raccolte dal sacerdote salesiano Giovanni Battista Lemoyne
(Giovanni Battista LEMOYNE voll. I-IX, Angelo AMADEI vol. X, Eugenio CERIA voll. XI-XIX, Indice anonimo dei voll. I-VIII e Indice dei voll. I-XIX a cura di Ernesto FOGLIO)
[Con rosso le parti che non si trovano nell’edizione originale del 1875]
Due sensi di sorpresa si desteranno nell'animo dei lettori alla vista di questo nuovo volume delle Memorie biografiche del Beato Don Bosco: non si sapranno spiegare come il volume undecimo compaia prima del decimo, nè come mai dopo tanto attendere esso sia al confronto dei fratelli maggiori così striminzito. Dirò subito che il volume decimo è in viaggio, nè tarderà troppo ad arrivare; d'altro canto l'undecimo la talmente parte per se stesso, che si può leggere benissimo indipendentemente dall'intermedio. Quanto alla mole, ecco. Se mi fossi spinto con la narrazione oltre l'anno 1875, la materia per necessità di cose sarebbe dovuta essere sì soverchiante, da richiedere un volumone senza precedenti. Allora mi sono detto: - Perchè alla voluminosità sacrificare la comodità? E poi, perchè, anzichè a fare un volume, non sarebbe meglio pensar a fare un libro? - Pazientino dunque i lettori, vadano fino in fondo, e là soltanto giudichino Pro o contro, non subito qui in limine.
Dopo questo doveroso preambolo è giusto che io renda conto dei criteri che mi hanno guidato nell'ardua fatica: ardua anche, perchè piena di responsabilità dinanzi ai presenti e dinanzi agli avvenire. Io sento ora il peso di tanta responsabilità molto più che non quando il veneratissimo Rettor Maggiore Don Filippo Rinaldi mi chiamò a sobbarcarmici e guardavo solo da lungi il compito che mi veniva affidato.
Anzitutto ho rinunziato a ogni velleità d'inquadrare la vita del Beato nella cornice dei tempi che furono suoi. Quei tempi non si può ancor dire che siano definitivamente chiusi, dal momento [8] mento che è tuttora in corso lo svolgersi di fatti, in cui Egli ebbe parte. Per ponderare la sua opera e per valutare i suoi influssi nella loro totalità, per guardarne insomma la colossale figura nello sfondo suo adeguato, bisogna che il riguardante si faccia indietro indietro nel futuro, finchè l'angolo visuale sia raggiunto. Mi si consenta di citare un insigne scrittore di cose storiche, il quale dice su per giù al nostro proposito: “Les historiens, qui jugent une époque à distance, la représentent par son caractère le plus general; ils n'en font ressortir que les traits dominants, et, sacrifiant tout le reste, ils tracent des tableaux dont la précision et la simplicité séduisent l'esprit[1]”.
In secondo luogo procederò cronologicamente alla maniera di Don Lemoyne, il quale non per nulla intitolò il suo lavoro Memorie biografiche, quasi a dirci che la sua narrazione raccoglie e presenta i fatti della vita di Don Bosco passo passo, non solo d'anno in anno, ma quasi giorno per giorno; egli non intese nè punto nè poco a formare compatte sintesi storiche. Da lui mi scosterò soltanto in una cosa: anzichè spezzettare i diversi ordini di fatti e quasi con l'orologio alla mano assegnarne le parti ai singoli momenti, accostando in un medesimo capo particolarità artificiosamente congegnate fra loro, darò al metodo una maggior latitudine, sicchè ogni capo abbia la sua unità e quindi porti un suo titolo preciso. In altri termini io mi proporrò volta a volta uno spazio ben determinato: sarà un anno, sarà più d'un anno, secondochè parrà meglio dalla natura degli avvenimenti, e lì dentro assegnerò a ogni ordine di fatti un giro di narrazione che lo abbracci per intero o ne rappresenti una fase, dirò così, parzialmente completa.
Questo non significa già che, essendomi io, per esempio, in questo volume, ristretto all'anno 1875, il 10 gennaio del 1876 debba stroncare il racconto delle cose che ebbero il loro epilogo definitivo o la chiusa di un Periodo oltre quella data. Tagli così brutali Non homines, non di, non concessere columnae. [9]
Non mi sono dunque interdetta qualche puntarella più innanzi, quando il buon senso la consigliasse.
In terzo luogo mi son fatta una legge di rispettare, tutte le parole vive di Don Bosco, riferendole in modo opportuno e nella forma in cui ci furono trasmesse. Il Rettor Maggiore ha creduto di fare un bel regalo alle Ispettorie Salesiane, donando a ciascuna, ben chiuso in fialette trasparenti, un tantino del cervello di Don Bosco. Orbene le parole da lui dette o scritte sono provvidi ricettacoli di pensieri e di immagini, che l'attività di quel cervello Produsse. Delle due specie di reliquie non si saprebbe definire quale la vinca in pregio.
Finalmente non perderò di vista a chi e a che debbano queste pagine servire. Esse vanno ai Salesiani, e si sa bene che in famiglia si dicono tante cose che agli estranei o non fanno nè caldo nè freddo o non è punto conveniente di dire. Esse vanno a lettori, la massima parte dei quali aspetta un'esposizione della vita di Don Bosco, la cui lettura non esiga particolari sforzi di mente nè tanto meno specifiche preparazioni di studi: generalmente si vuol sapere che cosa abbia detto o fatto il Beato Fondatore per assimilarsene lo spirito. Perciò è stata mia cura di dir le cose con decoro e con veracità, sì, ma senza preoccupazioni di forma e senza rigidezze di metodo, pago di essere inteso da tutti e non frainteso da nessuno.
Per non intralciare poi la lettura, ho relegato in appendice una serie di documenti che, sebbene non necessari, giovano però nella massima parte a una più particolareggiata illustrazione del testo. Ivi pure han trovato luogo conveniente quelle poche lettere del Servo di Dio, alle quali il racconto non offriva addentellato alcuno, ma che i nostri lettori amano certamente di conoscere. Questa parte soddisferà coloro che amassero andare più a fondo.
Mi parrebbe di accingermi men bene alla impostami fatica, se non sciogliessi prima un inno di riconoscenza alla memoria di Don Giovanni Battista Lemoyne e di Don Gioachino Berto, ai quali la Congregazione va debitrice di quasi tutto il materiale [10] documentario salvato nei nostri archivi. Essi, infatti, appassionati ricercatori e gelosi conservatori delle memorie paterne, nulla tralasciarono per assicurarci il possesso di quanto fosse reperibile intorno alla persona e all'attività del Beato Don Bosco.
Questa prefazione è stata stesa proprio nel faustissimo giorno segnato qui sotto dalla data, perchè solo alla vigilia fu terminato il capo venticinquesimo. La circostanza impreveduta ha procurato anche a me il mio senso di sorpresa. Sia tale coincidenza di lieto augurio, come è certamente per me causa di intima gioia il poter contribuire così pro modulo meo a onorare il caro Beato nella prima sua lesta liturgica.
“L’ELENCO generale della Società di San Francesco di Sales” per il 1875 registra i nomi di 64 professi perpetui, 107 professi triennali, 84 ascritti ossia novizi e 32 aspiranti = totale 287, di cui 50 sacerdoti. Questo personale vi compare ripartito in otto Case: Oratorio e Collegio Valsalice di Torino; Collegi di Borgo S. Martino, Lanzo, Varazze e Alassio; Ospizio di S. Pier d'Arena; Casa di Maria Ausiliatrice e Scuole municipali a Mornese. Fra gli aspiranti richiama la nostra attenzione il Servo di Dio Don Luigi Guanella. Il numero dei novizi ha raggiunto una cifra molto notevole: rigogliosa fioritura di un albero, la cui vitalità si annunzia d'anno in anno sempre più lieta di promesse.
Giacchè abbiamo menzionato Don Guanella e il suo nome ci tornerà alla penna altre volte durante un triennio, conviene che ne facciamo ai nostri lettori la debita presentazione. Egli dovette per tre anni moltiplicare le istanze al Vescovo di Como, se volle ottenere licenza di entrare nella Pia Società; finalmente potè inviare al Beato Don Bosco la sua formale domanda. Don Bosco gli rispose: [12]
Il suo posto è pronto. Ella può venire quando vuole. Giunto a Torino, stabiliremo intorno al luogo ed alla casa che più Le converrà. Io Le scrivo in questo senso in seguito alle sue parole; “Se non vado e non sono accolto nel suo Istituto, sono deciso di andare in un altro”.
Procuri soltanto di non lasciare affari imbrogliati, che possano richiamarlo in patria.
Addio, caro D. Luigi, buon viaggio e Dio ci benedica tutti e mi creda in G. C.
Nizza Marittima, 12 - 12 - 1874.
Egli arrivò mentre i superiori uscivano da un'adunanza, in cui era stata decisa l'accettazione delle Missioni d'America. Don Bosco, trovatosi di fronte a lui sull'uscio della camera, gli disse:
- Vorrei pur io, rispose Don Guanella, piantare in diocesi una famiglia di figlie [voleva dire di suore] ed un'altra magari di figli, come si è già d'accordo con qualche mio confratello.
- Qui abbiamo tutto, riprese Don Bosco. Abbiamo preti, abbiamo anche le suore, ed ella sarà dei nostri per sempre.
“Io tacqui, scrive Don Guanella in una sua memoria; e per lo spazio di tre anni, finchè rimasi nella Pia Società, fu un contrasto in me. Ma il desiderio d'un impianto proprio la vinse sul mio cuore.
“Trovandomi con Don Bosco, mi pareva [di sentirmi] imparadisato. Col Divino Aiuto e mercè le preghiere di Don Bosco io mi corressi di difetti, che forse in caso contrario avrei portato alla tomba. Specialmente mi pare di aver guadagnato nello spirito di mortificazione, attenendomi alla regola meglio che per me si poteva”.
Questa volta l'“Elenco” reca una novità: lo accompagnano cenni biografici dei Confratelli defunti nell'anno antecedente, [13] Essi erano i sacerdoti Francesco Provera, Giuseppe Cagliero, Domenico Pestarino e il chierico Luigi Ghione. Don Bosco vi premise una sua lettera, che, mentre presentava le quattro necrologie, dicesse ai figli nel capo d'anno la parola del padre[2].
L'anno 1874, Figliuoli Amatissimi, fu per noi memorabile assai. Sua Santità il Regnante Pio IX dopo averci compartiti grandi favori in data 3 aprile degnavasi di approvare definitivamente l'umile nostra Congregazione. Mentre per altro questo glorioso avvenimento ci colmava tutti di vera gioia venne tosto gravemente amareggiato da una serie di avvenimenti. Di fatto al 13 dello stesso mese Dio chiamava a sè il Sac. Provera, di poi D. Pestarino, indi il chierico Ghione e Don Cagliero Giuseppe, e ciò nello spazio di soli quattro mesi.
In questi nostri cari Confratelli noi abbiamo perduto quattro operai evangelici, tutti professi perpetui, tutti affezionatissimi alla Congregazione salesiana, osservatori fedeli delle nostre costituzioni, veramente zelanti nel lavorare per la maggior gloria di Dio.
Non è pertanto a stupire se queste perdite furono amaramente sentite nella nostra società. Ma Dio, che è bontà infinita e che conosce le cose che possono tornare a nostro maggior bene li giudicò già degni di sè. Di loro si può dire che vissero poco, ma operarono molto, come se fossero vissuti tempi lunghi assai: Brevi vivens tempore, expIevit tempora multa. E noi abbiamo fondati motivi di credere che questi confratelli, cessando di lavorare con noi in terra, siano divenuti nostri protettori presso Dio in cielo.
Si reputa pertanto cosa opportuna darvi un cenno sulla vita di ciascuno, affinchè la loro memoria sia conservata tra noi. Quello che facciamo per essi, coll'aiuto del Signore speriamo che si farà pei confratelli già chiamati alla vita eterna nei tempi passati e per quelli che a Dio piacesse chiamare nell'avvenire.
Ciò noi faremo per tre ragioni particolari:
1° Perchè così sogliono fare gli altri ordini religiosi e le altre congregazioni ecclesiastiche. [14]
2° Affinchè coloro che vissero tra noi, e praticarono esemplarmente le medesime regole, ci siano di eccitamento a farei loro seguaci nel promuovere il bene e fuggire il male.
3° Affinchè conservandosi i loro nomi e le principali loro azioni, ci ricordiamo più facilmente di innalzare a Dio preghiere pel riposo eterno delle anime loro, se mai non fossero ancora state accolte in seno della misericordia divina.
Noi certamente non dobbiamo servire il Signore perchè la memoria delle nostre azioni sia conservata presso agli uomini, ma affinchè i nostri nomi, come dice il Salvatore, siano scritti nel libro della vita. Ciò nondimeno questo ci deve avvisare che come le nostre cattive opere possono tornare di scandalo altrui anche dopo la morte, così le buone azioni potranno servire di edificazione. Mentre pertanto leggeremo la breve raccolta di notizie di questi nostri confratelli non cessiamo di innalzare a Dio particolari preghiere per essi e per tutti i Confratelli che dal principio della Congregazione furono chiamati all'altra vita.
Nel corso poi di quest'anno (1875) dobbiamo dimostrare la nostra incancellabile gratitudine innalzando incessanti suppliche alla Divina Maestà pei bisogni di Santa Chiesa, e specialmente per la conservazione dei giorni preziosi del Sommo Pontefice, nostro insigne Benefattore, da cui noi fummo tante volte ricolmi di segnalati benefici spirituali e temporali. Egli si degnò di dare la definitiva approvazione alla nostre Costituzioni, affinchè noi fossimo esatti nell'osservarle; ci concedette molti favori; procuriamo di mostrarcene degni col servircene a maggior gloria dì Dio e a bene delle anime tutti, o miei cari figliuoli, e pregate per me che vi sarò sempre
Un'altra paterna parola da Don Bosco indirizzata sul principio del nuovo anno ai suoi figli di Lanzo, è giunta fino a noi, grazie alla passione conservatrice di Don Lemoyne, direttore di quel collegio. Risponde egli ad auguri di occasione; ma lo fa con una lunga lettera, dove palpitano insieme bontà di padre e zelo di sacerdote, mirante al vero bene dei cari alunni.
Ai miei carissimi figliuoli, Direttore, maestri, assistenti, prefetto, catechista, allievi ed altri del collegio di Lanzo.
La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi. Amen.
Finora, miei amatissimi figliuoli, non ho potuto soddisfare ad un vivo desiderio del mio cuore che era di farvi una visita. Una serie [15] non interrotta di complicate occupazioni, qualche leggero disturbo della sanità mi hanno tal cosa impedito.
Tuttavia vi voglio dire cosa che voi stenterete a credere più volte al giorno io penso a voi, ed ogni mattino nella S. Messa vi raccomando tutti in modo particolare al Signore. Dal canto vostro date anche non dubbi segni che voi vi ricordate di me. Oh con qual piacere ho letto il vostro indirizzo di buon augurio; con quale piacere ho letto il nome e cognome di ciascun allievo, di ciascuna classe, dal primo all'ultimo del Collegio. Mi sembrava di trovarmi in mezzo di voi, e nel mio cuore ho più volte ripetuto: Evviva ai miei figli di Lanzo!
Comincio adunque per ringraziarvi tutti, e di tutto cuore, dei Cristiani e figliali auguri che mi fate e prego Dio che li centuplichi sopra di voi e sopra tutti i vostri parenti ed amici. Sì! Dio vi conservi tutti a lunghi anni di vita felice. Volendo poi venire a qualche augurio particolare io vi desidero dal cielo sanità, studio, moralità.
Sanità. È questo un prezioso dono del cielo. Abbiatene cura. Guardatevi dalle intemperanze, dal sudar troppo, dal troppo stancarvi, dal repentino passaggio dal caldo al freddo. Queste sono le ordinarie sorgenti delle malattie.
Studio. Siete in collegio per farvi un corredo di cognizioni con cui potervi a suo tempo guadagnare il pane della vita. Qualunque sia la vostra condizione, la vocazione, lo stato vostro futuro, dovete fare in modo, che se vi mancassero tutte le vostre sostanze domestiche e paterne, voi possiate altrimenti essere in grado di guadagnarvi onesto alimento. Non si dica mai di noi che viviamo dei sudori altrui.
Moralità. Il legame che unisce insieme la sanità e lo studio, il fondamento sopra cui sono essi basati è la moralità. Credetelo, miei cari figli, io vi dico una grande verità: se voi conservate buona condotta morale, voi progredirete nello studio, nella sanità; voi sarete amati dai vostri Superiori, dai vostri compagni, dai parenti, dagli amici, dai patriotti, e, se volete che vel dica, sarete amati e rispettati dagli stessi cattivi. Tutti andranno a gara di avervi seco, lodarvi, beneficarvi. Ma datemi alcuni di quelli esseri che non hanno moralità. Oh che brutta cosa! Saranno pigri e non avranno altro nome se non di somaro: parleranno male e saranno chiamati scandalosi da fuggirsi. Se sono conosciuti in collegio, vengono abborriti da tutti, e si canta il Te Deum nel fortunato giorno che se ne vanno a casa loro. E a casa loro? Disprezzo generale. La famiglia, la patria li detestano, niuno dà loro appoggio, ognuno ne rifugge la società. E per l'anima? Se vivono, sono infelici; in caso di morte, non avendo seminato che male, non potranno raccogliere che frutti funesti.
Coraggio adunque, o miei cari figli: datevi cura a cercare, studiare, conservare e promuovere i tre grandi tesori: sanità, studio e moralità. [16] Una cosa ancora. Io ascolto la voce che proviene di lontano e grida: O figliuoli, o allievi di Lanzo, veniteci a salvare! Sono le voci di tante anime che aspettano una mano benefica che vada a torli dall'orlo della perdizione e li metta per la via della salvezza. Io vi dico questo perchè parecchi di voi siete chiamati alla carriera sacra, al guadagno delle anime. Fatevi animo; ve ne sono molti che vi attendono. Ricordatevi delle parole di S. Agostino: Animam salvasti, animam tuam praedestinasti.
Finalmente, o figli, vi raccomando il vostro Direttore. So che esso non è troppo bene in sanità; pregate per lui, consolatelo colla vostra buona condotta, vogliategli bene, usategli confidenza illimitata. Queste cose saranno di grande conforto a lui, di grande vantaggio a voi stessi.
Mentre vi assicuro che ogni giorno vi raccomando nella Santa Messa, raccomando pure me alle buone vostre preghiere, affinchè non mi accada la disgrazia di predicare per salvare gli altri e poi abbia da perdere la povera anima mia. Ne cum aliis praedicaverim ego reprobus efficiar.
Dio vi benedica tutti e credetemi in G. C.
Torino, vigilia dell'Epifania 1875.
NB. Il Signor Direttore è pregato di spiegare quelle cose che per caso non potessero essere bene intese.
Paterne sono anche due letterine personali, che si possono raggruppare qui, scritte in quel tomo a due soci e salvatesi avventuratamente dalla dispersione generale di chi sa quante altre del medesimo tenore. Egli rispondeva come e quando poteva, ma era suo costume di rispondere. Solo per leggere tutta la corrispondenza, ed egli la leggeva tutta, in simili occasioni, ce ne voleva del tempo! Si pensi che nel capo d'anno del '75 la posta gli ammonticchiò sul tavolo 204 lettere.
La prima dunque di dette lettere, indirizzata a Don Giuseppe Ronchail, prefetto nel collegio di Alassio, ispira una confidenza che viene dal cuore e va al cuore.
Sono contento che dopo emessi i voti perpetui, tu goda maggior pace nel cuore. È segno che Dio ti benedice e che in quello che fai [17] si compiono i divini voleri. Dunque si Deus pro nobis, quis contra nos? Dirai al ch. Vallega che ho ricevuto la sua lettera, lo ringrazio, farò quanto domanda, e gli parlerò poi a voce.
Ringrazio il Direttore delle cose scritte, dei regali mandati; ne feci molti e ripartiti regali, che per noi sono di grande vantaggio. Fagli coraggio, ma ambidue studiate di avervi cura della sanità; se vi sono difficoltà scrivetemelo, io studierò modo di appianarle.
Si ricevano pure i fr. 400 dai p. Cappuccini nel senso che mi scrivi.
Se puoi, va a salutare il Prof. Agnesi e sua sig. sorella, dimanda notizie e di poi fammele sapere.
Dio ti benedica e prega e prega pel tuo sempre in G. C.
Nella seconda letterina, il buon Padre porge al chierico Erminio Borio, maestro nel collegio di Borgo S. Martino, alcuni salutari consigli, conditi di soavità e grazia.
La tua lettera mi piacque assai. Con essa mi fai vedere che il tuo cuore è sempre aperto a D. Bosco. Continua così e sarai sempre gaudium meum, corona mea.
Tu vuoi qualche consiglio; eccotene:
1° Quando fai correzioni particolari, non mai correggere in presenza altrui.
2° Nel dare avvisi o consigli procura sempre che l'avvisato parta da te soddisfatto e tuo amico.
3° Ringrazia sempre chi ti dà avvisi, e ricevi le correzioni da buona parte.
4° Luceat lux tua coram hominibus, ut videant opera tua bona et glorificent Patrem nostrum, qui in coelis est.
Amami nel Signore: prega Dio per me e Dio ti benedica e ti faccia santo.
Con quest'altra lettera ringrazia la signora Annetta Fava, benefattrice torinese, della strenna inviatagli nel capo d'anno. [18]
E’ un po' tardi, ma debbo fare il mio dovere e porgere alla sua bontà vivi ringraziamenti. Ho ricevuto la sua bella relazione e la cristiana sua lettera con entro f. 500 che vennero tosto impiegati a favore di questi miei giovanetti, i quali trovansi tuttora nella maggior parte vestiti da estate. Perciò maggior motivo di ringraziarla e di invocare ognora le benedizioni del cielo sopra di Lei e sopra del rispettabile consorte suo.
Le parole testuali del prof. Avv. Menghini nel comunicarmi la benedizione del S. Padre furono: “Nell'udienza che potei avere in data 12 ottobre (1874) ho chiesta la particolare benedizione per la inferma di cui mi aveva dato incarico. Il S. Padre rispose: - Di buon grado mandò l'apostolica benedizione alla Sig. Anna Fava torinese, inferma, e vi prego di comunicarla da parte mia: pregherò anche per Lei -”.
Del resto non mancheremo di continuare le nostre comuni e particolari preghiere, affinchè Dio conceda a Lei e all'ottimo di Lei marito sanità stabile e lunghi anni di vita felice, mentre colla più profonda gratitudine ho l'onore di potermi professare
Il Beato Don Bosco, che sentiva profondamente la gratitudine verso tutti quanti gli avessero fatto del bene, non dimenticava nessuno nelle ricorrenze del Natale e del capo d'anno; egli, come sappiamo da testimoni oculari, scriveva infinite lettere d'augurio secondo la qualità delle persone. A tali lettere rispondono con premurosa sollecitudine sui primi di gennaio del '75 i cardinali Patrizi e Antonelli e monsignor Vitelleschi.
Il Cardinal Patrizi, Vicario di Sua Santità a Roma, ricambiati con vera cordialità gli auguri ed espresso il suo compiacimento per il progredire della Società Salesiana con generale soddisfazione dei Vescovi, soggiunge: “Che poi qualcuno tra questi non riguardi con occhio benigno la Società, e faccia opposizioni all'esercizio di qualcuno nel santo ministero, ciò non deve far meraviglia, anzi può dirsi che sia segno che l'opera [19] sia gradita al Signore, che permette sorgano le difficoltà, per fai risaltare nel superarle esser Egli che dispone il tutto per il maggior bene della Società. Si rallegri Ella dunque nella tribolazione e prenda da questa maggior coraggio”.
In termini non meno cortesi lo ringrazia il cardinale Antonelli, Segretario di Stato, dicendosi “commosso di tante premure a suo riguardo”.
Ancor più esplicito del cardinal Patrizi si mostra monsignor Vitelleschi, Arcivescovo di Seleucia e Segretario della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, nel portar giudizio sulle opposizioni mosse al Servo di Dio dall'Ordinario diocesano. Al quale proposito il Prelato scrive: “Rilevo dalle sue lettere quanto quella [la Congregazione Salesiana] sia combattuta costà ove è la Casa Madre; ma ove si opera il bene Dio permette nei suoi consigli imperscrutabili che sia segno di contraddizione; sa Ella insegnarmi che non deve uno sgomentarsene; sappia intanto con riserva che la Congregazione ha preparato una lettera a questo medesimo Arcivescovo responsiva ai quesiti che aveva egli fatto relativi alla Congregazione Salesiana, di cui ne sarà data a Lei confidenziale copia per sua norma. Nella di lui venuta a Roma che Ella mi annunzia, io ed altri gli parleremo perchè desista da una opposizione, che ha qualche cosa di sistematico”. Sulla faccenda dei quesiti si tornerà più innanzi.
A sì autorevoli testimonianze di stima non poteva mancare quella del Cardinal Berardi, legato a Don Bosco da calda affezione. In una lettera del 9 gennaio, della quale ci dovremo poi nuovamente occupare, egli esordiva così: “Grato alle cordiali felicitazioni da Lei direttemi all'occasione delle attuali solenni ricorrenze, Le ne rendo le più vive azioni di grazie, ed in ricambio l'assicuro che prego pur io il Signore, affinchè ricolmi Lei e la benemerita sua Congregazione della più eletta copia di benedizioni. Adempiuto a questo mio stretto dovere, Le significo essermi rincresciuto immensamente l'aver appreso, che il consaputo Prelato non cessa ancora dal tormentarla”. [20]
Nè il Cardinale si limitò a semplici parole, ma agì anche nel modo e con gli effetti, che vedremo fra non molto.
Il Beato Don Bosco non si sgomentava per le difficoltà, che gli si profilavano dinanzi fin dal principio del nuovo anno, ma con tutta pace continuava nel suo cammino, confidando pienamente in Dio e appigliandosi a quei partiti, che gli erano dalla sua grande prudenza consigliati.
La fine di gennaio del '75 chiamò a raccolta intorno al Padre comune i più ragguardevoli de' suoi figli. Per una regola, che poi fu abrogata quando ne divenne impossibile l'osservanza, tutti i Direttori nel triduo precedente la festa di San Francesco di Sales si riunivano a particolare convegno nell'Oratorio, e qui da loro si riferiva sull'andamento delle proprie Case, si trattavano affari, si risolvevano dubbi, si ricevevano comunicazioni, il tutto nella massima semplicità e confidenza reciproca e con ogni comodità di conferire con il Beato Padre, sicchè ne riusciva rinsaldato quello spirito di famiglia che il Fondatore si studiava tanto di mantener vivo fra i suoi.
In tale circostanza si tenevano parecchie conferenze, che erano di due specie: le une private, a cui partecipavano solamente i membri del Capitolo Superiore e tutti i Direttori col Maestro dei novizi; pubbliche le altre e aperte a tutti i confratelli. A queste anzi Don Bosco fece talvolta assistere anche gli alunni di classi superiori, sia perchè si sentissero così maggiormente affezionati alla vita della Casa, sia perchè vi pigliassero conoscenza dei progressi fatti dalla Congregazione nel credito generale e nelle sue espansioni. L'essere ammessi così nell'intimità della vita Salesiana giovò senza dubbio a schiudere o a sviluppare in tanti il buon germe della vocazione religiosa. [22] Quell'anno le conferenze furono sei, cioè tre private e tre pubbliche. Fortunatamente ce ne sono pervenuti i verbali, da cui spigoleremo quel tanto che possa essere oggetto di queste Memorie.
Membri del Capitolo Superiore erano Don Rua, Don Cagliero, Don Savio, Don Durando, Doti Ghivarello, Don Lazzero; Direttori, Don Bonetti, Don Lemoyne, Don Francesia, Don Cerruti, Don Albera, Don Dalmazzo, Don Costamagna; Maestro dei novizi, Don Barberis. Alle tre private presiedette Don Rua; alle altre il Beato Don Bosco.
Le prime tre sedute, svoltesi privatamente sotto la presidenza di Don Rua, se n'andarono tutte o in cose d'ordinaria amministrazione e oggi prive d'importanza, o in argomenti importanti sì, ma troppo sommariamente messi a verbale e su cui del resto sarà più opportuno ritornare comodamente in appresso.
Per la quarta che fu pubblica e si tenne alla presenza di Don Bosco, il segretario bonamente premise di suo questo cappello al verbale: “Il giorno 27 gennaio 1875, antivigilia della festa di S. Francesco di Sales, sarà sempre memorabile nei fasti della nostra Congregazione per le tante cose che avvennero a noi favorevoli e si comunicarono in questa conferenza. Siane lodato il Signore e S. Francesco”. Per dare a queste parole il loro giusto valore, fa d'uopo tener presente che in quei primordi, a meno d'un anno dall'approvazione delle Regole, la coscienza o piena consapevolezza dell'essere proprio era nei Soci ancora sul formarsi; quindi ogni atto o fatto che ridondasse per poco a onore della Congregazione, facilmente li rallegrava, anzi li esaltava fino all'entusiasmo. Don Bosco a sua volta profondo conoscitore del cuor umano, sapeva da tutto trarre partito per suscitare in mezzo ai suoi un ragionevole spirito di corpo, che valesse a rinsaldare ognor più la compagine mercè la sempre maggiore aderenza dei membri.
Sull'aprirsi della seduta fa capolino per la prima volta la [23] questione dei privilegi, che tanto filo da torcere darà in seguito al Servo di Dio. Ma per bene intendere il linguaggio di Don Bosco, è necessario fare un'altra osservazione. Don Bosco, e chi scrive l'ha udito da testimoni autorevoli, in simili adunanze diceva le cose molto alla buona, come se discorresse del più e del meno, con un candore di naturalezza che somigliava a ingenuità, e ciò nonostante le sue parole venivano ascoltate con il più religioso rispetto e producevano negli animi la più profonda impressione.
Leggiamo dunque nel verbale: “Si cominciò a parlare della comunicazione dei privilegi, che si desiderava domandare per la nostra Congregazione a Roma. Cominciò il Sig. Don Bosco a farei notare che moltissimi privilegi godono i Regolari, avendone alcuni un intero volume, e non piccolo. Di essi però sono gelosissimi e malgrado che egli ne abbia fatto richiesta da più parti, non trovò per molto tempo chi gliene facesse vedere una copia; aver poi ora quelli degli Oblati e qualche altro. Su di essi si poggerebbe per ottenerne anche per la nostra Congregazione; ma che ora si andava molto più a rilento a concederne; anzi essersi stabilito di non accordarne più per communicationem, che è concedere in massa ad una Congregazione i privilegi che gode già un'altra; tuttavia avrebbe studiato molto questo punto, e sperare di potervi riuscire a bene”.
Don Bosco lesse quindi una letterina del cardinal Antonelli, giuntagli quel mattino stesso e contenente un vaglia di lire mille che Sua Santità mandava per l'erezione dell'Ospizio di San Pier d'Arena. Dice il verbale: “Si fece notare che il dono era generoso e raro; poichè, quando si tratta di queste opere, volendovi concorrere, il Papa manda al più cinquecento lire. Tuttavia Don Bosco ci fece notare che questo soccorso era stato chiesto al Santo Padre, ma che egli aveva già notificato a chi di ragione, che la detta somma sarebbe tornata alla fonte nel danaro di S. Pietro; non cessare però di essere un gran segno di distinzione e di stima per noi dal Santo Padre”. [24] Gli astanti dovettero restar commossi a questa comunicazione; tant’è vero che si presentarono due proposte: una, di mettere in cornice la lettera e l'altra di pubblicarne il testo nell'Unità Cattolica. Don Bosco assentì, ma vietò che si facesse il suo nome, perchè ciò sarebbe bastato per mettere un “diavoletto” nella stampa cattiva. Difatti certi giornali di quando in quando si sbizzarrivano anche contro di lui. Ne riparleremo.
Due altre belle notizie Don Bosco diede all'assemblea, entrambe della giornata: l'arrivo delle lettere ufficiali per l'accettazione delle sue proposte riguardo a Buenos Aires, e la consegna di un sospiratissimo regio decreto per l'espropriazione legale di un'area, dove si stava per fabbricare la chiesa di S. Giovanni Evangelista. Anche di ciò si tratterà più innanzi.
Per due affari, di cui uno peloso e l'altro no, le poche righe del verbale lascerebbero i lettori troppo insoddisfatti; bisognerà tornarci su a miglior agio. Anche su d'una questioncella di diritto canonico possiamo passarci per ora.
Alla quinta conferenza intervennero anche gli ascritti e gli aspiranti. Essendo i presenti circa centocinquanta, bisognò tenere l'adunanza nella chiesa di S. Francesco di Sales. Secondo il consueto, ogni direttore riferì dinanzi a tutti sullo stato del suo collegio tanto dal lato finanziario che da quello igienico, edilizio, intellettuale, morale e religioso.
Sorse per primo Don Bonetti, direttore di Borgo S. Martino. Aveva il collegio così zeppo, da non trovarvi più posto nemmeno per un alunno che si volesse accettare. In una casa attigua, costruita appositamente, erano andate ad abitare dodici suore di Maria Ausiliatrice, che custodivano la guardaroba e badavano alla rammendatura della biancheria, con grande vantaggio di tutti. Si minacciava di mettere a riso i terreni dei dintorni; ma l'insalubrità delle risaie comincia solo quando si toglie l'acqua per la falciatura, cioè fra agosto e settembre, nel tempo appunto che i giovani sarebbero a [25] casa in vacanza. Vi si godeva perfetta salute; l'andamento religioso e morale sembrava soddisfacente, come si arguiva dalla grande frequenza ai Sacramenti. Molta allegria nei giovani. Egli attribuiva i notevoli miglioramenti dell'anno in corso alla bontà del personale. Finì raccomandandosi vivamente alle preghiere di tutti.
