'altezza del grado, che gli fa reggere gli agnelli e i pastori della greggia di Dio, colla vicaria autorità di Gesù Cristo: ecco il concetto della sua niente, e la forma del suo reggimento. Quindi la divina costituzione e,  [802] della Chiesa per cui i fedeli aderiscono ai sacerdoti, i sacerdoti ai vescovi, i vescovi a Pietro che vive e governa nei suoi successori, e Pietro a Cristo, Cristo che fra tutti eleggeva Pietro, pregava per lui affinchè non venisse meno giammai la sua fede, ut non deficiat fides tua, e lo costituiva confermatore cioè definitore della stessa fede agli Apostoli suoi fratelli, confirma fratres tuos; acciocchè sopra i vescovi posti dallo Spirito Santo a reggere le parti della Chiesa, Pietro dall'alto reggesse tutto il corpo, cioè i popoli ed i pastori, e per lui si comunicasse all'universale edificio della Chiesa la solidità del fondamento che è Pietro, ossia la pietra non mai vincibile a tutto l'inferno, portae inferi non praevalebunt: tale è l'argomento che Leone tratteggia con nitida eloquenza negli anniversari della sua consacrazione, richiamando a sè il debito della vigilanza, ed a' suoi uditori il debito dell'ubbidienza, quale rendesi a Pietro ed a Cristo nei successori. “Dunque (egli argomenta) l'instituzione divina sussiste, e San Pietro colla solidità della pietra, non ha abbandonato il timone della Chiesa”. E tosto: “Impertanto se ordiniamo o facciamo qualche cosa di bene, o la ottenghiamo da Dio colle nostre preghiere, ciò è merito e virtù di colui, la cui podestà vive, e risplende l'autorità: cuius in sede sua vivit potestas et excellit auctoritas. E Pietro conseguiva tanta dignità, per quella confessione, che, ispirata da Dio, slanciava sopra l'incertezza delle umane opinioni, e acquistava la solidità della pietra invincibile. Tutti i giorni Pietro ripete nella Chiesa universale queste parole: Tu sei Cristo, Figlio del Dio vivente; e ogni lingua che confessa il Signore obbedisce a questa voce. Questa è la fede che trionfa del demonio, e rompe ogni catena: essa vince il mondo, apre il cielo, nè le porte dell'inferno prevarranno contro di essa”. E volgendo il discorso agli uditori: “Per tal guisa, o dilettissimi, si celebra con ragionevole ossequio l'odierna solennità, vedendo voi, e onorando nella mia umile persona colui nel quale persevera la sollecitudine di tutti i Pastori, e la cura di tutte le greggie, e la cui dignità non viene meno nell'indegno successore: cuius etiam dignitas in indigno haerede non deficit (serm. II et III).” Conforme a questi pensieri fu tutto il governo di S. Leone, nelle sue immense relazioni coi vescovi, coi concilii, cogli imperatori”.

 

                Mons. Audisio sulle prime stette ascoltando attentamente, ma ad un tratto cercò di strappare il libro dalle mani di Don Bosco. Si era accorto di essere caduto in un grazioso tranello. Don Bosco continuò a dire: - Osservi pagina tale, capo tale... e veda se ho letto bene! - E presentavagli La storia civile e religiosa dei Papi, scritta dal medesimo Mons. Audisio.

                 - Basta, basta, esclamò ridendo Monsignore; là... là... lasciamo stare. [803]

                 - Perchè? Non è forse un autore stimatissimo ed autorevole?

                 - Me l'ha fatta grossa. Ella adopera argomenti ai quali non si può rispondere. Ma le faccio notare che non divido più alcune idee quivi propugnate: quanto all'infallibilità, ora la penso diversamente.

                 - Non importa, soggiunse Don Bosco, ma qui le ragioni sono espresse bene.

                 - Ma come è possibile, continuò Mons. Audisio, che Don Bosco in mezzo a tanti affari abbia vedute anche queste mie pagine?

                 - Ho sempre tra le mani i suoi libri e li tengo come libri di testo... Ma, come ella vede, nei suoi scritti ella si mostra di sentimenti molto diversi da quelli espressi ora.

                 - Altro, replicò Audisio, è scrivere pel pubblico, ed altro sono le opinioni private... - E così finiva quella disputa, non senza però una certa stizza mal celata in lui, e viva soddisfazione negli altri.

                In que' giorni si avvicinò a Don Bosco anche Mons. Scalabrini. Questi asserì che egli si presentò al Venerabile perchè leggesse un suo scritto sull'infallibilità del Sommo Pontefice; e Don Bosco dopo averlo letto, l'approvò, consigliando Monsignore a darlo alle stampe; e di lui ricordossi quando si trattò della nomina di nuovi Vescovi, e lo propose alla sede di Piacenza.

                Tanto concorso alla Pedacchia cessò nella festa della Purificazione di Maria SS. Tutti i Padri del Concilio eransi recati nella Basilica Vaticana per assistere alla benedizione delle candele e alla Messa Pontificale. Vi andò pure Don Bosco.

                Ed ecco apparire il Papa in sedia gestatoria. Mentre il Servo di Dio era assorto in quello spettacolo, udì un inglese protestante, che gli era vicino, borbottare indignato:

                 - Vergogna! ... Ecco una prova di più che i cattolici prestano adorazione al Papa! È una vera idolatria!  [804] Il Venerabile si volse e, col suo bel garbo, con tutta semplicità gli rispose:

                 - Perdoni! Se il Papa non lo portassero così, nè io, nè lei, in mezzo a tanta moltitudine, potremmo vederlo...

                L'inglese alla dolce parola del Venerabile si calmò, riflettè, e concluse:

                 - È vero... Anche questa è una ragione.

 

 

CAPO LXIII. Don Bosco non perde di vista gli alunni delle sue case - Scrive a D. Rua ciò che vi ha di bene o di male nell'Oratorio: narra che assistè agli ultimi istanti del Gran Duca di Toscana: proibisce ogni festa al suo ritorno in Torino; ha ricevuti i libri pel Santo Padre: dà alcune disposizioni per la festa di San Francesco: unisce un biglietto coi nomi dei giovani pericolosi - Biglietto di visita del parroco dei XII Apostoli in Roma - Prima udienza concessa dal Papa a Don Bosco: presentazione del Danaro di S. Pietro: omaggio dell'intera collezione delle Letture Cattoliche e dei primi volumi della Biblioteca della gioventù: Il Papa dice che gli oppositori di Don Bosco sono quelli che ora si oppongono a lui, e propone al Servo di Dio di dar principio a un corso di Storia Ecclesiastica - Lapide nella chiesa di Mornese che ricorda questa udienza - Lettera di Don Bosco a Don Rua: Fu dal Santo Padre: notizie consolanti: lavori ottenuti: egli prepara danari per l'acquisto di una casa in Roma - Seconda udienza: il Papa dice a Don Bosco essersi parlato della Pia Società Salesiana nel Concilio: altri lavori concessi: consigli per gli alunni: Pio IX offre a Don. Bosco la chiesa di S. Giovanni della Pigna - Lettera di Don Bosco a Don Bonetti: L'udienza affettuosa di Pio IX e i favori spirituali concessi: dolore per la morte del padre di D. Provera; si facciano star allegri gli alunni: lo invita a Torino: la contessa Callori è inferma a Roma Lettera a D. Francesia - Don Bosco continua a interessarsi [806] delle cose del Concilio in servizio del Papa - Visita la Chiesa e gli edifizii di S. Giovanni della Pigna - Terza udienza: Don Bosco accetta la chiesa offertagli dal Papa: di Papa Onorio I: Don Bosco espone al Papa quella parte della visione che lo riguarda: il Papa invita Don Bosco a prendere stanza in Ronza - Don Bosco scrive a Don Rua delle accoglienze che gli fece il S. Padre: Prega pel riposo di una benefattrice defunta; dà nuove disposizioni per la festa di S. Francesco - Discordie tra i figli della Chiesa - Le Potenze europee sono trattenute provvidenzialmente dal recare disturbo al Concilio.

 

                STUDIAVASI Don Bosco di cooperare efficacemente al bene della Chiesa universale, ma non perdeva d'occhio i suoi alunni. Egli, benchè lontano, vedeva i loro diportamenti; e talora ne dava avviso al Superiore di una casa, se scopriva qualche cosa riprovevole. Ne è prova una lettera da lui scritta nei primi giorni di febbraio. Una parte era diretta ai giovani dell'Oratorio e Don Rua la lesse una sera all'intera comunità., omettendo la postilla:

 

 

                               Carissimo D. Rua,

 

                Sebbene qui in Roma io non mi occupi unicamente delle cose nostre e de' nostri giovani, tuttavia il mio pensiero vola sempre dove ho il mio tesoro in Gesù Cristo, i miei cari figli dell'Oratorio. Più volte al giorno vo loro a far visita. Ora vedo D. Cagliero attorniato da una schiera di giovanetti che si confessano; altri che si accostano alla Santa Comunione; altri che pregano con fervore; altri che pensano a Don Bosco, altri in trastulli coi compagni. Ne vedo poi un bel numero che lungo il giorno vanno a fare la visita al SS. Sacramento e questa per me è la massima delle consolazioni.

                Ma con grande amarezza dell'animo mio ho vedute cose che farebbero orrore a tutti, se si potessero affidare alla carta. Dirò soltanto che fra i molti buoni che vidi, eranvi alcuni che avevano forma di maiale, sulla cui fronte stava scritto: quorum Deus venter est. In altri era scritto: Jumentis insipientibus comparatus est. E ciascuno operava secondo queste iscrizioni.

                Ma quello che mi ha in modo particolare occupato furono tanti, sulla cui lingua stava come innestato una fragrante rosa, oppure un [807] candido giglio, e di costoro il numero era grande. Ma ohimè! In mezzo a quelle consolanti vedute un giorno osservai, non uno, ma molti tra studenti ed artigiani, che tenevano in bocca un mostruoso serpente, il quale tramandava bava immonda e veleno mortale. Mi son messo a gridare contro costoro, ma essi fuggirono e non mi ascoltarono. Dovrò nominarli? Mi limito di darne alcuni in nota a Don Rua per vedere se può bastare ancora qualche avviso. Costoro avevano in fronte: Corrumpunt bonos mores colloquia mala.

                Ma lasciamo cose tristi, passiamo ad altro. Venerdì passato sono stato chiamato ad assistere il Gran Duca di Toscana Leopoldo. Era agli estremi della vita; mi conobbe ancora; disse più cose; fra le altre: Perdono di buon cuore ai miei nemici ed invoco sopra di loro la misericordia del Signore. L'assistei dalle 10 alle 12 ½, quando in presenza di sua moglie, del Duca di Parma, del Re di Napoli e molti altri personaggi che pregavano e piangevano, mandò l'ultimo respiro, in età di anni 73. Gli onori, le persone, le grandezze non valsero ad allungargli di un sol momento la vita. Con sè portò soltanto quel po' di bene o di male che ha operato in vita sua, come dice S. Paolo.

                Giovani miei cari, ricordiamoci che in punto di morte raccoglieremo quanto avremo seminato nella vita.

                Ad altro.

                Quando Don Bosco sarà fra voi? Se a Dio piacerà io partirò di qui alla sera del 21 corrente e alla sera del 25 sarò in mezzo di voi, per essere tutto di voi. Mi raccomando però che non cerchiate di farmi alcuna festa. La festa più grande per me si è vedervi tutti in buona sanità e con buona condotta. Io procurerò di farvi stare allegri. La domenica seguente al mio arrivo spero che faremo un gran festino in onore di S. Francesco di Sales. Fatemi adunque una festa la più cara che io possa desiderare, cioè che tutti facciate in quel giorno la vostra Santa Comunione Quando voi fate feste di questo genere, il resto è più niente. Dio vi benedica tutti e vi conceda di vivere lunghi anni di vita felice col prezioso dono della perseveranza nel bene.

Aff.mo in G. G.

Sac. Giov. Bosco.

 

                P. S. - Ho ricevuto in buono stato i libri pel S. Padre. Spero di poterli presentare al più presto. Pensa con D. Durando e fa' come giudichi meglio. Consegna a lui la lettera ivi acchiusa. Va' da parte mia a pregare il signor Marchese di Margone perchè accetti di essere priore della nostra festa e me ne darai tosto avviso.

                M.... M..., B.... P..., M..., ed alcuni altri sono nel numero di quelli che hanno venerum aspidis super linguas eorum.

                Ho ricevuto anche il quaderno di Berto col Catalogo dei socii. Tutto bene. Molte cose per noi in corso assai bene avviate. Continuate preghiere. Vale et valedic.

                Chi sa che una parte delle lettere non possa averle per lunedì?  [808] Un biglietto di visita con data del 23 maggio 1875 ci conferma un periodo di questa lettera:

                P. Antonio Bonelli Parroco dei SS. XII apostoli e Procuratore generale dei Min. Conv. - riverisce Don Bosco, da esso conosciuto nell'occasione della morte del Gran Duca di Toscana Leopoldo II, quando Don Bosco fu ad assisterlo.

                Il Gran Duca era morto dopo la mezzanotte dal 28 al 29 gennaio.

                Don Bosco in que' giorni non aveva ancor visto il Papa e delle due prime udienze avute ben presto, egli fece questa narrazione in Torino ai confratelli radunati in conferenza:

                “Avere un'udienza dal S. Padre era cosa molto difficile in questo tempo, essendovi ancora più di due terzi de' Vescovi che non erano stati ammessi. Il S. Padre però aveva letto, certo con suo incomodo, la mia relazione sullo stato della nostra Pia Società e ne aveva provato molto piacere. Io intanto, senza domandare di essere a lui presentato, stava attendendo, quando lo stesso Santo Padre fecemi avvertire che mi voleva a sè nel giorno 8 febbraio. La mia udienza era fissata per le 9 e ½ del mattino, ma non sono entrato che ai 3/4

                Per prima cosa presentai al Pontefice un biglietto di 1000 franchi pel danaro di S. Pietro. Il Papa lo accettò, e:

                - Oh! questa è maravigliosa! disse, che voi, il quale avete sempre la borsa vuota, portiate denari a me, che ho pur sempre lo scrigno vuoto. Voi vi chiamate Giovanni, ed io mi chiamo anche Giovanni: sarebbe bene che ci chiamassimo ambidue Francesco, chè saremmo davvero due Francescani.

                Avevo anche fatta portare con me una collezione, ovvero una copia di tutti i fascicoli delle Letture Cattoliche ed una copia dei pochi volumi già usciti della Biblioteca della gioventù italiana. Io glieli ho presentati dicendo: - Ecco, S. Padre, questi sono gli sforzi che fanno i vostri figli della Società di S. Francesco.

                - Che libri sono, chiese il S. Padre?

                - Ecco, ripresi io, queste sono Letture Cattoliche che si [809] pubblicano da diciassette anni ed hanno per iscopo la diffusione di libri buoni e la distruzione dei libri cattivi.

                - Oh, sia lodato il Signore, esclamò il Santo Padre, che vi abbia inspirato un'opera così santa. - Quindi guardava quei libri, che magnificamente legati accrescevano la sua meraviglia. Egli prese fra mani più volumi delle Letture Cattoliche, ne lesse con grande compiacenza parecchi brani, e parea non potersi saziare di osservarli. Prese poi fra mano alcuni volumi della Biblioteca, e svolgendo quei fogli ripurgati da certe immoralità ne fu contentissimo, e: - Bravo esclamò, così si vede che la vostra non è solo una Congregazione di nome, ma anche di fatti. - Svolse molti fogli della Divina Commedia, e lodandone il chiosatore volle sapere chi fosse. Io gli dissi essere quel Sacerdote che tre anni fa era meco a Roma, cioè D. Francesia, ed Egli se ne accertò leggendone il nome nel medesimo libro. Rivoltosi poi a me: So, mi disse, che voi l'anno scorso avete avuti nemici ed oppositori, voi li avete superati; io vi ammiro e vi lodo; poichè quelli che l'anno passato erano vostri nemici, quest'anno sono contumaci alle voci del Pontefice. Conosco da questo che la vostra è opera santa, e la loro diabolica.

                Dopo di ciò interruppe il discorso intorno alla Società, e parlò di altro che non è mestiere il dirlo. Mi ripetè alcune delle principali obiezioni che certi scrittori credono di poter ricavare dalla Storia Ecclesiastica intorno all'infallibilità del Papa. Mi interrogò ed io risposi il meglio che potei. Da una obiezione passò ad un'altra, e, sentitane la breve risposta, senza soggiungere altro:

                - Voi avete molto da fare, non è vero? - mi disse.

                - Grazie a Dio, il lavoro non manca, risposi.

                - Non vi sarebbe possibile, soggiunse Egli, dar principio ad un corso di Storia Ecclesiastica, in cui fosse svolto lo spirito che avete manifestato nel risponder a queste obiezioni, che sono il verme della storia? Osservate però, che questo non è un comando, chè io nè posso nè voglio comandarvi [810] questo. Ma se un mio consiglio può aver il suo effetto, io ve lo raccomando con tutto il cuore.

                - Se Vostra Santità desidera questo, risposi, guarderò, coll'aiuto de' miei congregati, di aggiustare e modificare alcune cose che abbiamo fra mano, prima che vadano alle stampe e procureremo, in quanto possiamo, di mettere in pratica il Vostro consiglio.

                Parlò in seguito anche della Società Salesiana. Ma restandogli ancora molte cose a dirmi, mi invitò ad un'altra udienza per la stessa sera. Io m'inginocchiai, chiesi la benedizione, la ebbi e partii. Egli volle tenere sul suo scrittoio tutti i fascicoli delle Letture Cattoliche e della Biblioteca, e per tutto quel giorno a quelli che andavano all'udienza faceva vedere quei libri, ne leggeva qualche brano, ne lodava lo scopo, ne promoveva la lettura, sempre lodando gli iniziatori di sì bell'opera.

                Volendoli poi ritirare, chiamò il suo domestico, e: Prendiamo, gli disse, questi libri e li riporremo in questi scaffali, ben aggiustati. - Il domestico incominciò a prenderli; ma siccome la quantità era piuttosto grande, una parte li prese lo stesso Sommo Pontefice, che, facendo falda della sua veste, salì con quell'incomodo su per uno scalotto a mano, ed al domestico che insisteva che lasciasse a lui quella fatica (poichè non aveva mai veduto il Papa prender parte a tal opera): - In casa mia comando io! - disse il Papa. E li ripose un per uno, in detti scaffali, colla massima diligenza. Sceso a terra, li guardò e riguardò, e salì di nuovo per aggiustarli meglio, in modo che fossero ben in vista; tanta era la compiacenza che provava. Ciò seppi dal domestico stesso”.

                Alla sera Don Bosco ritornava in Vaticano, e così egli narrò della seconda udienza:

                “Pio IX mi parlò molto della nostra Società. Mi disse che nel Concilio un Vescovo aveva parlato a lungo della necessità che c'è in questi tempi di una Società religiosa, i cui membri fossero legati in faccia alla Chiesa, ed in faccia al civile fossero [811] liberi cittadini. Tutti approvarono ed applaudirono. Che un altro Vescovo (il Vescovo di Parma) s'alzò a parlare e soggiunse: - Io godo di potervi partecipare che questa Società già esiste, e molto fiorente, e dessa è quella dei Salesiani. - Allora vi furono degli applausi; e fu tosto incaricato un altro Vescovo (quel di Mondovì) di darne una minuta, esatta relazione.

                Io gli domandai qualche favore spirituale per noi, per tutti i giovani e per gl'insigni benefattori delle nostre Case. Me li concedette col più grande piacere. Quindi i giovani, ogni volta che faranno la S. Comunione, lucreranno l'indulgenza plenaria, e così anche i benefattori della Casa. I sacerdoti la guadagneranno tutte le volte che celebreranno la S. Messa. Concesse poi al Superiore della Società la facoltà di dare a' suoi sudditi licenza di leggere libri proibiti, di dar la benedizione papale agli infermi, e di benedire corone e medaglie. Quanto alla facoltà di dare la benedizione papale agli infermi e benedir corone e medaglie fin d'ora la comunico a tutti i Sacerdoti; quanto al permesso di legger libri proibiti, mi riservo di concederlo secondo il caso ed il bisogno.

                Io gli domandai qualche ricordo per tutti i miei giovani, ed Egli:

                - Guardino, disse, di metter in pratica tutto quello che dicono i loro Vescovi nelle circolari.

                - Ma, insistetti, qualche ricordo speciale che io possa lasciare a nome di Vostra Santità...

                - Dite ai vostri figli, soggiunse, che procurino solo di perseverare in quei principii ne' quali cominciarono, e poi stiano certi della volontà del Signore.

                - La ringrazio, S. Padre, gli dissi io, e son contento che, dicendoci Ella di perseverare, non ha niente da rimproverarci. Noi faremo tutti gli sforzi possibili per perseverare e procureremo di lavorar sempre per la maggior gloria di, Dio.

                - Voi, se volete che la vostra Congregazione vada [812] bene e fiorisca ognor più, andate molto a rilento nell'accettare individui e siate molto facile nel concedere l'uscita; così saranno più pochi, ma di buona volontà, il che è meglio che non un gran numero di malcontenti.

                Troncando quindi questo discorso: - Ebbene, disse, quella casa dell'anno scorso qui a Roma è poi andata a monte! Ma quest'anno io voglio che ne mettiate una e ci penserò io a procurarvela. Avete veduto la chiesa di S. Giovanni della Pigna?

                - No, Santità, risposi.

                - Ebbene andatela a vedere, poi tornerete a dire se vi garba ...”.

                Tornato dall'udienza, il Venerabile passò buona parte della notte a scriver lettere. Avendo ottenuta un'indulgenza per tutta la popolazione di Mornese mandò la cara notizia a D. Pestarino, e di tanto favore fa testimonianza una lapide nella Chiesa parrocchiale di quel paese, dove si legge questa iscrizione:

                D. O. M. - Quando - l'immortal Pontefice - Pio Nono - ai voti alle preci - dell'esimio Sacerdote Torinese Don Giovanni Bosco - con breve 8 febbraio 1870 - concedeva - ai Parrocchiani di Mornese - i viventi - quotidiana plenaria indulgenza - comunicandosi - il Clero ed il Popolo - con voto - unanime riconoscente - a spese comuni - questo monumento - posero.

                Don Bosco scriveva pure a Torino.

 

 

                               Carissimo Don Rua,

 

                Finora non ho ricevuto la musica; se non fate presto, io non potrò più presentarla. Mandami entro il più breve spazio di tempo il nome di battesimo del Commendatore Dupraz.

                Oggi sono stato dal Santo Padre. Migliore accoglienza non poteva farmi. Non posso scrivere tutto; ma partecipa ai membri della nostra Congregazione che abbiamo gravi motivi di rallegrarci nel Signore. Ma continuate a pregare; al mio ritorno racconterò tutto.

                Intanto incomincia a partecipare a tutti i giovani della Casa che [813] per l'avvenire ogni volta che si accosteranno alla Santa Comunione possono lucrare indulgenza plenaria.

                Per te facoltà di leggere e di ritenere qualsiasi libro proibito; benedire corone e crocifissi; benedizione papale agli ammalati.

                Del denaro che ho qui, ne faccio un consolidato di franchi 100 al mese per la futura casa di Roma. Il rimanente lo porto a casa meco.

                Mio caro Don Rua, fatti coraggio, abbi cura della sanità; al tempo prescritto sarò teco a dividere le fatiche.

                Monsignor Manacorda manda a te e a tutti i nostri giovani affettuosi saluti.

                Dio vi benedica tutti e a tutti conceda il dono della perseveranza nel bene. Pregate per me che sono sempre

 

                Roma, 8 febbraio 1870,

Aff.mo in G. C.

Sac. Giov. Bosco.

 

                P. S. - Fa' i miei saluti al mio amico Goffi, cui raccomando il buon ordine della Casa. Va' a dire a Madama Giusiana e sua sorella, a madama Gilardi e famiglia, dam. Bonvicino e a casa Fassati, che ho domandato per loro una speciale benedizione del S. Padre.

 

                Al direttore del piccolo Seminario di Mirabello scriveva:

 

 

                               Carissimo Don Bonetti,

 

                Vengo in questo momento dal S. Padre che mi accolse con tale benevolenza che descrivere non potrei. Parlò molto delle cose nostre e di Mirabello. Intanto siete voi i primi, o miei cari Mirabellesi, a ricevere la speciale benedizione apostolica. Sebbene abbia molte cose a dirvi, cose di molta importanza, cominciate da questa.

                Il Santo Padre in data di oggi concede indulgenza plenaria a tutti i giovani, superiori e benefattori dei collegio di S. Carlo, compresa tutta la famiglia Provera, indulgenza plenaria tutte le volte che si accosteranno alla santa comunione, per tutta la vita. Si noti soltanto che è una rinnovazione di quanto concedette nel 1867 agli attuali giovani e benefattori. Il resto lo dirò quando mi recherò costà per fare una gran festa. E ciò sarà, spero, nel principio della quaresima.

                Ho ricevuto con vivo rincrescimento la notizia della morte del nostro amatissimo Provera padre. Dio ce lo volle togliere in tempo che non avremmo pensato. Sia fatta la santa Sua Volontà. Procura di consolare la famiglia, fa' visita alla madre, dicendole che io prego per lei e pel defunto.

                Ti raccomando di far stare allegri i tuoi giovinetti e affinchè facciano un evviva a Don Bosco, procura di darne loro l'occasione con un festino a pranzo. Ma fa' loro notare che io li voglio tutti sani, robusti,  [814] allegri, e che si chiuda l'infermeria e si spalanchino le porte del refettorio.

                Per S. Francesco di Sales desidererei che venissi tu con D. Cerruti, affinchè possiamo discorrere delle cose nostre.

                La Contessa Callori è malata da ieri; credo non sia gran cosa: pregate anche per lei.

                Dio benedica tutti; pregate per me che con paterno affetto mi offro,

                Roma, 9 febbraio 1870,

Aff.mo in G. G.

Sac. Giov. Bosco.

 

                P. S. - Se non succede grave ostacolo, partirò da Roma la sera del 21 corrente. Fa' speciali saluti al mio amico Giulio.

 

                Una terza lettera spediva il buon Padre al Direttore del Collegio di Cherasco.

 

 

                               Carissimo D. Francesia,

 

                Ieri sono stato dal S. Padre e tu ne hai avuta buona parte. Accoglienza la più cordiale. Gradì con viva soddisfazione un'offerta della collezione delle Letture Cattoliche e della Biblioteca.

                Lesse qualche tratto di Dante e richiamò alla memoria il buon Don Francesia, parole testuali, che ne fece le note e di cui aveva già udito a parlare favorevolmente. Parlò assai della casa di Mirabello, dei giovani e della parrocchia di Cherasco, degli interni ed esterni. Mi diede carico di partecipare che egli vi ama assai, vi benedice e concede la plenaria indulgenza a tutti quei giovani interni o esterni, che attualmente fanno parte del collegio, parrocchia o scuole di Cherasco, per ogni volta che si accostano alla santa comunione, per tutto il corso della loro vita.

                Mi diede poi una stupenda medaglia d'oro che spero far vedere a te e a' tuoi giovani nella seconda settimana di quaresima quando, Deo dante, spero di andarvi a fare una visita. Per te poi: 1° facoltà di leggere e ritenere qualsiasi libro vietato; 2° benedire medaglie e crocifissi; 3° benedizione papale coll'indulgenza plenaria agli infermi.

                Sono poi molte e gravi cose che riguardano al bene della nostra Congregazione, che non istimo di confidare alla carta.

                Alla festa di S. Francesco di Sales ci verrai tu con quei preti che potranno esimersi dal collegio e allora ci potremo parlare.

                Dirai a D. Provera che io ho molto pregato e fatto pregare pel caro padre defunto; e mentre ho provato molto rincrescimento per la perdita mi sono molto consolato al pensiero che egli sia già al possesso della gloria celeste donde ci protegge e ci attende. È come il fumo il [815] tempo che deve passare prima che lo andiamo a raggiungere, spero, nella patria dei beati.

                Desidero che i tuoi giovani stiano allegri il giorno seguente a queste notizie; affinchè possano di cuore gridare: Evviva Don Bosco, procura di dar loro qualche cosa a mensa, che metta la loquela in movimento.

                Mons. Manacorda, Cont. Calderari, casa Vitelleschi, Madre Galleffi, Villarios, Rosa Mercurelli, e molti altri ti salutano. Partirò il 21 corrente.

                Dio vi benedica tutti e vi conceda sanità stabile e lunghi anni di vita felice col prezioso dono della perseveranza nel bene. Saluta in modo particolare quelli della Società; ma di' che continuino a far speciali preghiere perchè possano condursi a buon termine le cose che ho tra mano.

                Pregate poi in modo particolare per me che vi sarò sempre

 

                Roma, 9 - 2 - 1870,

Aff.mo amico in G. G.

Sac. Giov. Bosco.

 

                P. S. - Saluta Camparini e Cerrato Luigi.

 

                A questo punto noi vorremmo rilevare la gaia amabilità paterna di Don Bosco, e la sua perseverante attività nel trarne profitto. Vi sono in queste lettere dei rilievi e delle frasi, che, leggendole, in noi crescono anche ora l'amore che portiamo a Don Bosco: pensate come dovessero riuscire efficaci nel cuore di quelli cui erano indirizzate.

                Notiamo anche come Don Bosco nel raccontare ai Salesiani la prima udienza avuta dal Papa disse questa frase: Pio IX parlò di altro che non è mestieri il dirlo e come il Papa avesse voluto il secondo colloquio con lui, avendo ancora molte cose a dirgli. Di queste non fece alcun cenno. Erano cose importantissime che riguardavano il Concilio. Quali delicati incarichi gli avrà mai affidato il Vicario di Gesù Cristo, che noi non conosciamo? Sta il fatto che egli continuava a cercar di convincere alcuni della minoranza sulla necessità della definizione dommatica dell'infallibilità pontificia, e si recava ad assistere alle sedute di varie congregazioni particolari e riferiva al Pontefice ciò che credeva conveniente o necessario. Così lavorava indefessamente per una causa, alla quale [816] aveva consacrata tutta la sua vita: la gloria del Papato e della Chiesa. Il Papa ne era soddisfattissimo.

                Risorgevano dunque le speranze di aprire una casa salesiana in Roma. Il Venerabile fece parola della proposta avuta dal S. Padre per la Chiesa di S. Giovanni della Pigna coll'Eminentissimo Cardinale Quaglia, e ne ebbe incoraggiamento. Anzi con uno degli addetti alla sovraintendenza delle proprietà del Vaticano si recò a vedere la chiesa proposta e trovò una magnifica chiesa, piccola sì, ma bella, con cinque altari di marmo e un bell'organo nuovo. Presso la chiesa era una casa e visitò anche questa: e gli parve che essa potesse comodamente dare alloggio a quindici persone. Gli si fece anche vedere un altro edifizio un po' discosto, assai più grande, appartenente alla Chiesa stessa, che, appigionato, rendeva seimila franchi all'anno.

                Compiuta la visita tornò dal Santo Padre il 12 febbraio; e gli disse:

                 - Santità, ho poi veduto la casa e la chiesa.

                 - Bene, rispose il Santo Padre; se le volete, sono per voi.

                 - Ringrazio tanto Vostra Santità, ed accetto.

                Quindi Pio IX si aperse con lui e gli manifestò progetti e deliberazioni confidenziali, riguardo al Concilio. Don Bosco, sorridendo, lo interruppe:

                 - Santo Padre, e il segreto?

                 - Io non son tenuto al segreto, gli rispose il Pontefice sorridendo egli pure.

                E, fattosi serio, continuò: - Sento purtroppo che alcuni non solamente combattono l'opportunità della definizione, ma mettono in dubbio o negano la stessa infallibilità.

                 - Hanno, osservò Don Bosco, per cavallo di battaglia Onorio I.

                 - E voi? - l'interrogò il Papa che si compiaceva di sentirlo parlare - voi che cosa rispondete?

                 - Io penso e dico ciò che pensarono e dissero tutti gli autori più accreditati, i quali difendono Papa Onorio con ragioni validissime, e salvano così anche l'infallibilità. Nelle [817] due lettere al Patriarca Sergio nulla definì come Capo della Chiesa. In queste non errò neppure come dottore privato, perchè il senso naturale delle sue parole, prese nel loro contesto, è cattolico. San Massimo rende testimonianza della sua santità ed ortodossia. S. Giovanni Damasceno, combattendo i fautori del monetelismo, non nominò mai Papa Onorio. Questo Papa temporeggiò nel combattere la novella eresia, perchè forse non ne conosceva ancora tutta la malizia. Un grave autore lo chiama cunctator e dice che, se mancò, mancò di diligenza e null'altro. Io però ritengo che se cunctavit, se temporeggiò, egli l'abbia fatto per prudenza, e siccome si può temporeggiare senza mancare, così penso che Papa Onorio non abbia commesso neppure peccato veniale.

                 - Sta bene! È così! - ripose Pio IX; e dopo un po' di silenzio, guardando con insistenza il Servo di Dio: - E voi avete qualche cosa da comunicarmi in particolare, riguardo alla Chiesa e alle circostanze presenti?

                Il Venerabile giudicò esser giunto il momento di parlare al Papa del sogno, o visione avuta il 5 gennaio, del quale aveva messo in iscritto pure un riassunto: e umilmente rispose:

                 - Santità; se il Signore volesse manifestare qualche cosa del presente o dell'avvenire riguardo alla Chiesa, pare che dovrebbe prima manifestarlo al suo Vicario in terra e non ad un semplice e povero prete. Tuttavia ecco un foglio indirizzato a Vostra Santità; chi me lo consegnava non mentisce.

                In quella carta erano soli i periodi che riguardavano il Papa e il Concilio, intestati: - La voce del cielo è al Pastore dei Pastori. - Noi già li conosciamo. Era un comando perentorio, assoluto, che non si sciogliessero le difficoltà, si troncassero; che venissero superate le angustie; che si continuasse l'opera incominciata, e si terminasse con celerità; che l'aiuto di Maria SS. era sicuro. Il Signore voleva la definizione dommatica dell'infallibilità papale.

                Il Papa lesse e rilesse quella carta, meditò alquanto,  [818] fece alcune interrogazioni, e noi crediamo che fin da quel momento risolse a non più indugiare.

                Quindi chiese a Don Bosco:

                 - Non potreste voi lasciar Torino e venire qui con me a Roma? La vostra Congregazione ne perderebbe?

                 - Oh Santo Padre, sarebbe la sua rovina!

                Il Papa non insistette, ma era suo manifesto desiderio di ritenerlo a Roma e prenderselo al fianco, elevandolo alla dignità di Principe della Chiesa.

                “Ma Don Bosco amava troppo i suoi giovani per lasciarli”; sono sue precise parole. Disse bene Don Rua, quando definì Don Bosco: “un uomo nel quale Dio elevò la paternità spirituale al più alto grado”.

                In quel giorno il Venerabile scriveva a Don Rua, al quale ripeteva alcune concessioni già comunicate.

 

 

                               Carissimo Don Rua,

 

                A quest'ora avrai ricevuta una mia lettera. Ora aggiungo che fui all'udienza del Santo Padre, che mi accolse con amorevolezza inesprimibile. Gradì, parlò, rise, e lodò assai la pubblicazione e la collezione delle Letture Cattoliche e della Biblioteca e ci animò a continuare. Sono più cose che non ci conviene affidare alla carta; dirò soltanto che abbiamo molti motivi di essere contenti.

                Intanto avvisa i nostri amati giovani che tutti quelli che appartengono alla Casa dell'Oratorio possono per l'avvenire acquistare indulgenza plenaria tutte le volte che si accostano alla Santa Comunione.

                Per te àvvi la facoltà di leggere e ritenere qualsiasi libro proibito, dare la benedizione papale in articulo mortis, benedire medaglie e crocifissi.

                Pel denaro non sono più a tempo. Ho già disposto pel consolidato. Per ciò di' a D. Savio che pensi a prepararne; io porterò a casa un paio di mille franchi.

                Temeva assai della buona Giacinta Bertinetti; ho pregato e pregherò pel riposo dell'anima di Lei. In quanto alla casa, o meglio alla famiglia di Chieri, si può lasciare come è; giunto a Torino, vedremo il da farsi.

                Avevo detto di preparare la festa di S. Francesco di Sales la domenica di quinquagesima; ora però sarà meglio differirla fino alla domenica prima di quaresima, perchè i Direttori delle nostre case non si possono, se non con difficoltà, allontanare dai loro giovani in quel [819] l'epoca. È sempre inteso, si Dominus dederit, che partirò al 21 corrente da Roma; un paio di giorni a Firenze, poi a Torino.

                Le cose di nostra Congregazione vanno assai bene. Continuate a pregare.

                Di' a Barale che uomo allegro il ciel lo aiuta. Dio ci benedica tutti e ci conservi per la via del cielo. Amen.

 

                ROMA, 12 - 2 - 1870

Aff.mo in G. C.

Sac. Giov. Bosco.

 

                P. S. - Di' a D. Bonetti che cominci pure a lavorare o meglio a preparare materiali per la costruzione. Intanto Dio ci aiuterà.

                 - Orario della festa di S. Francesco di Sales da mandarsi:

                A S. E. il Conte Sclopis Senatore del regno, casa propria, piazza d'Erbe.

                D. Tomatis, casa propria, accanto lo scalo di Porta Nuova.

                Dam. Falletti, casa propria ecc.

                Sig. Giacobini casa propria, vicino ai molini di città.

                Sig. Grida proprietario, idem.

                Cav. Lintau, casa propria, piazza d'Italia.

                Mad. Chirio Angela.

 

                Pio IX intanto, colla sicurezza che il Signore non lo avrebbe abbandonato, tranquillo e con fiducia mirabile proseguiva la grande opera. Le stesse defezioni erano un nuovo argomento e un eccitamento a sollecitare. L'ostinazione del Patriarca Caldeo Audu, la rivoluzione degli Armeni a Costantinopoli, la disobbedienza e fuga dei monaci Armeni Antoniani a Roma, alla quale erano stati incoraggiati da qualche vescovo francese: il ritorno, senza licenza di molti prelati dell'opposizione alle loro Diocesi; la scellerata agitazione in Svizzera, contro l'infallibilità, dell'Herzog, più tardi consecrato sacrilegamente Vescovo de' Vecchi - cattolici, erano cose predette nella carta di Don Bosco con le parole: Il nemico del bene seminerà la discordia fra i tuoi assessori; susciterà nemici tra i miei figli.

                Ma si diceva anche: La grande Regina sarà sempre il tuo aiuto! E lo fu anche a que' giorni. Il Concilio era circondato da potenti nemici, e Maria Santissima, in modo inaspettato, non permise che alcun di essi riuscisse a turbarlo. [820] La Francia che teneva, si sarebbe detto, il Concilio in mano, potendo a suo talento imporgli fine col solo richiamo delle sue milizie, conseguentemente avrebbe anche potuto fare proposte assai moleste e farle valere col peso della sua potenza. Ma, proprio durante il concilio, era capo del Ministero di Napoleone Emilio Ollivier, il quale, rispetto alla questione Romana, teneva saldo il principio di mantenere in Roma il presidio francese e di non permettere che venisse in alcun modo messa in pericolo la piena libertà del Concilio.

                La Baviera, desiderosa di fare opposizione, tentò per mezzo dell'Inghilterra di unire le altre potenze in un'azione comune, e, a questo fine, aveva già guadagnato il direttore della politica inglese Mr. Gladstone. Ma l'agente diplomatico dell'Inghilterra, Odo Russel, avendone dissuaso il ministro degli affari esteri, Lord Clarendon, il Gladstone non trovò nel ministero l'appoggio per le sue proposte, e la Baviera si ritirò delusa.

                Il rappresentante del Governo Prussiano in Roma, Arnim, era instancabile nell'infiammare le passioni contro il Concilio: ma il principe di Bismarck, benchè certamente per nulla amico al grande consesso cattolico, in que' momenti per ragioni di umana politica, impose silenzio al troppo zelante diplomatico.

                I politici settarii dell'Austria, della Spagna e del Portogallo, non osarono dare un passo senza le altre potenze, mentre l'Italia fu tenuta lontana da Roma dalla guarnigione francese, finchè la guerra tedesco - francese ne cagionò la partenza.

                Chi non vede in questi avvenimenti la mano della Provvidenza divina?

 

 

CAPO LXIV. Don Bosco in, Roma non può rimanere occulto alla cittadinanza - Il Santo Padre in una pubblica udienza dimostra la stima e l'affetto che ha per Don Bosco - Come Don Bosco fosse stimato in Roma - Freddezza di distinti personaggi che vorrebbero da lui confermata la loro speranza che Roma non sarebbe occupata dagli italiani - Non sono ascoltati i suoi consigli riguardo ai beni di Chiesa: conseguenze di tale noncuranza - Lettera ad un alunno calzolaio - Altre quattro ai Direttori delle case: proibisce che gli si facciano feste al ritorno - L'Associazione dei divoti di Maria Ausiliatrice eretta in Arciconfraternita - stabilito il giorno della festa di S. Francesco: i superiori delle case sono invitati a trovarsi tutti in Torino: il ritorno di Don Bosco: la chiesa e la casa in Roma: disposizioni del Vescovo di Casale riguardo a due Chierici: Don Bosco e i giovani: farà visita ai collegi: ha pregato pel Padre di D. Provera - Visita di congedo: gli anni di S. Pietro, il Catechismo unico: - Don Bosco rivela al Papa qualche cosa dei tempi futuri e parte da Roma - Essendone richiesto, trasmette al Papa copia del suo scritto sui futuri destini della Francia, dell'Italia e della Chiesa.

 

                IL Venerabile si era portato a Roma colla ferma intenzione di far vita ritirata, occupandosi solamente delle cose del Concilio e della sua Pia Società. Ma non andò lungo tempo che le molte relazioni coi prelati [822] notificarono la sua presenza in Roma e quindi le importunità affettuose e insistenti degli amici e degli ammiratori e le esigenze della carità lo costrinsero a fare altrimenti.

                Don Michele Picati, Priore - Parroco nell'Archidiocesi di Torino, scriveva da Roma ad un suo amico, in data 10 febbraio 1870:

 

                .....Ieri 15, alle ore quattro di sera, Don Bosco, l'impareggiabile amico, procurava a me ed ad altri suoi cari una consolazione grandissima. C'introdusse nel Vaticano con intendimento di procurarci una particolare udienza dal Santo Padre, prima che uscisse dal suo privato appartamento. Intrattenutosi alquanto con quella turba di personaggi che stavano nelle anticamere, ecco un Monsignore dar l'avviso che tutti s'inginocchiassero. Pio IX uscì fuori di sua camera in mantello rosso gallonato, veste, fascia, rocchetto bianco, accompagnato da due prelati, uno dei quali teneva il suo cappello rosso, l'altro declinava i nomi dei singoli ammessi all'udienza. Pio IX fece un giro per la sala, a tutti indirizzando una parola affettuosa, porgendo a baciare l'anello che teneva in dito e chiedendo a ciascuno che cosa desiderasse. Finito il giro, fattosi in mezzo della sala, in lingua latina con voce forte benedisse i presenti, tutti i nostri cari e le persone e oggetti raccomandatigli. Per Don Bosco la fermata era stata più lunga; e mostrò a tutti, che si maravigliavano, come gli fosse ben caro...

 

                Pare impossibile, se nol vedessi coi proprii occhi, se nol sentissi colle proprie orecchie, la stima e la devozione che gode in tutta Roma Don Bosco da ogni ceto di persone, dal Papa, Cardinali, prelati, senatori, principi, borghesi d'ogni categoria, di ogni condizione: il suo nome è conosciuto non solo in città, ma eziandio in tutti i dintorni.

                Ieri l'altro dovette partire in fretta per visitare un ammalato quindici miglia lontano da Roma. Ovunque si sappia essersi egli recato, è tosto assediato da tale folla da impedirgli persino di respirare. Il breviario lo recita quasi sempre alle 11 di sera. Se si vuol essere sicuri di vederlo e dirgli due parole, bisogna coglierlo quando si alza da letto, come avvenne anche a me più volte .....

 

                Tuttavia Don Bosco non ebbe dai Romani le accoglienze di altra volta. Egli non dava più assicurazioni dell'incolumità di Roma; anzi con parole prudenti faceva intendere in varie circostanze la possibilità dell'occupazione di Roma da parte del Piemonte.

                Invece non pochi dei prelati, specie degli appartenenti alla nobiltà Romana, credevano questo fatto impossibile [823] e speravano nel velo di varie potenze; e si lusingavano perfino in qualche intervento diretto del cielo. Sostenevano con sicurezza che la rivoluzione non si sarebbe estesa all'eterna città; se anche fosse stato possibile, non vi si sarebbe potuta stabilire, e tutto sarebbe tornato in quiete nel giro di pochi mesi. Udivano quindi di mal animo quel nuovo modo di parlare di Don Bosco.

                Egli, come abbiam detto, nel 1867 li aveva assicurati che niun mutamento politico sarebbe avvenuto a Roma, ma le sue parole si riferivano ai timori di quell'anno. I Romani invece le avevano interpretate in senso generale: accecati, non volevano perdere quella confortante speranza.

                Incominciarono pertanto a guardare il Venerabile con diffidenza; ed egli vedendosi in pericolo di esser preso come profeta di mal augurio, non diede più, alle insistenti domande sull'avvenire di Roma, altre risposte chè dei se, dei ma, dei speriamo. Ma quelli, poichè bramavano che confermasse il loro funesto inganno, spiegavano nel senso da loro desiderato le mal comprese risposte. In questa circostanza vi furono alcuni che dubitarono e misero in dubbio lo spirito profetico del Servo di Dio. Ed egli, se aveva fatta lampeggiare per un istante la verità, si vide costretto a chiudersi nel più rigoroso riserbo, riconoscendo cosa inutile ed imprudente parlare a chi non lo avrebbe ascoltato, e non volendo correre rischio di pregiudicare i suoi gravissimi affari.

                Tuttavia, mosso dalla carità, non aveva mancato di consigliare, direttamente o per mezzo di confidenti, molti del Clero, massime i Superiori di Ordini religiosi e di monasteri, di affrettarsi a mettere in salvo quei beni mobili ed immobili che fosse possibile: ma i suoi consigli trovarono generalmente indifferenza e incredulità.

                Un solo si persuase, e fu il Generale dei Certosini. Questi era deciso di cedere in proprietà a Don Bosco, con varie condizioni confidenziali, la Chiesa di Santa Maria degli Angioli alle terme di Diocleziano ed il chiostro monumentale, prevenendo [824] il temuto incameramento dei beni de' religiosi. Ma il Procuratore Generale dell'Ordine ritenne vane quelle apprensioni e si oppose dicendo che, come tutti gli Ordini avevano a Roma una rappresentanza in casa propria, dovevasi quindi sostenere integralmente quel loro convento. Anche altri furono di questo parere e il provvedimento andò a monte. Accadde così quello che doveva accadere: ed anche quel monumento ebbe la sorte degli altri.

                Anche vari altri increduli dovettero provare la giustezza delle previsioni di Don Bosco, e siccome a nulla si era provveduto, i beni ecclesiastici vennero confiscati e con essi grosse somme di denaro.

                Don Bosco aveva anche chiaramente presenti gli avvenimenti di quest'anno, non volle, come vedremo, nessuna festa dai suoi alunni al suo ritorno.

                Or ecco altre lettere scritte durante la sua permanenza in Roma, piene di affetto paterno. Una è indirizzata al giovane Berardo Musso, calzolaio, che fu poi coadiutore salesiano e capo di laboratorio nella Casa di Almagro a Buenos Aires.

 

 

                                Musso mio carissimo,

 

                Ho ricevuto la tua lettera e comprendo quanto mi vuoi dire. Sta' tranquillo. Io penserò a te, ma tu pensa ad essere esemplare nell'adempimento de' tuoi doveri, specialmente nell'impedire i cattivi discorsi fra i tuoi compagni. Dio farà il resto.

                Saluta il tuo capo e i tuoi compagni: presto sarò con voi. Pregate per me che di cuore sono,

Aff.mo in G. C.

Sac. Giov. Bosco.

 

17 febbraio 1870.

 

                Forse questa lettera fu spedita con altre, inviate a Don Rua.

 

                Roma, 14 febbraio 1870,

 

                               Carissimo Don Rua,

 

                Fa' parte a chi riguardano le lettere ivi unite. La nostra Pia Associazione di Maria Ausiliatrice è eretta in Arciconfraternita.  [825] L’apertura di una casa con una piccola ma bella Chiesa si può giudicare cosa ultimata pel prossimo autunno. Nella prossima settimana spero di essere a Torino; ma piuttosto che lasciare le cose a metà, è meglio ritardare qualche giorno. Ad ogni modo disponiamo che la festa di San Francesco di Sales si faccia la prima domenica di quaresima. Vi farò sapere il giorno preciso del mio arrivo. Ma insisto che non si facciano dimostrazioni di alcun genere.

                Siccome ho molto bisogno e piacere di parlare coi superiori delle altre case così da Lanzo, da Cherasco vengano quelli che possono allontanarsi. Da Mirabello D. Bonetti e D. Cerruti. Credo che D. Pestarino si troverà pure. D. Cagliero, se non mandò ancora, mandi alcune copie di tutta la sua musica alla Madre Galleffi; ma dell'inno del Concilio n. 20. Se si possono avere, si mandino pure n. 30 copie Giovane provveduto in pelle. Se non si hanno in pronto, pazienza.

                D. Savio venda quanto sembra opportuno della eredità Bertinetti.

                Aspettavo una lettera di D. Durando. Mille benedizioni a tutti. Ieri fui all'udienza dal S. Padre; ci fissò una casa, ma egli la trova piccola e vorrebbe darcene una più grande.

                Scriverò a D. Cagliero. Le cose vanno bene; continuate a pregare ed abbimi sempre

Aff.mo in G. G.

Sac. Giov. Bosco

 

                P. S. - I saluti a D. Racca.

 

 

                               Carissimo D. Bonetti,

 

                Ho ricevuto la tua lettera e fatte le commissioni.

                Pertanto nota fr. 375 trasmessi per mano di Mons. Manacorda pel giovane Sgamma, più fr. 20 pel medesimo e per mano della marchesa Villarios. Totale 395. - Per Ferrè mi furono dati F....

                In quanto a Turco il Vescovo non è contrario, ma desidera di vederlo prima, e sembra che desideri che vada un anno in seminario a Casale prima di conferirgli le ordinazioni. Il can. Masnini scriverà in proposito. Lo stesso è di Gosio.

                Fa' tanti saluti alla famiglia Provera e a tutti i nostri cari ed amati giovani. Spero di fare loro una visita nella prima settimana di quaresima. La mia partenza da Roma sarà il 22 a sera, due giorni a Firenze, venerdì mattina a Torino. Credo sia bene trasferire la festa di S. Francesco la prima Domenica di quaresima; così potremo assistere meglio i nostri giovanetti negli ultimi giorni di carnevale.

                Per l'avvenire, quando verrai a Roma, troverai a tua disposizione una casa con una stupenda chiesetta. Il resto a voce. Silenzio e allegro.

                Dio benedica te e le tue fatiche e credimi,

                Roma 17 - 2 - 1870,

Aff.mo in G. C.

Sac. Gio. Bosco.

 

P. S. - Mille saluti al carissimo D. Bonetti e socii. - Manacorda. [826]

 

                               Carissimo D. Lemoyne,

 

                Quante cose vorrei dirti! Comincerò a dirti che il Santo Padre manda una benedizione speciale a tutti i nostri allievi di Lanzo; concede loro indulgenza plenaria tutte le volte che fanno la S. Comunione e ciò per tutta la loro vita. Se ne tenga memoria: la concessione è dell'8 corrente.

                Per te poi e per tutti i preti la stessa indulgenza ogni volta che celebrate la Santa Messa.

                Comincio a comunicarti la facoltà di benedire crocifissi; la benedizione papale in articolo di morte; leggere e ritenere qualsiasi libro proibito; poi una casetta per quando verrai a Roma; poi una stupenda chiesetta per celebrare la Santa Messa; poi molte altre cose che saprai a bocca la prima Domenica di Quaresima, quando faremo la festa di S. Francesco di Sales.

                Intanto di' ai tuoi figli che ho letto le care lettere che mi scrissero pel buon capo d'anno; li ringrazio dei loro preziosi auguri, ma fa' notare che le loro preghiere furono esaudite abbondantemente; perciò immaginati che allegria e che bella festa faremo per ringraziare il Signore nella seconda settimana di quaresima, quando andrò loro a fare una visita.

                Ferrè poi ed altri mi scrissero cose confidenziali, cui risponderò di presenza.

                Molte cose pei preti e per tutti coloro che appartengono alla Congregazione: ma di ciò a voce. Per ora allegria e silenzio.

                Prima che termini la prossima settimana, spero di essere a Torino. Dio benedica te, tutti i figli tuoi, specialmente i preti, i maestri ed altri che esercitano qualche autorità. Pregate anche per me e credimi,

                Roma, 17 febbraio 1870.

Aff.mo in C. G.

Sac. Giov. Bosco.

 

                P. S. - Quando verrò a Lanzo mi raccomando di non fare alcun apparato festivo. Festa in Chiesa e non altro. Saluta Givone da parte mia.

 

                Il giorno 21 alla sera Don Bosco andò a far visita di congedo al Santo Padre ringraziandolo dei benefizii dei quali lo aveva ricolmo, augurandosi di poter altre volte essere ammesso all'onore di baciargli il sacro piede e ripetendogli l'assicurazione che avrebbe celebrato, nel 1871, il suo Giubileo Pontificale, oltrepassando gli anni del Pontificato di San Pietro in Roma. [827] Il Papa lo intrattenne lungamente, parlandogli del Concilio. Vivo desiderio di Don Bosco era che s'introducesse nella chiesa un breve catechismo che eliminasse tutti gli altri e contenesse, semplici e chiari, i fondamenti della dottrina cristiana in tutto il mondo cattolico. Allora quasi ogni Diocesi aveva un catechismo proprio, diversissimo talvolta fra due diocesi confinanti. S'insegnavano, è vero, tutte le stesse sacrosante verità, ma con formole, metodo e ordine diversi, e ciò, stante l'incominciata fluttuazione delle popolazioni, la continua trasmigrazione delle famiglie, e la grande emigrazione futura, doveva creare gravi difficoltà specie tra i semplici e gli ignoranti.

                Era quindi conveniente il provvedere che i cristiani, specialmente i fanciulli, ovunque andassero, trovassero il loro catechismo, e questo doveva essere il Catechismo unico, universale, obbligatorio, composto e promulgato dalla Sede Romana.

                La confidenza del Pontefice confortò Don Bosco. Egli seppe che la grande maggioranza dei Vescovi stava decisamente per questo disegno e che pochi in proporzione, e per ragioni non disprezzabili, erano quelli che stavano contro il medesimo[39]. Esservi quindi certezza del buon esito delle discussioni.

                Sul finir di quell'udienza il Venerabile parve sopra pensiero. Aveva con sè tutto il vaticinio del 5 gennaio per comunicare al Papa i disastri che sovrastavano alla Francia ed all'Italia, e il trionfo finale del Pontificato: e non aveva coraggio di presentare il manoscritto. Tuttavia, trattandosi degli interessi della Chiesa, si fe' violenza e disse al Papa:

                 - Desidera, Santo Padre, che le sveli una cosa?

                 - Parlate! [828]

                 - Vuole proprio che non le faccia misteri?

                 - Ve lo comando.

                Allora prese a parlare degli avvenimenti futuri della guerra, da tutti giudicata ormai inevitabile tra la Francia e la Prussia, dell'abbandono nel quale il Bonaparte avrebbe lasciato Roma, della caduta dell'impero Napoleonico; e dei terribili flagelli che dovevano cadere sulla Francia e specialmente su Parigi.

                Giunto a questo punto il Venerabile, commosso e turbato, non sapeva se dovesse proseguire, e in buon punto Pio IX lo trasse dall'imbarazzo, col dirgli:

                 - Basta, basta, altrimenti stanotte non posso più dormire.

                Si cambiò adunque discorso e, dopo un'ora e mezzo di udienza, Don Bosco si ritirò.

                Il domani Pio IX, desideroso di sentir la continuazione di quel racconto, mandò a cercar e Don Bosco; ma questi era già partito per Firenze.

                Lo scritto profetico di Don Bosco giunse però di quell'anno in mano al Pontefice. Appare anche da questa lettera, trovata fra le carte del S. Padre Pio IX, scritta di mano del Venerabile e diretta ad un Eminentissimo, forse l'Em.mo Card. Bilio. La lettera non ha firma; il Venerabile forse la dimenticò, forse la lasciò apposta; ma l'Em.mo Bilio conosceva bene, come noi, la scrittura di Don Bosco.

 

 

                               Eminenza Reverendissima,

 

                Il foglio qui scritto viene da persona che dimostrò già altra volta avere dei lumi sopranaturali; io l'aveva meco questo inverno a Roma.

                Alcune cose dissi già di passaggio al S. Padre; non ho però osato di lasciare lo scritto. Ora che nella sua bontà mi fa dire di parlate chiaro, positivo e definitivo, mi fo animo a trasmetterlo. Vi sono altre cose che non si possono confidare alla carta e che si potranno dire verbalmente nella segretezza che la materia richiede. Se qualche cosa sembrerà oscura, vedrò se se ne potrà avere la dovuta spiegazione. Ella' se ne serva comunque, ma la prego soltanto di non accennare il mio [829] nome in nessuna maniera, per motivi che ella potrà facilmente supporre.

                Certamente se potessi avere persona sicura segreta pel re di Prussia, avrei più cose a farle pervenire che potrebbero tornargli gradite.

                Ci doni la sua S. Benedizione.

 

                29 ottobre 1870.

 

 

                Noi abbiamo una copia autentica di questa lettera, presa fotograficamente.

                A complemento di queste previsioni, attesta Don Gioachino Berto, Don Bosco affermò: “Verrà una rivoluzione: succederanno apostasie nei dotti e negli ignoranti: la Prussia convertirassi. Grande vittoria della chiesa, grande trionfo del Papa”. Noi pure lo abbiamo udito, molti anni dopo, esprimere con fermezza tale opinione.

                Tanto per l'assoluta esattezza di queste memorie.

 

 

CAPO LXV. Don Bosco a Torino - Due defunti nell'Oratorio mentre Don Bosco era lontano - Predizione - La festa di S. Francesco di Sales - Morte del Parroco di Castelnuovo - Pio IX presenta al Concilio lo schema sull'Infallibilità Pontificia - Don Bosco tiene conferenza generale; narra di due udienze avute dal Papa, e dell'offerta della Chiesa e casa a S. Giovanni della Pigna: spera che il Concilio tratterà delle dimissorie pei Superiori degli Ordini religiosi: Vescovi che domandano i Salesiani per le loro diocesi: nuove costruzioni nelle case: cercare nuovi socii per la Pia Società; prospera condizione di questa: fedeltà alle regole - Risposta di Don Bosco a chi gli domandava che cosa accadrebbe alla sua morte - Va a Mirabello - Decreto di Pio IX che conferma in perpetuo le indulgenze già concesse all'Associazione dei divoti di Maria Ausiliatrice - Don Bosco a Lanzo e a Cherasco - Le giaculatorie a Maria Ausiliatrice: da un ballo alla tomba: l'Angelo Custode - Conferenza di Don Bosco ai Salesiani dell'Oratorio: Dà relazione della sua visita alle Case: parla delle mormorazioni e delle facili uscite dall'Oratorio: accenna ai riguardi da usarsi nel trattare coi giovani: doveri dei Salesiani: equanimità nel punire le mancanze degli alunni - La morte di due altri cari amici.

 

                DON Bosco era partito da Roma il 22 febbraio e, fermatosi due giorni a Firenze, il 25, venerdì, giungeva a Torino, accolto, come aveva desiderato senza alcuna dimostrazione di festa. [831] Prima notizia che ebbe fu la morte di due cari amici dell'Oratorio. Si legge nel necrologio di D. Rua:

 

                Valsania Felice, da Pralormo, moriva il 14 febbraio in età di 41 anno. Uomo allegro e semplice. Disimpegnava con fedeltà e diligenza tutte le incombenze che gli venivano affidate. Andò una sera a letto in piena salute, e, senza potergli dare alcun soccorso, fu trovato all'indomani morto nel suo letto. Aveva però ricevuto il giorno prima i SS. Sacramenti. Forse il non essersi slacciato le biancherie in dosso fu causa della sua morte.

                Mellica Bernardo da Grugliasco, di anni 24, moriva il 20 febbraio. Fu giovane di eccellenti costumi. La pietà, l'ubbidienza, l'amore al lavoro, e la pazienza erano le sue virtù caratteristiche. Sopportò con una rassegnazione esemplarissima la sua lunga malattia senza lasciar sfuggire il menomo lamento. Fino alla vigilia di sua morte non lasciò mai di fare i suoi soliti atti di religione e di attendere quanto poteva al lavoro. Frequente ai SS. Sacramenti, ascritto alle pie associazioni, non occorreva mai correggerlo di nulla.

 

                Il sabato, la domenica di Quinquagesima e i due giorni seguenti, Don Bosco ebbe da confessare per lunghe ore i suoi alunni, felici di potergli aprire nuovamente il cuore. In lui era sempre lo stesso spirito. A un certo Anselmo Vecchio, mentre stava confessandosi, raccomandò di essere molto buono e aggiunse: “perchè entro l'anno ti accadrà una grave disgrazia”. Il giovane gli domandò quale sarebbe stata quella disgrazia, ma Don Bosco gli rispose che non poteva dirglielo. E il fatto sta che dopo pochi mesi venne a morirgli il padre, che aveva goduta sempre ottima salute.

                Il 6 marzo, prima Domenica di Quaresima, si celebrò la festa di S. Francesco di Sales, e D. Bosco aveva un grave dolore. Il Teologo Antonio Cinzano, Vicario di Castelnuovo, al quale egli era di tanto debitore, in età di sessanta sei anni, dopo avere esemplarmente governata la sua parrocchia per 38 anni, con generale rincrescimento cessava di vivere.

                Negli ultimi anni non parlava più di altro che di prepararsi alla morte, ed aveva già sistemata ogni cosa e convenuto di rinunciare alla parrocchia per venirsi a ritirare in Valdocco nella casa dell'Oratorio

                “per prepararmi, egli diceva, per gli [832] ultimi momenti di vita e, sotto al manto di Maria Ausiliatrice, partirmene per l'eternità.” Ciò ripeteva anche pochi giorni prima di morire.

                Al dolore succedeva per Don Bosco una grande letizia.

                Il Concilio aveva gradito che si trattasse dell'infallibilità, e il 7 marzo venne distribuita ai Padri un'aggiunta allo schema de Ecclesia che diceva che il Pontefice di Roma non può errare quando definisce materia di fede o di morale. Era questo un passo decisivo. Il Papa il 23 aprile, accettando la petizione di 150 Padri, permise pure che fosse presentata alla Congregazione Generale. La discussione generale durò quattordici Congregazioni, dal 14 maggio al 3 giugno; e la discussione particolare occupò diciotto Congregazioni generali, dal 6 giugno al 4 luglio. Venne lasciata ai prelati della minoranza ogni ragionevole libertà di esporre la loro opinione e tutte le loro difficoltà e i loro dubbii. Molti Vescovi si fecero iscrivere per avere la parola. Quelli della minoranza fecero quanto poterono per impedire la definizione dommatica. Tentarono di mandare in lungo le discussioni per procurare l'aggiornamento del Concilio fino all'autunno. I loro oratori ripetevano, fino alla nausea, le stesse obiezioni già sfatate, sottoscrissero proteste contro la maggioranza, chiesero di sospendere il Concilio per causa dei calori estivi. La maggioranza però tenne fermo e la verità splendette in tutta la sua luce e risuonò ponente sulle labbra dei Padri.

                Fra gli altri parlarono bene in favore i Vescovi di Mondovì e di Casale. Due volte parlò anche Mons. Gastaldi con tanta eloquenza e forza di ragioni, che apparve uno dei più validi propugnatori dell'avversata prerogativa papale, cooperando efficacemente alla riuscita della definizione. Tutti erano entusiasmati nell'udire l'energica sua arringa e un triplice applauso dei Padri salutò le sue conclusioni. Di questo trionfo ebbe merito anche Don Bosco, come abbiamo accennato, e come ripetè a Don Francesco Dalmazzo l'Em.mo Cardinale d'Avanzo. Per la Chiesa e per il Papa fu questo [833] il maggior lavoro compiuto dal Venerabile nella sua permanenza in Roma.

                Mentre incominciavano a svolgersi gli accennati avvenimenti, la sera del giorno 7 marzo, lunedì, egli tenne conferenza generale ai Salesiani, presenti i Direttori di tutte le Case, e Don Pestarino di Mornese. E così incominciò:

                “Quest'anno non vi era veramente un grave motivo di andare a Roma; tuttavia, oltre a diversi nostri speciali interessi, secondando il cortese invito di più ragguardevoli persone, si è creduta di non poca utilità una tal gita. Ed io procurai che dal tempo occupato in questo viaggio risultasse il maggior bene possibile. Quindi, mentre agli occhi altrui ero a Roma come a diporto, faceva come quelli uccelli che svolazzano qua e là, ma intanto se vedono qualche grillo a saltare, se lo beccano”.

                Dopo questo esordio, descrisse la sua visita al Card. Quaglia e le due prime udienze avute dal Sommo Pontefice, di cui abbiamo fatto cenno. Disse dell'Obolo di S. Pietro e delle Letture Cattoliche presentate al Papa: dei favori spirituali da lui concessi, e de' suoi ricordi ai giovani; e annunziò che nel Concilio si era parlato con lode della Congregazione Salesiana. Ma null'altro disse allora di quanto sapeva, e sapeva molto, dallo stesso Pio IX, nè di quanto aveva visto; e neppure del lavoro compiuto perchè scemassero le opposizioni alla desiderata definizione dommatica dell'infallibilità Pontificia. Passò invece ad esporre la proposta avuta e accettata di stabilire una casa Salesiana in Roma a S. Giovanni della Pigna. Disse della bella chiesa, del locale attiguo[40], dei vantaggi di possedere una residenza nella città dei Papi, e continuò a parlare di altro, conforme a questo riassunto:

 

                Così in quest'anno, nel mese di agosto o di ottobre, se arriva niente in contrario, si manderanno già alcuni a Roma, oltre all'altro collegio [834] che abbiamo da aprire sulle rive del mare, cioè ad Alassio, fra Oneglia ed Albenga. Così sono restato inteso col Sommo Pontefice.

                Siccome l'anno scorso avea fatto una piccola colletta per il Collegio di Roma, l'ho lasciata là, ed ora con qualche altra cosa insieme ho assicurato sul debito Pontificio 100 (cento) franchi mensili per vestire quelli che andranno poi a Roma nel corrente anno.

                Voleva ancor domandare alcune cose al Pontefice per le dimissorie, e credo che le avrebbe concedute; ma poi pensando che di queste si era parlato in Concilio e che tutti erano favorevoli, per non recar novità o inconvenienze, ho giudicato di lasciare che il Concilio stabilisca quello che ha tra mano, e se vi saranno poi domande da fare, le farò dopo il Concilio al Pontefice, il quale, potendo fare con piena autorità, concederà e farà ben volentieri ogni cosa che torni a maggior gloria di Dio.

                Ho poi trattato con diversi Vescovi, che avendo sentito parlar in Concilio della nostra Società, venivano e scongiuravano affinchè si avesse pietà della loro Diocesi e vi si aprisse una casa. Ma io non ho promesso cosa alcuna, non per mancanza di beni materiali, ma per mancanza di persone.

                Da Roma ho anche potuto portare qualche cosa in danaro che servirà bene per le costruzioni di quello che siamo ora per incominciare, cioè il portico di qui alla chiesa, una piazza davanti alla medesima, una fabbrica a Lanzo di non poca mole, un'altra a Mirabello, ed una chiesa a Porta Nuova. Come si vede abbiamo sempre dei progetti grandi e in apparenza presuntuosi; ma io, finchè vedo che il Signore ci dà la sua mano, vado avanti intrepido; se poi vedessi che ei ritirasse la mano, allora mi fermerei per non far brutta figura.

 

                Sul finire accennò allo sviluppo della Pia Società, alle sue Case che andavano crescendo di numero, ai giovani alunni che si moltiplicavano, ai soccorsi generosi de' benefattori, alle grandiose speranze dell'avvenire, alla fama che dell'Oratorio narrava cose straordinarie, all'affetto del Romano Pontefice, alla stima che migliaia di persone testificavano alle Opere Salesiane, e concludeva:

 

                Noi pertanto mettiamoci con impegno per far del bene, e ciascuno cooperi per quanto può a cercar dei soci, e li inviti ad entrare colle opere, colle parole, cogli esempi; perocchè io ho un bell'invitare, chiamare, ma, se voi non mi assecondate, sono come il soldato che batte il tamburo, senza che i soldati lo seguano.

                Quindi i singoli direttori guardino se nelle loro case vi è qualche individuo che possa fare per la nostra Società, o che debba prendere [835] qualche esame; lo facciano sapere affinchè si possa provvedere per loro. Conviene perciò che ciascuno si faccia veramente uomo di senno per portare il maggior utile alle anime dei giovani a noi affidati.

                Noi, lasciando da parte tutte le profuse lodi, le adulazioni e le meraviglie degli altri, guardando la cosa sotto l'aspetto più chiaro e vero, abbiamo ben da rallegrarci che il Signore ci tenga così la sua mano sopra, ma dobbiamo anche metterci con maggior impegno per l'osservanza delle regole della Società, e guardare di dar loro il peso che meritano.

 

                In questa conferenza si annunziò per la prima volta l'apertura della Casa di Alassio.

                Il modo col quale il Venerabile giudicava di sè e delle opere sue era sempre pieno di umiltà e confidenza in Dio, Tempo prima, Don Berto, parlando con lui, fece cadere il discorso sulla morte del Servo di Dio e gli effetti che avrebbe cagionati, ed accennò a un pianto universale. Il Venerabile con gran calma gli rispose:

                 - Se morisse D. Bosco, la gente direbbe: Oh, poverino è morto anche lui! e tutto sarebbe finito. Chi farebbe festa e ghignerebbe per soddisfazione sarebbe il demonio, il quale direbbe: “È scomparso finalmente colui che mi faceva tanta guerra e guastava le opere mie!”

                Questa parola poteva ben dirla, perchè accennava a tutto quanto egli andava facendo, non per virtù propria, ma pel potente aiuto della Madonna, come egli riconosceva e ripeteva le mille volte. Chi combatteva e sconfiggeva il nemico infernale, era la potente Regina del Cielo!

                Un sabato sera Don Lasagna aspettò fino alle 11 e ½ che Don Bosco finisse di confessare e quindi lo accompagnò a cena. Seduto al suo fianco, gli diceva che fintantochè fosse stato lui in questo mondo, le cose della Pia Società sarebbero andate bene mercè il suo appoggio e consiglio; ma temeva che, mancando lui, la Pia Società si sarebbe sciolta per mancanza di mezzi e di coesione, e tutti i confratelli sarebbero stati costretti a ritornare alle loro case.

                 - Tu, gli rispose Don Bosco, ti appoggi troppo a ragioni [836] umane, mentre bisogna che confidiamo nel sopranaturale. Osserva: una delle due: o Don Bosco può nulla, o può qualche cosa. Se può qualche cosa, non dubitate che anche dopo morte saprà aiutarvi: se può nulla, oh| allora meglio ancora: farà Iddio che può tutto.

                Dopo l'ultima conferenza Don Bosco andò a Mirabello, e, tornando a Torino, trovava un decreto di Pio IX, col quale erano confermate in perpetuo le indulgenze concesse lo scorso anno all'Associazione dei divoti di Maria Ausiliatrice.

 

 

PIO PP. IX[41]

A PERPETUA MEMORIA DEL FATTO.

 

                Ci vennero fatte umili preghiere, perchè quelle Indulgenze, che con Nostre Lettere, Apostoliche, simili a queste, in data del 16 marzo 1869 avevamo concesso per dieci anni alla Pia Associazione sotto la invocazione della B. V. Maria Ausiliatrice canonicamente eretta, come Ci vien detto, nella Chiesa del medesimo titolo in Torino, volessimo benignamente concedere in perpetuo, aggiuntevi alcune altre grazie. E Noi con pietosa sollecitudine intenti ad accrescere coi celesti Tesori della Chiesa la pietà dei Fedeli e a cooperare alla salute delle anime, volendo accondiscendere a tali preghiere, concediamo alla predetta Associazione, in virtù delle presenti Lettere, di poter lucrare in perpetuo le Indulgenze sopra ricordate, purchè si adempiano puntualmente le opere di pietà, che nel primo indulto abbiamo prescritte. Inoltre pietosamente concediamo nel Signore a tutti e singoli i Fedeli dell'uno e dell'altro sesso, che per l'avvenire entreranno nella sopradetta Confraternita, che nel primo giorno del loro ingresso, se veramente pentiti e confessati avranno ricevuto il SS. Sacramento dell'Eucaristia, possano acquistare la Plenaria Indulgenza e remissione di tutti i loro peccati, applicabile anche per modo di suffragio alle anime dei fedeli, che a Dio congiunte nella carità passarono da questa vita; non ostante qualunque ordinazione in contrario, dovendo le presenti valere in perpetuo.

                Dato a Roma presso S. Pietro, sotto l'Anello del Pescatore, addì 11 marzo 1870, del nostro Pontificato Anno ventesimo quarto.

Pel Card. PARACCIANI CLARELLI

F. PROFILI Sostituto. [837]

 

                Nella seconda settimana di quaresima, cioè dopo il 14 marzo, Don Bosco si portò a Lanzo, dopo il 20 a Cherasco. Negli intervalli, tra l'una e l'altra di queste visite, alla sera dopo le orazioni intrattenne i giovani dell'Oratorio. La prima volta aveva loro riferiti gli avvisi di Pio IX. Un'altra sera li esortò caldamente ad aver famigliare la giaculatoria Maria, Auxilium Christianorum, ora pro nobis, ricordando i 300 giorni d'indulgenza ogni volta che si pronunzia, e l'indulgenza plenaria per chi la dice per un mese una volta al giorno. Narrò, senza farne il nome, come il primogenito del Conte Callori desiderasse ardentemente di andare ai balli di Corte. Invitato, vi andò. Era la prima volta. Nel tornarsene a casa fu preso da polmonite e in pochi giorni morì. E conchiudeva: - Così passano, come lampi, le gioie di questo mondo!

                Raccomandò, come sovente faceva, il pensiero dell'Angelo Custode, il quale, diceva Don Bosco, li accompagnava ovunque, vegliava presso il loro letto di notte, sedeva vicino ad essi nella scuola, li sorvegliava in ricreazione, pregava con loro in Chiesa, li difendeva, li consigliava, li consolava: e insisteva che nelle tentazioni a lui si ricorresse per aiuto. Dipinse al vivo le centinaia di angioli dei compagni [838] che li osservavano, parlò della riverenza loro dovuta tenendo un contegno modesto in ogni occasione.

                Anche confessando, dava spesso per penitenza qualche preghiera in onore dell'Angelo custode. Perciò nel Giovane Provveduto aveva inserito un divoto esercizio in suo onore, ed egli stesso, come abbiam detto, nutriva pel suo Angelo una divozione ardentissima.

                Il 27 marzo radunava a conferenza i Salesiani, professi ed aspiranti, chierici e laici; ed ecco il sunto del suo discorso:

 

                Adamo, creato da Dio innocente, viveva felice nel Paradiso terrestre. Ma S. Agostino ci dice che questa sua felicità deve esser durata poco, poichè il demonio invidioso andò a tentarlo e lo fece cadere nella disubbidienza, e con lui rovinò tutto il genere umano. Ora, venendo a noi, possiamo fare questa applicazione.

                La nostra Pia Società incominciò, ed incominciò bene per quello che riguarda gli associati; ma vediamo che anche adesso, ancora sui principii, il demonio comincia ad intromettersi, ed ora colla gelosia, ora col malcontento, procura di fare guadagni.

                Noi però, che conosciamo la sua malignità, non dobbiamo star inerti per vedere solamente ciò che egli sa fare, ma dobbiamo star all'erta e combattere.

                È già da qualche tempo che io vedo degli inconvenienti, che devono essere arrestati. So che si tende ad una divisione, a due partiti, e questo si deve assolutamente evitare in una Congregazione.

                Io sono stato a Lanzo, a Mirabello, a Cherasco, ed in queste mie visite ho procurato di interrogare, oltre i Direttori, or l'uno or l'altro dei confratelli, per vedere se avessero qualche cosa da osservare sull'andamento della Società. E come se si fossero data la parola, tutti andavano d'accordo nell'osservare che a lor parere, i membri di Torino, nella Casa maggiore, non hanno quello slancio che si dovrebbe avere e che si ha nelle Case particolari. Io ho veduto che là i medesimi maestri sono gli assistenti nella scuola, nello studio, nelle camerate e nella ricreazione; così quando escono dal far scuola, invece di andar a fare un po' di ricreazione libera, si slanciano in mezzo a quei giovani, li divertono e li assistono. Io vidi che hanno veramente molto lavoro. Mi prendeva compassione di loro e mi esibiva di mandar loro altri ad aiutarli un poco, ma essi contenti mi dicevano che non mandassi nessuno; poichè amano meglio lavorar molto in pochi e stare in pace gli uni cogli altri, che essere di più e non andar d'accordo. Io sono stato assai contento di questo e ne ringrazio il Signore. Ma replicando se non avessero altra cosa da correggere, vi fu un furbacchione che disse di aver veduto, una volta che venne qui per alcuni suoi affari, un tale [839] a far certe carezze ad un giovane, le quali secondo lui dovevano evitarsi in una Società qual è la nostra.

                 - Vi fu qualcosa di male, chiesi io?

                Ed egli:

                 - No, - rispose, ma tuttavia io non posso sopportar questo.

                Io non dissi niente; ma frattanto conobbi che anche questa sarebbe una cosa da correggersi. Da tutto poi essi conchiusero esservi difetti da togliere, massimamente qui in Torino. Dunque facciamo ora qualche riflessione su noi, e vediamo se vi è qualche cosa da evitare ed evitiamola.

                Io vedo, per esempio, qualche volta, qui a tavola, qualcuno che quando si serve, o a pranzo o a cena, fa le smorfie e poi allontana con disprezzo quello che gli è posto d'innanzi, Saranno, tanto per dire, mele, ed egli si lamenta o che sono piccole o che sono poche o tarlate. Vi sono poi lamenti e sul vino, e sulla minestra, e sulle pietanze: tutte cose che in una Congregazione portano danno e dispiaceri immensi, mettendo anche il malcontento. Oh! dunque venendo su questo punto pensi un po' ciascuno in particolare: se si avesse da cercare il gusto di tutti, non si finirebbe più di far cucina. Noi però, per quanto ci è possibile, procureremo sempre che tutti abbiano il necessario sì pel mangiare e sì pel bere, come per gli altri bisogni della vita comune. Ma, alcuno dirà, e se questo mi fa male, dovrò mangiarlo lo stesso? - - Io rispondo che in cinquant'anni circa che faccio vita comune, ora nel Seminario, ora nel Convitto, ed ora qui nell'Oratorio, non ho mai trovato cibo che mangiandolo fossi sicuro che mi avrebbe fatto male. Quello che ho trovato si è che quando lui cibo è meno appetibile, se ne prende più poco e si mangia più di un altro.

                Badate bene, che tutte queste cose le dico per coloro che sono sani e che non hanno bisogno di particolarità; se uno fosse indisposto, tutte queste regole cessano ed allora egli può prendere, lasciare, o farsi portare altro.

                Oltre alla tavola, vi è ancora questo, e l'ho sentito da quelli stessi che sono nelle altre case, che si esce dall'Oratorio con troppa facilità e senza bisogno.

                Ma veniamo al più importante, cioè a quelle carezze troppo avanzate che si fanno da taluni ai giovani.

                Su questo punto io non transigo per nulla, e desidero ardentissimamente che nessuno ponga le mani sulla persona di altri, desidero che nessuno discenda a confidenze speciali coi giovani, chiunque essi sieno; poichè soli pochi giorni che uno corse pericolo di rovinar un giovane, di rovinar se stesso, e di infamar tutta la casa solo per questi motivi. Quindi d'or innanzi proibisco assolutamente d'introdure giovani nella propria camera sotto qualunque pretesto. Poichè so che alcune volte si chiama uno, e: - Vienimi, gli si dice, a scoparmi la camera; fammi il letto; vammi a prender dell'acqua; recami que' libri [840] che ho lasciati nello studio. - Questo non lo voglio. Così anche non voglio assolutamente che si introducano giovani di un dormitorio, in un altro dormitorio qualunque. Nè voglio che si introducano giovani anche dello stesso dormitorio nella propria cella.

                Altre cose mi tocca ancora osservare, e sono che ciascuno ha degli obblighi da adempiere nella posizione in cui si trova: e di questi obblighi o doveri, alcuni sono di giustizia, altri sono di carità. I doveri di giustizia li ha ciascheduno in particolare per quell'uffizio che gli fu affidato: e quindi nel suo ufficio, come un maestro nella scuola, come un assistente in laboratorio, come un capo di dormitorio, ciascuno ha pieni poteri di far eseguir le regole, ma coi mezzi leciti; e perciò non mai percuotere, non mai cacciar via nessuno, non mai dar castighi che non si possano subire. So che alcuni si lascian domare dalla collera e percuotono, e non pensano che certe volte anche fra i giovani ve ne sono di quelli che hanno il sangue caldo; e quindi si rivoltano e ci tocca stare a contendere con grave scandalo e con gran perdita della nostra autorità.

                Così anche, per spiegarci con un esempio chiaro, un maestro nella scuola deve impartire l'istruzione per giustizia. Può fare alto e basso co' suoi allievi; deve però ricordarsi di far le cose per carità e quindi usar molta tolleranza. Ma non deve credersi che la sua autorità di maestro co' suoi allievi si estenda anche fuori di scuola. Fuori di scuola i giovani dell'Oratorio per lui devono essere tutti eguali, a qualunque classe appartengano, perchè allora ha soltanto più gli uffizi di carità da adempiere, i quali non devono estendersi solo ad alcuni, ma a tutti. Dico questo perchè vedo che spesso un uffizio cozza coll'altro, quel di un maestro con quello di un assistente, e quindi ne nascono anche delle gelosie; e gli uffizi non si compiono più come si dovrebbero compiere. Accade che un giovane commette una mancanza sotto la custodia di uno, e l'altro, offeso, lo aspetta quando sia sotto di lui per vendicarsi, e questo non si può. Per esempio: nel cortile vi sarà uno che fa un'insolenza ed in tal caso il maestro non è autorizzato di castigarlo nella scuola, ma, se vuole, da fratello, da padre, da amico, può avvisarlo. Così anche, uno non è autorizzato di proibire ai suoi dipendenti di andare or coll'uno or coll'altro dei suoi compagni, se non è mosso da carità, ma dal suo capriccio.

                Del resto, facciamoci coraggio a lavorare sempre, poichè le nostre fatiche sono molto benedette dal Signore e lo saranno ancor più per l'avvenire, se procuriamo di farle col solo spirito di piacere a Lui.

 

                Di quei giorni Don Bosco assisteva due cari figli, gravemente infermi, che morivano nell'Oratorio nei primi di aprile.

                Leggiamo nel necrologio;  [841] Croserio D. Augusto da Condove moriva il 1° aprile 1870 in età di 26 anni. I cenni della sua vita trovansi nel discorso funebre pronunziato dal professore D. Francesco Cerruti. La vigilia della morte di D. Croserio Don Bosco lo vide in sogno nell'atto che andava a dare la benedizione. Aveva un bellissimo aspetto e sulle spalle portava un magnifico piviale, ricco di oro e gemme, e tempestato di stelle lucenti: - Come va? diceva fra sè Don Bosco. Croserio qui? Non è desso ammalato? Ah! ho inteso. È questo il segnale che egli è sulle mosse per andare in paradiso! - Infatti moriva all'indomani.

                Baltera Giovanni da Masserano moriva il 12 aprile 1870, in età di 15 anni. Giovane vispo ed allegro. Amava lo studio in cui riusciva assai bene. Obbediva volentieri ed allegramente a quanto venivagli comandato. Ebbe qualche incomodo al capo e lo sopportò con molta pazienza, non lagnandosi neppure di alcuni compagni che usando poca carità lo disprezzavano pel suo male. Malgrado l'età giovanile amava molto le pratiche di pietà e frequente si vedeva ai Sacramenti. Lasciò vivo desiderio di sè ne' superiori e ne' compagni.

 

 

CAPO LXVI. Il Venerabile non accetta un'elargizione del Comitato pel Carnovale - Progetto per la costruzione di un nuovo edifizio attiguo al vecchio collegio di Lanzo - Prime pratiche per la fondazione di un collegio ed ospizio per poveri giovani ad Alassio - Domande del Municipio e di Don Bosco al Demanio per l'acquisto di un convento con privato contratto - L'Intendenza di finanza risponde che il Convento sarà messo all'asta pubblica - Motivi che riconducono Don Bosco a Mirabello - Annunzia alla Contessa Callori una sua gita a Casale e al piccolo Seminario - Compra di un orto dietro l'Oratorio - Lettera di Don Bosco al Sindaco di Cherasco per il pareggiamento del ginnasio e per l'incomodità dei locali nel Collegio - Don Bosco presenta al Municipio il disegno della Piazza innanzi alla Chiesa di Maria Ausiliatrice - Circolare che annunzia ai benefattori le indulgenze loro concesse dal Sommo Pontefice - Lettera di Don Bosco che comunica i suddetti favori alla Superiora delle Fedeli Compagne di Gesù.

 

                IL Venerabile, nella prima conferenza fatta ai Salesiani il giorno della festa di S. Francesco di Sales, aveva detto come intendesse erigere nuove costruzioni nell'Oratorio di Valdocco, in quello di S. Luigi a Portanuova, a Lanzo e a Mirabello. Ci voleva danaro e bisognava cercarlo, e Don Bosco lo cercava, ma senza ansietà e con virtù profonda. [843] Di quell'anno, scrisse il Prof. Giovanili Turchi, “sul finire del marzo due signori si recarono da lui per consegnargli lire 500 che il Comitato del Carnevale assegnava all'Oratorio a titolo di beneficenza. Don Bosco li ringraziò del gentile pensiero, ma non volle punto accettare quella somma. Disse che non intendeva godere menomamente dei frutti de' teatri, dei balli, degli spassi sguaiati e meno onesti del Carnevale”.

                Aspettando adunque il danaro della carità, metteva mano alle sue imprese, delle quali ci piace fare un cenno in questo capitolo. Esso dirà efficacemente, coll'enumerazione dei fatti, quante fossero le sollecitudini del Servo di Dio.

                Primo suo pensiero era un edifizio grandioso con vasti portici e spazioso cortile a Lanzo, che doveva estendersi per circa settanta metri dal vecchio collegio fino alla piazza della parrocchia. Il Vicario Federico Albert, dal quale era venuta tal proposta, cedeva l'area e Don Bosco gli scriveva:

 

 

Torino, 1 aprile 1870.

 

                               Carissimo sia. Vicario,

 

                Andiamo avanti: procuri soltanto, prima di cominciare la costruzione:

                1° Un trapasso regolare del suolo a me, affinchè io possa tosto assicurarne la esistenza colle cose della nostra Congregazione;

                2° Teniamo l'idea che il fabbricato si elevi al 2° piano: le altre cose saranno modificate di mano in mano si metteranno in esecuzione, se ne sarà caso;

                3° Per la Lotteria faccia modo di stabilire una numerosa commissione con buona scelta di promotori e promotrici;

                4° La lettera va bene. Il pensiero voglia concorrere si sviluppi un po' più. Non è forse meglio lasciare Don Bosco a parte? Ci pensi.

                5° Programma e condizioni della Lotteria. Raccolga materiali e cominci. Amen.

Aff.mo in G. C.

Sac. Giov. Bosco.

 

                Questo disegno fu messo a parte, per varie cause: e la lotteria non ebbe luogo. L'edificio fu di tre piani, oltre il terreno e la spesa di 200, 000 lire pesò sopra Don Bosco. Ogni [844] quindici giorni, per tre anni, non mancò mai la paga degli operai che erano più di trenta: anzi, venendo questi a scarseggiare per la molte fabbriche che incominciavano ad erigersi nei dintorni del paese, per ritenerli Don Bosco accrebbe la giornaliera. È da notarsi che il Vicario Albert in varii modi potentemente cooperò all'impresa. E la fabbrica finiva senza che rimanesse alcun debito. Eppure per tre anni avevano anche lavorato le mine a spianare quella vetta e l'acqua, in gran parte, si dovette trasportare dalla pianura.

                Seconda sua impresa era la fondazione di un nuovo istituto e la direzione e l'insegnamento delle classi elementari e ginnasiali in Alassio. Il Vescovo di Albenga e il Canonico Francesco Della Valle, Prevosto di Alassio, da tempo lo avevano invitato, e il Servo di Dio, conosciuto il bisogno di quella popolazione, acconsentiva.

                A questo proposito, fin dal 1869, il Prevosto aveva perorato presso il Municipio l'attuazione del suo desiderio, e la Giunta erasi dichiarata favorevole; e Don Bosco aveva mandato un progetto di convenzione, che fu deliberato dal Consiglio Municipale con ordinanza del 2 dicembre 1869, ed approvato dal Consiglio Scolastico della Provincia di Genova con decreto del 30 marzo 1870.

                Diremo altrove di questa convenzione. Qui ci limitiamo, per chiarezza del racconto, ad aggiungere come il Municipio avrebbe concesso a Don Bosco l'uso del locale, detto il Collegio, per le scuole; e per un convitto e ospizio il palazzo Durante col cortile ed il giardino annesso.

                Il Venerabile, avendo saputo che nel paese eravi un antico convento, proprietà del Demanio, chieste le necessarie informazioni, si disse pronto a comperarlo. Egli pensava di ricoverare in quell'edifizio anche la classe dei poveri fanciulli destinati alle arti.

                Poco dopo mutava idea e apriva per questi un Ospizio a Marassi vicino a Genova; ma per allora dominavalo il primo pensiero. Ne scrisse infatti al Prevosto, che ne parlò ai [845] Consiglieri. Tutti applaudirono, e la Giunta mandava un suo verbale all'Intendenza di Finanza a Genova.

                L'anno del Signore mille ottocento settanta, addì nove del mese .di aprile, in Alassio, e nella Sala Consolare.

                La Giunta Municipale di Alassio, regolarmente congregata in persona dei sottoscritti Signori;

                Venuta in cognizione che il rev.do Sacerdote Don Giovanni Bosco ha intenzione di far acquisto del sito, o locale detto del Seminario, per impiantarvi una casa di poveri giovani come quella che ha in Torino, si dà premura di raccomandare caldamente questa pratica presso all'Autorità competente, onde venga favorito di tutti quei riguardi che si possono usare, per istabilire un'opera che giudichiamo altamente utile non solo alla nostra Città, ma a tutta questa Ligure Riviera, ove si difetta di simili istituti pei fanciulli poveri ed abbandonati. Il che tanto più interessa a questa Città pel bisogno di avere un locale centrale per la scolaresca, quale appunto sarebbe il detto del Seminario, già Convento di N. S. degli Angeli, appartenente ai Minori Riformati, ove potrebbero facilmente anche locarsi le scuole pubbliche, con apposita convenzione affidate da questo Municipio al mentovato Sacerdote Bosco, giusta il Decreto del Consiglio Provinciale Scolastico in data 30 marzo 1870.

                E, precedente, lettura e conferma, si sottoscrivono

F. Biancardi Presidente,

Luigi Preve, Amministratore.

G. B. Morteo, id.

Paolo Torre, id.

G. B. Armato, segretario.

 

                Pochi giorni dopo alla stessa Intendenza di Finanza Don Bosco mandava da Torino una sua domanda motivata, per chiedere l'acquisto del convento.

 

 

                               Illustrissimo Signore,

 

                Pel vivo desiderio di dare ricetto ai giovani più poveri ed abbandonati, l'esponente spesso deve provare amaro rincrescimento nelle frequenti negative alle dimande di accettazioni di ragazzi che versano nel massimo pericolo di rovina morale e civile. E ciò unicamente per la mancanza di capacità di opportuni locali.

                Ora considerando che molti de' ricoverati nello stabilimento di Torino e molte dimande provengono dalla Riviera Ligure, l'esponente vorrebbe studiar modo di aprire una casa là dove maggiore è il bisogno. Di aprirla cioè nella città di Alassio che si può considerare come [846] il punto medio tra Genova e la riviera di Nizza. Locale opportuno sarebbe l'edifizio, sito e chiesa, non sotto al nome di casa del Seminario, già convento di N. S. degli Angeli appartenente ai Minori Riformati. Le autorità civili ed ecclesiastiche del luogo sarebbero favorevoli, anzi il Municipio abbisognando di un locale per le pubbliche scuole, potrebbe con modica spesa averlo colà, qualora fossero terminati alcuni lavori di costruzione già alquanto inoltrata. Si potrebbe così provvedere al ricovero di alcune centinaia di poveri ragazzi, e alla scolaresca del paese.

                Il locale mentovato attualmente è destinato ad alloggio di alcune Suore di Carità, le quali pagano annue lire 300 di pigione, e tengono ivi scuole femminili comunali ed educandato, che per altro sarebbero facilmente dal Municipio allogate in altro edifizio. Una parte del sito annesso fu testè venduto alla società della ferrovia in costruzione, pel che una parte notabile del muro di cinta dovrà essere demolito. Lo scrivente pertanto fa rispettosa dimanda che l'edifizio e sito annesso gli venga ceduto presso a poco nelle basi seguenti:

                1° Vendita di quella casa, orto annesso, alle più benevoli condizioni, atteso lo scopo del compratore.

                2° Ogni cosa potesse farsi a trattative private per agevolare il compimento della pratica.

                3° Il Sac. Giovanni Bosco, oltre di assumersi l'obbligo di pagare il prezzo da convenirsi, le dovute imposte, e di riceverlo come ora si trova, si obbliga eziandio di tenere aperta la chiesa e funzionarla.

                In questo senso l'umile esponente si raccomanda ai buoni uffizi di' V. S. Ill.ma affinchè voglia con bontà adoperarsi tanto per dare i suggerimenti atti ad agevolare la pratica, quanto per appianare le difficoltà, qualora insorgessero nel corso delle trattative.

                Con perfetta stima si professa,

                Di V. S. Ill.ma

 

                Torino, 17 aprile 1870,

Umile esponente

Sac. Giov. Bosco.

 

                L'Intendente rispondeva il 22 aprile, come già aveva risposto al Municipio, che il Convento secondo il prescritto della legge del 15 agosto 1867 doveva essere alienato per mezzo di asta pubblica, previa l'approvazione della Commissione provinciale del relativo elenco estimativo. E si aspettò che fosse indetta l'asta pubblica.

                Pel giorno 4 maggio il Venerabile aveva deciso di trovarsi a Mirabello. Crescendo il numero di quegli alunni, si trattava [847] là pure di compiere una nuova costruzione che avrebbe duplicato il Collegio. Non si erano però incominciati i lavori, perchè nei caldi della stagione estiva si era vista deperire la sanità di molti giovani, che fu necessario rinfrancare mandandoli all'aria nativa. Per questo voleva recarsi sul luogo per dare il suo giudizio, tanto più che quei confratelli vagheggiavano l'idea di trasportare il Collegio a Borgo S. Martino.

                In tali circostanze Don Bosco scriveva alla Contessa Callori una lettera nella quale è chiaro il ricordo all'accennata disgrazia domestica. Che cosa abbia scritto o detto alla nobil donna il Venerabile subito dopo il triste caso, non lo sappiamo.

 

 

                               Benemerita signora Contessa,

 

                La sua lettera passò per istrada, vicino a quella che aveva io inviato alla sig. M. Luigia di Lei figlia.

                È  adunque inteso, si Dominus dederit, che martedì partirò alle dodici e mezzo da Porta Susa e sarò a Casale poco dopo le cinque pomeridiane. Il giorno seguente vado di volo a Mirabello, poi a Torino. Il vedere V. S. a chiedere scusa perchè differisce la sua carità mi confonde e da una parte mi fa quasi ridere, nel senso che Ella voglia aggiungere l'interesse del suo capitale. Ad ogni modo offriamo tutto alla maggior gloria di Dio.

                Siccome avrei millanta cose da parlarle, così se per quei giorni avesse forestieri in casa, abbia la bontà di farmelo dire con una parola e differirò di qualche giorno.

                Faccia coraggio, signora Contessa, e faccia molto coraggio nel Signore. Nascimur in lacrymis, lacrymosos ducimus annos; terminat in lacrymis ultima nostra dies. Ma dopo questo semper cum Domino erinnis. Almeno è tale la nostra speranza. In tutti i casi dopo il temporale succede la serenità.

                Dio conceda a Lei, Signora Contessa, al Sig. Conte di Lei marito e a tutta la sua famiglia la santa rassegnazione con lunghi anni di vita felice. Preghi per me che con gratitudine mi professo

                Di V. S. B.,

 

                Torino, 28 aprile 1870,

Obbl.mo Servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

                Egli intanto, prima di partire, con atto 2 maggio 1870 rogato Turvano comprava dal Sig. Modesto Rua un terreno coltivato [848] a orto, posto in Valdocco, dell'estensione di Ettari 0, 45.59, e Giovanni Rua gli vendeva are 1 e centiare 97; in tutto Ettari 0, 47, 56, per il prezzo di lire 5, 608, 45. Era in gran parte, il così detto orto dell'Oratorio, ormai scomparso, che venne poi difeso da un muro di cinta.

                Nello stesso tempo presentava al Municipio il disegno della piazza da aprirsi innanzi alla Chiesa di Maria Ausiliatrice, su terreno di sua proprietà.

                Oltre queste gravi spese, ed altre delle quali diremo, il Venerabile ne prevedeva ancor altre non leggere pel Collegio di Cherasco: e la realtà dimostrò la giustezza de' suoi calcoli. Da una lunga corrispondenza col sindaco scegliamo la seguente lettera.

 

 

                               Ill.mo Sig. Sindaco,

 

                Mi affretto di spedire il documento richiesto dal R. Provveditore. Non so darmi ragione perchè non si vogliano ammettere le formole da tutti e sempre usate, stipendi fissati dalla legge Pei ginnasi di 3a categoria. Ad ogni modo si aggiuntino le cifre rapportate dalla legge Casati.

                Ho ricevuto la ossequiata sua lettera precedente e sono intimamente persuaso che il Municipio non sia causa del ritardo del pareggiamento, come certamente ognuno sarà persuaso la cagione non derivare da parte mia. Ella ben sa, sig. Sindaco, come io mi sono prontamente arreso a parecchie modificazioni del progetto del Collegio sopra di me gravitanti, e ciò per togliere di mezzo gli ostacoli del ritardo. Io mi sono portato e non mancherò di portarmi di gran lunga al di là di quanto fu stabilito nel capitolato municipale.

                In quanto al locale che Ella mi accenna pel caso di aumento di allievi, se da un lato sarebbe conveniente per la sua ampiezza dall'altro tornerebbe di vero incomodo per la separazione dall'altro: cosa che mi porterebbe raddoppiamento di personale con altro apparecchio di commestibili. Credo meglio l'esecuzione del lavoro promesso ripetutamente da V. S. in pieno Municipio, cioè che in caso di aumento di allievi sarebbesi riattato il lungo camerone al sud - ovest del collegio, ed altro che fosse stato necessario. Avrei bisogno di sapere possibilmente presto la deliberazione del Municipio, perciocchè le molte dimande già fatte per Cherasco, i giovani che qui ritengo per inviare costà a tempo opportuno, mi obbligano a cercare locale opportuno. Qualora non si potesse avere annesso all'attuale fabbricato, dovrò adoprarmi per averlo altrove. [849] Abbiamo già appianate tante altre difficoltà e spero che coll'appoggio del Municipio appianeremo ancora quelle del locale e del pareggiamento.

                Mi creda con perfetta stima,

                Di V. S. Ill.ma,

 

                Torino 27 maggio 1876,

Devot.mo servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

                In mezzo a questi affari materiali, non aveva dimenticato i suoi benefattori, ai quali nel mese di aprile aveva spedita una sua lettera stampata, a ricordo del suo viaggio a Roma. A penna aveva scritto su ciascheduna il nome dei singoli ai quali era inviata, variando qualche frase secondo la qualità delle persone.

                Eccone una copia, trovata fra le carte del Teologo Appendini.

 

 

Torino, il 29 aprile 1870.

 

                Con grande mia consolazione ho l'onore di partecipare a V. S. Benemerita come Sua Santità Pio Papa IX nell'udienza concessami il giorno 8 febbraio di quest'anno, per dare un segno di paterna benevolenza ai benefattori dei nostri giovani e della chiesa dedicata a Maria Ausiliatrice, concedette al Reverendo T. Gio. Battista Appendini i seguenti favori spirituali:

                1° Benedizione apostolica con plenaria indulgenza in articolo di morte.

                2° Indulgenza plenaria per ogni volta che ella celebrerà la Santa Messa, pregando secondo l'intenzione del Sommo Pontefice.

                3° Tutte queste indulgenze per modo di suffragio sono applicabili alle anime del purgatorio.

                Mentre godo di poterle comunicare questi favori, le auguro ogni celeste benedizione e mi professo con gratitudine,

                Di V. S. Benemerita,

Obbl.mo servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

                Una lettera autografa su questo argomento egli scriveva alla Rev. Madre Eudosia Superiora dell'Istituto delle Fedeli Compagne di Gesù; e in pari tempo le inviava un certo [850] numero di foglietti o moduli stampati, a ricordo degli accennati favori spirituali, dove non v'era che d'aggiungere il nome di coloro cui il Venerabile li comunicava.

 

 

                               Benemerita signora Madre,

 

                Voleva andare in persona a portare a Lei e alle sue figlie il certificato autentico dei favori concessi dal S. Padre al suo Istituto. Ma per non far ritardare di più i favori che si possono guadagnare, stimo bene di trasmetterlo a Lei con preghiera di voler scrivere il nome e cognome sopra questo foglio stampato, affinchè ciascuno lo conservi presso di sè per serbarne la memoria.

                La prego di segnarne uno da mandarsi da parte mia alla Madre Generale e a tutte quelle religiose che in qualche modo, anche in piccola proporzione, hanno preso parte ai bisogni della Chiesa e della nostra casa.

                Ogni celeste benedizione discenda sopra di lei e sopra tutto il suo istituto; preghi anche per me e per i miei poveri giovanetti e mi creda con gratitudine

                Di V. S. B.,

 

                Torino, 12 aprile 1870,

Obbl.mo servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

 

CAPO LXVII. I giovani raccomandati dalla questura e accolti da Don Bosco -  Pratiche per ottenere dalla Questura i fogli di via, per gli alunni dell'Oratorio: supplica di Don Bosco al Ministro degli interni: il Ministero fa chiedere a Don Bosco il Programma dell'Oratorio e i motivi della supplica: risposta di Don Bosco: il Ministero non accorda il favore: Don Bosco si raccomanda al Prefetto di Torino - Giovani del Regio Ospizio Generale di Carità in Torino consegnati a Don Bosco: convenzione: favore concesso ad alcuni di questi giovani per la loro tenera età e privi d'ogni istruzione - Il Consiglio scolastico invita la tipografia dell'Oratorio a prender parte, con una statistica delle opere da lei stampate, al Congresso Pedagogico di Napoli - Il Provveditore agli studii raccomanda a Don Bosco un giovanetto - Due letterine del Servo di Dio a giovani ecclesiastici - Alcuni avvisi e invocazioni scritte dietro le immagini di Maria Ausiliatrice.

 

                ALTRO affare importante aveva tra mano Don Bosco, nel mese di aprile. Sovente la Questura gli raccomandava giovanetti miserabili, abbandonati, o in pericolo di esserlo, con danno del buon costume e della civile società. Il Venerabile accondiscendeva facilmente a queste raccomandazioni; e gratuitamente, o quasi, li accoglieva nell'Ospizio. Ad esempio, nell'aprile del 1870 la Questura scriveva a Don Bosco:  [852] Questura del Circondario di Torino.

                N. 3396.

 

Torino, 11 aprile 1870.

 

                Nel porgere infiniti ringraziamenti al sig. Direttore per la condiscendenza usatami, di accettare il giovanetto contro indicato (Germagnano Leopoldo), di cui nella sua in data del 3 corrente, essendo stato da Acqui qui accompagnato, lo faccio presentare a codesto Oratorio per il suo ritiro.

                Spiacemi poi che il medesimo non sia stato fornito del corredo di cui accenna la nota stessa, ma solo di un'offerta di L. 10, fattagli da una caritatevole persona, e che qui accludo, avendo la detta Prefettura di Acqui, come mi partecipa, solo potuto provvederlo del vestiario completo che indossa.

Per il Reggente

P. Bocco.

 

                Da sua parte, la Questura prestavasi a rilasciare fogli di via a que' giovanetti, che per qualche motivo dovevano rimpatriare, quand'ecco emanarsi dal Ministero un decreto che vietava una tale accondiscendenza. E il Venerabile scriveva al Ministro degli Interni Giovanni Lanza:

 

 

                               Eccellenza,

 

                Permetta che rispettosamente mi presenti all'E. V. per supplicarla di un favore riguardante ai poveri giovani ricoverati nello Stabilimento detto di S. Francesco di Sales.

                Quando le Ferrovie dell'Alta Italia appartenevano al Governo, questa casa godeva di varii notevoli favori tanto pei maestri, assistenti e Direttori, quanto pei giovani qui ricoverati. Ed anche dopo che le Ferrovie passarono in proprietà dei privati si continuò a godere dei varii favori per mezzo della Questura che ci rilasciava dei fogli di via, allorchè rendevasi necessario il rimpatrio di alcuni di questi poveri giovanetti. Tali favori venivano largiti, sia perchè i ragazzi, ivi raccolti in numero di circa 800, sono della classe povera, la maggior parte orfani di padre e madre: sia eziandio perchè molti assolutamente poveri ed abbandonati vennero qui ricoverati dietro raccomandazione di alcuno dei Ministeri, o della Prefettura, o di altre autorità dello Stato. Se non che ultimamente la Questura, da noi pregata per fogli di via di urgente necessità, rispose che per decreti emanati in questi ultimi mesi non poteva più rilasciarceli.

                Ora mi fo animo a supplicare rispettosamente V. E. a voler prendere in considerazione quest'Ospizio di poverelli e dare benevola  [853] disposizione, affinchè non abbia a rimanere privo di quegli aiuti che prima godeva e che gli sono di stretta necessità, altrimenti sarà costretto a non più dare ricetto a non pochi giovanetti delle provincie più distanti, dove per lo più si manifesta maggior bisogno.

                Fiducioso di essere esaudito rendo le più vive grazie anche per parte di questi ragazzi, da Lei già altre volte beneficati, mentre pregandole dal Cielo ogni bene, godo professarmi colla più distinta stima e riconoscenza.

                Di V. E.

Obbl.mo servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

                Il Ministero chiedeva informazioni al Reggente della Questura di Torino, e questi scriveva alla Direzione dell'Oratorio.

 

 

                Questura del Circondario di Torino

                3746 - Sez. 3ª

Torino, li 22 aprile 1870.

 

                Per corrispondere ad analoga richiesta del Ministero Interno, lo scrivente si rivolge a codesta onorevole Direzione, perchè voglia essere cortese di fargli tenere colla maggiore possibile sollecitudine un programma col relativo statuto per l'ammissione dei giovani in codesto Oratorio, non senza in pari tempo declinare le causali che consigliano il rilascio di tratto in tratto di giovani da codesto Istituto, che vengono quindi presentati a quest'Ufficio per essere abilitati al rimpatrio. In tale fiducia, chi scrive, porge alla prefata Direzione anticipati ringraziamenti.

Il Reggente

BIGNAMI.

 

                Essendo Don Bosco fuori di Torino, la Questura il giorno dopo replicava la domanda.

 

 

                Questura del Circondario di Torino.

 

                Si prega la compiacenza di codesta onorevole Direzione a voler, se possibile, far tenere all'esibitore della presente il riscontro alla nota di questa Questura di ieri n. 3746, dovendosi oggi riscontrare al Superiore Dicastero, in ordine ai quesiti proposti.

Pel questore,

GRUDRA. [854]

 

                Don Bosco rispose:

 

 

                               Ill.mo Signore,

 

                in riscontro alla preg.ma nota della S. V. portante il numero 3746 comunicatami testè, mi fo premura di rispondere con inviarle, in foglio a parte, trascritto lo scopo di questa casa e le condizioni di accettazione quale si ricava dal piano di regolamento in vigore nella medesima. Qualora occorra il completo regolamento, lo farò a semplice di Lei cenno trascrivere e rimettere alle di Lei mani. Mi rincresce molto del ritardato riscontro, ma fu cagione la mia assenza da Torino. Mi è però assai propizia quest'occasione: 1° per ringraziar di cuore V. S. Ill.ma della bontà che usa a questo Stabilimento; e 2° per pregarla di gradire i rispettosi miei ossequii, mentre ho l'onore di professarmi colla più distinta stima.

                Di V. S.,

Umil.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Il foglio a parte, intestato Oratorio di S. Francesco di Sales, diceva:

 

 

SCOPO DI QUESTA CASA.

 

                Fra i giovani che frequentano gli Oratorii della Città, ce ne sono di quelli che si trovano in condizione tale, da rendere inutili tutti i mezzi morali se loro non si porge soccorso materiale.

                S'incontrano talora giovani già alquanto inoltrati in età, orfani o privi della assistenza paterna, perchè i genitori non possono o non vogliono curarsi di loro, senza professione, senza istruzione. Costoro sono esposti ai più gravi pericoli, spirituali e corporali, nè si sa come impedirne la rovina, se non si stende una benefica mano, che li accolga, li avvii al lavoro, all'ordine, alla religione. La casa annessa all'Oratorio di S. Francesco di Sales ha per iscopo di dare ricetto ai giovani di questa categoria. Ma siccome non si possono ricevere tutti quelli che si trovano in tale bisogno, così è mestieri di stabilire alcune norme per discernere quelli che per la gravezza delle circostanze devono essere preferiti.

 

 

CAPO I.

Dell'Accettazione.

 

                Perchè un giovane possa essere accettato nella casa, si devono in lui avverare le seguenti condizioni:

                1° Età di dodici anni compiuti, e che non oltrepassi i diciotto. L'esperienza ha fatto conoscere che ordinariamente la gioventù [855] prima dei dodici anni non è capace di fare nè gran bene, nè gran male; e passati i diciotto anni riesce assai difficile il far deporre abitudini altrove contratte per uniformarsi ad un nuovo regolamento di vita.

                2° Orfano di padre e di madre e che sia totalmente povero ed abbandonato. Se ha fratelli, zii od altri parenti che possano averne cura, è fuori dello scopo di questa casa.

                3° Che non abbia alcun male schifoso o attaccaticcio, come sono scabie, tigna, scrofole e simili.

                4° Sono di preferenza accettati quelli che frequentano gli Oratorii di Torino, perchè è di massima importanza il conoscere alquanto l'indole dei giovanetti, prima di riceverli definitivamente nella casa.

                5 ° Ciascuno, entrando deve avere un attestato del proprio parroco che certifichi l'età, lo stato della famiglia, cui il giovanetto appartiene, la fede di aver avuto o no il vaiuolo, e di essere esente da inali schifosi o attaccaticci, o scevro di deformità che lo rendano inabile al lavoro. Alla mancanza del certificato di sanità, può supplire la visita del medico della casa.

                6° Se il postulante possiede qualche cosa, la porterà seco nella sua entrata nello Stabilimento, e sarà impiegata a suo favore, perchè non è giusto che viva di carità chi non è in assoluto bisogno.

                Ogni giovanetto, entrando nello Stabilimento, dovrà in ogni cosa considerare i suoi compagni come fratelli, e sottomettersi ai suoi superiori in tutte quelle cose, che dai medesimi secondo il rispettivo ufficio sono comandate.

 

 

Accettazione per i giovani studenti.

 

                Fra i giovani accolti in casa e raccomandati altrimenti se ne incontrano alcuni, i quali hanno ricevuto dalla natura una speciale attitudine allo studio, o a qualche arte liberale, ma che per mancanza di mezzi materiali il loro ingegno rimarrebbe sterile ed anche dannoso qualora non potesse essere coltivato. La casa dell'Oratorio si adopera anche per aiutare costoro, sia che possano pagare qualche pensione, oppure essendo assolutamente poveri debbano riceversi gratuitamente.

 

                La decisione del Ministero fu trasmessa all'Oratorio dal Prefetto di Torino.

                Prefettura della Provincia di Torino

 

 

                Divis. 3ª - Sez. I

                Num. prot. 1778

                Torino, li 20 giugno 1870] Il Ministero dell'Interno con suo dispaccio delli 14 corr. mese. Divis. 2ª, Sez. 2ª, N. 14702 - 17, mi ha dato incarico di partecipare [856] alla S. V. quanto segue, relativo al chiesto trasporto gratuito pel rimpatrio dei giovanetti uscenti da codesto Oratorio.

                “Il Sac. Bosco Sig. Gio. ha diretto al Ministero un'istanza colla quale prega perchè venga revocata la determinazione della locale. Questura di rifiutare il trasporto gratuito ai giovani uscenti dall'Oratorio di S. Francesco di Sales.

                Trattandosi di un Istituto di beneficenza, il Ministero non potrebbe derogare ai principii adottati riguardo ai trasporti gratuiti, per i quali è indispensabile che si verifichi la ragione di Pubblica Sicurezza, e perciò il sottoscritto trovasi nella necessità di mantenere le norme seguite da codesta Questura.

                Nel far note queste cose al Sacerdote sig. Don Bosco, Ella vorrà tuttavia assicurarlo che il Governo prende a cuore le sorti dell'Istituto da lui diretto, e farà il possibile per venirgli in aiuto nei limiti o che gli sono tracciati dai Regolamenti e dalle strettezze dell'Erario.

Pel Ministro

F. CAVALLINI”.

 

                Tanto in obbedienza all'incombenza avuta.

Il Prefetto

RADICATI.

 

                Il Venerabile, accusando ricevuta del foglio Ministeriale, insisteva presso il Conte Radicati.

 

 

                               Ill.mo signor Prefetto,

 

                Ho ricevuto la lettera colla quale V. S. Ill.ma mi comunicava che il Ministero dell'Interno non giudicava di continuare il favore del rimpatrio ai poveri giovani che escono da questo Stabilimento. Siccome Ella, sig. Prefetto, conosce la misera condizione di questa Istituzione, così la pregherei di volere fare noto a S. E. il Ministero dell'Interno lo stato dei giovanetti raccomandati.

                Nel numero di circa 800 ricoverati àvvene oltre un centinaio mandato dal Governo e sono gratuitamente qui tenuti. Se dovessi ancora essere privato del favore di rimpatrio, mi troverei in una difficile posizione. Poichè dalle Ferrovie non si può più godere alcun favore; codesto Ministero in altri tempi ci largiva ogni anno un sussidio, che pure da parecchi anni è cessato. Così, dopo aver tenuto gratuitamente in casa un fanciullo, debbo infine ancora farlo rimpatriare a mie spese. Per esempio pochi giorni sono ho dovuto inviare due giovani, uno di Ancona, l'altro di Tortorigi in Sicilia, con una somma per noi vera mente grave, attese le strettezze in cui versa questo Stabilimento. Si noti ancora la tassa di L. 10.000 che dobbiam pagare sul macinato.

                Da ciò Ella vede, signor Prefetto, che malgrado ogni buon volere lui troverò nella dura necessità di diminuire il numero dei ricoverati,  [857] mentre le continue ed incessanti richieste di ricovero ci costringerebbero all'aumento.

                Rimetto ogni cosa ai suoi buoni uffizi, e questi poveri giovanetti non mancheranno d'invocare le benedizioni del Cielo sopra di Lei, come ogni giorno le invocano sopra di tutti i loro benefattori.

                Mi creda con gratitudine,

                Di V. S. Ill.ma,

Obbl.mo servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

                Certo il Conte Radicati, grande amico di Don Bosco, tenne in gran conto questa preghiera, mentre il Servo di Dio accettava volentieri due giovanetti da lui raccomandati.

                Altri sedici giovanetti egli aveva d'un sol tratto aggregati ai suoi alunni, per una convenzione col Regio Ospizio Generale di Carità in Torino.

 

                Convenzione tra il Molto Reverendo Sig. Don Bosco, Fondatore e Direttore dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, e la Direzione del R. Generale Ospizio di Carità, rappresentata dai Membri sottoscritti.

 

 

Art. 1°.

 

                Il sig. Don Bosco si obbliga di accogliere presso di sè N. 16 giovani che la Direzione del Regio Generale Ospizio di Carità gli affida per ricevervi una conveniente educazione.

 

 

Art. 2°.