Dopo di lui prese la parola Don Lemoyne, direttore di Lanzo. Il numero dei convittori superava già quello degli anni passati e se ne aspettavano ancora parecchi; riteneva che avrebbero sorpassato i duecento. Degno di particolare encomio il piccolo clero, composto in maggioranza dei più grandicelli. Lo stato sanitario essere causa di meraviglia a tutti; non un'indisposizione, non un raffreddore, non la menoma tosse. Doversi questo mirabile effetto in buona parte alle cure del prefetto Don Scappini. Produrre un grandissimo bene la separazione totale dei giovani delle classi superiori da quei delle inferiori. Riconoscere egli che il progresso fatto dovevasi al personale più copioso e saggio, inviatovi dal sig. Don Bosco.
Don Francesia, direttore di Varazze, lamentò la ristrettezza del locale; poichè oltre a ottanta domande eransi dovute respingere per assoluta mancanza di posti. Mostrarsi dai giovani amor grande al collegio e ai superiori. La ricreazione farsi così viva e animata, da non potersi descrivere; non vedersi mai nessuno fermo e solo, non formarsi gruppi senza che vi fosse in mezzo un chierico. Del personale si dichiarò arcicontento.
Don Cerruti, direttore di Alassio, fece notare che il liceo aveva una cinquantina di alunni e che anche fra loro c'era una condotta veramente ottima; molti aspirare allo stato ecclesiastico. Il collegio non poterne contenere di più ed essersi dovuto limitare le accettazioni; fabbricarsi allora un edificio che avrebbe offerto possibilità molto maggiori; in pari tempo studiarsi il disegno di un'altra fabbrica sia per accondiscendere a tutte le richieste, sia per accogliervi con [26] sommo vantaggio, come sperava, le Figlie di Maria Ausiliatrice.
Don Albera, direttore di San Pier d'Arena, si consolava che fosse quasi condotta a fine una fabbrica, la quale avrebbe permesso di raddoppiare il numero degli allievi. Comunicò che per detta fabbrica Sua Santità aveva già mandato altre duemila lire. I giovani essere circa sessanta fra artigiani e studenti, tutti di buona condotta; non potersi proprio desiderare di più; la frequenza ai Sacramenti grandissima. Occuparsi i Confratelli anche molto degli esterni; venirne molti a scuola e moltissimi frequentare l'oratorio festivo con vera soddisfazione generale. La città vedere assai di buon occhio l'Istituto.
Intorno al collegio di Valsalice, collegio di nobili, diede notizie assai buone il direttore Don Dalmazzo. In primo luogo, essere il numero quasi duplicato da quel che era l'anno antecedente. Il buon esito degli esami, il sapere che ivi si studiava sul serio, un viaggio a Roma con i migliori durante le vacanze e specialmente la benedizione del Santo Padre aver contribuito molto a tale incremento. Un solo timore angustiar l'animo dei parenti: che i Salesiani facessero preti i loro figliuoli. Grave piaga questa nelle famiglie signorili! Ciò per altro tornare ai Salesiani di non poco onore, volendo dire che si era persuasi impartirsi da essi un'educazione veramente cristiana. La sanità ottima. Gli studi andare a gonfie vele, avendovisi quattro professori universitari che insegnavano nel liceo: Allievo, Lanfranchi, Bacchialoni e per la matematica Roda. Quanto a disciplina, religione e moralità progredirsi di anno in anno verso il meglio, dacchè il collegio era passato nelle nostre mani.
Don Costamagna, riferendo intorno alle Figlie di Maria Ausiliatrice, delle quali era direttore a Mornese, lodò anzitutto lo spirito fervente e perfetto delle Suore; perfino le educande bramare di farsi religiose ed essere così affezionate a quell'educandato, che neppur una sarebbe voluta uscirne. [27] Delle educande però lamentava il piccolo numero, sia per non essere ancora noto l'Istituto, sia per la difficoltà delle comunicazioni, trattandosi d'un paese fuori di mano, senza ferrovia, anzi senz'omnibus che regolarmente conducesse i viandanti. Invece il numero delle Suore e delle aspiranti aumentare continuamente e raggiungere già l'ottantina; il sig. Don Bosco poi veniva attuando un disegno, che avrebbe attirato numerose anche le educande. La sanità ottima.
Don Rua, dando relazione dell'Oratorio, rilevò negli studenti molta pietà e buon volere; negli artigiani un'alacrità consolante, massime per dir bene le orazioni. Anche tra gli esterni farsi gran bene; esservi quell'anno una particolarità: l'istituzione di scuole serali che attiravano molti giovani grandicelli non solo durante il corso della settimana, ma anche alla domenica. Riguardo ai soci, divenuta obbligatoria per tutti la meditazione, ammirarvisi molta puntualità e diligenza, nonostante la necessità di sforzi per intervenirvi. Farsi questa meditazione dai professi e dagli ascritti separatamente. Essersi anticipato di mezz'ora il levarsi, affinchè se ne avesse tempo, che altrimenti sarebbe stato impossibile trovare per quest'esercizio di pietà lungo la giornata. Gli ascritti inoltre avere studio a parte, scuole e conferenze interamente per loro. Parlò infine del piccolo clero, fiorentissimo; delle diverse compagnie, non meno fiorenti, formate di giovani che appartenevano alle classi più avanzate e che erano segnalati per edificante condotta. Terminò dicendo: “Ringraziamone il Signore. Oremus ad invicem”.
Le ultime osservazioni di Don Rua sopra i soci e i novizi non rechino meraviglia, quasi che fino allora si fosse tirato avanti senza meditazione e senza regolarità. Prima che fossero approvate le Regole, Don Bosco dirigeva, si può dire, individualmente i suoi figli; di esercizi comuni manteneva fra essi quanto solo giudicasse necessario e opportuno. Ma una volta avvenuta l'approvazione, bisognava entrare nella legalità, procedendosi però anche in questo per gradi; giacchè [28] non pochi, attaccatissimi alla persona di Don Bosco e disposti financo a buttarsi per lui nel fuoco, non possedevano ancora un'idea esatta e completa della vita religiosa: il far passare costoro bruscamente da una tal quale libertà all'osservanza totale avrebbe avuto per effetto di alienarli, inducendoli a impronte risoluzioni. Don Bosco non abbandonò mai interamente la sua vecchia tattica, sperimentata da lui vittoriosa durante il periodo preparatorio, quando i principi della vita religiosa si dovevano inoculare senza farne motto, per non suscitare diffidenze o sospetti dentro e fuori dell'Oratorio, usci in tempi ostili quanto mai a religiosi e a Congregazioni religiose; e la tattica era di affezionare i suoi alla Casa, affezionarli all'Opera, sicchè vi si sentissero in famiglia: il resto sarebbe venuto da sè.
L'ora tarda impedì a Don Bosco di prendere la parola per dire sullo stato della Congregazione e chiudere; parlò invece il giorno dopo dinanzi allo stesso uditorio. Il verbale ne riassume così il discorso:
I Signori Direttori han dette tante cose ier sera dei loro Collegi, che noi ne fummo maravigliati. Io voleva anche parlare della Congregazione, affinchè si vedesse a che punto ci troviamo. Non avendolo potuto fare iersera, lo farò oggi. Prima di tutto bisogna che vi comunichi un favore tutto speciale che Sua Santità ha voluto compartirci. Sapete che a San Pier d'Arena si sta fabbricando per accrescere il nostro Ospizio già esistente. Ebbene, conoscendo ciò il Santo Padre e sapendo come non si avevan redditi per ciò, ma si andava avanti con limosine, volle degnarsi di mandare 2000 lire per far proseguir la fabbrica di detto edifizio. Bisogna che glie ne siamo molto grati vedendo che tanto e così paternamente pensa a noi; dobbiamo procurare di mostrarci sempre più degni di tanto Padre, e promulgare fin che possiamo le sue grandezze e le sue prerogative.
Sono stato a far visita ai Collegi nostri e bisogna che vi dica che sono proprio molto contento delle cose come vanno. Prima di tutto li ho trovati pieni di giovani, in sanità e buoni, come vi dissero i rispettivi Direttori. Ma quel che più mi colpì, si fu il modo con cui si lavora dai membri della Congregazione. Il lavoro è immenso e si lavora proprio di cuore, tanto che un solo individuo fa scuola, è assistente, e assiste in refettorio, in dormitorio, conduce a passeggio e non ha un'ora a sua disposizione. La cosa era al punto che, avendo [29] io da far copiare alcune pagine, non si poteva trovare un individuo in libertà che potesse ciò eseguire. Ma più ancora che il lavoro mi piacque il vedere lo spirito con cui si lavorava. Io debbo proprio dire che non si poteva desiderare di più; mi par proprio messo in atto l'ideale che della congregazione io mi era fatto. Poichè oltre al molto lavoro che si fa, c'è lo spirito dell'ubbidienza e d'indifferenza che accompagna ogni atto. Non si ha paura da un professore o da un prete, qualora ne sia il caso, di prestar mano in cucina od a scopare. Siane lodato Iddio; procuriamo di conservare questo spirito e sforziamoci sempre più per vedere se c'è modo di accrescerlo.
Ora che la Congregazione sta organizzandosi, c'è bisogno sempre più che ci facciamo animo a sopportare quelle cose che possono essere disgustose sia per la strettezza del locale, sia per le cose che si trovano non adattate. Io spero che non sia lontano il tempo in cui ogni prete, ogni professore possa avere una comoda cameretta, ben più adattata di quelle che ora ci sono; così pure locali separati per gli Ascritti. Potremo avere bei cameroni, arieggiati e sani. Tuttavia per ora sopportiamo con molta pazienza gl'incomodi presenti.
Altra cosa che desidero è l'introduzione nelle nostre scuole dei classici Cristiani, invece di quelli del Paganesimo. Non potremo farlo tutto in un tratto, ma desidero che per quanto si può si cominci a fare . Io già per me sarei contento se i miei chierici ed i miei preti venissero anche solo a scrivere il latino come lo scriveva un Gerolamo, un Agostino, un Ambrogio, un Leone, e un Sulpizio Severo. Poichè chi vi ha tra gli scolari che possa capire dove stia in sè la bellezza di Cicerone, di Tito Livio? E poi adoperando i primi non s'introdurrebbero nella mente dei giovanetti tante idee strane, inutili e molto pericolose che si trovano sparse ad ogni pagina nei Classici pagani.
A questo scopo si è già cominciata la stampa di tratti scelti nelle Opere di S. Girolamo e spero quanto prima di poter far uscire anche Sulpizio Severo, poi altri. Potremo forse così mettere un riparo ad un male molto grande de' nostri tempi.
Infine Don Bosco fermò l'attenzione dei presenti sulle Missioni d'America. Il verbale prosegue:
Ci arrivarono di questi giorni lettere dall'America, colle quali siamo pregati di andare in quei lontani paesi ad evangelizzare quei popoli. Noi avevam poste delle condizioni e queste condizioni si accettarono. Ora si faranno poi delle pratiche speciali per vedere il quid agendum. Intanto due luoghi ci aspettano colà. La Città di Buenos Ayres e la città di S. Nicolàs de los Arroyos, distante il viaggio di una giornata dalla capitale. Già altre volte s'era parlato di Missioni, così per l'America stessa, che per l'Asia, per l'Africa e per [30] l'Oceania. Ma sembra che questa di Buenos Ayres molto più ci convenga, sia per condizioni speciali, sia per la lingua spagnuola molto più facile che non l'inglese in fiore nella maggior parte degli altri luoghi.
Il verbale qui ci lascia in asso con due “ecc. ecc.”. È facile immaginare la curiosa attenzione, con cui gli uditori in quei primordi della Congregazione seguirono lo svolgersi di questa battuta finale, tanto più che allora per la prima volta il Beato toccava di tale argomento in pubblico. Da Valdocco a Buenos Aires! Ma era cosa da far andare in visibilio!!!
L’ANNO 1875 vide l'origine di un'opera nuova, a cui il Beato Don Bosco si accinse mosso da impulso di zelo sacerdotale e da superne illustrazioni.
Si sa come i tempi corressero avversi alle vocazioni ecclesiastiche. Aberrazioni politiche, scuole laicizzanti, stampa senza freni, vilipendio della Chiesa e de' suoi ministri, disagi economici del clero erano tante cause che avevano contribuito e contribuivano a diradare le file tra gli alunni del Santuario. Per ovviare a sì funesta iattura il Servo di Dio non la perdonava a sacrifizi. Inoltre, vista la piega che prendevano le cose, non si stancava di ripetere che ormai i sacri leviti si dovevano cercare largamente “in mezzo a quelli che maneggiavano la zappa e il martello”[3]. Ma neppur questo poteva bastare; perchè i giovani son sempre giovani, e, nonostante le più solerti cure, quanti di essi, avviati al sacerdozio, si perdono per via! Don Bosco aveva constatato che di essi una minoranza appena raggiungeva la meta.
Che fare adunque? Il bisogno stringeva: procedendosi di quel passo, la scarsità dei preti avrebbe portato la desolazione nella vigna del Signore. Don Bosco, ancora semplice studente di ginnasio, erasi amorevolmente prestato ad aiutare una buona pasta d'uomo che a dispetto dell'età voleva farsi prete, e che grazie a questa carità era riuscito a entrare in seminario, [32] compiervi gli studi e ricevere gli ordini sacri[4]. Di altre vocazioni tardive Don Bosco si occupò anche in seguito, massime nell'Oratorio, dove ammise a frequentare le classi comuni parecchi individui già maturi, desiderosi di entrare nella carriera ecclesiastica. Ebbe agio così di venir constatando che tali soggetti avevano seria applicazione, fervida pietà ed anche buona disposizione a servire i compagni più giovani[5]. Mentre pertanto pregava il Signore che lo illuminasse intorno al modo di dare molti sacerdoti alla Chiesa, ecco balenargli alla mente il pensiero di raccogliere giovani adulti ben disposti, crear loro un regime speciale e prepararli adeguatamente ad ascendere l'altare.
Ruminava fra sè e sè il santo disegno, quando sul principio del '75 gli avvenne cosa che fortemente lo spronò all'impresa. Il racconto fattone da lui stesso dinanzi ai membri del Capitolo Superiore fu messo immediatamente in iscritto, e noi lo riprodurremo ad litteram. Don Bosco disse così:
Un sabbato a sera mi trovavo a confessare in sagrestia ed era distratto. Andava pensando alla scarsità dei preti e delle vocazioni ed al modo di accrescerne il numero. Mi vedeva davanti tanti giovani che venivano a confessarsi, buoni giovani ed innocenti, ma diceva fra me: - Chi sa quanti non riusciranno e quanto tempo ancora ci vuole finchè lo siano coloro che persevereranno; ed il bisogno della Chiesa è pressante.
Stando molto distratto in questo pensiero pur continuando a confessare, mi sembrò trovarmi in mia camera al tavolino a cui son solito lavorare ed avevo il registro tra mano di tutti coloro che erano in casa. E diceva fra me: - Come va questo? Sono qui che confesso in sacrestia, e sono in camera al tavolino. Che io sogni? No; questo è proprio il registro dei giovani, questo è il mio tavolino a cui sono solito lavorare. - Intanto sentii una voce dietro di me che mi disse: - Vuoi sapere il modo di accrescere e presto il numero dei buoni preti? Osserva quel registro, da esso ricaverai quanto è da farsi.
Io osservai, poi dissi: - Questi sono i registri dei giovani di quest'anno e degli anni antecedenti, e non c'è altro. - Stavo molto pensieroso, leggeva nomi, pensava, guardava sotto e sopra, se trovava altro, ma nulla. [33]
Allora dissi tra me: - Sogno io o son desto? Pure sono qui realmente al tavolino, quella voce che ho udito è voce vera. - Ed in un tratto mi volli alzare per vedere chi fosse Colei che mi aveva parlato; e mi alzai realmente. I giovani che si confessavano a me d'intorno, vedendo che mi alzava così in fretta e spaventato, si credettero che mi venisse male; mi sorressero; ed io rassicurandoli che era nulla, continuai a confessare[6].
Finite le confessioni e venuto in mia camera, guardai sul mio tavolino e vi era realmente il registro dei nomi di tutti coloro che sono in casa, ma non trovai altro. Esaminai quel registro, ma non conobbi come da quello potessi ricavare il modo di avere preti, molti preti e presto. Visitai altri registri che avevo in camera per vedere se da quelli potessi ricavar qualche cosa, ma da essi dapprima non ricavai costrutto di sorta. Domandai altri registri a D. Ghivarello; ma tutto fu inutile. Continuando a pensare sempre su questo e facendo passare i registri antichi per obbedire al comando di quella voce misteriosa, osservai che di tanti giovani che intraprendono gli studi nei nostri collegi per darsi poi alla carriera ecclesiastica, appena 15 su 100, cioè neppure 2 su 10 arrivano a mettere l'abito ecclesiastico, allontanati dal Santuario da affari di famiglia, dagli esami liceali, dal mutamento di volontà che sovente accade nell'anno di rettorica. Invece di coloro che vengono già adulti, quasi tutti, cioè 8 su 10, mettono l'abito ecclesiastico ed a ciò riescono con minor tempo e fatiche.
Dissi adunque: - Di costoro sono più sicuro e possono fare più presto; è ciò che cercava. Bisognerà che mi occupi molto in modo speciale di loro e che apra dei collegi espressamente per loro, e che cerchi la maniera di coltivarli in modo speciale. - Ora l'effetto farà poi vedere se quanto avvenne è un sogno od una realtà.
Da quel momento l'idea di aprire collegi, in cui giovanotti non più di primo pelo, chiamati allo stato ecclesiastico, trovassero un corso di studi accelerato e fatto per loro, prese corpo, mutandosi in fermo proposito. Un sogno chiarificatore avuto a Roma il 15 marzo era destinato, pare, a diradargli le ombre durante il cammino. Lo narrò ivi in casa Sigismondi, a tavola, presente il suo compagno di viaggio, il segretario Don Berto, che ce ne ha trasmessa la relazione. Il Servo di Dio parlò così: [34] Questa notte scorsa potei riposar poco. Feci un sogno che mi disturbò molto ed è questo:
Sembrommi di trovarmi in un giardino vicino ad una pianta di frutta così grosse che facevano meraviglia. Quella pianta ne era molto carica ed erano frutti di tre qualità: Fichi, pesche e pere. Ma ecco che ad un tratto si levò un impetuoso vento e si mise a grandinar forte sulle mie spalle una grossa grandine mista a sassi. Allora cercai di ritirarmi; ma comparve uno che mi disse: - Presto, cogli! - E cercai quindi di un canestro, ma era troppo piccolo, per cui l'altro mi sgridò dicendomi: - Prendine uno più grande. - E lo cambiai: ma appena ebbi colto due o tre di quelle frutta, subito il canestro restò pieno. L'altro allora mi sgridò di nuovo, dicendomi di prendere un canestro più grande ancora: e lo trovai, e l'altro mi soggiunse: - Presto, se no la grandine guasta tutto. - Allora mi posi a cogliere. Ma quale fu la mia meraviglia, allora che colsi alcuni fichi di straordinaria grandezza e mi avvidi che erano marci da una parte. Lo sconosciuto allora si pose a gridare: - Presto, scegli! - Mi misi allora a scegliere i buoni e ne feci tre scompartimenti nel canestro: da una parte misi i fichi, dall'altra le pesche ed in mezzo le pere, ma quelle frutta, quei fichi, quelle pesche, quelle pere avevano una grossezza tale (erano grossi più di due pugni di un uomo), che io non poteva saziarmi di contemplarle, tanto erano grosse e belle. Ed allora lo sconosciuto mi disse: - I fichi sono pei Vescovi, le pere sono per te e le pesche per l'America. - Detto questo, si mise a battere le mani dicendo: Coraggio, bravo, bravo, bene, bravo! E scomparve.
Io mi sono svegliato e mi restò così impresso questo sogno che non posso più togliermelo dalla mente.
Non ci consta, che Don Bosco abbia messo subito questo sogno in relazione con l'Opera allora da lui tanto vagheggiata; ma nel corso degli avvenimenti emerse sempre più l'evidenza del rapporto. Buona scelta ci voleva, massime sul principio, affinchè soggetti bacati non mandassero a male ogni cosa. Il canestro grande che contenesse molto, significava l'ampiezza del locale destinato allo scopo; i fichi per i vescovi erano giovani per i loro seminari, le pesche per l'America i missionari salesiani, le pere del mezzo i confratelli per la sede centrale della Congregazione. E la grandine di sassi che gli ammaccavano le spalle? Gravi contrarietà cascategli addosso dall'alto, specialmente da parte di due Ordinari, dei quali si conservano anche lettere mandate a Roma per impedire l'approvazione dell'Opera. [35] Opera fu detta, e non collegio o istituto di Maria Ausiliatrice, perchè, prevedendosi che il massimo contingente si sarebbe reclutato in famiglie povere, bisognava assicurare l'istituzione appoggiandola a un'associazione, i cui membri si obbligassero a concorrere con elemosine o con altri mezzi al mantenimento dei giovani e alle spese occorrenti per i loro studi.
Nella sua andata a Roma, di cui parleremo più avanti, il Beato espose a Pio IX le proprie intenzioni circa quest'Opera; sul quale tema “ci siamo trattenuti molto”, dirà egli il 14 aprile in un'adunanza di superiori maggiori e di direttori, quando presenterà loro il regolamento stampato pochi giorni innanzi nella tipografia dell'Oratorio. La cosa piacque tanto al Sommo Pontefice, che gli manifestò il desiderio di commendarla solennemente, solo gli raccomandò che la portasse prima a conoscenza di alcuni vescovi per averne l'approvazione, sicchè nel Breve pontificio di collaudazione, si potessero di lì pigliare le mosse. Il Santo Padre volle anche sapere come fossegli venuta quell'idea. Don Bosco tutto gli espose, anche il sogno riferito sopra; dopo dì che il Papa gl'ingiunse di ripeterne il racconto ai superiori della Congregazione. Don Bosco obbedì nella Circostanza or ora accennata.
Il regolamento, prima che se ne desse lettura nella suddetta assemblea, era già stato da lui spedito a una diecina di vescovi con i chiarimenti opportuni. Sul frontispizio vi stava il titolo: Opera di Maria Ausiliatrice per le vocazioni allo stato ecclesiastico. Vi seguiva il motto evangelico su l'abbondanza della messe e la scarsità degli operai (Luc., X, 2). Il contenuto, dopo un modesto ed efficace preambolo intorno alle ragioni dell'Opera, si divideva in quattro parti: Accettazione (dai 16 ai 30 anni), Mezzi (la pietà dei fedeli), Osservazione (motivo della denominazione e nessun danno ad altre opere già esistenti), Vantaggi spirituali[7]. [36]
Tale regolamento non era destinato al pubblico; perciò non occorreva il visto della Curia torinese. D'altra parte Don Bosco, sia per tastare il terreno, sia per evitare probabili difficoltà, ne spedì copia soltanto ai vescovi subalpini benevoli, cioè a tutti meno due. Il regolamento uscì poi ai primi di agosto nel 2° numero del Bibliofilo, periodichetto che preluse da lungi al Bollettino Salesiano, ma che per evitare le remore della revisione ecclesiastica torinese, si stampava fuori della diocesi[8].
Fra il 12 e il 18 aprile Don Bosco ebbe la consolazione di ricevere sette commendatizie, cioè da Albenga, Vigevano, Acqui, Alessandria, Tortona, Casale, Genova, di cui quattro rimesse a lui e tre inviate direttamente a Roma. Senza por tempo in mezzo le spedì al card. Berardi con la seguente lettera:
Quando occorse la festa di S. Giuseppe, non ho potuto dare all'E. V. il segno di gratitudine che io desiderava, come tributo unico pel tanto bene che ci fa.
Dimani è il patrocinio dello stesso Santo, ed io La prego a voler gradire un servizio religioso, fatto secondo la pia di Lei intenzione. Celebreremo la Messa all'altare di Maria Ausiliatrice ed i nostri giovanetti faranno la loro comunione con particolari preghiere. È poco per noi, ma speriamo che Dio compenserà tutto coll'abbondanza delle sue grazie e delle sue benedizioni.
Un'intenzione particolare sarà fatta per la Sig. Suocera e Madre di V. E.
Riceverà qui unite le commendatizie del Vescovo di Casale, di Alessandria, di Vigevano, di Albenga: quella di Acqui fu spedita come mi si scrive, direttamente a V. E.
Ne avrà altre fra due giorni. Vi fu un po' di ritardo, perchè ho dovuto far ogni cosa stampare, affinchè si potesse più facilmente leggere.
Siccome i due progetti sono distinti l'uno dall'altro, così prego V. E. di supplicare che le indulgenze e la benedizione del S. Padre [37] siano appropriate a ciascun progetto per poterle comunicare secondo le opportunità.
Entro la settimana spero poterle scrivere di nuovo e così porgerle novella occasione di esercitare la sua carità.
Che la bontà del Signore la conservi a lunghi anni di vita felice, e chiedendo rispettosamente la sua s. benedizione, ho l'onore di potermi professare, baciandole la sacra porpora
Nell'attesa che finissero di arrivargli le commendatizie dei vescovi e nell'intento di acquistare subito maggior credito all'Opera e darle così più vigoroso impulso, Don Bosco, per il tramite del card. Berardi e di mons. Vitelleschi, le implorò una benedizione speciale dal Santo Padre[9], benedizione accordatagli dal Papa “col massimo piacere e di tutto cuore”, e comunicatagli anche con vera cordialità dai due Prelati[10]. L'arcivescovo di Seleucia particolarmente si esprimeva così: “Fummo in due ad implorare per Lei quella speciale benedizione del S. Padre che desiderava: il card. Berardi e me; però io fui il primo e quindi la prima benedizione l'abbia per mio mezzo, e di vero cuore gliela trasmetto con i voti più fervidi e sinceri, perchè Iddio benedica le opere tutte della sua Congregazione”.
Entrambi pure gl'insigni corrispondenti si accordavano nel fargli una raccomandazione. Il primo diceva: “Ponga dunque Ella mano al lavoro per la relativa esecuzione, ma il faccia con tal prudenza e circospezione da evitare qualche ulteriore amarezza da parte del consaputo prelato”. E di rincalzo e senz'ambagi il secondo: “Nel mio nome particolare poi, e per quel vero interesse che prendo pel suo Istituto, accetti una mia insinuazione che è quella di considerare bene se l'opera per le vocazioni allo stato ecclesiastico fosse meglio [38] impiantarla fuori della diocesi di Torino; tutti i precedenti che esistono ancora potrebbero creargli degli imbarazzi, degli ostacoli, e delle opposizioni; già bene Ella m'intende; rifletta dunque coram Domino quid magis expediat. Consideri queste mie parole come una privata mia riflessione e non in altro aspetto”.
I fatti non tardarono a giustificare le previsioni. Don Bosco, avuta la benedizione del Papa e le commendatizie di 12 vescovi, si credette in diritto di dare pubblicità al suo disegno per mezzo della stampa. A tal fine rimaneggiò il programma già noto, ampliando, precisando meglio, dando notizia della benedizione pontificia e accennando a indulgenze da comunicarsi in seguito[11]; indi si rivolse al revisore ecclesiastico per il non osta, con preghiera di metterne a parte anche l'Ordinario. La risposta si fece aspettare otto giorni, e quale risposta! Doversi egli in affare di tanta importanza dirigere personalmente a Monsignore; sospendesse intanto ogni pubblicazione in proposito, prevedendosi da S. E la necessità d'interrogare i vescovi delle due province ecclesiastiche di Torino e di Vercelli e forse anche di quelle del Genovesato[12].
Tornatogli vano il tentativo di avere udienza, Don Bosco insistette da capo per lettera, spiegando che l'Opera di Maria Ausiliatrice non costituiva una novità, ma era semplice sviluppo e regolare sistemazione di cosa esistente già nell'Oratorio in forma rudimentale nè contrastante alla condizione fattagli dall'approvazione delle Regole; occorrergli soltanto il permesso di stampa. Nella replica della Curia si ribadì il chiodo di prima, con l'aggiunta che si rileverà dalla lettera seguente:
Ti prego di dire a S. E. Rev.ma nostro Arcivescovo, che finora non ho ancora nè decreto nè rescritto per le indulgenze, in favore della progettata Opera di Maria A. Il S. Padre le ha già concesse, [39] ma desidera che non si comunichi il favore fino a tanto che l'Opera sia cominciata, e si comunichi soltanto a quelli che ci hanno preso parte. Così disse di presenza ed anche per mezzo di Mons. Vitelleschi: ma prima di stampare qualsiasi cosa mi farò stretto dovere di presentarlo a S. E. Rev.ma per qualunque osservazione o modificazione giudicasse opportuna.
Mi farai vero piacere se farai gradire i miei umili ossequi alla prelodata E. Sua, mentre ti ringrazio e ti saluto nel Signore dicendomi
Mentre durava questo carteggio, l'Ordinario aveva stesa e andava diramando una sua circolare a tutti i vescovi delle province ecclesiastiche di Torino, di Vercelli e di Genova, per indurli a sottoscrivere una protesta da inviare al Santo Padre contro l'Opera di Maria Ausiliatrice. Vi si diceva doversi temere che ne venisse danno ai piccoli Seminari ed anche. al Clero di ciascuna diocesi; invitarsi infatti i fedeli a concorrervi con elemosine ed offerte, sottratte così ai seminari diocesani, ed essere naturale che i migliori giovani di ciascuna diocesi fossero poi allettati alla Congregazione di Don Bosco. Sè non essere alieno dall'approvare il progetto, qualora Don Bosco promettesse di non ricevere giovani inferiori ai 18 anni e di non educarli altrimenti che secondo un metodo da concertarsi con esso Ordinario, e a patto che questi con i due vescovi più anziani della provincia avesse pieno diritto di visitare e ispezionare il nuovo collegio, procurando che vi si ottenesse lo scopo senza danneggiare i seminari.
Aveva ragione il Vescovo di Susa di rispondergli che questo timore per i seminari veniva escluso dall'articolo 5° del programma, dove si lasciavano liberi gli allievi di rientrare nelle rispettive diocesi, terminato il corso degli studi. Quanto poi al divisamento di sottoporre l'Istituto alla giurisdizione ordinaria, “mi perdoni, Eccellenza, continuava il Vescovo, se ardisco manifestarle i miei dubbi, se nelle eccezionali condizioni in cui si trova il sig. Don Bosco, possa convenire a noi [40] Vescovi di menomamente attentare ai privilegi di esenzione statigli accordati dalla Santa Sede. Per quanto il medesimo possa essersi mostrato proclive ad accettare modificazioni che gli venissero suggerite dall'E. V., io dubito assai ch'egli sia per indursi ad accettarne alcuna per cui venisse alterata la legittima sua esenzione, menomata la sua indipendenza. In tal caso egli si troverebbe ridotto all'alternativa di procedere oltre non ostanti le opposizioni di V. E. ed allora ne scapiterebbe Ella stessa; e frattanto non si andrebbe all'incontro dei pericoli da Lei temuti; oppure il Don Bosco rinuncierebbe affatto all'attuazione di quel suo progetto, ed in tal caso ne scapiterebbe certamente la Chiesa, la quale rimarrebbe priva dei vantaggi che altrimenti ne riceverebbe. Ora quello che deve starci maggiormente a cuore si è appunto il conseguimento di cotesti vantaggi[13]”.
Ma l'Ordinario non erasi limitato a scrivere la sua circolare; aveva per di più scritto al card. Bizzarri, Prefetto della Congregazione dei Vescovi e Regolari, una lunga lettera, che è pregio dell'opera riferire integralmente.
Il Signore D. Giovanni Bosco, fondatore e Superiore della Congregazione di S. Francesco di Sales in Torino, ieri mandò alla revisione ecclesiastica uno stampato, contenente il progetto di un Collegio da aprirsi dalla sua Congregazione per tutti i giovani che mostrano inclinazione allo stato ecclesiastico, affine di prepararli agli studi della filosofia e della Teologia, e quindi porli nelle congregazioni religiose o mandarli nelle missioni estere, o rimandarli alle loro diocesi perchè siano aggregati al rispettivo Clero diocesano. Oltre all'invito generale che si intende fare ai giovani di qualunque sia diocesi, si farebbe anche un appello generale ai fedeli di qualunque sia diocesi perchè vengano in aiuto del nuovo Collegio con una tenue limosina per ciascuno. Il Collegio si chiamerebbe Opera di Maria Ausiliatrice, e si dice che è raccomandato e benedetto dal S. Padre. Ora questo Collegio sarebbe o in tutto o in parte la rovina dei piccoli Seminarii diocesani, imperocchè i Vescovi si vedrebbero gran parte delle limosine dei loro diocesani affluire al Collegio di D. Bosco, e si [41] vedrebbero gran numero di giovanetti loro diocesani allettati dai vantaggi pecuniarii che quivi troverebbero, lasciare il piccolo Seminario della propria diocesi per recarsi al Seminario della suddetta Congregazione. Inoltre D. Bosco farebbe in modo di trarre a sè i migliori soggetti, ed i meno idonei sarebbero quelli che ritornerebbero in diocesi.