 

                La Direzione del Regio Ospizio di Carità corrisponde al sig. Don Bosco mensilmente e per ciascun giovane una diaria giornaliera di cent. 80 fino agli anni 18 compiuti, trascorsa la quale età, cessa la diaria, ed il sig. Don Bosco si assume il carico di provvedere esso stesso all'avvenire di questi giovani presso di sè o altrove, siccome nella sua saviezza sarà per ravvisare meglio convenire.

 

 

Art. 3°.

 

                Mediante questa diaria, due mute di vestimenta nell'atto in che i giovani gli vengano affidati, un materasso, una coperta e due lenzuola per ciascun giovane, e per una sol volta, i giovani sono provveduti di vitto, vestito, di tutto insomma che occorra pel mantenimento, per la pulizia e per la educazione religiosa, morale, professionale de' medesimi. [858]

 

Art. 4°.

 

                La Direzione del R ° Ospizio ha facoltà di pigliare cognizione, sempre quando Le piaccia, del come proceda la educazione de' giovani che affida al sig. Don Bosco e quale ne sia il trattamento, in quella misura che compete ad un padre che, avendo un suo figlio in collegio, conserva tuttavia tutti i suoi diritti paterni.

 

 

Art. 5°.

 

                Il signor Don Bosco comunicherà, in fin d'ogni anno, alla direzione del R° Ospizio una relazione sulla condizione religiosa, morale, igienica, professionale di ciascun de' giovani ad esso affidati, ed in caso di richiamo per parte de' parenti, morte, espulsione, fuga o miglioramento nella condizione di fortuna di alcuno di essi, il sig. Don Bosco sarà compiacente di darne avviso alla Direzione del R.° Ospizio, alla quale, avverandosi alcuna di quelle circostanze, non correrà più l'obbligo di corrispondergli la diaria giornaliera.

 

 

Art. 6 °.

 

                Questa convenzione avrà il suo principio il 1° di maggio 1870.

 

 

                Torino, li 30 aprile 1870.

Pel Rettore Don Giov. Bosco

Sac. Rua Michele Pref.

Francesco Malines.

Comm. Gianantonio Panarino.

 

                Il Servo di Dio desiderando che anche questi suoi nuovi alunni partecipassero ai benefizii di una istruzione necessaria, della quale erano affatto digiuni, scriveva al Presidente del Regio Ospizio:

 

                Ho l'onore di partecipare all'E. V. che di buon grado ricevo in questa casa di beneficenza il giovanetto Bielli, che per mezzo del Comm. Pavarino e del cav. Capello nella sua carità compiacevasi raccomandare.

                Questa casa è sempre aperta a que' poveri giovanetti che Ella giudicasse di indirizzarmi.

                Ma mi trovo ora in qualche difficoltà, riguardo ad alcuni di quelli già ammessi, cui per assoluto difetto di istruzione difficilmente si potrebbe provvedere alla loro educazione. Qui non vi sarebbe istruzione adattata, dovendo i nostri allievi più giovani aver compiuto gli anni dodici. [859] Io sarei venuto nella determinazione di mandarli in uno dei nostri collegi di Lanzo, o di Cherasco; ma là vi sarebbe l'aumento di f. 6 mensili per ciascun allievo.

                Egli è nel desiderio di provvedere ai poverelli nel foglio a parte nominati, che io ricorro all'E. V. pregandola a volere per lo spazio di anni tre, portare la mesata a f. 30 soltanto per questi sei. Dopo tale spazio di tempo eglino farebbero di nuovo ritorno in questo Stabilimento, dove sarebbero applicati ad un'arte o mestiere rispettivamente adattato.

                Io spero che la E. V. prenderà in benevola considerazione l'umile proposta, ed augurando ogni celeste benedizione sopra di V. E. e sopra tutta codesta benemerita amministrazione, reputo a felicissima ventura di potermi professare

                Dell'E. V.,

 

                Torino 31 agosto 1870,

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Il Presidente del Regio Ospizio, Comm. Castelli, Senatore del Regno, accordava per i sei giovani indicati l'aumento di lire sei mensili per due anni. E fu danaro bene speso, perchè tutti fecero buona riuscita ed uno di essi è ora eccellente sacerdote.

                Un segno di stima dava a Don Bosco anche l'Autorità scolastica, mandando alla Direzione della Tipografia Salesiana un invito onorevole.

 

 

                Prefettura della Provincia di Torino.

                Consiglio Scolastico.

                Torino, li I maggio 1870] Fra i titoli che resero questa nostra Provincia superiore a tutte le altre del Regno per coltura e civiltà, segnatamente della classe inferiore, vi ha pur quello che risulta dal numero delle opere educative, didattiche e popolari che si pubblicarono dai coraggiosi editori di essa, fra i quali la S. V. Ill.ma tiene un posto così distinto.

                Volendo il sottoscritto presentare nella prossima mostra didattica che si terrà in Napoli, in occasione del Congresso Pedagogico nel mese di settembre, una statistica delle opere di questo genere che si pubblicarono nel decennio in questa provincia, non poteva certo dimenticare la S. V. Ill.ma, il cui nome figura a buon diritto tra coloro che onorano la nobilissima delle arti moderne.

                Alla presente le si unisce un quadro distinto in tanti colonnelli,  [860] nei quali Ella si compiacerà di annotare quelle notizie che si riferiscono ai titoli che lo scrivente ha preso specialmente di mira.

                Se la S. V. potrà rimandare il quadro stesso prima della fine del corrente mese, farà cosa gratissima a chi si pregia di dichiararsi

                Della S. V. Ill.ma,

Dev.mo

Il R. Provveditore V. GARELLI.

 

                Non ci consta ciò che Don Bosco abbia fatto in questa occasione; ma quel Regio Provveditore agli studii, che fu poi sempre un sincero e grande amico del servo di Dio, pochi giorni dopo gli scriveva la seguente lettera.

 

 

                Ufficio della Presidenza del Consiglio Scolastico

                della Provincia di Torino.

 

Torino, addì 6 maggio 1870.

 

                               Illustrissimo signore,

 

                La signora Coccorda Fortunata, direttrice di un asilo infantile in Buriasco, ha estrema necessità che qualche persona caritatevole venga in soccorso di lei per provvedere all'educazione del suo figlio Giuseppe, orfano di padre.

                Niuno, certo, può far miracoli di carità, come la S. V. Ill.ma: epperò con tutta fiducia la dirigo a Lei raccomandandola.

                Mi creda a' suoi ordini,

Dev.mo servitore

V. GARELLI

Provveditore degli studii.

 

                In tutti questi affari il movente di Don Bosco era sempre lo stesso: la gloria di Dio e la salute delle anime. Ciò gli rendeva soavi anche le occupazioni materiali e finanziarie, le quali non lo raffreddavano menomamente nell'esercizio del sacro ministero. Dal suo cuore scaturiva un fonte di acqua viva, che saliva alla vita eterna.

                Al Sac. D. Cesare Thornasset di Aosta, già allievo dell'Oratorio, che gli domandava consigli a fine di ben comportarsi nello stato sacerdotale, scriveva:

 

 

                               Carissimo,

 

                Si può fare una prova:

                Divota preparazione e ringraziamento della S. Messa. - Ogni mattino seria meditazione. - Lungo il giorno visita al SS.mo Sacramento. [861] Lettura Spirituale. - Prego per te Maria Ausiliatrice e il buon Gesù. - Fratres, sobrii estote.

                Prega pel tuo aff.mo

Sac. Giov. Bosco.

 

                A un chierico seminarista, tormentato dagli scrupoli, rispondeva:

 

 

                               Carissimo,

 

                Non voglio lasciare la tua lettera senza risposta, pregherò per te, fa' bene la tua meditazione, frequenta la santa comunione e ti libererai da ogni pericolo.

                Nelle prossime vacanze vieni qualche giorno all'Oratorio e ci parleremo di tutto.

                Fa' degli associati, ovunque tu possa, alle Letture Cattoliche, ed avrai la benedizione del Sommo Pontefice e con esso avrai pure la benedizione del Signore.

                Dio benedica te e le tue fatiche; prega per me che ti sono

 

                Torino, 16 aprile 1870,

Aff.mo in G. C.

Sac. Giov. Bosco.

 

                Anche dietro ad immagini di Maria SS. Ausiliatrice egli scriveva avvisi, giaculatorie, benedizioni colla sua firma. Ne abbiamo alcune di varii tempi.

 

                A Giuseppe Zanetti di Verona in occasione della sua vestizione clericale: - O Maria portate la santa benedizione al vostro caro figlio e guidatelo sempre per la via del cielo.

                Caro mio Quaranta. - Fuggi l'ozio, ama la virtù, ed il lavoro. L'ubbidienza è la chiave di tutte le altre virtù; Dio ti benedica.

                Al sig. Michele d'Agliano. - Dio benedica voi e tutta la vostra famiglia. Maria vi guidi tutti per la strada del Paradiso.

                Al sig. Giuseppe Gris i Rodali. - Dio benedica voi e tutta la vostra famiglia e ricompensi largamente la vostra carità. E Maria Ausiliatrice sia a voi tutti di guida al cielo.

                Alla Damigella Carolina Denina, Via Garibaldi, N. 28 p. 2°, Torino.

                O Maria, pregate per noi e liberateci dai pericoli dell'anima e del corpo.

                Ad un giovanetto. - Maria ti porti la santa benedizione.

                Alla Contessa Antonia Cays di Giletta. - Amala come figlia; Ella sarà a te e ai tuoi di aiuto in vita, di conforto in morte, di gaudio in Cielo. - 7 maggio 1870.

 

 

CAPO LXVIII. La Madonna protegge la tipografia: gravissimo disastro scongiurato - Letture Cattoliche: NOVE GIORNI CONSACRATI A MARIA AUSILIATRICE - Breve del Santo Padre che eleva ad Arciconfraternita la Pia Associazione dei divoti di Maria Ausiliatrice - Lettera di Don Bosco al Direttore del collegio di Lanzo: domanda preghiere pel buon esito dell'affare di S. Giovanni della Pigna: è sulle mosse per andare a Mornese: dà alcuni consigli - Altra lettera alla Contessa Callori: loda Mornese: ringrazia; raccomanda un suo parente: se andrà a Mirabello, la farà avvisata: dà notizia del buon esito dell'affare di S. Giovanni della Pigna: l'invita alla festa di Maria Ausiliatrice e promette preghiere - Preparativi nell'Oratorio per la gran festa - Tre nuove campane - Don Cagliero invita i musici della città per le prove dell'inno Saepe dum Christi - Piccola lotteria di un quadro che rappresentava l'Episcopato italiano vivente: Don Bosco invita le damigelle che lo hanno aiutato nello spaccio dei biglietti ad una messa che egli dirà secondo la loro intenzione - L'Unità Cattolica descrive il 24 maggio in Valdocco - Don Bosco benedice un allievo e lo libera dalle febbri - Radunanza dei varii direttori della festa per poter rimediare un altr'anno agli inconvenienti che fossero occorsi.

 

                MARIA SANTISSIMA, invocata sempre, e con tanto affetto da Don Bosco, era la sentinella che scongiurava dall'Oratorio le disgrazie. Essa liberò da molte catastrofi i suoi figli, e tutti, in molte circostanze, dissero un prodigio l'opera sua. [863] Eccone un solo. Più volte la caldaia del motore a vapore della tipografia avrebbe dovuto scoppiare e mandare all'aria tutto il fabbricato coi giovani che dormivano nei cameroni sovrastanti.

                La macchina era garantita per la pressione di sole quattro atmosfere, e il manometro certe mattine ne segnava otto. Il macchinista andava tremando ad aprir le valvole, perchè temeva imminente lo scoppio; e si meravigliava che questo non fosse ancora accaduto.

                E i tipografi, lodando Maria, continuavano senza disturbo i loro lavori per la diffusione dei buoni libri. In febbraio era uscito l'opuscolo delle Letture Cattoliche: La parola della Croce, ossia nozioni storiche, dogmatiche e morali, intorno alla croce di N. S. Gesù Cristo, pel P. Carlo Filippo da Poirino, Sacerdote cappuccino. Sul frontispizio si leggeva Verbum Crucis) I. Corint. I). Il buon frate argomenta anche contro i protestanti che bestemmiano contro la Croce, le sue reliquie, il suo culto, la sua erezione nelle piazze, nelle strade, e sul culmine delle chiese; e che la facevano a pezzi ovunque si estendevano le loro sétte; descrive i miracoli operati dalla Santa Croce e le sue meravigliose apparizioni in cielo al cospetto delle moltitudini.

                Pel mese di marzo e di aprile gli associati alle dette Letture avevano ricevuto: Emilio Defaix, ossia il modello degli artigiani; storia vera, seguita dai consigli di un amico sincero, diretti ai giovani artigiani, dell'Abate Richaudeau; versione del Sac. Pietro Bazzetti. Il giovane Emilio crebbe innocente, perseverò nel bene, schivò i pericoli dell'anima per le cure di una madre veramente cristiana e di un fratello impareggiabile. Morì, come un santo, nell'età di 23 anni dopo diciotto mesi di malattia. Rassegnato negli atroci dolori, lieto di fare la volontà di Dio, aspirando continuamente al paradiso, confortato da qualche visione che ben può dirsi celeste, edificò grandemente quanti lo conoscevano.

                I consigli poi, che l'autore dava ai giovani artigiani, sono [864] di un'ammirabile prudenza ed efficacia a fine di premunirli dalle insidie del mondo, di togliere dal loro animo lo sgomento che produce il rispetto umano, di rassodarli nell'attaccamento e nella fede alla Chiesa Cattolica, e di animarli alla necessaria frequenza di Sacramenti.

                La penna di Don Bosco aveva preparato il fascicolo pel mese di maggio: NOVE GIORNI CONSACRATI A MARIA AUSILIATRICE pel Sac. Giovanni Bosco.

                Il Venerabile diceva al Lettore:

 

                Oltre le operette pubblicate intorno al culto e alle maraviglie di Maria invocata col titolo di Aiuto dei Cristiani, era da molti richiesta una novena, la quale mentre spiegasse lo scopo di questa divozione potesse servire di guida a celebrare divotamente la solennità instituita ad onore di questa augusta Regina del Cielo. Per appagare questi pii desiderii ho procurato qui di esporre nove considerazioni per una novena, la quale, mentre può servire di preparazione alla festa di Maria Aiuto dei cristiani, può egualmente giovare a chi nel corso dell'anno bramasse consacrar nove giorni a questa comune Benefattrice del genere umano.

                Siccome l'associazione dei divoti di Maria Ausiliatrice ha per iscopo di procurare a' suoi soci la speciale protezione di Maria in punto di morte, mercè la divozione verso a Gesù sacramentato e verso alla sua Madre immacolata, così ebbesi cura di trattar gli argomenti e raccogliere quei pii pensieri che a ciò sembrarono più opportuni.

                In quanto poi agli esempi aggiunti a ciascuna considerazione ho giudicato di tacere i nomi delle persone cui si riferiscono, per loro evitare interrogazioni da parte di qualche indiscreto lettore. Ma si citano le fonti da cui sono ricavati, e se ne conserva autentica relazione mascritta per chiunque desiderasse vie meglio appagare la sua divozione.

                In fine poi vi è un'appendice intorno agli statuti della pia associazione dei divoti di Maria, che il sommo Pontefice degnavasi di erigere in Arciconfraternita con Breve del 5 aprile 1870.

                Maria Ausiliatrice, che in questi tempi si manifesta in tanti modi larga benefattrice della povera umanità, aiuti me e aiuti anche te, o cristiano lettore, affinchè possiamo vivere e morire nella grazia del Signore, ed essere tutti un giorno degni di cantar le sue lodi eternamente in cielo. Così sia.

 

                E questo era il Breve del Sommo Pontefice:  [865]

 

PIO PP. IX[42]

A PERPETUA MEMORIA DEL FATTO.

 

                Seguitando la consuetudine dei Romani Pontefici Nostri Predecessori, Noi siamo soliti, secondo il bisogno e l'opportunità, arricchire di particolari favori e privilegi le Società dei fedeli, dirette all'esercizio di opere di cristiana pietà e carità. Pertanto, avendoci il diletto figlio Giovanni Bosco, prete Torinese, esposte umili e calde preghiere di voler benignamente, massime per commodo dei Soci, che dimorano in luoghi lontani dalla Città di Torino, arricchire del titolo di Arciconfraternita e di altri privilegi la Pia Società “dei Divoti di Maria Ausiliatrice”, la quale, già prima canonicamente eretta in Torino nella Chiesa dedicata alla medesima B. M. V. Ausiliatrice, tanto crebbe in poco tempo per la divozione e moltitudine dei Soci che penetrò eziandio in lontane regioni, Noi volemmo di buon grado assecondare i voti del suddetto diletto figlio.

                Per la qual cosa, assolvendo e considerando assolti tutti e singoli quelli cui riguardano queste Lettere, unicamente per tale effetto, da qualunque sentenza di scomunica, di interdetto e da ogni altra censura e pena ecclesiastica, in qualunque modo e per qualsiasi causa inflitta, se mai in alcuna di esse fossero incorsi, con queste nostre lettere erigiamo ed instituiamo in perpetuo per la Nostra Apostolica Autorità la predetta Società dei Divoti di Maria Ausiliatrice, eretta canonicamente, come si afferma, sotto questo medesimo titolo in Torino, nella Chiesa consacrata in onore di Maria Vergine Immacolata, coi favori, preminenze, prerogative, diritti, e privilegi soliti. Inoltre per la [866] medesima Nostra Autorità e colle presenti Lettere concediamo ai Rettori e Confratelli dell'Arciconfraternita così eretta, presenti e futuri che, osservata la Costituzione di Clemente VIII, Nostro Predecessore, di veneranda memoria, già pubblicata per l'addietro, possano liberamente e lecitamente aggregarsi altre Società del medesimo titolo ed istituto, che sono canonicamente istituite nella sola diocesi di Torino, ed a quelle comunicare tutte le Indulgenze, remissioni di peccati, e condoni di penitenze concesse da questa Santa Apostolica Sede alla Società da Noi ora eretta ad Arciconfraternita, e tutte le altre comunicabili. E decretiamo che queste Nostre Lettere siano stabili, valide ed efficaci ora e sempre, ed abbiano pieno e totale effetto; e che giovino ampiamente a quelli cui riguardano o riguarderanno quando che sia; che nelle cose sopraddette debbano giudicare e definire così tutti i giudici Ordinari e delegati, ed eziandio gli Uditori di Cause del Palazzo Apostolico; e che sia vano ed inutile il giudizio se mai avvenga che alcuno di qualunque autorità, scientemente o per ignoranza, giudichi diversamente in queste cose.

                Non ostanti le Costituzioni ed Ordinazioni Apostoliche, e le regole e consuetudini di detta Società, anche per giuramento, approvazione apostolica od altro qualunque modo confermate, e qualunque determinazione in contrario.

 

                Dato in Roma, presso S. Pietro, sotto l'Anello del Pescatore, addì 5 aprile 1870, del Nostro Pontificato l'Anno ventesimo quarto.

Pel Card. PARACCIANI CLARELLI

F. Profili., sostituto. [867]

 

                Le trattative per aprire la desiderata casa in Roma dovevano discutersi definitivamente in questi giorni e il Venerabile, cui stava tanto a cuore questa cosa, scriveva a Lanzo, quanto scrisse forse anche alle altre case:

 

 

                               Carissimo D. Lemoyne,

 

                Venerdì prossimo si tratta a Roma l'affare della nostra Chiesa di S. Giovanni della Pigna. In quel giorno raccomanda il digiuno della Società per quelli che possono farlo senza incomodo. I preti mettano un'intenzione particolare nella Santa Messa, gli altri facciano la Comunione. Dimandiamo che Dio disponga, siccome egli prevede che sarà della sua maggior gloria.

                Credo che D. Pestarino aspetti D. Bodratto per Domenica. Passando per Torino, si ricordi che ho qualche cosa da dargli. Io ci andrò lunedì.

                Vo studiando il modo di una gita di tutto il Collegio di Lanzo alla Festa di Maria Ausiliatrice. Ci parleremo e vedremo quanto è fattibile.

                Porta tutte le tue sollecitudini sopra gli aspiranti alla società, e sopra quelli che sembrano in grado di subire gli esami elementari o ginnasiali.

                Se Scaravelli è in libertà, mandalo un paio di giorni a Torino per fare gli indirizzi agli aggregati dei divoti di Maria Ausiliatrice.

                Dio benedica te e tutti i tuoi. Un caro saluto ed un evviva a tutti. Amen.

Aff.mo in G. G.

Sac. Giov. Bosco.

 

                S. P. - La vita di Mazzarello è alla Tipografia.

 

                Don Bosco era dunque aspettato a Mornese.

                Don Giuseppe Pestarino, nipote di Don Domenico Pestarino, era stato ordinato sacerdote il sabato santo, che cadeva nel giorno 16 aprile. Ma desiderando lo zio che egli celebrasse la sua prima messa in Mornese l'8 maggio, terza domenica dopo Pasqua, festa del patrocinio di S. Giuseppe, il nipote si fermò in Acqui presso il Can. Olivieri, allora arciprete della Cattedrale, e non ritornò a Mornese che il sabato precedente la terza Domenica dopo Pasqua, e celebrò la prima messa solennemente nella cappella del collegio. In questa occasione il notaio Antonio Traverso fece stampare e lesse una [868] sua bella poesia. Le feste durarono tre giorni. Don Bosco arrivò nel mattino del secondo giorno, 9 maggio, accompagnato da D. Giacomo Costamagna. Questi ci narrò che al pranzo sedevano una ventina di parroci e di sacerdoti. Al comparire sulla tavola più specie di frutta matura e magnifica all'aspetto, alcuno dei commensali domandò scherzando se in paradiso vi fossero cibi così gustosi. E Don Bosco entrò a parlare del paradiso, disse che i sensi di un corpo glorificato avrebbero avuto un premio ineffabile, addattato alla loro nuova condizione; al solennissimo convito apprestato dal Signore ai suoi eletti, li avrebbe egli stesso serviti di celesti vivande. E citando le Sacre Scritture espose verità così profonde e ad un tempo così attraenti, che que' sacerdoti, dimenticando i cibi posti loro innanzi, stavano ad ascoltarlo, estatici, commossi, a mani giunte, come se udissero a parlare l'angelo del Signore.

                Della sua andata a Mornese e dell'esito delle trattative per la Casa di Roma abbiam cenno in altra lettera, dalla quale traspira tutta la riconoscenza e la stima che egli nutriva per la nobile Contessa Callori, alla quale è diretta, e la confidenza quasi filiale che Don Bosco aveva con lei:

 

 

                               Benemerita sig. Contessa,

 

                La sua lettera mi venne a raggiungere in Mornese, che è il paradiso terrestre della provincia Acquese. Ella abbonda in bontà e carità ed io la ringrazio. Il mio viaggio fu ottimo. Cessazione dalle ordinarie occupazioni, un po' più di riposo, buoni pranzi, mi hanno fatto benissimo, al corpo s'intende.

                La ringrazio di tutta la carità che mi ha fatto e che mi fa: mi adoprerò che l'opera sua frutti il centuplo coram Deo et coram hominibus. Ai primi di giugno comincierò la Storia Ecclesiastica, o meglio se ne comincierà la stampa, essendo compiuto il lavoro.

                Le mando unito un biglietto pel benevolo Cav. Giacosa. È la prima volta che raccomando un parente; glielo aveva promesso come premio e lo fo perchè lo ha guadagnato. Semplice raccomandazione e non altro.

                Abbia la bontà di salutare e ringraziare questo pio e caritatevole Signore da parte mia.

                Di questa settimana passerò dalla nota persona, e chi sa che in [869] onore di Maria Ausiliatrice non si risolva a qualche generosa azione. In queste cose la Contessa Callori è unica. Se potrò andare a Mirabello, la preverrò e farò certamente una stazione a sua casa.

                L'altro ieri si tenne seduta a Roma riguardo alla Chiesa di San Giovanni della Pigna. Il risultato fu per noi; forse dovrò fare una corsa a Roma; oggi ho scritto per vedere se posso farne a meno o almeno differire.

                Martedì non sono a Torino: vi sono per gli altri giorni al 24, giorno sacro a Maria Ausiliatrice Non verrà a farci una visita? Faremo festa di 1ª classe. Oggi è cominciata la novella. Ogni giorno si dirà secondo sua intenzione una messa all'altare di Maria Ausiliatrice. Ma per oggetto principale intendo la perfetta e stabile guarigione della virtuosa damigella Vittoria.

                Dio benedica Lei, il sig. Conte e tutta la sua famiglia; preghi per me che con gratitudine mi professo,

                Di V. S. B.

 

                Torino, 1, 5 maggio 1870,

Obbl.mo Servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

                La novena di Maria Ausiliatrice metteva in moto tutto l'Oratorio. S'era stampato l'invito sacro coll'Orario della novena e della festa, distribuendone 800 copie. L'invito recava pure il seguente avviso: “Chi desiderasse farsi iscrivere nell'Associazione di Maria Ausiliatrice si rechi in sagrestia, dove troverà persona appositamente incaricata. La limosina che gli aggregati giudicheranno di fare, in quest'anno è destinata a pagare l'organo già costrutto e in via di collocamento nella Chiesa dell'Associazione”.

                Si dovevano mettere tre nuove piccole campane sul campanile, le quali colle altre cinque avrebbero formato un concerto in mi bemolle, per suonare arie di musica ed anche canzoni sacre e marce festose.

                Mentre si preparava il buffet e si allestivano i banchi per la fiera e le illuminazioni, i musici si esercitavano nei canti e nei suoni. D. Cagliero il giorno 22, domenica, faceva eseguire dai giovani e dai maestri della città da lui invitati, la prova generale della messa, dei vespri, e del suo nuovo inno Saepedum Christi. A questo fine egli aveva diramato, agli intelligenti ed ai benefattori, un invito a stampa. [870] Il Venerabile, coadiuvato dalle figliuole di distinte famiglie, aveva fatto una piccola lotteria di un quadro elegante, della grandezza di metri 1, 20 per centim. 95, che rappresentava l'Episcopato Italiano vivente. Cadun biglietto valeva cent. 50. Chi ne acquistava 10, riceveva in dono una copia in fotografia del suddetto quadro, della grandezza di cent. 2, 5 per 21. I biglietti oltrepassarono i mille. Il quadro venne esposto nell'Oratorio. Smerciati i biglietti, si pubblicò nell'Unità Cattolica il numero vincitore.

                Pieno di riconoscenza per le sue giovani benefattrici, D. Bosco faceva stampare 400 copie della seguente circolare, alla quale volle dare larga diffusione.

 

 

Maggio 1870.

 

                               Benemerita Damigella,

 

                Per dare un segno di gratitudine verso alle benemerite Signorine che promossero la piccola lotteria a favore della Chiesa di Maria Ausiliatrice, ho divisato di celebrare la Santa Messa secondo la pia loro intenzione il giorno 23 del corrente mese, alle ore 9 del mattino. Se ella può intervenire, ne la invito rispettosamente.

                Dopo la messa, se non la disturba a passare in Sagrestia, le sarà offerta una piccola immagine di Maria Ausiliatrice.

                Dio la benedica e le conceda lunghi anni di vita felice, mentre con verace riconoscenza ho l'onore di professarmi,

                Di V. S. B.,

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Come è bella la riconoscenza dei santi!

                E venne il gran giorno del 24, così descritto dall'Unità Cattolica del martedì 31 maggio.

 

                Con vero piacere abbiamo assistito alla festa celebrata in Torino nel tempio sacro a Maria Ausiliatrice. Fu un vero trionfo religioso. Folla immensa di cittadini e di forestieri. Dalle quattro del mattino all'una pomeridiana la Santa Eucaristia venne quasi senza interruzione dispensata ai divoti da due sacri ministri. Bellissima la musica: ma l'inno di D. Cagliero, che ricorda la famosa battaglia di Lepanto, superò la pubblica aspettazione. Se ne era sparsa voce e molti cittadini avevano chiusi i loro negozi per intervenirvi. Erano le sei di sera; non meno di diecimila uditori stipavano la spaziosa chiesa, mentre [871] un numero stragrande stava di fuori. Il suono, i bassi, i tenori, le parti obbligate, i cori, i soprani, i contralti e le voci reali erano in modo intrecciate, che, se da un lato pareva dramma guerresco, dall'altro rappresentava al vivo le glorie di Maria nella famosa vittoria di Lepanto, come sta letteralmente descritta nell'inno della solennità. Ci piacque in tutte le sue parti, massime il delizioso quartetto a contralti: Virgines castae puerique puri, ecc. Durò quaranta minuti, ma parve un momento. Da più parti si fanno istanze perchè quest'atto musicale sia ripetuto. Splendido e divoto il Tantum ergo, cantato a basso, tenori, con 300 soprani dalla cupola. Chiudeva la bella giornata un'amenissima evoluzione di fuochi di bengala, anche in forma di battaglia, eseguita nel cortile dello stabilimento. Priori di questa festa erano il conte e la contessa Giriodi di Monasterolo.

 

                Fu pure grande solennità il giorno 26, sacro all'Ascensione del Signore; e in quel mattino si ebbe nuova prova dell'efficacia delle benedizioni di Don Bosco.

                Il giovane Pietro Marchino faceva nell'Oratorio il corso di 2ª ginnasiale e nel mese di maggio era assalito da una febbre violenta, sicchè, nella domenica che precedeva la festa dell'Ascensione, a stento potè stare in chiesa sino alla fine. Si mise in letto; la sera il medico gli ordinò la china, ma il male, indebolendosi per un istante, ripigliava ben presto la sua forza. Il giorno dell'Ascensione, il giovanetto vedendo che non migliorava, senza dir nulla a nessuno scese dal letto, si vestì e uscito dall'infermeria andò nella sagrestia della Chiesa, ove Don Bosco stava per vestirsi dei paramenti sacri e andare a celebrare la S. Messa. Marchino gli si avvicinò e gli disse: Ah! Don Bosco ho la febbre, mi benedica. - Don Bosco lo guardò affettuosamente e gli disse: - Vado a celebrare la S. Messa e, questa finita, ti darò la benedizione che dimandi. - Marchino prese il messale per servire la S. Messa. D. Bosco si mise l'amitto, ma poi togliendoselo: - No, disse, la benedizione, mio caro Marchino, te la darò prima della messa; prendila adesso. Inginocchiati. - Marchino s'inginocchiò, Don Bosco lo benedisse e tosto il giovane, sentendosi sgravato come di un grosso peso sul petto, servì la messa e non ebbe più febbre. Così testificava il graziato, divenuto sacerdote. [872] Finite le feste di Maria Ausiliatrice, Don Rua, secondo l'usanza degli anni scorsi, radunò tutti coloro a quali era stata assegnata in queste qualche parte direttiva. Ciascuno espose ciò che aveva visto d'inconveniente o suggerì migliori provvedimenti per l'anno venturo. Di tutto si estese apposito verbale da leggersi pochi giorni prima del 24 maggio 1871. Simili conferenze si facevano in tutte le occasioni straordinarie, che sembravano alterare l'abituale vita dell'Oratorio, e di tutto si teneva memoria nel Quaderno dell'esperienza, che era il segreto per far le cose con ordine.

 

 

CAPO LXIX. Il popolo cristiano domanda ai Padri del Concilio che San Giuseppe venga proclamato Principale Patrono della Chiesa - Letture Cattoliche: Storia del culto di S. Giuseppe - Don Bosco va ad Alassio: Convenzione col Municipio - Atto di umiltà in una lettera all'Arcivescovo di Urbino - Scrive al Direttore di Mirabello: non potendo ottener l'optime contentiamoci del mediocre: umiliamoci e preghiamo; aspetta quaderni della Storia Ecclesiastica; ha quaranta domande per fondazione di case - Altra sua lettera alla Contessa Callori: la Storia Ecclesiastica presto sarà messa in corso di stampa: si tratta di traslocare il Collegio di Mirabello a Borgo S. Martino: motivi di questo trasloco - Altra a D. Bonetti: gli annunzia essere conchiuso il contratto col Marchese Scarampi per la compra del suo palazzo a Borgo S. Martino: la cronologia nella Storia Ecclesiastica: essendo Don Rua alquanto incomodato, lo manderà a Mirabello: chiede a que' giovani che facciano una comunione per lui, aborriscano i discorsi cattivi - Accademia musicale nell'Oratorio per le spese dell'organo - Invito di Don Bosco ai distributori dei biglietti per l'accademia a fare il versamento delle somme raccolte - Don Bosco e il progetto della Chiesa di San Giovanni Evangelista a Porta Nuova: suo biglietto di ringraziamento ad un generoso oblatore - Offerte dei figli di Don Bosco per denaro di S. Pietro - La festa di S. Giovanni Battista: prime dimostrazioni degli antichi [874] allievi costituiti in Commissione - Don Bosco predice che un chierico ridotto agli estremi non morrà.

 

                DON Bosco amava molto S. Giuseppe, ed aveva una grande fiducia nel suo patrocinio. Un numero grande di prelati, tutti i superiori generali degli ordini religiosi, i fedeli con 140.000 firme, avevano chiesto ai Padri del Concilio Vaticano che S. Giuseppe, Sposo di Maria SS.ma, venisse dichiarato patrono principale della Chiesa Universale. Il Servo di Dio, secondando questo religioso movimento, aveva incaricato il Padre Gobio a scrivere un opuscolo in lode del S. Patriarca, e il fascicolo usciva nelle Letture Cattoliche nel mese di giugno col titolo: Storia del Culto di S. Giuseppe, Sposo di Maria Vergine, del P. Innocenzo Gobio, C. R. Barnabita.

                L'autore ricava dai Vangeli notizie biografiche; poi tratta del culto di questo augusto Patriarca nei primi sette secoli della Chiesa e dal secolo VIII fino al secolo XIX, e del suo incremento meraviglioso fino al 1870. Conclude con un suo ragionamento sulle glorie dello Sposo di Maria SS.

                Il Venerabile negli ultimi giorni di maggio andò ad Alassio, accompagnato da D. Rua, ove era aspettato per concludere la convenzione pel collegio - convitto e per le scuole della città. L'idea dell'ospizio era stata mezza da parte, quantunque Don Bosco pensasse di stabilirvi un piccol numero di artigiani, qualche falegname, sarto e calzolaio, in servizio dell'istituto. Il viaggio era penoso, poichè la ferrovia si fermava a Savona e il viaggiatore doveva proseguire in carrozza fino ad Alassio. Don Bosco non badò a tale incomodo, premendogli di contentare il vescovo Mons. Raffaele Biale, che da mesi insisteva per avere i Salesiani in diocesi. Il buon parroco di Alassio lo aspettava a braccia aperte, con lui altri preti, e tra questi il Can. Francesco Ampugnani, che si offerse ad aiutarlo in tutto ciò che avrebbe potuto per quella fondazione. Don Bosco e Don Rua furono ospiti dal Prev. Della Valle. [875] Il Municipio si radunò, e tra la Giunta e Don Bosco si stipulò felicemente la convenzione, di cui abbiamo copia autenticata.

 

CONVENZIONE TRA LA GIUNTA MUNICIPALE E IL REV.DO DON GIOVANNI BOSCO PER L'APERTURA DI UN COLLEGIO - CONVITTO.

 

                L'anno del Signore mille ottocento settanta, addì primo del mese di giugno, in Alassio, e nella sala consolare.

                Sono presenti li signori: 1° Brea P. Lazzaro, Sindaco e Presidente; 2° Morteo Conte G. Batta; 3° Biancardi Francesco, coll'intervento del rev.do Don Giovanni Bosco.

                Congregata come sopra la Giunta Municipale, il Presidente espone che l'oggetto della presente adunanza tende ad attuare il progetto di convenzione relativo all'apertura d'un Collegio - Convitto in questa città di Alassio, progetto fatto dal Rev.do Sacerdote Giovanni Bosco, già deliberato da questo Consiglio per suo ordinato del due dicembre mille ottocento sessantanove, ed approvato dal Consiglio scolastico della Provincia di Genova per suo Decreto del 30 marzo 1870. Invita quindi la summentovata Giunta ad addivenire ad un tale atto.

                E la Giunta Municipale:

                Seguendo il fattole invito, e visto l'ordinato di citi sopra col relativo Decreto;

                Dopo aver concertato col prelodato Don Bosco in ordine al detto progetto alcune aggiunte e soppressioni favorevoli al Municipio, non chè alcune dilucidazioni, che rendevansi opportune;

                Ritenuto il disposto dell'art. 93, n. 4, della legge comunale;

                Unanime addiviene collo stesso Don Bosco alla convenzione che segue:

                Art. 1°. - Il Sacerdote Giovanni Bosco si obbliga per sè e suoi eredi di aprire un Collegio Convitto in questa città di Alassio, e di somministrare l'istruzione classica ginnasiale, ed elementare tanto ai giovanetti cittadini, quanto ai forestieri che ci volessero prendere parte.

                Art. 2°. - Il medesimo sacerdote Bosco provvederà cinque distinti maestri per le classi elementari muniti delle relative patenti, e provvederà pure insegnanti idonei, ed in numero sufficiente, per le cinque classi ginnasiali.

                Oltre di che provvederà il corso tecnico coll'insegnamento della lingua francese e italiana, della geografia, e dell'aritmetica, ripartito in modo nelle classi ginnasiali che corrisponda a quello che in tali rami scientifici vien dato nel corso tecnico e classico, senza che il Sacerdote Bosco sia obbligato ad aggiungere altri maestri, oltre a quelli stabiliti per le classi del ginnasio.

                Art. 3°. - L'istruzione delle classi elementari e ginnasiali sarà [876] fatta secondo le leggi, e la disciplina stabilita dai programmi del Ministero per la pubblica istruzione.

                Art. 4°. - Tutte le spese del suppellettile pel convitto saranno a carico del Sacerdote Bosco. Il Municipio per altro, come proprietario ed in conformità al prescritto dall'art. 1604 del Codice Civile Italiano, si obbliga:

                1° A tutte le riparazioni che sono necessarie all'uso ed alla conservazione dell'edificio, e dei locali annessi.

                2° A provvedere e mantenere nelle scuole, tanto elementari che ginnasiali, la suppellettile e le altre cose necessarie delle quali ne conserva la proprietà.

                Art. 5°. - Il Municipio si obbliga di pagare al Sacerdote Bosco Giovanni pel personale insegnante delle scuole elementari e ginnasiali fino alle due Rettoriche inclusive, che resterà a suo carico, annue lire novemila, oltre la cessione a di lui favore del provento minervale di cui è cenno più sotto.

                Art. 6°. - Il Municipio si obbliga inoltre di corrispondere allo stesso Sacerdote Bosco un premio di lire duemila per anni cinque per le spese, si di primo impianto, che successivo mantenimento del Convitto.

                Art. 7°. - Il presente contratto avrà la durata d'anni cinque e si intenderà rinnovato, ove da una parte non sia data disdetta cinque anni prima.

                Accadendo che per forza maggiore dovesse sciogliersi il contratto, entro il primo quinquennio, il Municipio non sarà più tenuto a pagare alcuna annualità, nè corrisponsione di premio negli anni successivi.

                Art. 8°. - Verificandosi il caso che venisse aperto un collegio provinciale in Alassio, il sacerdote Bosco si obbliga di portare il Ginnasio Municipale al numero delle classi ginnasiali, ed anche liceali, prescritte dalle leggi, previa la debita intelligenza col Consiglio Provinciale competente.

                Art. 9°. - Il Municipio concede in modo provvisorio al Sacerdote Don Bosco l'uso del locale dell'attuale collegio per le scuole sopra stabilite, e pel convitto il Palazzo Durante col cortile e piccolo giardino annesso.

                Qualora poi questo edifizio venisse definitivamente fissato pel Convitto e Scuole, il Municipio concederebbe altresì il giardino attualmente condotto da Giovanni Schivo, attiguo al detto edifizio.

                Art. 10°. - Per le classi ginnasiali resta stabilito, d'accordo delle parti, una minervale secondo le leggi sull'insegnamento da imporsi agli alunni, designata dal Sacerdote Bosco; cioè per le due Rettoriche il maximum non potrà eccedere le lire trenta, e per le grammatiche le lire ventiquattro.

                Gli alunni Alassini poi godranno di una riduzione, cioè il maximum [877] per le due Rettoriche si fissa in lire venti, e per le grammatiche in lire sedici. Gli alunni poveri, tali riconosciuti dalla Giunta Municipale, ne sono esenti.

                Il Municipio ne curerà l'esazione, mediante apposito ruolo per mezzo dell'Esattore.

                I Convittori del Collegio, e indistintamente tutti gli Allievi delle classi elementari, andranno esenti dal Minervale.

                Art. 11°. - Si dichiara lecito a tutti gli alunni esterni di frequentare i singoli rami d'insegnamento che si darà ai Convittori, con che si uniformino alla disciplina ed agli orari in ciascuna classe.

                Art. 12°. - Pei provvedimenti che riguardano alla moralità ed alla istruzione religiosa, il Municipio si rimette alla prudenza del Sacerdote Bosco, e del sig. Parroco del distretto in cui trovasi il Collegio.

                Art. 13°. - La Direzione e l'Amministrazione del Collegio Convitto e delle scuole è totalmente affidata al Sacerdote Bosco, ma colla dipendenza del Delegato Mandamentale, secondo il prescritto dalle vigenti leggi per la pubblica istruzione.

                Egli però accetterà colla massima gratitudine qualunque avviso o consiglio che il Sindaco, e i signori del Municipio giudicassero necessarii pel vantaggio scientifico, morale, e sanitario della località delle scuole, e degli Allievi che ivi intervengono, di quali cose però si tratterrà col Sacerdote Bosco, o con chi lo rappresenta nel Collegio Convitto di Alassio.

                Art. 14°. - Le scuole saranno aperte al principio dell'anno scolastico 1870 in 1871.

                Del che si è redatto il presente verbale, al quale, precedente lettura e conferma, si sottoscrivono.

Sac. GIOVANNI BOSCO.

B. L. BREA Presidente.

G. B. MORTEO Ass. Anz.

G. B. ARMATO, Segretario.

                V. - Si approva.

 

                Genova 20 giugno 1870,

Il Prefetto Presidente del Consiglio P. S.

E. MAYR.

 

                Registrato in Alassio, il primo luglio 1870, al Reg. 7 foglio 67 N. 458, col diritto pagato di lire centocinquant'una, e centesimi ottanta, come da ricevuta sottoscritta.

 

 

                MORANDO Ricevitore.

                Per copia conforme, ad uso d'ufficio

 

                Alassio, li 6 luglio 1870,

Il Segretario Comunale

B. G. ARMATO. [878]

 

                Conchiuso il contratto, Don Bosco partiva, fermandosi ad Albenga, per visitare il Vescovo che lo accolse con grande festa e ringraziamenti.

                Ritornato a Torino, dava novella prova della sua umiltà rispondendo ad alcuni apprezzamenti ed osservazioni che l'insegnante di Storia Ecclesiastica nel Seminario di Urbino avevagli, a mezzo del suo Arcivescovo, fatto pervenire riguardo alla sua Storia Ecclesiastica.

 

3 giugno 1870,

 

                               Eccellenza Reverendissima,

 

                Non so se abbia risposto ad una lettera con grande cortesia scrittami alcuni mesi addietro. Siccome essa fu trovata senza segno di risposta, così io compio, o rinnovo, un mio dovere.

                Ho pertanto ricevuta una lettera di V. E. Rev.ma che racchiudeva alcune osservazioni sulla piccola Storia Ecclesiastica testè pubblicata.

                Tali osservazioni mi fecero grande piacere, e ne terrò conto nella prossima edizione.

                Anzi se mai, o quel medesimo professore, o qualche altra persona incontrasse qualche cosa in questo od in altro mio scritto che gli sembrasse dovesse correggersi, o potersi semplicemente migliorare, l'avrò come un favore e sarà un servizio grande che presta alla verità della storia, facendomelo pervenire.

                Non so se V. E. non abbia occasione di passare qualche volta in questa città, ma ove ciò accadesse, mi farebbe un grande onore facendoci una visita e considerando come sua questa povera casa.

                Pregandola di ringraziare da parte mia il mentovato sig. Professore, chiedo, umilmente la sua santa benedizione e con gratitudine mi professo

                Della E. V. Rev.ma

Obb l.mo Servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

                Altra lettera, preziosissima, scriveva al Direttore di Mirabello approvando il suo zelo illuminato e discreto nell'educare gli allievi, e chiedendo il diploma di Don Cerruti, che in cuor suo aveva già destinato alla direzione di Alassio.

 

 

                               Carissimo Don Bonetti,

 

                Sono pienamente d'accordo con te. L'optime è quanto cerchiamo, ma pur troppo dobbiamo contentarci del mediocre in mezzo a molto [879] male. I tempi sono tali. Ciò nulladimeno i risultati finora ottenuti devono soddisfarci. Umiliamoci davanti a Dio, riconosciamo tutto da lui, preghiamo, e specialmente nella Santa Messa, all'elevazione dell'ostia, raccomanda te, le tue fatiche, i tuoi figli. Non mancheremo poi a suo tempo di prendere quelle norme che potranno contribuire ad aumentare il numero delle vocazioni: ma intanto lavoro, fede, preghiera.

                Madama Rua di qualche cosa ti parlerà riguardo alla direttrice della biancheria. Presto ci rivedremo.

                Mandami dei quaderni sulla Storia Ecclesiastica.

                Don Cerruti mi mandi, quando possa, il suo diploma, e digli da parte mia che stia allegro molto, ma che si faccia buono. Saluta Giulio con tutti gli altri amici.

                Dio vi benedica tutti, prega per me che ti sono

 

                Torino, 6 giugno 1870.

Aff.mo in C. G.

Sac. Giov. Bosco.

 

                S. P. Al giorno d'oggi abbiamo quaranta richieste per aprire case di Collegi, Seminari ecc. con buone proposte. Che messe copiosa!

 

                Il piccolo Seminario di Mirabello stava per essere trasferito a Borgo S. Martino. Don Bosco, delicatamente, ne informava la Contessa Callori.

 

 

                               Benemerita signora Contessa,

 

                Io mi trovo debitore di più lettere. Ho ricevuto il danaro di fr. mille, che nella sua carità inviava per la Storia Ecclesiastica, che non altro manca che il canone dell'infallibilità per mettersi in corso di stampa.

                Ho pure ricevuto il danaro inviatomi pei biglietti della piccola lotteria, coi biglietti che le furono spediti oltre i richiesti.

                Dio pagherà tutto e di tutto. Amen.

                Una notizia strana è quella che sono per darle; si tratta di trasferire il Seminario di Mirabello al Borgo S. Martino nel palazzo del Marchese Scarampi.

                Le ragioni sarebbero: locale adatto per ricreazione, giardino di cucina, vicinanza alla ferrovia, locale grande e spazioso da comprarsi.

                In Mirabello freddezza ghiacciale nel paese; edificio quasi senza sito di ricreazione, perciò non molto salubre; lontananza dalla ferrovia.

                Per completare il locale attuale da poter continuare, compresa una cappella, dovevamo eccedere la spesa di centoventimila franchi. Nel nuovo acquisto vi sarebbe la spesa di 114.000 fr. ma con quindici giornate di terreno, dove si può fare taglio di piante per franchi non [880] meno di 20.000. Siccome Mirabello cominciò sotto ai suoi auspicii, così non voglio conchiudere nulla senza il suo parere.

                Noti bene che con questa lettera non intendo invitarla a darmi danaro. La ringrazio di quello che ha fatto e per ora vedrò di non disturbarla, attesi i molti modi e le molte volte che ho in passato e testè goduto della sua carità.

                Che il Signore la benedica, Signora Contessa, e con Lei benedica tutta la sua famiglia e a tutti conceda sanità veramente stabile, a tutti lunghi anni di vita felice e il prezioso dono della perseveranza nel bene.

                Raccomando anche l'anima mia alla carità delle sue preghiere e mi professo,

                Di V. S. B.,

 

                Torino, 16 giugno 1870,

Obbl.mo Servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

                Ne dava pure il desiderato annunzio a D. Bonetti.

 

 

                               Carissimo D. Bonetti,

 

                Il contratto è definitivamente conchiuso a 114, 000 lire... Giardino, bosco, l'orto a fianco dell'edifizio e la mobiglia non di lusso sono per noi. L'istrumento deve farsi al più tardi ai primi del prossimo agosto. In rogito non meno di 25 mila franchi. Ora bisogna che ci adoperiamo per aver danaro. Parla un po' con Vincenzo Provera per sentire da lui se mai avessero qualche somma disponibile. Se tu potessi mettere insieme diecimila franchi, pel resto ci penso io stesso.

                Mi sono dimenticato di parlarti della Storia Ecclesiastica. Vanno bene le cose notate nel quaderno inviatomi, ma riguardo alla cronologia bisogna sapere se è tenuta da qualche autore di gran credito: altrimenti è meglio tenerci a quella del Baronio, che è comunemente seguita dagli italiani. Parlane a Don Cerruti e mi dirai poi qualche cosa. Abbiamo Don Rua un po' incomodato. Forse lunedì te lo mando, perchè me lo faccia star bene.

                Di' così ai tuoi figli: Don Bosco vi ama di tutto cuore nel Signore. Nel giorno di S. Giovanni vi raccomanderà in modo particolare nella santa Messa. Non potendo quel giorno venire tra voi vi promette un festino la prima volta che andrà a farvi una visita. Da loro dimando un'opera di carità: che facciano la loro comunione secondo la mia intenzione, affinchè mi possa salvare l'anima. L'altra grazia che domando per amor del Signore, si è un impegno speciale nel fuggire, evitare impedire i cattivi discorsi.

                Dio vi benedica tutti e vi conservi per la via del cielo. Amen.

 

                Torino, 16 giugno 1870.

Aff.mo in G. G.

Sac. Giov. Bosco. [881]

 

                Mentre Don Bosco impegnavasi in spese tanto straordinarie avvicinavasi il tempo di pagare i fabbricanti del magnifico organo nella Chiesa di Maria Ausiliatrice, i fratelli Lingiardi di Pavia. A questo fine il Servo di Dio aveva ideata una grandiosa accademia musicale con orchestra completa. Una Commissione di nobili giovani, aiutata da alcuni dei principali commercianti della città, fu incaricata della vendita dei biglietti d'ingresso al cortile dell'Oratorio. Il prezzo di ogni biglietto era fissato a lire 2. E si era stampato il seguente invito:

 

 

Torino, giugno 1870.

 

                               Ill.mo Signore,

 

                I Filarmonici dell'Oratorio di San Francesco di Sales con una scelta di maestri e di dilettanti di questa città, nel desiderio di concorrere alle spese dell'organo in via di collocamento nella chiesa dedicata a Maria Ausiliatrice, hanno divisato di dare un trattenimento di beneficenza il 17 corrente mese dalle 7 alle 9 di sera, in cui saranno eseguiti:

                1° Omaggio agli spettatori con alcuni Concerti, a cori e parti obbligate.

                2° La Notte e il giorno del M. ° Giovanni De - Vecchi, scena fantastica, in cui con nuovo genere di strumenti è rappresentato il sonno, cui fan contrappunto il gufo, l'usignuolo. Seguono parecchi intrecci, tra i quali la partenza e l'arrivo del vapore, che nelle prove fatte riportò ben meritati applausi.

                3° La Battaglia di Lepanto - ipotiposi musicale - sopra l'inno di Maria Ausiliatrice, posto in musica a grande orchestra dal Sac. Cagliero. Fu già eseguita nel 24 maggio, testè decorso, con generale soddisfazione e con vive richieste perchè venga ripetuta.

                Sono persuaso che V. S. vorrà gradire la rispettosa proposta e porgermi benefica mano a spacciare quel numero di biglietti che le tornerà possibile senza troppo di Lei incomodo.

                Un Comitato di nobili e benemeriti signorini si assume lo spaccio de' biglietti e la direzione della serata.

                Dio le conceda ogni bene; e mi creda con gratitudine,

                Di V. S. Ill.ma,

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

                Nel giorno fissato splendida riuscì l'accademia e numeroso [882] fu il concorso dei cittadini. Era stato invitato ad assistervi il Sindaco di Torino, il Conte Masino di Valperga.

                Alcuni giorni dopo, essendo stati molti i venditori dei biglietti, per dar sesto ai conti col prodotto dell'accademia, Doti Bosco indirizzava loro una cortese letterina:

 

 

                               Benemerito Signore,

 

                Nella serata musicale del 17 passato giugno si affidò lo spaccio dei biglietti a parecchie persone senza tenere nota esatta del danaro incassato e dei biglietti ritornati. Ora, premendo di raccogliere il frutto di quel trattenimento, prego V. S. Benemerita che nel modo più agevole voglia farlo pervenire allo scrivente, purchè non l'abbia ancora per altra via trasmesso.

                In ogni caso la prego di gradire gli atti della profonda mia gratitudine, con cui le auguro ogni celeste benedizione e mi professo

                Di V. S. B.

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

                P. S. - Biglietti spediti N……a fr. 2 caduno.

 

                Per quanto poteva Don Bosco non lasciava mai un affare incompleto. Non trascurava le piccole somme, perchè unite insieme poteano metterlo in grado di soddisfare giornalmente a qualche impegno. Abbiamo visto quante imprese aveva per mano, di quanto denaro abbisognava, eppure il suo zelo gli suggeriva quei giorni di cominciare le pratiche per la costruzione della gran Chiesa che occupasse l'area della primitiva cappella di S. Luigi a Porta Nuova, della sagrestia e della piccola casa del portinaio di quell'Oratorio.

                Quella regione, a mezzodì di Torino, si erasi coperta di molti fabbricati e per la lunghezza di circa tre chilomettri più migliaia di fedeli mancavano di una chiesa pel compimento dei doveri religiosi. Don Bosco aveva pensato a provvedere con tal mezzo ai loro bisogni spirituali, ma non era questo l'unico suo scopo. Intendeva soprattutto di porre un argine alla propaganda protestante che in quelle parti, come già sappiamo, adoperava ogni artifizio per sedurre i cattolici, attirando gli [883] adulti al tempio Valdese ed i fanciulli alle scuole ereticali. E la nuova Chiesa Don Bosco aveva deciso di erigerla in onore di S. Giovanni Evangelista, per cui aveva una speciale divozione, esaltandolo nelle conferenze e nelle prediche, specialmente per la purezza dell'animo che l'aveva reso discepolo prediletto di Gesù: Quem diligebat Jesus. Quante volte egli non descrisse la sua visione, di coloro che seguitano l'Agnello, cioè i Vergini!

                Era anche suo scopo, come abbiam detto, di innalzare un monumento perenne all'angelico Pio IX, il cui nome di battesimo era appunto Giovanni.

                Egli adunque in quest'anno aveva, sempre più, fissa in mente questa nuova impresa. Abbiamo la seguente letterina, di cui ignoriamo il destinatario.

 

 

                               Carissimo Sig. Barone,

 

                Ho ricevuto fr, 300 che nella sua carità invia per l'erezione della Chiesa vicino al tempio dei protestanti.

                La ringrazio di tutto cuore e spero che Dio le concederà il centuplo promesso nel Santo Vangelo, centuplo con benedizioni spirituali e temporali, con sanità stabile per Lei e per tutta la sua famiglia.

                Dio benedica Lei e le sue opere e mi creda con profonda gratitudine.

                Di V. S. Carissima,

 

                Torino, 23 giugno 187o,

Obbl.mo Servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

                Contemporaneamente pensava sempre al Papa ed al Concilio Vaticano, ne parlava con affetto agli alunni e prendeva e faceva prendere parte ai suoi preti ad una sottoscrizione che pubblicava l'Unità Cattolica col titolo: Al Papa spogliato gli spogliati sacerdoti d'Italia. Nel numero 21 di giugno si legge:

 

                In omaggio al supremo Pastore della Chiesa, il Sacerdote Giovanni Bosco co' suoi preti dell'Oratorio di San Francesco di Sales in Torino, limosina di due messe ciascuno, lire 24. - Sacerdote Giovanni Bonetti co' suoi preti del piccolo Seminario Vescovile di San Carlo in [884] Mirabello, limosina di due messe ciascuno, lire 8. - Sacerdote Giovanni Lemoyne co' suoi preti del collegio di San Filippo Neri in Lanzo Torinese, limosina di due messe ciascuno, lire 8. - Sacerdote Giovanni Francesia co' suoi preti del collegio della Madonna del Popolo in Cherasco, limosina di due messe ciascuno, lire 8.

 

                E nel numero del 2 giugno era già stato registrato nelle liste del danaro di S. Pietro:

 

                Torino. Alcuni poveri giovani dell'Oratorio di S. Francesco di Sales offrono lire 6.

 

                Col succedersi di tante opere buone tornò anche la festa di S. Giovanni Battista. Per più anni la sera del 23 giugno fu nell'Oratorio il trionfo della riconoscenza, che sentissi il bisogno di rinnovare al 24, pure di sera, per soddisfare al desiderio di molti benefattori. Così si continuò, finchè visse Don Bosco.

                Ben a ragione scriveva Don Griva nel 1898.

                “Chi più di Don Bosco fu da' suoi figli non solo amato, ma lodato? Chi di noi non ricorda questa festa di S. Giovanni, del suo onomastico? Per tutto il tempo che visse, i suoi figli in questa occasione a gara cantavano in mille lingue e in mille modi le glorie del padre loro. E ogni anno non che scemare la stima e l'affetto, ogni anno era apportatore di nuove gioie, di nuove glorie, di nuove manifestazioni da parte dei suoi figli nei primi anni, - poi da parte dei suoi amici di Torino, - poi da parte delle persone più stimate della città, che in qualche modo con lui collaboravano; - poi dal popolo e dal ceto nobile che in questo giorno si riversava ogni anno nei locali dell'Oratorio ad applaudire coi figli di Don Bosco al grande uomo e alle sue grandi opere.”

                Nel 1870 una cara novità rendeva più importante la festa, cioè aveva principio l'annua dimostrazione degli antichi allievi. Alcuni operai, fra i primi educati da Don Bosco, si proposero di festeggiare con alcuni doni e colla loro presenza l'onomastico del Sacerdote che con paterna amorosissima [885] cura li aveva raccolti nella loro giovinezza e guidati pel sentiero della virtù. Come era da presagire il nobile progetto trionfò. Non si tosto se ne sparse la voce, esso venne accolto da ogni parte coi segni della più viva compiacenza e moltissimi, anche sacerdoti, già allievi del Servo di Dio, chiesero negli anni seguenti d'unirsi al piccolo drappello e divennero società numerosa, con a capo una Commissione direttiva.

                Lo spirito, dal quale fu sempre animata, così venne descritto dal Prof. Maranzana, nell'omaggio del 1893.