Quindi io sono certissimo che i Vescovi delle provincie di Torino, Vercelli e Genova non appena sapranno di questo progetto ne muoveranno lagnanze come di un gran attentato agli interessi più vitali delle loro rispettive diocesi. E in quanto alla mia Diocesi, dichiaro che questo progetto sarebbe esiziale al piccolo Seminario che io con gravi dispendii sto per aprire in Giaveno, città della mia giurisdizione, fra due mesi, e quindi mi trovo nella dura necessità di reclamare e prepararmi all'uso di tutti i mezzi che ho in mano per impedire questa specie di Collegio Cosmopolita che D. Bosco vorrebbe aprire in Torino.
Certissimamente è opera santissima e necessaria il preparare giovanetti per la carriera ecclesiastica e per le missioni estere, e sotto questo aspetto ella è benedetta e raccomandata dal S. Padre; ma in Piemonte ciascuno dei Vescovi da alcuni anni in qua ha posto mano energica e sapiente a quest'opera, aprendo ciascuno il loro piccolo Seminario, ove la benedizione di Dio si mostra visibile, sicchè fra pochi anni, se qualche nuovo turbine non viene a devastarli, se ne raccoglieranno buoni frutti.
In Torino poi esiste il Collegio delle Scuole apostoliche fondato e governato già da alcuni anni dal Can. Ortalda, Direttore dell'Opera della Propagazione della Fede, il quale con immenso dispendio faticò e fatica a mantenerlo: e vi ha dentro un centinaio di giovani.
Vi ha ancora un Collegio dentro il celebre Istituto del Canonico Giuseppe Cottolengo, dove oltre a 60 giovani delle varie diocesi sono mantenuti gratuitamente, e ricevono tale educazione religiosa, morale, letteraria che formano l'ammirazione di chi li conosce e riescono poscia ottimi e specchiatissimi ecclesiastici.
Quindi il progettato Collegio di D. Bosco in Piemonte sarebbe per una parte inutile, e per l'altra dannoso.
Perciò io non posso dare il mio assenso a tale Collegio: e siccome non mi consta finora, che il S. Padre abbia sottratto le Istituzioni di D. Bosco dalla giurisdizione vescovile, così mi sembra di avere l'autorità sufficiente per impedirne la erezione.
Nullameno, standomi a cuore di evitare conflitti e di non fornire materia ai giornali cattivi da sparlare del Clero, prego caldamente Vostra Eminenza, e per essa la S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, a ordinare immediatamente a D. Bosco che desista dal progettato Collegio, fino a che i Vescovi delle provincie ecclesiastiche di Torino, Vercelli e Genova, esaminata la cosa, proferiscano il loro giudizio. [42] Si tratta di cosa gravissima, a cui non provvedendosi immediatamente potrebbero venirne conseguenze deplorabili; prego quindi, sia nell'interesse della mia diocesi, sia in quello delle diocesi de' miei suffraganei, V. Eminenza a ordinare a D. Bosco che sospenda la esecuzione del suo progetto.
Passo intanto a baciarle il lembo della sacra Porpora e a dichiararmi colla massima osservanza
LORENZO, Arcivescovo di Torino.
Il 7 agosto era la volta dell'Ordinario Eporediese, la cui prolissa requisitoria, indirizzata al medesimo Cardinale, svolgeva animatamente questa tesi catastrofica: “Lo stabilire in Torino un'Opera di Maria Ausiliatrice per le vocazioni dello stato Ecclesiastico (sic) da qualunque luogo d'Italia provengano, sarebbe di grave pregiudizio alla giurisdizione di altri Ordinarii, di gravissimo danno ai piccoli e grandi seminarii, all'opera del riscatto dei chierici dalla leva militare[14] e concorrerebbe a preparare la soppressione di molte diocesi[15]”. La lettera finiva così: “Con vivissima istanza prego V. E. Rev. di voler degnarsi di prendere in considerazione la sincera narrazione dei lamentati mali e danni, presentiti eziandio dal presente Arcivescovo di Torino; di disporre quindi che non abbia effetto quell'opera di Maria Ausiliatrice (che nemmeno l'intitola più Santissima); e di provvedere altresì agli intrigati sconcerti che fanno stupore nei saggi ecclesiastici, ed anche in personaggi secolari che vengono a conoscerli”.
Intanto l'approssimarsi del nuovo anno scolastico esigeva che si desse alle stampe senza indugio il programma, per diffonderlo in tempo; onde il Beato mandava e rimandava il [43] capo della tipografia a ritirare presso la Curia il sospirato permesso. Tali insistenze non solo non approdavano a nulla, ma attirarono a Don Bosco un forte richiamo, nel quale faceva pure capolino una certa ansietà di conoscere se egli avesse “ricevuto dalla Santa Sede, o da alcuno dei suoi organi, ordine o esortazione di mettersi in accordo coll'Arcivescovo di Torino[16]”.
Il Servo di Dio rispose a volta di corriere:
Ti prego di dire a S. E. Rev.ma, Mons. Arcivescovo che io non ho ricevuto alcun ordine nè esortazione dalla S. Sede nè da alcuno de' suoi organi di mettermi d'accordo coll'Arcivescovo di Torino intorno all'opera di Maria A. Se mi fosse anche solo esternato un desiderio a questo riguardo, l'avrei fedelmente eseguito, siccome ho sempre studiato di fare. La ragione è semplicemente questa. L'opera di cui si tratta essendo indirizzata al bene generale della Chiesa, non sembra potermi legare con un Ordinario, cui potrebbe riferirsi talvolta per qualche allievo, talvolta per nissuno.
Se giudichi puoi anche dire a S. E. che per non più aumentare disturbi a chi vivamente desidero di diminuirli, ho deliberato di fare l'esperimento del noto progetto in altra Diocesi.
Colla massima stima ho l'onore di professarmi
Nello stesso giorno egli spedì un'altra lettera a più alto luogo. Dalle misteriose parole surriferite come non intuire che cosa passasse dietro le quinte e che noi già conosciamo? Scrisse dunque al Cardinal Antonelli, Segretario di Stato:
Assai volentieri avrei omesso di parlare a V. E. Rev.ma di un affare che certamente aumenta le già troppo grandi sue occupazioni; ma essendo assicurato che venne già deferito al medesimo S. Padre, giudico opportuno di esporre in breve la realtà delle cose, come schiarimento di questa benedetta vertenza, [44] Forse la E. V. Rev.ma ricorderà, almeno in complesso, il progetto notato, descritto nel foglio a parte che ha lo scopo fondamentale di mitigare per quanto si può la trista conseguenza della leva militare sui chierici. Ne feci eziandio parola col S. Padre che mi consigliò dargli tutto per iscritto, come feci; e la S. S. incaricava l'E.mo Card. Berardi a far relazione, che tornò di gradimento al S. Padre. Benedicendo lo scopo lo commendò, esortandomi, e facendomi ancor più tardi esortare, a porlo quanto prima in esecuzione.
Giunto in Torino l'ho fatto vedere da dodici Vescovi che tutti lo commendarono e lo appoggiarono. Prima di effettuare la stampa fu ogni cosa portata al Revisore ecclesiastico con preghiera di darne pure comunicazione all'Arcivescovo nostro. Questi protrasse la risposta otto giorni, dopo cui rispondeva che in affari di quella importanza voleva consultare i vescovi della provincia di Torino, Genova, Vercelli. Non potendo essere ammesso all'udienza, pregava il segretario a far notare che questa non era cosa nuova, ma una semplice ampliazione ed una regolarità di quanto si fa da molti anni in questa nostra casa: nè interessare alcuna diocesi in particolare, ma il bene della Chiesa in genere, e che essendo cosa commendata e benedetta da tutti quei vescovi che ne ebbero conoscenza e dallo stesso S. Padre, parevami doversi la domanda ridurre ad un permesso di stampa. Tutto invano. M si fece dare la stessa risposta. Nelle circolari scritte ai Vescovi di dette provincie si mettevano in campo varie ragioni per muovere quegli Ordinarii a sottoscrivere una protesta al S. Padre contro a questo progetto. Le ragioni addotte non sono in tutte le stesse; le principali sono: D. Bosco fissa la pensione a fr. 24 mensili, ma riceverà allievi anche con minore mesata e forse gratuitamente; D. Bosco dice di riceverli soltanto dai 16 ai 30, e poi li riceverà anche più giovani con detrimento dei seminarii. Aggiunge poi che questo progetto sostenendosi colla carità dei fedeli sarebbe dannoso ai Seminari diocesani.
Credo non occorrano osservazioni.
Questo progetto è diretto al bene di tutte le diocesi e se i giovanetti si accolgono gratuitamente è maggior vantaggio alle medesime. So che parecchi vescovi hanno risposto che quando una cosa è comandata dal S. Padre non è già caso di opporre, ma di approvare, appoggiare e promuovere; altri risposero che ciascun vescovo in sua diocesi è libero nel suo ministero ed è tenuto di seguire le norme della S. Sede, ma non protestarvi contro. Aggiunge che qualora egli dovesse ammettere quest'opera vorrebbe fosse totalmente da lui dipendente. Al che fu risposto da un vescovo: Il voler mettere condizioni ai vescovi di altra diocesi è invadere la giurisdizione.
Le cose sono in questo stato. Io ho carta, uomini, stampa preparata e l'autorità ecclesiastica ha fermato tutto. Nè fissa tempo per risolvere; alle mie lettere non risponde, all'udienza non mi [45] ammette. Ogni ritardo è dannoso; e anche infruttuosa la spesa e la fatica.
In questo stato di cose io avrei risoluto di troncare ogni difficoltà e cominciar l'opera nella diocesi di qualcuno dei molti Vescovi, che l'hanno commendata e che ne fanno dimanda, offrendo appoggio morale e materiale. È vero che ciò mi porterebbe non leggiero disturbo di personale e di spesa, ma si avrebbe tranquillità.
Prima però di modificare un progetto benedetto dal S. Padre io fo all'E. V. R.ma umili preghiere di considerare un momento lo stato delle cose, e se mai le piacesse, tenerne parola col S. Padre, quindi farmi scrivere alcune righe per mia norma.
Fui assicurato che l'E. V. non gode molta salute; mi rincresce assai; noi continueremo a far comuni e private preghiere per la conservazione della preziosa sua sanità a generale vantaggio della Chiesa e in particolare della Congregazione salesiana, che ha sempre avuto nella E. V. un padre benevolo, un insigne benefattore.
Colla più profonda gratitudine reputo al massimo onore di baciarle la sacra Porpora e di professarmi
La replica dell'Ordinario alla sua del giorno 8 rincarava la dose. Tutte le trattative di Don Bosco con la Curia sembrava che sortissero l'effetto di aggiungere legna al fuoco, sicchè a un certo punto di detta replica Don Bosco postillò in margine: “Guai se si fa ancora un passo![17]”. Il “guai” Vuol dire: “Poveri noi! È insomma un guaio temuto da Don Bosco per sè. Il “passo” è un nuovo tentativo per istrappare il beneplacito arcivescovile.
Quando vide che da quella parte l'affare dell'approvazione ecclesiastica era confinato in un viottolo cieco, Don Bosco si accordò per la stampa con monsignor Manacorda, Vescovo di Fossano[18]. Se non che un formale divieto gl'interdisse la divulgazione di qualsiasi “invito o appello o programma” nella diocesi torinese, fino a che ci fosse “una carta autentica, [46] nella quale il Sommo Pontefice nella pienezza della sua autorità, derogando a qualunque disposizione del Ius Canonico in contrario, concedesse al sig. Don Bosco riguardo alla detta opera, autorità assoluta indipendente da quella dei vescovi”[19]. Contemporaneamente s'ingiungeva al direttore dell'Unità Cattolica di non stampare più nulla che riguardasse l'Opera.
Quanto poi al primo esperimento, Don Bosco avrebbe avuto intenzione di farlo in un locale apposito sul lato sinistro della Chiesa; ma per troncare una buona volta indugi e litigi, concertatosi con l'Arcivescovo di Genova, decise di cominciare la sua Opera a San Pier d'Arena, dov'era già l'Ospizio di S. Vincenzo de' Paoli. Secondo il programma, là si dovevano fare le domande. Del che scrivendo a mons. Vitelleschi esclamava: “Avessi un po' seguito il suo consiglio per l'Opera di Maria A. e cominciarla in altra Diocesi, avrei guadagnato un quaterno”[20].
La calma sovrana del Servo di Dio durante questa fastidiosa vertenza non fu mai vinta; il che parrà tanto più mirabile, se si pensi che tale questione non era sola, ma s'intrecciava con altre ancor più gravi, e il tutto fra una caterva d'affari e di occupazioni bastevoli ad assorbire l'attività d'un uomo dei più intraprendenti. Della quale imperturbabile serenità continua a darci prova la sua corrispondenza epistolare. Ecco la risposta di Don Bosco a una lettera perentoria dell'11 agosto, poc'anzi da noi citata:
Sempre carissimo Sig. Teologo,
Come ti aveva scritto nella mia lettera del giorno 8 corrente mese, nel vivo desiderio di non solamente dare, ma per quanto è in me diminuire i disturbi al mio Superiore Ecclesiastico, ho pensato di trasferire altrove, se avrà luogo, l'impianto del progetto di preparare giovani grandicelli nella carriera Ecclesiastica. Tale è pure il consiglio datomi da un persona altolocata che ama assai il nostro Arcivescovo ed è anche assai benevola alla nostra povera Congregazione. [47]
Tu mi accenni a due condizioni[21] che lodevoli in se stesse distruggerebbero intieramente l'autonomia dell'Opera, che cesserebbe di essere generale, ma diverrebbe Diocesana. Altronde io dovrei di nuovo rimandarlo al Papa, che, come già fece, affiderebe il Progetto ad una commissione, dopo la cui relazione si pronuncierebbe se debba concedere le promesse indulgenze. La cosa andrebbe certamente a lungo, tanto, che ho già ricevuto lettera di qualche Vescovo che mi proibisce l'introduzione di tale opera in sua Diocesi, qualora fosse posta sotto la Direzione e l'Amministrazione di altro Diocesano Ordinario. Mi rincresce assai, ma il mio progetto non è stato inteso; sè non fossi costretto a parlare e scrivere sempre per mezzo d'intermediario le cose sarebbonsi certamente meglio intese. Chi volesse un'opera Diocesana è libero all'Ordinario di proporla, ammetterla, modificarla a piacimento; ma qui è cosa generale che ha per iscopo di raccogliere alquanti giovani. Di una Diocesi saranno due o tre, di altra nissuno. Può darsi che della nostra Diocesi passino più anni senza che ce ne sia uno. Opera che tende venire in aiuto degli Ordini Religiosi, delle Missioni ed anche crearne qualcheduno da presentare agli Ordinarii, senza dare ai medesimi alcun disturbo nè materiale nè morale. Tu mi scrivi che non mi sarebbe permesso nè stampa, nè diffusione del Progetto o Programma, nè l'appello alla beneficenza. Finora non si è fatto ciò nei nostri paesi. Io sono sempre stato persuaso tali documenti potessero stamparsi colla sola revisione ecclesiastica, e che tali questue potessero effettuarsi, giacchè non entrano in alcun modo in cose di giurisdizione ecclesiastica. Così ho fatto da 35 anni ad oggi. Tuttavia non pubblicherò niente in Diocesi, e se ne sarà caso dimanderò il voluto permesso, il quale se mi è negato, andrò a questuare altrove. Mi rincresce assai che in tutto quello che si va dicendo di me non si faccia mai parola degli sforzi fatti in passato nel presente per procacciare giovani al Seminario Torinese[22]: [48] di tutto quello che si adoprano di fare i Salesiani nella predicazione, nei Catechismi, e in altro che loro sia possibile; senza che l'Ordinario abbia dovuto sopportare alcun gravame. E adesso che come giubilazione si aspetterebbe speciale appoggio e benevolenza, invece si pone un incaglio grave; incaglio che di tanti Vescovi cui è stato manifestato il Progetto, niuno ha nemmeno ideato di opporre.
Abbi pazienza, leggi come puoi questa lettera, ed assicurati che io non ho altro scopo che di fare un po' di bene in quell'Opera, che Monsignore Nostro Arcivescovo disse e scrisse più volte: Avere con sè il dito di Dio, e che è una di quelle opere che deve aiutare chi può. Abbimi sempre con perfetta stima
Alla stessa calma rassegnata s'ispira una memoria diretta il 24 agosto a mons. Vitelleschi. Il Segretario della Congregazione dei Vescovi e Regolari, notificandogli che aveva dovuto dar avviso al Santo Padre dei “reclami dell'Arcivescovo di Torino e del Vescovo d'Ivrea, contro il progetto del nuovo collegio”, osservava da ultimo: Qualche cosa dovrà la Sacra Congregazione rispondere[23]”. Parole che equivalevano a una richiesta di spiegazioni. Don Bosco le mandò da Mornese.
Mi rincresce non poco che si voglia dare all'Opera di Maria Ausiliatrice un senso ed una importanza cui niuno intendeva.
Eccole un cenno storico. Un giorno lamentava col S. Padre la dura posizione in cui sarebbesi trovato il Clero in faccia alla futura [49] leva militare: ed il discorso si portò sul vantaggio provato intorno alla coltura dei più grandicelli, dei quali erasi già fatto esperimento.
Il S. Padre ebbe la bontà di incoraggiarmi, ed io ne estesi il progetto, che venne di poi presentato e che si degnò di benedire.
Qui non trattavasi di aprire nuovo collegio, ma solo di raccogliere tale categoria di allievi in alcuna delle nostre case. Ciò si faceva già in piccolo. Si desiderava farlo un po' più in grande. Affinchè non si avessero lamenti dall'Arcivescovo, si presentò il Programma alla revisione ecclesiastica. L'Arcv.o non rispose, ma tenne otto giorni vagamente sospesa la risposta. In quel tempo scrisse a Roma, indirizzò una Circolare ai Vescovi delle Provincie Ecclesiastiche di Genova, di Vercelli e di Torino e li invitava tutti a firmarsi ad uno scritto come per protestare contro al Progetto presso la S. Sede.
In generale i vescovi, per quanto mi è noto, scrissero presso a poco tutti in questo senso. “Quando una cosa è benedetta dal S. Padre non è più caso di approvare o disapprovare; ma di adoperarsi perchè i suoi santi pensieri sortano il loro effetto”. Scrisse poi un'altra e poi ancora un'altra circolare in cui metteva le seguenti condizioni: “Gli allievi dovessero essere dai 20 ai 30 anni sotto la dipendenza dell'Arciv.vo di Torino”. Dispiacque questa ultima e più Vescovi mi scrissero severamente di non accettare questa condizione, perchè in questo modo sarebbesi da questo Ordinario comandato in Diocesi altrui.
Ho provato a scrivere, ma non riceveva che risposte dal suo Segretario che non venivano ad alcuna conclusione; tentai di parlare in persona all'Arcivescovo e malgrado ore ed ore di anticamera mi fu infine risposto che comunicassi i miei pensieri al Suo Segretario; egli non potermi dare un'udienza. Allora incaricai costui di significare al suo principale che io non intendeva di fare cosa nuova, ma soltanto dare maggiore sviluppo a quanto già si faceva; non essere questa opera Diocesana, ma generale, e potersi dare che nemmeno uno di sua diocesi venisse a far parte dei novelli allievi; nè volerli far preti; ma unicamente sciegliere buoni secolari, istruirli nella scienza letteraria, e quando volessero deliberare di loro vocazione lasciarli liberi di ritornare nella propria Diocesi, entrare in religione, o darsi alle missioni straniere. - Quindi gli diedi per iscritto. “Desiderando di diminuire il disturbo al mio Superiore Ecclesiastico, avrei dato cominciamento all'Opera progettata in altra diocesi dove ne era stato richiesto; che perciò credeva ogni timore tolto ed ogni vertenza ultimata”.
Replicò il Segretario che l'Arcivescovo mi avrebbe impedito la stampa del progetto in sua diocesi, la diffusione del relativo programma, ogni questua etc. etc .....
Risposi che mi sarei uniformato intieramente a queste ordinazioni.
Ed ora avrei deliberato di fare esperimento dell'Opera di Maria A. [50] nella casa di Sampierdarena diocesi di Genova, dove ho il pieno gradimento di quell'Arcivescovo.
Altri Vescovi chiedono che si vada pure ad aprire in loro diocesi e spero che ciò si possa fare negli anni successivi.
Io credo che in questo modo l'Arcivescovo di Torino non abbia più di che lagnarsi, e se Egli vuole, ponga Egli stesso la mano all'opera, si accordi col Vescovo d'Ivrea, ed io sono ben lieto che essi facciano in loro diocesi, ciò che non giudicano opportuno che altri faccia.
E così moltiplicati gli sforzi e le braccia, più felice sarà l'esito dell'impresa.
Se mai V. E. ha qualche consiglio da darmi, io lo riceverò come vero atto di carità; imperciocchè sebbene sia questa un'opera la quale è secondo i divini voleri, l'esecuzione ha bisogno di essere regolata da persone di somma prudenza, quali appunto sarebbero i suggerimenti della E. V.
Scrivo questa lettera dalla Casa di Maria Ausiliatrice, dove avvi una muta di Esercizi Spirituali, di 150 Signore, dirette dalle monache per quanto riguarda la disciplina e la parte materiale. Queste sono le figlie di Maria, di cui si è già qualche volta parlato, che aumentano assai; hanno già le scuole di un paese, un educandato, due case in altre diocesi. Mornese è Diocesi di Acqui, e il Vescovo Diocesano Mons. Sciandra, ci fa veramente da padre, e ci dirige in ogni cosa.
Si degni infine di dar benigno compatimento ai replicati disturbi che le cagiono e mi permetta che colla massima gratitudine mi professi
PS. Per non urtare in alcuna cosa il progetto e programma dell'Opera di Maria Aus. non si stampa nella nostra tipografia, siccome erasi già cominciato, ma si stampa in Fossano col visto e coll'approvazione di quel Vescovo che è il benevolo Mons. Manacorda.
L'Ordinario però non si quietava. Il 25 agosto in una lettera d'ufficio al card. Bizzarri, esaurito l'argomento di obbligo, balzò nel tema inquietante, diffondendosi a rifare la storia dell'Opera secondo il suo punto di vista. Ma mentr'egli attendeva sempre da Roma una parola in proposito, giunsero a Don Bosco dal card. Antonelli queste righe consolanti: [51]
stata portata la debita attenzione a quanto V. S. Ill.ma mi esponeva col suo foglio del giorno 8 Agosto pp. intorno alla difficoltà di attuare in cotesta città il progetto da Lei concepito dell'Opera di Maria Ausiliatrice per le vocazioni allo stato Ecclesiastico. In presenza di tali difficoltà non si è potuto non ravvisare prudente il partito che Ella intenderebbe di adottare cioè di cominciare l'opera in qualche altra diocesi, ove non le manchi l'assenso e l'appoggio dell'Ordinario.
Nel dare questa risposta all'indicato di Lei foglio, fo voti pel felice esito della sua intrapresa e con sensi di distinta stima mi confermo
Il Servo di Dio, amico della pace, operava alla luce del sole; perciò, senz'ombra di risentimento, benchè non vi avesse obbligo, volle comunicare all'Ordinario la sua decisione di stabilire altrove i Figli di Maria e lo fece nella forma rivelataci dalla lettera seguente[24]:
Affine di non cagionare nè dispiaceri nè disturbi a V. E. Rev.ma, ho cominciato in altra diocesi l'Opera di Maria Ausiliatrice.
Ora desidererei diffondere alcuni programmi anche nell'Archidiocesi di Torino; ma ciò non farò, se non quando ne abbia avuto il dovuto permesso.
Prego perciò la E. V. a volermi concedere tale favore, purchè non lo giudichi contrario alla maggior gloria di Dio.
Colla massima venerazione ho l'alto onore di potermi professare
Non solo scrivendo, ma anche parlando dell'increscioso negozio Don Bosco serbava una calma piena di prudenza e di carità. Il 14 agosto, riferendo al Capitolo Superiore sullo stato della questione, non proferì sillaba più del necessario e sempre con quel tono di bonarietà indulgente che gli era consueto. Verso la fine di Gennaio del '76 disse a Don Barberis: “Ora abbiamo messo fuori l'Opera di Maria Ausiliatrice. Pare che in questo primo anno vi siano alcuni ostacoli e le cose non procedano avanti come si desidererebbe; il numero cioè è un po' ristretto. Ma vedrai che riuscirà certamente bene e col tempo resterà l'unica risorsa dei Vescovi e delle Missioni. Perchè, ora si ha un bel dire: - I tempi sono cattivi ma si spera che in breve cambieranno, verranno tempi migliori e perciò maggior numero di vocazioni! - Questi tempi migliori noi li possiamo desiderare; ma sperare, no. Se è vero che gli effetti sono proporzionati alle cause e che poste le cause devono venire gli effetti, le cose che ora vediamo, sono radici così potenti, così funeste che gli effetti devono riuscire ben amari e ben lunghi, nè vista umana riesce a percepirne i termini. Solo trenta o quarant'anni fa c'erano vari Stati cattolici: uno poteva sperare salute dall'altro; ora più niente, niente. Contuttociò, facciamoci coraggio; la messe è grande; il nostro sassolino al maestoso monumento della vittoria lo porteremo anche noi[25]”.
I vescovi più illuminati intuivano la santità e l'utilità dell'Opera. Il vescovo di Albenga la proclamava “cosa degna di ogni encomio”; onde caldamente ne incoraggiava l'ideatore a mettere in esecuzione il suo disegno[26]. Il Vescovo di Vigevano vi scorgeva “improntato lo spirito del signor Don Bosco”, in cui egli ammirava “sempre l'uomo di Dio”[27]. Secondo il Vescovo di Acqui, tale Opera avrebbe provveduto “ad un sentito bisogno”; il che egli confermava con un fatto, così: [53]
“Non più tardi di ieri mi si presentò un parroco esponendomi che nella sua parrocchia vi è un giovane di ventiquattro anni, fuori della leva militare, di molta pietà e di svegliato ingegno, il quale bramerebbe di abbracciare la carriera ecclesiastica; ma ignaro qual è della lingua latina, non può nella inoltrata sua età assoggettarsi nel seminario ai corsi ordinari di latinità ed anche non ne avrebbe i mezzi sufficienti per percorrerli. Certamente a questo giovane garzone ed a molti altri che sottosopra si trovano nelle stesse circostanze, tornerebbe assai opportuno lo stabilimento cui intende Don Bosco”[28]. Il Vescovo di Alessandria “di buon grado” commendava il disegno pregando Dio che con la sua grazia venisse in aiuto per attuarlo[29]. Il Vescovo di Tortona, pur ritenendo “opportuno ed utile assai di raccogliere per tempo i teneri giovanetti nell'asilo del Seminario, per avviarli con maggior sicurezza d'esito al ministero ecclesiastico”, tuttavia giudicava “innegabile” che mediante l'Opera di Maria Ausiliatrice vi si sarebbe aggiunto. “un contingente considerevole, e purtroppo necessario ai nostri giorni, di giovani adulti con maggior attitudine a divenir buoni sacerdoti”[30]. Al dire del Vescovo di Casale, “quell'uomo di Dio che era il sacerdote Don Giovanni Bosco”, aveva compilato un programma dell'Opera “assai bene concepito e tale da potersene sperare preziosissimo frutto[31]”. L'Arcivescovo di Genova ne sperava “grande utilità alla Chiesa”, dato il già tanto scarseggiare del clero[32].
Questo dei Figli di Maria, come oramai si chiamavano i giovanotti della vocazione tardiva, era un argomento su cui Don Bosco ritornava sempre con piacere. Il 6 febbraio del '76 conversando con parecchi Salesiani, dopo aver deplorato la tirannia della legge sulla leva, così rovinosa per le vocazioni, [54] e detto com'egli vi cercasse un rimedio col raccogliere giovani adulti che o avessero già fatto il servizio militare o ne fossero esenti, proseguì: “Anche in questo vi saranno molti vescovi che, vista la buona prova che facciamo noi di questi adulti, seguiranno il nostro esempio e apriranno case a questo fine[33]. Deo gratias. Noi diamo la spinta e siamo ben contenti che il bene si propaghi, qualunque siano i modi e gli strumenti coi quali si propagherà. Io ho una speranza straordinaria su questi figliuoli di Maria. Io li credo l'unica risorsa della Chiesa in questi tempi.
- È mirabile davvero, esclamò uno dei presenti, il modo con cui procedono le cose. Don Bosco incomincia, e non si dà mai indietro.
- A per questo, riprese Don Bosco, che non diamo mai indietro, perchè noi andiamo sempre avanti sul sicuro. Prima d'intraprendere una cosa ci accertiamo che è volontà di Dio che le cose si facciano. Noi incominciamo le opere nostre con la certezza che è Dio che le vuole. Avuta questa certezza, noi andiamo avanti. Parrà che mille difficoltà s'incontrino per via; non importa; Dio lo vuole, e noi stiamo intrepidi in faccia a qualunque ostacolo.
- Il difficile, disse Don Chiala, sta appunto qui, nell'esser certi che Dio voglia quella tal cosa!
- Senza vera rivelazione chi può esser certi di ciò? ripetevano tutti gli altri.
Noi però, continuava Don Bosco senza badare a queste riflessioni, anche fidati illimitatamente nella volontà del Signore e sulla Divina Provvidenza, non andiamo avanti alla cieca. Prima d'intraprendere un lavoro esaminiamo ben bene i mezzi... non reali che non si hanno, perchè allora!... ma su quelli sui quali si può fidare con prudenza. Poi, fatta una parte del lavoro, dico: - Là, fermiamoci un momento. Possiamo [55] seguitare? vi sono speranze? o le cose che si hanno, non servono a darci speranze? - E si va adagio a proseguire. Poi non stiamo lì con le mani in mano, quando una cosa è incominciata; ma gira di qua, gira dì là; scrivi lettere, biglietti, inviti: apri lotterie, fa' sottoscrizioni, si mette in moto mezzo mondo. E tutte queste cose le ho già sempre tutte previste, cominciando un'opera; del resto come fare ad andare avanti? Io confido illimitatamente nella Divina Provvidenza; ma anche la Provvidenza vuol essere aiutata da immensi sforzi nostri”[34].
L'Opera di Maria Ausiliatrice, sebbene tanto bersagliata sul nascere, si deve porre nel novero di quelle che davano a Don Bosco non vaghe probabilità di riuscita, ma “speranze straordinarie”. Lo proclamò egli stesso il 26 settembre del '75 presiedendo certe conferenze autunnali con i primari della Congregazione e poi aggiunse: “Questi giovani adulti e di molto criterio, appena siano preti, renderanno molto frutto; anzi lo rendono già prima d'essere preti, poichè servono a disimpegnar uffizi delicati in casa, assistono, sorvegliano, fanno da maestri elementari. E già vi sono molte domande anche di soldati: fu accettato persino un brigadiere. Tutti i giorni ricevo lettere di Vescovi che commendano l'Opera, e di giovani e di parroci che porgono domande di accettazione”[35].
Sul principio del nuovo anno scolastico, benchè al nucleo, diremmo così, ufficiale di questi giovani desse ospitalità l'Ospizio di San Pier d'Arena, pure una schiera abbastanza numerosa aveva ancora stanza nell'Oratorio. Gli uni e gli altri però vi frequentavano il ginnasio in compagnia dei ragazzi. Nell'Oratorio i nuovi venuti trovarono un bel gruppo di compagni, che avevano le medesime loro aspirazioni e vi dimoravano già da tempo. Qui Don Bosco nel marzo del '76 introdusse una novità. Scelti i più attempati della seconda e terza ginnasiale, ne formò una scuola a parte, con programma speciale [56] a base di latino e d'italiano, nell'intento di accelerare per essi la fine del corso e prepararli alla vestizione chiericale del prossimo novembre. Questa classe straordinaria fu denominata scuola di fuoco, per l'ardore e l'alacrità con cui vi si procedeva negli studi. Ne aveva dato l'annuncio fino dall'8 febbraio nella consueta " buona notte ".
Io questa sera voglio raccontarvi, mei cari giovani, una cosa che ho bensì già detta a qualcuno in particolare, ma che generalmente non si sa ancora e che spero avrà da produrre molto del bene. Ora perciò la manifesto a tutti.
Ecco! Io desidererei di fare una gran retata di pesci: voglio stendere le mie reti e poi tirare a me tutti coloro che si vogliono lasciar prendere. Vedete! Dall'America mi chiedono instantemente dei Missionari; di Missionari sono prive immense regioni. Esse gemono ancora nell'ombra della morte, nelle tenebre dell'idolatria, e tale sventura continua, solamente perchè non vi fu ancora nessun missionario che sia andato ad annunziar loro la vera religione. Qui poi nei nostri paesi si comincia a sentire una grande scarsità di preti; da tutti si dice: - Ma non c'è più nessuno che si faccia prete!
Questa scarsità di preti nei nostri paesi, e questo sentito bisogno di Missionari, mi hanno deciso a stabilire un corso speciale di studio per coloro che volessero fare più in fretta i loro corsi di ginnasio e poi di filosofia. Io metterei proprio una scuola di fuoco, nella quale si studino solo le cose necessarie, senz'altro imbroglio di accessori e così compiere gli studi molto più in fretta.
A questa scuola potranno prendere parte quelli che lo desiderassero di 4ª e 3ª ginnasiale ed anche forse qualcuno di 2ª, ma che sia alquanto avanzato in età, cioè sopra i sedici anni. Se costui fosse giovane affatto, avesse per esempio otto anni, non ha bisogno di precipitare i suoi studi: esso ha comodità di fare tutti i suoi studi regolari. Con questa scuola, fatta, come diceva, con gran fuoco, mediante buoni professori, unita colla gran buona volontà vostra io spero che si possa giungere ad un punto di potervi vestire da chierici per la festa di Ognissanti.