                “È legge naturale, comune a tutte le famiglie numerose, che i figli più provetti cedano man mano il posto ai loro minori fratelli e vadano a procacciarsi altrove il loro sostentamento. Ma chi è costretto a condurre così la vita lontano dal tetto paterno, per quanto gli arrida la fortuna, per quanto egli sia stimato e ben voluto, pur sente ognora che qualche cosa gli manca e che la sua esistenza è già stata più felice. Il suo pensiero ritorna spesso tra le pareti di quella casa benedetta ove primieramente ebbe coscienza del suo essere, ove provò la prima volta la gioia di essere amato, ove ricevette le prime nozioni di consolanti verità. Il dovere lo tiene lungi da' suoi ma col cuore tende sempre alla mèta desiata, e non appena i suoi lavori glielo permettono, tostochè gli si presenta l'occasione propizia, ecco che rompe gl'indugi e vola tra le braccia de' suoi cari. Tale a un dipresso, è la condizione degli antichi allievi dell'Oratorio, dispersi nel mondo, ma sempre uniti in un solo affetto; fissano l'avido sguardo su questo asilo di amore e di pace, ricordano i loro antichi compagni, gli amati superiori, portano indelebilmente impressa nel cuore la cara immagine di quell'angelo in umane sembianze, che fu il nostro buon padre Don Bosco ...”.

                Don Bosco, dice il Can. Berrone, agli antichi suoi allievi che recavansi ad offrirgli annualmente l'omaggio della loro riconoscenza ed i loro auguri, dimostrava una paterna cordialità invitandoli a intervenire sempre in maggior numero, non ostante la spesa non indifferente che doveva incontrare [886] nel pranzo che dava a tutti. Ma in quell'occasione non mancava mai di esortarli ad essere perseveranti nel mantenere in mezzo alla società lo spirito dell'Oratorio; e molti di loro in questa circostanza ricorrevano a lui per consiglio.

                La festa di S. Giovanni recava adunque grandi vantaggi agli antichi e ai nuovi allievi, ed è per questo che Don Bosco permetteva che sfoggiassero quella maggior pompa che loro piacesse. Narra Don Giacomelli: “Avendogli io osservato che nel suo giorno onomastico gli si facevano dai giovani feste troppo grandiose, egli mi rispondeva: - Anzi queste feste dei giovani mi piacciono perchè fanno loro molto bene, eccitando in essi il rispetto e l'amore verso i superiori”.

                Un fatto degno di nota avveniva dopo questa festa.

                Il ch. Luigi Pesce era caduto gravemente ammalato a Cherasco. Travagliato da febbre che lo traeva a quasi continui vaneggiamenti, erangli già stati fatti 24 salassi e l'applicazione di 32 sanguisughe. I medici avevano annunziata vicina la sua morte. Fu viaticato a mezzanotte, perchè la cosa urgeva; e mancando D. Francesia si chiamò in fretta il cappellano dell'Ospedale. Si telegrafò a Don Bosco: - Consulto medici, D. Pesce spedito. Il Venerabile rispose subito: Non temete. Non è ancora la sua ora. Infatti guariva perfettamente. Egli morì nel 1910.

 

 

CAPO LXX. Don Bosco si offre di ricoverare due fanciulli rimasti orfani a Costantinopoli per uno spaventoso incendio di varii quartieri - Il Missionario D. Daniele Comboni domanda a Don Bosco alcuni sacerdoti Salesiani per i suoi Istituti in Egitto e per le Missioni della Nigrizia - Il Concilio Ecumenico proclama e il Papa definisce dogma di fede l'Infallibilità Pontificia - Rabbia de' governi settarii - Napoleone dichiara la guerra al Re di Prussia - Vescovi della Cina nell'Oratorio - Una lettera di Don Bosco a Don Pestarino - Don Bosco a S. Ignazio - Il Convitto Ecclesiastico è traslocato da S. Francesco d'Assisi alla Consolata - La contessa Callori manifesta, a Don Bosco i suoi dubbi sul trasloco del Collegio di Mirabello - Don Bosco le risponde: si farà la novena chiesta per la guarigione di un infermo: confidenza in Dio: si terrà conto de' suoi riflessi nel trasloco di Mirabello, ma è un affare che merita considerazione pei vantaggi che apporterebbe: si preghi: si lavori per la Chiesa di S. Giovanni - Don Bosco annunzia al Direttore di Mirabello il giorno nel quale si farà l'istrumento di Borgo S. Martino - Don Bosco risponde alla Contessa Callori: la ringrazia delle sue preghiere fatte per lui nel Santuario d'Oropa, le augura sanità e vita pel gran bene che ancor deve fare: le annunzia che fra pochi giorni si deciderà il contratto di Borgo S. Martino - Altra sua alla Callori: le fa animo a vivere allegramente: le  [888] predice lunga vita: le annunzia che venne firmato il contratto di Borgo S. Martino - Predizione avverata - Don Bosco scrive al Provveditore agli studi chiedendo licenza di aprire il Collegio di Alassio e presentando il nome dei maestri destinati all'insegnamento - Manda al Segretario della Congregazione dei Vescovi e Regolari la supplica al Santo Padre per essere autorizzato ad aprire la casa di Alassio - Risposta favorevole - Supplica al Ministro delle Finanze per la riduzione della tassa sul macinato, che non è esaudita.

 

                LA Divina Provvidenza, a quando a quando, con nuovi bagliori rischiarava sempre più lontani i confini del campo immenso da Lei destinato alla missione di Don Bosco. Abbiamo già notato come nel 1858 il suo nome fosse conosciuto e stimato a Costantinopoli. E il suo sguardo si volgeva ai lontani suoi figli futuri nell'impero dei Turchi. Un spaventoso incendio aveva distrutto a Costantinopoli varii quartieri e l'Unità Cattolica aveva aperta una sottoscrizione col titolo: I Torinesi e gli incendiati di Costantinopoli, e nel primo elenco (domenica 24 luglio) si leggeva: “Il benemerito D. Giovanni Bosco offerse due posti gratuiti a vita per due giovani Costantinopolitani presso il suo istituto, senza distinzione di religione”.

                Era una nova fiammata di carità ben accetta a Dio. Passarono anni e i Salesiani ebbero ospizii, scuole, oratorii a Costantinopoli, a Smirne, a Nazareth, a Beithgemal, a Betlemme, e Cremisan, a Giaffa e a Gerusalemme.

                La voce di un apostolo lo invitava in Africa per la seconda volta.

 

 

                               Mio carissimo e vener.mo Don Giovanni,

 

                Comprendendo a fondo il suo cuore e le sue sante intenzioni, senza altro preambolo, vengo a farle una domanda che richiede una risposta il più presto che si può.

                Sarebbe ella disposta a mettere insieme due o tre giovani sacerdoti de' suoi, con quattro o cinque de' suoi probatissimi artigiani e [889] catechisti da mettere a mia disposizione, perchè io li possa condurre in Cairo d'Egitto nel mio istituto maschile, ove c'è casa e chiesa comodissima, preparata? Questi farebbero parte del mio istituto, sotto la mia giurisdizione, a cui penserei tutto io per viaggio, vitto, vestito, istruzione di lingua e tutto: ma al tempo stesso darei loro una conveniente autonomia, in modo che col tempo, aiutati ed accresciuti da altri di Cairo, li condurrebbe al punto di potere a suo tempo dirigere una missione speciale nella Nigrizia Centrale, da affidarsi esclusivamente all'Istituto Bosco di Torino. Capisce? Vorrei che il suo santo Istituto, con una parte dei mezzi che Dio mi ha dato, si innestasse a poco a poco nell'Africa Centrale. Ma siccome, da solo, subito troverebbe ostacoli da parte del vasto Ordine che ha la giurisdizione dell'Egitto, è necessario che subito comparisca come facente parte del mio, che è già innestato nell'Egitto, ed al quale sarà fra poco affidata una grande missione nell'Africa Centrale.

                Se ella pel settembre prossimo potesse mettere a mia disposizione questi due o tre preti, e meglio anche più, coi rispettivi laici, mi scriva subito, che io col Vescovo di Verona (che è un vero angelo per l'Africa) tratteremo ed ultimeremo le trattative necessarie qui a Roma. A tutto pensiamo noi: ella pensi a preparare i soggetti indicati che io verrò a levarli da Torino e condurli in Egitto a pochi passi, ove la Sacra Famiglia dimorò esule per sette anni nella terra dei Faraoni.

                Aspetto una risposta la quale se è, come spero, affermativa, coll'autorizzazione del Vescovo di Verona faremo le scritture necessarie, e nel nome di Dio daremo principio all'opera concepita.

                I miei tre istituti d'Egitto vanno benissimo: sono 55 i membri; moltissime le anime cavate dal Paganesimo e ridotte all'ovile di Cristo.

                Nei SS. Cuori di Gesù e di Maria, passo a rassegnarmi con tutto l'affetto,

 

                Roma, 3 luglio 1870.

Sito Um.mo ed aff.mo amico

D. DANIELE COMBONI.

 

                S. P. - Spero avrà ricevuto il mio Postulatum al Concilio pro. Nigris Africae Centralis.

 

                Don Comboni era già stato all'Oratorio entusiasmando i giovani colle sue descrizioni. Don Bosco gli fece rispondere che per ora non poteva mandare dei suoi preti, ma che si accetterebbero colle più favorevoli condizioni quei giovani Africani che ci fossero da lui raccomandati.

                Così aveva fatto con Mons. Lavigerie. Poi, a poco a poco, si videro avverarsi le promesse della Madonna, e i Salesiani [890] incominciarono ad avere Ospizi, Collegi, Scuole in Alessandria d'Egitto, a Tunisi, al Capo di Buona Speranza, al Congo e a Monzambico. Ma queste nel luglio del 1870 non erano che speranze.

                Don Bosco intanto vedeva compiuto un suo voto.

                Il 18 luglio aveva luogo la IVª Sessione del Concilio Ecumenico Vaticano. Il Papa presiedeva l'augusta assemblea. I Vescovi presenti erano 535, e 533 diedero il suffragio alla definizione dommatica dell'infallibilità; due soli, un americano ed un italiano, votarono contro di essa. Quindi Pio IX confermò e sottoscrisse il canone conciliare. Un'acclamazione vivissima dei Padri del Concilio scoppiò immantinente per la grande aula e si fece generale nella folla che accalcavasi entro la Basilica. Dai Padri e da un popolo incalcolabile fu cantato il Te Deum.

                Così l'augusta Assemblea, dopo aver tenuto circa 100 Congregazioni generali, aveva potuto lavorare indisturbata e condurre a termine mirabili cose, quali la Costituzione dottrinale De ride e l'altra De Ecclesia Christi, col capitolo tanto contrastato dell'infallibilità del Papa. Il Concilio non era stato radunato invano. Ormai, con sicura tranquillità, poteva prorogarsi in attesa di tempi migliori.

                E si avveravano - a noi sembra - anche altre parole della visione di Don Bosco: “Le Potenze del secolo vomiteranno fuoco e vorrebbero che le Parole fossero soffocate nella gola ai custodi della mia legge, ciò non sarà. Faranno male, male a se stessi”. Infatti, proclamato il dogma, l'Austria ben presto dichiarava l'abolizione del Concordato con la Santa Sede; la Baviera confortava il Dollinger nel bandire lo scisma de' Vecchi Cattolici; l'Italia ordinava ai magistrati di esercitare vigilanza sui Vescovi e i parroci e d'infliggere carcere e multe a chi, pubblicando la costituzione dommatica sull'infallibilità pontificia, venisse ad offendere le istituzioni nazionali; la Francia ritirava il suo presidio da Civitavecchia, la Prussia autorizzava Vittorio Emanuele ad entrare in Roma. [891] Questi avvenimenti parvero dar ragione a quelli che avversavano l'opportunità della definizione, perchè fra gli argomenti loro eravi il timore che le potenze europee se ne sarebbero adombrate. Ma questa non era una ragione sufficiente per tacere la verità. Iddio, al sorgere di tempi nuovi, ove la libertà del pensiero avrebbe teso insidie anche nelle menti dei sacerdoti, aveva voluto siffatta definizione; d'altra parte i fatti che succedettero mostrarono che in qualunque caso la guerra accanita contro la divina istituzione della Chiesa non avrebbe cessato d'imperversare.

                Ed è a notarsi un fatto provvidenziale. Il 18 luglio 1870 era avvenuta la solenne definizione, e il giorno dopo, 19 luglio, Napoleone III indiceva la guerra al Re di Prussia. Fino a quel punto la mano di Dio aveva tenuta indietro la spaventosa procella, e, compiuto il suo decreto, permetteva che si scatenasse.

                Tutti i Vescovi, anche quelli dell'opposizione, e quelli che non erano più in Roma, avevano riposto Credo! alla voce del Papa e ritornavano alle loro sedi. Alcuni passarono all'Oratorio.

                Testificò il nostro D. Francesco Dalmazzo: “Fra gli altri vidi due Vescovi Cinesi venuti al Concilio Vaticano, che si partirono appositamente da Roma per vedere Don Bosco, mossi dalla fama della sua santità, e per esporgli il grande bisogno che avevano di Missionarii in que' paesi”.

                Uno era Mons. Luigi Moccagatta di Castellazzo d'Alessandria, francescano, Vescovo titolare e Vicario Ap. in China. Da trent'anni missionario in quelle regioni, con eroico coraggio aveva sopportato povertà, umiliazioni, disprezzi, delusioni, incessanti minacce, persecuzioni furiose, fino a credersi fortunato di poter conseguire la palma del martirio, e gli altri ostacoli che sempre suscita il demonio contro i predicatori della fede cattolica. Con lui era Mons. Eligio Cosi, suo coadiutore e poi vescovo e Vicario Apostolico, egli pure francescano, minore osservante. [892] Era cosa già abituale il vedere venerandi Vescovi ed Arcivescovi, non solo del Piemonte ma di lontane regioni, che, recatisi ad limina a visitare il Papa, venivano a Torino pel solo fine di parlare con Don Bosco, e trattare del miglior modo di riparare ai mali dei tempi. E molti eran visti anche inginocchiarsi innanzi a Don Bosco e domandargli la benedizione.

                Egli nello stesso mese di luglio scriveva a Don Pestarino.

 

 

Torino, 10 - 7 - 70.

 

                               Carissimo Sig. D. Pestarino,

 

                Al giorno 20, 21, 22 di questo mese vi sono le quarant'ore nella chiesa di Maria Ausiliatrice e se Ella può venire in questa occasione mi farà assai piacere ed avremo tempo di poterci parlare dei nostri affari.

                Anzi, se può, la prego di fare un passo dal sig. Rettore di Casalegio ed invitarlo a tenerle compagnia. Egli farà nella chiesa quelle funzioni che sono compatibili colla sua età, e, se non fosse altro, direbbe la santa messa all'altare di Maria Ausiliatrice. I nostri giovani farebbero la loro comunione secondo la pia di lui intenzione. Potrebbe venire al 18 e passare con noi la settimana e trovarsi sabato in parrocchia se lo desidera. Così avrei un po' di tempo a comunicargli alcune cose che non conviene affidare alla carta.

                Dunque li attendo ambidue. Buon viaggio e Dio ci benedica

aff mo

Sac. Giov. Bosco.

 

                In que' giorni, dopo tante emozioni provate quest'anno, e quelle, da lui prevedute, che gli riserbavano i mesi seguenti, Don Bosco saliva al Santuario di S. Ignazio per gli esercizii spirituali. Li presiedè il Teol. Felice Golzio, suo confessore, che essendo rettore del Convitto Ecclesiastico a S. Francesco d'Assisi, doveva traslocarsi presso il Santuario della Consolata insieme col Convitto stesso, nel convento dal quale si erano ritirati i Francescani. Restava a provvedere stabilmente all'ufficiatura della Chiesa di S. Francesco d'Assisi e nel 1871 da Mons. Gastaldi fu alloggiato in una parte dell'antico chiostro, ove era stato il Convitto, un piccolo numero [893] di Oblati di Maria, che dopo la soppressione s'erano raccolti a vita privata.

                Tornato da S. Ignazio, il Venerabile continuava nel mese di luglio ad occuparsi de' suoi Collegi. La Contessa Callori, che aveva donate molte migliaia di lire per la costruzione del piccolo Seminario di Mirabello, manifestava a Don Bosco i suoi dubbi sul vantaggio del trasloco di quel Collegio a Borgo S. Martino.

                Don Bosco le rispondeva:

 

 

Torino, 13 luglio 1870.

 

                                Benemerita Signora Contessa,

 

                Risponderò una cosa per volta per non fare confusione.

                1° Mi rincresce molto che sia cotanto cagionevole la sanità del sig. D. Carlo Salerio, di cui Ella mi parlò tante volte lodevolmente. Intanto, pieni di fede, mettiamoci sotto alla protezione di Maria Ausiliatrice. Cominciando dal prossimo venerdì faremo la novena con apposite preghiere; ogni mattino Messa, Rosario, Comunioni, e preghiere. Di costà dicano tre Pater Ave e Gloria con tre Salve Regina e poi fede, ma quella fede che porta li monti nelle pianure e le pianure sopra le montagne. Se Dio nella sua infinita misericordia concede la grazia, si farà fare una canna del nuovo organo a sue spese.

                2° Godo che la buona damigella Vittoria sia meglio nella sua sanità. Io fo ogni giorno un memento per Lei nella Santa Messa e spero che Dio non vorrà chiuderci le orecchie questa volta. Sono tante le voci che per Lei e per la signora Vittoria clamano a Dio:

 

Deh! dal cielo i tuoi figli rimira,

Col prezioso tuo sangue redenti!

Il sospiro dei figli gementi

Quando mai a te invano salì?

 

                3° Ho mandata la memoria a Mirabello pel giovanetto Franchi. Vedremo le intelligenze prese; ma credo siano queste: A Mirabello si aggiusti, quando venga a Torino pagherà fr. 200 per una sola volta. Le farò altra volta parola.

                4° A proposito di Mirabello, tenendo conto dei suoi riflessi, non fu ancora fatto il contratto di Borgo S. Martino. Tuttavia merita considerazione. Siamo nelle angustie di locale. Se intraprendiamo la seconda parte, passiamo di molto i centomila franchi, e poi lontani dalla ferrovia, senza un palmo di terreno pei professi.

                Il locale in questione basterebbe senz'altra costruzione. Fr. 114 mila è la spesa, ma vi è un valore di fr. 25 mila tra piante e bosco  [894] ceduo; si può vendere un terreno del valore di diecimila franchi e rimane ancora uno spazio di otto giornate di terreno.

                Ad ogni modo, ora facciamo una novena a Maria Ausiliatrice, di poi D. Bonetti verrà a Torino e vedremo ciò che sia da risolversi per la maggior gloria di Dio. Dica un' “Ave Maria” ad hoc.

                5° Qui le ripeto che non intendo di invitarla a concorrere. Qui studieremo di fare da noi mercè alcuna vendita. Il suo potente aiuto è riserbato per la Chiesa presso il tempio dei Protestanti. I lavori sono già cominciati. Di questo anno si farà poco. Pel 71, 72, Ella mi aiuterà in quella misura che potrà e come Dio la inspirerà.

                6° La Storia Ecclesiastica è a Roma nelle mani di Mons. Gastaldi, che aggiusta quanto riguarda l'infallibilità del Romano Pontefice, ma non vuole mandarmela, se non fatta la prossima futura sessione conciliare.

                Abbiamo avuto un gran caldo; ma grazie a Dio niun ammalato. Ora ha piovuto abbondantemente e mi fu assicurato lo stesso a Vignale e a Montemagno.

                Per ora basti. Verbalmente poi molte cose. Dio benedica Lei, ma con una benedizione che le dia sanità stabile, con lunghi anni di vita felice e il paradiso in fine. Lo stesso alla Signora Vittoria, a tutta la famiglia, al sig. D. Salerio. Amen.

                Preghi per me che sono in G. C.

Obbl.mo servitore

figlio poco obbediente

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

                Sempre caro, sempre delicato, e insieme sempre attento e previdente il nostro amatissimo Padre!

                Dopo qualche giorno scriveva a Don Bonetti:

 

 

Torino, 24 - 7 - 70.

 

                               Carissimo Don Bonetti,

 

                La giornata per l'istrumento della casa di Borgo S. Martino sarebbe sabato 30 corrente.

                Tu adunque preparami un diecimila franchi, ed anche di più se puoi, e portàmeli su giovedì o venerdì. Se puoi, ti fermerai fino dopo l'atto notarile: se poi, essendo sabato, non puoi fermarti, ti lascierò partire. È però bene non dare pubblicità, finchè l'atto non sia compiuto.

                Coraggio, allegro, saluta Don Cerruti cogli altri nostri figli, sopra cui piovano copiose le celesti benedizioni. Amen.

Aff.mo

Sac. Giov. Bosco. [895]

 

                La Contessa Callori gli rispondeva dopo una visita al Santuario di Oropa, e Don Bosco cercava con altra lettera delicatissima di sollevare il suo spirito abbatutto.

 

 

                               Benemerita Sig. Contessa,

 

                Grazie, signora Contessa, che si ricordò di me e delle nostre cose ai piè di Maria SS. d'Oropa. Spero che le sue preghiere saranno state accolte dalla grande Regina del cielo. Fiat.

                Per riguardo all'affare di cui accenna, io camminerò adagio e colla dovuta prudenza, anzi se scorgerò la convenienza, non ne farò parola nemmeno colla persona interessata.

                Signora Contessa, nella sua breve dimora in Torino ho osservato in Lei un misto di rassegnazione, di sanità cagionevole, di pensieri e desideri del paradiso. Io desidero che Ella abbia sanità, e che rimanga nel mondo pel bene della sua famiglia e, veda l'egoismo, mi aiuti a compiere una serie di opere che serviranno a guadagnare molte anime al Signore. Fra le molte dimande di aprire case altrove àvvene una per l'Algeria, l'altra pel Gran Cairo, la terza per la California. L'ultima sarà forse preferita a tutte le altre.

                Intanto Ella si unisca con noi con un Pater Ave, Gloria al SS. Sacramento, e con una Salve Regina fino alla Natività di Maria.

                Io farò in modo che ogni giorno si facciano sei comunioni e si celebri la santa Messa fino a quell'epoca, collo scopo di ottenere dal Signore la perfetta di Lei sanità.

                Sabato si deciderà del contratto di Borgo S. Martino. In casa si prega; disponga Dio che si conchiuda ciò che egli vede meglio per la sua gloria.

                La prego di fare i miei umili ossequi al sig. Conte di Lei marito e a tutta la sua famiglia. Dio li benedica tutti, e preghino per la povera anima mia, mentre sono con vera gratitudine di V. S. B.

 

                Torino, 27 luglio 1870,

Obbl.mo servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

                La contessa tornò a scrivere dicendo che in que' giorni si trovava depressa di forze, infermiccia e in preda a idee melanconiche e tristi. E Don Bosco si affrettava a consolarla, sgombrando con una promessa perentoria il suo animo da ogni disturbo.

 

 

                               Benemerita Sig. Contessa,

 

                Stia tranquilla. Don Cagliero non ha alcun lavoro funebre per lo scopo indicato da Lei. [896] Tanti anni addietro Ella mi scriveva, di poi mi diceva quasi le stesse cose: e io a rispondere che la Madonna voleva essere aiutata da Lei per condurre a termine una chiesa in onore di Maria Ausiliatrice. La chiesa c'è, Ella prese parte alle funzioni fatte in essa. Ora le dico: Dio vuole che Ella aiuti a fare la Chiesa, le scuole e l'ospizio di Porta Nuova o meglio del viale del Re. La chiesa si farà, Ella vedrà edificarla, consacrarla e vi passeggerà attorno quando sia finita. Capisce?

                Dunque non pensi ad altro che a vivere allegramente nel Signore.

                Avrei ancora molte cose da discorrere; le tratteremo a Vignale.

                Sabato fu conchiuso il contratto di Borgo S. Martino dopo molte modificazioni in nostro favore. Ciò che prevalse ad ogni riflesso contrario fu la venuta e la presenza di D. Bonetti che diceva i suoi allievi da 180 ridotti a 115 per malattia; e questi spaventati per timore di cader malati; si è fatto tutto per promuovere la maggior gloria di Dio. Nel prossimo ottobre vi andremo dentro, si Dominus dederit.

                Il Signore Iddio, ricchissimo in bontà e misericordia, conceda a Lei, alla sua famiglia tutta sanità stabile e il dono della perseveranza nel bene. Amen,

                Preghi per la povera anima mia e mi creda nel Signore,

 

                Torino, 3 agosto 1870,

Obbl.mo Servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

                La buona Contessa fu assai consolata da questa lettera e dalla predizione, nella quale riposò con piena fiducia. Ella infatti moriva in età di 85 anni, quarantun anno dopo la promessa di Don Bosco e ventinove dopo la consacrazione della Chiesa di San Giovanni Evangelista, cioè nel 1911.

                Don Bosco intanto, conchiuso l'affare di Borgo S. Martino, aveva stabiliti anche i primi insegnanti pel Collegio di Alassio. Così scriveva al Regio Provveditore agli studi in Genova.

 

 

                               Ill.mo Sig. Provveditore,

 

                Nel desiderio di promuovere la scienza dei corsi elementari e ginnasiali a favore della studiosa gioventù, il sottoscritto conveniva col Municipio di Alassio di aprire un collegio convitto in quella medesima città.

                La Deputazione Provinciale ed il Consiglio Scolastico davano la loro approvazione al progetto, ed ora si fa ricorso a V. S. Ill.ma per ottenere il permesso di effettuare l'apertura del convitto e dare l'approvazione al personale insegnante. [897] L'insegnamento e la disciplina sono in conformità di quanto è prescritto dai programmi e dalle leggi governative con quelle modificazioni che l'autorità scolastica fosse per comunicare. Il convitto sarà governato sulle norme stabilite nel programma, di cui si unisce copia.

                Per quest'anno vi sarà soltanto la 1ª Ginnasiale e la domanda si fa in questo senso. Qualora vi fossero allievi per altre classi, se ne darà tosto comunicazione a V. S. Ill.ma colla nota degli insegnanti da proporsi rispettivamente: per ora il personale sarebbe come segue:

 

 

Per le classi elementari.

 

                Alle classi elementari sono i soliti maestri comunali, di cui, occorrendo mutazioni, se ne darà tosto comunicazione all'autorità competente.

 

 

Ginnasio.

 

                1ª Ginnasiale: Can. Airaldi, che era già professore di grammatica latina, finchè vi fu il ginnasio in Alassio, di poi continuò nella stessa città in qualità di professore del corso tecnico.

                Direttore: Il Sacerdote Francesco Cerruti, Dottore in Lettere.

                Economo: Sac. Francesco Bodratto, maestro normale superiore.

                Occorrendo documenti o schiarimenti, saranno prontamente inviati a semplice richiesta di V. S. Ill.ma.

 

                Torino, 26 luglio 1870,

Umile esponente

Sac. Giov. Bosco.

 

                A completare le pratiche per l'apertura del nuovo collegio Don Bosco aveva già scritto anche al Papa, in data 14 luglio, per averne la debita licenza. Questa lettera non giunse a destinazione.

                Dovette rinnovarla: e questa volta scriveva a Roma a Monsignor Stanislao Svegliati, Segretario della Congregazione dei Vescovi e Regolari.

 

 

Torino, 29 - 8 - 70.

 

                               Eccellenza Rev.ma,

 

                Non posso scriver notizie di attualità perchè alla posta per lo più sono intercettate e per via privata possono compromettere chi le porta. Il Marchese Vitelleschi, che si compiace di portar questo piego, è informato d'ogni cosa e potrà dirle tutto quello che la potesse interessare. [898] Rinnovo che Torino è la città pacifica per eccellenza. Ella, facendo un giro, venga a far capo da noi: la salubrità di queste colline le faranno sollievo. La nostra musica, la nostra ricreazione, i nostri giovani le saranno divertimento non discaro. Chi sa che non ci procuri questo favore?

                Le mando qui una dimanda per una nuova casa colla commendatizia dell'Ordinario del luogo, ove trovasi la città di Alassio e la raccomando alla nota bontà sua.

                Al giorno d'oggi abbiamo quaranta domande di Municipii, che vorrebbero apertura di scuole sotto la direzione libera della nostra Congregazione. Veda che ritorno alle idee antiche!

                Che il Signore, ricco in benedizioni, conceda a Lei sanità stabile con lunghi anni di vita felice, e mi creda colla più profonda gratitudine.

                Di V. E. Rev.ma

Obbl.mo Servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

                La supplica era eguale a quella fatta per l'apertura della Casa di Cherasco.

 

 

                               Beatissime Pater,

 

                Joannes Bosco, Superior Generalis Piae Societatis a S. Francisco Salesio dictae, Beatitudinis tuae ad pedes provolutus, humillime exponit Divina Providentia factum esse, ut in urbe vulgo Alassio nuncupata, Dioeceseos Albinganensis in Littore Ligure, collegium convictusque adolescentulorum studio deditorum, eiusdemque administratio, eidem demandata essent. Omnia quae hucusque facta sunt, semper de Ordinarii consilio et consensu peracta sunt. At decreto approbationis et laudationis Salesianae Societatis, inter alias haec animadversio adnectabatur: “Pro fundatione novarum domorum, et pro suscipienda in posterum ab Ordinariis directione Seminariorum, recurrendum erit in singulis casibus ad Sanctam Sedem”. Licet vero stricte loquendo haec potius temporaria administratio, quam novae domus fundatio sit appellanda, tamen ad dubia eliminanda et ad debitum Sanctae Sedis obsequium praestandum, facultates quae ad majorem Dei gloriam promovendam necessaria consentur, a Beatitudine Tua humili precatione expostulantur.

 

                Datum Taurini, die 20 augusti 1870,

Sac. JOANNES Bosco.

 

                Il Segretario della S. C. dei VV. e RR. rispondeva:

 

 

                               Rev.mo Sig. Don Bosco,

 

                Ricevetti per mezzo del Signor Marchese Vitelleschi il piego che ella mi dirigeva contenente la preghiera al S. Padre per aprire una [899] nuova casa o collegio nella Diocesi di Albenga. Riferita la cosa a Sua Santità, si degnò approvarla e benedirla, ordinandomi di darne a Lei partecipazione, come faccio con la presente.

                Il Signore prosperi la nuova casa con tutte le altre dell'Istituto e così V. S. si renderà sempre più benemerita della Chiesa e della Società.

                La ringrazio del cortese invito, che mi fa per venire a passare qualche giorno nelle prossime vacanze autunnali in coteste amene colline. L'assicuro che per la mia salute avrebbe giovato moltissimo un cambiamento di aria; ma oltre che non posso di molto allontanarmi d'ordinario da Roma neppure nelle vacanze, in quest'anno poi ragioni speciali, ch'ella può immaginare, maggiormente me lo vietano. Tuttavia le rinnovo le mie sincere azioni di grazie, riservandomi di farlo anche meglio, se avrà occasione di condursi qua.

                Intanto aggradisca le nuove proteste della mia distintissima e sincera stima.

                Di Lei,

 

                Roma, 8 settembre 1870,

Dev.mo Obbl.mo Servo

STANISLAO SVEGLIATI Segr.

 

                Altra supplica aveva mandata a Firenze a Quintino Sella, ministro delle Finanze, perchè gli venissero diminuite certe imposte troppo gravose. I fedeli mettevano in mano a Don Bosco la loro beneficenza, e a Don Bosco doleva sacrificarne troppa parte al fisco.

 

 

                               Eccellenza,

 

                Le strettezze in cui versano i giovanetti ricoverati nella casa detta Oratorio di S. Francesco di Sales spingono il sottoscritto a ricorrere alla carità di V. E. Il loro numero, che tra tutti gli stabilimenti monta ai 1200, la diminuzione di beneficenza, l'aumento delle imposte, la moltitudine di fanciulli abbandonati, che da tutta Italia domandano ricovero, fanno sperare, se non un condono totale, almeno parziale, della tassa sul macinato, che eccede i dodici mila franchi.

                Questa è la supplica che il ricorrente fa a nome di questi poverelli e che spera sarà presa in benevola considerazione in questo caso eccezionale.

                Con gratitudine si professa,

                Di V. E.,

 

                Torino, 15 agosto 1870,

Umile ricorrente

Sac. GIOVANNI Bosco. [900]

 

                La risposta gli venne comunicata dall'Agente delle imposte a Torino, il 17 settembre:

                “Il Ministero delle finanze ha deliberato doversi respingere il reclamo. Per quanto siano a deplorarsi le poco floride condizioni economiche dell'Oratorio, tuttavia, non essendo in facoltà del potere esecutivo di condonare le imposte stabilite per legge, ed al sussidio costando le non prospere condizioni dell'erario, il prefato Ministero non può accondiscendere alla domanda”.

                 - Non importa, diceva Don Bosco in questi casi: noi abbiamo fatto il nostro dovere, e gli altri hanno conosciuto i nostri bisogni: e questo solo è sempre un bene.

 

 

CAPO LXXI. L'Orfanotrofio di S. Vincenzo de' Paoli a Piacenza - La Commissione dirigente delibera di chiuderlo e di consegnare gli alunni a Don Bosco - Con lettera circolare il March. Landi espone ai benefattori dell'Opera l'urgenza di questa decisione - Convenzione ratificata da Don Bosco - Gli orfani Piacentini a Torino - La collaudazione dell'organo nella Chiesa di Maria Ausiliatrice - La guerra Franco - Prussiana: Napoleone prigioniero - Vittorio Emanuele scrive una lettera al Papa, perchè permetta l'entrata dell'esercito italiano in Roma - Don Bosco predice ad una dama che nessuno de' suoi figli soldati prenderà parte ad alcuni fatti d'arme - Lettere di Don Bosco a due benefattrici per poter esentare due chierici dal servizio militare - Don Bosco a Lanzo pel primo corso di esercizi spirituali ai Salesiani - Chiede al S. Padre l'estensione del privilegio delle dimissorie a quelli che entrarono nell'Oratorio dopo il loro quattordicesimo anno di età - Il favore è concesso per sette ordinandi - Lettera di Don Bosco ad un Salesiano che vacillava nella vocazione - Un sacerdote riabilitato - Nuove istanze per ottenere biglietti a tariffa ridotta dalla direzione delle ferrovie - Il Convento di Alassio messo all'asta pubblica - Il can. Ampugnani si presenta all'asta per procurare a Don Bosco il possesso del Convento - Le [902] vicende dell'acquisto - Apertura del nuovo Collegio - Il Can. Martini.

 

                ABBIAMO visto Don Bosco accogliere paternamente i giovanetti a lui affidati dal Regio Ospizio generale di carità in Torino, ed ora vediamo correre a lui quelli di un orfanotrofio di Piacenza.

                La commissione direttiva di questo istituto li aveva offerti a Don Bosco, e, avendoli questi accettati, con una circolare ne dava annunzio ai suoi benefattori:

 

 

                               Ill.mo Signore,

 

                La Commissione direttrice dell'Orfanotrofio, ch'ebbe principio nell'invasione del cholera del 1855, sotto gli auspici ed il patrocinio della Società di S. Vincenzo di Paolo, sente il dovere di prevenire i benemeriti Benefattori di questo povero ed umile asilo della carità cristiana, che esso sta per fondersi col troppo noto ed ammirabile istituto diretto dal chiarissimo e Molto Reverendo D. Giovanni Bosco di Torino, e conosciuto sotto il nome di Oratorio di S. Francesco di Sales.

                Le gravi strettezze in cui versava da parecchi anni il nostro Orfanotrofio, strettezze alle quali non abbiamo saputo porre rimedio, ci hanno consigliato di fare ricorso alla carità inesauribile del prelodato Sacerdote, il quale, mediante lo sborso e la donazione di una somma raccolta per cura e con sacrifizi non piccoli della Commissione e di vari Benefattori, si è obbligato di mantenere e di educare nel suo Istituto, fino al compimento del diciottesimo anno, i dieci Orfanelli che erano affidati alle nostre cure.

                Nel rincrescimento pertanto di dover chiudere un Ospizio, che per circa quindici anni è stato l'oggetto di tanti voti, di tanti sforzi, e, diremo anche, di non piccole soddisfazioni, ci è di somma consolazione il pensiero di affidare così bene i nostri Orfani, e di vedere assicurata la loro educazione.

                La Commissione pertanto rende le più sincere e cordiali azioni di grazie a tutti i Benefattori del nostro Ospizio, e Li prega caldamente a voler continuare per tutto il corrente anno a versare nelle mani del suo Tesoriere le quote che pagavano pel passato, troppo necessarie per liquidare tutti i conti, e per sostenere le ingenti spese del traslocamento dei nostri giovanetti a Torino.

                La Commissione infine esprime a tutti i suoi Benefattori la fiducia che Essi vorranno per l'avvenire dare alla Società di S. Vincenzo di Paolo quello che con tanta generosità e costanza aveano destinato [903] nel nostro Orfanotrofio, perchè non potranno mai dimenticare ch'esso è nato, cresciuto, sempre all'ombra della Società di S. Vincenzo di Paolo.

 

                Piacenza, addì 18 giugno 1870,

Per la Commissione - Il Presidente

Marchese ALFONSO LANDI.

 

                Un mese dopo veniva steso il contratto con generose condizioni da parte della Commissione.

 

                Convenzione tra il Molto Reverendo Sig. Don Bosco Fondatore e Direttore dell'Oratorio di S. Francesco di Sales e l'Onorevole Commissione dell'Orfanotrofio di S. Vincenzo di Piacenza.

                Art. 1 - La Commissione dell'Orfanotrofio di S. Vincenzo di Piacenza, il giorno della partenza de' suoi Orfani per Torino, consegnerà nelle mani del Rev.mo D. Giovanni Bosco o di Chi per Lui Lire cinquemila, e gli oggetti di corredo (di cui è più sotto trascritta opportuna nota) a titolo di irrevocabile donazione al Medesimo.

                Art. 2. - Il Rev.mo D. Giovanni Bosco, alla sua volta si obbligherà di educare e mantenere nella sua Casa, fino al compimento del diciottesimo anno, i dieci Orfani che gli saranno consegnati senza diritto di pretendere dalla Commissione dell'Orfanotrofio di Piacenza altre retribuzioni. Qualora però qualcuno uscisse dallo stabilimento prima dell'anno 18, o per cattiva condotta, o richiamato dai parenti, o di spontanea volontà, non si avrà diritto a nulla ripetere dal Sig. D. Giovanni Bosco.

                Art. 3. - Il M. Alfonso Landi rimarrà responsabile verso il rev.mo D. Giovanni Bosco dei giovani che affiderà alle sue cure fino alla compiuta educazione loro; e però questi favorirà di rivolgersi a Lui ogni qualvolta debba comunicargli notizie intorno al loro benessere fisico, ai loro portamenti, alla loro educazione.

                Art. 4. - Le spese di viaggio degli Orfani da Piacenza a Torino ed il trasporto delle loro masserizie e dei loro corredi alla nuova loro dimora saranno a carico della Commissione dell'Orfanotrofio di Piacenza: il Rev.mo D. Giovanni Bosco si obbligherà invece di mandare, nella seconda decina del mese di agosto, un Sacerdote da Lui delegato al quale, saranno consegnati gli orfani col relativo corredo. Le spese di viaggio di questo Sacerdote saranno a carico della Commissione, la quale fissa la seconda decina di Agosto per la chiusura del suo Orfanotrofio.

 

                Piacenza, 17 agosto 1870

Sac. GIOVANNI BOSCO.

M. ALFONSO LANDI. [904]

 

                All'originale seguono la distinta del corredo e il nome, cognome, età e professione degli orfani: 6 facevano il calzolaio, 4 il falegname. Essi giungevano all'Oratorio per il collaudo dell'Organo nella chiesa di Maria SS. Ausiliatrice.

                Il 24 agosto il Venerabile diramava 2500 inviti ai benefattori e ad altre persone ragguardevoli, e l'Unità Cattolica il 27 stampava il seguente articolo.

 

                Collaudazione dell'organo nella Chiesa di Maria Santissima Ausiliatrice in Torino. - Annunziamo colla più viva soddisfazione che venne ultimato l'organo della chiesa dedicata a Maria Ausiliatrice in questa città presso l'Oratorio di San Francesco di Sales; sanno i nostri Torinesi come nell'erezione e nel compimento di questa chiesa si sia chiaramente manifestato l'aiuto della divina Provvidenza. Il nuovo organo è opera dei rinomati fratelli Lingiardi di Pavia, così benemeriti dell'arte sacra, sì per l'eccellenza dei loro lavori, che per lo spirito veramente religioso che li anima. Questo è il secondo organo che essi costruiscono in Torino, nel nuovo loro sistema, detto organo orchestra, del quale ci diedero già uno splendido saggio colla costruzione dell'organo nella chiesa dei Santi Martiri. La collaudazione del nuovo organo, che i periti dell'arte giudicano uno dei più bei lavori d'Italia, sarà fatta dal celebre maestro cavaliere Petrali di Crema, il 30 e 31 del corrente mese. Intanto non possiamo astenerci dal congratularci col degnissimo sacerdote Giovanni Bosco, nonchè coi fratelli Lingiardi, per questo nuovo monumento della pietà cristiana, e del maraviglioso progresso dell'arte religiosa in Italia. I fedeli, che per certo accorreranno in gran folla alla pia e stupenda funzione del collaudo, applaudiranno di cuore al fecondo e splendido incremento che il culto cattolico ottiene nella nostra città.

                Ecco l'orario per la collaudazione: - Martedì, 30 agosto, ore 10 mattino: prime prove: Messa a canto gregoriano, con intervalli a suono; sera, ore 3: canto con intervalli ad organo; discorso per la circostanza; benedizione col Santissimo Sacramento, con musica. - Mercoledì, 3 agosto, ore 10 mattino: come il giorno antecedente; sera, ore 6: canto, suono, benedizione.

 

                Lo stesso giornale, il 15 settembre, dava ragguaglio della cerimonia compiuta.

 

                Martedì, 30 agosto, nella chiesa di Nostra Signora Ausiliatrice ebbe luogo la solenne collaudazione del nuovo organo fabbricato dai pavesi Lingiardi. Nonostante la difficoltà della stagione, in cui la maggior parte dei Torinesi sono in campagna, un eletto concorso di [905] persone intelligenti si deliziava delle armonie del nuovo organo, suonato con singolare maestria dall'illustre cav. Petrali, maestro di cappella della Cattedrale di Crema. Sarebbe inutile il prodigare encomii al celebre fabbricatore ed all'egregio maestro, chè i loro nomi già abbastanza risplendono nella storia dell'arte italiana. Per ciò che spetta alla parte meccanica del nuovo organo precisi e semplici ne sono i congegni, e senza attrito e ritardo eseguiscono i movimenti imposti dalla mano o dal piede di chi suona. All'antico sistema pneumatico è sostituito il nuovo di particolare invenzione dei Lingiardi, che conduce il vento alle casse dei somieri colla massima uniformità ed esuberanza, per cui l'organo riesce scevro dalle menome oscillazioni o difetti di asma. Nello stesso somiere principale il fabbricatore introdusse una cassa armonica che ottiene l'identico effetto dell'antica eco, e risparmiando complicazioni di meccanismo, economizzando lo spazio, ottenne le più graduate sfumature dal pianissimo al forte, e diede un'ammirabile espressione alle voci. Sorprendente è la forza del ripieno, in cui non che esservi confusioni di voci, è dato a tutti di distinguere la chiarezza e soavità di tutte le voci e suoni che lo compongono. Perfetta è l'imitazione della banda; mirabile l'effetto degli strumenti a corda, nei quali è difficile il poter comprendere come con una semplice piva si possa imitare il fregamento dell'archetto, senza togliere la trasparenza e l'espressione delle più difficili note; completa poi è l'illusione delle voci umane, che con tanta perfezione imitano la natura, che ti par quasi di udire articolare le parole. Sarebbe troppo lungo lo esaminare, parte per parte, il nuovo organo - orchestra del Lingiardi; basti il dire, che i suoi lavori formano sempre un pregio della chiesa che li accoglie. Quanto al collaudatore Petrali, non ismentì la sua riputazione: niente di teatrale e profano nella sua musica; continua è in lui la vena dell'ispirazione; egli sempre sa accoppiare il sublime al popolare, presentando all'intelligenza di chi ascolta nuove armonie, difficoltà musicali, mirabili effetti. La solennità durò due giorni, e sempre più ci siamo dovuti convincere che se le istituzioni di Don Bosco sono nuovi monumenti della carità cattolica nel nostro paese, nelle città lombarde pur si mantengono vive le tradizioni dell'arte cristiana.

 

                Mentre nell'Oratorio risuonavano solenni le note dell'organo e del canto gregoriano, e le musiche e le grida giulive di centinaia di fanciulli nell'aspettazione della festa dei premi e delle vacanze, era al colmo il furore della guerra che straziava la Francia. I combattimenti erano incominciati il 2 agosto ed il primo presso Saarbrük, di non molta importanza, fu vinto dai francesi; ma da quel punto la vittoria si volse ai Prussiani. Questi il 4 vinsero a Wissemburg, il 6 a Worht ed [906] a Jorbach, respingendo il nemico sulla Mosella, indi avventatisi contro il corpo d'esercito del maresciallo Bazaine il 14 agosto lo batterono a Colombey, il 16 a Gravelotte, a Rezonville e lo costrinsero co' suoi 170.000 soldati a ritirarsi nella munitissima fortezza di Metz. Lasciato attorno a questa città un numero sufficiente di milizie per cingerla d'assedio, proseguirono cautamente verso Parigi. A Parigi, dopo le prime disfatte, si era ritirato il maresciallo Mac - Mahon e di qui, riordinato, l'esercito, accompagnato dall'imperatore Napoleone, si era mosso verso Metz, coll'intento di riunirsi all'esercito di Bazaine, e prendere in mezzo i tedeschi; ma, giunto alla valle della Mosa si vide non solo sorpreso ma accerchiato. Si combattè con accanimento per due giorni, 31 agosto e 10 settembre, ed i Francesi ebbero una grande sconfitta. Il 21 settembre, avendo i Prussiani occupate le alture circostanti con 800 pezzi d'artiglieria; minacciando uno sterminio totale dell'esercito francese posto nel piano, fu necessità all'esercito francese e all'Imperatore stesso di arrendersi prigionieri. In questa battaglia erano i francesi 84 mila, e i Prussiani 220 mila. La sconfitta di Sedan relegava l'Imperatore Napoleone nel Castello di Willelmsholhe nell'Assia Cassel, scoronato, avvilito e poi esule. Ed ecco la parola alla Francia: Dio la visiterà tre volte colla verga del suo furore. Nella prima abbatterà la sua superbia, colle sconfitte, col saccheggio e colla strage degli animali e degli uomini; nella seconda... sarà privata del capo in Preda al disordine. Della terza diremo altrove.

                Gli eserciti che invasero la Francia erano forti di circa 800.000 uomini.

                Alla fine di agosto il Ministero Italiano, benchè eccitato a prevalersi dell'occasione della guerra Franco - Prussiana per l'annessione di Roma, non essendo ancor sicuro della rovina dell'antica alleata, si era diplomaticamente dichiarato contrario a tale impresa. Il Ministro Lanza non approvava i mezzi violenti. Ma, conosciuta le tremende disfatte della [907] Francia e la prigionia di Napoleone, si deliberò senz'altro, l'annessione di Roma.

                Raccolto ai confini un poderoso esercito si tentò dapprima di far insorgere i Romani; poi l'8 settembre il Conte Ponza di S. Martino portava al Papa una lunga lettera di Re Vittorio, che lo avvisava dell'indeclinabile necessità, per la sicurezza d'Italia e della S. Sede, che le sue truppe, già poste a guardia dei confini, s'inoltrassero ad occupare quelle posizioni che erano indispensabili per la difesa di Sua Santità e pel mantenimento dell'ordine. Pio IX il 10 consegnava la risposta al Conte, dicendo non poter ammettere certe richieste; e affidava la sua causa nelle mani di Dio.

                Di quei giorni Don Bosco dava una prova di più delle sue visioni nel futuro. La Contessa Felicita Cravosio Anfossi, di Caramagna, scriveva a D. Rua:

                “Nel 1870, quando il Governo si apparecchiava a compiere il possesso di Roma, avendo io tre figli nell'esercito, era spaventata, che l'uno o l'alto fossero destinati a far parte di quelli che andavano a combattere contro il Santo Padre.

                Corsi perciò a trovare Don Bosco per confidargli la mia pena. In quell'ora egli era nel cortile in mezzo alla turba dei suoi ragazzi. Io allora lo supplicai a volermi consigliare che cosa dovessi fare dal canto mio, per allontanare da me tale disgrazia. Don Bosco stette alquanto pensoso e poi, col suo solito sorriso, m; disse: - Lei deve pregare; ma stia di buon animo; nessuno de' suoi figli prenderà parte alla guerra contro il Papa, o entrerà in Roma in questa circostanza.

                Infatti i reggimenti, dove erano i miei Vincenzo e Cesare, non furon destinati a marciare. Ma poco dopo leggemmo nei giornali che il reggimento dove si trovava il più giovane de' miei figli, Teofilo tenente, era giunto a Frosinone e aveva avuto ordine di muoversi alla presa di Roma. Mentre io trepidava, ecco la stessa sera arrivare a casa il mio tenente, il quale, senza nessun spiacevole motivo e senza averlo chiesto,  [908] era stato messo in aspettativa per qualche mese, e ciò che destò la nostra meraviglia, fu che subito dopo la presa di Roma fu richiamato nello stesso reggimento. Le parole del Servo di Dio erano state profetiche”.

                Anche Don Bosco era un po' impensierito per la guerra. Qualche suo chierico era stato chiamato sotto le armi, ed egli scriveva alla Contessa Callori.

 

 

                               Benemerita Sig. Contessa,

 

                Tre anni or sono Ella si offriva di rimpiazzare un chierico al servizio militare e quegli preferiva la milizia. Ora vi sarebbe il chierico postulante; ma chi sa se Ella trovisi presentemente nella volontà e possibilità di allora?

                La precipitosa chiamata dei giovani della 2ª Categoria del 1848 colpisce due nostri chierici, che, essendo patentati, facevano due classi di scuola a numerosa scolaresca. Non ce lo pensavamo, e in tempi normali vi sarebbero motivi di dispensa, ma in questi momenti eccezionali, non trovo altro mezzo che rimpiazzare o lasciarli andare militari. Devono trovarsi al Reggimento pel 20 corrente.

                Noti bene che io so quello che ha volontà di fare, ma che talvolta non può; dunque in questo caso io domando per un supplente, per la metà, o per quell'altra piccola parte che giudicherà poter fare senza troppo grave disturbo.

                Io sarei andato immediatamente a parlarle in persona, ma ho due mute di esercizi spirituali, una in questa e la seconda nell'altra settimana.

                Compatisca questo povero questuante; la necessità è fuori delle leggi.

                Dio benedica Lei e tutta la sua famiglia, e mi creda con profonda gratitudine

                Di V. S. B.

 

                Torino, 12 settembre 1870,

Obbl.mo servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

                P. S. - La prego di ringraziare la signora Maria Luigia della lettera scrittami. Spero potermi recare a Vignale pel giorno 27 corrente.

 

                Non avendo potuto la caritatevole Contessa accogliere la sua domanda, il Venerabile si rivolgeva per lo stesso motivo alla Marchesa Fassati. [909]

 

                               Benemerita signora Marchesa,

 

                Le calamità pubbliche cadono sui privati e l'inaspettata chiamata di quelli di 2ª Categoria del 1848 coglie anche un nostro chierico che è vicino alle ordinazioni. Un altro, essendo rivedibile, resta incerto fino al compimento della nuova leva del 49; ma il primo, Bussi Luigi di Giarole, ha già il biglietto del Reggimento e ai venti deve trovarsi arruolato; vi è ancora l'ultima visita che si farà al corpo; può darsi che gli giovi la complessione gracile, ma intanto egli è vicino a restar militare.

                In questo caso eccezionale io la prego di osservare se nella somma che Ella ed il sig. Marchese offerirono alla Madonna sul loro credito di Cuneo, si potesse anticipare la somma di fr. 3200 pel riscatto di questo virtuoso chierico, il quale piange e trema al pensiero di doversi trovare ne' quartieri militari.

                Anni addietro la Contessa Callori mi offeriva l'occorrente pel riscatto di un chierico. Ora ho tosto scritto a Lei, che con molto suo rincrescimento mi risponde trovarsi ora nell'impossibilità.

                Mi rincresceva di scrivere a V. S. perchè so che fanno per noi quanto possono senza esserne richiesti; ma la necessità ci mette fuori di legge. Se può scrivermi una sola linea per mia norma, sarà un vero favore.

                Noi facciamo, mattina e sera, particolari preghiere all'altare di Maria Ausiliatrice, e pel sig. Fratello di Roma, e pei parenti di Francia.

                Dio ci scampi dai flagelli presenti e conceda ogni bene a Lei ed alla sua famiglia mentre mi professo,

                Di V. S. B.,

 

                Torino, 15 settembre 1870,

Obbl.mo Servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

                Questi chierici vennero riscattati.

                Aumentato il numero dei membri della Pia Società, era troppo ristretto il locale di Trofarello, e Don Bosco per non essere costretto a predicare tre corsi di esecizii, aveva deciso che i Salesiani si raccogliessero nel Collegio di Lanzo. Con essi venne pure da Mornese il Sacerdote Domenico Pestarino.

                Gli esercizi ebbero principio il 12 settembre e finirono il 17 D. Rua espose le meditazioni, Don Bosco tenne le istruzioni.

                Negli intervalli tra le prediche, le confessioni, le conferenze, Don Bosco continuava a scrivere per affari diversi.

                In primo luogo egli preparava una supplica pel Santo [910] Padre per ottenere che fosse esteso il privilegio delle dimissorie a que' giovani che fossero entrati nell'Oratorio dopo i quattordici anni di età.

 

 

                               Beatissime Pater,

 

                Jam annus cum dimidio elapsus est, ex quo, Beatissime Pater, magnum bonitatis tuae testimonium in Salesianam Societatem praebere desiderans, eamdem Societatem, tanquam Congregationem votorum simplicium, approbare dignatus es die i martii 1868.

                Quod autem ad dimmissoriales litteras relaxandas pertinet ea restrictione res composita fuit, ut Superior Generalis illas tantum concedere posset iis, qui nostris collegiis vel convictibus recepti fuissent ante annum aetatis suae decimum quartum expletum; quum vero non raro contingat ut adolescentes Salesianam Societatem post hujusmodi aetatem ingredi exoptent, saepius ad proprios uniuscujusque Ordinarios vel ad Sanctam Sedem est recurrendum. In primo casu difficillime saepe hoc fieri potest, praesertim si agatur de sodalibus qui de oris Africanis vel Americanis ad nos provenerint. Frequens vero ad Sanctam Sedem recursus, hisce potissimum temporibus, non levibus item difficultatibus praepeditur.

                Quae igitur quum ita sint, humillime a Beatitudine Tua expostulo, ut facultas litteras dimissioriales relaxandi extendatur etiam ad eos qui nostram hanc Congregationem amplexi fuerint post aetatem quatuordecim annorum expletam. Haec autem ad nostrae Piae Societatis bonum, ad lucrum animarum, atque ad majorem Dei gloriam summopere conferre censentur. Omnia tamen Sanctitatis Tuae pedibus provolutus, judicio bonitatis, charitatis et sapientiae Tuae humillime subiicio.

 

                Datum Taurini, die 12 septembris 1870,

Sac. Bosco JOANNES.

 

                Alquanto tempo dopo un Rescritto Pontificio concedevagli la facoltà delle dimissorie per sette ordinandi, entrati dopo i 14 anni nelle nostre Case, da scegliersi a suo arbitrio.

                Di quei giorni Don Bosco scriveva anche ad un Chierico, professo perpetuo, che vacillava nella vocazione.

 

 

                               Carissimo G....

 

                Tu sarai sempre inquieto e dirò infelice fino a tanto che tu non metterai in pratica l'ubbidienza promessa e ti abbandonerai intieramente alla direzione de' tuoi superiori. Finora il demonio ti ha  [911] crudelmente travagliato, spingendoti a fare il contrario. Dalla tua lettera e dai discorsi tenuti tra noi non appare alcun motivo per dispensarti dai voti. Qualora questi esistessero, dovrei scrivere alla Santa Sede cui sono riservati. Ma coram Domino io ti consiglierei alla considerazione dell'abneget semetipsum e a ricordarti che vir obediens loquetur victoriam.

                Credi alla mia esperienza. Il demonio vorrebbe ingannare me e te; riuscì in parte contro di te; contro di me a tuo riguardo ha fallito completamente. Abbi piena fiducia in me come io l'ho sempre avuta in te: non di parole, ma di fatti, di volontà efficace, di ubbidienza umile, pronta, illimitata. Queste sono le cose che faranno la tua felicità spirituale e temporale, e porteranno a me verace consolazione.

                Dio ti benedica e ti conceda il prezioso dono della perseveranza nel bene. Prega per me che ti sono con affetto di padre,

 

                Torino, 13 - 9 - 1870,

Aff.mo in G. C.

Sac. Giov. Bosco.

 

                Queste righe ottennero il loro effetto. E a quanti dovette scrivere simili biglietti! Il conservare le vocazioni, vacillanti per tanti ostacoli, non fu la parte più piccola delle sue fatiche.

                Aveva pure fatto noto al Vicario Capitolare di Pinerolo che un sacerdote di quella diocesi, affidato a lui perchè lo riducesse sul buon sentiero, sembravagli risoluto di cambiare in bene la sua condotta, e che erasi diportato esemplarmente in tempo de' spirituali esercizi a Lanzo. Il Vicario rispondeva.

 

13 settembre 1870.

 

                               M.to Rev. Sig. Don Bosco,

 

                La lettera stamane spedita da V. S. M. Rev.da mi riuscì molto consolante, poichè in essa Ella mi esortava a rimettere alla celebrazione della S. Messa il Sac. D. B... R... credendolo abbastanza provato per questo fine.

                Io adunque colla presente riabilito il Sac. B... R... alla celebrazione della S. Messa ed autorizzo la S. V. a permettere che celebri in questa casa, e nei luoghi che Ella sarà per inviarlo, il S. Sacrificio. Se non che per evitare ogni volubilità del medesimo, intendo per ora che questa facoltà di celebrare sia soltanto limitata a questo luogo, od in altri come dissi, ove Ella intenderà di mandarlo, conferendo a V. S. su questo riguardo una illimitata facoltà di poterne disporre come crederà [912] opportuno; che se però intendesse il detto R... di uscire da questa casa senza il mio espresso permesso, ovvero senza il consenso della S. V., intendo allora che rimanga ipso facto nuovamente sospeso.

                Credo bene di attenermi per ora a queste disposizioni per ovviare ogni incostanza del R... Intanto presto andrò a Torino e allora, mentre soddisferò alle mie obbligazioni, conferirò anche colla S. V. per sapere cosa debbo fare e come debbo regolarmi.