La prima condizione però che si richiede è una gran volontà; poichè, se già rimessa è la volontà ora che gli studi sono lenti, quando siano così accelerati voi non potreste tenerci dietro. Per ciò bisogna che il vostro professore possa fare buona testimonianza della gran voglia che avete di studiare. Non maravigliatevi dicendo: - Come potremo fare tanto in fretta? - Io vedo che mediante le condizioni che ora vi esporrò, mediante buoni professori, buona volontà e poi mediante il vostro ingegno e talento grande, la cosa riuscirà. (Bisbiglio, sorriso universale e il ringalluzzarsi di molti per questo elogio). [57] Ecco ora le altre condizioni, oltre a quelle dell'età e del buon volere, che vi ho accennate. Bisogna che ciascuno si proponga di stare qui o di andare nelle Missioni. Dico stare qui nell'Oratorio o per lo meno che non appartengano alla diocesi di Torino, perchè in questa diocesi per entrare in seminario richiedono l'attestato della fatta 5ª ginnasiale; ed uno che fosse anche assai avanti negli studi, come fu tra noi Gilio l'anno scorso, che all'esame della veste sarebbe stato promosso ed anche tra i primi, solo perchè non ha fatto la 5ª ginnasiale, non potè mettere l'abito da chierico e dovette andare a Giaveno a compire il corso. Credo che nelle altre diocesi non ricerchino nulla di ciò, e se uno è tenuto abile qui tra noi, lo ammettono a vestirsi da chierico. In questo però io non posso prestare nessuna assicurazione e garanzia. Qui in Torino vi è eziandio l'esame su tutto il Catechismo grosso, e qui da nei non si potrebbe studiare, avendo fretta. Bisogna rinunziare ad ogni esame pubblico, o almeno pensarci bene prima di presentarsi, poichè a questi esami è necessario portare tutte le materie richieste dai programmi; e noi per andare più avanti nelle materie principali, come sono il latino e l'italiano, lasceremo altre materie accessorie, le quali anche senza saperle bene, non impediscono di fare sufficienti progressi. Chi perciò desidera di prendere l'esame di licenza ginnasiale, costui non può prender parte a questa scuola speciale che faremo.
Bisogna che abbia pazienza e rinunziare alle vacanze regolari. Potranno concedersi alcuni giorni di svago, vi saranno gli esercizi di Lanzo nei quali lasceremo da parte i libri per darci alle opere di pietà; ma non di più, poichè si ha questo gran bisogno di fare in fretta. Incominciando ai primi giorni di marzo, come mi sono prefisso, poco più o poco meno per arrivare a novembre vi sono ancora otto mesi ed in otto mesi, studiando accaloratamente, delle cose se ne possono fare. È anche bene che notiate questo. Se si trattasse che voi doveste andare altrove, per esempio nei seminari, ordinariamente nel corso di filosofia non vi è più scuola di letteratura; perciò si resterebbe un poco indietro per questa parte. Ma qui tra noi in tutti due gli anni di filosofia vi è ancora scuola regolare di letteratura italiana e latina; perciò, ancorchè ora si faccia un po' in fretta, vi è tempo e comodità di rifarci poi in filosofia.
Abbiamo l'esempio d'alcuni nell'anno scorso i quali invero sebbene nella lingua latina ed italiana fossero alquanto indietro, nulladimeno, attendendo e quest'anno e l'anno venturo, speriamo che potranno far profitto e divenir utili a sè, non che agli altri.
Come vedete, o carissimi, siamo costretti a far così; da ogni parte ci chiamano, in ogni luogo ci attendono e l'America ancor più ansiosa delle altre terre aspetta i nostri aiuti, tanti operai simili al Saverio, intrepidi campioni al pari di lui. Siamo costretti, è vero; ma la necessità diverrà virtù. [58] Fatevi coraggio, miei cari figliuoli: cerchiamo davvero di consecrarci tutti al Signore; ciascun di voi faccia il possibile secondo la sua condizione di promuoverne la gloria, e state certi che il Signore non mancherà dì benedirci. Buona notte.
Un episodietto dei primi giorni merita di non essere passato sotto silenzio.
Don Bosco aveva ordinato al direttore delle scuole, come si chiamava in quei tempi l'attuale consigliere scolastico, che nella scuola di fuoco facesse tradurre Cornelio; ma il dabben uomo, visto che i provenienti dalla terza avevano già tradotto tale autore, vi sostituì Cesare e lo fece senza dir nulla a Don Bosco. Ora accadde ciò che era prevedibile: gli altri che venivano dalla seconda, si trovarono nell'impiccio, messi così bruscamente alle prese con i Commentari, sicchè alcuni chiesero il ritorno alla classe regolare.
Don Bosco, saputa la cosa, ne rimproverò il direttore delle scuole in presenza di altri sacerdoti e con accento piuttosto energico, dicendogli: - Se si fosse fatta l'obbedienza, questo sconcio non sarebbe avvenuto e se all'uso di quel testo si fossero disposti gli animi dei giovani nel modo da me suggerito, la cosa sarebbe riuscita meglio. - Il suo suggerimento era stato che sull'inizio per non isgomentare i più deboli si presentasse loro il passaggio a Cornelio in questi termini: Finora avete tradotto l'Epitome e se ne sono già studiati molti capi; adesso sarà bene fare un passo avanti e andare a Cornelio, come si costuma nel ginnasio. Per altro, uniti a voi ci saranno quei della classe superiore; ma andrete avanti tutti insieme col medesimo autore.
Il direttore delle scuole tentò di date uno schiarimento, osservando come alcuni avessero già tradotto Cornelio. - Non è questa la questione, interruppe recisamente Don Bosco; la questione è che eravamo intesi così e che l'obbedienza portava a fare così! -
Nell'imbarazzo che nacque da tale incidente, qualcuno degli astanti cercò di cambiar discorso; ma vi fu chi interloquì [59] dicendo essere molto buoni quei tre giovani che erano usciti dalla scuola di fuoco per rientrare in classe. - Quei tre giovani! esclamò Don Bosco. Per me non fo più nessun conto di essi... Io non mi azzardo più a dar loro nessun consiglio, nessuna direzione. Han dato indietro da un impegno preso... - Ma lo sguardo di Don Bosco andava oltre le sue parole, sembrando voler significare che la responsabilità dei fatti ricadeva in buona parte, se non in tutto, sul consigliere scolastico[36].
Ecco qui una lezione che ci richiama al Santo Patrono dei Salesiani. Un atto che in materia d'obbedienza non costituiva nemmeno colpa veniale, ma si riduceva a semplice imperfezione, costò a Santa Francesca di Chantal una riprensione così severa e così solenne da parte del suo santo Direttore, che il luogo, dove questi gliela inflisse, è rimasto memorabile e viene ancora oggi additato e guardato con riverenziale timore. L'indulgente San Francesco di Sales misurava le esigenze della sua direzione spirituale alle condizioni delle singole anime da lui guidate per le vie della salute; quindi, con chi era chiamato alla più alta perfezione, egli prendeva norma dal principio evangelico: Cui multum datum est, multum quaeretur ab eo[37]. Così il linguaggio di Don Bosco, che sul momento parve “gravissimo”, non aveva in realtà nulla che contrastasse con l'idea della santità. Dai più anziani, obbligati a maggior virtù, anch’egli esigeva maggior fedeltà nel conformarsi alle sue intenzioni.
Bisogna però anche aggiungere che nell'Oratorio stesso non tutti la pensavano come Don Bosco sul conto dei Figli di Maria; giacchè scarsa fiducia si nutriva da taluni circa la buona riuscita d'individui dal cervello ormai indurito e per giunta fino a ieri rozzi operai o contadini. Si sa bene che le novità generano diffidenze; d'altro lato Don Bosco non soleva aprire la sua mente nè a tutti, nè tutto a un tratto, ma a se [60] conda delle convenienze e in quanto sperava di essere inteso. Quindi chi per abitudine si rimetteva docilmente alle sue disposizioni, badava a fare com'egli diceva, nella sicurezza che lì stesse il meglio; chi invece non aveva rinunziato a cercare il pelo nell'uovo, o guardava alla superficie delle cose, trovava spesso da ridire. Nel caso nostro chi avrebbe mai immaginato quanti e quali figliuoli d'Abramo sarebbero stati tratti per opera di Don Bosco fin dalle selci? Si vide poi massimamente nelle Missioni, che tempre d'uomini apostolici abbia date anche la scuola di fuoco.
Ma Don Bosco, secondo il suo solito, agiva e lasciava dire. Non gli sfuggiva occasione che gli servisse a mettere in valore specialmente quella scuola presa più di mira ed a guadagnarle in casa simpatie e aiuti. Per formare poi dell'Opera intera un corpo compatto e distinto dal resto e ben governato, vi prepose quell'anima santa di Don Guanella, che accettò ben volentieri l'oneroso incarico. Di lì a poco, essendo in procinto di recarsi a Roma e avendo intenzione di presentare al Santo Padre tanti indirizzi quanti erano i ripartimenti dell'Oratorio, volle che figurassero pure i Figli di Maria e disse al direttore che ne stendesse la lettera. Don Guanella redasse questo bel documento, che i lettori ci sapranno grado di aver portato a loro conoscenza.
La Provvidenza, in mano della quale sono le sorti degli uomini, mi chiamò ad essere religioso in questa Congregazione Salesiana, mentre in Savogno, nella Diocesi di Como, esercitava le funzioni di Parroco.
Io qui godo nell'animo la più grande soddisfazione, e ne ringrazio il Signore. Il tempo trascorre rapidissimo nelle occupazioni affidatemi dalla bontà dei Superiori. I giorni festivi li passo a dirigere un oratorio, di San Luigi, frequentato da circa settecento bravi giovani di questa città. Ma la mia più gran gioia e più grave occupazione è nei giorni feriali la direzione e la scuola tra i figli dell'Opera di Maria Ausiliatrice, quale con tanta bontà venne dalla stessa Beatitudine Vostra e benedetta e favorita.
Questi figli di Maria sono in tutto sopra cento, e circa quaranta almeno nel futuro Novembre vestiranno l'abito chiericale, perchè [61] quanto a bontà sono i giovani più esemplari, e quanto all'applicazione ammirabili.
In questo, anche i più discreti sono invincibili[38]. Molti si possono ormai ripromettere di passare i cinque anni di latinità nello studio di dodici mesi, e gli altri in quello di due anni. Sono entusiasmati della persona del carissimo nostro D. Bosco, ammiratori del gran Pontefice dell'Immacolata, e impazienti del ministero delle anime.
Li benedica tutti, Santissimo Padre, acciocchè, come si spera, si moltiplichino negli anni avvenire, e tutti riescano operai valorosi nella vigna del Signore.
Benedica a me il Vicario di Gesù Cristo. Ho fra le mani da ultimate un'opera: Guida del popolo cattolico, o, la Dottrina Cristiana in quaranta discorsi spiegata in parabole ed esempi. Mi benedica anche in questo, e più di tutto in quello che il Signore vorrà da me in ogni giorno sino al termine della vita.
Benedica alla Diocesi di Como, che s'abbia presto un collegio della Congr.ne Sales.na.
Mi rimane a supplicare la Santità Vostra che a me accordi, ed alla diletta mia madre, ai fratelli, ai consanguinei ed agli affini la Plenaria Indulgenza nell'ultima ora, in cui il Signore chiamerà a sè sia la persona mia, che quella dei sudetti, sino al terzo grado. Noi intanto supplicheremo il Signore che faccia presto apparire giorni di pace e di gioia per l'Augusta Persona di Vostra Santità.
Supplicheremo che tutti gli uomini riconoscano nel gran Pontefice dell'Immacolata e del Concilio Vaticano, l'Angelo tutelare delle nazioni.
Infine mi prostro ai piedi di vostra Beatitudine ora e sempre
Figlio ossequient.mo e amant.mo
Il Servo di Dio umiliò personalmente questo scritto al Papa, che si degnò leggerlo, commentarlo e apporvi la sua augusta firma, preceduta dalla data (die 16 aprilis 1876) e dalla seguente benedizione: Benedicat vos Deus et dirigat vos in viis suis.
Il nostro buon Padre ne andò così lieto, che, nonostante i molti affari, non potè indugiare a ragguagliarne Don Guanella: [62]
Nell'ultima udienza di ieri (15) il Santo Padre con grande bontà si compiacque di leggere fino all'ultima linea la lettera indirizzata al medesimo dai figli di Maria. Di poi si fece a domandare il loro numero, lo studio, le speranze che se ne possono concepire, la loro sanità: se palesano tendenze per le missioni estere ecc. Io ho procurato di appagarlo nel miglior modo possibile: - Ringrazio Dio, Egli disse, di avere disposto che venisse iniziata quest'opera. Dite a quei buoni giovani che io li amo molto nel Signore, che conto sopra di loro per guadagnare anime a Dio. Studio, moralità, disprezzo del mondo deve essere il loro programma. Quanto di cuore li benedico! - Ciò detto prese la penna e scrisse le preziose sue parole in fondo all'indirizzo che i figli di Maria gli avevano mandato. Ha poi concesso loro molte indulgenze che loro indicherò di presenza.
Intanto, carissimo D. Luigi, lavori di buon grado: la grazia Divina non ci mancherà. Calma, pazienza e coraggio. Molte cose a voce...
Mi saluti caramente tutti i figli di Maria e scriva anche a D. Albera la speciale benedizione che il Santo Padre manda ai figli di Maria che sono in quella casa. Mi ami in G. C. e mi creda
PS. Mi raccomando di una preghiera e di una comunione, secondo la mia intenzione. Dica lo stesso a D. Barberis pei novizii.
In pari tempo Don Bosco, per animare le caritatevoli persone, che a tenore del programma cooperavano con lui nell'impresa, umiliò al Papa una supplica, nella quale chiedeva per loro speciali indulgenze[39]. Da Roma gli venne un Breve amplissimo, che avrebbe dovuto seppellire per sempre qualsiasi opposizione.
Ma non fu così. Un articolo comparso nell'Unità Cattolica del 17 settembre risollevò di botto la questione canonica. Dopo un cenno sullo scopo e la natura dell'Opera di Maria Ausiliatrice, vi si pubblicava questo resoconto: “Il primo esperimento fatto in quest'anno riuscì assai soddisfacente. Per sito opportuno a queste scuole fu scelto l'Ospizio di S. Vincenzo de' Paoli in San Pier d'Arena, dove però potè soltanto [63] raccogliersi un numero limitato, perchè non era ancora terminato l'edifizio a quest'uopo messo in costruzione. Per questo motivo alcuni di essi fecero gli studi in altre case della Congregazione Salesiana. Il risultato di quest'anno fu come segue:
Totale degli allievi………………………N. 100
Compiono il ginnasio…………………...” 35
Di essi aspirano allo stato religioso……..” 8
Aspirano alle Missioni estere…………....” 6
Ascrivonsi al clero della propria diocesi..” 21”.
Dettovi poi del gradimento espresso dal Papa e dei tesori spirituali dal medesimo largiti, si dava la traduzione italiana del Breve. L'articolo, comunicato al giornale dall'Oratorio, fu mandato pure al Cittadino di Genova, ma con qualche variante e col programma dell'Opera, e fors'anche ad altri fogli cattolici.” Ho bisogno, diceva Don Bosco parlando di tale pubblicità, che anche i nostri preti e direttori vengano a conoscere l'importanza di quest'Opera, perchè finora non la capiscono abbastanza. Io credo che d'ora in avanti sarà la risorsa più grande che i vescovi possano avere, per formarsi preti che non siano loro rubati dalla leva. Ho anche bisogno che si venga a conoscere l'importanza dei Cooperatori Salesiani. Finora pare una cosa da poco; ma io spero che con questo mezzo una buona parte della popolazione italiana diventi Salesiana e ci apra la via a moltissime cose[40]”. Le oblazioni a pro dell'Opera di Maria Ausiliatrice erano appunto una delle tante forme di cooperazione Salesiana, che sarebbero sorte con l'andare del tempo. È ben degno di nota che Don Bosco, discorrendo così familiarmente con Don Barberis di dette pubblicazioni giornalistiche, non facesse la menoma allusione alla tempesta scoppiata allora allora per causa delle medesime. [64]
Due giorni dopo l'articolo dell'Unità Cattolica, Don Bosco da Lanzo, dove presiedeva agli Esercizi Spirituali dei confratelli, ne aveva spedito un secondo, scrivendo tranquillamente così al Teol. Margotti, direttore del giornale:
Le trasmetto il 2° articolo sull'Opera di Maria A., veduto da D. Durando.
Le raccomando la lettera di Cagliero per poterla riprodurre nelle Letture Cattoliche.
Il S. Padre vuole che accettiamo le scuole di Albano e ne raccomanda altre.
Dio La conservi e mi creda con gratitudine
A questa letterina il Margotti rispondeva col seguente biglietto:
Ricevo in questo momento la sua lettera ed il secondo articolo: ma ieri ho ricevuto la paternale che le mando. Io non avrei mai più sospettato che D. Bosco mi facesse stampare cose da non pubblicarsi. La colpa è principalmente sua. Finora non ho risposto al Sig. Canonico e forse non risponderò.
Ella mi rimandi la lettera e mi dica in Domino il suo avviso, ma non ne parli a nessuno. Dobbiamo fare qualunque sacrifizio di amor proprio a riguardo di coloro quos Spiritus Sanctus posuit regere ecclesiam Dei. Sono in fretta ma con tutto l'ossequio e colla più sincera affezione
Mi permetta di proibirle che ella si prenda copia della lettera.
Che prudenza e carità da ambe le parti! Diciamo da parte di Don Bosco con i suoi e del giornalista con Don Bosco. Il [65] “non avrei mai più sospettato” e “la colpa è... sua” non suona biasimo, ma sa di quell'ironia, di cui il grande giornalista era fornito a dovizia. S'intendevano tanto bene fra loro![41]. Sarebbe defraudare i lettori e mutilare la storia il non riprodurre anche la fiera “paternale”.
Illustrissimo molto reverendo Signore,
Monsignor Arcivescovo mi incaricò di avvertire la S. Vostra del dispiacere che ha provato nel leggere nell’Unità Cattolica dell’18 corrente mese N. 216, un articolo sull'Opera di Maria Ausiliatrice scritto a sua totale insaputa. In quell'articolo si pubblica un Breve Pontificio di cui non si è ancora comunicato all'Arcivescovo di Torino, come era di dovere, alcuna copia autentica: si parla di una Associazione di fedeli canonicamente instituita di cui l'Arcivescovo di Torino non conosce per nulla l'istituzione canonica: si pubblicano indulgenze ignorate affatto dallo stesso Arcivescovo, e ciò contro il precetto del Concilio di Trento; insomma si disconosce l'ordine gerarchico della Chiesa, si ledono le prerogative e le incombenze che l'Autorità Arcivescovile ha per diritto Divino ed Ecclesiastico. Già da questo ufficio si erano fatte rimostranze al S. D. Bosco, per avere fatte queste pubblicazioni colla stampa della sua tipografia senza il Visto dell'Autorità Arcivescovile e per tale motivo si era raccomandato a V. S. di non ripetere tali pubblicazioni nel suo giornale: ma nè le rimostranze nè le raccomandazioni valsero a nulla. Questa non è la prima volta, sibbene la terza e la quarta che l'Unità Cattolica si serve della libertà lasciatale e della fiducia posta dall'attuale Arcivescovo per fare pubblicazioni tutt'altro che conformi alla riverenza dovuta da tutti, specialmente dai giornalisti che vogliono davvero essere cattolici, all'autorità arcivescovile della diocesi.
Non basta fare il bene: questo va fatto bene. Bonum ex integra causa, malum ex quocumque defectu.
Monsignor Arcivescovo confida che l'Unità Cattolica non gli darà mai più occasione di lagnanza; e quindi non pubblicherà quel programma promesso sulla fine di detto articolo, finchè esso Mons. la assicuri che, in seguito alle informazioni che il Sig. D. Bosco è in obbligo di dare su questa materia, tutto è in regola. Monsignore mi [66] incarica di presentarle i suoi saluti e di rallegrarsi con lei per l'articolo La croce di spine posto nella su accennata.
Con tutta la considerazione mi dichiaro
Di V, . S. Ill.ma molto reverenda
Le tante apprensioni, esigenze e rimostranze dell'Ordinario intorno alle cose di Don Bosco provenivano in gran parte dal non aver ancora riconosciuto il legittimo privilegio dell'esenzione, a cui faceva rispettosamente appello il Vescovo di Susa, come abbiamo riferito sopra. È vero che l'Opera nella diocesi di Torino esisteva solo di fatto, mentre nel Breve la si riconosceva come già “canonicamente istituita”, con l'aggiunta della formola consueta “come a Noi fu esposto”. Ma prima di tutto l'Ordinario torinese non fece mai questione di Opera, bensì di “Collegio” e collegio “Cosmopolita”[42]; d'altra parte nelle trattative svoltesi direttamente fra Don Bosco e Roma è molto probabile che sia valso come titolo di riconoscimento il positivo beneplacito dell'Arcivescovo di Genova per l'erezione dell'Opera in Sali Pier d'Arena; il direttore Don Paolo Albera, per incarico di Don Bosco vi ricorse a Mons. Magnasco, che approvò l'Opera e diede l'imprimatur alla pubblicazione del programma, stampato nella tipografia dell'Ospizio[43]. Cosicchè i favori spirituali non cadevano nel vuoto, per motivazione surrettizia.
Il malcontento dell'Ordinario era poi acuito dalla persuasione che con l'Opera di Maria Ausiliatrice Don Bosco tirasse l'acqua soltanto al suo mulino. Infatti quell'anno, predicando nella chiesa dello Spirito Santo in Torino, dopo aver raccomandato l'Opera a favore dei chierici poveri, aveva soggiunto: “È vero che in un angolo di questa città si fanno molti chierici, ma sono mandati ben lontani, e perciò a noi di nessun [67] giovamento”. L'allusione era trasparente, sicchè gli uditori capirono benissimo dove mirasse il colpo; giacchè in Torino solo da Valdocco si spedivano Missionari all'estero.
Sull'Unità Cattolica uscì la lettera di Don Cagliero dall'America, come sollecitava Don Bosco; ma dell'Opera di Maria Ausiliatrice non si fece più motto. A Don Bosco non sarebbe toccato fare alcun passo presso la Curia, perchè, oltre la notizia confidenziale del Teol.. Margotti, non gli pervenne comunicazione di sorta. Tuttavia indirizzò all'Ordinario questa correttissima lettera:
Il Sig. T. Margotti mi fa dire che egli non stamperà il programma dell'Opera di Maria A. se prima non avrò date le dovute informazioni a V. E. Io volentieri dò a V. E. Rev.ma qualunque schiarimento.
Questa Opera come V. E. ricorderà, doveva iniziarsi qui in Torino, ma per evitare certe difficoltà fu trasferita in altra diocesi e precisamente in Sampierdarena, diocesi di Genova. Quell'Arcivescovo appoggiò e raccomandò più volte il progetto, benedetto e raccomandato dal Santo Padre.
Venne sul luogo a benedire la prima pietra del novello edifizio, che è pressochè condotto a termine.
Riferite le cose al S. Padre, esso fece esaminare il progetto da apposita commissione, e tenuto conto delle commendatizie di più Vescovi, emanò il Breve con cui concedeva le indulgenze dei Terziari Francescani a chi favoriva questa pia impresa.
Quando pertanto io trasmetteva al T. Margotti le carte sopraccennate intendeva una istituzione Generale e non locale, la cui sede era in Genova e da annunziarsi nella Unità Cattolica come giornale Ufficioso per le cose Ecclesiastiche. In quanto poi alla Revisione Ecclesiastica, io rimetteva tutto alla pratica tenuta da quella direzione pel rimanente del giornale.
In quanto a me l'anno scorso e quest'anno non ho più nè stampato, nè diramato cosa alcuna, e non lo farò fino a che la E. V., messo il visto al foglio che le presentava al mese di Luglio dell'anno passato, ne abbia autorizzata la stampa.
Copia del Breve Pontificio, l'avrà veduta nel suddetto Giornale; se mai ne desiderasse copia autentica io la farei subito pervenire a sue mani.
La prego pertanto umilmente a voler permettere che il secondo articolo dell'Unità Cattolica sia pubblicato, pronto a tutti quegli ordini che la E. V. fosse per dare. [68]
Colla massima ed ossequiosa venerazione ho l'onore di professarmi
Le nuove oppugnazioni lo sgomentarono così poco, che il 13 ottobre, scrivendo a Don Cagliero, gli diceva: “A Nizza Marittima abbiamo comperato uno stupendo edifizio, dove potremo accogliere 100 artigiani con altrettanti Figli di Maria”.
Un incidente domestico, quasi non bastasse la guerriglia di fuori, aggiunse amarezza ad amarezza nell'animo di Don Bosco, mentr'egli accompagnava a Roma i Missionari della seconda spedizione. Lo narriamo qui, sebbene avvenuto alla fine del '76, per non dover più ritornare su quest'argomento.
Sappiamo già quanto fosse cara a Don Bosco la scuola di fuoco. Ragioni concernenti la vocazione e gli studi degli allievi ed anche il buon andamento della Casa gliela facevano amare. Isolati dai ragazzi, questi anzianotti si potevano coltivar meglio nella loro vocazione; inoltre, non interrompendosi per loro le lezioni durante il periodo estivo, essi venivano sottratti al pericolo delle vacanze, nel corso delle quali, anche a scopo di sollievo, Don Bosco li conduceva a fare gli Esercizi Spirituali con i Salesiani nel collegio di Lanzo; così avevano agio d'intendere meglio la voce del Signore. Quanto agli studi, era già un doppio vantaggio il poter svolgere per essi un programma adattato alla loro condizione e il non esporli a scoraggiamenti inevitabili nelle classi regolari, dove avrebbero sentito troppo la propria inferiorità di fronte ai ragazzi; ma vi era anche la possibilità di appagare il desiderio dei più anziani, che, impazienti di dover andar tanto per le lunghe, chiedevano di accelerare i corsi. In casa finalmente abbisognavasi d'individui da potersi impiegare in uffizi, che non importavano molto lavoro, ma esigevano persone fidate; al che servivano ottimamente soggetti maturi, ben intenzionati e non legati strettamente all'orario comune, come i ragazzi. Ecco alcune [69] ragioni, per cui Don Bosco aveva a cuore tale scuola, nulla risparmiando per vederla a fiorire.
Ma sappiamo pure che non tutti la vedevano di buon occhio. Il maestro stesso lamentava che gli alunni, distratti in occupazioni eterogenee, non istudiassero abbastanza e non fossero puntuali nè assidui alle lezioni. Non c'era più Don Guanella a prendersene amorosa cura, perchè mandato a dirigere la nuova Casa di Trinità in quel di Mondovì; d'altra parte l'Ospizio di San Pier d'Arena si delineava sempre meglio come la sede nata fatta per i Figli di Maria. Nell'avviare dunque le cose per l'anno scolastico 1876 - 77, durante l'assenza di Don Bosco, si tentò un colpo di mano, reso più agevole dalla remissiva bonarietà del vicedirettore Don Lazzero, che pro bono pacis lasciò correre: la scuola di fuoco venne sciolta e gl'inscritti furono parte mandati a San Pier d'Arena, parte distribuiti nelle classi regolari.
Don Bosco, avutone sentore a Roma, non aspettò fino al intorno per esprimere il suo rincrescimento. Aveva stabilita lui quella scuola; egli stesso con Don Durando e con qualche altro superiore s'era già inteso per portarla alla sua perfezione, più volte e in più guise aveva dato a divedere quanto ci tenesse a farla andar bene. Il disappunto gli dovette dunque riuscire oltremodo penoso. “È vero, scrisse da Roma, che si fa a San Pier d'Arena; ma almeno una classe sia a Torino, per molte ragioni[44]”. Oltre al già detto, una di queste ragioni sembra essere stata che Don Bosco da quei giovani così stagionati pensava di cavare specialmente bravi Missionari e intendeva plasmarli con le proprie mani. Ciò gli era già riuscito magnificamente con alcuni pochi alla spicciolata; ora si riprometteva maggiori risultati, operando su più larga scala. Son cose che oggi fondatamente si arguiscono da quanto si avverò in appresso, ma che Don Bosco non poteva sciorinare in pubblico. Il fatto sta che l'anno dopo la scuola di fuoco nell'Oratorio risorse. [70]
E sarebbe stato grave peccato non favorirla. Capitavano a quei tempi nell'Oratorio uomini che, a detta di Don Bosco, si potevano considerare come veri santi, e che erano assai istruiti nelle cose della religione. Costoro finivano con desiderare di essere preti e ne facevano insistente domanda a Don Bosco. “In tre o quattro anni potrebbero tutti essere missionari formati”, diss'egli una sera, in una conversazione intima[45]. Proprio al termine di tale conversazione, mossosi per andare a letto, incontrò due di quei buoni laici.
- Ecco, disse accennando all'uno di cognome Lago, ecco un valente missionario; con questa barba imporrebbe perfino allo Scià di Persia. Vuoi che ti mandiamo nell'Oceania?
- Per me sono nelle sue mani; partirei fino da questa sera, rispose Lago.
- Ebbene, vedremo. Ma, ehi! non con quest'abito; bisognerà che ti mandiamo come prete. Coraggio! Oh! lasciamo che il Signore faccia Lui.
Quindi rivolse all'altro analoghe parole, tanto che entrambi, andando a riposo, erano fuori di sè dalla contentezza.
Il Lago, farmacista, aveva dato tutto il suo patrimonio per le Opere salesiane. Fu realmente prete. Lavorò moltissimo nel ministero delle confessioni e fece da segretario impareggiabile e infaticabile di Don Rua fino alla morte.
Una pleiade di zelanti apostoli, la cui bella rinomanza si perennerà nella storia delle Missioni, uscì ed esce tuttora dalle schiere dei Figli di Maria. “I Figli di Maria, scrive l'insigne storico P. Grisar[46], sono per le Missioni Salesiane apprezzabili operai, perchè di solito dànno ad esse giovani robusti, indurati alla fatica, i quali per seguire la loro vocazione dovettero già sostenere, la maggior parte, gravi sacrifizi”.
LA figura definitiva del Cooperatore non uscì tutta d'un tratto dalla mente di Don Bosco. Da un abbozzo iniziale del '41, da quando cioè sentì il bisogno di procacciarsi aiuti per i suoi oratori festivi dall'opera e dalla beneficenza di laici ed ecclesiastici, si arriva ai tocchi dell'ultima mano nella triplice redazione del programma durante il triennio del '74, del '75 e del '76. Qui la fisionomia del Cooperatore Salesiano si fissa per sempre. Non sarà inopportuno istituire un rapido esame comparativo dei tre documenti[47], che si completano e si chiariscono a vicenda.
Anzitutto il titolo. Quello che prima era Unione Cristiana poi Associazione di opere buone finisce con cedere il posto a Cooperatori Salesiani. Altro è unione, altro associazione. L'idea primigenia si vede che fu di stringere in un fascio le forze del bene per contrapporle vittoriosamente alle invadenze del male. Ma in un primo tempo sembra che basti un aggregato largo di persone, le quali s'intendano fra loro nella comune buona volontà di raggiungere il fine; in seguito sottentra un aggruppamento più compatto come di membra formanti un corpo organico. Infatti fra il primo e il secondo momento s'è affacciato un elemento nuovo: un vincolo stabile di unione, costituito dalla Congregazione Salesiana, che, ottenuta la sua piena esistenza giuridica nella Chiesa, legava più strettamente a sè e fra loro i suoi collaboratori. [72] Ciò ha permesso di passar oltre, chiamando questi senz'altro Cooperatori Salesiani, quasi trattandosi di un'organizzazione vera e propria, comparabile effettivamente a un terz'ordine. E sotto tale aspetto furono riguardati dalla Chiesa; i Cooperatori, quando da lei ricevettero l'approvazione canonica.
Dal titolo puro e semplice passiamo al fine. Il fine, sottinteso nel titolo della prima redazione e vagamente espresso in “Associazione di opere buone” della seconda, viene ristretto, ma non specificato nella terza, dove a “Cooperatori Salesiani” si connette per mezzo di “ossia” il chiarimento: “Un modo pratico per giovare al buon costume ed alla civile società”. Le cautele non erano mai troppe allora, in materia di associazioni, e associazioni religiose; potevano infatti nascere gravi malintesi nell'una e nell'altra sponda: ecco il vero perchè di queste intitolazioni alquanto anodine, che dovevano fino dal frontispizio eliminare ogni sospetto, capace di allarmare i due campi.
Quale dunque fosse quel “modo pratico” lo dicevano internamente i tre programmi, ma con la variante che, mentre nel primo si assegnava ai Cooperatori per fine precipuo un'attività speciale “in favore della gioventù pericolante”, negli altri due con più larga comprensione vi si designava “l'esercizio della carità verso il prossimo e specialmente verso la gioventù pericolante”. Ben inteso che, cominciando la carità ordinata da noi stessi, agli associati si metteva innanzi per prima cosa la ricerca del loro profitto spirituale.