                Godo intanto di questa occasione per umiliarle i miei rispetti ed i miei attestati di riconoscenza, e mentre mi raccomando vivamente alle sue preghiere, tosto mi dichiaro,

                Della S. V. Ill.ma Rev.ma,

Umil.mo Obbl.mo servo

BERNARDI BENEDETTO

Vic. Gen. Cap.

 

                Di quel giorno, 13 settembre 1870, ci rimane anche una lettera di Don Bosco scritta alla direzione delle ferrovie. Fa meraviglia che in mezzo a tanti subbugli politici, in un tempo che sembrava il più inopportuno, egli ripigliasse una pratica fallita più volte.

 

 

Torino, 13 settembre 1870.

 

                               Chiarissimo Sig. Commendatore,

 

                Supplico la S. V. Chiarissima ad essermi cortese e leggere con bontà quanto qui espongo, risguardante alle Ferrovie dell'Alta Italia ed ai poveri giovani ricoverati nell'Oratorio di S. Francesco di Sales.

                Allora che questa benemerita Società entrava al possesso delle Ferrovie dell'Alta Italia continuò pur a beneficare i poverelli dei nostri Stabilimenti, riducendomi il prezzo del trasporto ad un quarto della tariffa, siccome si accennava nella lettera di concessione.

                Malgrado la buona volontà di impedire qualsiasi inconveniente nell'uso dei biglietti di favore, tuttavia non si potè impedire che un allievo alla Stazione di Saluzzo cedesse ad un altro il suo biglietto spiccato pel suo ritorno all'Oratorio. In seguito a ciò con lettera del 20 giugno 1867 il favore veniva ridotto alla metà prezzo.

                Altro fallo avvenne alla Stazione di Mella quando un biglietto notato per tre allievi, senza fare ricorso a chi di dovere, lo fecero servire per quattro, alterando così la cifra dall'Uffizio fatta sul biglietto. In seguito a questo fatto con lettera del 15 febbraio 1869 si partecipava la sospensione totale del benefizio. Noi abbiamo biasimata la condotta di quegli allievi e non abbiamo potuto far altro che cacciarli dallo Stabilimento, e intanto sottometterci alle conseguenze per cui tanti poveri giovanetti, non potendo pagare i viaggi, devono camminare sopra carrettoni o marciare più giorni a piedi con non piccole disgrazie. [913] Ora io prego caldamente V. S. Chiarissima a voler dire una parola al Comm. Amillau in favore di questi poverelli, considerando che i falli avvenuti sono senza colpa di questa Amministrazione, la quale biasima e punisce severamente i colpevoli: che questi Stabilimenti pel movimento che cagionano alle Ferrovie dalla parte dei loro aderenti e delle merci, producono anche qualche agio alle medesime: che nella sola festa e novena di Maria Ausiliatrice oltre a trentamila forestieri intervennero per le Ferrovie a Torino: che questi Stabilimenti hanno sempre accolto, e ve n'è tutt'ora un numero notabile, giovani fatti orfani per la morte dei genitori applicati alle Ferrovie, e altrimenti dai varii rami di codesta Ferroviaria amministrazione raccomandati.

                Premesse queste brevi osservazioni, io prego V. S. e nella sua persona prego il Direttore Amillau e tutti gli altri Signori dell'Amministrazione a voler giudicare sufficiente il castigo sostenuto, e con tratto di bontà rivocare la sospensione e riammettere i nostri poveri giovani a godere quella caritatevole riduzione di prezzo che sarà benevisa.

                Dal canto nostro si assicurano tutte le sollecitudini e tutti i mezzi atti ad impedire qualsiasi disordine che si possa temere al medesimo riguardo.

                Pieno di fiducia nella nota sua bontà, prego Dio che benedica Lei, sig. Commendatore, e conceda ogni bene ai Signori di codesta Amministrazione, mentre ho l'onore di professarmi,

                Di V. S. Chiarissima,

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                P. S. - Se mai non cagionasse troppo disturbo desidererei di poter dare in persona al Comm. Amillau o al Consiglio di Amministrazione gli schiarimenti che a tale uopo fossero desiderati.

 

                In que' giorni ad Alassio veniva pubblicato l'incanto, a pubblica gara, dell'antico convento dei Minori Osservanti, composto di un sol piano sopra il terreno, con salone, camere, scuole, fondi, chiesa ed annesso orto, situato fuori delle mura di Alassio e appartenente prima al Seminario Vescovile d'Albenga. Confinava a mezzogiorno col piazzale, Preve Luigi ed orto degli eredi Gardella, a levante con Navone Luigi, a ponente e mezzanotte colla strada.

                Ciò saputo, Don Bosco ricordando le profferte del Can. Ampugnani, gli scrisse pregandolo di presentarsi all'incanto dichiarando che si presentava per un terzo, del quale a suo tempo avrebbe palesato il nome. [914]

                Il Canonico gli rispose:

 

 

Viva Gesù, viva Maria!

 

                               Pregiatissimo Signore ed Amico,

 

                Oggi ricevetti la venerata sua delli 30 P. p. agosto, alla quale mi faccio un dovere di subito rispondere con la maggiore sollecitudine e piacere. Quando al mio ritorno seppi il prossimo incanto del Convento detto Seminario, e in pari tempo l'empio progetto di qualche giovinastro di farne acquisto per convertir la Chiesa in un teatro, subito determinai di farne io acquisto a qualunque costo. Imperocchè come sopportare che la casa di Dio sia convertita in un luogo destinato ad offenderlo? No! Iddio non permetterà che questo chiostro fondato dal Beato da Capistrano, santificato da tanti Santi Religiosi, risuoni ora di oscenità e di bestemmie.

                Eccole pertanto la mia risoluzione: io mi presenterò il 12 all'incanto e farò il possibile per acquistarlo nell'intento di applicarlo come V. R. desidera. Io crederei però che sarebbe bene Lei si trovasse in Alassio in questi giorni, per concertare insieme, nella speranza che i concorrenti si allontanino più facilmente. Così la pensano il sig. Sindaco e sig. Prevosto, che l'aspettano ansiosamente.

                Intanto mi raccomando alle di Lei orazioni; non mi dimentichi, o Carissimo, e una sola cosa dimandi per me a Maria SS.ma, cioè ch'io mi salvi. Di ciò solo La prego, segnandomi con piena stima ed ossequio,

                Di V. R.

 

                Alassio, 2 settembre 1870,

Dev.mo servitore e confr.llo in G. C.

Can. FRANCESCO AMPUGNANI.

 

                Don Bosco, non potendo recarsi ad Alassio, pensò mandarvi Don Angelo Savio, come suo procuratore generale. Il Canonico, tornato dall'America, era un degno ecclesiastico ed insieme un uomo d'affari. Quei della città che bramavano concorrere all'incanto, conosciuto il disegno di Don Bosco, si ritirarono: tra essi un certo sig. Giuseppe Morchio, che aveva concepito il disegno di porre nel convento un magazzino d'olio.

                Adunque il 12 settembre 1870 ebbe luogo l'incanto, mediante pubblica gara, coll'intervento dei signori Plaisant Avv. Pietro, Vice Pretore in Alassio, e Morcendo Vittorio. [915] Ricevitore del Registro, nonchè di Ampugnani Antonio fu Filippo e Luigi Penna fu Salvatore, testimonii. L'asta era posta sul prezzo di lire 15.000. Si presentarono due soli: il Canonico e Don Savio in nome proprio. Il Canonico fece la sua offerta e D. Savio accrebbe alquanto la somma. Così avvenne per due o tre volte, ma Don Savio, vedendo che il prezzo si andava aumentando di troppo, tacque.

                E il convento venne aggiudicato al Can. Ampugnani Francesco fu Antonio, per il prezzo complessivo di 25.000 lire. Non s'era parlato di terza persona da palesarsi a suo tempo, quindi Don Bosco pareva escluso.

                Viva fu l'indegnazione dei cittadini di Alassio, quando credettero deluse le loro speranze di avere un collegio. Intanto Don Bosco, nulla ancor sapendo dell'esito dell'incanto, e certo delle promesse di generoso soccorso fattegli dal Canonico, scriveva a D. Savio.

 

 

Lanzo, 13 settembre 1870.

 

                               Carissimo Don Savio,

 

                Ti mando la procura che dimandi. Fa' pure quanto occorrerà. Dirai al sig. Canonico Ampugnani che io comprendo la bellezza dell'azione che fa; e mentre Dio lo compenserà a suo tempo, noi lo ricorderemo con gratitudine; e finchè sussisterà la nostra Congregazione, egli avrà sempre sulla terra degli amici che offrirann a Dio preghiere per Lui. Nota però che io desidero che tale opera sia conosciuta, affinchè il suo esempio serva a far glorificare Iddio in faccia agli uomini. Concerteremo poi insieme il modo da tenersi a fine di fare quanto sarà più vantaggioso alle anime.

                Siamo a Lanzo per gli esercizi, in numero di 80. L'altra muta sarà di poco meno; quindi impossibile a Trofarello.

                Abbiamo pregato per il sig. Canonico Prevosto e speriamo che presto Dio lo ritornerà in salute. Avrà i programmi. Vi sono già delle dimande?

                Ringrazia da parte mia il sig. Agente del Demanio, e digli che lo attendo a farmi una visita a Torino.

 

                Vale in Domino, et valedic.

Aff.mo in G. G.

Sac. Giov. Bosco. [916]

 

                Era trascorsa una settimana dall'acquisto, in città molti mormoravano, e D. Savio chiedeva spiegazioni al Canonico.

 

 

                               Pregiat.mo Sig. D. Savio,

 

                Attesa l'urgenza voluta di una risposta in iscritto, non che l'inaspettata negativa assoluta di lasciarmi un palmo di terreno anche nel caso che da me fosse fatto lo sborso totale dell'importo d'incanto con le accessorie spese: amareggiato altronde per le insinuazioni nel pubblico, che io abbia voluto togliere questo locale al sig. Don Bosco con un tradimento, e nella necessità di smentirle, rispondo che sono pronto a fargliene trapasso al prezzo di deliberamento, sospendendo per ora altro maggior concorso. Intanto ho il bene di rassegnarmi

                Di V. S. M. Rev.

 

                Di casa, 19 settembre, 1870,

Dev.mo Servitore

Can. FRANCESCO AMPUGNANI.

 

                Don Savio non temporeggiò, prendendo a prestito all'uopo L. 20.000.

 

                Io sottoscritto, tanto a nome mio proprio, quanto nella mia qualità di procuratore generale di Don Bosco Giovanni fu Francesco, dichiaro di ricevere dal sig. Giuseppe Morchio del vivente Francesco, a titolo di grazioso imprestito, la somma di lire ventimila in tanti biglietti della Banca Nazionale, quale somma prometto e mi obbligo di restituire nel termine di dieci giorni da questa data, senza interessi.

                Tale somma mi è servita per l'acquisto del già Seminario d'Albenga, sito in Alassio, da me fatto il giorno di ieri presso il notaio Fignoni.

                Alassio, venti settembre, Mille ottocento settanta.

 

Sac. SAVIO ANGELO.

 

                Tutta quanta la cittadinanza vide subito, e con piacere, rifornirsi il convento del necessario per l'accettazione degli alunni e l'inaugurazione delle scuole in ottobre, e giungere i primi salesiani. Da quel tempo il Collegio Municipale di Alassio è la gloria più bella di quella città.

                E là il Signore preparava un altro amico a Don Bosco nella persona del Canonico Martini, il quale, col suo ricco censo, doveva essere uno de' suoi più generosi benefattori per sostenere le missioni di America.

 

 

CAPO LXXII. Chiusa del primo corso degli esercizi a Lanzo - La fede di Don Bosco nella potenza della preghiera, rivolta a Gesù Sacramentato - Fatto prodigioso in Soriano di Calabria - Secondo corso di esercizi a Lanzo - Don Bosco scrive al Comm. Dupraz del temporale che si avanza e del sereno che succederà - Come Don Bosco accogliesse questa notizia - Avvisi ai Salesiani riguardo al modo di trattare coi giovani: non si scriva ai parenti il motivo pel quale un allievo non può essere più tenuto in collegio - Presa di Roma Don Bosco scrive al Conte di Viancino per comprare la casetta Coriasso - Avvisa la Contessa Callori che fra due giorni arriverà a Vignale - Il Papa non lascia Roma per consiglio di Don Bosco; questi gli manda uno speciale inviato - Lettera del Venerabile a Don Rua - Non ha luogo quest'anno la lunga passeggiata ai Becchi, dove vanno solo alcuni giovani per le funzioni nella cappella - Don Bosco a Bricherasio - Area nella quale egli vuole edificare la chiesa di S. Giovanni Evangelista e un Ospizio - Appello per questa costruzione: l'Arcivescovo di Torino la raccomanda ai fedeli - Muore Mons. Riccardi.

 

                A LANZO, il 16 settembre, otto confratelli emettevano i voti triennali e tre i perpetui; tra essi Don Giuseppe Vagnano. Uno dei testimoni di queste professioni religiose era il Sac. Giuseppe Lazzero,  [918] che li aveva emessi a Torino il 16 gennaio. Il giorno dopo si cantava il solenne Te Deum, preceduto dalla solita rinnovazione dei voti.

                Don Bosco, qualche tempo prima, un sabato sera dopo le confessioni dei giovani e la cena, aveva ripetuto nella sua anticamera ad alcuni dei nostri, fra cui D. Gioachino Berto:

                 - Se in questi giorni tutti i Romani si mettessero d'accordo nel fare ogni giorno una visita a Gesù in Sacramento, Roma resterebbe al Papa.

                Il Venerabile sapeva chiaramente ciò che sarebbe successo; ma, uomo di Dio, non trascurava alcun mezzo diretto a confermare i suoi nell'efficacia della preghiera rivolta a Gesù Sacramentato.

                Intanto, per ordine di Re Vittorio Emanuele, cinque divisioni in pieno assetto di guerra entravano in territorio papale per combattere 8000 pontificii: e mentre il generale Nino Bixio si avanzava sotto Civitavecchia, bloccata dalla flotta, il colonnello Serra, comandante la fortezza, non cercava neppure d'iniziare la resistenza. Era il 15 settembre 1870.

                In questo giorno avveniva un miracolo strepitoso a Soriano, del quale il Venerabile conservò la relazione che ne fece ai suoi religiosi il rev.mo Padre Vincenzo Jandel, Generale dell'Ordine dei Predicatori, grande amico ed ammiratore di Don Bosco. Essa apparve nella Buona Settimana, periodico religioso popolare di Torino, a pag. 16 del 1° numero del 1871.

                Il foglio, che noi conserviamo, porta in margine questa postilla del Venerabile: Intorno al prodigioso avvenimento di Soriano, questo è il racconto.

 

                Memori delle divine parole, con cui lo Spirito Santo ci avvisa, che le opere di Dio hanno a promulgarsi, perchè rendongli onore (Tob. C. 12), era Nostro desiderio sin dallo scorso settembre parteciparvi un prodigioso avvenimento, con cui Dio volle ancora una volta illuminare il famoso Santuario del nostro santo Patriarca in Soriano di Calabria. Ma in consimili eventi non essendo prudente consiglio il [919] prestar piena fede alle prime voci diffuse dalla fama, che spesso illude o travede, abbiamo differito sino a che il Pastore di quella diocesi avesse, dietro nostra preghiera, fatto procedere ad una regolare inchiesta, la quale in questi giorni ci venne da Lui stesso per mezzo del P. Provinciale di Calabria trasmessa, e della quale ci affrettiamo a comunicarvi il risultato.

                A voi tutti è ben noto il Santuario di Soriano dedicato al Padre S. Domenico, la di cui antica immagine, sia per l'origine che le viene attribuita, sia per le grazie che del continuo si ottengono, riscuote la più alta venerazione non solo di quella provincia, ma eziandio delle vicine e lontane. Il giorno 15 settembre, che in tutto l'Ordine è sacro alla commemorazione di quella immagine, quivi si festeggia con maggiore solennità, la quale è terminata da divota processione con una Statua scolpita in legno di naturale grandezza. Ora in quest'anno, essendo esposta alla pubblica venerazione al lato sinistro dell'altare la predetta statua, mentre compiute le sacre funzioni circa trenta persone poco prima del mezzogiorno oravano, d'improvviso si vide il sacro Simulacro, come se vivo fosse muoversi all'innanzi, quindi retrocedere, alzare e poi deporre il braccio destro e corrugando la fronte accompagnare questi moti con isguardi, or severi e minacciosi verso gli astanti, ora mesti ed ora dolci e riverenti quando verso la Vergine del SS. Rosario volgevali, a quella guisa, come ci vien riferito, che gli evangelici banditori adoprano dal sacro pergamo.

                Quali si rimanessero a tal vista le persone che oravano, non si potrà di leggieri immaginare o concepire: il timore e la maraviglia quinci e quindi succedendosi dentro di loro, le rese attonite e vacillanti, cosicchè sulle prime non prestarono fede a' loro medesimi occhi. Ma poichè dal vicendevole ed unanime consenso si avvidero non essere illusione, ma realtà, risuonò altamente la chiesa di voci che gridavano: S. Domenico! S. Domenico! Miracolo! Miracolo! nè altro poteano o sapean pronunciare.

                Il prodigioso avvenimento, com'era ben naturale, colla rapidità del lampo si diffuse, ed in men che non si dice, l'intiera popolazione, abbandonata ogni domestica facenda, trasse in folla al Santuario, cosicchè ben due mila persone poterono essere spettatrici del prodigioso movimento del santo Simulacro, che perdurò lo spazio di un'ora e mezza circa: intanto tra i presenti ed i sopravegnenti moltiplicavansi le preghiere, le lacrime, le acclamazioni, le maraviglie.

                E quantunque sì gran numero di spettatori, che ad una voce constatavano il prodigio, togliesse ogni sospetto d'inganno, o di frode, nondimeno si volle soddisfare chi o per prudente dubitazione o per spirito d'incredulità non ne fosse pienamente convinto: e ciò tornò a maggior conferma, ed evidenza del prodigio, dissipando così ogni ombra che poscia avrebbe potuto offuscarlo .....

                È questo... il prodigioso avvenimento, del quale prima ci pervennero [920] da private lettere unanimi ragguagli, oggi confermati dal M. R. Vicario Foraneo di Soriano, il quale per ordine di S. E. Mons. Vescovo di Mileto ne distese autentica relazione sottoscritta con giuramento da trenta testimoni oculari scelti tra le persone più capaci ed oneste del paese, sebbene innumerevoli altri, come ivi si dice, avessero attestato la verità del prodigioso movimento...

 

                Don Bosco il 19 settembre si recava a Lanzo per cominciar il secondo corso di esercizi spirituali. Da Roma non giungevano più lettere e il telegrafo non trasmetteva più notizie ai privati, ma il pensiero di Don Bosco era rivolto alla visione avuta il 5 gennaio. Il 20 settembre egli scriveva al signor Comm. Giovanni Battista Dupraz.

 

 

Torino, 20 settembre 1870.

 

                                Carissimo Commendatore,

 

                Le mando, qui acchiusa, la lettera alla Sig. G….Ella abbia la bontà di compiere l'indirizzo che non posso ben rilevare dalla lettera di Lei.

                Sig. Commendatore, coraggio e speranza. Ritenga queste parole: un temporale, una burrasca, un turbine, un uragano, coprono il nostro orizzonte, ma saranno di breve durata. Dopo comparirà un sole che pari non risplendette da S. Pietro sino a Pio IX.

                Rispettosi ossequi a lei ed alla signora Consorte: Dio li benedica ambidue, preghino per me che sono con gratitudine,

                Di V. S. Carissima,

Obbl.mo sempre.

Sac. GIOVANNI BOSCO.

 

                Era il giorno della presa di Roma. Le prime notizie di questo fatto giunsero in Piemonte il giorno 21 e l'Unità Cattolica scriveva il 22 settembre: “I soldati di Nino Bixio e di Raffaele Cadorna entravano nell'eterna città, alle ore 10 del mattino del 20 settembre 1870”

                L'annunzio venne dato a Don Bosco a Lanzo, mentre era in refettorio a prendere una tazza di caffè dopo messa, e lo ricevette con la tranquillità propria di chi conosceva da tempo ciò che sarebbe avvenuto. Non disse parola, sicchè fece maravigliar tutti quella sua calma glaciale. [921] Di quel medesimo giorno egli scriveva anche al nobile sig. Conte Francesco di Viancino. Aveva deciso - ne abbiamo già fatto vari accenni - d'innalzare sul viale del Re in Torino, in prossimità del tempio Valdese, un nuovo tempio cattolico per paralizzare la propaganda protestante e pei bisogni spirituali dei cattolici che popolavano quei dintorni. In questa lettera il Venerabile dapprima chiama questa nuova chiesa di S. Luigi, perchè sarebbe sorta in quell'Oratorio; come in altri documenti relativi a siffatta impresa l'ha detta oratorio o chiesa di Porta Nuova, perchè doveva sorgere in quel borgo. Ma in questa stessa lettera egli fa chiaro il suo divisamento di costrurre una grande chiesa e di volerla dedicare a S. Giovanni Evangelista.

 

 

                COLLEGIO CONVITTO S. FILIPPO NERI

                IN LANZO

20 - 9 - 70.

 

                               Carissimo Sig. Conte,

 

                Adesso che la questione finanziaria tra Prussia e Francia è terminata, debbo uscire io dopo una battaglia che fu contestata più di quella di Sedan. Il sig. Coriasso, proprietario della piccola casa, che divide l'Oratorio dalla Chiesa di Maria Ausiliatrice, è disposto di fare finalmente l'istrumento di vendita. Una persona caritatevole mi venne in aiuto, e potei a tale uopo preparare quindicimila franchi, chè altrettanti ne vuole, e li depositai alla Banca di Sconto. Per venire intanto a termine della pratica col protestante Morglia e stringerlo a cedere per utilità pubblica una striscia di terreno per la Chiesa di S. Luigi, si dovette mandare una dichiarazione al Consiglio di Stato che eravamo in grado di pagare quella striscia, e appoggiare quella dichiarazione sopra i quindicimila franchi depositate alla Banca mentovata. Ciò fa che hic, et nunc non possiamo servircene.

                In questo momento mi venne a mente quanto Ella dissemi una volta intorno al denaro depositato alla Banca di Sconto per fare l'offerta alla sospirata Chiesa di S. Luigi o di S. Giovanni.

                Ella dunque somministrerebbe la somma di fr. 5 mila per raggranellare quanto è mestieri per casa Coriasso? Fatto libero il danaro di cui sopra, io userò equivalente danaro per la medesima Chiesa. [922] Se Ella giudica di accettare questa proposta si renderà benemerito presso la Madonna e presso al suo figlio adottivo, S. Giovanni, i quali sono ambidue buoni pagatori.

                Io sono a Lanzo per gli Esercizi Spirituali e sabato sarò a Torino. Qui non ho dimenticato di pregare per Lei e per la Sig. Contessa Luigia, ed augurando ad ambidue sanità e grazia, mi raccomando alle loro preghiere e mi professo con gratitudine,

                Di V. S. Car.ma,

Aff.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Intanto continuavano gli esercizi. Il 23 sette confratelli facevano i voti triennali; e il sac. Giacomo Costamagna e il Ch. Domenico Tomatis i perpetui. Il capitolo accettò anche gli aspiranti che domandavano d'esser ascritti. Don Rua fece la nota di quanti avevan preso parte a quel ritiro spirituale e ciò divenne uso costante di tutti gli anni e di tutte le mute.

                Il 24 fu il giorno di chiusura. Fra gli avvisi che diede Don Bosco, importantissimi, alcuni riguardavano il modo di trattare coi giovani.

                Avvisi che Don Bosco dava ai suoi Salesiani negli esercizi di Lanzo, riguardo al modo di trattare coi giovani.

 

                1° Mai scrivere loro lettere troppo affettuose.

                2° Mai tenerli per mano.

                3° Mai abbracciarli o baciarli.

                4° Mai intrattenersi con loro da soli, e molto meno nella propria stanza, qualunque sia il motivo.

                5° Mai dar loro occhiate troppo espressive.

                La gioventù è un arma pericolosissima del demonio contro le persone consacrate al Signore.

 

                Il Direttore di Lanzo lo interrogò privatamente qual formola si dovesse adoperare nello scrivere ai parenti d'un cattivo giovane che si volesse allontanare dal collegio. Don Bosco rispose:

                 - Non mettete mai in carta la colpa del giovane. Scripta manent.

                 - E allora?  [923] Prese un foglio e scrisse:

                “Venite immediatamente a visitare vostro figlio. Gli è impossibile rimanere in collegio. Saprete motivi personalmente - Lemoyne”.

                Il 25, domenica, riceveva nella Chiesa dell'Oratorio i voti di un confratello e scriveva alla Contessa Callori:

 

 

                               Ch.ma e Benemerita Signora,

 

                Martedì prossimo, da Casale, coll'omnibus della sera, spero a Dio piacendo di essere a Vignale e fare una fermata fino a mercoledì a sera. Verbalmente ogni cosa.

                Dio benedica Lei e la sua famiglia e mi creda con gratitudine

                Di V. S. B.

 

                Torino, 25 settembre 1870,

Obbl.mo servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

                A Roma, nella prima impressione degli avvenimenti compiuti, vari membri della Corte Pontificia consigliavano il Papa ad abbandonare la città e cercare altrove un rifugio sicuro. Pio IX esitava ad abbracciar questo partito, ma per prudenza aveva dato le disposizioni necessarie pel viaggio.

                I Prelati insistevano. Il Papa aveva fatto interpellare Don Bosco, chiedendogli consiglio e assicurandolo che l'avrebbe seguito; quindi ripeteva a coloro che lo pressavano:

                 - Aspettiamo la risposta di Don Bosco.

                E il Venerabile, dopo avere lungamente pregato, mandò per mano fida la risposta concepita in questi termini:

                “La sentinella, l'Angelo d'Israele si fermi al suo posto e stia a guardia della rocca di Dio e dell'arca santa”.

                Pio IX lesse, revocò ogni disposizione per la partenza e non si mosse da Roma, non ostante che per qualche tempo gli venissero susurrati pareri contrarii. Così ci narrò più volte D. Gio. Cagliero ben informato di questo fatto, poichè egli stesso aveva copiata la lettera da spedirsi al Santo Padre.

                Qual servizio non rese Don Bosco alla Chiesa in generale e all'Italia in particolare con questo suo consiglio!  [924] La lettera seguente ha forse relazione col fatto suaccennato.

 

 

                               Carissimo Don Rua,

 

                Sarò a Torino giovedì per quello che giunge alle 6 ½ di sera. Se puoi, trovati alla stazione e ci parleremo per via. Intanto 1° Di' a D. Dalmazzo che prevenga Padre Franco che, se gli occorre qualche cosa per Roma, può servirsi del nostro inviato; 2° Rossi Giuseppe vada all'ufficio delle Ferrovie, prenda un biglietto di andata e ritorno, ma che invece della circolazione possa proseguire direttamente la via pel Roma. Poi si dimandi se invece di uno andata e ritorno volessero cangiarlo con due biglietti di andata. Questi servirebbero pei due Palmieri e Poligari. Queste cose furono già fatte con altri; se nol fanno pel secondo caso, pel primo è cosa comune a tutti gli viaggiatori che lo dimandano.

                3° La partenza sarebbe fissata per venerdì sera.

                4° Se puoi, va tu stesso in Curia a comunicare la cosa al Vicario Generale e all'Arcivescovo, secondo il promemoria ivi unito.

                5° Manda a Pesce il baule per Casale...

                Dio ci benedica tutti e credimi

 

                Casale, 27 - 9 - 70,

aff.mo in G. C.

Sac. Giov. Bosco.

 

                Tornato a Torino, si recava ai Becchi, accompagnandovi alcuni cantori per la festa del S. Rosario. Ai Becchi egli aveva già mandato Don Paolo Albera per predicare la novena; ma in quell'anno non vi condusse nè la banda, nè tutti i cantori. Diceva in confidenza a Don Albera:

                 - Come vuoi che stiamo allegri ed in feste, se il Padre universale dei fedeli è chiuso in Vaticano?

                Il 2 ottobre scriveva a D. Rua da Bricherasio:

 

 

                               Carissimo Don Rua,

 

                Venerdì, pel treno che giunge alle 3 e 45, mandami qualcheduno e gli darò il sacco per essere libero a fare qualche commissione per Torino. Manda un programma di Lanzo al sig. Cesano, notaio e segretario di Bricherasio, il cui figlio è accettato per la pensione maggiore. Se àvvi nulla in contrario, gli avrei fissato il n. 161.

                Procura, sì fieri potest, di tener un prete libero, perchè domenica venga a dir messa dal Conte Viancino, domenica prossima.  [925] Tratteremo la cosa di presenza e, qualora se ne potesse fare a meno, dirà la Messa nella Chiesa di Maria Ausiliatrice.

                Dio ci benedica tutti e credimi,

 

                Bricherasio, 2 - 10 - 1870,

Aff.mo in G. C.

Sac. Giov. Bosco.

 

                Il giorno 7 era di ritorno a Torino, deciso di dedicarsi alla costruzione della Chiesa di S. Giovanni.

                Tra il Po e il tempio dei Protestanti, sul corso del Re Vittorio Emanuele, stendevasi un isolato, in un'area oblunga, quadrilatera, regolare. Un terzo di questa, a levante, era proprietà del Valdese suaccenato, Enrico Morglia, industriale, negoziante in pietre lavorate. All'angolo sud - ovest vi era la palazzina della Contessa Clavesana con piccolo giardino cintato. Il rimanente terreno misurava circa 3800 metri quadrati. Esso confinava a levante con Enrico Morglia, a mezzodì colla via Pio V e contessa Clavesana; a ponente contessa Clavesana e via Madama Cristina; a mezzanotte col corso Vittorio Emanuele. Era frazionato fra diversi proprietarii, dai quali Don Bosco l'avrebbe comprato, palmo a palmo, pagandolo in proporzione dei fabbricati entrostanti, che erano inservibili e da demolirsi. Da uno di questi padroni Don Bosco affittava ancora ciò che rimanevagli dell'antico spazio dell'Oratorio di S. Luigi.

                Il Venerabile aveva fissato di costrurre la chiesa a fianco della possessione Morglia: ma siccome il confine di questa, a ponente, era formato da una linea obliqua col Corso Vittorio Emanuele, non si poteva stare al disegno: e bisognava ottenere la cessione di 328 metri quadrati di terreno occorrente alla regolarizzazione di tale confine.

                Occorreva adunque venire a trattative coi singoli proprietarii e si era già incominciato. In data 30 marzo 1870, Don Bosco comprava dai fratelli e sorelle Franco e matrigna Teresa Torre, vedova Franco, un corpo di casa per 14.000 lire. Ora aveva in corso altre pratiche. Infatti con atto del [926] 15 novembre 1870 acquistava dal signor Giacomo Vigliani, per 10.000 lire, un fabbricato con cortile e terreno adiacente. A ponente esso confinava colla via Madama Cristina e a notte col corso del Re. Così era assicurata l'erezione dell'Ospizio. In seguito si fecero gli altri acquisti. Il 20 gennaio 1871 il Padre e i figli Turvano gli cedevano un pezzo di terreno per 7.897 lire. Con atto del 13 gennaio 1873 acquistava un'altra piccola pezza di terreno per lire 5.781 dalla signora Felicita Valenti Binelli. Finalmente il 6 ottobre 1875 il signor Antonio Boasso gli vendeva una piccola area di terreno, l'ultima striscia a mezzogiorno, formante in massima parte la metà della via Pio V, di metri 2.144, per il prezzo di lire 1.400, e così completava lo spazio necessario per la sagrestia.

                La somma impiegata in tali acquisti, compresa la striscia del Morglia, doveva essere di almeno 70.000 lire.

                Don Bosco non si sgomentò. Il valente architetto Conte Arborio Mella accettò l'incarico di stendere il disegno. I fratelli Buzzetti furono capimastri e impresarii, il Conte della Veneria, con generosità senza pari, si accinse a sostenere il Servo di Dio presso i proprietarii, il Municipio ed il Governo.

                Ma quante furono le difficoltà trovate sulla via! Basterebbe la loro enumerazione, per dimostrare l'eroica fortezza del Venerabile.

                Fin dall'ottobre 1870 egli fece appello alla pubblica carità, perchè gli venisse in aiuto della nuova impresa. La sola costruzione della Chiesa e dell'Ospizio doveva certamente costare più di 400.000 lire. L'Arcivescovo approvava quell'Opera e Don Bosco poteva unire alla circolare una sua raccomandazione.

                Ecco i documenti.

 

 

                CHIESA DI S. GIOVANNI EVANGELISTA CON OSPIZIO E SCUOLE PER POVERI

                FANCIULLI SUL VIALE DEL RE.

 

                Nella città di Torino, dalla piazza d'Armi fino al Po, àvvi uno spazio popolatissimo di circa tre chilometri, senza che tra que' numerosi abitanti vi sieno nè scuole per fanciulli, nè chiese pel culto religioso. [927] Egli è nel mezzo di quella popolazione, come ognuno sa, che i Protestanti innalzarono il così detto loro tempio con ospizio, scuole ed asilo infantile. Quindi per quella deficienza deplorabile di vicine Chiese e scuole cattoliche, per la vicinanza altronde dello stabilimento eterodosso, ne nasce pe' padri di famiglia un gravissimo ed efficacissimo cimento di mandar i loro figli e figlie misti a quelli dei protestanti alle loro scuole ed asili, sotto allo specioso pretesto che la necessità non ha leggi.

                Esisteva bensì da molti anni l'Oratorio di San Luigi con scuole e giardino di ricreazione, ma nel prolungamento della via S. Pio V, questa località fu divisa in due parti e così resa inservibile al suo scopo.

                A fine di provvedere in qualche modo alla gravità del bisogno, coll'aiuto di caritatevoli persone fu comperato un terreno, compreso tra la detta via S. Pio V e Via Madama Cristina, con fronte sul viale del Re.

                L'intendimento è di edificare una chiesa, che possa servire anche per gli adulti, con fabbricato sufficiente per scuola, ospizio, giardino, dove trattenere i ragazzi in ricreazione nel giorno festivo, preservarli dai pericoli dell'immoralità ed avviarli a qualche arte o mestiere.

                Coll'appoggio della Divina Provvidenza i lavori sono iniziati, il muro di cinta è già terminato, e mentre un benemerito ingegnere sta ultimando il disegno della chiesa e dell'edifizio annesso, si preparano eziandio i materiali necessarii alla costruzione.

                Ma i tempi difficili che corriamo, le miserie che si fanno ovunque sentire, sono un grande ostacolo per condurre a termine un'opera di tal genere, per cui non si ha un soldo di bilancio preventivo. Se non che la carità dei Cattolici, che non venne mai meno in altre simili occasioni, non sarà ora certamente per mancare; il caso è troppo grave per dubitarne. Qui si tratta, come ognuno può facilmente persuadersene, di preservare un gran numero di fanciulli, e forse anche di adulti e di intere famiglie, dal grave e funesto pericolo di essere indotti in errori contro la santa fede, e quasi insensibilmente alienati dalla Santa Cattolica Chiesa e dal supremo di Lei Capo e Pastore, di venire, anzi di trovarsi, quasi senz'avvedersene, impegnati nell'eresia. A questi inconvenienti sono seriamente invitati e caldamente pregati a riflettere quelli che amano Dio, il bene della Santa Cattolica Chiesa e la salvezza de' loro prossimi.

                Si spera che questi lavori saranno compiuti in due anni, e in questo spazio di tempo si fa umile ma caldo appello a tutti i buoni, supplicandoli a voler concorrere con qualche offerta che Dio loro inspirerà pei bisogni eccezionali. Tali offerte si possono fare in danaro o in altra qualsiasi materia, atta a servire di costruzione o di ornamento alla chiesa o all'edifizio annesso. Si tratta di salvare anime, e colui che porge la mano benefica avrà fondata speranza di udirsi un giorno dal [928] Salvatore le consolanti parole: “Hai salvato un'anima, hai predestinato la tua”. Il Sommo Pontefice Pio IX loda l'impresa e benedice tutti quelli che ci prenderanno parte. Sua Eccellenza rev.ma il nostro amatissimo Arcivescovo non solo incoraggisce, ma vi prende parte con quei mezzi materiali che la sua posizione gli permette. Si fa appello ai cristiani in genere, ma specialmente a quelli che dimorano in quel vicinato od hanno ivi qualche possedimento.

                La chiesa è dedicata a S. Giovanni Evangelista, e l'ancona rappresenterebbe il Salvatore che dalla Croce affida la sua Madre SS. al prediletto apostolo S. Giovanni, siccome sta esposto nel Santo Vangelo.

                Le oblazioni si ricevono dal sottoscritto, o dal sig. D. Traversa Curato di S. Massimo, alla cui parrocchia appartiene il sito scelto per la novella costruzione.

                Dio ricolmi di grazie e di celesti favori tutti i benemeriti oblatori, e loro conceda giorni felici con largo guiderdone quivi in terra e assai maggiore nella beata eternità. Così sia.

 

                Torino, 12 ottobre 1870.

Sac. Giov. Bosco.

 

                RACCOMANDAZIONE di S. E. Rev.ma Monsignor Riccardi Alessandro, Arcivescovo di Torino, in favore del progetto sopra esposto.

 

                Con grande nostra soddisfazione abbiamo visto ed approviamo l'avanti esposto divisamento dello zelante e pio nostro sacerdote Don Giovanni Bosco, di già benemerito della Chiesa e della civile società per varie sue istituzioni sì religiose che di pubblica beneficenza. Ci consola che l'opera salutare sia iniziata, e facciamo voto, perchè al più presto sia recata a compiuta costruzione. Ma a ciò è indispensabile un generoso concorso di largizioni e limosine: sia pure. Noi siamo persuasi, che i fedeli abitanti di questa pia città, e quelli in ispecie delle case adiacenti al viale del Re, riconoscendo essi pure l'importanza e la somma opportunità di questo nuovo stabilimento, vorranno corrispondere, per quanto a ciascuno lo acconsentano le proprie forze, all'invito loro fatto di concorrere al grand'uopo, che quanto prima possa aprirsi alla pubblica spirituale e temporale utilità l'incominciato edifizio. Egli è in tale dolce fiducia, che all'opera intrapresa, a chi l'ha incominciata, a chi sarà per promuovere il compimento, noi compartiamo la nostra pastorale, patema benedizione.

 

                Da Torino, 13 ottobre 1870.

 

                D'ordine ed a nome di S. E. Monsignor Arcivescovo.

 

GIUSEPPE ZAPPATA, Vicario Generale.

 

                L'Arcivescovo Mons. Alessandro Ottaviano Riccardi dei Conti di Netro, passava a miglior vita il giorno 16 ottobre,  [929] desiderato pel bene fatto all'Archidiocesi. Anche nell'Oratorio si fecero solenni funerali. Sul suo sepolcro venne eretto uno splendido monumento che lo rappresenta in ginocchio, in atto di preghiera: opera pregevole del chiaro scultore Della Vedova. L'epigrafe dice così:

                Alessando Ottaviano Riccardi dei Conti di Netro, per XXV anni Vescovo di Savona, per III anni e VII mesi Arcivescovo di Torino, di mitezza, di prudenza, di carità, dì zelo esempio ammirabile, fu amato in vita e pianto in morte, come si ama e si piange un padre.

 

 

CAPO LXXIII. È aperto il Collegio di Borgo S. Martino. - D. Francesco Cerruti Direttore ad Alassio - L'obbedienza premiata - Consigli di Don Bosco ai Salesiani sul modo di prestarsi nell'esercitare il sacro ministero per le persone estranee e senza danno di un collegio - Don Bosco ad un professore che ha male alla gola annunzia che, non potendo essere insegnante, sarà scrittore - Il Ministro dell'istruzione Pubblica limita l'insegnamento della religione nelle scuole comunali a que' soli alunni, i parenti dei quali lo richiederanno - Effetti dell'istruzione religiosa, insegnata da Don Bosco colla voce e coll'esempio - Artigiani che si fanno onore in società - Il Catechismo negli oratorii festivi - Letture Cattoliche: STORIA ECCLESIASTICA - Don Bosco dispone il personale insegnante e dirigente nelle varie case - Congeda un caro alunno che va in seminario - Confidenza degli ex - alunni Seminaristi in Don Bosco - Entrano nell'Oratorio due Gerosolimitani e altri Algerini - Morte di un buon coadiutore e di un chierico nell'Oratorio - Biografia di Giuseppe Villa, confondatore della conferenza annessa di S. Vincenzo de' Paoli - L'assedio di Parigi.

 

                DON Bosco aveva fatto pubblicare i programmi dei singoli collegi, identici per gli interni. Da Mirabello era stata trasportata ogni masserizia a Borgo S. Martino, dove i giovanetti rimanevano incantati nel trovare,  [931] a brevissima distanza dalla ferrovia, un magnifico palazzo, vasti cortili, deliziosi boschetti e viali ombrosi. Anche Mons. Ferrè, Vescovo di Casale, che aveva accordata la sua protezione al Collegio e al quale i genitori potevano rivolgersi per l'accettazione dei figli, provò una grande soddisfazione la prima volta che andò a visitare l'istituto, continuandolo a riconoscere come suo piccolo seminario.

                Don Francesco Cerruti era andato ad aprire la nuova casa di Alassio in qualità di Direttore. Era così debole che temeva di morire nel viaggio. - Va! - gli disse Don Bosco, come ebbe udite le sue giuste osservazioni. Don Cerruti partì: nelle prime ore gli sembrava di andare quasi in deliquio: ma dopo aver viaggiato in ferrovia fino a Savona e di qui in carrozza disagiata, per sette od otto ore, fino ad Alassio, giunse in collegio, sentendosi in piene forze. Un giorno Don Bosco gli disse:

                 - Quando abbia da raccontare come vir obediens loquetur victoriam, non hai da andar a cercare gli esempi nei libri.

                Gli aveva dato varii consigli che D. Cerruti espose in questo modo: “Gli premeva soprattutto che i Salesiani si prestassero in aiuto del parroco del luogo ove esisteva la casa, desiderando che ivi si facesse ciò che facevasi nell'Oratorio di Torino. Mi ricordo a questo proposito di aver udite da lui le seguenti parole: - Prèstati volentieri e sempre, quanto potrai, senza però che ne possa soffrire l'ordine nel tuo collegio. - Una volta poi gli domandai, come dovessi regolarmi intorno alle dimande di messe che si chiedevano, soprattutto dai villeggianti e famiglie signorili. Mi rispose: - Accetta per prima cosa dove l'elemosina è minore: prima la parrocchia, poi le confraternite e le altre chiese più frequentate dalla popolazione; in ultimo, se potrai, per le case private dei signori e dei villeggianti. - Come pei catechismi, così voleva che si prestassero i suoi figli spirituali per la predicazione e per le confessioni, ma sempre subordinatamente ai doveri imposti loro dal Collegio”. [932]

                Il ch. Giovanni Garino doveva raggiungere D. Cerruti nel collegio di Alassio, destinato all'ufficio di Catechista. Egli si trovava all'Oratorio, indisposto per un mal di gola, che da tempo era tornato a tormentarlo. “Un giorno, egli raccontò, prima di partire per la mia nuova destinazione, passeggiando con Don Bosco e dicendogli che mi rincresceva di non poter più attendere a fare scuola, ei mi rispose: - Ebbene, quando non potrai più fare tanta scuola, scriverai! - Io non feci allora gran caso di questa ultima parola, ma essa si è avverata; e ripreso, quando fui alquanto guarito, un po' d'insegnamento, mi trovai condotto a scrivere e pubblicare alcune operette, secondochè pare accennasse Don Bosco colla parola scriverai”.

                Mentre Don Bosco si adoperava a fondare collegi cristiani, era tolto l'insegnamento della Religione alle scuole. Il Ministro Correnti ordinava nel 1870 ai Consigli scolastici e ai Comuni di provvedere che l'insegnamento religioso fosse dato a quei soli alunni, i genitori dei quali avessero dichiarato essere questa la loro volontà. Invero in quasi tutti i Comuni, i padri di famiglia domandarono che si proseguisse a dare l'insegnamento religioso; anzi molti protestarono al Ministero contro certi Municipii che avevanlo arbitrariamente abolito. È impossibile educare la gioventù senza i dieci comandamenti e il santo timor di Dio, unico freno alle umane passioni.

                E Don Bosco cercava di opporsi ai mali preveduti, per quanto poteva, coi catechismi nelle scuole e in chiesa nelle domeniche. Coll'istruzione religiosa fioriva nell'Oratorio la pietà, utile ad ogni cosa. Questa non si imponeva, ma le si dava quotidiano alimento, nella comune preghiera, nella S. Messa, nella frequente confessione e comunione, negli acconci sermoncini d'ogni sera prima del riposo. Don Bosco aveva di questi il talento e la speciale eloquenza. “Io l'udii, scrisse alcuni anni dopo Mons. Reggio, Vescovo di Ventimiglia, nella sua casa di Torino e ammirai la turba dei giovani, che avresti detto gli rapissero le parole di bocca. Ameno [933] insieme e profondo, sapeva infondere la sapienza, cui egli definiva: L'arte di ben governare la Propria volontà. Arte siffatta era davvero in lui: e prima la voleva nell'educazione della gioventù, e poi nelle lettere, onde egli era eccellente maestro. Perchè, quanto era semplice e modesto, altrettanto si palesò esperto nella pedagogia e nella controversia messa a portata del popolo” E conchiudeva: “Don Bosco è un santo!”

                Di buoni libri Don Bosco faceva fare brevi ma frequenti letture nella giornata. Dopo la messa a mo' di meditazione, in tempo di pranzo e di cena per un breve tratto di dieci o di quindici minuti, di nuovo cinque o sei minuti prima di uscire dalla sala di studio, e di nuovo in camerata durante i cinque o dieci minuti in cui ciascuno si coricava, sempre si faceva lettura di libretti educativi scelti con molta cura. Gutta cavat lapidem... Quei buoni pensieri caduti sull'anima del giovinetto tre, quattro, cinque volte al giorno pel corso di quattro, cinque, sei anni di collegio, era impossibile non lasciassero traccia di sè e non dessero frutto di sano pensare e di virtuoso operare per tutta la vita.

                Era l'istruzione religiosa che rendeva Don Bosco padrone dei cuori, poichè, sorridente e buono, insegnava rispetto, amore ed umiltà verso di tutti.

                In lui gli alunni vedevano il modello delle virtù insegnate dal catechismo. Rendeva amabilissimo Don Bosco l'essere sempre pronto a render servizio ai grandi ed ai piccoli della sua casa, in ogni occasione d'importanza o meno, poichè come nostro Signore Gesù Cristo pensava: Non veni ministrari sed ministrare. Cento fatti lo attestano; qui ne aggiungiamo uno che ci viene alla memoria, narratoci da uno dei nostri confratelli sacerdoti:

                “Una mattina mi vestii per la messa nella sagrestia di Maria Ausiliatrice: aspetto il serviente, ma niuno si presenta, essendo l'ora alquanto tarda. Don Bosco che aveva celebrato e faceva lì presso il suo ringraziamento, si alza, si avvicina e mi dice:  [934]

                - Che cosa aspetti?

                - Il serviente.

                - Vieni, vieni che te la servo io. - Io esitava, non voleva che si incomodasse, ma non ci fu verso e prese il messale. Allora partii; si andò all'altare di S, Pietro e mi servì la messa fino all'offertorio, quando venne a sostituirlo un chierico”.

                Il suo esempio e il suo sistema educativo rendevano i giovani dell'Oratorio affezionatissimi ai loro Superiori. Qualunque di essi, anche semplice chierico, quando compariva nel cortile era subito attorniato da un gran numero di piccoli amici. Molti di costoro non temevano di palesare ai loro superiori le loro mancanze, e talora confidavano ad essi persino i segreti della loro coscienza, mentre in tempo di ricreazione si passeggiava sotto i portici.

                Narra D. T... che una volta, essendo egli alunno della terza ginnasiale, passeggiando con molti altri a canto di Don Cagliero, gli disse: - Domani è domenica e stasera tra la scuola di musica e quella di cerimonie non ho ancor potuto confessarmi.

                 - Ebbene, gli rispose D. Cagliero, confèssati qui.

                E il giovane, continuando a passeggiare, mentre i compagni non smettevano fra loro i vivaci e scherzevoli discorsi manifestò a D. Cagliero ciò che potea fargli pena per averne consiglio. E i compagni non si stupirono perchè erano soliti a fargli essi stessi simili confidenze.

                Nè la famigliarità era a danno della riverenza, perchè il catechismo insegna: Obedite praepositis vestris.

                Anche gli artigiani, trattati ed educati a pari degli studenti, dimostravano colla loro condotta l'efficacia dei principii religiosi imparati. Lealtà ed onestà era il loro carattere, e molti furono i giovani che fecero grande onore all'Oratorio colla loro condotta, allorchè ne uscirono. Perciò l'essere stati educati da Don Bosco era per loro la miglior raccomandazione per essere accettati nelle fabbriche, nelle botteghe,  [935] o in altri uffizii. I padroni venivano essi stessi a chiedere a Don Bosco i giovani operai.

                La direzione delle strade ferrate li ammetteva volentieri al suo servizio. Varii falegnami per la loro abilità, operosità e virtù, ebbero subito cinque lire al giorno, che furono poi aumentate di molto: e furono amatissimi dai Superiori. Un giovane ex - allievo, assunto in un ufficio di contabilità, trovò quivi un biglietto smarrito di 2, 50 lire. Si affrettò a consegnarlo al suo capo, il quale gli chiese:

                 - Dove avete studiato?

                 - Da Don Bosco!

                Il giorno dopo la sua paga mensile era elevata da 60 lire a 120.

                Dalla cassa forte di una caserma fu sottratta una somma cospicua. Varie disgraziate circostanze pareva indicassero come ladro un nostro fabbro - ferraio che era soldato. Egli si protestò innocente. Era tale la sua condotta virtuosa, che il colonnello e gli altri uffiziali non ebbero alcun dubbio sulla sua innocenza, ma non ne avevano le prove: e per un mese intero, per l'affetto che gli portavano, fecero le più attive ricerche, e finalmente il vero colpevole venne scoperto e condannato.

                Ancora un fatto. Un giovane di forze erculee, arruolato nell'arma dell'artiglieria, mentre era in piazza d'armi per la rivista, si sente chiamare per nome dal generale, che gli dice: Tu sei stato educato da Don Bosco?

                 - Sì, signor generale.

                 - Vuoi essere mio attendente? Volentieri.

                Dopo tre mesi il generale andava a riposo e il giovane fu nominato caporale. Sempre fedele alle pratiche religiose, per sedici anni fu sergente e finì con essere comandante in una fortezza di frontiera. Di là scriveva:

                “Benedetta la casa di Don Bosco dove io ho imparato ad obbedire. Quanti miei commilitoni, insofferenti della [936] disciplina militare, e anche delle leggi morali, io vidi condannati alla carcere, alle compagnie di punizione, alle reclusioni, e taluni alla fucilazione. Io, memore degli insegnamenti della Dottrina cristiana, non ebbi mai alcuna punizione, seppi far sempre con esattezza il mio dovere, sopportare, tollerare, e soffrire anche in pace. Così giunsi ove sono, e benedico Don Bosco che mi ha insegnato ad obbedire”.

                Come questo bravo soldato, e per gli stessi motivi, fecero fortuna un numero incalcolabile di poveri giovanetti. Divenuti proprietarii e capi di fabbriche e botteghe, negozianti, impiegati in uffici lucrosi, vivono signorilmente colle loro famiglie. Il santo timor di Dio vale pur qualche cosa anche in ordine ai vantaggi temporali.

                E che diremo dei catechismi che si facevano dai collaboratori di Don Bosco negli Oratorii festivi, per tanti anni, a migliaia di figli del popolo? Dal racconto di uno di questi si può dedurre la storia di un'infinità di altri che, in gran parte, di religione nulla ancora sapevano e divennero eccellenti cristiani, onore della società. È il racconto di un ritorno all'ovile.

 

 

                La pecorella smarrita ero io.

                Allevato in una famiglia dove, anche per le più elementari pratiche religiose si nutriva, se non una vera e propria ostilità, almeno una fredda indifferenza, io crescevo quasi nella ignoranza dei sublimi precetti del Vangelo di Cristo; e, se bene mai io mi sentissi compiutamente tetragono ai conforti spirituali della nostra Santa Religione, pur tuttavia la concepivo come una somma di pratiche fastidiose e seccanti, e la temevo come si temono le cose che si ignorano, e come gli studenti ginnasiali temono le lezioni di latino e di greco. Avevo un vago sentimento di ciò che fosse la Divinità, di ciò che fosse la Fede, di ciò che dovevano essere i doveri del cristiano, ma nella mia mente, ancor tenera ed ingenua, queste rudimentali e primitive speculazioni filosofiche rimanevano assai facilmente soverchiate dai piccoli e futili avvenimenti della vita quotidiana.

                Un giorno - non ricordo come - qualche amico mi condusse in un Oratorio Salesiano. Mi dissero che ci si divertiva molto, che regalavano dei dolci, che c'erano bensì da sopportare le funzioni religiose, ma [937] poi c'era lo spettacolo teatrale che era sempre molto bello. Io allettato dalla visione di questa piccola terra promessa vi corsi con grande giubilo e con grande aspettazione.

                E tutte le domeniche io era là nell'Oratorio, dalla mattina alla sera. Mi trastullavo coi piccoli amici, giuocavamo ad ogni sorta di giuochi, fra cui erano però preferite le esercitazioni ginnastiche, nelle quali ci erano compagni gentili ed affettuosi i buoni chierici, che compromettevano per qualche momento l'austerità della loro nera veste per unirsi a noi nel far girare le giostre, o nel giuocare a barra rotta. E naturalmente, assistevo anche, forse con poca compunzione o con pochissimo raccoglimento, alle funzioni religiose. Dopo la Messa c'era la predica, fatta con savi criteri di semplicità, e questa riusciva ad interessarmi un poco. Nel pomeriggio poi aveva luogo l'insegnamento della dottrina cristiana. Io era stato ammesso ad una delle classi inferiori, dove si insegnava la parte più elementare del catechismo...

                Poco per volta avanzai di classe in classe, finchè giunsi alla prima, e poi a quella cosidetta degli adulti. Intanto veniva insensibilmente formandosi in me la coscienza religiosa. Continuavo a divertirmi, ma cominciavo a pensare, cominciavo a ragionare sugli insegnamenti che ricevevo alla scuola di catechismo; le funzioni religiose non mi tediavano più, anzi le desideravo ed attendevo con impazienza: durante il loro svolgimento la mia mente non vagava più, non si distraeva più, ma si concentrava nella meditazione e nella preghiera umile e commossa. Io nasceva alla vita dello spirito.

                L'ambiente mi prendeva, mi assorbiva, mi conquistava. La squisita bontà di quegli eccellenti Salesiani mi commoveva, le loro cure, le loro attenzioni, le loro gentilezze, le loro parole generate dalla Fede e dalla Carità mi attraevano a loro, come l'insetto è attratto verso la luce. Quando ero con loro mi pareva di respirare un'aria più pura, mi pareva di sentirmi meglio, le preoccupazioni della vita quotidiana scomparivano come per incanto, io mi sentivo felice in mezzo a loro, come in una grande famiglia dalla quale mi venisse consiglio, affetto, protezione.

                Giunto alla classe degli adulti, che è come il senato dell'Oratorio, gl'insegnamenti dei principi religiosi divennero più gravi, più profondi, più complessi. Io li ascoltavo con attenzione: mi sforzavo di comprenderli e di assimilarli: la fede nella suprema Verità rivelata da Cristo cominciava a impadronirsi del mio spirito. E più io meditava e più la mia fede si rafforzava ed ingigantiva: io cominciavo a sentirmi pervaso dalla sublime felicità che dà la coscienza della Fede.

                Parecchi anni, frequentai quell'Oratorio: credo cinque o sei. Poi la vita mi afferrò e mi strappò dalle mie dolci consuetudini domenicali. Ma non dimenticai. E più che nella mente è nel cuore che mi rimane il ricordo di quei bei giorni della mia giovinezza in cui, con mirabile [938] semplicità, e con la formidabile efficacia dell'esempio, mi fu insegnato ad esser buono ed onesto, mi fu insegnato ad amare Iddio ed il mio prossimo.

D. B.

 

 

                Pei giovani e per il popolo altra cattedra, o fonte d'istruzione religiosa, erano i fascicoli delle Letture Cattoliche.

                Il fascicolo di luglio era la Biografia del giovane Giuseppe Mazzarello, scritta dal sac. Giov. Battista Lemoyne, direttore del Collegio S. Filippo Neri in Lanzo Torinese. Il Venerabile, come si è detto, aveva letto ed esaminato attentamente il fascicolo e suggerito alcune variazioni. È la vita di un giovane, che dopo varie vicende difficoltà, veste l'abito chiericale e muore santamente.

                Il fascicolo di agosto e settembre: Virginia Anselmi o il modello delle vedove Cristiane, del P. Alfonso M. Pagnone, Barnabita. Questa santa donna è presentata come esemplare da imitarsi, alle fanciulle, alle spose, alle madri di famiglia, eziandio nel contegno da lei tenuto nel visitare i figli in collegio.

                Per ottobre: Storia ed atti del Concilio Ecumenico Vaticano fino alla Quarta sessione. In appendice si riportava una poesia in esametri e pentametri sul gran Concilio, scritta da Giuseppe Rossi, con versione in terza rima del Can. Bernardino Quattrini.

                Per novembre e dicembre Don Bosco regalava a tutti gli abbonati copia della nuova edizione della sua Storia Ecclesiastica. Era un volume di 464 pagine. Nella prefazione, prima di tutto, si leggeva questa dichiarazione: “Questa operetta venne già più volte stampata; ma le ultime edizioni, non essendosi fatte nè col consenso nè coll'assistenza dell'autore, incorsero in non piccole variazioni ed anche errori. Laonde io non posso riconoscere per mia, se non la presente ristampa, che si può chiamare novella compilazione”. In fine, insieme con uno sguardo allo stato della Religione, e con alcuni ammaestramenti tratti dalla Storia Ecclesiastica,  [939] Don Bosco aveva aggiunto un ragguaglio sul Concilio Vaticano, particolarmente della quarta sezione, riportando per disteso il canone dell'Infallibilità Pontificia.

                Mentre dava ordini per le Letture Cattoliche e per i volumetti della Biblioteca della Gioventù Italiana, stabiliva il personale per l'Oratorio, per i quattro Collegi e gli Oratori festivi, vestiva dell'abito clericale i nuovi ascritti alla Pia Società, aspiranti al sacerdozio, e congedava pel Seminario quelli che avevano risoluto di ascriversi al clero secolare, dando loro salutari consigli. Uno di questi, il chierico Luigi Spandre, di Caselle, oggi Vescovo e Principe di Asti, pose in iscritto le parole del Venerabile.