Seguivano i mezzi con cui raggiungere il fine, che sostanzialmente nei tre programmi si riducevano a quattro: coltivare la messe della Congregazione Salesiana con promuovere la pietà cristiana nel popolo, con favorire le vocazioni ecclesiastiche, con opporre stampa a stampa, con interessarsi in tutte le guise dei fanciulli pericolanti. Per ogni cosa poi che nello spiegare quest'attività toccasse la religione, era legge un'assoluta dipendenza, oltrechè dal Sommo Pontefice, anche dai vescovi e dai parroci. [73] Salesiani e Cooperatori dovevano considerarsi fra loro come fratelli, richiedendosi liberamente dell'opera reciproca, semprechè si potessero aiutare a promuovere la maggior gloria di Dio e il vantaggio delle anime. L'obbligo che si faceva nel programma primitivo di versare annualmente una lira, non ricompare più nei posteriori; gli è che, a dir vero, le offerte pecuniarie entrano di per sè nell'ordine dei mezzi sopra indicati, in quanto esse servono ad attuarli, sicchè non occorrono prescrizioni tassative in proposito.
Sorvoleremo sulle disposizioni concernenti il regime interno, d'allora a oggi rimaste pressochè immutate. È un ordinamento per parrocchie e per diocesi che richiama quello assegnato posteriormente all'azione cattolica.
Un organo ufficiale per i Cooperatori, non ancora menzionato nel primo regolamento e ripetutamente promesso negli altri, non darà inizio alle sue pubblicazioni fino all'agosto del '77.
In tutti questi programmi non c'è parola di donne. Forsechè Don Bosco non vi pensava? o credeva egli di poter prescindere dalla cooperazione femminile? Nient'affatto. Un giorno, discorrendo familiarmente con Don Barberis, dopo aver detto che, allestite ormai le scuole per i Figli di Maria, attendeva a “un altro affare molto importante, cioè all'Associazione Salesiana”, proseguì: “Da circa due anni ci lavoro attorno. Ora ne formulerò le norme, che prima del finire dell'anno si renderan pubbliche. Ci vorranno due anni a consolidare l'Opera. Intanto ho già fatto un altro progetto, che in questi due anni maturerò e, assicurata l'esistenza dell'Opera dei Cooperatori Salesiani, lo metteremo fuori: sarebbe da fare quasi direi un terz'ordine per le donne, non però aggregate a noi, ma associato alle Figlie di Maria Ausiliatrice[48]”. Se non che, recatosi egli poco dopo a Roma e presentato a Pio IX il programma dei Cooperatori Salesiani, il Papa, visto che di [74] Cooperatrici non vi si parlava, disapprovò expressis verbis tale esclusione. - Le donne, disse, ebbero sempre parte principale nelle opere buone, nella Chiesa stessa, nella conversione dei popoli. Esse sono benefiche e intraprendenti nel sostenere le opere buone anche per inclinazione naturale, più che gli uomini. Escludendole, vi privereste del più grande degli aiuti. - Il Servo di Dio, per il quale ogni desiderio del Papa era comando, metterà da parte il suo modo di vedere e, appena assicurata l'esistenza dei Cooperatori, vi aggregherà le Cooperatrici.
Prima di ripigliare il filo del racconto, porremo qui due dichiarazioni fatte alquanto posteriormente da Don Bosco, ma utilissime a ben comprendere insieme con la lettera anche lo spirito dell'Opera. In una conferenza pubblica tenuta da lui a Borgo S. Martino il 1° luglio del '80, ribadendo e completando un concetto che si legge nei proemi dei tre programmii, egli parlò così: “Una volta poteva bastare l'unirsi insieme nella preghiera; ma oggidì che sono tanti i mezzi di pervertimento, soprattutto a danno della gioventù di ambo i sessi, è mestieri unirsi nel campo dell'azione e operare[49]”. Sei anni dopo, parlando a sacerdoti ex - allievi convenuti nell'Oratorio per festeggiare il suo onomastico, disse loro: “L'Opera dei Cooperatori Salesiani... si dilaterà in tutti i paesi, si diffonderà in tutta la Cristianità, verrà un tempo in cui il nome di cooperatore vorrà dire vero cristiano... I Cooperatori saranno quelli che aiuteranno a promuovere lo spirito cattolico... Più la Santa Sede sarà bersagliata, più dai Cooperatori sarà esaltata; più la miscredenza in ogni lato va crescendo e più i Cooperatori alzeranno luminosa la fiaccola della loro fede operativa[50]”. Il Papa Pio IX a persona di sua confidenza aveva detto un anno avanti la morte: “I Cooperatori Salesiani sono destinati a fare del gran bene nella Chiesa e alla civile società. L'opera loro... sarà col tempo così apprezzata, [75] che già mi par di vedere non solo famiglie, ma città e paesi interi a farsi Cooperatori Salesiani”[51].
L'azione cattolica, definita da Pio XI cooperazione di laici alla gerarchia ecclesiastica, non incarna forse l'idea dominante che guidava Don Bosco nel dettare le norme della cooperazione Salesiana?
Don Bosco nelle sue intraprese non perdeva mai di vista il su remo obiettivo di arricchire le anime con i tesori della grazia celeste. Finchè i suoi benefattori non furono in gran numero, egli si fece un dovere di compiere verso ciascuno quei tratti di riconoscenza che essi meritavano, specialmente assicurandoli delle sue e altrui preghiere e implorando per loro benedizioni e indulgenze individuali dal Sommo Pontefice. Ma, moltiplicatisi quelli col moltiplicarsi delle sue Opere, ciò gli tornava ormai impossibile; onde, costituita l'Associazione, si adoprò perchè le fossero accordati favori spirituali molto abbondanti, che procacciassero ai Soci un ben prezioso compenso del loro zelo e dei loro sacrifizi.
Il Papa Pio IX lodò per la prima volta e vivae vocis oraculo approvò l'Associazione Salesiana in un'udienza del 22 febbraio '75. Incoraggiato dalla benignità del Pontefice, Don Bosco insieme con il regolamento per l'Opera di Maria Ausiliatrice mandò pure ai vescovi quello per l'Associazione, implorandone le relative commendatizie. Il Vescovo di Tortona, tra gli altri, ne scriveva così a Don Bosco: “L'Associazione Salesiana, che può benissimo considerarsi un terz'ordine della benemerita di Lei Congregazione già definitivamente approvata dalla santa Chiesa, mi sembra pure opportunissima e direi provvidenziale nelle attuali condizioni della società, sia per lo scopo, a cui mira, sia per l'organamento e modo di funzionare che vi sono tracciati, molto giovevoli, a mio avviso, a porre in opera le affettuose esortazioni ripetutamente fatte dal Santo Padre a questo riguardo[52]”, Con la lettera già riferita [76] altrove[53] Don Bosco interpose i buoni uffizi del Card. Berardi per far pervenire alla Santa Sede le sue suppliche, avvalorate dalle commendatizie vescovili.
Egli non poteva ancora chiedere l'approvazione definitiva, la quale non si suole accordare se non dopo un decreto di collaudazione. Fece quindi umili istanze al Santo Padre, perchè si degnasse concedere le seguenti facoltà: 1° che le grazie e indulgenze accordate ai religiosi interni fossero dal Superiore Generale comunicabili ai benefattori esterni; 2° che il Superiore Generale potesse delegare i direttori delle Case particolari a comunicare i mentovati favori. Nel Breve di concessione, recante la data del 30 luglio 1875[54], Don Bosco ebbe la gioia di leggere che i benefattori della sua Società vi erano considerati “non altrimenti che se fossero Terziarii”. Un gran passo era fatto.
Ma Don Bosco non si arrestò a mezzo cammino; egli mirava all'approvazione formale da parte della Santa Sede. Perciò il 4 maggio del '76 umiliò al Santo Padre una supplica concepita in questi termini:
Dal giorno che V. S. si è degnata di approvare definitivamente l'Umile CONGREGAZIONE DI S. FRANCESCO DI SALES crebbe notabilmente il numero dei suoi Soci e molto si allargò il campo della messe evangelica loro proposta. Alla vista del crescente bisogno crebbe eziandio il numero dei fervorosi Laici ed Ecclesiastici, che offerirono con sollecitudine la loro cooperazione, ma unanimi si fecero a chiedere una specie di Regolamento, che servisse a conservare l'uniformità nell'operare e assicurare la stabilità di que' sani principii, che solamente si trovano inconcussi nella Nostra Santa Cattolica Religione. Questo Regolamento, Beatissimo Padre, venne formolato col titolo di COOPERATORI SALESIANI, e con esso si ha in animo di invitare quelli, che vivono nel secolo, a venire in aiuto a coltivare quella stessa messe che forma lo scopo della PIA SOCIETÀ SALESIANA.
La Santità Vostra degnavasi di far esaminare tale progetto, benedirlo e commendarlo. Molti Vescovi furono solleciti di accoglierlo [77] per le rispettive Diocesi, ed ora colle loro Commendatizie inviarono l'umile esponente a supplicare V. S. affinchè con atto di speciale Clemenza si degni aprire il tesoro delle Sante Indulgenze. In questo modo ognuno può essere assicurato che l'Opera degli Oratorii è da V. S. benedetta e commendata, ed ha un conforto da quella Religione cui di buon grado i Cooperatori consacrano le loro fatiche.
Tutti pertanto supplicano V. S. a voler concedere ai RELIGIOSI SALESIANI e ai loro COOPERATORI:
1° Indulgenza Plenaria in articolo di morte, purchè facciano sacrifizio delle loro vita a Dio, accettando quel genere di morte che a Lui piacerà inviare;
2° Le Indulgenze e i Favori Spirituali dei Terziarii di S. Francesco d'Assisi;
3° Le Indulgenze relative alle Chiese e alle feste di S. Francesco d'Assisi possano lucrarsi nelle feste di S. Francesco di Sales e nelle Chiese della Congregazione Salesiana.
Pieno di fiducia che V. S. voglia degnarsi di concedere gli implorati favori, chiedo umilmente una speciale Apostolica Benedizione sopra tutti i Cooperatori e sopra tutti i Benefattori della Congregazione, mentre colla massima venerazione e con figliale ossequio mi prostro
Umile figliuolo ed Obbl.mo Supplicante
La risposta fu un Breve del 9 maggio[55], con cui la Santità di Pio IX, “affinchè tale Società prendesse ogni dì maggiore incremento”, concedeva le chieste indulgenze, non più per il tramite del Superiore Generale, ma direttamente alla stessa “Società o Unione dei Cooperatori Salesiani”. Con il qual atto la Santità Sua riconosceva in modo non equivoco l'Associazione.
Ora bisognava far conoscere la Società, la benedizione pontificia e i favori spirituali; a tal fine il Beato allestì un opuscoletto, del quale diede contezza all'Ordinario, mandandogliene la prima copia incompleta, per la ragione che si vedrà. [78]
Questa mattina si è terminata la stampa e composizione del libretto Cooperatori Salesiani. È una specie di terziario con cui il S. Padre concede ai nostri benefattori alcuni favori spirituali. Dopo la benedizione del S. Padre fo a V. E. Rev.ma umile preghiera di voler impartire pure la sua benedizione come Arcivescovo della Casa principale, e, se non Le dispiacesse, permettere che dopo il S. Padre sia annoverato la E. V. nel catalogo di questi promotori.
Le fo queste due proposte per dovere e se Ella aderisce, le avrò come due favori segnalati. Ma in ogni caso La prego di accogliere questo scritto come segno di alta stima e di profonda ammirazione verso alla E. V.
Mi permetta che mi professi con viva gratitudine
Se non che si riaffaccia qui la questione già sfiorata nel capo antecedente. Questa volta è l'Ordinario stesso a metterla in campo. In una prima notificazione si comunica al Servo di Dio essere Monsignore spiacente che egli abbia pocanzi pubblicato il libro Cooperatori Salesiani senza sottoporlo alla revisione ecclesiastica; inoltre che, abbia ivi pubblicate indulgenze, e pubblicata una Pia Società, della cui istituzione canonica non risulta all'Autorità ecclesiastica di Torino. Monsignore perciò voler sapere come sia andata questa trasgressione di quanto è prescritto dalle leggi diocesane e dallo stesso Concilio di Trento. Gli si faceva pure un forte richiamo per l'uso della banda in chiesa, contro le prescrizioni sinodali e canoniche[56].
Don Bosco, che visitava allora i collegi della Liguria e non fu di ritorno se non per il 29 del mese, potè rispondere solo il 1° agosto.
Giunto dalla visita fatta alle case di Liguria, trovo la tua lettera del 16 scaduto luglio, cui, sebbene in ritardo, mi affretto di rispondere.
L'Opera dei Cooperatori Salesiani non fu pubblicata. La prima [79] copia fu mandata a S. E. Rev.ma Mons. Arcivescovo, copia non ancora tutta stampata, perchè se tu guardi la 38 pagina, la trovi in bianco, e là io divisava fosse stampata la benedizione dell'Arcivescovo nostro, se avesse giudicato di darla, Ciò feci per consiglio di alto personaggio, il quale credeva essere un riguardo speciale, che dopo il nome del S. Padre apparisse quello dell'Arcivescovo di Torino.
L'Opera dei Cooperatori non è diocesana, ma generale, e in tutto ciò che si riferisce a religione, dipende da Vescovi, da parroci, che in tale parte ne sono arbitri assoluti. Non è possibile trattar con tutti gli Ordinari di tale istituzione; io l'avrei (sic) però di buon grado trattata col nostro Arcivescovo, se non fossi costretto a trattare per persona intermediaria, per cui difficilmente le cose possono farsi intendere nel loro vero senso. L'Opera di Maria Ausiliatrice ne è esempio. È un anno che il programma è alla Revisione ecclesiastica, è un anno che lo stampatore ha le forme composte e compaginate, ma finora, non si ebbe ancora alcuna definitiva risposta.
Finchè ho potuto aprire il mio cuore a S. E., io non moveva un dito senza il suo dotto, prudente ed accorto parere. Ho dovuto amaramente cessare, quando non ho più avuto libertà di parlare, oppure non era più creduto.
In quanto alla musica istrumentale non ho veduto alcuna proibizione nel Sinodo; le regole della Chiesa non mi paiono contrarie, giacchè a Roma le più solenni funzioni sogliono farsi colla musica istrumentale, almeno quelle che ho veduto io. Tuttavia in ossequio ai desideri espressi da Mons. Arcivescovo dopo la festa di Maria A. 1875 la musica istrumentale non ha più preso parte in alcuna delle funzioni della chiesa di Maria A. Ultimamente accompagnò la processione di S. Luigi, ma solamente fuori di chiesa e non più.
Se le cose fossero intese nel loro senso, quanti disturbi sarebbero impediti, e quanti dispiaceri di meno, perchè involontari.
Il Segretario di S. E. accusò ricevuta e promettendo di esporre a Monsignore il contenuto del foglio subito dopo il suo ritorno da una non lunga assenza, dichiarava sperare che Monsignore, comprendendo il procedimento seguito, ne sarebbe rimasto soddisfatto[57]. Per altro, mentr'era in Liguria, il Beato, non venendo l'approvazione e valendosi di un suo incontestabile diritto, fece stampare programma e regole ad [80] Albenga con licenza di quella Curia, accordata il 26 luglio e con la firma del canonico Folcheri, Vicario Generale. Ne fece fare tosto la traduzione in francese.
La questione del manualino dei Cooperatori Salesiani pareva sopita; ma quando di lì a due mesi Don Bosco chiese licenza di pubblicare l'ultimo Breve, si riaccese più ardente che mai la questione principale. Se ne ha la prova nella seguente lettera.
Rev.mo Signor D. Gio. Bosco, Superiore dei Salesiani,
Monsignore Arcivescovo mi dà incarico di rispondere alla lettera di V. S. delli 5 corrente Ottobre con dirle, che esso non può permettere la pubblicazione, a cui quella sua lettera accenna, senza mancare al suo dovere di custode delle leggi canoniche.
In primo luogo un Rescritto Pontificio contenente indulgenze, prima di essere pubblicato, deve essere presentato all'Ordinario del luogo, affinchè questi ne esamini l'autenticità, e quindi gli apponga il Visto. Perciò il Breve Pontificio, a cui la S. V. allude dovrebbe essere comunicato alla Curia Arcivescovile nel suo originale.
In secondo luogo il Breve Pontificio è in favore d'un'Associazione di Cooperatori Salesiani, la quale è già canonicamente instituita: Cum, dice il Romano Pontefice, sicut relatum est Nobis, Pia quaedam sodalitas canonice instituta sit. Ora una tale società non può essere stata instituita canonicamente, se non dal Sommo Pontefice, o da un Vescovo per la sua Diocesi, o da un altro, non Vescovo, con speciale autorità del Sommo Pontefice. Nel primo caso si dovrà mostrare alla Curia Arcivescovile di Torino il Rescritto Pontificio di quella erezione canonica: nel 2° caso, si mostri alla stessa Curia la carta di erezione canonica, fatta dal Vescovo che ha instituita quella società, e della facoltà data dal Sommo Pontefice a quel Vescovo, di erigere la società anche per altre Diocesi: nel 3° caso poi si mostri alla Curia la Carta della Facoltà data dal Sommo Pontefice a quel personaggio non Vescovo, di instituire quella società; ed il documento con cui lo stesso personaggio, usando della detta facoltà, instituì la società.
Fino a che non s'adempiono queste cose, a Monsignore Arcivescovo non è lecito acconsentire alla dimanda di V. S., a cui egli augura ogni benedizione.
Con tutta la considerazione mi dichiaro
Don Bosco aveva ben altro per il capo in quei giorni. Un novello stuolo di 24 Missionari era sulle mosse. Questa letterina ci rappresenta al vivo quali preoccupazioni si sovrapponessero allora alle sue occupazioni ordinarie.
Ricevo notizie con parecchie lettere che mi fissano la partenza de' nostri Missionari pel principio di Novembre p. Ciò mi dà gran pensiero e senza poterla riverire debbo partire domani per tempissimo per pensare, preparare e provvedere. Ma prima della loro partenza ci vedremo certamente e prenderanno i suoi ordini. Dio conceda ogni bene a Lei e a tutta la sua famiglia e preghi per chi si professa in G. C.
Il Sig. Cav. Marco Gonella. - Chieri.
Non solo questo, ma dovette anche, come si vedrà più innanzi, accompagnare i Missionari a Roma, dove l'attendevano negozi di gran rilievo. Dalla Città Eterna scrisse all'Oratorio alcune righe, che ricevono luce dai fatti or ora narrati e insieme li illuminano; righe tanto più preziose, perchè costituiscono l'unico documento che siasi finora rintracciato intorno all'andamento della controversia sui Cooperatori durante la fase risolutiva. L'autografo manca d'intestazione, di data e della firma. Sia ciò da attribuirsi a prudenza o alla fretta, certo è che il foglio dovette far parte di un plico. Il contenuto è di tal natura che in quella forma non poteva esser diretto se non all'alter ego di Don Bosco, a Don Rua; la stessa pagina anzi contiene informazioni molto confidenziali e di carattere delicato, espresse in latino su persone e cose dell'Oratorio. Che provenga da Roma, risulta evidente dal contesto; che si riferisca al noto affare e a questo momento della controversia, sembra anche fuor di dubbio, sol che se ne ponderi il tenore e che lo si metta in relazione con le [82] circostanze. La grafia è sicurissima. Resta che ne caviamo le conclusioni.
Ecco il documento: “Lasciamo stagionare la risposta della [= alla] Curia Arciv. di Torino; manda qualcuno che dimandi il Breve, affinchè non si perda; giunto a Torino, se c'è qualche cosa da fare, la faremo, ma s'insista per aver il Breve. Quello dei Cooperatori Salesiani non si farà stampare in Torino e quindi non occorrono quistioni, ma ci diano il Breve. Se poi dimandano con insistenza, dove e chi istituì i Salesiani Cooperatori, dirai che qui a Roma da una persona di autorità grande mi si disse: Quando una Congregazione Romana emana un Breve od un decreto, non suole dare se non le ragioni espresse in questi; e che le autorità locali devono solamente esaminare l'autenticità dell'atto, ma non le ragioni preventive”.
Dunque il Breve del 9 maggio fu “comunicato alla Curia Arcivescovile nel suo originale”, secondochè si esigeva e com'è ovvio che Don Bosco abbia fatto senza esitare. Per altro la risposta si doveva lasciar “stagionare”, cioè non rifiutare, ma solo differire a tempo opportuno. La frase “quello dei Cooperatori Salesiani sembrerebbe distinguere fra il Breve dei Cooperatori e qualche altro menzionato nel periodo antecedente; ma non è così, perchè il ritornello finale “ma ci diano il Breve”, che ci riporta al primo periodo, fa una cosa sola con “quello dei Cooperatori”. Una distinzione vi si fa, ma un termine è nella mente di Don Bosco e riguarda documenti pontifici da potersi pubblicare dovunque. Viene in sostanza a dire così: - Non si allarmino quei signori, consegnino pure il Breve dei Cooperatori. Noi faremo stampare a Torino gli altri documenti pontifici, ma quello dei Cooperatori no. - Si poteva parlar più chiaro, non c'è dubbio; ma nella premura scorrevano frequenti dalla penna di Don Bosco le imperfezioni formali in scritti privati. Chi sarà poi la “persona di autorità grande”? Il Card. Berardi? il card. Antonelli? mons. Vitelleschi? Poco importa conoscerne il nome. Infine [83] la risposta da dare nell'ipotesi d'insistenze, sarebbe stata lì per lì evasiva, tale da permettere a Don Bosco di giungere a Torino e fare quindi ciò che vi fosse da fare.
Non isfugga all'accorto lettore l'inversione affatto insolita che salta subito agli occhi in “dove e chi istituì i Salesiani Cooperatori”. È una variazione spontanea, ma non fortuita nè tanto meno prodotta da conscio o inconscio movente stilistico; in quell'istante alla mente di Don Bosco si parava dinanzi la risposta lasciata a stagionare e, come non di rado avviene, influì sulla dicitura, senza che egli se n'avvedesse. La risposta stagionata c'induce a pensare così.
Di questa risposta noi possediamo la minuta autografa in sette facciate su ordinaria carta da lettera, tempestate di correzioni. Don Bosco intende ivi a dimostrare, che il canonice instituta del Breve ha buon fondamento nella realtà, e che quindi il sicut relatum est Nobis non cela nulla di surrettizio. La più spiccia sarebbe stata senza dubbio di mettersi d'accordo antecedentemente con la Curia; ma con quale speranza di risultato? Si ricordi il “Guai se si fa ancora un passo!”. Don Bosco dunque saltò la barriera ed entrò in diretta relazione con Roma. Il bene da fare non gli permetteva di perder tempo in questioni de lana caprina.
A sempre meglio intendere l'incalzante attività di Don Bosco e la sua tattica nell'agire, ci sembra qui il luogo di riportare un colloquio da luì avuto con Don Barberis il 31 maggio di quest'anno e da Don Barberis registrato nella sua più volte citata cronachetta. Parlava egli dello spirito che doveva informare la novella Congregazione. Tre note caratteristiche disse appartenere all'indole di essa: grande attività, non mai urtare di fronte gli avversari, e, se non si può lavorar qua, andare là. Indi proseguì: “Noi non ci fermiamo mai, vi è sempre cosa che incalza cosa. Ora parrebbe necessario Consolidarci meglio e non ampliarci tanto; eppure io vedo che dal momento che noi ci fermassimo, la Congregazione comincerebbe a deperire. Nemanco un giorno di sosta! Non è ancor finito [84] un grande affare, che già un altro ci spinge. Non era ancora imbarcato il drappello destinato all'America, che io correva a Nizza per aprire quella nuova Casa. Stavamo ancora in trattative con Nizza, che già la domanda per Bordighera urgeva. Ciò non era ancor compito, che già bisognava affrettarci e pensare di aprire in Torino la Casa per le Figlie di Maria Ausiliatrice. Intanto viene la necessità di dover andare a Roma. Qui, sempre più una cosa incalza l'altra. Non è ancora ultimato il disegno per i Figli di Maria Ausiliatrice, che già si presenta al Santo Padre quello dei Cooperatori Salesiani. Non si ha tempo a concludere questo, che viene a precipizio il pensiero della Patagonia. La Patagonia stessa è incalzata dal magnifico progetto offerto dal card. Franchi e dal Santo Padre del Vicariato nell'India... e poi altri... e poi altri. La povera testa di Don Bosco è oppressa da tante cose e ne soffre terribilmente. Eppure, avanti, avanti! Il consolidamento della Pia Società deve farsi... e vedo che si fa... contemporaneamente... ma senza fermate”.
Torniamo al documento. Esso riveste agli occhi nostri tanta importanza, che non lo relegheremo nell'appendice, sebbene sia piuttosto lungo. Ci pare vada letto qui per disteso, inquadrato nella narrazione. Scrive Don Bosco nel suo pacato e limpido stile.
La storia dei Cooperatori Salesiani rimonta al 1841, quando si cominciò a raccogliere i ragazzi poveri ed abbandonati nella città di Torino. Si raccoglievano in appositi locali e chiese, erano trattenuti in piacevole ed onesta ricreazione, istruiti, avviati a ricevere degnamente i Santi Sacramenti della Cresima, della Confessione e Comunione. Al disimpegno dei molti e svariati uffizi unironsi parecchi signori che coll'opera personale o colla loro beneficenza sostenevano la così detta opera degli Oratori festivi. Essi prendevano il nome dall'uffizio che cuoprivano, ma in generale erano detti benefattori, promotori ed anche cooperatori della Congregazione di S. Francesco di Sales.
Il superiore di questi Oratori era il Sac. Bosco, che operando in ogni cosa sotto all'immediata direzione ed autorità dell'Arcivescovo, [85] esercitava il suo ministero ricevendo le opportune facoltà oralmente e per lettera. Ogni volta poi che si presentavano difficoltà, l'ordinario le appianava per mezzo del sac. Bosco.
Le facoltà di amministrare i santi Sacramenti della Confessione e Comunione, soddisfare al Precetto Pasquale, ammettere i fanciulli alla S. Comunione, predicare, fare tridui, novene, esercizi spirituali, dare la benedizione col SS.mo Sacramento, cantar Messa furono le prime concessioni di Mons. Arciv. Fransoni.
I così detti promotori e cooperatori Salesiani costituiti come in vera Cong. sotto al titolo di S. Francesco di Sales cominciarono ad ottenere anche dalla S. Sede alcuni favori spirituali con Rescritto 18 aprile 1845 sottoscritto: pro Domino Card. A. del Drago L. Averardi Substitutus.
Con questo Rescritto erano concesse alcune facoltà al Superiore e fra le altre di comunicare la Benedizione Apostolica e l'indulgenza plenaria a cinquanta promotori da scegliersi ad arbitrio del Direttore.
In data 11 aprile 1847 Mons. Fransoni approvava la compagnia di S. Luigi fondata nella cong. Sal. con indulgenze concesse da lui e dalla Santa Sede.
Nel 1850 il Sac. Bosco esponeva a S. S. essere stata legittimamente eretta in quella Città una Congreg. sotto al titolo e protezione di S. Francesco di Sales e si dimandavano più ampi favori agli aggregati ed altri ai non aggregati.
Tali favori erano concessi con Rescritto 28 sett. 1850 firmato: Dominicus Fioramonti SS.mo D.no N. ab epistol. Latinis.
La congr. dei Promotori Salesiani essendo così di fatto stabilita in faccia alle autorità ecclesiastiche locali ed anche della S. Sede, atteso la moltitudine di poveri fanciulli che intervenivano, fu necessità di aprire altre scuole, altri Oratori Festivi in altre parti della città. Affinchè poi fosse conservata l'unità di spirito, di disciplina e di comando, e si fondasse stabilmente l'opera degli Oratori, il Superiore ecclesiastico con Decreto o patente 31 marzo 1852 ne stabiliva il Sacerdote Bosco Direttore Capo con tutte le facoltà che fossero a tale uopo necessarie o semplicemente opportune.
Dopo questa dichiarazione la congregaz. di promotori salesiani si giudicò sempre come canonicamente eretta e le relazioni colla Santa Sede furono sempre praticate dal Superiore di quella.
Dal 1852 al 1858 furono concessi varii favori e grazie spirituali; ma in quell'anno la congr. fu divisa in due categorie o piuttosto in due famiglie. Coloro che erano liberi di se stessi e ne sentivano vocazione, si raccolsero in vita comune, dimorando nell'edifizio che fu sempre avuto per casa Madre e centro della pia associazione, che il Sommo Pontefice consigliò di chiamare Pia Società di S. Francesco di Sales, con cui è tuttora denominata. Gli altri ovvero gli esterni [86] continuarono a vivere in mezzo al secolo in seno alle proprie famiglie, ma proseguirono a promuovere l'opera degli Oratorii conservando tuttora il nome di unione o congr. di S. Francesco di Sales, di promotori o cooperatori Salesiani; ma sempre dai soci dipendenti, e coi medesimi uniti a lavorare per la povera gioventù.
Nel 1864 la S. Sede commendava la Pia Società Salesiana e ne costituiva il Superiore. Nell'approvazione di questa avvi la parte che riguarda agli esterni, che furono sempre detti promotori o benefattori, e ultimamente Cooperatori Salesiani.
Nel 1874 ne approvava definitivamente le Costituzioni, sempre sotto il nome di Pia Società. Ma considerando sempre i membri dell'antica congr. Sales come promotori e cooperatori delle opere che i soci intraprendevano, e a cui essi prestavano aiuto nelle scuole, nelle funzioni religiose, a ricreazione festiva e nelle cose che solevano compiersi in mezzo al secolo, nel 30 luglio 1875 la Sacra Congregazione dei Brevi concedeva al Superiore della Società Salesiana che potesse concedere Indulgentias et gratias spirituales societatis ipsi a S. Sede concessas, a suoi antichi cooperatori, insignibus benefactoribus communicandi perinde ac si tertiarii essent, iis exceptis quae ad vitam communem Pertinent.
Questi benefattori sono quelli stessi che furono sempre detti promotori o cooperatori e che nelle costituzioni Salesiane antiche hanno un capo a parte e sono detti esterni.
Pertanto quando per benigna concessione della S. Sede si concedevano novelli e più ampi favori ai cooperatori salesiani e si accennava alla pia Christifidelium Sodalitas, canonice instituta, cuius sodales praesertim pauperum ac derelictorum puerorum curam suscipere sibi proponunt, si riferiva:
1° A quegli antichi promotori di fatto approvati e riconosciuti per dieci anni come veri cooperatori dell'Opera degli Oratori; formalmente costituita colla patente del 1852, e che continuarono ad essere aggregati viventi nel secolo, quando alcuni di essi cominciarono a far vita comune con regole proprie nel 1858
2° Questi associati o la Pia Società Salesiana fu sempre la Direttrice di quei benefattori, che secondo le regole loro proposte si prestavano con zelo e carità ad aiutare moralmente e materialmente i Congregati.
Dopo l'attenta lettura di questo memoriale tornerà più agevole prendere per il loro verso certi termini della supplica, con cui Don Bosco chiedeva indulgenze per i Cooperatori Salesiani e che ebbe per effetto il contestato primo periodo del Breve. Si badi bene come Doli Bosco non presenti ivi [87] al Santo Padre l'Associazione quasi fosse una novità, ma abbia l'avvertenza di dire che, approvata la Congregazione e allargatosi il campo della sua attività, crebbe eziandio, il numero di coloro, che generosamente offrirono la loro collaborazione. Per crescere bisogna già esistere. Si obietterà che la presentazione del Regolamento sembrerebbe far supporre cosa creata ex novo. Nient'affatto: Don Bosco ci dà la genesi del Regolamento, dicendo che furono i cooperanti stessi, così cresciuti, a chiedere unanimi una specie di Regolamento, che servisse a conservare l’uniformità...e assicurasse la stabilità. Un'altra obbiezione potrebbe sorgere dalla parola progetto, che s'incontra nel secondo capoverso; ma lì il progetto è l'abbozzo del Regolamento sottoposto a esame per l'approvazione, e non un disegno di nuova Società. Ed ecco poche righe più sotto farcisi innanzi come soggetto delle chieste indulgenze un ente che esiste da parecchio, l'Opera degli Oratori, l'antica Opera approvata da Mons. Fransoni, benedetta e ribenedetta da Roma, e perdurata nell'essere suo fino al momento della supplica. Non si riscontra dunque soluzione di continuità fra supplica romana e risposta torinese, quasi che questa fosse un'ingegnosa trovata postuma per correre ai ripari, ma fra l'una e l'altra intercede lo stesso rapporto che fra testo e commento.
Se la vertenza abbia avuto seguito, non ci è dato nè di asserirlo nè di negarlo, mancandocene le prove. Il fatto è però che l'Associazione proseguì indisturbata l'opera sua in ogni nazione del mondo, visibilmente benedetta da Dio e universalmente accetta agli uomini. Oggi si sa abbastanza che cosa siano e che cosa vogliano i Cooperatori Salesiani; per altro non pochi perdurano nell'errore di credere che essi formino quasi un corpo di ausiliari, i quali, fiancheggiando la Congregazione Salesiana, a questa colleghino strettamente ed esclusivamente la loro cooperazione. Non così la pensava Don Bosco. Un giorno del '76 incontrato a S. Pier d'Arena Don Angelo Rigoli, parroco di Somma Lombardo, tra il serio e il [88] faceto gli definì a questo modo i Cooperatori Salesiani: “Saranno la massoneria cattolica per la loro propria santificazione e per la propaganda d'ogni sorta di bene nelle famiglie e nella Società”. Don Bosco indubbiamente mirò alto e mirò lontano. Gli quadra benissimo l'elogio che la Scrittura fa del sommo sacerdote Simone[58]: Mentre visse, sorresse la casa [di Dio]; e a' suoi giorni fu ristoratore del tempio. Ne’la mente di Don Bosco era germogliato il concetto dell’odierna Azione Cattolica.
Lo storico si trova talora di fronte a compiti abbastanza spinosi. A volte infatti il dir intiera la verità sembra non essere conciliabile con il religioso rispetto che si professa verso autorità di carattere sovreminente; ma viceversa il sacrificarne qualche lembo sarebbe far torto a chi nelle cose narrate ebbe parte cospiscua e vi ha acquistato il diritto alla stima indiscussa dei posteri. Stretto così fra incudine e martello deve chi scrive procedere ben cauto e regolarsi in guisa che la realtà dei fatti, riguardata da lui sine ira et studio, gli esca dalla penna ricostruita quale si attuò nel suo graduale evolversi, mantenendosi egli costantemente nella più serena e riguardosa equità.
I malintesi con la Curia di Torino, anzichè accennare a chiarirsi e a dissiparsi, minacciavano d'infittire ogni giorno più. Per addentrarci più sicuramente nei meandri dell'affare, di cui ci occuperemo in questo capo, gioverà conoscere bene la faccenda dei quesiti, a cui intendeva riferirsi mons. Vitelleschi nella sua già da noi citata lettera.
Il 23 settembre del '74 l'Ordinario di Torino aveva presentato alla Santa Sede i cinque seguenti quesiti:
1° Le Costituzioni della Congregazione fondata da Don Bosco sono definitivamente approvate dalla Santa Sede?
2° Questa Congregazione è posta nella classe degli Ordini Religiosi? È quindi soggetta immediatamente alla Santa Sede ed esente dalla giurisdizione dei Vescovi?
3° È tolta al Vescovo la facoltà di visitare le Chiese e le Case di tale Congregazione? [90]
4° È lecito al Rettore di accettare far vestire e professare, od anche accettare semplicemente come maestri, assistenti, ecc. i chierici della diocesi, senza il previo beneplacito, ed anche col dissenso del vescovo?
5° È lecito al suddetto ricevere nella Congregazione chierici, cui il Vescovo ha fatto deporre l'abito, perchè li ha giudicati inabili al sacro ministero, e ciò senza il consenso, ed anche col dissenso del vescovo?
La Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari non pose gran tempo in mezzo a redigere la risposta; ma, preparata che fu, se ne dovette sospendere l'invio “per gli scrupoli” del Cardinale Prefetto; la frase è del card. Berardi[59]. Per avere un'idea della meticolosità, che quel degno prelato portava nell'esercizio della sua alta carica, basti sapere che Don Bosco, mandando a Roma sul principio di maggio Don Bonetti e Don Lemoyne, in un promemoria di suo pugno sul modo di governarsi nell'Eterna Città, intorno alla persona del card. Bizzarri si espresse così: “Molto pio, moltissimo scrupoloso, non accetta regali, [non] vuole nemmeno che si preghi per lui per timore di simonia”.
La risposta dunque sarebbe rimasta ancora chi sa fino a quando fra gli atti d'ufficio tenuti in sospeso, se il cardinal Berardi, qualificato in detto promemoria come “grande amico della Casa”, non avesse “raddoppiato le sue premure presso coloro ai quali prima aveva ricorso[60]”, affinchè si spedisse finalmente all'Ordinario torinese la lettera. Fu spedita difatti il 13 gennaio. Nel suo contenuto essenziale essa diceva: [91] Con Decreto riportato dalla Udienza di S. Santità, li 3 Aprile 1874, vennero definitivamente approvate le Costituzioni dell'Istituto Salesiano; ciò che non deve Ella ignorare, dappoichè ho motivo a ritenere con sicurezza, che il Superiore Generale del medesimo ne desse allora a V. S. comunicazione. Può Ella facilmente rilevare dal tenore del citato Decreto, di cui unisco copia, nonchè dell'altro a Lei noto, e precedentemente emanato sull'approvazione dell'Istituto stesso, quale sia la condizione al medesimo fatta, riportandosi nell'uno e nell'altro espressamente queste parole: Salva Ordinariorum iurisdictione ad praescriptum Sacrorum Canonum et Apostolicarum Constitutionum. Tale condizione importa in ogni Istituto di voti semplici, e quindi eziandio nel Salesiano, che, trattone il caso in cui fossegli dalla S. Sede concesso alcun privilegio, sono quelli Istituti esenti, ossia non soggetti alla giurisdizione degli Ordinarii soltanto in tutto ciò che è contenuto nelle Costituzioni dalla stessa S. Sede approvate.
Circa poi il libero ingresso dei Chierici secolari negli Istituti di Voti Semplici, onde con grave iattura della Ecclesiastica disciplina non siano impedite le vocazioni allo stato più perfetto, ha dichiarato questa S. Congregazione, che ai medesimi è estesa la Costituzione del Sommo Pontefice Benedetto XIV Ex quo dilectus, nella quale è pure abbastanza provveduto a qualche caso urgente e straordinario, che reclamasse una contraria disposizione. Discende poi come una legittima conseguenza della or ora citata Costituzione Benedettina ciò che nel Decreto della S. Congregazione Super statu Regularium - Romani Pontifices del 25 Gennaio 1848 viene prescritto, sotto il numero II, che cioè agli Ordinarii non è mai libero di negare le Lettere Testimoniali ai Postulanti l'ingresso in qualunque Ordine anche di Voti Semplici. Non dubitando che vorrà la S. V. attenersi a tutte e singole queste disposizioni, prego Iddio che la feliciti.
Tre giorni dopo il Card. Berardi, mantenendo una promessa fattagli, spedì a Don Bosco, naturalmente “con la più stretta riserva e per sola sua norma”, una copia di questo documento, nella speranza che si sarebbe una buona volta trovato il mezzo “per liberarlo dalla Croce che lo tormentava[61]”.
Ma prima di procedere oltre dobbiamo dire purtroppo che la risposta di Roma lasciò letteralmente il tempo che trovò. Infatti dal principio alla fine dell'anno le cose non cambiarono punto. Come in gennaio l'Ordinario rifiutò la facoltà di predicare a due sacerdoti Salesiani, di cui uno, Don Milanesio, il futuro Missionario della Patagonia, dirigeva le scuole gratuite degli esterni e l'oratorio festivo di Valdocco, e l'altro, [92] Don Pietro Guidazio, futuro direttore del primo collegio di Don Bosco in Sicilia a Randazzo, era professore patentato della quarta ginnasiale nell'Oratorio; così in dicembre la rifiutò a Don Giovanni Branda e a Don Angelo Bordone, prefetto il primo e laureato professore il secondo nel collegio di Valsalice. Quali fossero poi le ragioni di tali rifiuti, è rimasto sempre un mistero, perchè non ne fu mai comunicata alcuna. Inoltre, sempre le medesime ripulse ai chierici dell'Oratorio per le sacre ordinazioni; sempre i medesimi dinieghi delle lettere testimoniali a quanti ne facessero domanda per entrare nella Congregazione Salesiana; sempre le medesime negative alle preghiere di andar a funzionare presso i Salesiani. Nè potevasi aspettar di meglio, se, l'Ordinario stesso, replicando il 24 gennaio, aveva creduto di dover rilevare come quegli Eminentissimi non avessero capito i suoi quesiti, con cui dichiarava d'aver voluto render noto che Don Bosco riceveva nelle proprie Case preti della sua diocesi a farvi scuola, a confessare, a restare in Congregazione senza domandargliene licenza.
Qualunque storico che ci tenga a essere coscienzioso, prima di procedere oltre, sente qui il dovere di premunire i suoi lettori da giudizi avventati. Chi dalle relazioni corse fra monsignor Gastaldi e il Beato Don Bosco presumesse di giudicate sommariamente l'Arcivescovo, di Torino, andrebbe lungi dal vero. Monsignor Gastaldi non era tutto qui. Egli infatti lasciò dietro di sè una fama tuttora viva di zelo energico e intraprendente nel governò dell'archidiocesi: torinese. Inoltre certe sue lettere pastorali si leggono anche oggi con utilità e con gusto, perchè nutrite di buona dottrina e scritte con: vigore di stile. Ebbe ammiratori entusiasti e fieri avversari nelle file ,stesse' del clero; nè questo recherà meraviglia â chi ha esperienza, della vita: solo chi non fa non falla,- e poi in questo mondo a contentar tutti non è riuscito mai nessuno. Nel caso di Don Bosco bisogna pur notare che persone conviventi con Monsignore facevano ai danni dell'Oratorio opera di denigrazione quotidiana. Ma sopra ogni altra considerazione sta .il fatto che l'Arcivescovo, tutto preso dagl'interessi del proprio gregge, non arrivò mai a persuadersi, che fosse cosa utile e giusta- favorire un'istituzione, la quale, mirando a larghe e lontane espansioni, gli aveva l'aria di sottrarre all'Archidiocesi tanti mezzi di bene, che gli sarebbe parso molto più ragionevole veder impiegati sul posto. Comunque sia, la divina Provvidenza permise che da tanti guai venissero al Beato Don Bosco innumerevoli occasioni di mostrare l'eroismo delle sue virtù. Del resto è.,noto come i grandi Fondatori siano tutti, chi più chi meno, vissuti in tribolazione per malintesi dello stesso genere.
Il suo stato d'animo si rivelò involontariamente verso quel tempo in una visita all'Ospizio di San Pier d'Arena. Andò a vedere anche i luoghi più segreti. Si direbbe che fosse dominato dal timore che nelle case di Don Bosco si facesse d'ogni erba fascio, non rispettandosi alcuna legge, pur di tirare avanti. Così nell'80, da una parrocchia limitrofa della sua diocesi, comparve improvvisamente nella nuova Casa di S. Benigno Canavese, sita in diocesi d'Ivrea e, recatosi nella cappella, tirò diritto verso l'altar maggiore e vi tastò ben bene sotto la tovaglia, per vedere se la pietra sacra fosse in regola[62]. Ma torniamo a San Pier d'Arena. Osservando ivi sulla volta della vecchia chiesa un affresco, che ne rappresentava [93] il primitivo Patrono San Giovanni Evangelista, scattò e chiese in tono sprezzante: - Avete fatto dipingere Don Bosco là? - L'erronea interpretazione è più che sufficiente a scusare il tono; ma simili equivoci, accompagnati subito da espressioni risentite, nascono senza dubbio da preconcetti molto radicati, che vietano serenità e spassionatezza di giudizio.
Dalla natura dei quesiti prima e poi dai buoni uffizi del card. Berardi comprese Pio IX l'opportunità di un intervento per tentar un rimedio, con cui impedire che le cose andassero di male in peggio. Commise dunque al porporato stesso d'incaricare mons. Fissore, Arcivescovo di Vercelli, “a volersi porre di mezzo, affinchè cessasse una volta la deplorevole divergenza sorta” fra Don Bosco e il suo Ordinario “per affari riguardanti la Congregazione” Salesiana. Il buon porporato obbedì “immediatamente al pontificio comando con l'indirizzare subito” all'Arcivescovo di Vercelli una lettera, della quale “riservatamente”mandava copia a Don Bosco. “Dopo di ciò, scriveva egli, starò in attesa del risultato e, conosciuto questo, vedrò il quid agendum[63]”.
I termini della summentovata comunicazione a mons. Fissore erano onorevoli per ambe le parti. Qualche divergenza, forse non ignota all'Arcivescovo di Vercelli, esser sorta disgraziatamente fra l'Arcivescovo di Torino e il sig. Don Giovanni Bosco per affari riguardanti la Congregazione Salesiana; dissapori di tal natura tornar sempre disgustosi e per lo più produrre gravi e deplorabili conseguenze. Per rimediarvi averne Sua Eminenza tenuto proposito col Santo Padre; essersi questi degnato indicargli come miglior partito l'interposizione dell'Arcivescovo di Vercelli “fra l'uno e l'altro dei due rispettabili Ecclesiastici; aspettarsi dunque dalla sua saggezza e prudenza la cessazione d'un sì lamentevole stato di cose[64]. [94]
Monsignor Fissore, per primo atto, si rivolse a Don Bosco (e allo stesso modo deve aver agito contemporaneamente con l'Ordinario), pregandolo che si compiacesse d'indicargli quali fossero i punti di divergenza fra lui e mons. Arcivescovo Reverendissimo riguardo alla sua Congregazione; ma per il momento non facesse parola di tale richiesta; procurasse intanto di ragguagliarnelo “con certa esattezza e minutezza”[65].
Don Bosco non ebbe nulla da eccepire nè circa la mediazione nè circa la persona del mediatore; anzi nella quarta delle conferenze di gennaio, messi prudentemente a parte della faccenda i primari della Congregazione, si dichiarò lieto che s'intromettesse mons. Fissore, perchè, diceva, “è intimo col nostro Arcivescovo e si potrà finalmente sapere il motivo dell'opposizione che ci fa”.
All'Arcivescovo di Vercelli Don Bosco a giro di posta rispose con questa lettera:
La E. V. Rev.ma mi chiede quali siano i motivi di divergenza tra la povera Congregazione Salesiana e S. E. Rev.ma Mons. Nostro Arcivescovo, ed appunto di questo ho più volte cercato di poter parlare con Lui medesimo. Le dirò precisamente quello che so. Motivi a me noti nessuno.
L'Arcivescovo adduce: D. Bosco riceve i chierici espulsi dal Seminario in sua Congregazione. Finora (12 gennaio 1875) non vi è alcuno di tali chierici che faccia parte alcuna delle nostre famiglie.
D. Bosco fa stampare lettere dell'Arcivescovo senza dirgli niente. Non mi è passato nell'immaginazione. D. Bosco fa dettare esercizi senza permesso. Questi Esercizi furono dettati da circa 30 anni con permesso di tutti i Vescovi antecessori, confermato da Mons. Gastaldi medesimo. Appena fece opposizione a questo, o meglio appena Monsignore scrisse che disapprovava tali esercizi dei Maestri e Professori di Scuola, si è tosto dismessa ogni idea e non si diedero più. Monsignore ripete undequaque queste lagnanze e non altro. Il punto difficile sta che non crede a niuna cosa che D. Bosco dica o scriva, e più volte assicurato di quanto sopra, non ci crede e ripete lo stesso. [95]
A Roma però si lagnò di altre cose. Gli scandali che danno i Salesiani, egli dice, sono tali che mi fanno temere che abbiano incorso le censure Ecclesiastiche. Ma non dà nè ragioni, nè adduce esempi. In altra lettera biasima l'Organismo di Nostra Congregazione dicendo: Un gran numero usciti da questa Istituzione danno motivo di biasimo presso a diversi Vescovi, e nella sua stessa Diocesi. Adduce l'esempio di D. Pignolo, di un prete di Saluzzo, di sette che furono ai sordomuti, che tennero condotta scandalosa. Più volte ebbi occasione di dire e di scrivere a Lui medesimo, che questi individui non hanno mai appartenuto alla Nostra Congregazione. Tuttavia egli è persuaso del contrario, e quindi disse e scrisse altre volte come sopra.
L'ho più volte invitato e pregato a voce e per lettera a dirmi quanto desiderava da me, che voleva appagarlo in tutto quello che era possibile. Disse che voleva esaminare i nostri chierici intorno alla Teologia prima di ammetterli alle ordinazioni. Fu compiaciuto. Volle che quaranta giorni prima dell'Ordinazione si presentassero a Lui per essere esaminati intorno al luogo dei loro studi, patria, vocazione, perchè erano entrati in Congregazione. Fu appagato; sebbene ciò mi abbia cagionato non lieve disturbo. Volle che io assicurassi per iscritto che non avrei accettato alcun chierico espulso dal suo Seminario. Fu tosto appagato.
Tuttavia da tre anni non giudicò più di ammettere alcun nostro chierico alle Ordinazioni, eccetto uno che dopo aver superato molte difficoltà fu ammesso alla Tonsura e ai Minori nel passato Sett. 1874. Si rifiutò di dare le testimoniali ad alcuni chierici che chiesero di venire con noi. Non ammise all'esame di confessione un nostro prete che, oltre al corso del quinquennio Teologico, aveva fatto il Triennio di morale al Convitto. Adduceva per ragione che egli non aveva emessi i voti perpetui. Ma se le regole di tutti gli Ordini religiosi attualmente obbligano ai voti triennali prima dei perpetui? Un prete Parroco di Como fu accettato nella Nostra Congregazione; venuto a saperlo, scrisse tosto una lettera a quell'Ordinario, in cui si diceva: Si prevenga il D. Guanella (ne è il nome) che venendo in questa Archidiocesi non avrebbe ottenuto mai nè il maneat, nè la facoltà di predicare. La Vigilia del Natale venne poi ad una grave deliberazione che, se non la prima nella Chiesa, lo è certamente, per quanto io sappia, nella Diocesi di Torino. La Vigilia del S. N. con un decreto, ricevuto in quel giorno, erano tolte tutte le facoltà, favori e privilegi concessi da' suoi antecessori e da lui medesimo a questa Congregazione e alle Chiese di essa. Eccettuava soltanto la facoltà di preparare alla Cresima e alla Comunione i nostri allievi. In forza di che la Benedizione del SS. Sacramento, le quarant'ore, tridui, novene, viatico, olio santo, esequie, funerali nell'interno delle case, dopo circa 30 anni d'esercizio furono tutte giubilate. Avendo poi giurisdizione speciale dalla S. Sede, finora non si è ancora modificato niente, e così furono risparmiate dicerie e scandali. [96] Questi fatti suppongono gravi motivi, che finora niuno ha potuto sapere. Se mai ella potesse saperli, sarebbe per me un giorno della massima consolazione il poterli immediatamente eliminare, quanto le mie forze e le nostre regole il comportano.
Se dovessi dire quello ch'io penso, si è che il Demonio previde il bene che Mons. Gastaldi avrebbe potuto continuare a fare alla Nostra Congregazione, seminò zizzania in secreto modo, e riuscì a farla crescere. Disturbo immenso, dicerie da tutte le parti, diminuzione di preti e di confessori tra noi, dispiaceri gravi allo stesso Monsignore che per trent'anni fu il miglior mio confidente.
Tutto quello che ho sopra esposto è letteralmente appoggiato sopra lettere autentiche, che io Le potrei a suo piacimento presentare.
Mi compatisca della lunghezza di questa lettera, la legga come può; non posso servirmi di altri a motivo della materia esposta. Mi doni la sua benedizione e in quel che mi vuole si degni comandarmi come ad un suo povero ma
Abbiamo ragione di credere che allegato a questa lettera fosse il seguente “Promemoria”, privo di data e di firma, dal card. Richelmy spedito con altri autografi del Servo di Dio alla Sacra Congregazione dei Riti il 10 settembre 1903:
Credo bene unirle un promemoria sulla cagione dei dispiaceri verso Mons. Arcivescovo. A parer mio sono le notizie infondate che taluno al medesimo [fa] pervenire. Noterò solo alcuni fatti:
1° Si volle persuadere Monsig. che D. Chiapale e D. Pignolo siano stati aggregati a questa congregazione. Nè l'uno [nè] l'altro non ci hanno mai appartenuto.
2° Parecchi come assistenti o maestri andarono all'Istituto dei Sordomuti e si fecero poco onore, anzi [si] disonorarono. Non entro a giudicare alcuno; ma è certo che quelli non furono mai Salesiani.
3° Molti usciti da questa cong. diedero gravi disturbi nelle diocesi, dove andarono. Posso assicurare che fino al 1874 niuno di nostra cong. se ne è allontanato. Un solo professo, e fu il cav. Oreglia, ora p. Federico Oreglia, il quale era come Laico e giudicò bene di uscire e ritirarsi coi gesuiti e fare i suoi studi.
4° Si volle far credere a Monsignore che io stava stampando o aveva stampato lettere particolari di Monsignore stesso, che fece scrivere più lettere. Ciò non mi è mai e poi mai passato per la mente.
5° Ho scritto un semplice invito pei soliti esercizi spirituali, e [97] si vuole comunicare a Mons. Arciv. che era una circolare indirizzata a tutti i parroci. Nè io nè altri a mio ordine mandò tali inviti ad alcun parroco.
6° Ho scritto per persuadere Monsignore che questi esercizi che dovevansi dettare dal 7 al 13 settembre p. non avevano più luogo; ed ecco subito riferire al Medesimo che D. Bosco a dispetto del suo Sup. ecclesiastico aveva iniziati i simulati esercizi e si facevano in Lanzo.
7° Il Vicario di Lanzo lo assicura, che colà non vi sono altri che quelli della nostra congreg.; ma subito avvi chi si adopera di far credere il contrario all'Arcivescovo; quindi gravissimi disturbi Per chi faceva gli esercizi, e dispiaceri da ambe le parti.
Potrei riferire lunga serie di simili fatti. Ora chi tira conseguenze da questi fatti, quali cose potrà conchiudere?
Mi duole all'animo il dover lottare colle altre gravi difficoltà; e sostener gli effetti di queste relazioni.
Occorrendo dirmi qualche cosa La prego deferire (sic) fino all'altra settimana; giacchè oggi parto in cerca di quattrini, trovandomi totalmente al verde. Sarò fuori 8 giorni.
Che nulla in casa trapelasse di corde così tese, nessuno l'avrebbe potuto pretendere, tanto più essendosi dovuto da Don Bosco per necessità di cose dare qualche informazione ai membri del Capitolo Superiore e ai direttori nel convegno di san Francesco, non foss'altro perchè sapessero bene in quali rapporti giuridici si trovasse la Congregazione di fronte alle autorità ecclesiastiche locali. Questi superiori poi non si credevano affatto legati, come si dice, dal segreto del santo Ufficio. Si spiega quindi facilmente come talvolta anche in presenza di Don Bosco il discorso cadesse su lo scottante argomento. Un giorno appunto, parlandosi degl'intralci che da quella parte venivano a ostacolare i progressi della Congregazione, Don Bosco, sempre destro nel volgere a buon fine qualsiasi conversazione, disse con l'abituale sua pacatezza: - Fortuna per noi, che andiamo avanti sicuri in nomine Domini. Noi siamo certi che Dio vuole così. Perciò tutte le difficoltà che incontriamo, provengono da questo, che le cose o non sono chiaramente spiegate o non sono bene intese, e c'è qualche equivoco[66]. [98] Il 4 febbraio mons. Fissore venne a Torino, dove sentì prima separatamente Don Bosco e l'Ordinario, indi assistette nel palazzo vescovile a uno scambio d'idee fra loro due; dopo di che ripartì per Vercelli, sperando di aver ottenuto qualche buon esito.
Intanto, essendo già trascorso quasi un mese dacchè Don Bosco aveva ricevuto le lettere del card. Berardi senza che si fosse più fatto vivo con lui, avvenuti gli abboccamenti suddetti, pensò essere ormai tempo di rompere il silenzio. Mise dunque in carta molto alla buona e inviò al benevolo Porporato la seguente relazione; mirabile per semplicità e serenità, non disgiunte da ragionevole fermezza. La dichiarazione posta in capo alla lettera, quasi a indicarne l'oggetto precipuo e a prevenire subito ogni dubbio che egli si facesse avanti a perorare pro domo sua, fermava senz'altro il suo proposito intorno al punto, che nel dibattito era stato per l'Ordinario il cavallo di battaglia.
PIU' NESSUN CHIERICO DEL SEMINARIO,
Per non moltiplicare i disturbi inutilmente all'E. V. Rev.ma ho sinora ritardato a darle ragguaglio del nostro affare: ora premessi i più vivi sentimenti di gratitudine per la grande carità che ci usa le darò conto dell'operato. L'Arcivescovo di Vercelli mi scrisse tosto perchè gli dessi un cenno sulle vertenze tra la nostra Congregazione e il nostro Arcivescovo. Lo feci. Poco dopo venne egli stesso in persona e si fece dare minuta spiegazione di ogni cosa; di poi andò dal nostro Arcivescovo, cui espose ogni cosa insistendo a voler palesare i motivi, che lo muovevano ad opprimere in modo così violento una povera e nascente Congregazione. Dopo mi riferì come segue: - Lo feci parlar molto, lo interrogai su tutti i punti, egli asserì costantemente che ha niente contro di voi; la sola cosa di cui si lagnava era che D. Bosco riceva i suoi chierici Torinesi presso di sè senza chiedergli alcun permesso. - Espresse il desiderio di parlarmi e ci andai Giovedì. Dopo un'ora e mezzo di anticamera fui ricevuto; si parlò cortesemente di qualche cosa vaga, ma venuti all'argomento non si potè parlare ed io me ne partiva re infecta, quando giunse l'Arcivescovo di Vercelli, che mi fermò e mi invitò a continuare il trattenimento [99] in sua presenza dicendo: - Ciascuno qui può liberamente parlare.
D. Bosco. - Non desidero altro che di sapere quali cose spiacciano a Monsignor Nostro Arcivescovo per adoperarmi ad evitarle.
Mons. Gastaldi. - Io ho niente contro di questa Cong., ma avvi uno scandalo, che non posso tollerare, perchè in essa ricevonsi i chierici del mio seminario, e ciò mette tutto in disordine.
D. Bosco. - Finora non avvi alcun chierico del seminario di Torino che faccia parte della Nostra Congregazione.
Mons. Gastaldi. - Sì che ce ne sono; chi dice questo, nega i fatti.
D. Bosco. - La prego, Monsignore, di volermi credere. Finora (il quattro febbraio 1875) non c’è alcun suo chierico che faccia parte dei Salesiani.
Mons. Gastaldi. - (Qui saltò in collera; poi disse che io voleva fare il vescovo in sua vece e soggiunse): Se non li accettò in Congregazione, li accettò in sua casa e ciò mi cagiona disturbo.
D. Bosco. - Replicai che nelle case della sua diocesi non c'era alcun suo Chierico nè come Salesiano, nè come assistente. Avvene qualcheduno accolto in Alassio, diocesi di Albenga, che fu colà ricevuto per impedire le minacce e gli insulti preparati all'Arcivescovo dai parenti di quell'allievo; ma fu ricevuto come assistente, sebbene egli aspiri alla Congregazione.
Mons. Gastaldi. - Questo nol posso permettere, non lo posso.
D. Bosco. - Come ebbi già l'onore di scriverle, pare che le disposizioni della Chiesa, dirette a tutelare la libertà delle vocazioni religiose, diano libertà ai Chierici di ritirarsi in ordini religiosi .....
Mons. Gastaldi. - Sì... Sì... Ma... Questi non hanno la vocazione religiosa, tennero cattiva condotta.
D. Bosco. - Quindi non deve tanto rincrescere che tali individui abbandonino il seminario. I superiori loro poi sapranno a quale cosa destinare tali assistenti ecc.
Mons. Gastaldi. - Io non posso transigere, io voglio una esplicita e formale promessa che nella sua Congregazione e nelle case da essa dipendenti non sarà mai per ricevere alcuno dei miei chierici espulsi dal mio seminario; non solamente in mia Diocesi, ma in ogni sua casa ovunque siano.
D. Bosco. - Finora tali cose non si sono avverate, perciò non sembra il caso di rinnovare qui tale promessa che va anche a toccare le case nostre, che sono in altrui giurisdizione. Se però questo basta ad appagare la R. V., io Le do promessa formale, che, come ho fatto finora, non riceverò mai alcun chierico espulso dal suo seminario, senza il suo permesso; ma intendo che ciò sia nei limiti prescritti dai sacri canoni in favore dello stato di maggior perfezione, come appunto è la vita religiosa. [100] Tutto piacque, ma non l'ultima eccezione, come quella, diceva, che lascia far quello che piace. L'ho poi pregato a volermi dare ragione delle lettere scritte contro di noi. Negò le lettere e il tenore delle medesime, mentre io ne aveva alcune nello stesso mio portafoglio.
Dimandai pure perchè non aveva ammesso alcun nostro prete all'esame di confessione.
Mons. Gastaldi. - Perchè ha soltanto i voti triennali.
D. Bosco. - Ma se la nostra Cong. è stata approvata in questo senso
Mons. Gastaldi. - Questo è male, non mi piace, e poi la sua Congregazione non fu ancora totalmente approvata. Tuttavia quest'ultimo venga a prendere il suo esame e gli sarà dato.
D. Bosco. - Perchè impedisce che preti di altre diocesi vengano in nostra Cong.?
Mons. Gastaldi. - Perchè prima che un prete venga in mia diocesi, voglio sapere chi è.
D. Bosco. - Ma viene in una congregazione religiosa.
Mons. Gastaldi. - La quale è in mia diocesi.
D. Bosco. - Che vuole adunque?
Mons. Gastaldi. - Che dimandi facoltà di celebrare.
D. Bosco. - So che i Canoni non comandano questo; so che le altre Congregazioni nol fanno; tuttavia per compiacerla, venendo preti in nostra Cong. dimanderò a V. E. la facoltà di poter celebrar in questa diocesi.
Qui si dissero parecchie cose che non conviene affidare alla carta, la cui ultima conclusione fu:
1° Unicamente per compiacere all'Arcivescovo, accettando chierici di questa diocesi in nostra Congregazione, li accetterò in abito borghese e non Ecclesiastico. Pei preti di altre Diocesi, si dimanderà il permesso di celebrare. Finora però non ce ne fu alcuno.
2° L'arcivescovo promette di accettare all'esame tanto per le ordinazioni quanto per l'esame onde essere abilitati ad ascoltar le confessioni dei fedeli.
Ci siamo lasciati, di buon accordo, ma tutti e tre assai mortificati per le cose, che si dovettero svelare. Verbalmente Le dirò il resto prima che spiri questo mese, come spero, in Roma. Anche il nostro arcivescovo ci si doveva recare, ma ora mi si dice che abbia rinunciato a questa gita. Mons. Fissore farà la sua relazione, che Ella riceverà. Le noto che la scelta per questo affare non poteva essere migliore. È uno dei più intimi amici del nostro Arcivescovo, conviene in tutto con lui, ed è forse l'unico, che siasi rifiutato l'anno scorso di farei la commendatizia presso al S. Padre. Ma è di coscienza assai dilicata, e sono persuaso che non varierà per niente lo stato delle cose che tra noi passarono. [101] Fino ai sedici sono a Torino, di poi parto alla volta di Roma. Tutti i Salesiani. Le sono obbligatissimi e pregano Dio che La voglia largamente rimeritare, mentre, col cuore pieno della più profonda gratitudine, ho l'onore di professarmi
Poco dopo la relazione privata di Don Bosco il Cardinale ricevette quella ufficiale dei paciere. Questo scritto veramente non getta nuova luce nè sul fatto nè sull'antefatto. Don Bosco anzi, che lo lesse a Roma, dichiarerà il 15 aprile, durante un cielo di conferenze con il suo personale dirigente, che a lui sembrò non essere “nè zuppa nè... pan molle” anzi noterà che differiva assai da quanto mons. Fissore gli aveva detto prima di vergarlo, e che non conteneva nulla di concreto e molto di astratto e che quest'astratto era piuttosto in suo disfavore, sebbene vi si scorgesse lo sforzo di tenere il piede in due staffe.
Don Bosco nella medesima circostanza aggiungerà che tuttavia quella relazione non andò nelle mani del Santo Padre, se non postillata. Egli fu a Roma il 18 febbraio. Là il cardinal Berardi, prima di presentarla al Papa, dovette, come in altri Simili casi, fargliela vedere[67] per averne spiegazioni; chiariti così i fatti, dovettero d'accordo apporvi le postille marginali che vi s'incontrano. In queste postille si sente lo stile genuino di Don Bosco. Nondimeno neppur esse contengono per noi cose nuove, sicchè potremmo esimerci dal pubblicare il documento; a ogni modo, chi bramasse leggerlo, cerchi in fondo al volume[68].
Mons. Fissore, fatto un riepilogo della sua relazione, lo inviò cortesemente a Don Bosco, il quale lo ebbe a Roma e restò colpito al vedere in che rilievo si mettessero anche ivi [102] certe esigenze dell'Ordinario torinese; laonde manifestò subito le sue impressioni al card. Berardi.
Dalla lettera scritta a V. E. e da quella scritta a me si vede che l'arcivescovo di Torino vuole che niun suo chierico entri in Congregazione religiosa senza suo permesso e previo suo esame di vocazione. Questo parmi totalmente contrario alle disposizioni della Santa Sede, e alla lettera scritta allo stesso dalla Sacra Cong. dei Vescovi e Regolari. - E poi il volere che nemmeno in altra Diocesi tali chierici possano trovare ricetto, parmi cosa non solo contraria ai sacri Canoni, ma contro alla stessa carità.
Prendo parte alla grave malattia di sua suocera ed ho scritto un dispaccio a Torino che facciansi particolari preghiere all'altare di Maria Aus. per la E. V., affinchè lungamente ce la conservi pel bene della Chiesa e della nostra povera Congregazione.
Si degni darmi la Sua S. Benedizione e mi creda con profonda gratitudine
In mons. Fissore l'ottimismo della prima ora cominciò presto a smorzarsi. Sul principio di marzo, ignoriamo il perchè, egli ebbe la sensazione precisa che le malaugurate differenze, non che finite, stessero per rivivere intorno a una questione, sollevata bensì a Torino, ma tosto lasciata cadere: la questione dei sacerdoti d'altre diocesi, che, venuti per farsi Salesiani, non domandavano alla Curia la facoltà di celebrare. Quantunque non ve ne fosse obbligo di sorta, pure Don Bosco pro bono pacis promise che avrebbe d'allora in poi chiesta sempre tale facoltà; soltanto in questo, come in altro, non si volle vincolare per iscritto, perchè non ne venissero pregiudicati i diritti dell’esenzione. L'Arcivescovo di Vercelli, avuti chi sa quali indizi che l'opera sua pacificatrice fosse in pericolo, pensò di salvarla proponendo il tentativo di un componimento generale affidato a regolare scrittura. Essendogli nota però la recisa opposizione di Don Bosco a fare per iscritto dichiarazioni che compromettessero la sua Congregazione, [103] lo invitò per lettera, quand'egli trovavasi tuttora in Roma, a riflettervi e a provvedere[69]. Non ci risulta che Don Bosco abbia modificato su questo punto il proprio atteggiamento.