 

                L'ho sempre impresso il ricordo datomi il mattino di quel giorno in cui, lasciato l'Oratorio, stavo per entrare in Seminario diocesano. Dopo essermi confessato: “Mi potresti servir la Messa, mi disse, potrebbe forse essere l'ultima”. Troppo onore, gli risposi, ma l'ultima spero di no. E nol fu davvero, perchè tante altre ancora gliene servii da seminarista e da sacerdote.

                Celebrata la Messa e spogliate le sacre vesti: “Inginocchiati, mi disse, chè voglio ancora darti la mia benedizione”. E, dopo avermi benedetto, tenendo e premendo la sua santa mano sul mio capo: “Ricordati, Luigi, se coll'aiuto di Dio diventerai Sacerdote, quaere lucrum animarum et non quaestum pecuniarum”. Quelle parole, accompagnate dal suo sguardo penetrante, mi scesero così al cuore da non dimenticarle mai più. Esse furono per me tutto un programma, furono come la rivelazione d'un sublime e salutare ideale; programma e ideale di quell'uomo di Dio, per cui fu mai niente tutto il resto, standogli a cuore la salvezza delle anime: Da mihi animas, caetera tolle.

                Quanta venerazione, quanta riconoscenza e quanto amore sono sempre in cuor mio pel Ven. Don Bosco!

 

                Eguali erano i sentimenti della maggior parte de' suoi alunni che entravano in Seminario. Molti, avvicinandosi il tempo delle sacre ordinazioni, venivano all'Oratorio per manifestare la loro coscienza all'antico padre dell'anima loro e a chiedergli consigli. Ci disse Mons. Muriana, ex - allievo e Curato a S. Teresa in Torino, che per questo motivo nel 1867 si recò con dieci seminaristi a confessarsi da Don Bosco. [940] L'Oratorio rigurgitava di alunni e ad essi se ne aggiunse qualche altro venuto dall'Asia e dall'Africa. Il 5 ottobre entravano nell'Oratorio, raccomandati dal Patriarcato di Gerusalemme Smain Siam Jioseph di Mustafà e di Esce, artigiano, di anni 30, e Smain Giovanni Maria di Giuseppe e di Rufisce, studente, di anni 12. Ambedue Gerosolimitani. Non si fermarono però lungo tempo, ma fecero testimonianza del diffondersi della fama di Don Bosco, anche dalle loro parti.

                Il 31 ottobre quattro nuovi algerini, anche essi appartenenti alla tribù dei Kabìli, e rimasti orfani nel tempo della gran carestia, entravano nell'Oratorio. Erano mandati da Mons. Lavigerie, Arcivescovo d'Algeri e da lui raccomandati a Genova a D. Vincenzo Persoglio, Rettore di S. Torpete. Avevano già ricevuto il santo Battesimo, tre anche il sacramento della Cresima. Si chiamavano Allel Antonio, Seid Augusto, Adel Kader Cierre di Pierre, e Siamma Agapito.

                Accolti festosamente da quelli che li avevano preceduti, due furon messi a studiare, perchè desiderosi di tornare alla loro patria ad annunziare il Vangelo ai loro fratelli.

                Ma due perdite in que' giorni faceva l'Ospizio di Valdocco. Don Rua scriveva nel necrologio.

 

                Delloro Carlo da Intra moriva il 23 ottobre in età di 61 anno. Uomo serio e solitario. Sue prerogative erano un grande amore alla preghiera, , ai SS. Sacramenti, ad ogni esercizio di pietà, e l'esatta occupazione del tempo. Gli avveniva talvolta di non poter dormire durante la notte: egli balzava da letto e tosto occupavasi nella preghiera o nella lettura di qualche libro di pietà. La sua rassegnazione nella lunga malattia recava edificazione a tutti. Ricevette più volte in essa i SS. Sacramenti, di cui era bramosissimo.

                Bertola Giovanni da Castellamonte moriva il 27 novembre, in età di 19 anni. Ottimo chierico. La sua diligenza nello studio gli fece percorrere in pochi anni il corso ginnasiale, e la sua esemplarità gli apri l'entrata alle varie pie associazioni che sonvi nell'Oratorio. Anzi, distinguendosi fra i compagni, fu accolto eziandio come aspirante alla Società di S. Francesco di Sales. Nella sua malattia, desideroso di consacrarsi tutto a Dio, fece privatamente i voti religiosi al sig. Don Bosco. Morendo presentò al suo Creatore tanto più bella l'anima, quanto più deforme lasciava il corpo. [941]

                Moriva pure in Torino, nel fiore dell'età, Giuseppe Villa, uno de' più antichi allievi che frequentava costantemente l'Oratorio festivo, e D. Rua ce ne lasciò una cara memoria.

 

                Villa Giuseppe nacque in Ponderano di Biella il 10 dicembre 1836. Fin da bambino dimostrò un'indole severa e disciplinata. Fece gli studi elementari nel paese, ove fu sempre attento ed assiduo tanto, da essere sovente proposto dal maestro a modello agli altri scolari.

                Sventurate circostanze privarono la famiglia de' mezzi necessari per far continuare gli studi al piccolo Giuseppe; e affinchè avesse di che campare onoratamente la vita, si dovè pensare a dargli un mestiere. Compì pertanto il suo tirocinio da calzolaio nella città di Biella, e vi lavorò, con edificazione di quanti lo conoscevano, sino all'aprile del 1855.

                Conosceva per fama sin d'allora la casa dell'Oratorio di San Francesco di Sales in Torino, ove molti giovanetti, pure artigiani come lui, erano educati santamente nella religione e nel lavoro. Desideroso di far parte di questi fortunati, almeno quale esterno, chiese licenza di recarsi a Torino al padre, il quale all'insistente domanda acconsentì a malincuore, temendo che i cattivi compagni dissipassero in breve la soda educazione, che aveagli procurata in lunghi anni. Prima di lasciarlo partire gli rivolse calde ed affettuose parole, tracciandogli il tenore di vita che dovrebbe tenere in faccia al mondo, quando fosse lontano da' suoi occhi; e dopo di avergli raccomandato la santificazione delle feste, la fuga dei perversi compagni, conchiuse dicendogli: “Bada bene, figlio mio, di questi giorni partono migliaia di soldati per la Crimea, questi vanno a porre a repentaglio la loro vita; tu, andando a Torino, così giovane, vai nella tua Crimea: se farai tesoro delle mie parole, sarai savio e prudente e buono di cuore, trionferai del mondo e ti formerai un tenore di vita che ti renderà felice nella presente vita e nell'eternità: se al contrario dimenticando i miei avvisi seguirai la corrente guasta che domina nelle grandi città, comincerà per te una serie di sventure che non avranno fine”. Queste parole restarono così impressse nel cuore del buon Giuseppe, che le tenne sempre per sua guida, e vi furon mai nè minaccie, nè lusinghe che lo potessero far deviare dal sentiero tracciatogli dal padre.

                Quando fu a Torino, sua prima cura fu di mettersi in conoscenza colla casa dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, e specialmente coll'egregio Direttore di essa. E ben tosto pose tanta affezione a codesta casa che ne fece il luogo di sua delizia, e per ben sedici anni di seguito venne a passare tutte le feste, non che quel tempo che gli rimaneva libero dalle sue occupazioni ne' giorni feriali. Fu membro fondatore della Conferenza annessa di S. Vincenzo de' Paoli nel 1856, e dall'ora in poi pose in questa tutte le sue cure. [942] Molti incidenti edificantissimi si trovano nella sua vita privata; ma debbonsi passare sotto silenzio, perchè toccano persone ancor viventi che non amano di essere segnalate.

                Dirò qualche cosa della sua ultima malattia. Maturo pel cielo egli non sapea parlar d'altro che di distacco dal mondo, di amore di Dio, delle bellezze del Paradiso, della caducità della vita e di simili cose, che palesavano il suo cuore già pieno di Dio. Si ammalò il 26 ottobre 1870 con leggera febbre accompagnata da grande stanchezza. Tenne il letto, ma sempre ilare in volto, sereno nello spirito. Andava dicendo agli astanti: - Oh! la mia malattia sarà di pochi giorni; o io guarisco, o il Signore mi prende con sè.

                Fedele sempre alle ordinazioni del medico, si accorse che nondimeno le medicine avevano poco effetto, e che però poco aveva a sperare salute.

                Pertanto rivolse tosto tutti i suoi pensieri all'anima. Chiamò al letto persona di sua confidenza, e la pregò di dirigersi all'Oratorio di S. Francesco di Sales, per raccomandarlo alle orazioni di tutti i giovanetti ivi raccolti e segnalatamente del caro Direttore, e per pregare questo in pari tempo a volersi recare da lui ad ascoltare la sua ultima confessione. Questo avvenne il 29 ottobre, e di quel giorno stesso fu appagato il suo desiderio. Da quel giorno egli attese sempre ad aggiustare ogni suo affare, come chi debba partire per lontano paese.

                Il male si aggravò sempre più, ma egli, sempre rassegnato ai divini voleri, non si lasciò mai sfuggire parola di lamento o d'impazienza. Morì della morte dei giusti.

 

                Intanto si avveravano le predizioni fatte da Don Bosco nel gennaio. Appena recata a Parigi la notizia del disastro di Sedan, i Capi del partito repubblicano, eccitato il popolo a tumulto contro il Governo Napoleonico, acclamarono la repubblica, e il 4 settembre avevano formato il Governo della difesa nazionale. L'Imperatrice Eugenia, reggente, ai primi moti repubblicani, era partita da Parigi, e si ritirava in Inghilterra col suo unico figlio, prendendo stanza nella modesta residenza di Chislehurst. Quivi la raggiungeva Napoleone, lasciato libero dall'Imperatore Guglielmo, dopo sette mesi di prigionia. Il nuovo Governo sì accinse con grande ardore a proseguire la guerra e fece venire nella Capitale della Francia 300.000 soldati, erigere nuove fortificazioni, e, per togliere ripari al nemico e ostacoli al tiro dei proprii cannoni, abbattere un gran numero di villeggiature, alberghi in gran parte [943] di vizii e di corrutele che erano fuori delle mura. Gli incendii dei Comunardi altrove avvamparono in città. Ed ecco le parole di Don Bosco: “Parigi, Parigi... Invece di armarti del nome del Signore, ti circondi di case d'immoralità. Esse saranno da te stessa distrutte”.

                I Prussiani, riposatisi per due giorni dalle fatiche di Sedan corsero con 250.000 soldati e 904 cannoni ad assediare Parigi. Incominciato l'assedio, cadevano in mano di altri eserciti prussiani, forti di oltre 200.000 uomini, il 20 settembre la città di Strasburgo dopo lunga e sanguinosa resistenza, e il 29 ottobre la fortezza di Metz con 170.000 soldati, 800 bocche da fuoco di posizione, 607 cannoni di campagna e 300.000 fucili.

 

 

CAPO LXXIV. Sollevamento del cranio, una costola spostata e gonfiezza delle gambe in Don Bosco - Il Papa concede per un decennio alle case salesiane la facoltà di celebrare tre messe e di dispensare la Comunione ai fedeli nella notte del Santo Natale - Don Bosco scrive alla Contessa Callori che nella festa dell'Immacolata si farà in chiesa una speciale funzione per lei: due libri alle stampe: la sua offerta al S. Padre: spera che le proprie spine diventino rose - Morto il Conte Cibrario, Don Bosco si rivolge al Senatore Castelli, nominato Primo segretario nel gran magistero Mauriziano, per ottenere la decorazione dell'Ordine a tre benefattori dell'Oratorio - Supplica al Ministro dell'Istruzione pubblica per sussidii - Il Ministro della guerra dona coperte da letto agli alunni di Don Bosco - L'Unità Cattolica raccomanda ai fedeli la costruzione della Chiesa e Ospizio di San Giovanni - Attestato di riconoscenza ad un generoso oblatore - Un credito inesigibile è riscosso in conseguenza di una promessa fatta a Don Bosco - Il vaiuolo nell'Oratorio: nessuno dei giovani muore: rimproveri del Municipio ai medici curanti: Don Bosco ne prende le difese - Attinenze di Don Bosco coi signori Genovesi - Invito della Marchesa Giulia Centurione - Prima domanda a Don Bosco, perchè apra un collegio già in costruzione a conto [945] del Municipio di Varazze - Una morte predetta da Don Bosco - Il Galantuomo ai suoi amici.

 

                UN fenomeno veramente singolare fu l'accrescimento della testa di Don Bosco in questi anni, dal 1869 circa al 1870. Prima, pativa spesse volte male al capo. Questo che nella parte davanti era piano e un po' concavo, come naturalmente l'hanno tutti gli uomini, a poco a poco si innalzò e crebbe come succede nella pasta quando è lievitata e in modo tale che diventò convesso e rotondo alla sommità; e ciò non per enfiagione, ma per essersi sollevato l'osso intiero del cranio, come se il cervello avesse avuto bisogno di dilatarsi, per contenere tanta vastità di pensieri. Prima che accadesse questo fenomeno la testa aveagli fatto male per circa sei mesi continui. Da quel momento non sentì più quei dolori acuti, che a quando a quando lo molestavano.

                Nell'agosto del 1884 poi i medici verificarono, mentre era ammalato, che una costola della parte sinistra era fuori di posto. Molto tempo innanzi Don Bosco accusava da quel lato un dolore che diceva essere di cuore. Il suo cuore, grande come quello di un re, aveva anch'esso bisogno di maggior spazio.

                Ma Iddio, come usa fare co' suoi santi, non cessava di mandargli qualche tribolazione. Un incomodo continuo, che sopportò pazientemente per più di trent'anni e senza quasi mai palesarlo e senza farne mai lamento, fu la gonfiezza delle gambe.

                Eppure, e colla mente e coll'opera, non cessò mai dal suo lavoro. Nel mese di novembre del 1870 provvedeva a che solennissime continuassero le feste del Santo Natale.

 

 

                               Beatissimo Padre,

 

                Il Sacerdote Giovanni Bosco, Superiore Generale della Pia Società di S. Francesco di Sales, prostrato ai piedi di V. B. umilmente espone come nella sua grande carità V. B. concedè che la notte del SS. Natale si potessero celebrare le due Messe consecutive a quella di mezzanotte, con facoltà ai fedeli di fare la S. Comunione negli Oratori [946] maschili di questa città. Questi favori spirituali erano già estesi alle case di Lanzo, di Borgo S. Martino, di Cherasco, dipendenti dalla stessa Congregazione. Ora il tempo limitato per questi favori stando per iscadere, supplica V. B. con umilissime preghiere, di volerli rinnovare ed estenderli anche alla Casa testè aperta nella città di Alassio.

 

 

                Ex Audientia SS.mi.

Die 28 novembris 1870.

 

                SS.mus, attentis expositis, remisit preces arbitrio Ordinarii cum facultatibus ad effectum, de quo agitur, necessariis et opportunis, servatis tamen servandis. Ad decennium. Contrariis non obstantibus quibuscumque.

F. Card. MONACO.

 

                Per la festa dell'Immacolata Concezione, dava un segno della sua riconoscenza alla Contessa Callori.

 

 

Torino, 6 dicembre 1870.

 

                               Benemerita Signora Contessa,

 

                Il soccorso temporale, più volte largito ne' varii nostri bisogni, le dà certamente diritto alle cose spirituali che han luogo nella Chiesa di Maria Ausiliatrice. Giovedì pertanto, giorno sacro a Maria Immacolata, noi faremo un servizio religioso per Lei e per tutta la sua famiglia all'altare di Maria, dalle 7 alle 9. Messa, Rosario con altre preghiere, comunione di ragazzi; ecco quanto faremo secondo la pia di Lei intenzione, per darle un segno della molta nostra gratitudine.

                Ho ricevuto la parte del Cattolico riveduto e corretto dalla Maestra. Va benissimo; continui pel rimanente.

                La famosa Storia Ecclesiastica viene a fare un fascicolone; siamo alla fine. Prima del SS. Natale l'avrà.

                Credo che Mons. Manacorda le avrà scritto, che avendo egli deliberato di recarsi a Roma, la bella offerta la portò egli stesso tra le mani del Santo Padre, sicchè non fu più caso di parlarne nell'Unità Cattolica.

                Se le spine diventano rose, spero di potermi fare una bellissima corona. Ho veramente bisogno che preghi per me.

                Dio benedica Lei e la sua famiglia; preghi anche per noi che ci professiamo

                Di V. S. B. (Errata corrige. Dove è V. S. si dica Vostra Eccellenza ).

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

                Sempre scherzevole Don Bosco, quando si trattava di rasserenare qualcuno! Egli poi soleva usare bene spesso gli [947] accennati riguardi con tutti i suoi più grandi benefattori: peccato che moltissime sue lettere non sieno state conservate.

                Bisognava ancora che provvedesse ai suoi giovani il necessario per la vita materiale, tanto più che abbiamo visto a quante spese egli dovesse pensare per la quantità delle imprese che aveva per mano. Alcuni signori lo avevano soccorso generosamente, ed egli, desiderando dare ad essi una prova della sua gratitudine, si rivolgeva all'Ordine Mauriziano per ottener loro una decorazione.

                Il Conte Cibrario era morto, e alla carica di Primo Segretario di Sua maestà nel Gran Magistero dell'Ordine Mauriziano era stato nominato il grand'Ufficiale dello Stato, Senatore Castelli Cav. Avvocato Michelangelo; e primo ufficiale del Gran Magistero Mauriziano, vice cancelliere dell'Ordine della Corona d'Italia, era il Cav. Cova avv. Luigi, che da quattro anni teneva quel posto ed era grande amico di Don Bosco.

                Il Venerabile scriveva al Senatore Castelli.

 

 

Torino, 6 dicembre 1870.

 

                               Eccellenza,

 

                Nei tempi addietro, nei casi di strettezze eccezionali, io ricorreva alla beneficenza dell'Ordine Mauriziano, che fu costantemente un saldo appoggio pei poveri ed abbandonati fanciulli, che in numero di circa ottocento sono raccolti nella casa detta di S. Francesco di Sales.

                La Divina Provvidenza avendomi rapito la persona che fin dai primordi conosceva questa Istituzione, disponeva che la R. V. le succedesse nella carica, ed io nutro piena fiducia che i nostri poveri giovanetti ritroveranno parimenti in Lei un novello e potente benefattore.

                Egli è con questa persuasione che fo umile preghiera all'E. V. di voler prendere in considerazione la beneficenza fatta dai benemeriti signori Zucchi Giuseppe e Besio Giuseppe e concedere loro una decorazione mauriziana. Ciò sarebbe un mezzo dei più efficaci per sollevarci dai gravi bisogni in cui presentemente versiamo, e sarebbe nel tempo stesso titolo incancellabile di gratitudine da parte mia e da parte dei poveri giovanetti ricoverati che non lascieranno mai passare alcun giorno senza invocare con preghiere particolari sopra di Lei le benedizioni del Cielo. [948] Tutto confidando nella nota di Lei bontà, reputo ad alto onore di potermi con profonda stima professare,

                Di V. E.

Obbl.mo servitore

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

 

                               Eccellenza,

 

                il Sig. Besio Giuseppe, fu Luigi, di anni 65, dimorante a Mondovì Breo, sembra abbia diritto alla pubblica benemerenza per esercire due fabbriche da stoviglie, dando così il pane a ben oltre 200 famiglie, e per aver esso recato alla fabbricazione di stoviglie tali miglioramenti da ottenere cinque medaglie a cinque differenti esposizioni. Egli veniva premiato con medaglia l'anno 1858 all'Esposizione dei prodotti industriali, tenutasi in Torino nel Castello del Valentino: lo era pure nel 1868 all'Esposizione dei Saggi dell'Industria Nazionale che ebbe luogo in Torino: così a quella dei prodotti industriali, ed agricoli in Asti nel 1869: come in ultimo lo fu a quelle di Alessandria e di Cuneo nel corrente anno 1870.

                Ebbe ancora a prestarsi diverse volte ai desideri del Governo; infatti nel '56 coll'opera sua e colla sua influenza sulle masse operaie poteva impedire che succedessero guai in una specie di sommossa fatta pel caro dei viveri; e così poteva impedirne un'altra quando si cominciò a mettere in esecuzione la tassa del macinato. Infatti in allora tutti i mugnai (non solo del Comune ma pur anco del Circondario) avevano fissato di tenere chiusi i loro edifizii, quando il sig. Sottoprefetto di Mondovì (l'attuale Sig. Buscaglione) pregava il sig. Besio a nome del Governo perchè volesse aprire al servizio pubblico il molino, che aveva Egli da poco acquistato dal Demanio. Il sig. Besio, quantunque già avesse cominciato a demolire detto molino, perchè voleva, come infatti fece, ricostrurlo a imitazione degli Anglo - Americani, tuttavia accondiscendeva al desiderio del Governo, e apriva a servizio pubblico il proprio edificio, non ritirando che metà della tassa e ciò onde non colpire troppo la borsa e la suscettibilità degli accorrenti. E con tale fatto e con l'influenza che seppe guadagnarsi sugli operai, impediva che avesse luogo la sommossa da tutti ormai ritenuta come certa. E se tal suo fatto incontrò l'approvazione del Governo e dei buoni, procacciò pure al signor Besio pericoli per la sua proprietà, talchè lo stesso Sottoprefetto forniva per oltre 30 giorni una guardia di Bersaglieri agli edifizii di sua proprietà.

                Non parlo della carità che tanto lo distingue; non vi è chi possa dire di avere a lui ricorso invano; la miseria trovò sempre in lui un soccorso; le malattie, le calamità un rimedio.

                Concorse coi mezzi proprii alla costruzione della strada lungo il fiume Ellero, dal piano della Valle al Borgasto. La qual cosa tolse [949] grave incomodo e diede facile cammino ai viaggiatori, ai carri, alle carrozze di uso pubblico e privato.

                Finalmente, avendo saputo che i giovanetti ricoverati nello Stabilimento, detto di S. Francesco di Sales, si trovavano in gravi strettezze per saldare alcune note scadute e per provvedere ai medesimi pane di cui totalmente difettavano, mosso da vero spirito di carità fece la vistosa largizione di franchi cinque mila.

                Per tutti questi titoli e pel buon uso che certamente continuerà a fare delle sue sostanze, si fa umile ma calda preghiera a V. E. onde voglia interporre la efficace sua protezione presso l'augusto nostro Sovrano, affinchè si degni accordare al medesimo Sig. Besio Giuseppe la decorazione dei Santi Maurizio e Lazzaro.

                Di V.

Umile ricorrente

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

 

                               Eccellenza,

 

                Fra le persone degne di essere segnalate alla pubblica benemerenza sembra potersi annoverare la famiglia del sig. Zucchi Giuseppe, Banchiere in questa città di Torino.

                La Sig. Luigia Zucchi, moglie di questo Signore, celebre pittrice, si occupa continuamente in lavori artistici per farne dono a pubblici Istituti, e ciò gratuitamente, come si può conoscere dagli attestati annessi.

                Il marito emulandone lo spirito benefico, fece varie offerte di questo genere ed ultimamente donò parecchi preziosi dipinti che tornano a ricco ornamento della chiesa testè ultimata a comodità degli abitanti di Valdocco sotto titolo di Maria Ausiliatrice.

                Esso è solito a fare molta beneficenza altrove ed in questa città, come il sottoscritto ebbe non rare volte ad esperimentare. Ma ultimamente avendo saputo che poveri giovanetti, circa 800, ricoverati nella casa detta di S. Francesco di Sales, difettavano gravemente di biancheria e di vesti nell'attuale fredda stagione, venne generosamente in aiuto con la vistosa elargizione di fr. 4000.

                Questa somma sarebbe in ogni tempo assai notabile, ma lo è assai più avuto riguardo alla scarsezza di beneficenza e alle eccezionali strettezze in cui versa questo Stabilimento.

                Per le esposte ragioni e per incoraggiare questo pubblico benefattore a continuare nel buon uso delle sue tenui sostanze, fa umile preghiere a V. E. a volerlo favorire di un decorazione mauriziana.

                Con profonda gratitudine si professa

                Della E. V.,

Umile ricorrente

Sac. Giov. Bosco. [950]

 

                Con altra supplica si rivolgeva al Ministero della pubblica istruzione Cesare Correnti.

 

 

                               Eccellenza,

 

                Le sollecitudini che prendesi l'E. V. per promuovere l'istruzione nella classe più bassa del popolo, che tanto ne è bisognosa, mi porge speranza che sarà per prendere in considerazione quanto sono per esporle.

                Abbiamo in questo Stabilimento circa cinquecento giovani ricoverati appartenenti appunto alla classe più povera del popolo, che attendono agli studi classici; inoltre circa cinquecento altri, tra interni ed esterni, che frequentano le scuole elementari che si fanno a favore della povera gioventù tanto ne' dì feriali che ne' festivi, non solo di giorno, ma eziandio di sera.

                Ben comprende l'E. V. a quante spese deve sottostare questo stabilimento, sia pel mantenimento dei professori e dei maestri, sia per la manutenzione delle scuole, sia per la provvista dei libri, quaderni ed altri oggetti scolastici, di cui molti di coloro che frequentano le nostre scuole non potrebbero per la loro povertà provvedersi, se non fossero loro somministrati gratuitamente. Le sarà noto per altra parte, come non havvi qui rendita alcuna, e che la carità pubblica è la sua unica risorsa. Sebbene pel passato siasi potuto far fronte a tali ingenti spese ci troviamo tuttavia frequentemente in eccezionali strettezze, e saremo forse obbligati a limitare le opere di beneficenza, se qualche mano benefica non ci porgesse aiuto. A tal uopo io mi rivolgo fiducioso alla bontà dell'E. V. supplicandola a volerci soccorrere nel modo che le sarà più beneviso e assicurandola della più viva riconoscenza non solo da parte mia, ma si ancora da parte di tutta l'amministrazione di questa casa e del numeroso stuolo dei giovani della sua carità beneficati, che non mancheranno certamente d'implorare sopra l'E. V. ogni benedizione.

                Gradisca i sensi della più alta stima, con cui mi reputo ad onore di professarmi

                Della E. V.,

 

                Torino, 11 dicembre 1870,

Obbl.mo servitore

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

                Il Servo di Dio, ad un'altra sua domanda, fatta al generale Govone, Ministro della guerra, riceveva a sua volta la seguente risposta. [951]

 

                PREFETTURA

                DELLA PROVINCIA Di TORINO

Torino, li 15 dicembre 1870.

 

                Sono lieto di notificare alla S. V. Rev.ma che il Ministero della Guerra, secondando la di Lei istanza, ha disposto presso la Direzione dei Magazzini del Materiale pei servizi amministrativi in questa Città, affinchè siano tenuti a disposizione della persona che per parte di codest'Oratorio sarà incaricata di fare il ritiro, N. 200 coperte di lana da campo, da utilizzarsi nei rigori della presente stagione.

Il Prefetto

RADICATI.

 

                La stagione invernale aveva sospesi i primi lavori della Chiesa di S. Giovanni Evangelista; ma l'Unità Cattolica il 14 dicembre 1870, raccomandava ai fedeli questo sacro edifizio.

 

 

APPELLO ALLA PIETÀ DEI TORINESI.

 

                In quella parte della nostra città, che dalla piazza d'armi si stende verso il Po, sorge, come ognun sa, il tempio dei protestanti, con ospizio, scuole ed asilo infantile; e per la lontananza di chiese e scuole cattoliche parecchi padri di famiglia, colà abitanti, si veggono quasi obbligati a permettere che i loro figliuoli usino alle scuole eterodosse. Il grave pericolo che corrono questi fanciulli e il dolore che ne provano i buoni cattolici, commossero profondamente quel miracolo di carità e di beneficenza, che è il pio sacerdote D. Giovanni Bosco, il quale si pose in cuore di allontanare, per quanto è in lui, il male che va ogni giorno crescendo. Egli, aiutato da caritatevoli persone, comperò nel sito sopra detto un esteso terreno col disegno di fabbricarvi una chiesa, che possa servire per gli adulti, ed un casamento ad uso di scuola, ospizio e giardino per i ragazzi. I lavori sono già incominciati; già è terminato il muro di cinta, ed ora si sta aspettando che la pietà dei Torinesi voglia promuovere con generose oblazioni il proseguimento della santa impresa. Noi siamo persuasi, che i buoni nostri concittadini vorranno, anche in questa occorrenza, farsi vedere animati da quel zelo, che mostrarono sempre per la religione dei loro padri e per la cristiana educazione della gioventù. Ben sappiamo, che corrono tempi difficili; ma sappiamo altresì, che la carità cristiana non conosce ostacoli insuperabili. Torinesi! Se mai vi fu raccomandata un'opera degna della vostra pietà, questa certamente è dessa la storia dei tempi passati e la contemporanea ci mette sott'occhio i mali terribili, che piombano sulle città, in cui si estinguono i santi principii della religione [952] e della sana morale. Deh! per quanto dipende da noi, ripariamo al pericolo che ci sovrasta! Le oblazioni, tanto in danaro, quanto in materiali da servire alla fabbrica, si ricevono dal sacerdote Don Bosco e dal reverendo D. Traversa, Curato di San Massimo. Dio faccia, che le nostre parole sieno seme che frutti ampia messe per la salute eterna ed anche pel vantaggio temporale della nostra gioventù!

 

                Le offerte dei generosi non mancavano. Abbiamo un foglio di Don Bosco al Conte Francesco di Viancino.

 

 

                Oratorio di S. Francesco di Sales, Torino - Valdocco

 

                L'anno del Signore 1870, il giorno 29 dicembre ricevo dal benemerito Sig. Conte Francesco Viancino la vistosa somma di fr. 1000 che nella sua carità, oltre alle largizioni fatte pei nostri poveri giovani e per la costruzione della Chiesa di Maria Ausiliatrice, questo Signore offre anticipatamente a parte di altra somma che intende di dare per la costruzione della nuova Chiesa, Ospizio, e scuole progettate nel locale compreso tra il Viale del Re, Via Madama Cristina e Via S. Pio V in questa città.

                Per questa ed altre opere di carità rendo umili e caldi ringraziamenti all'insigne benefattore, pregando Dio a volerlo largamente ricompensare con lunghi anni di santità e di vita felice per lui e per la pia di Lui Consorte, e al più tardi che a Dio piacerà far parte ad ambidue della gloria dei beati in Cielo. Amen.

 

                Torino, 29 dicembre 1870.

Sac. Giov. Bosco.

 

                Un'altra offerta, ancor più vistosa, era stata fatta a Don Bosco in circostanze singolari. Un signore gli diceva:

                Vorrei far qualche cosa per le sue opere, ma ora non posso: un credito di venti mila lire sul quale facevo assegnamento fu giudicato inesigibile; non c'è più speranza: ho ricevuto ora questa bella notizia.

                 - Chi gliela dà, può sbagliare, osservò Don Bosco.

                 - Non è possibile, il mio agente è abilissimo e mi scrive che non vi si può più contar sopra.

                 - E se Ella ricuperasse questa somma, che farebbe?

                 - Parola d'onore! Le do la metà di quello che riesco a ritirare, chè per me ora è tutto perduto. Ma è impossibile!  [953]

                 - Chi sa? finì con dire Don Bosco; ciò che Lei promette è per i miei ragazzi, e io vado a farli pregare.

                Quel signore scrisse al debitore e dopo alcuni giorni riceveva dal suo agente cinque mila lire che gli si dicevano riscosse in modo imprevedibile, poi altre cinquemila, e infine tutto il suo avere. Fu uomo di parola e, mandando a ringraziare D. Bosco delle preghiere fatte, accompagnava i ringraziamenti con dieci mila lire.

                Don Felice Reviglio avendo udito raccontare per la prima volta questo fatto da alcuni Salesiani, incontratosi col Cavaliere Michele d'Agliano, gli narrò ciò che aveva udito come se fosse una novità. Il Cavaliere l'ascoltò sorridendo e poi aggiunse:

                 - Io so una cosa di più; so che il creditore era mio figlio Carlo!

                E Don Reviglio ne lasciò memoria sottoscritta.

                Ma un grave dispiacere toccava a Don Bosco sul finire di quest'anno.

                In Torino serpeggiava il vaiuolo. Nell'Oratorio eransi prese tutte le precauzioni necessarie per impedire il contagio. Erano state richieste agli alunni le fedi di vaccinazione o di sofferto vaiuolo: nè i locali mancavano di pulizia. Ma ecco, sul principio di novembre, manifestarsi la contagiosa malattia fra i giovani: sicchè, in breve, cinquanta di essi ne furono colpiti. Si erano trasportati tutti gli ammalati in una sola vasta camerata per isolarli dagli altri compagni e per poterli più facilmente vegliare e curare, e si temeva e si pregava, ma il manto della Madonna era steso sulla benedetta sua casa e nessuno morì.

                Quando venne la Commissione Municipale per l'igiene, non ebbe a far rimproveri a Don Bosco, ma non volle approvare la condotta dei medici, avendo avuti ragguagli inesatti a loro carico, e il Venerabile riceveva dal Sindaco la seguente lettera:  [954]

 

                CITTÀ DI TORINO

                UFFIZIO XII - IGIENE PUBBLICA

                N.° 3325 del Protocollo

                OGGETTO

                Denunzia di affezione vaiuolose

Torino, addì 10 dicembre 1870.

 

                Il Signor Prefetto della Provincia di Torino, per incarico avuto dal Ministero dell'Interno con dispaccio 8 andante mese, ha invitato il Sindaco sottoscritto di significare ai Dottori Musso e Gribaudi la disapprovazione del Governo, per la condotta da essi tenuta, in occasione dello sviluppo del vaiuolo nell'Istituto diretto da V. S. Rev.ma, non avendo adempiuto, siccome dovevano, al disposto dagli articoli 34 del Regolamento per l'esecuzione delle leggi 14 giugno e 20 novembre 1859 sulla vaccinazione, ed 82 del Regolamento 8 giugno 1865 sulla sanità pubblica.

                Costituendo questo fatto un grave mancamento da parte dei medici, ai quali è affidata la cura d'infermi di malattie contagiose e propagabili, massime quando si tratta di stabilimenti destinati ad uso di abitazione e di convitto, la sullodata autorità governativa ha inoltre incaricato lo scrivente di invitarla a surrogare i predetti due medici con altri che inspirino una maggiore fiducia e la secondino efficacemente nelle sue buone disposizioni per la tutela dell'igiene nell'Istituto da Lei diretto.

                Chi scrive, Le offre intanto gli atti del più distinto ossequio.

Il Sindaco

F. RIGNON.

 

                Don Bosco prese nobilmente le difese dei due medici, per sentimento di gratitudine ai servigi da loro prestati e in omaggio alla verità; e in pari tempo chiese appoggio e protezione per il suo istituto.

 

 

                               Ill.mo Sig. Sindaco,

 

                In risposta e in ringraziamento della lettera che V. S. Ill.ma si compiaceva di indirizzarmi relativamente ai Sig. Dottori Gribaudi e Cav. Musso, La prego di permettermi alcuni schiarimenti che forse mitigheranno assai l'impressione prodotta dal contegno tenuto da questi benemeriti Dottori intorno alla manifestazione del vaiuolo in questo ricovero.

                Il fatto sta come segue:

                1° Il medico Cav. Musso non ci ebbe parte alcuna. Esso da molti anni, in via ordinaria, presta caritatevolmente l'opera dell'arte sua a [955] questi poveri giovani, ma in questo caso non fu richiesto, anzi credo che Egli sia tutt'ora ignaro che qui siasi manifestato il vaiuolo. Perciò le citate disposizioni legali e sanitarie sembrano per nulla riguardarlo.

                2° In sua assenza, e nella fretta, fu pregato e venne di fatto il Dottor Gribaudi che, nella seconda visita assicuratosi della realtà del vaiuolo, diede tosto incarico al Sac. Lazzero, Direttore dell'Infermeria, di farne relazione al Cav. Martorelli. Per le molte occupazioni di questo benevolo signore, e per la nescienza del luogo e delle ore di udienza, si dovettero fare più visite per due giorni, prima che si potesse tenere colloquio con lui. In questo fatto sembra che il Dottor Gribaudi non abbia colpa alcuna, sebbene dopo abbia eziandio continuata la sua assistenza agli ammalati.

                3° A schiarimento poi del fatto e a tranquillità di V. S. Ill.ma credo bene di notare che il vaiuolo non presenta più la fierezza che taluno potrebbe supporre; perciocchè nelle varie visite regolarmente fatte, gli stessi Dottori non trovarono che un sol caso di vero vaiuolo, gli altri non furono giudicati che vaiuoloide o varicelle più o meno significanti, di cui parecchi affetti non furono impediti nemmeno dalle loro ordinarie occupazioni.

                Ciò posto, io la prego, Sig. Sindaco, a voler fare in modo, che la carità che questi due Signori Dottori Gribaudi e Musso da più anni ci prestano non torni a scapito della loro carriera e a danno di ottocento poveri fanciulli che tutti vivono di provvidenza: chè non è facile trovare altri medici che con eguale assiduità, disinteresse e costanza si vogliano prestare in favore di un così numeroso Stabilimento, che non può loro bilanciare un soldo di stipendio.

                In questa medesima occasione io raccomando me e questi miei poverelli alla sua bontà, facendole rispettosa ma calda preghiera di fare in modo che le visite sanitarie non tornino dannose allo Stabilimento medesimo. Alcuni anni or sono nel timore d'invasione del colera fu fatta una visita igienica, e nel giorno stesso che mi era scritto in proposito, se ne dava presso a poco colle stesse parole pubblicità nei giornali in termini esagerati, che si dovettero poi rettificare in senso opposto. Ora, appena fatte le visite del vaccinato, avvenne quasi lo stesso. Non intendo di cagionare alcuno di tale pubblicità, ma mi raccomando rispettosamente alla sua bontà perchè non avvengano, e sia così impedita la grave agitazione che deriva tra quelli che hanno relazione coi ricoverati.

                Mentre poi metto sotto alla sua paterna protezione questo Stabilimento, che come in passato sarà sempre aperto a qualunque poverello giudicasse di raccomandarmi, l'assicuro che farò sempre tesoro di ogni consiglio o suggerimento sia per darmi a pubblica e privata utilità dei ragazzi di questa città o di altri paesi, che la povertà o la sventura conducesse tra noi. [956] Dio la benedica e le conceda lunghi anni di vita felice e mi creda con profonda gratitudine

                Di V. S. Ill.ma,

 

                Torino, 23 dicembre 1870,

Umil.mo ed Obbl.mo Servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

                Il Sindaco rispose:

 

 

                CITTÀ DI TORINO

                ecc. ecc.

Torino, addì 3 gennaio 1871.

 

                Al Signor Sacerdote Don Giovanni Bosco, Rettore dell'Oratorio di S. Francesco di Sales. - Torino.

                In riscontro all'emarginata nota della S. V. M. Rev.da il Sindaco sottoscritto si pregia di parteciparle, che dall'attento esame degli appunti fatti al sig. Dottor Gribaudi sul modo col quale ebbe a comportarsi in occasione dello sviluppo del vaiuolo in cotesto Istituto emerge ad evidenza che il medesimo non ha ottemperato al disposto dell'artic. 82 del Regolamento per l'esecuzione della Legge sulla sanità pubblica e 34 del Regolamento sulle vaccinazioni, il quale prescrive che manifestandosi il vaiuolo, il vaiuoloide o la varicella, il medico chirurgo, chiamato a curarli, deve farne immediatamente consapevole il Sindaco ed il Vaccinatore Ufficiale.

                Risultò invece che si lasciò serpeggiare la malattia per oltre 15 giorni, si lasciò diffondere nell'Istituto e nella stessa Città, senza mettere il sottoscritto in grado di impedirne la propagazione.

                Quanto al sig. Cav. Dott. Musso, fu la S. V. M. Rev.da che mise avanti il di lui nome nel giorno 23 dicembre p. p., ed il R. Conservatore del vaccino Cav. Dottor Martorelli, appositamente interpellato, rammentò benissimo avergli Ella indicato qual parte aveva preso il prefato sig. Dottore in quelle malaugurate contingenze. Lo stesso sig. Dottore Gribaudi lamentò che su di lui solo, sebbene il Dott. Musso di lui più anziano, si versò la maggior parte dei rimproveri.

Chi scrive, del resto, è lieto di sentire che il prelodato Sig. Cav. Dottore Musso non abbia preso parte di sorta nei lamentati fatti, il che risulterebbe dall'asserzione dello stesso sig. Dottore, il quale obbligato per ragioni di salute ad astenersi dalle consuete visite allo Stabilimento, ebbe a dichiarare che questa circostanza era dalla S. V. M. Rev.da affatto ignorata.

                Il sottoscritto, mentre si fa carico di riferire al Sig. Prefetto che gli appunti fatti al Sig. Cav. Dottor Musso erano basati sopra un mero equivoco, non può assolutamente ammettere che nell'occasione dell'epidemia colerosa ed in quella attuale del vaiuolo siansi divulgate [957] sui giornali notizie a carico dell'Istituto per opera degli Impiegati Municipali, i quali procedettero alla visita dello Stabilimento.

                Onde impedire che i fatti avvenuti si divulgassero spargendo, com'Ella dice, l'agitazione fra coloro che erano in relazione coi ricoverati, sarebbe stato opportuno di prendere in tempo le necessarie misure, le quali avrebbero impedito l'emigrazione di taluni dei ricoverati i quali, rifugiatisi in città, diedero naturalmente origine alle voci che Ella lamenta siansi divulgate su pei giornali.

                Chi scrive, Le offre intanto gli atti del più distinto ossequio.

Il Sindaco

F. RIGNON.

 

                A quest'ultima lettera fu risposto nei termini indicati nei seguenti appunti, suggeriti a quanto pare dal dottor Gribaudi.

 

                1° È falso che siano trascorsi quindici giorni prima di darne avviso; giacchè non trascorsero che due soli giorni e questi, per essere assente la mia persona, non osando prendere gravi deliberazioni senza di me.

                2° Trascorsi appena due giorni e giunto in casa per mandato del Dott. Zandi, questi era persuaso di mandare dal Capo del vaccino di questo Municipio nella persona del Cav. Martorelli, e ciò senza alcun altro motivo che per riguardo ai signori Rizzetti e Carenzi, essendosi in ottima relazione con ambidue.

                3° Se poi ancora si lasciarono trascorrere altri due giorni ciò fu pel solo motivo che non si trovò il Cav. Martorelli, da cui si era portato ben cinque volte il direttore dell'Infermeria.

                Dunque si vede che il Dott. Gribaudi aveva tutta la buona volontà di uniformarsi ai Regolamenti, come si verificherà, credendo il Dott. Martorelli Capo.

                Il vaiuolo forse venne dalla città importato nella Casa, e specialmente dall'Ospedale di S. Giovanni, ove un giovane stava prima gravissimo. Questo però non si deve imputare a negligenza del Dottor Gribaudi, ma a circostanza impreveduta; poichè se il Dott. Gribaudi non si fosse tranquillizzato sulla promessa del Capo del vaccino, avrebbe immediatamente denunziato al Cav. Rizzetti, come fece al primo sviluppo nella sua clientela privata.

 

                Il pensiero di Don Bosco era anche rivolto ad aprirsi la via per fondare altre sue case in Liguria.

                In Genova aveva fatta conoscenza colle famiglie dei Marchesi Cattaneo, Spinola, Doria, Pallavicini, Negrotto, Durazzo [958] ed altre ancora. Così pure aveva stretto attinenze con molte famiglie della borghesia, e molti membri distinti del Clero. Da tutti egli era certo che avrebbe ricevuti soccorsi.

                Mentre era in questi pensieri, riceveva questa lettera da Varazze il 28 dicembre.

 

 

                               Rev.do ed Ill.mo sig. Don Bosco,

 

                L'ill.ma mia Signora, Marchesa Giulia Centurione, nata Marchesa Dario Sforza, contentissima di essersi abbonata alle sempre interessanti Letture Cattoliche, mi incarica presentare a V. S. Molto Rev.da i suoi rispettosi complimenti e mille divine benedizioni in occorrenza del fine e principio d'anno e pregarla di quanto segue:

                1° Sarà compiacente col nuovo anno spedire all'indirizzo della prefata mia signora, Via Lomellina N. 16, Genova, due copie delle Letture Cattoliche, aggiungendovi altro volume dell'esimia Storia Ecclesiastica, ricevuta e così egregiamente scritta.

                2° Se nel decorso dell'inverno, fino a tutto aprile venturo, V. S. Molto Rev.da dovesse per qualche circostanza recarsi in Genova la prefata mia Signora prega V. S. a recarsi in sua abitazione al N.° suindicato, riputandosi onorata di poter offrire una camera ed ospitalità a così degna e meritevole persona. Qualora, Vostra S. Ill.ma meglio gradisse passare qualche giorno di vacanza autunnale in campagna, allora Ella sia compiacente col mezzo della ferrovia giungere fino a Cogoleto, da dove (essendone io prevenuto) con calesse sarà trasportato in questa amena villeggiatura nominata Invrea, proprietà degli Illustri coniugi Lorenzo e Giulia, i quali costumano recarvisi in maggio o giugno, e vi si trattengono fino a tutto il corrente mese e più.

                Simile visita di V. S. M. R. procurerebbe alla più volte citata Ill.ma mia Signora un singolare e vero favore; ed oso sperare che anch'ella ne sarà contenta, sia per amenità del luogo, che per rimembranze antiche, come risulta dall'antichissima chiesa, fondata fin dal 1100 circa e frequentata ne' dì festivi da numerosa popolazione dimorante in questa località.

                A maggior di Lei soddisfazione l'ill.mo sig. Lorenzo, marito dell'ill.ma Signora Giulia, è figlio della fu signora Violantina del Carretto di Balestrino, sorella del fu ill.mo signor Marchese Domenico.

                Augurando ecc.

D. GIACOMO GRILLO.

 

                La villeggiatura d'Invrea era poco lontana da Varazze e il Prevosto della Chiesa Matrice e Collegiata di S. Ambrogio in quella città, scriveva egli pure di quei giorni al Servo di Dio. [959]

 

Varazze, 30 dicembre 1870.

 

                               Reverendissimo Signore,

 

                Conoscendo a prova l'amore di cui la S. V. Ill.ma Rev.ma è animata pel pubblico bene, segnatamente a vantaggio della gioventù, massimamente in questi difficilissimi tempi, mi rivolgo fiducioso alla di Lei bontà nella dolce speranza che potrà appagare i miei desiderii. Ed eccole senz'altro di che si tratta.

                Questo Municipio ha fatto costrurre un fabbricato, che trovasi già a buon tempo, coll'intendimento di destinarlo ad uso di Collegio Convitto, e farvi aprire il corso classico e tecnico pel venturo anno scolastico 1871 - 72. Esso è sito nella più amena località di questa città, e presenta la capacità per sessanta convittori, e tutte le altre relative comodità. Vorrebbe la S. V. Rev.ma avere la bontà di assumerne la direzione, e provvedere a quanto occorre al riguardo? Favorisca riscontrarmi in proposito, e segnare tutte le condizioni che meglio giudicherà con lettera che io possa presentare a questo sig. Sindaco, segnando in altra confidenziale se avrà qualche cosa a segnarmi in segretezza.

                Intanto quello di cui io posso assicurarla si è che se avesse a decidersi di accondiscendere al mio desiderio, spero che avrà a trovarsene soddisfattissimo, attesa la buona indole di questi abitanti.

                In ogni caso la prego d'un qualunque suo riscontro per norma, e nell'augurarle la pienezza ed abbondanza delle divine grazie e benedizioni nella ricorrenza del nuovo anno, passo all'onore di professarmi co' sensi della più distinta stima, e profondo ossequio

                Della S. V. Ill.ma e Rev.ma

Umil.mo Dev.mo Obbl.mo Servitore

Cav. BONORA PAOLO

Can. Prevosto, Vicario Faraneo.

 

                Il Prevosto, d'intesa col Sindaco, erasi rivolto a Don Bosco dopochè i Somaschi e gli Scolopi, invitati ad accettare la direzione e l'insegnamento in quel Collegio, avevano risposto di non poter annuire per mancanza di personale.

                Con la proposta del Collegio di Varazze finiva il 1870, mentre la bandiera Sabauda sventolava sul maschio di Castel S. Angelo, i Prussiani assediavano Parigi e il Principe Amedeo Duca d'Aosta metteva piede nel regno di Spagna, di cui aveva accettata la corona il 4 dicembre.

                Intanto Maria SS. Ausiliatrice continuava con grazie [960] segnalate a premiare la fiducia illimitata che Don Bosco riponeva nella Divina Provvidenza.

                Non abbiamo alcun documento circa le solite predizioni del Servo di Dio sui morti nell'Oratorio, all'infuori di un racconto fattoci dal Sac. Matteo Torazza, del quale egli ci diede ampia testimonianza.

                Nel 1870 viveva nell'Oratorio un uomo maturo di anni, buon parlatore, impiegato come famiglio in un ufficio di confidenza. Era malaticcio, ma stava fuori diletto. Don Bosco annunziò, essendo presente Matteo Torazza, allora studente di 5ª ginnasiale, come prima che si facesse l'esercizio di buona morte una persona della casa sarebbe passata all'eternità. Ciò fece grande impressione nel giovane Torazza, il quale, caduto pochi giorni dopo ammalato d'angina, credette essere lui il designato. Anche in infermeria così dubitavano gli assistenti sicchè il giovane Giuseppe Beauvoir che momentaneamente quivi si trovava, manifestò il proprio dubbio a bassa voce, che però fu inteso dal Torazza. Egli invece non tardava a ristabilirsi, mentre quel famiglio si metteva in letto e in breve moriva, prima del giorno fissato per l'esercizio di buona morte in quel mese.

                Con questa testimonianza termina l'esposizione di quanto ci fu dato di raccogliere per le nostre memorie, riguardante il 1870.

                Con vivo rincrescimento non abbiamo alcun cenno delle parole di augurio dette da Don Bosco per l'anno nuovo, e vi suppliamo colla prefazione del Galantuomo per l'anno 1871.

 

 

                               Il Galantuomo ai suoi amici.

 

                Buon giorno, o miei venerati amici, eccomi di ritorno a Voi per la diciannovesima volta. Mi pensava in quest'anno, e forse l'aspettavate anche voi, che io dovessi comparirvi avanti vestito tutto in festa inghirlandato di fiori, quale non fui mai per lo passato, e ciò in riconoscenza al gran bene che porterà a tutto il mondo il Concilio Ecumenico, e per la definita infallibilità del Papa. Invece ho dovuto stracciarmi le vesti di dosso, lasciarmi crescer lunga la barba, vestire a lutto il mio codino, a cagione dei fatti succeduti che voi tutti sapete, e perchè [961] non permetterò mai che si dica che il Galantuomo rida, mentre piangono migliaia dei suoi fratelli; e fratelli del Galantuomo sono pure quei tanti disgraziati caduti vittima delle orribili mitragliatrici. Se vi ricordate, io ve l'ho ripetuto le tante volte, che se non si cessava dal far peccati, dal bestemmiare, se non si santificava di più il giorno di festa, che il Signore ha voluto riserbato per sè, le cose ci sarebbero andate male, e ci sarebbero succedute gravi disgrazie. Sembrava a taluni che io dicessi una cosa strana, e per tanti ho parlato al vento, e si continuò a vivere come se Dio non fosse stato, o non si curasse punto di noi, e adesso ne vediamo coi nostri occhi le deplorabili conseguenze! Checchè se ne dica la guerra è un tremendo flagello di Dio. Fortunati quei popoli che sanno tenerla lontana, essi risparmiano molte lacrime, perchè immensi sono i danni che porta la guerra: vittime, sangue, famiglie in lutto, perdita d'ogni cosa più cara, commerci distrutti, fallimenti, carestia, fame, desolazioni d'ogni maniera. Tutti questi mali alle volte si potrebbero evitare, dando ascolto ai consigli di un galantuomo. Sentite. Non ha molto, vi è stato un uomo di un carattere tutto singolare, e di certe qualità tutte sue proprie. Aveva un naso molto fino, e sentiva l'odore della polvere anche da lontano. Era di una timidezza straordinaria, tremava come una foglia al colpo di un fucile, e dava in convulsioni un mese prima che si sparasse il cannone, parendogli sempre di sentirsi fischiare all'orecchio una palla che 15 anni addietro gli aveva strappato il codino. Al sentire come un re ed un imperatore volevano far guerra tra loro, pensò di intermediarsi, e di rappacificarli, oppure di risolverli a fare una guerra che non recasse molti danni. Vestitosi delle migliori sue vestimenta, profumatosi bene il codino, che già gli era ben cresciuto, si presentò in mezzo ai due belligeranti, e con eloquenza da Demostene e da Cicerone, tentò di farli desistere dal brutto pensiero di guerreggiare. Ma a nulla valsero le sue ragioni: allora, fattosi rosso in faccia, con voce alta: Poichè volete ad ogni costo la guerra, disse, risparmiate almeno il lutto al vostro popolo. Consegnate a me tutte le vostre bombe spaventose, le palle di ferro e di piombo. Provvedetevi di una grande quantità di zucche e di zucconi, e queste servano di palle alle vostre mitragliatrici ed ai vostri cannoni, e di bombe ai vostri mortai. Comperate ancora migliaia di sacchi di patate e di patatoni, e sieno queste le palle dei vostri fucili ad ago ed ai chassepots. Se così farete, sfogatevi pure l'uno contro dell'altro; vi starà spettatore ridente il mondo intero, farete onore a voi, ed al secolo del progresso, e fisserete un'epoca memoranda nella storia, colla guerra delle zucche e delle patate, senza spargimento di sangue.

                A questo progetto, che forse non era mai venuto in testa ad uomo da che mondo è mondo, avrebbero dovuto battere le mani, caricare l'autore di medaglie, menarlo in trionfo come una delle prime teste del mondo. Invece la cosa avvenne ben diversamente. Bisognava [962] vedere come saltarono sulle furie tutti e due. Hanno considerato questo consiglio come un insulto, e credendo che quel sincero galantuomo volesse beffarsi di loro, gli saltarono addosso, lo caricarono d'improperi, gli diedero dei calci, dei pugni, degli schiaffi, gli stracciarono rabbiosamente il codino, lo cacciarono finalmente dalla loro presenza, minacciandogli la morte, se lo avessero veduto girare ancora nei loro paesi. Quel meschino così malconcio, colla testa bassa, senza più avere il suo codino, se ne ritornò nella sua patria, e ritiratosi in una stanza, meditava piangendo i mali che sarebbero sovrastati alla povera umanità! Intanto scoppiò la guerra, a migliaia caddero le vittime, un grido di dolore si è sollevato da tutte le parti, e i due contendenti disperati battendosi il petto piansero, ma troppo tardi, per non aver dato ascolto alle parole del Galantuomo.

                Se il Signore non mi manderà così presto a fare conversazione co' vermi al Campo Santo, spero che verrò a trovarvi ancora molte volte, perchè io sono molto contento di voi, o venerati miei amici, sapendo per prova che mi volete bene. Io farò quanto posso per contentarvi, raccontandovi cose che vi facciano piacere e che vi sieno utili nel medesimo tempo. In quest'anno vi dò a leggere la Storia del Sepolcro e del Tempio di S. Pietro, vera meraviglia del mondo cristiano; avrete pure la descrizione dell'Aula Conciliare, e la storia dei Campanelli e delle Campane. Finalmente diversi esempi ed aneddoti curiosi ed interessanti, ed un avviso per conservarvi i denti.

                Prima di darvi l'Addio, voglio lasciarvi un ricordo che vi sia utile ed è quello che un buon padre ha dato ad un suo figliuolo: “Se vuoi vivere felice, gli disse, protetto da Dio, rispettato ed amato dagli uomini, bisogna che te lo meriti coll'essere di buon cuore con tutti, amare i tuoi amici, essere paziente e generoso coi tuoi nemici, piangere con chi piange, non avere invidia della felicità altrui, far del bene a tutti e del male a nessuno”.

                E diceva quel buon padre che quando i fastidii gli davano all'insù e minacciavano di fargli girare il capo, egli non trovava altri rimedii migliori per iscacciarli e consolare il suo cuore, che la rassegnazione alla volontà di Dio, la pazienza che conduce alla vittoria, la carità e la mansuetudine.

                Io parlo con voi, o miei amici, ed è per questo che vi parlo col cuore alla mano. Se io ascoltassi l'amore che vi porto, non mi allontanerei mai più da voi.

                Vivete intanto tutti felici, abbiate lunghi anni pieni di prosperità e voglia il Cielo che, vivendo io e voi da buoni cristiani, possiamo poi trovarci tutti insieme in quella beata patria che non avrà più fine.

 

 

CAPO LXXV. Don Bosco e il Canton Ticino - Il radicalismo svizzero - La deficienza di Clero - Studenti Ticinesi nell'Università di Torino riferiscono a Don Bosco le miserie religiose della loro Patria - Una piccola assemblea di preti e laici nel Santuario della Madonna del Sasso - Don Bosco li consiglia a far richiesta di Sacerdoti alla Curia di Torino - Zelo apostolico del Cappuccino P. Luigi Arnaboldi, custode della Madonna del Sasso - La Curia di Torino dichiara di non aver sacerdoti disponibili - Don Bosco provvede, quanto può, a quella necessità ed è criticato - Lettere di Don Angelo Modini che attestano il bene fatto da Don Bosco al Canton Ticino - Don Bosco scrive a Don Modini per scusarsi di non poter andare ad Intragna come aveva promesso - Vi si reca Don Cagliero; sua lettera di ringraziamento per le accoglienze avute - Nuove speranze deluse di aver Don Bosco in Svizzera e altra lettera di Don Cagliero - Giovani Ticinesi nell'Ospizio di Valdocco e nell'Oratorio festivo.

 

                PONIAMO termine a questo volume col riferir una delle molte opere apostoliche del Venerabile, le quali, non, ostante la loro importanza, rimasero quasi sconosciute, sia perchè si svolsero lentamente, restando in certo modo occultate dal fiorire di altre in apparenza più sfolgoranti, sia perchè la prudenza esigeva che si operasse [964] in silenzio per non dar motivo a chicchessia a intorbidare le cose. L'opera, di cui vogliamo far cenno, fu la conservazione della fede in una valle della Svizzera, nella quale, senza la carità di Don Bosco, si sarebbe forse spenta. È un fatto che abbraccia un lungo periodo di anni e noi lo riferiamo nelle circostanze conosciute.