Su d'un altro punto egli non cambiò la sua linea di condotta: nell'invocare fatti specifici in luogo di accuse generiche. Vi insiste in una nota da lui portata seco in un'udienza pontificia e che di poi andò unita a una lettera dell'Arcivescovo nella posizione. Egli intitolò questo appunto “promemoria sicuro”, espressione prorompentegli dalla sicurezza del fatto suo. Dice il documento: “L'Arcivescovo di Torino fu più volte interpellato verbalmente o per iscritto a declinare una persona o un fatto dei soci Salesiani, cui si possano muovere tali lamenti; ma, [non] ha mai dato risposta alcuna. In altra lettera adduce fatti e nomina persone, che mette a carico dei Salesiani; ma queste persone, chierici, preti e laici, non mai in alcun modo hanno appartenuto alla Congregazione Salesiana, 12 marzo 1875”. I “lamenti” erano quelli vaghi, contenuti nella lettera, a cui questo biglietto era destinato e di cui ignoriamo il tenore, come non conosciamo il tenore dell’altra” ivi pure accennata. Si vede insomma che l'Ordinario scriveva lettere su lettere a Roma contro Don Bosco e la sua Congregazione.
È ovvio credere che da Roma si esigessero dati positivi. Sembra infatti che fosse determinato da tale richiesta l'invito rivolto dall'Ordinario al Can. Marengo, perchè attestasse con dichiarazione scritta, se egli dicesse o no la verità asserendo: 1° D'avere incaricato lui di raccomandare a Don Bosco che non gli cagionasse più il grave dispiacere di ricevere chierici licenziati dal suo seminario; 2° aver esso Canonico adempito tale incarico; 3° averne avuto da Don Bosco in risposta che egli non poteva corrispondere al suo desiderio, perchè i sacri canoni gli davano il diritto di ricevere simiglianti chierici. [104] Il teol. Marengo dichiarò e sottoscrisse, ma non senza mettere bellamente le cose a posto riguardo al terzo punto, per il quale testificò “di avere dal Rev.mo signor Don Bosco avuto in risposta che avrebbe fatto tutto il possibile per aderire ai desiderii di S. E. Rev.ma, ma che non poteva dar parola ed obbligarsi a non accettare verun chierico licenziato dal seminario arcivescovile, perchè, soggiungeva, questo sarebbe contro un diritto accordato, e di cui gode il mio Istitiito, e non potrei rinunziare a quello senza danneggiare questo, ed io non ho autorità di farlo: ma dato il caso, non riterrò cotale individuo nella casa qui di Torino”. Infine, per non prendere abbaglio, si ponga ben mente alle date. L'invito a rilasciare questa dichiarazione è del 29 marzo 1875; ma il fatto da attestare risale all'aprile o al maggio del 1873, come dice l'Ordinario medesimo nella sua lettera al Canonico.
Che cosa ci vorrebbe di più per riconoscere fallita la missione dell'Arcivescovo di Vercelli? Eppure non finisce tutto lì. Il 18 aprile ecco un'imposizione nuova: si esige che venga trasmesso alla Curia “il catalogo di tutti i sacerdoti che abitano nelle case” salesiane “dentro la diocesi di Torino” con l'indicazione per ciascuno “se sia professo con voti perpetui o solo professo con voti triennali: oppure sia realmente iscritto nel catalogo dei Novizi: oppure sia aspirante o semplice residente o domiciliato, ed in caso che sia aspirante o solo residente, e sia estradiocesano, se abbia l'Exeat e il Maneat con data non ancora scaduta”. Per la conferma poi delle patenti di confessione, si dica “se ciascuno... sia professo con voti perpetui e dove... abbia ricevuto la facoltà di confessare la prima volta, epperciò abbia subito l'esame”[70].
Sebbene fosse questo un ingerirsi nelle cose interne della Congregazione e non mancassero lumi a Don Bosco sulla via da seguire, nondimeno per maggior prudenza domandò consiglio al Card. Berardi e al Segretario della Congregazione [105] dei Vescovi e Regolari. Il primo, infermiccio, gli rispose per mano altrui: “Mi duole grandemente il nuovo incidente, di cui Ella mi dà cenno nella gentilissima sua; ma ci vuol pazienza, anche in ciò. Strettamente parlando, cotesto Arcivescovo non avrebbe diritto di richiedere la nota individuale domandatale; ma pro bono pacis sarebbe prudente di secondare un tal desiderio, specialmente per ciò che riguarda i confessori, giacchè in questo vi ha egli diritto”. L'Arcivescovo Vitelleschi la pensava allo stesso modo, suggerendo soltanto di dare le indicazioni richieste, possibilmente, senz'alcuna firma e dichiarando essere indicazioni che da un momento all'altro avrebbero potuto variare, potendosi da oggi a domani trasferire gl'individui, com'era diritto di Don Bosco, qual superiore generale. Don Bosco accondiscese prontamente in tutto al volere dell'Ordinario[71].
Nemmeno sul punto delle Ordinazioni si stette alle intese. L'Ordinario aveva promesso di ammettervi i chierici Salesiani; ma all'atto pratico non ne volle sapere. La giustificazione del suo procedere non potè per lui essere diversa da quella che ci fornisce la sua replica del 24 maggio alla Sacra Congregazione circa l'affare dei quesiti[72]: non aver egli mai ricevuto, notizia che la Congregazione Salesiana fosse stata definitivamente approvata dalla Santa Sede, nè che il Rettor Maggiore avesse per un decennio la facoltà di dare dimissorie. Dinanzi a sì categoriche affermazioni noi saremmo indotti a supporre nell'Ordinario una doppia dimenticanza; poichè il decreto autentico gli fu a suo tempo presentato personalmente da Don Bosco e poi direttamente comunicato dalla Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari.
Nella medesima lettera si trascorreva quindi alle solite lagnanze, che nella Congregazione Salesiana si desse ricetto a laici ed ecclesiastici, desiderosi di sottrarsi all'autorità arcivescovile. Quest'ultima era una supposizione gratuita; [106] cacciare poi in mezzo a una strada chicchessia, mal si conciliava con la carità di Don Bosco; nè, a chi avesse mostrato buone disposizioni, si sarebbe potuto negare il permesso di legarsi, se non coi voti perpetui, almeno con i triennali, secondo le Costituzioni approvate dalla Santa Sede.
Ma sì, come fare a intendersi? Quell'anno si festeggiò con qualche solennità il compiersi del settennio dalla consacrazione della chiesa di Maria Ausiliatrice. Don Bosco pregò Monsignore che vi volesse intervenire e insieme amministrare la Cresima agl'interni dell'Oratorio, sacramento che egli non vi conferiva più da tre anni; e gliene fece tanto più calda istanza perchè vi erano pure alcuni giovanetti, i quali, ricevuti da poco in grembo alla Chiesa cattolica, dovevano abbandonare l'Oratorio e recarsi in Inghilterra, con pericolo di non venir più cresimati. Negative su tutta la linea, financo per l'autorizzazione a invitare un altro vescovo che facesse le sue veci. S'immagini se il triplice rifiuto poteva passare del tutto inosservato e senz'ammirazione non solo dentro, ma anche fuori dell'Oratorio!
Don Bosco una volta, discorrendo con Don Lemoyne a Trofarello, gli disse che non avrebbe mai creduta possibile una rottura fra sè e mons. Gastaldi, nemmeno se persone prudentissime gli avessero affermata con giuramento questa possibilità, sì stretti rapporti li legavano l'uno all'altro. Oltre a questi motivi personali, egli teneva l'onore dell'Arcivescovo come suo. Conoscendone l'impetuoso naturale, tentò in parecchie occasioni di raffrenarlo, avvisandolo e pregandolo.
Un giorno, quand'erano ancora in buon'armonia, Don Bosco entrò nel suo gabinetto, mentr'egli vi stava scrivendo.
- Oh, Don Bosco, gli disse Monsignore, sono qua che ho per le mani un affare molto serio.
- Io credo che tutto ciò che fa l'Arcivescovo, sia cosa sempre seria, rispose Don Bosco.
- Ma qui si tratta d'un caso eccezionale. Sto per firmare una carta che riguarda un canonico, [107]
- Promuoverlo?! Sospensione a divinis!
- La prego di voler ponderare prima attentamente la cosa, se proprio è così come Le fu riferita.
- La cosa è grave e le informazioni datemi sono esatte.
- E si potrebbe sapere chi è questo canonico?
- Monsignore, pensi che questo Canonico ha una fama di condotta integerrima. Tutta Chieri lo conosce e gli vuol bene. Sarebbe uno scandalo. Ne scapiterebbe l'autorità ecclesiastica.
- Eppure, eppure bisogna fare così!! - esclamò l'Arcivescovo risolutamente.
E così fece. Si trattava di questioni per una cappella. Il canonico era vecchio e testardetto. Quando gli giunse la sospensione, il povero uomo, che non si aspettava un simile colpo, tutto fuori di sè, corse subito da Don Bosco, del quale era stato direttore spirituale nel seminario di Chieri, pregandolo che lo volesse ricoverare in una delle sue case per toglierlo alla confusione, in cui la grave miseria lo aveva gettato. Don Bosco lo mandò ad Alassio. Inde irae.
È lecito ritenere però che le cose non sarebbero andate tanto innanzi, se persone del suo seguito non avessero soffiato e risoffiato sul fuoco, eccitando e rieccitando l'impulsività dell'Ordinario col rappresentargli le cose sotto falsa luce o col dipingergli a colori fantastici imprudenze commesse da individui dell'Oratorio o in genere i detti e i fatti dei Salesiani[73]. Era umanamente impossibile che nell'Oratorio tutto andasse pel filo della sinopia; inoltre, occhi avvezzi a guardare gl'istituti educativi composti di gioventù scelta o comunque governati a bacchetta, quanto avrebbero trovato da ridire [108] nei metodi dell'Oratorio! Per capire l'Oratorio bisognava viverci; il certo si è che i vecchi Salesiani, non punto rimbambiti, tornavano col pensiero all'Oratorio d'allora come al paradiso dei loro verdi anni. Ma la storia del conflitto è ancora lunga; elementi per un ponderato giudizio se ne verranno ammassando a poco a poco in gran numero.
Intanto chi ci segue avrà notato l'umile calma, che ad ogni scontro disgustoso assisteva Don Bosco nelle sue deliberazioni. Don Rua, che più di tutti lo avvicinava, non ne udì mai parola che esprimesse mancanza di rispetto o di sommessione; anzi non l'intese mai parlare di questi affari se non con chi fosse assolutamente necessario, lasciandone ignari gli altri, affinchè non concepissero sentimenti meno caritatevoli o meno riverenti verso l'autorità suprema dell'Archidiocesi. Ed anche parlandone, soleva farlo come di una prova, a cui il Signore lo volesse assoggettare[74].
In certi casi sapeva pigliare perfino un fare amabilmente scherzevole. Così un giorno, udendo un salesiano lanciar fuoco e fiamme contro l'Ordinario e dire che egli si sarebbe dovuto mostrare energico e respingerne le vessazioni, Don Bosco lo interruppe, e, accompagnando con i gesti le parole, gli disse: - E che cosa vorresti fare? che cosa? Io ho fatto quanto ho potuto. Ebbene, adesso faremo così. Ci metteremo noi due un bastone sotto il mantello, andremo in episcopio, lo pregheremo di aver pazienza, lo bastoneremo di santa ragione e poi tranquillamente ce ne torneremo a casa. - Erano presenti, molti che stavano attenti al dialogo e poi risero alla finale. In quel modo il Servo di Dio faceva dileguare dagli animi il risentimento.
INTERESSI spirituali di varia specie chiamavano Don Bosco a Roma verso la metà di febbraio del '75: i suoi disegni sulle Opere di Maria Ausiliatrice e dei Cooperatori Salesiani, le Missioni d'America da lui già accettate e altre dalla Santa Sede propostegli, la comunicazione dei privilegi per la Congregazione e la facoltà di rilasciare le dimissorie assolute per gli Ordinandi. Delle due Opere si è detto abbastanza; delle due cose rimanenti si dirà in capi che verranno dopo. Qui seguiremo Don Bosco nella sua andata, nella sua dimora e nel suo ritorno.
Le fonti a cui attingere per la narrazione di questo viaggio sono principalmente due: ma una di esse, il diario del suo compagno, sembra fatto apposta per accendere la sete anzichè per estinguerla, con quello stillicidio di date, nomi e cenni; e l'altra, due parlate di Don Bosco stesso tramandateci in verbali di conferenze, ristorano un istante, ma non saziano. Ci avvantaggeremo pure di piccoli sussidi forniti da altre sorgenti indirette.
Il segretario, così minuzioso nel descrivere la sala dell'udienza papale e la persona stessa del Papa, così pronto a carpire notizie intorno a Don Bosco, perchè mai ci si fa innanzi con una sì desolante povertà d'informazioni su oggetti di maggior rilievo? Crediamo che la ragione vada cercata nella circospezione, con cui Don Bosco Soleva procedere in affari d'importanza, non parlandone mai senza necessità e talora [110] anche toccando solo certi particolari, che servivano a mettere nell'ombra la sua persona.
Partì da Torino per San Pier d'Arena il 14 febbraio, prima domenica di quaresima. Fin dal principio di gennaio, prevedendo di dover intraprendere nell'anno molti viaggi per eseguire i disegni della Provvidenza, erasi procurato su determinate linee, da lui più frequentate, della rete settentrionale un gratuito libretto di abbonamento ed aveva ottenuto il favore di poter chiedere su altre linee biglietti gratuiti volta per volta. La Direzione Generale delle Ferrovie gli aveva ora anche accordato l'esenzìone dall'imposta governativa di lire 40 per trimestre, alla quale siffatte concessioni normalmente andavano soggette. Nell'anno precedente, durante un trimestre, quella tassa gli aveva importato una spesa maggiore che non avrebbe incontrata, pagando sempre il suo biglietto[75].
Per via si accorse che, sempre assediato da occupazioni, prima di lasciar Torino erasi scordato di alcune cose; perciò, appena arrivato a Genova, scrisse questa lettera al suo segretario personale e compagno di viaggio Don Gioachino Berto, che doveva tenergli dietro, conducendo nell'Ospizio di San Pier d'Arena un giovane Mantelli[76].
Ho fatto qualche dimenticanza cui riparerai
1° Prendendo l'orario della ferrovia e quei libretti francesi che trattano delle scuole Apostoliche.
2° Martedì passerai dal T. Chiuso o dal Teol. Audagnotto, dicendo: D. Bosco è a Genova e di là per non rifare il viaggio partirebbe alla volta di Roma. Se mai S. E. Mons. Arcivescovo avesse commissione che io potessi fargli, tu mi porteresti qualunque piego od altro.
Se poi cade bene il discorso, darai cenno dei motivi per cui vado a Roma. La missione della Repubblica Argentina ed un'altra in Australia, di cui devo trattare colla Propaganda Fide. Altra ragione [111] sono due lettere ed un telegramma di una persona benemerita gravemente ammalata.
Sarà pur bene che tu prenda quelle lettere e la proposta di Buenos Aires e di S. Nicolas.
PS. Di' così a D. Rua che mi scriva volta per volta il nome di quelli che sono favoriti dalla sorte nel pranzo scolastico ecc.
Apostoliche si denominavano in Francia scuole novellamente istituite dal padre De Foresta, per favorire le vocazioni ecclesiastiche fra il ceto degli umili. La persona ammalata e benemerita potè essere la Madre Galeffi, Presidente a Tor de' Specchi. Si noti l'espediente ingegnoso e riguardoso escogitato da Don Bosco, per impedire che in qualche luogo si giudicasse clandestina la sua andata a Roma, e quindi si lavorasse con la fantasia su motivi reconditi. Si nati ancora come Don Bosco, sebbene assente e assorto in pensieri di cose della massima importanza, tenesse tuttavia d'occhio anche le cose lontane e d'importanza minore. Egli voleva che il suo rappresentante gli mandasse volta per volta dall'Oratorio i nomi dei giovani che, segnalatisi nella settimana per studio e condotta, ottenessero l'ambito premio dì sedere la domenica alla la mensa del Padre.
Il segretario Don Berto raggiunse Don Bosco due giorni dopo a San Pier d'Arena, donde ripartirono insieme verso mezzanotte del 17 alla volta di Roma.
Arrivarono alle tre pomeridiane del 18. Li attendeva alla stazione con la carrozza un servo di Tor de' Specchi, il quale condusse i due viaggiatori in via Sistina al numero 104 dallo spedizioniere apostolico Alessandro Sigismondi, presso cui, come già nell'anno antecedente, presero stanza. Là si aveva agio di celebrare in casa. Il Sigismondi conservò con venerazione i paramenti e il calice usati da Don Bosco, finchè dopo la morte del pio signore la famiglia li rimise ai Salesiani di Roma. [112] La pioggia dissuase dall'uscire quella sera; così Don Bosco, che aveva un mondo di cose da fare, preparò comodamente i suoi piani. Noi qui ci dispenseremo dal ripetere cose, che i lettori debbono già conoscere dai volumi precedenti; vogliamo dire quanto alle persone e alle famiglie romane che da tempo erano con Don Bosco in cordiali rapporti, e il perchè e il per come.
Al mattino del 19 mandò il segretario a riverire mons. Vitelleschi, con cui avrebbe avuto molto da trattare. Questi disse che la propria cognata, dama di esimia pietà, avrebbe veduto volentieri il Servo di Dio. Intanto intrattenne Don Berto, domandandogli della Congregazione e dandogli una notizia: quel giorno stesso dall'Ordinario di Torino era arrivata una lettera, nella quale, messa da banda la questione dei chierici, si lamentava che Don Bosco ricevesse in casa preti suoi senza chiederne a lui licenza. Don Berto potè assicurare il Prelato che nessun prete o chierico dell'Arcivescovo trovavasi da Don Bosco. Si concertò che Don Bosco sarebbe andato in casa Vitelleschi fra le tre e le quattro pomeridiane.
Don Bosco fu puntuale. Tutta la nobile famiglia lo colmò di cortesie, invitandolo a pranzo per la domenica 21. Non vi si potè entrare in discorsi di cose serie, perchè Monsignore di lì a poco doveva recarsi dal Santo Padre; ma gli diede un appuntamento per la sera dopo.
Uscito di là, si volse al Foro Traiano e andò a confortare l'avvocato Bertorelli, immerso nell'afflizione per la perdita dell'unico figlio.
Compiuta quest'opera di carità, il segretario ha cura di notare che sostarono dal barbiere prima di passare dal Cardinal Berardi, col quale Don Bosco si chiuse in colloquio per circa due ore. Il Cardinale gli fu tanto squisitamente cortese, che volle accompagnarlo fin fuori alle scale. Per istrada Don Bosco disse a Don Rerto: - Il Card. Berardi mi ha raccontato che un giorno il Santo Padre gli rivolse queste precise parole: “Sapete chi è che ci ha regalato quel pezzo di Arcivescovo [113] di Torino? - No, Santità. - È Don Bosco, sapete; e adesso lo paga bene!”. - Non fu l'unica volta che Don Bosco, quasi a confusione sua, ricordasse l'innalzamento di mons. Gastaldi dalla sede Vescovile di Saluzzo alla metropolitana di Torino. Aveva egli realmente caldeggiata quella promozione, sperandone valido aiuto per le sue opere, a motivo dell'antica amicizia; ma con tutta umiltà confessava che quel confidare nell'uomo non era piaciuto a Dio.
Dal medesimo Cardinale venne a sapere un'altra cosa. L'Ordinario torinese aveva scritto due nuove lettere sul conto dei Salesiani, una a lui e l'altra in sedici grandi facciate al Papa. Il Santo Padre, appena letta la sua, l'aveva passata al card. Berardi, ordinandogli che ne rendesse consapevole Don Bosco. Nelle accennate conferenze di aprile Don Bosco fece dar lettura dei due documenti ai primari Superiori; intorno a che il segretario mise a verbale questa impressione: “Si vedeva proprio in questo scritto l'animo agitato di chi scriveva, e, ciò che più rincresce, si arrecavano proprio delle falsità a nostro conto”.
I giorni 20 e 21 furono consumati in visite. La sera del 21 Don Bosco tenne l'invito dei Vitelleschi.
Primo suo pensiero, giungendo a Roma, era stato di chiedere un'udienza privata dal Santo Padre. La domanda, fatta pervenire a mons. Ricci, Maestro di Camera, la mattina del 19, ebbe pronta risposta per il 22 alle ore 11.
Don Bosco, secondo il solito, si presentò con la sua polizza delle cose da dire, espresse con formole mnemoniche. Dodici erano quegli appunti, di cui i più intelligibili sono oggi il primo: “Ossequio di tutti i Salesiani e loro allievi” e l'ultimo: “Benedizione, indulgenze pei Salesiani, loro allievi e rispettive famiglie”.. Umiliando al Papa i sentimenti di tutti i suoi, per tutti voleva con che poterli accendere sempre più d'amor filiale verso il Vicario di Gesù Cristo.
L'udienza durò un'ora e un quarto. Scendendo le scale, Don Bosco disse a Don Berto: - Il Papa ce ne ha concesse [114] due belle: l'una, tutti i favori di una Congregazione da scegliersi, e l'altra, le dimissorie ad quemcumque Episcopum. La prima riguarda la comunicazione dei privilegi, e la seconda la concessione delle lettere dimissoriali da parte del Rettor Maggiore agli ordinandi salesiani per qualsiasi vescovo. - La contentezza di Don Bosco per allora non poteva derivare se non dalla buona accoglienza fatta dal Papa al numero undicesimo del suo memoriale: “Affare delle dimissorie e facoltà”. Egli sapeva benissimo per quale trafila bisognasse passare per arrivar ai Decreti; certamente però non immaginava quanto il giorno della concessione fosse ancora di là da venire.
Nella stessa udienza egli domandò al Papa, se dovesse, come le altre Congregazioni religiose, chiedere un Cardinale Protettore. Il Papa testualmente gli rispose: - Finchè sarò io in vita sarò sempre vostro Protettore, e della vostra Congregazione.
Tornato dal Vaticano alla sua dimora di via Sistina, ricevette una visita assai gradita. Il giorno innanzi un sottotenente del genio, che prestava servizio a Roma nel corpo delle Guardie del Re, imbattutosi in lui per le vie della capitale, erasegli avvicinato e gli aveva baciato la mano con vivaci manifestazioni di allegrezza e di rispetto. E Don Bosco:
- Mio caro Benvenuto, sei ancora amico di Don Bosco?
- Si figuri! Io non ho mai dimenticato nè mai dimenticherò il mio benefattore.
- Ma sai che gli amici non possono vivere lontani l'uno dall'altro, ma stanno sempre vicini... e tu sei così lontano da me! Vienmi dunque a trovare!
Il brillante ufficiale si chiamava Benvenuto Graziano, biellese, già allievo dell'Oratorio. Fortemente colpito dalle parole di Don Bosco, non aveva preso sonno la notte; perciò veniva a dirgli che, se lo accettava, egli era disposto a stare con lui e poscia ad andare dovunque lo mandasse.
Don Bosco, ascoltatolo con benevolenza, gli rispose che, quando potesse e volesse, si recasse pure all'Oratorio; là si [115] sarebbero intesi. Ma ci venisse con la sua bella divisa; chè avrebbe fatto piacere a tutti veder un bravo soldato del Signore nelle loro file.
Il Graziano mantenne lealmente la parola. Lo ritroveremo in un prossimo volume[77].
Non i soli affari per cui era venuto, occuparono le sue giornate romane; negozi impensati vi si aggiunsero. Il Papa gli affidò una commissione segreta presso il Guardasigilli Vigliani. Andò al Ministero di Grazia e Giustizia la mattina del 28; ma non potè subito esservi ricevuto: gli bisognò tornare il dì dopo. Che cosa sia passato fra loro, non ci è dato nemmeno di congetturare. In seguito si recò alla Segreteria di Stato e poi mandò al Ministro Don Berto con lettere. Queste sole parole egli disse la sera del 28: - Domani ad un'ora ho un appuntamento col Ministro Vigliani; devo fargli qualche commissione che mi lasciò il Papa. - È probabile che, come antecedentemente, così anche allora, egli abbia trattato della provvista di Chiese in Italia; infatti subito dopo la sua partenza vi furono nomine di Vescovi, susseguite da altre a brevi intervalli nel corso di quell'anno e dell'anno seguente[78].
Ed ora non ci resta che narrare della seconda udienza. La ebbe il giorno 12 marzo, alle ore undici e mezza. Entrò dal Papa con il suo bravo promemoria fra le dita. Vi leggiamo fra l'altro: “Continui a farci da padre, come ha fatto finora, nelle comunicazioni e concessione delle dimissorie”, e tra parentesi un “sì”, che attesta di bel nuovo le favorevoli disposizioni del Pontefice intorno al doppio argomento che allora più di tutto dominava il pensiero di Don Bosco.
L'udienza durava da circa tre quarti d'ora, quando, sul punto di accomiatarsi, Don Bosco gustò un istante di intima consolazione. [116]
- Santo Padre, disse, partendo io da Roma per recarmi nuovamente in mezzo a' miei figli, vorrei pregarla di dirmi una parola ch'io comunichi loro e che sia adattata per tutti, e quella di cui tutti abbiano maggior bisogno. Ancor io ho una parola da dire a Vostra Santità da parte loro; ma desidero prima di sentire, quanto Ella voglia aver la bontà di comunicarci.
Tutto grazioso il Santo Padre: - Sì, che l'ho una parola, rispose; un ricordo che può far bene a tutti e che io vorrei che cercaste d'inculcare tanto nel cuore dei vostri, sia confratelli sia figliuoli. Raccomandate loro che promettano fedeltà e attaccamento a Cristo e al suo Vicario su questa terra.
Allora Don Bosco mostrò al Santo Padre il suo brindello degli appunti, l'ultimo dei quali era questo: “Noi promettiamo fedeltà e obbedienza a Sua Santità come Vicario di Gesù Cristo”. Gradevolmente sorpreso a tanta coincidenza di sentimenti e di parole, il Papa esclamò:
- Bisogna che riconosciamo una vera ispirazione del Signore o in voi a scrivere o in me a dire così. Segno che queste parole sono veramente da tenersi preziose.
- Certo, Santità, il Signore ispirò Voi a darci un ricordo così salutare; poichè io ho gettato così in carta queste due parole con gran fretta, quasi senza pensare alla loro importanza. State certo, Padre Santo, che arrivato a Torino, io non solo notificherò questa cosa a' miei figliuoli, ma procurerò che questi sentimenti siano inculcati molto, allargati e spiegati in prediche e ammonizioni opportune.
Come promise, così fece. A tutti i direttori nelle conferenze di aprile raccomandò che, tornati ai loro collegi, raccontassero il fatto e poi in ogni occasione vi ribadissero sopra, anzi ne facessero tema di più prediche: per esempio, una sulla felicità di chi sta attaccato a Gesù Cristo, felicità in vita, felicità in morte; poi infelicità di chi non è attaccato a Gesù Cristo, cioè non ha la fede cattolica oppure è in peccato [117] mortale; poi come non si possa essere attaccato a Gesù Cristo senz'esserlo in pari tempo al suo Vicario, spiegando bene che il Papa è Vicario di Gesù Cristo.
Finita l'udienza, anche il segretario ebbe l'onore di venir introdotto. Fatto ardito dall'amabilità dell'angelico Pio IX, chiese parecchi favori personali che gli furono concessi.
Don Bosco stette a Roma venticinque giorni interi. Fra una visita e l'altra a prelati d'ogni grado, fra l'uno e l'altro affare, egli trovò modo di passare da parecchie Case religiose maschili e femminili, come dei Redentoristi, delle Monache di Bocca della Verità e soprattutto delle Nobili Dame di Tor de' Specchi, dove si recò ben otto volte. Da famiglie o personaggi ragguardevoli ricevette inviti a pranzo, incontrandovisi con illustri commensali. Non poteva mancare l'invito del suo sviscerato amico mons. Fratejacci, che s'intravede essersi adoperato molto in favore di lui.
Questo vero tipo di romano, francone e gioviale, che nella corrispondenza epistolare ne dice di cotte e di crude contro chi avversava il suo Don Bosco, anche parlando non aveva il pelo sulla lingua. Una domenica, verso le quattro pomeridiane, mentre tornava dalla chiesa di sant'Eustachio, di cui era: canonico, incontrato Don Bosco in piazza della Minerva e presolo in disparte: - Venga qui - gli disse, e lo condusse a prendere una tazza di caffè nella vicina bottega della Minerva. Quindi, postosi a sedere, vuotò il sacco, raccontandogli le mene de' suoi avversari di Roma, perchè fosse bene al corrente di quanto vi si faceva e diceva a suo danno. Egli parlava, parlava, e Don Bosco ascoltava, ascoltava; finalmente il Servo di Dio pose termine a quel discorso così: - Veda, Monsignore; Don Bosco si trova nella stessa posizione del celebre capitano di ventura Giovanni delle Bande Nere. Deve guardare prima bene a destra e a sinistra per sapere che cosa risolvere e che cosa fare, e dopo deve dire ai suoi, come diceva quel capitano ai propri soldati: Non andate avanti, ma venitemi dietro.
L'abituale serenità non lo abbandonava mai. Durante le [118] viecrucis romane il suo segretario, vedendo la sua costanza e pazienza in andare e venire inutilmente e tante volte da certe persone per ottenere qualche favore a bene altrui o della Chiesa, o vedendolo salire sino al quarto piano per avere qualche elemosina, non poteva trattenersi dal dirgli: - Oh, povero Don Bosco! Se si vedesse o si sapesse all'Oratorio, quanto Lei fatichi e sudi per ottenere qualche sussidio o per arrivar a capo di qualche affare, a vantaggio de' suoi figli!... - Ed egli: - Tutto per salvare questa povera anima mia ... Per salvare questa povera anima nostra bisogna essere disposti a tutto... Guarda, io non mi sento più nessun'altra inclinazione, se non a occuparmi, in questi pochi anni che mi rimangono ancora di vita, nel sistemare gli affari della nostra Congregazione. Tolto questo, tutto il rimanente non ha più per me nessuna attrattiva.
Alla vigilia della partenza, 15 marzo, Don Bosco sentiva che la sua venuta a Roma non era stata inutile. I maggiori negozi, per cui aveva intrapreso il viaggio, potevansi dire ben avviati, come per gli uni si è visto altrove e per gli altri si vedrà più innanzi; per condurli a buon porto era solo questione di tempo e di sapersi barcamenare.
Ma egli non se n'andava proprio a mani vuote. Oltre a favori individuali, per diverse persone benemerite, portava con sè due Brevi e tre Decreti, e due altri Decreti lasciava in corso di compilazione.
Nel primo Breve si concedeva a tutti i fedeli che visitassero la chiesa di Maria Ausiliatrice, l'indulgenza plenaria, in un giorno dell'anno da loro scelto e mediante le condizioni consuete. Questa indulgenza tornava opportunissima per i divoti, che sempre più numerosi pellegrinavano al santuario anche da lontano. Il secondo Breve, oltre a includere due delle suddette indulgenze, accordava altri sette favori: 1° Altare privilegiato in ogni chiesa della Congregazione; 2° Indulgenza plenaria per i confratelli defunti, in qualunque altare delle nostre chiese si applicasse per loro là santa Messa; 3° Indulgenza [119] plenaria tre volte alla settimana per qualunque defunto e in qualsiasi altare i sacerdoti Salesiani applicassero il Divin Sacrifizio; 4° Facoltà di benedire con la Croce concedendo indulgenza plenaria nelle Missioni e negli Esercizi spirituali; 5° Remissione di 200 giorni di penitenza ogni volta che un fedele interviene alla predica; 6° Facoltà ai predicatori e confessori di benedire medaglie, corone e crocifissi; 7° Facoltà di erigere la Via Crucis, dove non sono Case dei Francescani.
Aveva poi ottenuto per tutti i preti della Congregazione il permesso di celebrare in tempo d'Esercizi o di Missioni un'ora avanti l'aurora; l'autorizzazione a cantare nelle nostre chiese due Messe da requiem per settimana, quantunque non fossero per anniversari, purchè ciò non si facesse in doppi di prima e seconda classe, nè in vigilie o ferie privilegiate; la facoltà per ogni direttore di benedire paramenti destinati alla propria Casa. Fra non molto avrebbe inoltre ricevuto per i direttori due licenze: una di commutare ai propri subalterni la recita del Breviario in altra preghiera o buona opera, quando ragionevole motivo lo richiedesse, e l'altra di mandare qualunque dei loro preti a celebrare in case private, solo; che vi si avesse un altare con le qualità richieste e riconosciute dal vescovo; la qual cosa equivaleva ad apportare il privilegio dall'Oratorio privato agli altari a cui i Salesiani dicessero Messa. Queste concessioni, considerate in se stesse, non appariscono oggi di gran portata; ma allora avevano un valore relativo non indifferente, perchè contribuivano a rinsaldare nella Congregazione il sentimento della propria personalità morale e un solidale spirito di corpo.
Nella sua viva fede e pietà egli godeva pure di recare ai suoi tre preziosi regali da parte del Papa in tre tesori d'indulgenze, e cioè giorni trecento ogni volta che, dovendo compiere qualche opera, fosse predica o studio, fosse scuola diurna o serale, letteraria o musicale, prima e dopo si segnassero; giorni trecento ogni volta che facessero scuola o assistenza; [120] anni tre ogni volta che prendessero parte, corde saltem contrito, alle consuete pratiche religiose del mattino, quand'anche non vi ricevessero la santa comunione.