                Dal 1855 al 1872 fu un tempo di esosa tirannia del radicalismo svizzero sulle popolazioni e sulla religione; specialmente nel Canton Ticino. Nella valle di Onsernone Locarnese la vita era divenuta per i parroci quasi impossibile. Essendo taluni banditi, altri morti, e mancando le vocazioni, v'era gran deficienza di clero, e facevasi ogni giorno maggiore. Don Bosco, fin dal principio di una tal crisi, non ostante le sue altre occupazioni si prese a cuore con zelo indefesso quel paese, dove molte parrocchie eran rimaste senza pastore. Alcuni Ticinesi, studenti nell'Università di Torino, che venivano a confessarsi da lui, gli dipingevano lo stato deplorevole e le angustie religiose della loro patria.

                Qualche sacerdote e alcuni laici di buon conto salivano al convento dell'insigne Santuario della Madonna del Sasso, sopra Locarno, per veder modo di alleviare tanti mali. Li radunava cautamente il religioso Cappuccino, P. Luigi Arnaboldi, rettore del Santuario. Don Bosco gli aveva proposto di supplire alla deficienza del Clero ticinese, con sacerdoti italiani, ai quali si sarebbero potute affidare le parrocchie vacanti: convinto che i suoi inviati, non essendo interessati nelle lotte politiche del Cantone, avrebbero dato meno ombra ai capi dei Governo. Fu un ottimo consiglio, come vedremo.

                Il Rettore alla Madonna del Sasso era un vero apostolo. Appare da una lettera di D. Angelo Modini, Prevosto di Losone, al Vicario Gen. Capitolare di Corno Mons. Ottavio Calcaterra, dalla quale chi legge si fa già un'idea dello zelo di P. Arnaboldi e dei bisogni spirituali di alcune popolazioni del Ticino. [965]

 

                               Ill.mo e Rev.mo Monsignore,

 

                Il M. R. P. Luigi Arnaboldi è da più che otto mesi che costantemente si reca nei giorni festivi quando nella Ven. Parr. d'Auressio e quando in quella di Loco e colla carità apostolica di che è tanto animato per la salute delle anime, si adopera a tutt'uomo per rianimare il sentimento religioso in quelle popolazioni. Anzi colla sua prudente e seria condotta avendo potuto guadagnarsi la stima, l'amore, dirò anzi la confidenza di chi tiene nelle mani la somma delle cose in cotesta Valle di Onsernone, potè ottenere di predicare più volte la settimana durante la corrente quaresima a Loco, dove viene consolato da un numeroso uditorio, concorrendovi pur anco in buon numero dalle parrocchie circonvicine.

                Egli ha tutta la buona speranza che Dio, ricco in misericordia, vorrà largamente benedire alle sue apostoliche fatiche, e che più di un'anima si rimetterà sulla buona via.

                Ei bramerebbe però sapere da S. V. Ill.ma e Rev.ma come dovrà comportarsi con quei penitenti che probabilmente gli capiteranno durante la quindicina Pasquale e che hanno:

                1° cooperato all'incameramento, a favore del Comune, dei beni della Chiesa;

                2° che hanno comperati beni della Chiesa, legati pii, beneficii, ecc. venduti all'asta pubblica;

                3° che hanno cooperato all'abbruciamento dei Confessionali;

                4° all'atterramento delle Cappelle della Via Crucis sulla pubblica strada;

                5° all'atterramento di alcuni pubblici Oratorii.

                Avendo poi lo stesso prelodato M. R. P. Luigi Arnaboldi, mediante i suoi buoni offici e la generosità di alcune anime pie, potuto mettere insieme tanto di denaro da bastare alla ristaurazione della Chiesa Parrocchiale d'Auressio, dimanda inoltre:

                1° il permesso di preparare e trasportare i necessarii materiali per la restaurazione della loro Chiesa ai parrocchiani d'Auressio nei giorni di festa;

                2° di demolire il tetto e buona parte della parete, e di trasportare il SS. Sacramento e durante la ristaurazione di fare la funzioni parrocchiali nell'Oratorio della Madonna della Mercede, di ragione della Veneranda Parrocchia stessa di Auressio;

                3° di essere delegato, dietro mia assistenza, a benedire la Chiesa appena ultimati i lavori di ristaurazione della stessa.

                Sempre coi sensi della più profonda stima, le umilio i miei più rispettosi ossequi protestandomi,

                Di V. S. Ill.ma e Rev.ma,

 

                Losone, 9 marzo 1869,

Dev.mo Servo

D. ANGELO MODINI, Prev. [966]

 

                P. Arnaboldi aveva accolto il consiglio di Don Bosco, e, ottenuto il consenso dalla Curia di Como, si rivolse al Vicario generale di Torino, domandando qualche sacerdote. Ma anche in questa Archidiocesi era diminuito il numero dei sacerdoti, e si rispose di non poter esaudire la domanda.

                Allora il Venerabile disegnò di provvedere egli stesso all'urgente necessità. P. Arnaboldi per più anni indicava a Don Bosco quali fossero le parrocchie più bisognose di sacerdoti e il Servo di Dio ebbe la consolazione di provvedere a parecchie di esse, inviandovi, non già dei Salesiani, che allora erano poco numerosi, ma altri ministri di Dio di sua conoscenza, non legati da speciali doveri in Piemonte, e anche qualche buon Religioso, espulso dal suo convento per la legge di soppressione.

                Fu Don Paolo Albera, che a nome di Don Bosco tenne corrispondenza con P. Arnaboldi in quegli anni, e che conferma queste notizie.

                Il Servo di Dio sceglieva sacerdoti a lui noti personalmente, di vita illibata, zelanti, forniti della scienza necessaria; e questi, con sua lettera, si presentavano a Como per essere riconosciuti idonei.

                Ma la carità di Don Bosco non piaceva a tutti. Un giorno incontrò Mons. Zappata, che gli domandò perchè mandasse preti italiani in Svizzera.

                Il Venerabile si limitò a rispondere:

                 - Erano anni che questi preti erano chiesti e la Curia diceva di non aver sacerdoti da mandare. Quelle popolazioni languivano e ho creduto bene di poter provvedere.

                Monsignore insisteva, facendone quasi una questione di diritto, e il Venerabile osservò:

                 - Io non mando, consiglio: ed è la Curia che rilascia le testimoniali a quelli che ne fanno domanda. Altri mi fecero simile appunto; abbiamo discusso e purtroppo ho dovuto conchiudere: “Non c'intendiamo; et ubi non est auditus, nec effundas sermonem”. [967] Monsignore, che era uomo di delicata coscienza e aveva grande stima di Don Bosco, all'indomani venne all'Oratorio per chiedere scusa al Servo di Dio. Questi gli rispose:

                 - Dovrei io chiederle scusa! Ma veda! avevamo l'eresia alle porte e bisognava che qualcuno vi ponesse riparo.

                E Monsignore approvò quanto aveva fatto Don Bosco. Questi adunque, con pieno assenso dei Superiori Ecclesiastici, compì così santa missione. Ci duole assai che la sua corrispondenza con P. Arnaboldi non sia giunta in nostre mani. Supplì in qualche modo a questa perdita D. Angelo Modini, che fu anche Prevosto di Moghegno (Val Maggia) nel Canton Ticino, con due lettere, una del 22 gennaio 1900 e l'altra del 26 novembre 1902, e con vari documenti, che si conservano nei nostri archivi.

                Scrive Don Modini nella prima lettera:

                “Non mi trovo in posizione di far una lunga, dettagliata relazione dell'azione cattolica esercitata da Don Bosco nel Cantone Ticino e più particolarmente nella Valle Onsernone... Don Bosco non fu mai, che io mi sappia, nel Cantone Ticino nè prima nè dopo il dominio radicale e per conseguenza la stampa nostrana non ne fece parola. Che se Don Bosco non fu mai tra noi, posso però assicurarle che grande era il suo desiderio di venirvi e ben inteso per impiantarvi alcuno de' suoi Istituti ed Oratorii, a salvaguardare la fede delle nostre popolazioni, seriamente minacciata. Le dirò anzi che ben due volte egli aveva meco definitivamente concertato il giorno della sua venuta. La prima volta, a mezzo d'un alunno dell'Oratorio avendomi significato questo suo desiderio di venire nel Cantone e nel medesimo tempo il desiderio d'interessare la sua venuta con qualche predicazione, io gli dava nota delle feste che si solevano celebrare con maggior solennità ad Intragna dove allora, l'anno 1865, io mi trovava come Prevosto, onde venisse in quella che gli tornasse meglio.

                Egli sceglieva la solennità di S. Gottardo, Vescovo di Hildesbeim, principale patrono della parrocchia (4 maggio). [968] Se non che, nel mentre lo si attendeva con grande desiderio ed impazienza, con sua lettera 25 aprile ci partecipava con suo grande dispiacere di non poter mantenere la promessa dell'ambita visita, per un grave malore di stomaco che gli impediva di predicare, e per trovarsi il Prefetto dell'Oratorio, D. Alasonatti, gravemente infermo e spedito dai medici”.

                Don Bosco però prometteva di mandare un supplente.

 

 

                                Carissimo Sig. Prevosto,

 

                L'uomo propone e Dio dispone ed in ogni cosa sia fatta la sua santa volontà. Da alcune settimane in qua un incomodo di stomaco mi molesta e m'impedisce di predicare. Tuttavia speravo di poter essere in grado di andare pel giorno di S. Gottardo. Ma altra visita mi fa il Signore. D. Alasonatti, prefetto di questa casa, è caduto gravemente ammalato; a segno che i medici mi danno poca speranza di guarigione. Cosa che rende impossibile la mia assenza da Torino. Sicchè, mio malgrado, non posso andare a far l'ambita visita a parenti, amici che stimo ed amo assai, sebbene non li abbia ancora veduti personalmente. Qualora per altro vi fosse la sola difficoltà di un predicatore, abbia la bontà di dirmelo e le manderei un supplente.

                Caro Sig. Prevosto, m'aiuti colla carità delle sue preghiere e di quelle de' suoi amici. Dio la benedica e l'aiuti a salvare molte anime. Se in qualche cosa la potrò servire, sono sempre a' suoi cenni e mi professo con gratitudine,

                Di V. S. Carissima,

 

                Torino, 25 aprile 1865,

aff.mo nel Signore

Sac. BOSCO GIOVANNI.

 

                P. S. - Pochi giorni sono, ho ricevuto tre giovanetti in questa casa che provengono da cotesti paesi.

 

                Andò a supplirlo D. Giovanni Cagliero, e vi si trattenne qualche giorno dopo la solennità, per combinare l'ammissione di alcuni giovinetti nell'Oratorio. Tornato a Torino e ragguagliato Don Bosco del suo viaggio, Don Cagliero scriveva a Don Modini:

 

 

                Oratorio di S. Francesco di Sales.

Torino, 23 maggio 1865.

 

                               Mio carissimo sig. Prevosto,

 

                Non passa giorno ch'io non ricordi con trasporto del mio cuore la bella gita di costì, non solo per l'amenità del suolo ma più assai per le [969] gentilezze ricevute, che furono oltre i miei meriti graziosissime. Ebbi già più volte occasione di parlare a varii del Clero Torinese e non posso a meno di lodare l'unità, la bontà e la cordiale ospitalità del Clero Ticinese. Sia dunque lode al merito, nè altro posso ripromettermi che un'altra occasione per nuovamente rivederli e caramente riabbracciarli.

                Don Bosco fu oltremodo contento ed interessato del racconto del mio piccolo viaggio e mi disse che sperava di farlo ancor lui. Anzi, a proposito, gli parlai del discorso sul nome di Maria per settembre e dissemi di scriverle che accetta volentieri, perchè desidera cogliere questa occasione per vedere e riverire il Clero Ticinese, ma si raccomanda di non prenderla a male se al sopraggiungere (stante i molti affari che lo circondano) di qualche imperiosa necessità, si trovasse nel bisogno di ripetere bellamente un secondo San Gottardo. Ad ogni evento scongiuriamo il fato poichè ci sia propizio e non avverso.

                V. S. scriverà in quel torno a proposito.

                Faccia coraggio ai giovanetti esaminati, perchè studino .....

                Dica al piccolo Giulio che studii, perchè lo aspetto poi qui a Torino; e perchè si faccia buono gli mando una bella immagine dell'Angelo Custode, affinchè imiti il piccolino che gli sta ai fianchi. Per V. S. poi lascio l'immagine non solo, ma Gesù stesso nel SS. Sacramento, a cui desidero mi raccomandi molto molto. Io farò altrettanto per Lei. Vedendo i parroci suoi finitimi, li saluti da parte mia tanto e tanto; il Prevosto di Pedemonte, sig. Marchini, anche da parte del Canonico Berghen. Ho scritto a Locarno al Padre Luigi Arnaboldi, perciò ho incaricato lui stesso per gli altri saluti.

                Mando a V. S. due copie della nostra commedia latina, con qualche dialogo. Alla prima occasione spedisca al suo Zio Vicario, unitamente a mille saluti, la copia del dialogo al suo indirizzo.

                Di V. S. stimat.ma e molto rev.da

Obbl.mo e devotissimo

Sac. CAGLIERO GIOVANNI.

 

                Don Cagliero con altra lettera del 31 luglio assicurava che Don Bosco si sarebbe recato a Intragna nella ricorrenza della solennità del SS. Nome di Maria in quell'anno stesso; ma sulla fine di agosto annunziava che per gravi impedimenti il Venerabile non poteva, neppur quella volta, mantenere la promessa.

 

 

Torino, 28 agosto 1865.

 

                               Ill.mo e Molto Rev. Signore,

 

                Quello che ho sempre temuto, accade per troppo! la clausola o condizione, sotto cui Don Bosco accettò il discorso del SS. N. di Maria,  [970] non si è adempiuta. Un motivo non solo ragionevole ma grave impedisce me e Don Bosco di venire a godere la loro dolce compagnia. Abbiamo il sig. prefetto D. Alasonatti agli estremi; si è già viaticato, ed aspettiamo con trepidazione il momento di dovergli amministrar l'Estrema Unzione! In questo caso è sempre imprudenza l'allontanarsi dal malato. Arrogi che uno di nostri preti è già ito a ricevere il premio di sue fatiche, un altro è perduto intellettualmente, un altro è spedito dai medici per il taglio d'una gamba. Il Signore in quest'anno ci ha messi a cruda prova! Don Bosco è dolente assai ed avrebbe desiderato con piacere questa gita per cotesti paesi, però non ha perduta la speranza di venire altra volta.

                Egli m'incarica di dirle che ad ogni occorrenza e bisogno si serva di noi, come di veri amici per tutto ciò che le occorre. Adunque per quei giovanetti, di cui mi parlò, ci scriva in proposito, e venga poscia Lei in persona ad accompagnarli. Qui sarà a casa sua, e ci procura insieme un bel piacere, Lo stesso dica a P. Luigi Arnaboldi riguardo a' suoi raccomandati....

                Di V. S. Ill.ma,

Dev.mo Servo

Sac. CAGLIERO GIOVANNI.

 

                Continua la prima lettera di Don Modini:

                “Don Bosco una seconda volta trovavasi nell'impossibilità di venire ad Intragna, aggiungendo che con tutto ciò non aveva abbandonata la speranza di venire in seguito. Che se ancora in seguito le molteplici e straordinarie sue occupazioni non gli permisero di effettuare la sua venuta e realizzare i suoi santi disegni, ciò non gli impedì di costantemente adoperarsi, con tutti quei mezzi che erano a sua disposizione e di approfittare di ogni opportunità d'occasioni per procurare il bene delle nostre popolazioni. Quante volte mi trovai in bisogno di rivolgermi a lui per l'ammissione di giovanetti nel suo Oratorio di S. Francesco di Sales a Torino, e furono tantissime, altrettante volte mi vidi prontamente esaudito e sempre con tutte quelle maggiori facilitazioni e riguardi che gli erano possibili....”

                Nella seconda lettera lo stesso egregio sacerdote, ricordando i molti giovanetti Ticinesi educati da Don Bosco nei suoi Istituti, ripete come il Venerabile li accettasse a modica pensione e “talora anche quasi gratuitamente.  [971] Io gliene raccomandai non pochi di Intragna, Golino, Losone. Brione, Ronco di Valle Onsernone. Quasi tutti quelli che furono accolti ed educati ne' suoi collegi, fecero buona riuscita. Alcuni divennero sacerdoti, come ad esempio il M. R. D. Pietro Pedrotta da Golino, già parroco di Gerra Gambarogno, il M. R. D. Giacomo Cavalli d'Intragna ed altri. Anzi un primo campo ove Don Bosco fece del bene a pro' de' Ticinesi, io lo riscontro già ne' suoi Oratori festivi in Torino, accogliendo egli negli stessi que' giovanetti Ticinesi che laggiù si recavano per esercitare qualche mestiere, specie quello dello spazzacamino. Mi sovvengo ancora che alcuni de' miei parrocchiani, allorquando Mons. Cagliero fu ad Intragna per il panegirico di S. Gottardo, erano oltremodo lieti di riconoscere in lui un sacerdote dell'Oratorio di Don Bosco da essi frequentato...”

                Ma il maggior servigio reso dal Venerabile al Canton Ticino fu, come si è detto, il provvedere di buoni sacerdoti molte parrocchie prive di assistenza spirituale.

                Di lui attesta Don Modini nella prima lettera:

                “... Dove meglio e più largamente e più fruttuosamente apparve la sua azione cattolica nel Canton Ticino si fu là dove più era reclamato dal bisogno, vale a dire a prò della Valle Onsernone (Locarnese). Quale e quanto deplorevole si fosse la posizione morale e religiosa di questa povera vallata e quali e quanto immani gli sforzi della framassoneria per soffocare l'avita fede, vedrò di farlo conoscere nella relazione che le invierò più presto mi verrà fatto”.

                Don Modini non inviò una vera relazione, ma, oltre gli appunti già pubblicati, ci mandava altri interessanti documenti.

 

 

CAPO LXXVI. Ancora Don Bosco e il Canton Ticino - Stato deplorevole della religione nella Valle d'Onsernone - Elenco di alcuni fra i sacerdoti inviati da Don Bosco in Svizzera - Fiducia della Curia di Como nelle scelte fatte da Don Bosco - Due lettere che attestano lo zelo di alcuni sacerdoti inviati dal Venerabile - Necessità di una somma oculatezza in tali ricerche - In qual concetto era tenuta ogni parola di Don Bosco - Egli fa sperare che nel Canton Ticino tutto si aggiusterà - Il popolo Ticinese scuote il giogo dei radicali - Don Bosco fa scrivere a Don Modini, manifestando quanto gli stia a cuore quel risveglio religioso: sue grandi speranze - Trionfo dei Cattolici ed incoronazione della Vergine del Sasso - Radunanza della Società Svizzera Pius Verein a Locarno - Il Canton Ticino è sottratto dal Papa alla giurisdizione di Como e riceve un Vescovo proprio - Nuove lotte coi radicali - Don Bosco manda a Don Modini una lettera d'incoraggiamento e di speranza - Grande vittoria dei Cattolici - Collegi Salesiani nel Canton Ticino.

 

                SCRIVEVA D. Angelo Modini nel 1900: “Se avessi potuto prevedere di essere chiamato a fornire le prove dell'azione cattolica esercitata da questo apostolo che la Divina Provvidenza suscitava pei bisogni della presente età, al certo avrei tenuto conto e nota di quanto importava al [973] caso. Ma ciò non era nelle mie previsioni. Così ove mi si fosse fatta questa dimanda un sedici anni sono, quando io lasciava Losone e quindi pur anco l'ufficio e la responsabilità di Vicario Foraneo di Onsernone, colla memoria de' fatti successi durante la mia dimora dì diciassette anni a Losone avrei potuto trasmettere una relazione più corretta e più circonstanziata”.

                E nel 1902, perchè ci facessimo una “qualche idea della tristezza di questi tempi, della scarsità del Clero e per conseguenza del gran bene che ha procurato Don Bosco” Don Modini c'inviò copia d'una sua petizione al S. Padre Pio IX, per ottenere la binazione della messa in alcune parrocchie del Vicariato.

 

 

                               Beatissimo Padre,

 

                Il vivo desiderio di provvedere in qualche modo alla salute di tante povere anime, mi induce, Beatissimo Padre, a mettere a vostra conoscenza la posizione invero deplorevole, in che versano gli interessi religiosi di Onsernone, una delle vallate le più alpestri e la più povera del Canton Ticino, disseminata in nove villaggi, lungo una estensione di circa trenta chilometri e con una complessiva popolazione di presso a cinque mila anime.

                Specie dappoi i male augurati avvenimenti, che nell'anno 1855 travagliavano il Canton Ticino, le leggi anticattoliche sancite dal potere legislativo in quell'epoca nefasta, essa divenne il covo della più pronunciata demagogia e la pubblica bisogna cadde nelle mani di poche famiglie evidentemente addette a Società framassoniche, le quali vi esercitarono e vi esercitano tuttodì una tirannica dispostica influenza a danno delle coscienze cattoliche di coteste popolazioni, le quali, la Dio mercè, si mantennero ciò non ostante, nella loro massima parte permanente, fedeli ai principii della loro fede. - Delitti della più seria gravità si perpetravano nel memorato anno 1855 e funestissimi. A Loco, il paese più importante e popoloso della Valle, venivano pubblicatamente incendiati i confessionali, rovinate le cappelle della Via Crucis, demolita una pubblica chiesa, manomessi più beneficii Ecclesiastici di Ius patronato o legati pii. Fatti più o meno consimili si ripetevano in tre altre località della Valle. E quasi ciò non bastasse, coll'intrusione di due sacerdoti estranazionali, chiamati a disegno, si tentava travolgere nello scisma le popolazioni. A Dio misericordioso piacque che disegni cotanto empii non approdassero [974] e che il radicalismo Onsernonese, fatto andare dall'appoggio quando segreto e quando palese del Governo Cantonale, e dal consiglio e dall'opera di settarii stranieri, tra i quali alcune notabilità massoniche che vi affluivano come a luogo di sicuro asilo, incontrasse un ostacolo insormontabile nella saldezza della Fede delle popolazioni e che dopo qualche annata i due sacerdoti intrusi fossero costretti a lasciare la valle, come terreno che non rispondeva alle loro speranze e a' loro biechi disegni. - Necessaria conseguenza di questa serie dolorosa di fatti e di queste mene irreligiose fu la nomina tristamente famosa che si divulgava della valle, epperciò la difficoltà di provvedere di Sacerdoti le parrocchie mano mano che le stesse si rendeano vacanti; difficoltà fatta più grave dalle tenuissime retribuzioni che generalmente ai parroci vengono dai comuni assegnate e dalla penuria ognora crescente di novelli Sacerdoti. - Al presente tre soli sono i Sacerdoti che deggiono provvedere ai bisogni spirituali dell'intiera vallata, non potendosi tener calcolo di altri due, resi quasi affatto impotenti, l'uno dalla troppo avanzata età e l'altro pel male epilettico dal quale è da lunga pezza travagliato. L'Opera di questi pochi sacerdoti è poi fatta più malagevole e penosa nella cattiva stagione per l'abbondanza delle nevi che vi cadono e le quali ordinariamente vi si mantengono per cinque e più mesi e per la distanza di due e talora di tre e più leghe che devono percorrere per recarsi dalla propria nelle vacanti parrocchie.

                Riuscito inutile ogni possibile tentativo, onde rinvenire soggetti per l'assistenza delle parrocchie sprovviste di pastori, al presente infrascritto altra via non le si presenta a provvedere alle spirituali necessità di cotesta valle che seguire il consiglio di persone pie, autorevoli, vale a dire d'implorare da V. Beatitudine la facoltà di abilitare quello o queglino dei Sacerdoti che stimerà più opportuno a celebrare nelle feste due SS. Messe, l'una nella propria e l'altra in alcune delle parrocchie vacanti, onde procurare per tal modo a tutte le popolazioni della valle il beneficio di adempiere al precetto di udire la Santa Messa e nell'occasione ascoltare la spiegazione dell'Evangelo e della dottrina e accostarsi ai Sacramenti. Una tale facoltà la s'implora pur anco pel M. R. D. Luigi Arnaboldi Missionario Apostolico, il quale con una pazienza instancabile ed uno zelo veramente apostolico seppe guadagnarsi una illimitata fiducia presso codeste popolazioni con ogni maniera d'industrie e di sacrificii, e alle quali si reca a quando a quando a prestarvi l'opera sua.

                Che della grazia ecc. baciando ossequiosamente il sacro piede,

 

                Losone, 20 febbraio 1873.

 

                E Don Bosco, scrive Don Modini, “dietro mia preghiera, d'accordo pienamente con Sua Ecc. Mons. Vescovo di Como,  [975] più volte mi procurò dei buoni sacerdoti per provvedere ai bisogni spirituali di Valle Onsernone. Le unisco, in foglio separato... la lista di quelli che ancora ricordo[43]

 

                Elenco di Sacerdoti inviati da Don Bosco nel Ticino.

                D. Bartolomeo Pavesio.

                D. Chiantore.

                D. Morandi Carlo.

                D. Marchetti Vincenzo.

                D. Picchiottini di Rocca di Corio.

                D. Gaia Michele.

                D. Callisto Bava, Ex - Premonstratense.

                D. Delponte Giuseppe, Prev. di Colombano.

                D. Sibilla Emmanuele.

                D. Luigi Mondini.

                D. Edoardo Bernardi.

                D. Vincenzo Colletti.

                D. Mario Rossi.

                D. Barbisio Giov. Antonio.

                D. Carlo Tornotti.

                D. Minella Vincenzo.

                D. Francesco Fiocchi.

                D. Giov. Ambrosio Podestà.

                D. Luigi Maria Rossi.

 

                A questi sacerdoti Don Bosco consegnava di solito una lettera di raccomandazione da presentarsi alla Curia di Como o a D. Angelo Modini. Una sola ce ne venne trasmessa.

 

 

                Torino, 25 luglio 1867

                                Carissimo nel Signore,

 

                Il Signor D. Marchetti si presenta a V. S. per fare il suo esperimento a favore di quella parrocchia che sarà per assegnargli. Ha già lavorato molto nel sacro ministero, con buon successo. Spero che farà molto bene. Dio benedica Lei e le sue fatiche e mi creda nel Signore. Di V. S. Carissima,

Aff.mo Servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

                P. S. - Installato D. Marchetti, spero poterle presentare due altri sacerdoti di zelo e di buona volontà. [976]

 

                Del prossimo arrivo di due sacerdoti nella Svizzera era giunta notizia alla Curia di Como alcun tempo prima e il Vicario Generale scriveva a D. Modini.

 

                Qualora V. S. abbia notizie rassicuranti sulla condotta morale e religiosa, sulla idoneità e sulle opinioni dei due Sacerdoti, di cui fa cenno sulla sua di ieri (intorno a che non dubito punto, se sono raccomandati da una persona tanto distinta, quale è il chiaro Teologo Don Bosco) e qualora siano muniti dei necessarii recapiti da parte del loro Ordinario Diocesano, io la consiglio di continuare nelle pratiche già in corso onde sollecitare la loro venuta in codeste parti a parziale sollievo dei tanti bisogni, in cui versano di operai evangelici. Vorrà poi farmi noto a suo tempo l'esito di tali pratiche...

 

                Como, 4 giugno 1867

C. Ott. CALCATERRA V. G. C.

 

                Don Modini ci mandò anche due documenti della scelta felice che Don Bosco faceva di sacerdoti o missionarii pel Canton Ticino.

                Il primo è una lettera di Don Guglielmo Buetti, Prevosto dei borghesi di Locarno, a D. Agostino Anzini, Rettore di Solduno, in data 23 febbraio 1900, ove si legge:

 

                Il Sac. Bernardi Odoardo, parroco di Magadino, morto nell'anno 1892 in età di circa 70 anni, mi raccontava il seguente fatto della sua vita. Verso l'anno 1866 o 67, veniva soppresso in Torino per opera del Governo Italiano un convento di frati francescani. Il sacerdote Bernardi, che era esso pure religioso in tale convento, non sapendo ove andare, si recò da Don Bosco a chiedere consiglio. Don Bosco dopo aver riflesso alquanto, disse:

                 - Volete andare nel Canton Ticino, in Isvizzera?

                Il pio religioso, ignaro affatto di questi paesi Ticinesi, rispose: - Io mi rimetto pienamente a quanto ella mi dice.

                 - Ebbene, soggiunse Don Bosco: scrivo subito al signor Arciprete Rossi di Locarno, col quale sono legato da speciale amicizia, ed egli penserà a mandarvi parroco in qualche paese del Locarnese, ove farete molto bene.

                Il Sac. Bernardi, tutto contento a tali parole, partì, venne a Locarno, ove l'Arciprete Rossi di s. m., prevenuto già dalla raccomandazione di Don Bosco, accoglieva il religioso con grande affetto, lo conduceva poco dopo a Magadino:

                 - E qui, gli disse, restate finchè il Signore vi darà vita. [977] Obbedì il religioso, e difatti le parole di Don Bosco che avrebbe fatto molto del bene pienamente si avverarono. La parrocchia di Magadino, rotta ad ogni vizio, divenne in breve giardino di virtù. Lo zelante parroco riabbellì la chiesa, istituì congregazioni, quella per es. delle Madri Cristiane, delle Figlie di Maria, dei Luigini, dei Confratelli del SS. Sacramento, ecc. La chiesa, vuota prima di gente, si riempì di pii fedeli, ed io stesso ne ebbi prova varie volte, recandomi colà a predicare. Le funzioni si facevano con tutta pompa di sacri riti e con grande frequenza ai SS. Sacramenti. Morì nell'attuale casa parrocchiale, rimpianto da tutti, che lo avevano in concetto di santo prete.

                Quanto espongo sono pronto a confermarlo anche con giuramento.

 

                Il secondo documento è una lettera al Servo di Dio.

 

 

Piazzogna, 22 del 69.

 

                               Carissimo e colend.mo mio Don Bosco,

 

                A quest'ora spero che avrà ricevuto la mia unitamente a quella di D. Edoardo.

                Oggi sono stato all'insigne Santuario della Madonna del Sasso. Tutti quei buoni religiosi mi accolsero con ogni sorta di cortesia, mi chiesero notizie del nostro caro Don Bosco, e mi incaricarono de' loro tanti saluti, estensivi all'ottimo D. Cagliero.

                P. Luigi Arnaboldi mi disse che ha scritto alla S. V. Rev.ma per avere un Sacerdote per mandare a Onsernone; desidera un buon prete, se non di grande dottrina, almeno di somma prudenza, ed in pari tempo la prega di sollecitare la ricerca.

                In quanto alla retribuzione sarebbe di franchi 600, legna sufficiente, burro, etc. e poi si desidera un Sacerdote che cerca il bene delle anime, e non l'interesse, perchè in questi paesi, piuttosto poveri, sarebbe in inganno chi credesse di fare fortuna. In quanto a me sono sempre più contento. Domenica ebbi nella mia parrocchia la festa di S. Antonio Abate. Vi si trovavano 5 preti e il Sig. Vicario per condecorare la funzione, ed il Comune ha voluto che io facessi il panegirico del suo glorioso patrono. Lunedì venturo andrò alla parrocchia della Gerra per fare i discorsi delle 40 Ore, e negli ultimi giorni di Carnovale sono invitato per la parrocchia di S. Abbondio. D. Edoardo ed io in queste parti siamo amati e stimati, e questo nostro amore e questa nostra stima è tutto dovuto al nostro caro Don Bosco...

                Se la S. V. potrà trovare un momento per consolarmi con qualche sua buona parola, sarebbe per me di sommo favore, e mi arriverebbe come rugiada salutare in queste mie continue occupazioni parrocchiali ed ecclesiastiche. Mi raccomando soprattutto alle sue preghiere, e l'assicuro che quando mi sono trovato ai piedi della nostra cara  [978] Vergine SS. del Sasso, non mi sono dimenticato del caldo promotore del culto alla nostra cara Vergine Ausiliatrice, come a questa nostra cara madre non manco mai di ricorrere per implorare gli aiuti che tanto abbisogno in questi miei principii di curatore d'anime. Intanto la saluto caramente, anche per parte del nostro buon D. Edoardo, e con tutta la stima la più distinta e con profonda devozione ho l'onore di pregiarmi

                Della S. V. molto Rev.da,

Obb.mo ed aff.mo amico

MINELLA D. VINCENZO.

 

                I bisogni spirituali di quel povero Cantone eran sempre grandi ed esigevano somma prudenza nelle ricerche e nella scelta dei sacerdoti. Il Vicario Generale Capitolare di Como, il 22 novembre 1869 scriveva al Prevosto Don Modini.

 

                Qualora il Sacerdote, di cui V. S. fa cenno nella sua del 20 corr., dal complesso delle informazioni desunte, e massime dalle testimoniali del suo Ordinario, dia speranza di buona riuscita, approvo il suggerito divisamento. Similmente non potrei che approvare, se le venisse fatto, di trovarne altri pei molteplici bisogni di questo Vicariato. Ma devo in pari tempo rammentarle che i buoni soggetti da cui si possa sperar bene sono rari, specialmente fra i preti disoccupati e disposti ad abbandonare la propria diocesi. Per il che in questo troppo delicato negozio convien procedere a rilento e con grande cautela, non omettendo mai di assumere previamente tutte le possibili ed autorevoli informazioni. Non parmi opportuno che l'Arnaboldi si rechi a Torino all'uopo da Lei accennato. Piuttosto io sarei tenuto all'Arnaboldi se, in vista del massimo bisogno, volesse egli stesso portarsi per qualche tempo in una delle mentovate parrocchie vacanti, a prestarvi l'opera sua, come già fece in altre occasioni...

OTT. CALCATERRA V. G. C.

 

                Ma una lettera, scritta da Don Albera a Don Modini a nome di Don Bosco, fa testimonianza delle continuate sollecitudini del Venerabile e dell'alto concetto in cui erano tenute le sue informazioni.

 

 

Torino - Valdocco, 15 febbraio 70.

 

                               M. Rev.do Signore,

 

                Son ben lieto di vedere che due zelanti sacerdoti sono disposti a venire in cotesti paesi a dividere colla S, V. M. R. le fatiche ed i sudori. Insieme col sig. D. Chiantore, già altra volta raccomandatole,  [979] verrebbe pure il Sig. D. Bartolomeo Pavesio zelantissimo esso pure. Io glielo raccomando a nome di Don Bosco, il quale crede che cotesti buoni cristiani avranno molto a ringraziare il Signore d'aver loro mandato tali Pastori, ed ha speranza che il tutto si aggiusterà a bene delle anime e a maggior gloria del Signore...

                Di V. S. M. R.,

 

Obbl.mo Servitore

Per Don Bosco Sac. ALBERA PAOLO.

 

                L'ultimo periodo di questa lettera dovette incoraggiare Don Modini ad aver fiducia nell'aiuto della Provvidenza. Ed una salutare reazione dopo qualche tempo, cominciò a manifestarsi in varie località del Cantone, e finalmente la maggioranza del popolo Ticinese, stanco dalla lunga oppressione, nel 1875 ripudiava co' suoi voti la causa del liberalismo.

                Nel 1876 il Gran Consiglio Cantonale intraprendeva la revisione della Costituzione, promossa dai conservatori che erano il partito della religione e dell'ordine. Un certo numero di liberali presentò allora al Consiglio Federale una violenta e ingiusta protesta, sicchè il Gran Consiglio ticinese fu invitato a differire le sue deliberazioni. Non v'era legge che giustificasse un così fatto intervento nella politica interna di un Cantone; quindi il 28 luglio 1876 il Gran Consiglio, radunatosi, adottò all'unanimità un progetto di legge tendente ad introdurre per le elezioni cantonali la votazione segreta nel comune. Fu un fiasco solenne per i liberali, perchè l'antico sistema di votazione pubblica e per grandi riunioni apriva a loro un largo adito alla corruzione, alla frode e alla violenza. Dopo ciò, il Consiglio di Stato ticinese, composto di liberali, non volendo dimettersi, benchè il popolo avesse reiteratamente condannata la sua politica anticattolica, si era impossessato della Chiesa de' Benedettini a Bellinzona e aveva permesso ai caporioni del municipio di Lugano di sopprimere ad ogni costo, benchè non vi riuscissero, l'egregio giornale intitolato: Il Credente Cattolico.

                I liberali erano furibondi contro i conservatori. Il 15 ottobre, ultimo giorno della festa del tiro a segno, cinquanta o [980] sessanta tiratori giunsero a corsa nel vestibolo del palazzo governativo gridando: - Abbasso il Gran Consiglio! - In mezzo a quel tumulto, il Consiglio di Stato, che già attendeva gli ammutinati, decise di aderire in massima alla loro volontà cioè di rovesciare il Gran Consiglio eletto dal popolo e di convocare i comizii elettorali per surrogarlo. I conservatori si armarono in varii punti del Cantone per difendersi e, se assaliti, far capire una volta per sempre ai liberali che il tempo delle prepotenze era passato.

                Il Consiglio di Stato distribuì armi e munizioni a' suoi partigiani e organizzò, colla promessa di grosse paghe, bande di corpi franchi, avide di saccheggio per spargere il terrore nel paese. Nulla si lasciò d'intentato sia colle minacce, sia coi fatti, sia con violenti articoli dei giornali contro il clero, e perfino colla dinamite.

                Stava per iscoppiare la guerra civile, ed era già accaduto qualche serio conflitto con qualche morto, quando un commissario federale intimò il disarmo dei partiti. I conservatori obbedirono per deferenza al potere centrale, fidandosi nella parola del Commissario; ma i liberali misero in stato d'arresto alcuni dei loro capi.

                Finalmente le Camere federali ratificarono, dopo vivi contrasti coi radicali, la decisione presa, conforme all'equità dal potere esecutivo centrale, e il 21 gennaio 1877 gli elettori del Cantone procedettero al rinnovamento del Gran Consiglio.

                Degli eletti almeno 70 appartenevano al partito conservatore, e i liberali non ebbero che quaranta nomine. Gli antichi membri del Consiglio di Stato dovettero lasciare i loro seggi a quattro valenti conservatori.

                Con queste elezioni si aveva ogni motivo a sperare che il regno della violenza dovesse aver termine nel Ticino, dove era durato più di trent'anni.

                Una lettera, fatta scrivere da D. Bosco il 24 gennaio 1877, manifesta chiaramente quanto avesse a cuore il trionfo della Religione Cattolica in quelle terre. [981]

 

                                Molto Rev.do Signore,

 

                Mi è oltremodo cara l'occasione che mi si presenta di poter cioè assicurare V. S. Molto Rev.da, a nome del sig. Don Bosco mio Superiore, e della messa celebrata secondo la pia e santa di Lei intenzione, e delle premure che egli si prende perchè la causa della Religione Cattolica trionfi nel Canton Ticino, col raccomandare a tutti i buoni che preghino per questo fine.

                Infatti, appena giunse a lui tale e sì grave notizia, diede subito ordine che particolari preci venissero innalzate a Colei che si venera in Torino, sotto il titolo di Aiuto dei Cristiani.

                Quindi facendo noi dal canto nostro quanto possiamo, abbiamo motivo a sperare, che presto o più tardi, la causa della Religione Cattolica sarà per riportare non solo nel Canton Ticino, ma eziandio in tutto il mondo un completo trionfo. Intanto per ora conviene pregare, operare e riporre ogni nostra fiducia in Dio e nel potente patrocinio di Maria Ausiliatrice.

                La prego in ultimo a voler gradire, con quelli del sig. Don Bosco, anche i miei umili ossequii, mentre le auguro ogni più eletta benedizione dal Signore ed ho la felice ventura di potermi con ben distinta stima professare

                Di V. S. Molto Rev.da,

 

                Roma, 24 gennaio 1877,

Umile Servitore

Sac. BERTO GIOACHINO.

                Al M. R. Signor

                D. Angelo Modini. - Losone.

 

                E i voti, le preghiere, e le zelanti premure di Don Bosco dovevano ricevere la ricompensa. Nel Cantone vi furono altre sommosse, ma il nuovo Governo fu costante nell'opera riparatrice di vera libertà. Infatti fin dal 1880, in mezzo all'esultanza di un popolo immenso, alla presenza delle Civili Autorità e del Consiglio di Stato in tutta la splendida pompa ufficiale, dopo solennissima processione, era incoronato per mano di Mons. Paolo Ballerini, Patriarca di Alessandria, sulla piazza maggiore di Locarno, il veneratissimo simulacro della Madonna del Sasso.

                Il 6 marzo 1881 il popolo chiamato ai comizi per eleggere i deputati al Gran Consiglio Cantonale diede al partito Conservatore Cattolico 86 seggi, contro soli 19 ottenuti dai radicali. [982] Nel 1882 si tenne in Locarno l'annua riunione della Società cattolica Pius Verein, i cui membri erano convenuti da ogni parte della Svizzera. Presiedette, pontificò, predicò eloquentemente nelle tre lingue nazionali Mons. Eugenio Lachat, Vescovo di Basilea, e il Congresso finì con un pellegrinaggio alla Madonna del Sasso, cui presero parte i più alti dignitari.

                Questi, da tre anni, trattavano coll'alto Consiglio Federale di Berna per avere un Vescovo, e ottenuta la sua piena adesione, il Canton Ticino veniva distaccato per autorità del Sommo Pontefice Leone XIII dalla giurisdizione dell'Arcivescovo di Milano e del Vescovo di Como; e Mons. Eugenio Lachat, trasferito da Basilea alla novella diocesi, ne prendeva trionfalmente possesso nel 1885, col titolo di Amministratore apostolico, fissando la sua residenza nel vetusto Palazzo Vescovile di Balerna.

                A coronare l'opera sua, quel Governo Cattolico decise di purgare la legislazione dalla triste eredità dei radicali e compilava un disegno di legge per restituire alla Chiesa e al Clero la piena libertà d'esercitare il sacro ministero e di amministrare beni ecclesiastici. Il Gran Consiglio aveva già approvata la legge. Sennonchè i radicali e la massoneria presero a combatterla con nuovo accanimento, non risparmiando alcun mezzo per travolgere il senso della legge, blaterando che si voleva render lo Stato schiavo dei preti. Da principio riuscirono ad ingannare non pochi cittadini, i quali colle loro firme favorirono la domanda del referendum. In meno di un mese se ne erano raccolte più di 9.000, il qual numero rappresentava quasi la metà di coloro che avevano diritto al voto, e i radicali avevano concepito le più liete speranze, non solo di impedire la sanzione della legge, ma di riafferrare il perduto potere. Avevan organizzato un pronunciamento nei principali centri del Cantone: bande armate che dovevano piombare sul capoluogo Bellinzona: e designate le persone che avrebbero formato il Governo provvisorio, e preparate dimostrazioni e [983] mascherate scandalose, nelle quali dovevano figurare preti, frati, monache, vescovi e il Papa. Le cose erano al punto che Dio solo poteva salvare il Canton Ticino da un'irreparabile rovina. Il Governo, per alcuni giorni, non fu senza gravi apprensioni e timori.

                In quelle angustie Don Angelo Modini scriveva a Don Bosco, e Don Bosco rispondeva a mezzo di Don Rua:

 

 

Torino, 22 marzo 1886.

 

                               Rev.mo signor Prevosto,

 

                Ricevetti la riverita sua lettera del 18 corr. colle unite offerte e ne la ringrazio vivamente, pregando la S. V. di estendere i miei ringraziamenti alle pie persone oblatrici. Una messa fu già celebrata, le altre saranno celebrate secondo le intenzioni indicate, al più presto che sarà possibile. Ma intanto posso assicurarla che noi pregammo e preghiamo perchè tutto riesca in favore della Chiesa Ticinese e già i nostri orfanelli fecero varie Comunioni a questo scopo. Speriamo che Maria Ausiliatrice abbia benedetta la votazione d'ieri. Non è da stupire che l'inferno faccia tutti gli sforzi per vincere la partita, e ne farà ancora dopo averla perduta, al fine di distruggere gli effetti che la Chiesa potrà ricavare dalla vittoria. Dunque coraggio sempre, sempre avanti. La favola della lotta fra Ercole e Anteo è pur sempre rigorosamente vera per noi Cattolici. Anteo ricuperava tutto il suo vigore toccando la terra, madre sua: la Chiesa o, a meglio dire, i suoi figli ritornano sempre al pristino vigore e sono invincibili, sol che al braccio di Maria Auxilium Christianorum si confidino. Sia dunque Maria quella, anche questa volta, che vinca ed abbatta il comune nemico!

                Gradisca i sentimenti della mia perfetta stima: preghi per noi e pe' Salesiani tutti, e mi creda sempre quale ho l'onore di professarmi in Domino,

                Della S. V. Rev.ma,

Um.mo Dev.mo Servitore

Pel Sac. Gio. Bosco - Sac. MICHELE RUA.

 

                Il 21 marzo il popolo Ticinese era stato chiamato a pronunciarsi sull'accettazione o meno delle leggi; e il partito cattolico - conservatore si era scosso, aveva compresa l'importanza della lotta, la necessità e bontà della legge, e affermò la sua fiducia nel Governo e nel Gran Consiglio con 1.331 voti di maggioranza [984] Certamente la preghiera di Don Bosco dovette influire in quella vittoria, che senza la divina protezione non sarebbe riuscita, essendo gli avversarii troppo bene preparati e disponendo di mezzi formidabili e di potenti alleati anche fuori del Ticino.

                E questa preghiera del Venerabile non dovette cessare nemmeno dopo la sua morte.

                Successo nel settembre del 1887 al defunto Mons. Lachat Mons. Vincenzo Molo, Vescovo tit. di Gallipoli, apriva nel 1889 un collegio a Mendrisio e lo affidava ai Salesiani, e nel 1894 chiamava gli stessi a dirigere il Collegio Pontificio di S. Carlo Borromeo in Ascona. Il 1° fu poi trasferito al palazzo Vescovile di Balerna; il 2° a Maroggia. Così incominciò a fiorire nello stesso Canton Ticino un bel numero di vocazioni.

                Come è sempre vera, e bella, e confortante la parola del salmo: Clamaverunt ad Dominum cum tribularentur, et de necessitatibus eorum liberavit eos (Sal. 106).

 

 

APPENDICE

 

 

 

APPENDICE “A”

 

APPUNTI AUTOGRAFI DEL VENERABILE

di Istruzioni tenute ai Salesiani negli Esercizi Spirituali

del 1869 e degli anni seguenti.

(Ved. pag. 697).

 

I.

 

Da un quaderno manoscritto.

 

ESERCIZI DI TROFARELLO, 1869.

 

INTRODUZIONE - LUNEDI' A SERA - RAGGUAGLIO STORICO.

 

                L'Oratorio nel 1841 nella Chiesa di S. Francesco d’Assisi - Primo allievo 8 dicembre - Episodi - Aumento di giovani - Pratiche di pietà.

                Trasferimento al Rifugio - Prima Cappella 8 dicembre 1844 - Vicende diverse - S. Martino ai Molini di Città; un fatto (C*****) Chiesa del Cenotafio di S. Pietro in Vincoli - D. Tesio - Apoplessia fulminante Casa Moretta - Un prato - Il Vicario Cavour - La ragioneria - L'aprile del 1846 - Principio in Valdocco - Necessità di una Congregazione - Pazzia - Conferenze - Abbandono Momenti critici - Idea chiara di una Congregazione - Scopo della medesima - Ospizio per gli artigianelli poveri 1847 - Episodi - Alcuni studenti - Scopo dei medesimi - Nuova chiesa - Nuovo edificio - Prove diverse.

                Mons. Fransoni - Sue visite - Compagnia di S. Luigi - Indulgenze - Consigli dell'Arcivescovo - 1852 - Prima associazione nel 1854 - D. Alasonatti - Idea di Pio IX 1858 - Scopo specificato [986] di una Congregazione - Ragazzi nei giorni festivi - Ricovero Studenti - Buoni libri - Letture Cattoliche - Predicazioni - Difficoltà - Primo Decreto di Roma; luglio 1864 - Vicende e contrasti - Gran benedizione del Signore - Decreto del marzo 1869 - Stato attuale della Congregazione.

 

 

MARTEDI' MATTINO.

 

VANTAGGI DI CHI VIVE IN CONGREGAZIONE.

 

                [Il Cristiano: sua creazione nella cattolica religione, educazione, istruzione, mezzi di salvezza.

                Entrata nel mondo pieno di pericoli - Maggior sicurezza in religione - Esempio di viaggio in bastimento od in una barchetta; in carrozza o a piedi; dimora in una fortezza o in un campo aperto.

                Segni di vocazione: propensione - se la vita è migliore di quella che fosse nel secolo - Essere già accolti in Comunità. Manete in vocatione, etc.][44]

                Similitudine del negoziante che lavora nella speranza del guadagno.

In Congregazione Homo vivit purius - cadit rarius - surgit velocius - incedit cautius - irroratur frequentius - quiescit securius - moritur confidentius - purgatur citius - remuneratur copiosius.

                Vivit purius perchè privo delle sollecitudini secolari [da volere a non volere, bisogna chè nel secolo pensi alle cose temporali]. Purità d'intenzione è fare quello che più piace a Dio e noi ce ne assicuriamo coll'obbedienza. Nel secolo si fa il bene che si vuole e quando si vuole. Il religioso non fa mai la propria volontà, ma sempre quella del Signore, mercè l'ubbidienza. La propria volontà guasta le opere: Quare jejunavimus et non aspexisti; humiliavimus animas nostras et nescisti? Perchè ecce in die jejunii vestri invenitur voluntas vestra, Isaia, 58 - 3.

                 - Esempi diversi.

                Cadit rarius. Più uno è lontano dai pericoli, più è sicuro di non cadere. Il mondo è pieno di pericoli. Quidquid in mundo est, concupiscentia carnis est (piaceri del senso) concupiscentia oculorum (ricchezze) superbia vitae (la vanagloria). S. Antonio vide il mondo coperto di lacci. - Chi vive in Congregazione vive fuori di questi pericoli e si separa da tutto coi tre voti; perciò difficilmente cadrà. Inoltre ha immensi aiuti per sostenersi in Religione, che nel secolo mancano.

                Surgit velocius. - Regole, avvisi, letture, meditazioni. Esempi altrui. - Vae soli quia, cum ceciderit, non habet sublevantem se. Ma [987] in Società si unus ceciderit, ab altero fulcietur (Eccl. 4, 10 ). Juvatur a sociis ad resurgendum (L'ang. S. Tommaso).

                Incedit cautius. - Cammina con maggior cautela. - Ritiro. Regole... - Come fortezza la santa legge di Dio, cui stanno in difesa alcuni forti avanzati, come sono le Costituzioni. - Urbis fortitudinis Sion, ponetur in ea murus et antemurale (Isaia e. 26, 1). Difeso, essendo in Congregazione. - Rendiconto mensile. - I grandi del mondo, ricchi, potenti, non hanno monitori, ma adulatori, ecc.

                Irroratur frequentius. [Terreno irriguo è il secolo; terreno sotto acqua è la Congregazione]. Frequente la rugiada celeste sulle anime da Dio, per cui tutto si abbandonò, per cui si lavora, - dai Sacramenti che per regola si frequentano, dai superiori che per ufficio ci debbono consigliare e correggere. - Un secolare spesso vorrebbe, ma non ha i mezzi, di cui abbonda un religioso.

 

 

MARTEDI' A SERA.

 

                Quiescit securius. - Nulla può contentarci nel mondo. Vanitas vanitatum, ecc. - Teodosio nella cella di un solitario, disse: Padre? Sapete voi chi io sono? Io sono l'Imperatore Teodosio. Oh beati voi che menate qui in terra vita contenta, lontani dai guai del mondo. Io sono un gran signore della terra, sono imperatore; ma per me, o padre mio, non v'è giorno in cui mi cibi con pace. - Poi: Cum fortis fuerit armatus, secura sunt omnia. La Congregazione è una fortezza in cui si può riposare tranquilli. Gesù Cristo, i superiori, le regole, i confratelli sono altrettante guardie dell'anima, ecc.

                Ob. 1°. Nella religione vivono scontenti. Ma perchè non osservano le regole.

                2° Molte tribulazioni anche nella religione. Ma queste sono le croci quotidiane, che ci condurranno alla gloria.

                Consulto Deus gratiam religionis occultavit, nam si eius felicitas cognosceretur, omnes, relicto saeculo, ad eam concurrerent (S. Lorenzo Giust.).

                Moritur confidentius. - Morte di chi vive nel secolo: medici, notaio, parenti, tutti parlano di cose temporali, difficilmente di spirituali.

                Il Religioso tra' suoi fratelli che l'aiutano, pregano, lo confortano. In terra tutto è disposto; egli è preparato pel cielo. Omnis qui reliquerit, etc. (Matt. 19, 29). Promisit Deus vitam aeternam ista relinquentibus. Tu reliquisti omnia ista: quid prohibet de huiusmodi promissione esse securum? (S. Chris. de Prov.). Un fratello di S. Bernardo morendo nel Monastero cantava; perchè beati mortui qui in Domino moriuntur.

                Purgatur citius. - San Tommaso dice che entrando in religione si ottiene il perdono di tutti i peccati e della pena come nel battesimo;  [988] di poi soggiunge: Unde legitur in vitis Patrum, quod eamdem gratiam consequuntur religionem intrantes, quam, consequuntur baptisati. - Poi conforti, preghiere, Comunioni, rosarii, Messe, ecc. - O niente o poco in purgatorio. Est facilis via de cella in coelum (S. Bernardo).

                Remuneratur copiosius. - Dio ricompensa un bicchiere d'acqua fresca dato per lui; che mercede darà a chi lasciò tutto, o meglio diede tutto per amor suo? Tutte le azioni della vita religiosa, mortificazioni, astinenze, ubbidienze, quale mercede avranno in cielo? Poi il merito che si acquista per le opere buone che si faranno per lui. Fulgebunt justi, etc.

                Il mondano invece dirà: Erravimus, etc.

                S. Alfonso dice che nel secolo XVII di 60 santificati, soltanto 6 erano secolari. Gli altri tutti religiosi.

                [ Vantaggi temporali:

                1° Quelli di Gesù Cristo che nella nascita, nella vita, nella morte non aveva dove reclinare ecc. Promise però non mancarci niente, se ecc.: Respicite volatilia coeli.

                2° Ci manca niente nello stato di sanità, di malattia, di morte. Esempio di .......

                3° Quanti stentano nel mondo! Noi abbiamo vitto, vestito, alloggio, ecc. ]

 

 

MERCOLEDI' MATTINA. - VOTI ED UBBIDIENZA.

 

                Pensiero del Sommo Pontefice sulla nostra Società. - I voti: loro utilità; loro maggior merito. Esempio di chi offre il frutto e non la pianta. S. Anselmo. Esempio di chi offre il frutto ed il capitale. S. Bonaventura. Ubbidienza. Come è intesa nelle nostre regole. In essa consiste la religione. Tota religionis perfectio in voluntatis nostrae subtractione consistit, S. Bonaventura.

                Genera - conserva tutte le altre virtù: Obedientia virtus est quae caeteras virtutes in mentem ingerit et custodit, S. Greg., Moral., 1, 35.

                Aiuta a vincere ogni ostacolo, ogni vizio: Vir obediens loquetur victoriam, Prov. 21 - 28.

                Mortificazione voluntatum marcescunt vitia universa. S. Cassiano.

                Esempio di G. C. Factus est, etc. - Esempio di S. Girolamo: di un religioso che per 8 anni portò un gran sasso tre miglia due volte al giorno.

                Più vale l'obbedienza che ogni altra opera: Majoris est meriti injuncta refectio, jefunio propria deliberatione suscepto, S. Gerol. La ragione: come una nave dove si cammina anche senza fatica. Così S. Luigi Gonzaga. [989]

 

MERCOLEDI' A SERA. - UBBIDIENZA AI SUPERIORI.

 

                [Obedientia nos certos reddit Dei voluntatem adimplere].

                L'ubbidienza ai Superiori ci accerta di obbedire a Dio. - Qui vos audit, me audit; qui vos spernit, me spernit, Luca 10, 16. Quindi S. Bernardo: Obedientia, quae majoribus praebetur, Deo praebetur. Ipse enim dixit, etc. Risposta di un monaco di 80 anni che fu comandato star due ore in piedi, ecc.

                Non diamoci fastidio se la cosa riesca più o meno bene. I superiori, non gli inferiori, dovranno darne conto a Dio: Obedite praepositis vestris et subjacete eis: ipsi enim pervigilant quasi rationem pro animabus vestris reddituri: ut cum gaudio hoc faciant et non gementes, Lett. agli Ebr. 13 - 17. [Quapropter unusquisque proprio superiori obediat... eique pareat integre, Prompte, hilari animo et demisse].

                Perciò ciascuno obbedisca integre, [cioè in tutto, in ogni parte delle regole, perchè qui dissipat sepem, mordebit eum coluber, Eccl. 10, 81; in tutti i comandi, anche nelle cose piccole, perchè qui spernit modica, ecc.

                Prompte, sive sponte, non coacte come dice S. Paolo, non per timor di pena, o colla speranza di prendo, ma per amor di Dio, Padre infinitamente degno di essere amato e servito.

                Ut cum gaudio hoc faciant, non gementes (San Paolo). Gemono i Superiori quando si vogliono uffizii, quando si rifiutano o si amministrano di mala voglia, o male, ecc.

                Hilari animo et demisse. - Hilarem datorem diligit Deus. Perciò: 1° Riceviamo come da Gesù Cristo qualunque Ufficio. - 2° Non frequentiamo i trascurati. - 3° Riceviamo volentieri gli avvisi e le correzioni, senza scusa. - 4° Evitiamo le eccezioni. - Capitolo delle stuoie di S. Francesco d'Assisi.

 

 

GIOVEDI' MATTINA. - VOTO DI POVERTÀ.

 

                Nec plus habeas quam cum clericus esso cepisti (Hier. ad Nep.). Il possesso fuori di Congregazione. - L'amministrazione totalmente affidata al Superiore. Quest’è il nostro voto: Vita quoqueversu communi ad victum et vestimentum paupertatem consequi curabimus, nec quidpiam pro nobis retinentes. - Dottrina di G. C. Minaccia ai ricchi: È più facile che una grossa fune passi per la cruna di un ago, che un ricco si salvi (Matt., 19 - 24). Qui non renuntiat omnibus quae possidet, non potest meus esse discipulus (Luca, 14 - 33). - Nisi quis reliquerit, etc. - Si vis perfectus esse, vade, vende quae habes, et da pauperibus (Matt., 19 - 21). - Ignominia sacerdotis est propriis studere divitiis (Hier. ad Nep.). - Promette un gran premio ai poveri: Beati Pauperes spiritu, quoniam ipsorum est regnum coelorum (Matt. 5 - 3). [990]

                Non dice in futuro come delle altre beatitudini, ma dice est. - Vos qui secuti estis me, sedebitis, etc. (Matt., 19 - 28). - Esempio del Salvatore: Paupertas non inveniebatur in caelis, in terris abundabat, et nesciebat homo pretium eius. Hanc itaque Dei Filius concupiscens descendit ut eam eligat sibi, et nobis faciat pretiosam. S. Bernardo in O. N. - Il Salvatore nacque, visse, abitò, vestì, si cibò, morì povero.

                Gli Apostoli: Nihil habentes et omnia possidentes. - Omnia... arbitror ut stercora, ut Christum lucrifaciam (Philip.. 3 - 8).

                Deve essere 1° - Possedere quello che aveva G. C. - Propter vos egenus factus est, cum esset dives, ut illius inopia vos divites essetis (II. Cor., 8 - 9). - Qui volunt divites fieri, incidunt in laqueum diaboli (I. Tim., 6 - 9). - Natus in paupera domo et in tugurio rusticano qui vix milio et cibario pane rugientem saturare ventrem poteram, nunc similam et mella fastidio, Hier. ad Nep.

                Habentes autem alimenta et quibus tegamur, his contenti simus (I. Tim., 6 - 8). Guai alle case religiose che cominciano a vivere da ricchi. Esempio di S. Ag.: S. Girolamo.... ecc.

                2° - Povertà di fatto e non di nome. - Gloriantur de nomine paupertatis, et socios paupertatis fugiunt (S. Berli.). - Soci della povertà sono le privazioni; gli stenti, lavoro, ecc.

                3° - Nella cella, negli abiti, nella mensa, nei libri, nei viaggi, ecc. Pauperes esse volunt, eo tamen Pacto ut nihil eis desit, S. Berli., De A dv. Dom.

                4° - Esempio di S. Tommaso da Villanova. - Guardo al Crocifisso; pensieri di chi si fa povero per G. C., al punto di morte.

 

 

GIOVEDI' SERA. - I  PARENTI.

 

                Disse Iddio ad Abramo: Egredere de terra tua, et de cognatione tua, et de domo Patris lui, et veni in terram quam monstrabo tibi (Gen. 12 - 1).

                Melchisedech... sine Patre, sine matre, et sine genealogia (S. Paolo agli Ebrei, 7 - 3). - I ministri di Dio devono allontanarsi dalla patria e dai parenti se vogliono fare del bene.

                Nemo propheta... in patria sua (Luca, 4 - 24)

                Dottrina di G. C. - Si quis venit ad me, et - non odit Patrem suum, et matrem, etc., non potest meus esse discipulus (Luca, 14 - 26).

                Veni enim separare hominem adversus Patrem suum, et filiam adversus matrem suam (Matt., 10 - 35) perchè inimici hominis, domestici eius (Idem, 10 - 36). - Imperciocchè frequenter amici carnales aversantur profectui spirituali; propinqui enim carnis in hoc negotio amici non sunt sed inimici. S. Tommaso. - Mosè, stando per morire, disse quasi lo stesso: Qui dixit patri suo et matri suae: Necio vos; et fratribus suis: Ignoro vos; ... hi custodierunt eloquium tuum, et pactum tuum servaverunt, Deut., 33 - 9. [991]

                Gran premio. - Omnis qui reliquerit, etc. - Parenti poveri da aiutarsi: Sit haeres, sed mater  filiorum, idest gregis sui, ecclesia, quae illos genuit, nutrivit et pavit (S. Gio ) Obsecro itaque te, et repetens iterumque monebo, ne officium clericatus antiquae militiae putes, idest ne lucra saeculi in Christi quaeras militia (S. Girol. ad Nep.). - Difficoltà: - di aver mezzi, di essere in vita, che i parenti siano in vita, siano in bisogno - esempi recenti: D. Boggero[45] - Vendite quae Possidetis et date pauperibus. - Altrove: quod superest, date pauperibus, e non ai parenti.

                Non mischiarsi negli affari, commissioni di parenti od altri secolari: Nemo militans Deo implicat se negotiis saecularibus, S. Paolo 25 Tim., 2 - 4. - Perdita di spirito nelle vacanze, in occasione di feste, predicazione. - S. Antonio abbruciò un pacco di lettere. Privazioni largamente ricompensate: centuplo in questa vita e la gloria eterna nell'altra. Esempio del Salvatore.

 

 

VENERDI' MATTINO. - LA CASTITÀ.

 

                Necessaria in tutti, ma specialmente a chi si dedica al bene della gioventù. - Virtù grande. - Fa ed innalza l'uomo al grado di angeli. Erunt sicut angeli Dei. - Conosciuta nell'Antico Testamento. Daniele. Susanna. Miracolo dell'Ecce Virgo concipiet. Stimata dal Salvatore. Madre Vergine, Padre putativo Vergine, Discepolo prediletto Vergine. - Fatti diversi. - Matrem Virginem Virgini commendavit, S, Girol.. - Fatto dell'Apocalissi. - Castaque Virginitas decoratur coniuge Christo, S. Greg. Nazianzeno.

                Mezzi negativi per conservare questa virtù. - Fuga delle occasioni - Chiudere le finestre: occhi; pepigi foedus cum oculis meis, ut ne cogitarem quidem de virgine, job., 31 - 1. - Oculus meus depraedatus est animam meam, Thren., 3 - 5 1 - orecchie. Chiudere la porta: evitare i discorsi con gente di mondo; con persone di sesso diverso. Tamquam a facie colubri. [Hospitiolum tuum aut raro aut numquam mulieris pedes terant. Omnes puellas et virgines Christi aut aequaliter ignora aut aequaliter dilige. Nec sub eodem tecto mansites; nec in praeterita castitate confidas, Hier. ad Nep. - Si propter officium clericatus, aut vidua visitatur, aut virgo, numquam solus domum introducas, etc. Id.].

                Con fanciulli più avvenenti. Gran cautela nel metter le mani indosso. Niuna parziale amicizia. - Chi si dà a Dio fugga il mondo. Qui familiaritatem non vult vitare suspectam, cito habitur in ruinam. - Evitar giuoco, partite di pranzi; gran rispetto a sè stesso. Apprehende fugam, si vis referre victoriam. - Non mai confidare nella buona vita passata. [992] Terribili esempi di Davidde e di Salomone. Habemus... thesaurum ...in vasis fictilibus, 2 ad Cor. 4 - 7.

 

 

VENERDI' A SERA. - MEZZI POSITIVI.

 

                1° Preghiere ordinarie, meditazione, visita al SS. Sacramento, Breviario e Messa ben celebrata o ben servita. - Giaculatorie, medaglie, crocifissi, ecc. - Divozione speciale alla B. V. - Sileat misericordia tua, Virgo Beata, si quis est, qui te invocatam in necessita tibus meminerit defuisse. S. Bern. Serm. 4., De Assumptione. - Promuovere la sua divozione fra i giovani; esempi, libretti, ecc. - Sue feste, Novene, Sabati, canto delle sue lodi.

                2° Fuga dell'ozio. [ Vult et non vult piger. - Desideria occidunt pigrum, Prov. 13 - 4 et 21 - 25. In desideriis est omnis otiosus. Hier., ad Rusticum. ] - Omnem malitiam docet otiositas. - Al che S. Girolamo aggiunse: Facito aliquid operis, ut te diabolus semper occupatum inveniat. Ad Rusticum. - Nunquam de manu et oculis recedat liber. Idem. - Divinas Scripturas saepius lege, immo nunquam de manibus tuis sacra lectio deponatur. Ad Nep. - Occupazioni diverse. - V. S. Girol., ad Rusticum, pag. 260, 1 - 2.

                3° Confessione frequente. - Confessare cose spinose, anche dubbie. - Nec ipse te doceas et absque doctore ingrediaris viam, quam nunquam ingressus es. Ad Rusticum. - Necessità di una guida. - Frequente comunione: cibo dei forti, cibo di vita. Qui manducat hunc panem, vivet in aeternum, Ioan., 6 - 59. - Communione spirituale; inculcarla ad altri.

                4° Vegliare intorno alle cose piccole: si vis magnus esse, a minimo incipe. S. Ag.; - Principiis obsta, etc. - Posizione della persona, degli abiti, del camminare, sedere, riposare, scherzi, etc. Conclusione.

 

 

CONCLUSIONE.

 

                Messis... multa... Rogate Dominum... ut mittat operarios in vineam suam, Luca, 10 - 2. - Lavoriamo con fede praticando quello che diciamo agli altri. Gelosa custodia ed osservanza delle regole, e specialmente dei voti. Siano ognora i tre custodi delle virtù e dai pericoli dell'anima nostra.

                Con ferma speranza. Qui confidit in illo, non minorabitur. Eccli., 32 - 28. - Gran mercede ci attende in vita, in morte, nell'eternità.

                Con carità. Qui manet in caritate, in Deo manet. Ioan., 4 - 16. Se Dio è con noi, possiamo tutto: Omnia possum in eo, qui me confortat, S. Paol., ai Filip., 4 - 13

                Carità verso Dio: solo degno di essere amato e servito. - Vero rimuneratore di ogni più piccola cosa che facciamo per lui. [993] Carità verso ai superiori: verso ai confratelli: verso ai giovanetti che dimandano pane spirituale. Parvuli petierunt panem, etc. Thr., 4 - 4. - Aperuit (infernus) os suum absque ullo termino; et descendent fortes eius... et Populus eius ad eum, Is., 5 - 14

                Consolazioni al punto della morte: accoglienze che ci faranno le anime da noi salvate in cielo. - Coraggio.

 

 

ALTRA INTRODUZIONE[46]

 

                Importanza dell'approvazione della nostra Congregazione perchè ci assicura dell'opera del Signore. - Assicura lo stato spirituale e temporale de' suoi membri. - È invariabile il Ministero.

                Ma è necessaria la vocazione. Satagite ut per bona opera certam vestram vocationem et electionem faciatis, 2 Petr. 1 - 10, perchè senza vocazione non sine magnis difficultatibus poterit suae saluti consulere, dice Abert.

                Non può salvarsi nel mondo? - Sì, ma con grande difficoltà. Guastata la ruota maggiore dell'orologio, tutto è guasto (Granata). - Bene currit sed extra viam. S. Ag. - Vae qui contradicit fictori suo, Isaia 45 - 9. - Esempio di un giovane del Collegio Romano. V. Lancizio e Liguori.

                Come accertarsi? Quando si conosce:

                1° Averne propensione.

                2° Se uno conosce trovarsi più fuori dai pericoli.

                3° Segni particolari. - Letture come S. Agostino - predica come S. Antonio - morte come S. Francesco Borgia.

                4° Afflizioni, disgrazie, miserie - avidità de' parenti ed amici - Quando uno è disprezzato dal mondo, come narra il P. Piatti di un giovane che cadde da cavallo e, burlato, si risolse di abbandonare il mondo.

                Alla nostra Congregazione è più facile la chiamata', perchè non propone altro che la volontà di voler vivere da buon cristiano per i laici, e da buoni ecclesiastici se preti.

 

 

CUSTODIRE LA PROPRIA VOCAZIONE.

 

                S. Alfonso propone tre mezzi: Segretezza, Orazione, Raccoglimento. Segretezza con tutti; il mondo non capisce: Animalis homo - non percipit ea quae sunt spiritus Dei, I. Cor. 2 - 14; - ai medesimi parenti.

                Fatti evangelici.

                Scriba ait illi: Magister, sequar te, quocunique ieris. Dicit ei Jesus Vulpes foveas etc., Matt. 8, 19 e 20. [994]

                Alius autem de discipulis eius ait illi: Domine, permitte me primum ire, et sepelire Patrem meum. Jesus... ait: Sequere me et dimitte mortuos sepelire mortuos. Idem. 8, 21 e - 22. Tu... vade et annuntia regnum Dei, Luca, 9, 60. - Et ait alter: Sequar te, Domine, sed permitte mihi primum renuntiare his quae domi sunt. Ait ad illum Jesus: Nemo mittens manum suam ad aratrum, etc. Id. - 9, 61 e 62.

 

 

ALTRA INTRODUZIONE.

 

                Il buon mercante ogni anno fissa un tempo per fare l'inventario delle sue sostanze. Noi dobbiamo fare lo stesso nelle cose dell'anima. Questo inventario dobbiamo farlo bene perchè:

                1° È giusto che dopo aver dato un anno alle cose temporali, diamo alcuni giorni alle spirituali.

                2° Dio suole concedere grazie straordinarie nel ritiro. Mosè vede Iddio; Decalogo; colonna di fuoco, nube, acqua, manna, ecc. Il Salvatore agli Apostoli: Venite seorsum in desertum locum, etc. Marco, 6 - 31

                Monte Tabor; Monte Oliveto, donde salì al cielo; il Cenacolo.

                3° Abbiamo tutti bisogno di questo inventario: peccatori, tiepidi, giusti: esaminare la nostra vocazione, conoscere i nostri doveri ecc.

                4° Le grazie grandi Dio le concede con parsimonia: transibat benefaciendo.

                Mandò una sola volta lo Spirito Santo nel Cenacolo; può darsi che questi siano gli ultimi esercizii. Esempi di chi non potè farli. Giachetti[47]. - Quanti nel mondo mancano di opportunità. - Adoperiamoci di farli bene coll'osservanza esatta di quanto si fa ed è prescritto in questi giorni. - Preghiera: divozione a Maria - a S. Francesco di Sales. - Esaminare seriamente le cose nostre nei tre rapporti: Con Dio, col mondo, con noi stessi.

                Fortunati compagni Mellica e D. Croserio. Fortunati noi se li imiteremo[48].

 

 

II.

 

In un piccolo foglio.

 

INTRODUZIONE ESERCIZI.

 

                Scopo de' militari che fanno gli esercizi colle armi. Così noi.

                Fare come il giardiniere che trova sempre qualche cosa da fare intorno alle sue piante ed erbaggi - Pianta che da tre anni non faceva frutti.

                Quali frutti dalla povertà, dalla castità, dell'ubbidienza?

                Persuasione di averne bisogno per noi. Preghiere. Pratica dell'orario. [995]

 

III.

 

In un foglio di 4 pagine, eguali al manoscritto n° I.

 

RENDICONTI DI COSCIENZA.

 

                Amicus fidelis medicamentum vitae: si... videris sensatum evigila ad eum, et gradus ostiorum illius exterat pes tuus (Eccli. 6, 16 e 36).

                Questo amico, questo tesoro noi l'abbiamo nel Superiore, cui secondo le nostre regole dobbiamo avere illimitata confidenza in tutte le cose, anche di coscienza.

                1° Non è cosa nuova, ma di tutte le Istituzioni. Esempio di Pitagora; - del Salvatore che diceva ai suoi apostoli: Habete fiduciam, Matt. 14 - 27. - Gli antichi Padri la chiamano prima lettera dell'alfabeto per la perfezione, Cass. lib. 4.

                Domenicani, Francescani, Gesuiti; S. Ignazio: Re in Domino considerata, visum est nobis in Divinae Maiestatis conspectu, mirum in modum conferre, ut superioribus subditi omnino Perspecti sint. (Constit., Capo 4).

                2° Utile all'anima per emendarsi. Qui abscondit scelera sua, non dirigetur. Prov. 28 - 13. - Quod ignorat, medicina non sanat, S. Gerolamo. Il Superiore, medico che applica rimedii opportuni al male, pel che ha bisogno di fiducia. Il demonio teme questa confidenza e gusta i segreti - perchè si resta soli: Vae soli: quia cum ceciderit non habet sublevantem se. Ecel. 4, 10. - Esempio del gran S. Macario che incontrò il demonio, ecc. Si denudaveris absconsa illius, - non persequeris post eum, Eccli. 27 - 19. Onde Cassiano: Tandiu suggestiones ejus (diaboli) noxiae dominantur in nobis, quamdiu celantur in corde.

                3° Utile per la sanità. - Si conoscono e si rimediano gli incomodi - Si può affidargli cose non superiori alle sue forze.

                4° Utile ai Superiori che possono servirsi del suddito, per quel che vale, e non cimentarlo, ed anche secondare le sue propensioni, affidargli cariche, unicuique secundum propriam virtutem.

                5° Pel bene della Congregazione nostra. Specialmente noi che abbiamo poca vita contemplativa. - Insegnare, predicare, catechizzare, assistere, fare scuola, nelle carceri, negli ospedali, nelle case di educazione. - Consolazione di chi espone il suo interno e poi ubbidisce. - Dio l'aiuterà, e super aspidem et basiliscum ambulabit, etc. Sal. 90 13.

                Come deve farsi:

                1° Come un ammalato scopre i suoi mali al medico. Esempio dei dieci leprosi: - Jesu praeceptor, miserere nostri. Et factum est, dum irent, mundati sunt (Luca XVII, 13 e 14). [Storiella di S. Serapione a' suoi monaci, di una pagnottella ). [996]

                2° Inganni del demonio: Sono cose piccole. So che mi dirà il Superiore. Esso verrà disturbato, perderà tempo, ecc.

 

 

CONFESSIONE.

 

                La Congregazione prescrive la confessione ebdomadaria. Differenza tra rendiconto di coscienza e confessione. - È Sacramento istituito da N. S. Gesù Cristo. - Quorum remiseritis, etc. - Veniebant ad pedes apost., etc. - Scelta del Confessore. - Stabilità al medesimo. Esempio del medico.....

                Esame pratico: doveri, ubbidienza, castità, povertà. - Se si praticano gli avvisi dati nella Confessione precedente. - Raccomandarlo e praticarlo.

 

 

CRISTIANA EDUCAZIONE.

 

                La carità in pratica forma la vera educazione e buona creanza.

                Charitas benigna est, etc. Praticarla ed insegnarla:

                1° A mensa. - Non cercare primi posti, non sedersi, non mettersi a mangiare prima del padrone. - Non usare la tovaglia a pulirsi il naso, gli occhi, il sudore; - il cucchiaio come la penna; forcellino come il temperino; - non prendere minestra o pietanza colle dita; non sorbire nel piatto o nella scodella; - molta discretezza nel prendere pietanze; - sobrietà nel bere; - non mai biasimare le persone, o le cose che si apprestano; - non mai parlare di cose affliggenti o di cose che possono cagionare schifo. Charitas Christi urget nos (2ª Cor. 5 - 14).

                Non guastare alcun commestibile, non si spezzi pane senza bisogno - non mettere le mani nei capelli, - non leccar le dita, - dar sempre ad altri preferenza di servirsi.

                2° In ricreazione. - Si lasci sempre la parola al Superiore od al padrone di casa; - Non mai interrompere chi parla; - degli altri parlar bene o tacere. - Charitas... non cogitat malum (1ª Cor. 13 - 5).

                Non pulirsi il naso, gli occhi, le orecchie, colle unghie - non fermarsi a rimirare i mocci del fazzoletto. - Evitare mormorazioni, biasimo, e critica sulle azioni, discorsi altrui, o sopra gli apprestamenti di tavola. - Non grattarsi. - Non mai facezie offensive. Chi può, introduca discorsi ameni, racconti, storielle; ma per via ordinaria si ascolti altri a parlare. - Prestare volentieri servizio. Consolare gli afflitti. - In caso che taluno mormori o introduca cattivi discorsi, si tenga severo silenzio, si cangi discorso o si vada via.

                3° In generale: Sempre salutare le persone maggiori di noi. - Offerire loro comodità di sedersi. - Non mai imbrattare, o guastare pavimenti, tavole, sedie, muri, calamaio, scrittoio od altro che appartenga altrui. - In casa d'altri, in presenza di persona superiore [997] star sempre col capo scoperto. [A persone di condizione non mai dire sì o no, ma sissignore, nossignore]. - Indirizzare il discorso a tutti. - Non mai dire o fare cosa offensiva al tuo simile, specialmente in conversazione.

                Ad ogni servizio, ad ogni benefizio, ringraziamento. - Non dimenticare i benefizii ricevuti e conservare gratitudine per i benefattori. - Pratichiamo noi e insinuamolo in altri. - Gratitudine a Dio ed agli uomini.

 

 

IV.

 

In un altro foglio volante, di 4 paginette.

 

ORAZIONE.

 

                Il demonio si adopera sempre per impedire la preghiera. - Dobbiamo, adunque combatterlo, pregando sempre per evitarne le insidie.

                Necessità: Sine intermissione orale (1ª ai Tessal. 5, 17). - Petite et accipietis (Ioan. 16 - 24). - Qui petit accipit... et pulsanti aperietur (Matt. 7 - 8). - I Padri la chiamano catena di oro con cui ci alziamo al cielo; scala di Giacobbe; S. Agostino la chiama pane dell'anima, chiave del cielo, come calore al corpo. S. Tommaso di Villanova: arma del soldato in battaglia.

                Orazione vocale - Orazioni della nostra Società. - Preghiere del mattino e della sera. - Rosario. - Angelus. - Prima e dopo il cibo. - Messa e Breviario per chi vi è tenuto. - Visita al SS. Sacramento. - Benedizione ne' giorni feriali e festivi - Prima e dopo la Comunione.

                Meditazione. - Più breve o più lunga farla sempre. Col libro se si può. Sia per noi uno specchio, dice S. Nilo, per conoscere i nostri vizii, e la mancanza delle virtù. Ma non si ometta mai. - L'uomo che non ha orazione è un uomo di perdizione (Santa Teresa). In meditatione mea exardescet ignis (Salmo 38 - 4). - All'anima è come il calore al corpo.

                Orazione vocale senza che intervenga la mentale, è come un corpo senz'anima - Lamento del Signore: Populus hic labiis me honorat: cor autem eorum longe est a me (Marco, 7 - 6).

                Giaculatorie. - Raccolgono in breve l'orazione vocale e mentale. S. Bonaventura le dice aspirazioni, perchè, come un respiro, partono dal cuore e vanno a Dio. Sono dardi infuocati che mandano a Dio gli affetti del cuore e feriscono i nemici dell'anima, le tentazioni, i vizii, etc. S. Cassiano raccomanda questa: Deus, in adiutorium meum, etc.

                Tutti quelli che si diedero al servizio del Signore fecero costantemente uso dell'orazione mentale, vocale, giaculatorie. [998]

 

MORTIFICAZIONE.

 

                Il nostro corpo è l'oppressore dell'anima: Corpus enim, quod corrumpitur, aggravat animam (Sap. 9 - 15). - Similitudine di un cavallo o di un giumento che porti male. - Bisogna domarlo colla mortificazione.

                Caduta di Adamo e sconcerto che cagionò e cagiona nell'uomo. Haec est enim poena inobedienti homini in semetipso, ut ei vicissim non obediatur neque a semetipso (S. Ag.). Quindi ne segue che homo cum in honore esset, etc. (Sal. 48, 13). - Per domare questo nemico comincia a dire: Qui vult venire post me abneget semetipsum, ... et sequatur (Matt., 16 - 24). - Fino a quando? Usque ad mortem, con minaccia che qui non vult pati cum Christo, non potest gaudere cum Christo (S. Paolo).

                Esempi. - S. Gio. Battista nel deserto. Il Salvatore suda sangue; dice: Nisi poenitentiam, etc. Gli Apostoli: Ibant, etc. S. Paolo: Lavorava guadagnando vitto a sè e a' suoi. Castigo corpus meum. Tronca la testa. - S. Pietro crocifisso. - S. Gregorio Taumaturgo, S. Paolo sul monte S. Antonio nella Tebaide. - S. Ambrogio. - E noi?

                Mortificazione dei sensi. - Negli occhi, nel guardare, leggere, camera, letto, disturbi, abiti, libri, ed altre cose particolari.

                Contentarsi dei commestibili - vino, pane, pietanze, frutta, caffè; saper tollerare ed invitare a tollerare. Niente fuori dell'ordinario; niun comodino in camera, nè bibite. Sopportare gli altri; perdonare di cuore; puntualità ne' propri uffizi.

                Maestri, assistenti co' loro dipendenti; non mai le mani indosso, non mai introdurli in camera, non mai amicizie particolari.

                Digiuno del venerdì. - Come deve farsi. - Tollerare caldo, freddo, incomodi di salute, deficenza di qualche cosa. Viaggi senza necessità.

                Con queste piccole mortificazioni si avrà il fervore nella preghiera, si vinceranno le insidie del corpo, la virtù trionferà, la Congregazione diverrà un Paradiso terrestre.

 

 

CORREZIONE FRATERNA.

 

                Parte pratica della mortificazione, fondamentato della carità è la correzione fraterna: Quem enim diligit Dominus, corripit; et quasi pater in filio complacet sibi (Prov. 3 - 12). - La correzione fraterna è un gran benefizio.

                Melior est manifesta correptio quam amor absconditus, (Prov. 27 - 5). Il Superiore non è un giudice, ma è un padre che avvisa. Esempio di S. Francesco Borgia. - Di chi ci avvisa di un abito al rovescio. [999] Noi non vediamo i nostri difetti. Nemo judex in propria causa, dicono i filosofi. - Dovrebbesi pagare un nemico perchè ci avvisi, dice Plutarco, perchè gli amici sogliono adulare. - il Superiore dice schietto i difetti, da amico, in segreto, non per punirci, ma solo per nostro bene, onde: Melius est a sapiente corripi, quam, stuttorum adulatione decipi (Eccl. 7 - 6).

                Difetto primo: Superbia. - Veritas odium parit (S. Agostino - Qui odit increpationes, insipiens est, Prov. 12 - 1. È simile al demonio: Qui odit correptionem, vestigium est peccatoris (Eccli. 21 - 7)

                Esempio dì chi salta in furia. Chi lo vorrà ancora avvisare? Umiltà. - Non iscusarci, ma arrenderci. Per es.: Jetro a Mosè. S. Ambrogio a Teodosio.

                Come fare il rendiconto mensile. - Non mai ometterlo, non mostrarsi offeso. - Come a chi si cura una piaga, si cava una spina, ecc.[49].

 

 

APPENDICE “B”

(Vedi pag. 784)

 

24 maggio - 24 giugno 1873.

 

                Era una notte oscura, gli uomini non potevano più discernere quale fosse la via a tenersi per far ritorno ai loro paesi, quando apparve in cielo una splendentissima luce che rischiarava i passi dei viaggiatori come nel mezzodì. In quel momento fu veduta una moltitudine di uomini, di donne, di vecchi, di fanciulli, di monaci, monache e sacerdoti, con alla testa il Pontefice, uscire dal Vaticano schierandosi in forma di processione.

                Ma ecco un furioso temporale; oscurando alquanto quella luce sembrava ingaggiarsi battaglia tra la luce e le tenebre. Intanto si giunse ad una piccola piazza coperta di morti e di feriti, di cui parecchi dimandavano ad alta voce conforto.

                Le fila della processione si diradarono assai. Dopo aver camminato per uno spazio che corrisponde a dugento levate del sole, ognuno si accorse che non erano più in Roma. Lo sgomento invase l'animo [1000] di tutti, ed ognuno si raccolse intorno al Pontefice per tutelarne la persona ed assisterlo nei suoi bisogni.

                In quel momento furono veduti due angeli che portando uno stendardo l'andarono a presentare al Pontefice dicendo: - Ricevi il vessillo di Colei che combatte e disperde i più forti eserciti della terra. I tuoi nemici sono scomparsi, i tuoi figli colle lagrime e coi sospiri invocano il tuo ritorno.

                Portando poi lo sguardo nello stendardo vedevasi scritto da una parte: Regina sine labe Concepta; e dall'altra: Auxilium Christianorum.

                Il Pontefice prese con gioia lo stendardo, ma rimirando il piccolo numero di quelli che erano rimasti intorno a sè divenne afflittissimo.

                I due angeli soggiunsero: - Va tosto a consolare i tuoi figli. Scrivi ai tuoi fratelli dispersi nelle varie parti del mondo, che è necessaria una riforma ne' costumi degli uomini. Ciò non si può ottenere, se non spezzando ai popoli il pane della Divina Parola. Catechizzate i fanciulli, predicate il distacco dalle cose della terra. È venuto il tempo, conchiusero i due angeli, che i poveri saranno evangelizzatori dei popoli. I leviti saranno cercati tra la zappa, la vanga ed il martello, affinchè si compiano le parole di Davidde: Dio ha sollevato il povero dalla terra Per collocarlo sul trono dei principi del suo Popolo.

                Ciò udito il Pontefice si mosse, e le fila della processione cominciarono ingrossarsi. Quando poi pose piede nella Santa Città si mise a piangere per la desolazione in cui erano i cittadini, di cui molti non erano più. Rientrato poi in S. Pietro intonò il Te Deum, cui rispose un coro di Angeli cantando: - Gloria in Excelsis Deo, et in terra pax hominibus bonae voluntatis.

                Terminato il canto, cessò affatto ogni oscurità, e si manifestò un fulgidissimo sole.

                Le città, i paesi, le campagne erano assai diminuite di popolazione; la terra era pesta come da un uragano, da un acquazzone e dalla grandine, e le genti andavano una verso dell'altra con animo commosso dicendo: Est Deus in Israel.

                Dal cominciamento dell'esiglio fino al canto del Te Deum, il sole si levò dugento volte. Tutto il tempo che passò nel compiersi quelle cose corrisponde a quattrocento levate del sole.



[1] Per questo istinto dell'umana natura vari avevano chiesto a  D. Bosco un giudizio sopra certe predizioni in voga, e tra questi il Conte Crotti Imperiale di Costigliole, e Don Bosco gli aveva risposto:

 

                Car.mo Signore.

 

Ecco a V. S. carissima la famosa profezia della Monaca di Taggia nel suo originale. Le cose ivi notate si vanno di giorno in giorno compiendo; che se tutte si adempiranno avremo un tristo avvenire.

Ella mi prodiga espressioni che la mia povera persona punto non merita, ma che dimostrano in lei un cuore pieno di bontà che sa trovar cose buone ove non ce ne sarebbero. La prego di salutare da parte mia papà e mamàn, la dam. Noemi ed il sig. D. Scaglia; e mentre raccomando me ed i miei poveri giovani alla carità delle loro preghiere, lui dico di lei con gratitudine e stima particolare, siccome di tutto cuore mi professo nel Signore,

Di V. S. Car.ma,

Torino, 12 giugno 1859.

 

Obb.mo Servitore e

Sac. GIOVANNI BOSCO

NB. - Le raccomando la diffusione delle Cattoliche

[2] Così all'originale

[3] Di questo operaio che per 40 e più anni fu tipografo esterno nell'Oratorio Don Bosco scriveva un elogio che mai fu smentito.

 

All'Onorevole Signor

Signor Battù Prospero, notaio imp. al Consiglio di Stato

Via Alfieri 13, Torino.

 

                Onorevole Signore,

 

Il giovane Giardino lavora in questa tipografia come direttore compositori; ha buono stipendio, la sua condotta fu sempre buona, è laborioso assai e sa spendere il suo danaro.

Egli ha anche qualche cosa che si guadagnò sopra i suoi risparmi.

Contento di poterla in qualche cosa servire me ne auguro novella occasione, intanto le auguro ogni bene dal cielo e mi professo,

Di V. S. Onorevole,

Torino, 17 febbraio, 63,

Devotissimo servitore

G. Bosco.

[4] La famiglia Gonella era sempre stata insigne benefattrice di D. Bosco e così l'aveva raccomandato ad un suo amico la prima volta che erasi recato a Roma.

 

All'Illustrissimo Signore

al Signor Vincenzo Cavassi minutante alla Segreteria dei Brevi Pontifici

Roma, Palazzo Cleteo, presso S. Nicola de' Prefetti, N. 46.

 

Torino, 17 febbraio, 58.

 

                Illustrissimo e carissimo Signore,

 

Domattina il Sac. D. Bosco latore della presente parte per Roma; come persona che conosco e stimo la raccomando alla S. V. Car.ma tanto più poi che è un zelante sacerdote, il quale è occupato a far del bene, e quasi prodigiosamente, avendo raccolto una quantità di ragazzi discoli che istruisce, oltre ad una sessantina che mantiene in una specie di collegio. Egli si può dire si è dedicato all'istruzione di fanciulli della classe operaia e con molto utile civile e religioso della nostra città di Torino. Egli va a Roma anche per oggetto di studio di cose di antichità che ha piacere di conoscere (ed è appoggiato a casa De Maistre) forse per completare alcune sue opere storiche di cui ha già pubblicato una parte; lo troverà umilissimo ma è istruitissimo, cosicchè quanto le ho detto deve anche animare la S. V. a fare la conoscenza di questa persona stimabilissima e sono persuaso, che anche abbia a darle qualche disturbo, sarà contento di farne la conoscenza. Io poi conoscendo la sua gentilezza non ho da aggiungere altro.

Mi creda con distintissima stima ed affetto

Devotissimo Servitore

G. B. GONELLA

[5] Questo periodo, messo da noi fra parentesi, nel manoscritto è annullato con un tratto di matita

[6] Ved. PELCZAR, Pio IX e il sito Pontificato - l'Unità Cattolica degli anni 1864 - 65 - 66 - 67 - 68, ecc

1 PIUS PP. IX. Universis Christi fidelibus praesentes litteras inspecturis salutem et Apostolicam Benedictionem.

Ad augendam fidelium religionem et animarum salutem, coelestibus Ecclesiae thesauris pro charitate intenti, omnibus utriusque sexus Christi fidelibus vere poenitentibus et confessis ac Sacra Communione refectis, qui Ecclesiam B. M. V. I. dicatam sub titulo Auxilium Christianorum Civitatis Taurin, die quo dieta Ecclesia rite consecratur, vel in uno ex septem diebus continuis immediate subsequentibus, uniuscuiusque Christi fidelis arbitrio sibi eligendo, devote visitaverint et ibi pro Christianorum principum concordia, haeresum extirpatione ac S. Matris Ecclesiae exaltatione pias ad Deum preces effuderint, quo die prefatorum id egerint, pienariam omnium peccatorum suorum indulgentiam et remissionem, quam etiam animabus Christi fidelium, quae Deo in charitate conjunctae ab hac luce migraverint, per modum suffragii applicari possint, misericorditer in Domino concedimus. Praesentibus pro hac vice tantum valituris.

Datum Romae, apud S. Petrum, sub annulo Piscatoris, die XXII Maii MDCCCLXVIII, Pontificatus nostri anno vigesimo secundo.

[7] PIUS PP. IX. Universis Christi fidelibus praesentes litteras inspecturis salutem et Apostolicam Benedictionem.

Ad augendam fidelium Religionem et animarum salutem, coelestibus thesauris pia charitate intenti, omnibus utriusque sexus fidelibus vere poenitentibus et confessis ac sacra Communione refectis, qui Ecclesiam B. M. V. I. dicatam sub titulo Auxilium Christianorum Civitatis Taurin die festo Titulari eiusdem Ecclesiae, vel in uno ex novem diebus praecedentibus, uniuscuiusque Christi fidelis arbitrio sibi eligendo, devote visitaverint, et ibi pro Christianorum Principum concordia, haeresum extirpatione ac Sanctae Matris Ecclesiae exaltatione pias ad Deum preces effuderint, quo die prefatorum id egerint, pienariam omnium suorum peccatorum indulgentiam et remissionem, quam etiam animabus Christi fidelium quae in Dei charitate coniuncti ab hac luce migraverint per modum suffragii applicare possint, misericorditer in Domino concedimus. Praesentibus tantum ad septennium valituris.

 

Datum Romae apud S. Petrum, sub annulo Piscatoris, die XXII Maii MDCCCLXVIII, Pontificatus nostri anno vigesimo secundo.

 

Pro D.no Card. PARRACCIANI CLARELLI

I. B. BRANCALEONI Cancell. Subst.

Il Vic. Gen. Mons. Zappata ne permetteva la pubblicazione l'8 giugno.

[8] Ved. pag. 44

[9] PIUS PP. IX. Ad futuram rei memoriam. Omnium saluti paterna charitate intenti, sacra interdum loca spiritualibus Indulgentiarum muneribus decoramus, ut inde fidelium defunctorum animae Domini nostri Jesu Christi eiusque sanctorum suffragia meritorum consequi, et illis adiutae ex Purgatorii poenis ad aeternam salutem per Dei misericordiam perduci valeant. Volentes igitur Ecclesiam B. M. V. Immaculatae dicatam sub titulo Auxilium Christianorum Civitatis Taurinensis, et in ea situm altare in quo Sanctissimum Eucharestia Sacramentum diu noctuque asservatur, dummodo nullum aliud inibi privilegiatum altare reperiatur concessum, hoc speciali dono illustrare, de Omnipotentis Dei misericordia ac BB. Petri et Pauli App. eius auctoritate confisi, ut quandocumque Sacerdos aliquis saecularis vel cuiusvis Ordinis, Congregationis et Instituti Regularis Missam pro anima cuiuscumque Christifidelis, quae Deo in charitate coniuncta ab hac luce migraverit, ad praedictum altare celebrabit, anima ipsa de Thesauro Ecclesiae, per modum suffragii, Indulgentiam consequatur, ita ut eiusdem D. N. Jesu Christi ac Beatissimae Virginis Mariae Immaculatae, Sanctorumque omnium meritis sibi suffragantibus, a Purgatorii poenis, si ita Deo placuerit, liberetur, concedimus et indulgemus. In contrarium facientibus non obstantibus quibuscumque. Praesentibus ad septennium tantum valituris.

 

Datum Romae, apud S. Petrum, sub annulo Piscatoris, die XXV Maii MDCCCLXVIII, Pontificatus Nostri anno vigesimo secundo.

 

Pro D.no Card. PARACCIANI CLARFLLI

I. B. BRANCALEONI, Subsi.

V. publicari permittimus.

Taurini, die 8 lunii 1868.

Ioseph Zappala, Vic. Gen.

[10] Rimembranza di una solennità in onore di Maria Ausiliatrice pel Sac. Giovanni Bosco - Torino, 1868, pagg. 93 - 94

[11] Vedi anche la Ma di Savio Domenico, scritta da D. Bosco, Capo XVII, in nota

[12] PIUS PP. X. - Dilecte Fili, Salutem et Ap. Bened. Eadem ferme laetitia, quae te, tuique zeli imitatores perfudit, Nos etiam affecti sumus agnoscentes ex litteris tuis perductum fuisse ad exitum in isthac urbe praellobili, Deoque dicatum novum templum, quod nomine Beatissimae Virginis Auxilii Christianorum nuncupatur. Nam quamvis iucundo rei praesentis adspectu frui nequivimus, tua tamen industria assequuti sumus, ut oculis pene subiectam extimam templi faciem haberemus in numismatibus, quae misisti, affabre caelatam, et ipsam Deiparae imaginem intueremur. Huius autem sacrae Iconis adspectus ad augendam fiduciam nostram valebit plurinium: non enim sine divino consilio credimus obtigisse, ut, bello acriter instaurato ab impiis contra catholicum nomen, Patrona Caelestis sub appellatione Auxilii Christianorum novis augeretur honoribus. Sane Nos, Ipsa auspice et adiutrice, superno communiri praesidio, ab impendentibus eripi malis, et ab inimicis nostris incolumes evadere confidimus. Interim gratum ac benevolum animum Nostrum ultro testantes tibi piisque presbyteris, qui tecum operam conferunt, nec non iuvenibus tuae institutioni commissis, Apostolicam benedictionem pracipuae dilectionis indicium peramanter impertimur.

Datum Romae apud S. Petrum, die 23 septembris 1868, Pontificatus Nostris Anno Vigesimo tertio.

PIUS PP. IX.

[13] Notitia brevis Societatis Sancti Francisci Salesii et nonnulla decreta adearndeni spectantia. - Un fascicolo di 16 pagine, stampato nell'Oratorio di S. Francesco di Sales

[14] L’Unità Cattolica, il 7 ottobre, pubblicava queste linee sul Collegio Convitto di Mirabello: - Fra le case di educazione che di buon grado raccomandiamo ai genitori cattolici, ci è grato di annoverare il Collegio Convitto che porta il titolo: Piccolo Seminario di S. Carlo in Mirabello Presso Casale. L'amenità del sito, lo zelo dei Superiori, l'assistenza dello zelante Vescovo della Diocesi e il buon risultato ottenuto da molti anni fra gli allievi sono garanzia che nulla manca di quanto può contribuire al profitto scientifico, morale e sanitario degli allievi. L'insegnamento è tutto in analogia coi programmi governativi, e si estende alle quattro classi elementari ed alle cinque ginnasiali. Vi sono due pensioni: una a 24, l'altra a 35 franchi mensili. Le dimande si fanno a S. E. il Vescovo di Casale, oppure al Direttore del Collegio sopra nominato. Si va a questo paese per la ferrovia Alessandria - Vercelli, facendo stazione a Giarole. Quivi havvi omnibus, che in meno d'un quarto d'ora trasporta regolarmente viaggiatori ed equipaggi a destinazione

[15] A pag. 253

[16] Del documento esiste copia anche nei nostri Archivi.

[17] La lettera è del 1867 Ci pervenne - con altre - dopo la pubblicazione dell'8° volume

[18] Hom. in natali S. Benedicti

[19] Pelzcar: Pio IX e il suo Pontificato. Voi. II. Capo XXI

[20] Avevamo per grazia singolarissima il permesso di conservare il SS. Sacramento nella nostra cappella a Villa Ludovisi

[21] Il maggiore che noti aveva ancora compiuto li 11 anni

[22] Principe M. A. Borghese

[23] Ed è riuscito e riesce ancora felice

[24] Francesco II di Napoli, col quale avevamo molla relazione

[25] Era, già allora attempata, Dama presso la Regina Maria Sofia, moglie del Re

[26] D. Cesare Calandrelli, precettore dei nostri figli

[27] Domestico

[28] DECRETUM. - Salus animarum, quarum curam a Principe Pastorum accepit SS. D.nus N. Pius PP. IX, continuo Eum vigilem reddit, ut nihil inexpertum relinquat, quo sacrosanta Catholica Fides, sine qua impossibile est placere Deo, ubique terrarum vigeat semper, atque augeatur. Quocirca singulari sua Apostolica benevolentia eos potissimum ecclesiasticos viros prosequitur, qui in Societatem adunati, iuventutis curam suscipiunt, eam spiritu intelligentiae ac pietatis imbuunt, omnique studio et contentione, uberes in vinea Domini fructus virtutis et honestatis afferre conantur. Quum Sanctitas Sua inter huiusmodi Societates accenseri noverit Piam Ecclesiasticorum Virorum Congregationem, quae a S. Francisco Salesio nuncupata, anno 1841, a sacerdote Ioanne Bosco, Augustae Taurinorum erecta fuit, illam sub die prima Iulii 1864 Apostolicae Laudis decreto condecoravit. Ast memoratus Fundator nuperrime Urbem petiit, atque penes Sanctam Sedem enixe postulavit, ut praefatam Congregationem eiusque Constitutiones approbare dignaretur. Summus vero Pontifex in audientia habita ab infrascripto D. Secretario huius Sacrae Congregationis Episcoporum et Regularium, sub die 19 Februarii 1869, attentis Litteris Commendatiis plurimorum Antistitum, enunciatam Piam Congregationem, uti Societatem votorum simplicium, sub regimine Moderatoris Generalis, salva Ordinariorum iurisdictione, ad formam sacrorum Canonum et Apostolicarum Constitutionum, approbavit, et confirmavit, uti praesentis Decreti tenore approbat, atque confirmat, dilata ad opportunius tempus approbatione Constitutionum, quae emendandae erunt iuxta animadversiones ex mandato Sanctitatis Suae iam alias communicatas, excepta quarta, quae modificanda erit prout sequitur; nempe Sanctitas Sua, supplicationibus sacerdotis Ioannis Bosco benigne annuens, eidem, tamquam enunciatae Piae Congregationis Moderatori Generali, facultatem tribuit, ad decennium proximum tantum duraturam, alumnis, qui in eiusdem Congregationis aliquo collegio, vel convictu, ante aetatem annorum quatuordecim excepti fuerunt, vel in posterum exipientur, ac nomen praefatae Piae Congregationi suo tempore dederunt vel in posterum dabunt, relaxandi Litteras Dimissoriales ad Tonsuram et Ordines tam Minores, quam Maiores recipiendos; ita tamen ut, si a Pia Congregatione quavis de causa dimittantur, suspensi maneant ab exercitio susceptorum Ordinum, donec de sufficienti Sacro Patrimonio provisi, si in Sacris Ordinibus sint constituti, benevolum Episcopum receptorem inveniant. Contrariis quibuscumque non obstantibus.

Datum Romae, ex Secretaria Sacrae Congregationis Episcoporum et Regularium, sub die 1ª Martii 1869. A. Card. QUAGLIA, Praefectus. - S. SVEGLIATI, Secretarius.

[29] Pius PP. IX. Ad futuram rei memoriam. Exponendum curavit Nobis dilectus filius Ioannes Bosco, presbyter Taurinensis, sibi ad fovendam augendamque fidelium erga Sanctam Dei Matrem, Augustumque Eucharistiae Sacramentum religionem, in animo esse, Piani Sodalitatem in Ecclesia sub invocatione Immaculatae Virginis Auxiliatricis civitatis Taurinensis de Ordinarii licentia instituere, cui vulgo - Associazione dei Divoti di Maria Ausiliatrice - nomen sit, et cuius Sodales praecipue in promovendum Deiparae Immaculatae Augustique Sacramenti cultum intendant animum.

Quo vero, propositis uberioribus ad coelestem beatitatem potiundam praesidiis, maiori studio fideles Sodalitati isti nomen dent, atque in praescripta pietatis opera incumbant, enixas Nobis preces adhibuit humiliter ut Ecclesiae thesauros, quorum dispensationem Nobis commisit Altissimus, idcirco reserare de benignitate Nostra dignaremur.

Nos igitur salubres has frugiferasque memorati dilecti filii curas plurimum commendantes, quo Sodalitas ista maiora in dies, Deo iuvante, suscipiat incrementa, de Omnipotentis Dei misericordia, ac BB. Petri et Pauli App. eius auctoritate confisi, omnibus et singulis utriusque sexus Christifidelibus e Pia Sodalitate, vulgo - Associazione de' Divoti di Maria Ausiliatrice - in cognominata Ecclesia civitatis Taurinensis canonice instituta, nunc et pro tempore existentibus, vere poenitentibus, et confessis, ac Sacra Communione refectis, qui eamdem Ecclesiam, et Sodalitatis Oratorium vel Altare, Nativitatis, Circunicisionis, Epiphaniae, et Ascensionis D. N. J. C. festivitatibus, Dominica Pentecostes, Solemnitate SS. Corporis Christi, itemque septem potioribus Immaculatae Virginis Deiparae festis, a primis vesperis usque ad occasum solis dierum huiusmodi, singulis annis devote visitaverint, ibique pro Christianorum Principum concordia, haeresum extirpatione, ac S. Matris Ecclesiae exaltatione, pias ad Deum preces effuderint, quo die ex recensitis id egerint, Plenariam omnium peccatorum suorum Indulgentiam et remissionem misericorditer in Domino concedimus.

Praeterea eisdem Sodalibus, qui quolibet die solemnium supplicationum, quae in honorem Sanctae Dei Matris dieta in Ecclesia per tres aut novem dies continuos fieri solent, ea, quae descripsimus, pietatis opera corde saltem contriti peregerint, septem annos totidemque quadragenas: quotiescunique vero rite devoto interfuerint Exercitio cuiusvis diei mane de Ordinarii licentia praefata in Ecclesia habendo, et corde pariter contriti consuetas preces, ut supra, pro Christianorum Principum concordia, haeresum extirpatione, ac S. Matris Ecclesiae exaltatione recitaverint, centum dies de iniunctis eis, seu alias quomodolibet debitis poenitentiis in forma Ecclesiae consueta relaxamus.

Quae omnes et singulae Indulgentiae, peccatorum remissiones, ac poenitentiarum relaxationes, ut etiam animabus Christifidelium, quae Deo in charitate coniunctae ab hac luce migraverint, per modum suffragii applicari possint, misericorditer in Domino elargimur.

Praesentibus ad decennium tantum valituris.

Datum Romae, apud S. Petrum, sub annulo Piscatoris, die XVI Martii MDCCCLXIX, Pontificatus Nostri Anno vigesimotertio.

N. Card. PARACCIANI CLARELLI.

NB. - Queste indulgenze vennero confermate in perpetuo con breve dell'11 marzo 1870.

[30] Questi documenti si conservano nell'Archivio della Curia Arcivescovile di Torino: anno 1869, VOL. 20, pag. 17 e seg.

[31] ALEXANDER OCTAVIANUS RICCARDI, ex comitibus a Netro, supremi ordinis SS. Annuntiationis eques torquatus etc. etc. Dei et Sanctae Sedis Apostolicae gratia Archiepiscopus Taurinensis, SS. D. N. D. Pii Papae IX praelatus domesticus ac pontificio solio adsistens. - Viso memoriali Nobis exhibito ab adm. Rev. Dom. Ioanne Bosco, Ecclesiae sub invocatione Immaculatae Virginis Auxiliatricis nuper erectae in hac civitate Rectore, eiusque tenore considerato, piis Oratoris votis libenter annuentes, ad fovendam augendamque fidelium erga Sanctam Dei Matrem, Augustumque Eucharistiae Sacramentum religionem, Piam Sodalitatem, cui nomen erit: Associazione dei Divoti di Maria Ausiliatrice, ad Altare Maius praedictae Ecclesiae, praesentium tenore erigimus ac canonice erectam declaramus pro utriusque sexus fidelibus, ut omnes eidem adscribendi de Ecclesiae Thesauris, praescripta opera adimplendo, participare valeant; quoniam vero Statuta Nobis pariter exhibita, ac per Nos firmata, Piae Societatis regimini et incremento accommodata novimus, eadem approbamus, reservata Nobis facultate ea addendi vel variandi, quae magis pro dictae Piae Sodalitatis utilitate expedire iudicabimus. Hoc nostrum Decretum, una cum memoratis precibus ac Statutis in Registris Curiae. Nostrae referri iubemus, ac per authenticum exemplar D. Oratori exhiberi.

Datum Taurini, die decima octava Aprilis, anno millesimo octingentesimo sexagesimo nono.

ALEXANDER Archiep.

Th. GAUDE pro cancell.

[32] Questo fatto si legge anche nel Don Bosco del Dott. D'Espiney: versione italiana, edita a San Pier d'Arena

[33] PIUS P.P. IX. - Dilecte Fili, Salutem ei Apostolicam Benedictionem - Complura quae iam praebuisti tuae fidei et devotionis indicia eo profecto valebant ut te Sedis Apostolicae et Nostri studiosissimum agnosceremus. Imo per illa compertum fiebat te sedulo contendere ut obsequio quo colis hanc Supremam Cathedram aliorum etiam animos imbueres, et multos pietatis tuae imitatores haberes. Iamvero huius rei aliud illustre argumentum suppeditarunt Nobis literae officiosissimae quae nomine tuo, nec non Asceteriorum et Ephebeorum quibus praees ad Nos datae sunt, quum sacri a Nobis primum litati post annum quinquagesimum memoriam ageremus. Vix est ut oporteat te docere periucunda Nobis ea testimonia observantiae et gratulationis

[34] Nella 1° edizione della Vita di Don Bosco in due volumi, questa lettera fu assegnata all'Annunziazione del 1869: ma la data vera - come consta da vari documenti autentici è della festa dell'Assunzione, cioè del 15 agosto dello stesso anno.

[35] Ved. APPENDICE A

[36] Ved. Regole: Edizione del 1867, Pag. 12

[37] Unità Cattolica del 13 ottobre 1869.

[38] L'accennato manoscritto contiene una seconda profezia (della quale abbiamo anche il testo originale) colla data “ 24 maggio 24 giugno 1873 ”, nonchè una lettera profetica colla data “ 24 maggio 1873 - 24 giugno 1873 ” e alcuni consigli che D. Bosco comunicò nel 1878 a Papa Leone XIII, come “ Esordio delle cose piú necessarie per la Chiesa ”.

In fondo a questo volume riferiamo anche la seconda profezia, per giusta soddisfazione dei lettori, essendo essa, riguardo al contenuto, in stretta attinenza colla prima. - Ved. APPENDICE B.

[39] Si videro poi, dopo lunghe conferenze e un'ampia discussione, nella 49ª congregazione generale. 535 Vescovi per l'introduzione e solamente 56 contro la medesima. Se il Concilio non fosse stato sospeso subito dopo, dopo le precedenti deliberazioni sarebbe stato approvato il Catechismo unico, poichè non mancava che l’ultima votazione solenne.

[40] Questa chiesa con l'annessa abitazione fu messa a disposizione della nostra Pia Società da S. S. Pio X nell'anno 1905 e subito venne adibita quale residenza del nostro Procuratore generale

[41] Pius PP. IX.

Ad perpetuam rei memoriam. Supplices Nobis admotae sunt preces, ut quas similibus Apostolicis Litteris Nostris, datis die XVI martii anno MDCCCLXIX, Piae Sodalitati sub invocatione B. Mariae Auxiliatricis in Ecclesia sub eodem titulo civitatis Taurinensis canonice, ut praefertur, institutae, Indulgentias ad decennium lucrandas concesseramus, easdem in perpetuum elargiri, et quasdam alias gratias addere pro Nostra benignitate dignaremur. Nos ad augendam Fidelium religionem animarumque salutem coelestibus Ecclesiae Thesauris pia charitate intenti, huiusmodi precibus obsecundare volentes, praedictae Sodalitati, ut memoratas Indulgentias lucrari in perpetuum libere ac licite possit et valeat, dummodo quae priore indulto pietatis opera peragenda praescripsimus rite adimpleantur, vi praesentium concedimus. Praeterea omnibus et singulis utriusque sexus Christifidelibus, qui dictam Sodalitatem in posterum ingredientur, die primo eorum ingressus, si vere poenitentes et confessi SS. Eucharistiae Sacramentum sumpserint, Pienariam omnium peccatorum suorum Indulgentiam et remissionem; quam etiam Animabus Christifidelium, quae Deo in charitate coniunctae ab hac luce migraverint, per modum suffragii applicare possint, misericorditer in Domino impertimus. In contrarium facientibus non obstantibus quibuscumque, praesentibus perpetuis futuris temporibus valituris.

Datum Romae, apud S. Petrum, sub Annulo Piscatoris, die XI Martii Anno MDCCCL, X, Pontificatus Nostri Anno vigesimo quarto.

Pro D. Card. PARACCIANI CLARELLI.

F. PROFILI Substitutus.

[42] PIUS PP. IX.

Ad perpetuam rei memoriam. - Sodalitia fidelium ad Christianae pietatis et charitatis opera exercenda instituta, praecipuis honoribus privilegiisque, ex Romanorum Pontificum Praedecessorum Nostrorum more, pro re ac tempore ditamus. Itaque cum dilectus filius Ioannes Bosco, presbyter Taurinensis, enixas Nobis preces humiliter adhibuerit, ut Piani Sodalitatem sub titulo “ dei Divoti di Maria Ausiliatrice ” quae in Ecclesia in honorem eiusdem B. M. V. Auxiliatricis civitatis istius Taurinensis canonice iampridem erecta, Sodalium religione et frequentia eo crevit brevi, ut longe etiam dissita loca pervaserit, in commodum praesertim Sodalium, qui alio in loco ab Taurinensi Urbe versantur, Archisodalitatis titulo et privilegiis augere, de benignitate Nostra dignaremur, Nos memorati dilecti filii votis obsecundare lubenti animo voluimus. Quae cum ita sint, omnes et singulos, quibus Nostrae hae Litterae favent, a quibusvis excommunicationis, et interdicti, aliisque ecelesiasticis censuris, sententiis et poenis quovis modo vel quavis de causa latis, si quas forte incurrerint, huius tantum rei gratia absolventes et absolutos fore censentes, Sodalitatem “ dei Divoti di Maria Ausiliatrice ”, de qua habita ante mentio est, in Ecclesia in honorem Immaculatae Mariae Virginis sub eodem nomine istius civitatis Taurinensis canonice, ut asseritur, erectam, in Archiconfraternitatem cum omnibus et singulis honoribus, preeminentis, praerogativis, iuribus, et privilegiis solitis et consuetis, hisce Litteris, perpetuo Auctoritate Nostra Apostolica erigimus et instituimus. Porro Archiconfraternitatis ita erectae Moderatoribus et Confratribus nunc et pro tempore existentibus, ut alias quascumque Sodalitates eiusdem nominis et Instituti in Dioecesi Taurinensi tantum canonice institutas, servata Clementis VIII Praedecessoris Nostri recol. mem. desuper edita Constitutione, aggregare, illisque omnes et singulas Indulgentias, peccatorum remissiones, ac poenitentiarum relaxationes, ipsi Sodalitati, nunc per Nos in Archiconfraternitatem erectae, ab hac Sancta Sede Apostolica concessas et alias communicabiles communicare libere et licite possint et valeant, eadem Auctoritate Nostra vi praesentium impertimur. Decernentes praesentes Nostras Literas firmas, validas, et efficaces existere et fore, suosque plenarios et integros effectus sortiri et obtinere, illisque ad quos spectat et pro tempore quandocumque spectabit plenissime suffragari; sicque in praemissis per quoscumque iudices ordinarios et delegatos etiam Causarum Palatii Apostolici Auditores iudicari et definiri debere, irritumque et inane si secus super bis a quoquam quavis auctoritate scienter vel ignoranter contigerit attentari.

Non obstantibus Constitutionibus et Ordinationibus Apostolicis, nec non dictae Sodalitatis etiam iuramento, confirmatione Apostolica, vel quavis firmitate alia roboratis statutis et consuetudinibus, ceterisque contrariis quibuscumque.

 

Datum Romae, apud S. Petrum, sub Annulo Piscatoris, die V Aprilis MDCCCLXX, Pontificatus Nostri Anno vigesimo quarto.

Pro Domino Cardinali PARACCIANI CIARELLI

F. PROFILI Substitutus.

[43] Lettera 26 novembre 1902

[44] Il manoscritto contiene in margine molte postille, di mano del Venerabile, alcune delle quali sembrano di data posteriore. Noi contrassegniamo queste con parentesi quadre

[45] Ved. Vol. VIII, pag. 551 e segg.

[46] Le tracce seguenti Altra introduzione e Custodire la propria vocazione, forse furono svolte nella 2ª muta dei 1869; la 2ª Altra introduzione ha dati che c'inclinano a fissarla al 1870.

[47] Il ch. Carlo Giachetti lasciava l'Oratorio il 17 luglio 1869 e non vi fece più ritorno. Moriva in famiglia

[48] Bernardo Mellica e D. Augusto Croserio morivano santamente tra noi nei primi mesi del 1870. - Vedasi a pag. 831 e a pag. 841 di questo volume

[49] Tutti i manoscritti, che abbiamo diligentemente trascritti in questa Appendice “ A ”, essendo piuttosto sgualciti, fanno chiaramente supporre che Don Bosco li ebbe sott'occhio più di una volta. Essi quindi possono essere meditati con frutto anche dai nostri predicatori.




Copyright © 2010 Salesiani Don Bosco - INE