Ma soprattutto Don Bosco partì da Roma con la consolazione di poter asserire che la sua Congregazione vi godeva grandissimo favore. Lo dichiarò nelle conferenze di aprile: “Non solo il Santo Padre ci vuol bene e ci favorisce, ma tutti generalmente vedono bene questa Congregazione. A vista bene sia dai buoni che dai cattivi, sia dalle autorità civili che dalle ecclesiastiche e, fatte pochissime eccezioni, tutti ci favoriscono. Dicevo a bello studio che anche i cattivi ci vedono di buon occhio; poichè noi vediamo che coloro stessi, i quali gridano contro gli Ordini religiosi e li vorrebbero soppressi fino all'ultimo, lodano poi noi”.
Prima che Don Bosco si rimetta in via per Torino, è opportuno offrire qui ai lettori il rimanente del suo epistolario romano, che siamo riusciti a rintracciare.
Un biglietto indirizzato al teol. Don Felice Reviglio, che fu il primo alunno di Don Bosco ordinato sacerdote e che in quei giorni doveva prendere possesso della parrocchia di Sant'Agostino a Torino. Nei primi cinque volumi di Don Lemoyne ricorre più volte il suo nome.
Non è possibile che mi possa trovare a Torino per la 4ª Domenica di quaresima. Tuttavia fa pure il tuo ingresso, io ti accompagnerò colla preghiera e tu puoi annunziare ai tuoi novelli parrocchiani una speciale apostolica benedizione che il S. Padre Vivae vocis oraculo et espressis verbis concede a te, al clero, e a tutti i fedeli dalla Divina Provvidenza alle tue cure affidati.
Prega pel tuo povero ma in G. C.
La Contessa Callori di Vignale beneficò sempre generosamente Don Bosco; anzi gli fu come madre, tanto che il Servo di Dio le Soleva chiedere consiglio in molte cose e le scriveva con filiale confidenza. Il “Sig Emanuele”, era il secondogenito della Contessa; di quando in quando Don Bosco aveva cercato di stimolarlo con affettuose letterine a studiare e a crescere virtuoso; contava 22 anni.
Vengo dal Santo Padre e questa volta ebbi agio a parlare un poco di Lei e della sua famiglia, e il S. Padre si compiacque di parlar di Lei, del sig. Conte Marito, di Casa Medolago e mi diede carico di comunicare a tutti l'apostolica benedizione.
Ho poi giudicato opportuno di chiedere una speciale benedizione pel Sig. Emanuele e raccomandarlo anche alle preghiere di Lui. Vedremo i buoni effetti.
Il Tevere questa mattina ha fatto una passeggiata fuori del sentiero ordinario; si estende già sopra varii punti della Città: vedremo fin dove andrà.
Per la settimana s.[anta] spero di essere a Torino e raccontarle qualche cosa di presenza.
Il S. Padre poi gode ottima salute, e si dimostra ilare e laborioso, come se tutto fosse a suo posto. È una maraviglia che non ha esempio. La mia sanità va abbastanza bene. Dio le conceda santità e sanità in abbondanza. Preghi per me che le sarò sempre con gratitudine in G. C.
Roma, 2 - 3 - 75. Via Sistina.
P.S. D. Berto vuole che le offra i suoi ossequi. L'oggetto proveniente dal Santo Padre l'ho meco e l'avrà a Torino.
3. Alla Signora Eurosia Monti.
Fu esimia benefattrice dell'Oratorio, rimasta vedova da poco tempo. Il “Colonnello” era appunto suo marito. Aveva anche perduto di recente l' “ultimo fratello superstite”, cioè [122] il teol. Golzio, già cooperatore del teol. Guala e del beato Cafasso al Convitto, e confessore di Don Bosco dopo la morte di quest'ultimo. Era succeduto al Can. Galletti, divenuto Vescovo di Alba, nella direzione del Convitto stesso.
Mentre sono a Roma più volte ho pensato a Lei ed alla solitudine in cui si trova. Oltre di pregare ogni giorno nella S. Messa che Dio la conservi a molti anni di vita felice, ho creduto bene di chiederle una particolare benedizione del S. Padre. Esso ascoltò assai volentieri a parlare di Lei e compianse la morte inaspettata del Sig. Colonnello, e testè ancora dell'ultimo fratello superstite e in fine concluse: Scrivetele da parte mia, ditele che patria migliore ci attende e là avremo il conforto di rivedere i nostri cari. Comunicatele l'apostolica benedizione con una indulgenza plenaria da lucrarsi a suo piacimento; preghi assai pei presenti bisogni di S. Chiesa. Ho voluto scrivere queste cose, perchè sono persuaso le torneranno di gradimento.
Ho parlato molto di Lei con Mons. Fratejacci che fu pure gravemente ammalato. Egli prese molta parte alla dolorosa perdita del compianto Colonello.
Prima della Sett. Santa spero di essere a Torino e poterla riverir di presenza. Mentre poi prego Dio che la colmi di sue celesti benedizioni, mi raccomando alla carità delle sue sante preghiere e mi professo con figliale gratitudine
Don Rua nel governo dell'Oratorio non moveva un dito senza prima sentire Don Bosco; il quale a sua volta anche dall'Eterna Città non trovava troppo piccolo non diciamo l'Oratorio, ma neppure ogni minimo che dell'Oratorio stesso: come per esempio una “cinta dietro casa”, cioè il muro che doveva sostituire la siepe intorno all'orto stendentesi dove oggi nuovissime fabbriche inquadrano il cortile massimo degli artigiani, oltre la cappella Pinardi, casa di Don Bosco per eccellenza essendo allora l'odierno corpo centrale dell'Oratorio, [123] poi un costruendo “motore ad acqua” che probabilmente non fu mai costruito; la “costruzione a fianco della piazza”, vale a dire le eterne trattative per l'erezione di un fabbricato che sarebbe dovuto sorgere fra la via Cottolengo e la sede presente della Società Editrice Internazionale, dinanzi alla vecchia casa Moretta, ma che, non sappiamo perchè, non sorse[79]; una “perizia di casa Catellino” sul terreno adiacente alla medesima casa Moretta, già cortile del primo oratorio delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Infine paternamente s'interessava nominatim di suoi coadiutori e sacerdoti.
La neve caduta cagionerà probabilmente grave freddo a Torino; perciò noi differiamo fino a Lunedì la nostra partenza da Roma, tanto più che abbiamo ancora alcune cose in corso. Se ci sono lettere o cose cui si debba dare corso, mandale qui al solito indirizzo.
Riguardo la cinta dietro casa sarà bene che ce ne parliamo; ma è mestieri raccomandare al Cav. Spezia, che colla solita carità dia corso ai lavori dei motore ad acqua e della costruzione a fianco della piazza. E la perizia di casa Catellino? Ci furono mandati danari ad hoc?
Saluta tutti nel Signore, segnatamente Audisio e Cottini. Ringrazia il primo della lettera scritta.
Amami in G. C. Continuate a pregare per me che sarò sempre
PS. D. Chiala come sta? D. Bologna è cresciuto? Di' a D. Guanella che porterò qualche cosa anche per lui.
Nella prima metà di ottobre dell'anno antecedente Don Francesco Dalmazzo, direttore del Collegio di Valsalice, per ordine del Beato, condusse a Roma un gruppo di quei nobili convittori. Mons. Vitelleschi ne scrisse al Beato durante il loro soggiorno nell'Eterna Città: “Vidi e conobbi con molto piacere [124] il Direttore di Valsalice ed alcuno dei giovani che erano con Lui: fu un'idea molto felice quella che Ella ebbe di concedergli (sic) per premio la gita a Roma e il porli ai piedi del Santo Padre”. Il Beato, come si vede nella prima parte di questa lettera, continuava a sfruttare in bene dei giovani la sua “idea felice”.
Questo tempo non vuole arrestarsi, e perciò, mentre fugge, te ne regalo un briciolo.
Ho consegnato in proprie mani [al Santo Padre] l’indirizzo col l'obolo entro contenuto. Lo lesse da capo a fondo, ne mostrò grande soddisfazione, richiamò la visita fattagli nello scorso autunno e nè parlò minutamente. Fra le altre cose disse: - Si mostrarono assai buoni quei giovanetti tanto qui in Vaticano quanto per la città di Roma. Parecchi me ne parlarono, e tutti convennero che quei giovanetti avevano una educazione schietta, ma cristiana. - Osservò i nomi di quelli che erano sottoscritti. Quando giunse a De Vecchi, scherzando disse: - Costui è de' miei. - Pose poi a parte l'indirizzo dicendo: - Risponderò in proposito; ma cominciate a ringraziarli da parte mia, comunicate a tutti la mia apostolica benedizione con una speciale indulgenza plenaria da lucrarsi in quel giorno in cui a loro piacimento faranno la santa comunione.
Lo supplicai allora ad estender questi favori ai parenti dei giovani. - Sì, rispose, alle loro famiglie e parenti fino al terzo grado inclusive. - Questa è parte[80] di Valsalice.
Io poi ho gradito molto gli auguri tuoi e quelli dei nostri cari ed amati allievi di Valsalice, e vi ringrazio tutti delle preghiere che mi assicurate di fare per me. Io vi assicuro che vi raccomando ogni giorno nella santa Messa, dimandando per ognuno i tre soliti S, che [i] nostri sagaci allievi tosto sanno interpretare: Sanità, Sapienza e Santità.
Io parto presto da Roma, ma debbo fare molte commissioni per via, sicchè non sarò con voi fino alla Settimana Santa.
Studierò quanto mi scrivi del cav. Bacchialoni. Riguardo al T. Roda[81], siccome non può presentare il titolo legale per le matematiche, così qualora se ne possa fare a meno, si accetti la sua proposta o meglio minaccia e si lasci libero. [125]
Delle cose della Congregazione parleremo poi a Torino. Ogni cosa però procede colla massima consolazione.
Mio caro D. Dalmazzo: messis multa, messis multa! Dì' a' tuoi allievi, che si facciano tutti valenti e santi missionari, ma tali, che uno valga per cento, e allora comincieremo a soddisfare alcune delle innumerabili necessità, da cui siamo circondati.
La grazia di Nostro Signor Gesù Cristo sia sempre con te, con tua madre, con tutti i nostri Valsalicesi, e sia in modo particolare con me che, raccomandandomi alle preghiere di ognuno, mi professo in G. C.
Don Bosco annetteva tanta importanza ai voti settimanali di condotta, che, anche assente da Torino, voleva esserne informato; la qual cosa faceva sì che gli alunni li prendessero molto sul serio. Le formole optime, fere optime, bene, medie equivalevano in cifre a 10, 9, 8, 7[82]
Lunedì mattina, a Dio piacendo, partiremo da Roma; dopo una giornata ad Orvieto andremo a Firenze, dove tu puoi indirizzare le tue lettere fino a nuovo avviso. - Spero di poter fare con voi la santa Pasqua e la funzione del Lavabo.
Di' agli studenti e ad altri, cui riguarda, che mi tornò carissimo il regalo fattomi di un optime generale di condotta. Oggi alle 11 vado all'udienza del S. Padre e fra le altre voglio dargli questa notizia e chiedergli una speciale benedizione, che parta dal Capo, valente ch. Cinzano, e vada fino agli ultimi. Il piacere sarà poi raddoppiato, se questo regalo sarà anche rinnovato nella corrente settimana.
Saluta D. Chiala e digli che ho ricevute sue lettere e seguirò i suoi suggerimenti.
Mi rincresce di non aver tempo di scrivere una lettera a D. Barberis e a suoi e miei cari allievi; se nol posso prima, procurerò di farli (sic) almeno a Torino.
Dirai a Mazzetti che ho ricevuto la sua lettera e quella de' suoi allievi. Li ringrazii, e comunichi anche loro la benedizione e l'indulgenza che loro concede il S. Padre. [126] Domenica è S. Matilde, e sarebbe conveniente un dispaccio in questo senso:
“Matilde Sigismondi - Sistina 104 Roma.
Onomastico felice. Preghiamo Dio concederle sanità stabile, vita felice RUA
Lo stesso si faccia a S. Gius. pel giorno del Card. Berardi, ben inteso mutatis mutandis.
Continuate a pregare per me. Dio ci benedica tutti e credimi in G. C.
Don Francesia dirigeva allora il collegio di Varazze. La sua memoria vive, fra l'altro, in quei “Due mesi con Don Bosco a Roma” (Torino, Tip. Sal., 1905), dove racconta un mondo di cose interessanti sul viaggio di Don Bosco all'Eterna Città, nel '67, in compagnia dell'autore. La persona, verso cui Don Bosco professa tanta riconoscenza nella lettera, era la signora Susanna Saettone, benefattrice delle più insigni.
Prima di partire da Roma voglio darti conto di quanto ho fatto anche per te per i tuoi e miei cari figliuoli.
Per te in particolare sarà comunicato di presenza ed anche per certificati autentici bollati.
Pei nostri allievi la compiacenza del S. Padre nell'udire a parlare di loro, una particolare benedizione apostolica con indulgenza plenaria da lucrarsi a piacimento in quel giorno in cui faranno la santa loro comunione. Questa indulgenza e benedizione apostolica viene estesa dal S. Padre a tutti gli allievi e persone (quindi V. Riverenza) del collegio, agli allievi esterni, al sig. prevosto e sua famiglia, ed a tutte le rispettive famiglie di ciascuno. Così furono le parole testuali del Papa.
Procura adunque di prevenire i tuoi allievi, affinchè diano di ciò comunicazione ai rispettivi parenti.
M. Fratejacci ti saluta; così pure altri che qui non ricordo. Se puoi vedere la Signora Susanna, le dirai che ho parlato molto di lei al S. Padre e le manda una speciale benedizione. Le cose particolari [127] le comunicherò di presenza a Varazze o ad Albissola. La saluterai da parte mia, le dirai che prego per Lei e che mi raccomando alle sue preghiere.
Crederei bene, che al mattino del giorno di S. Giuseppe scrivessi un dispaccio presso a poco come segue:
“Eminentissimo Cardinal Giuseppe Berardi - Roma.
Superiori, allievi Collegio Varazze pregano Dio concederle sanità, vita felice”.
Tu vero in omnibus, Francesia, labora, opus fac Evangelistae. Sanctifica et Salvifica le et tuos et dic ut omnes ad Deum preces fundant pro me. Amen.
PS. A D. Tomatis: pare che i Carlisti vadano avanti.
PS. Lunedì a Dio piacendo partiremo colla speranza di fare Pasqua all'Oratorio.
Il primo poscritto richiede un po' di commento. Dal'72 al '76 la Spagna fu in preda alla guerra civile fra Carlisti e Alfonsisti. Poichè Don Carlos si presentava paladino del cattolicismo puro contro Don Alfonso d'idee liberali, così aveva dappertutto caldi fautori fra i buoni, dai quali se ne seguivano appassionatamente le vicende. Anche nell'Oratorio v'erano di coloro che s'infervoravano per la sua causa, sicchè intorno a lui si accendevano dispute animate e gli annunzi delle sue sconfitte vi causavano vere desolazioni. Don Guidazio, anima generosa, allorchè giunse la nuova della catastrofe, non ancora disperando, passò l'intera notte in chiesa. Si sapeva che un tempo Don Carlos a Roma era stato più volte a trovare Don Bosco e che, passando per Torino nell'andare a cominciar la guerra, era venuto all'Oratorio per parlare con lui. Proprio nei giorni che Don Bosco si trovava a Roma, doveva partire per Madrid il Nunzio pontificio mons. Simeoni, durando tuttavia la tenzone delle armi nella Spagna settentrionale. I fautori di Don Carlos vedevano nell'invio del Nunzio un colpo mortale per i Carlisti. Don Bosco, che parlò reiteratamente con mons. Simeoni di queste faccende, gli chiese che [128] cosa pensasse di fare a Madrid, e il Prelato gli rispose che avrebbe portato con sè due credenziali del Santo Padre, una intestata a Don Alfonso e l'altra in bianco, per potervi mettere altri nomi e altre cose, qualora non si trovasse più Don Alfonso sul trono e prevalessero i Carlisti o i repubblicani. Il 2 giugno del '75 Don Bosco disse a Don Dalmazzo e a pochi altri, conversando dopo cena: - Io parlava sempre apertamente in favore di Don Carlos; ma vidi proprio che a Roma non si pensava come pensavo io e dovetti andare più circospetto.
Don Bonetti era direttore del collegio di Borgo S. Martino. Il giovane confratello Para vi faceva da portinaio, attendendo in pari tempo allo studio del latino, per avviarsi al sacerdozio.
Prima di partire da Roma credo farti piacere di scriverti almeno una volta. Ho dunque ricevute le tue lettere, e specialmente quella che mi annunzia la grave perdita del nostro confratello Para. Era un buon giovane: io ci contava pel guadagno delle anime, ma Dio dispose altrimenti. Ora rimane soltanto di pregare per lui e di obbligare i tuoi allievi e miei figli carissimi a divenire altrettanti Para nell'umiltà, nella pietà e segnatamente nella virtù dell'ubbidienza.
Dirai poi a tutti che ho avuto occasione di parlare venerdì scorso del nostro Collegio di S. Martino al S. Padre. Egli si compiacque di farmi molte domande, tra cui se fra i giovani ve ne sono di quelli che si possano paragonare col Domenico Savio.
Risposi che alcuni sembrano potersi mettere al paro di Savio Domenico, ma un numero grande sono per la via di venirci e superarlo ancora.
Rise allora e poi soggiunse: - Dio benedica i Direttori, gli altri Superiori e tutti i convittori; e partecipate loro una speciale indulgenza da lucrarsi in quel giorno che si accosteranno ai Santi Sacramenti.
- Addio, caro Bosco, ma non siate mai bosco da bruciare.
- Procurerò di non essere tale! [129] Fa' poi a tutti un cordialissimo saluto da parte mia, e di' loro che dopo Pasqua andrò, a Dio piacendo, a far loro una visita. Avvi poi qualche cosetta speciale per te e te la comunicherò poi a Torino.
Domani parto alla volta di Torino facendo parecchie tappe. Pregate in modo particolare per me ed abbiatemi sempre in G. C.
NB. Tutti i favori spirituali si devono eziandio comunicare co' miei saluti alle figlie di Maria Ausiliatrice, di cui avrò poi altro a scrivere.
Ciascuno poi dei Salesiani, dei nostri allievi, delle figlie di Maria Aus. dovrà comunicarli alle proprie famiglie. Tale è l'intenzione di Pio IX.
Anche al direttore del collegio di Lanzo e ai suoi confratelli e allievi Don Bosco volle dare un segno di affezione la vigilia della sua partenza da Roma.
Posso scrivere poco, ma almeno qualche cosa prima di partir da Roma. Adunque dirai ai preti, ai maestri e chierici che vi sono favori speciali che comunicherò di presenza.
A tutti poi, compresi gli allievi e gli altri abitanti di Lanzo, una speciale benedizione del S. Padre con una indulgenza plenaria per ciascuno e da comunicarsi alle proprie famiglie per quel giorno, in cui si accosteranno alla S. Confessione e Comunione. Il resto di presenza dopo Pasqua. Domani parto a piccole tappe alla volta di Torino.
Un cordialissimo saluto a tutti i miei cari Salesiani e allievi del Collegio. Pregate per me che in G. C. vi sono
La lettera è indirizzata a Marene, nel circondario di Saluzzo, patria del destinatario. L'avv. Galvagno, morto il [130] 13 novembre 1889, si mantenne per molti anni in affettuosa relazione con Don Bosco, visitandolo ogni volta che veniva a Torino e generosamente soccorrendolo.
In una udienza particolare che ho potuto avere da S. S.tà, ebbi agio a mormorare alquanto della S. V., cui frequentemente faccio ricorso quando le mie finanze sono in procinto di fare tracollo. Il Santo Padre ascoltò tutto con piacere e poi mi disse: - Che cosa possiamo regalare a questo buon Signore?
Io risposi: - Credo che tornerebbe di gradimento a Lui ed alla sua famiglia, se le mandasse una speciale benedizione per lui, sua moglie, e tutta la famiglia, specialmente sopra la tenera figliuolanza, affinchè possano tutti crescere nella sanità e nel santo timor di Dio.
- Sì, signore, questo lo concedo ben di cuore.
- Dimando ancora un favore straordinario.
- Che la famiglia Galvagno e i loro parenti fino al terzo grado inclusive potessero lucrare indulgenza plenaria tutta volta che colle debite disposizioni, si accosteranno al Sacramento della Confessione e Comunione, pregando per Vostra Santità.
- Rem difficilem postulasti. Tuttavia, non eccedendo la mia autorità, concedo il favore colla condizione che se ne servano frequentemente. Comunicate l'una e l'altra cosa da parte mia.
Io lo ringraziai ed ora compio il piacevole incarico, pregandola di volere la medesima grazia spirituale comunicare a quei parenti che giudica siano per tenerla nella dovuta stima.
Nella speranza di poterla poi riverire a Torino, dove io sarò per Pasqua, mi raccomando alla carità delle sue preghiere e mi professo con gratitudine car.ma
Don Bosco ripartì da Roma la mattina del 16 marzo e pernottò a Orvieto, ospite del vescovo mons. Briganti. Durante quel tratto di via, a un certo punto, parve non capire in se stesso per la gioia; aveva certo qualche cosa di piacevole da comunicare. Don Berto lo pregò di svelargli il motivo di tanta sua ilarità. [131]
- Gli è, rispose, che questa notte ho sognato di essere in un vasto campo, tutto biondeggiante di messe matura. Vi era un frumento magnifico; le spighe avevano una grossezza meravigliosa. Dentro al campo vidi tante pecorelle che pascevano .....
- Ora, guardando questi campi, mi par di vedere quel grano presso a maturità.
Dalla sera del 17 al mattino del 20 stette a Firenze. Di questo suo passaggio rimane un ricordo. Andato a visitare una famiglia Parlatore, vi trovò il padre gravemente infermo. Il Beato seppe con le sue parole infondere negli animi la pace e la speranza e nell'uscire promise preghiere. La signora ai 10 di dicembre, chiedendo venia del ritardo, gli scrisse poi che le sue preghiere avevano ottenuto la perfetta guarigione del marito, il quale stava assai meglio che prima di ammalarsi.
Da Firenze proseguì per Bologna, accolto amichevolmente in casa Lanzarini. Il signor Lanzarini, salsamentario, era stato accompagnato da Don Guanella all'Oratorio, dove ammalò. Don Bosco gli disse: - Vi manderò il mio medico! - Gli mandò difatti il medico suo e della comunità. Il signor Lanzarini, che amava ricordare questo tratto del Beato, beneficò poi molto l'Oratorio. Don Guanella, narrato questo in una sua relazione, osserva: “Così il santo uomo sapeva prender le persone e volgeva i fatti come esso desiderava”.
Visitata ivi la marchesa Zambeccari, il 21 passò a Modena, presso il conte Tarabini, e di là il 22 a Milano dall'avv. Comaschi, suo vecchio amico e grande ammiratore[83]. Colà fu un viavai di visitatori; egli pure fece visita a parecchie persone, come alla famiglia del duca Scotti, che lo mandò a prendere con la sua carrozza. [132] Il 24, mercoledì santo, rientrò nell'Oratorio, fra il giubilo universale.
Ciò che maggiormente aveva dato da fare a Don Bosco nell'Eterna Città, era stata la questione dei privilegi, di cui ci dovremo occupare più a bell'agio. Per attendere più efficacemente alle trattative, sarebbe stato necessario che egli prolungasse la sua dimora a Roma. Vi fu bene chi gliene fece la proposta; ma egli se ne schermì con una ragione che non ammetteva replica: ai suoi giovani “mancavano le pagnotte”. Allora gli si disse che, se non poteva proprio fare altrimenti, lasciasse a Roma qualcuno che conducesse avanti la bisogna. Per intanto promisero di occuparsene il Card. Berardi e mons. Frateiacci; egli tuttavia assicurò che, ad un cenno, sarebbe rivolato a Roma, se non per ultimar l'affare, almeno per fornire schiarimenti.
Sopperì all'uopo l'andata di Don Lemoyne e di Don Bonetti nella prima metà di maggio. Don Bosco voleva che di tanto in tanto alcuni de' suoi si recassero a Roma, e questo per più d'un fine: per premiare nobilmente col viaggio di Roma i sacrifizi dei più meritevoli; per allargare le idee e illuminare sempre meglio la fede e la pietà dei maggiormente rappresentativi; per infondere e diffondere nella Congregazione lo spirito della romanità, fatto di attaccamento al Papa e alla Chiesa. Che se poi la presenza in Roma di soggetti cospicui aveva anche per effetto di sbugiardare male voci, tendenti a far apparire l'Oratorio come una specie di paradiso delle oche, era pur questo un vantaggio che Don Bosco non aveva alcuna ragione di mettere in non cale. Certo è che nel caso nostro Don Lemoyne e Don Bonetti, per doti d'animo e d'ingegno e per saper stare al mondo, erano uomini da non far sfigurare nè chi li mandava nè la Società a cui appartenevano.
Scopo primario di tale andata fu di presentar al Papa gli omaggi di Don Bosco e della Società Salesiana, nell'occasione dell'83° natalizio di Pio IX, che cadeva ai 13 di maggio. [133] La guerra senza quartiere mossa al Papa in Italia[84] e altrove scosse profondamente i cattolici italiani, fra i quali corse la voce di un omaggio filiale al Vicario di Gesù Cristo per quella data memoranda. L'entusiasmo dei buoni toccò il colmo. Anche Don Bosco volle essere presente in Roma nella persona di due fra i più ragguardevoli de' suoi figli. Ne siamo informati dalla lettera seguente.
Ti senti di andare a Roma con D. Lemoyne per rappresentare la nostra Congregazione nel 13 di questo mese?
Dimmelo al più presto; e se non ci hai impedimento, io disporrò per la vostra partenza, pel viaggio e dimora.
Dio ci benedica tutti e credimi in G. C.
I due rappresentanti erano anche latori di molte sue lettere autografe d'affari o di cortesia per cardinali e monsignori e per il Papa. Egli aveva inoltre avuto cura di far legare magnificamente copie in buon numero di opere scritte da essi due, perchè ne presentassero il Santo Padre, i cardinali e alcuni amici. Li munì infine d'un viatico prezioso. [134] I due romei si dovevano affacciare a un mondo per essi interamente nuovo e assai diverso da quello in cui eransi fino allora aggirati. Roma papale, volere o no, le prime volte tiene in soggezione anche uomini del clero che altrove sono abbastanza navigati; tanto più poi buoni sacerdoti, vissuti sempre in ambienti modesti, come Don Bonetti, o cresciuti bensì in famiglie aristocratiche, ma tenutisi sempre appartati dal gran mondo, come Don Lemoyne. Perciò Don Bosco li provvide di norme ben particolareggiate, scritte di proprio pugno, perchè sapessero come regolarsi con prudenza nelle singole visite e nelle loro relazioni, a cominciare dal Papa e venendo giù giù fino ai signori Sigismondi, in casa dei quali sarebbero andati a dimorare.
Dopo trascorso oltre mezzo secolo, non si commette più indiscrezione consegnando alla storia questo manipoletto di originalissimi documenti, che rivelano quanto grande fosse in Don Bosco la conoscenza degli uomini, il tatto e la tattica nel maneggiarli e lo spirito di fede anche nei doveri di semplice cortesia. Il nostro compito nel riprodurli si restringe naturalmente a chiarire soltanto i punti che ne abbisognano; il che faremo accompagnando il testo con qualche noterella a piè di pagina.
2° Umili ossequii, inalterabile attaccamento dei Salesiani, dei loro cooperatori, benefattori, secolari ed ecclesiastici e dei giovani circa 7600[85].
3° Ringraziarlo dei benefici fatti alla nostra Congregazione supplicandolo a continuare a farci da padre. Noi tutti pronti a lavorare per lui, pregare per lui, a morire per quella religione di cui Egli è Capo Supremo.
4° Benedizione sovra di tutti, ma specialmente sopra i nostri collegi con una plenaria indulgenza agli allievi e loro parenti in un giorno che faranno le loro divozioni. [135]
1° Saluti a D. Agostino suo segretario.
3° Ringraziamento, gratitudine e ossequio; preghiere di continuar la sua protezione specialmente ciò che riguarda N. N.[86]
4° Assicurarlo di nostre comuni e private preghiere.
un grande amico della casa. Si parli molto di quello che facciamo, delle Case, dei giovani, di D. Bosco[87], delle particolari preghiere che facciamo per Lui.
2° Si domandino notizie di sua madre, sua suocera per cui si è tanto pregato.
3° Notizie dell'associazione Salesiana e dell'Opera di Maria Ausiliatrice.
4° Si domandi il permesso di ritornare ad ossequiarlo prima della partenza e si diano tre franchi di mancia ai domestici.
Arcivescovo di Seleucia, Segr. della Congregazione dei Vescovi e Regolari, nelle cui mani sono tutte le cose nostre. Via S. Nicolò de' Cesarini, piazzetta id., casa propria.
3° A nome mio chiedere notizie del Marchese Angelo, dei Marchese Giulio suoi fratelli, Marchesa Clotilde, cognato e famiglia.
4° Cose della nostra Congregazione; se vi sono difficoltà, se giudica esservi cosa da farsi. Facoltà speciali che furono date in sue mani[88] se fanno corso, se avvi incombenze a compiersi.
5° Se entra il discorso, si parli di N. N.[89].
6° Idem dell'Associazione Salesiana e dell'Opera di M. A. [136]
(Accanto a S. Luigi de' Francesi).
È uno della Congregazione[90] dell'anno scorso e di quest'anno per le cose nostre; molto pio e molto benevolo, ma ha molto da fare.
1° Offerta[91].
3° Assicurazione di preghiere particolari in tutte le nostre case.
4° D. Bosco ci incaricò di pregarlo a darci notizie dei suoi nipoti e della Marchesa Genoveffa.
5° Raccomandare le cose nostre alla tante volte esperimentata protezione paterna.
(Piazzetta della Chiesa nuova).
Prefetto della congregazione dei Vescovi e Regolari, membro della Commissione per le cose nostre. Molto pio, moltissimo scrupoloso, non accetta regali, vuole nemmeno che si preghi per lui per timore di simonia.
1° Non offrir libri, ma chiedere notizie di sua sanità; noi conservare gratitudine di lui, raccomandargli la nostra congregazione.
2° Se parla, ascoltarlo volentieri, se poi dimostra impazienza, ossequiarlo e partirvene.
Piazza Barberini, palazzo del principe, p. I°. Uno della Commissione. Benevolo, pio, generoso, dotto, furbacchione, con cui si può parlare.
1° Offerta, ringraziamenti, raccomandarci.
Uno della Commissione, Agostiniano, molto pio, benevolo, ecc.
Offerire, assicurare preghiere, ringraziare, raccomandarsi, ecc.
Maestro di Camera di S. S. A colui che ammette alle udienze; pio, fu più giorni all'Oratorio. Ossequiare, offerire, pregarlo a voler ritornare nei nostri paesi.
Ossequiare in modo particolare il suo segretario Rosati Baldini. [137]
Umile senza suggezione[92], benefico alla casa. Offerire, ossequiare e raccomandarci alle sue preghiere.
Uditore del Cardinal Vicario, Can. Vicario Foraneo, ecc. Dimora di contro al Fontanone di Ponte Sisto.
Rappresenta D. Bosco nelle pratiche attuali, molto amico, parla moltissimo. Offerire, ossequiare, invitarlo a passare un mese con noi, ecc.
È sommista[93] ai Vescovi e Regolari; ha tutte le cose nelle sue mani; fu qui l'anno scorso; si mostra assai benevolo alla Cong. nostra. Invitarlo ecc. ma nel partire dare uno scudo di mancia. Se mai invitasse a pranzo, accettare, ma procurate di andare da un confettiere e fargli portare un gattò[94].
Andrete a dimorare a casa loro Via Sistina N. 104, casa propria. Sono ambedue molto pii; ci hanno sempre prodigate cortesie e non vollero mai un soldo. Sono persuasi che tutti i Salesiani siano santi. Pensateci voi.
La moglie Matilde parla molto, è teologhista, fa molte domande, fa la comunione quotidiana: hanno l'Oratorio privato e vi celebrerete a loro piacimento.
Quivi raccontatene pure delle grosse dell'Oratorio e vi ascolteranno sempre volentieri. Si domandino notizie del nipote Luigino e della sorella Adelaide Fantoni. [138]
Nelle visite agli alti personaggi rispondete volentieri alle loro domande. Lodate sempre i Romani e le cose di Roma, specialmente l'alto Clero: non però con Mons. Frateiacci[95].
Per le cose di pratica e di etichetta state a quel che vi dirà il comm. Fontanella.
Paebete vos ipsos exemplum bonorum operum.
Guardatevi dal sudare. Avendo fretta di camminare prendete un legno.
Dovunque troviate persone di nostra relazione, le saluterete da parte mia e direte a tutti che noi preghiamo per loro.
Andrete anche a vedere la Madre Galeffi, presidente di Torre de' Specchi, cui darete notizie, ecc. Il Sig. Alessandro è ivi cassiere o maggiordomo.
Sulla busta di lettera che racchiudeva questi avvisi, aveva scritto: - Mons. Frateiacci e l'Avv. Menghini siano caldamente invitati a venire a passare qualche tempo nei nostri paesi. Si vada pure ad ossequiare il Sig. Stefano Colonna[96] via S. Chiara 49 - 3.
All'ampiezza del loro programma non bene rispondeva la ristrettezza del tempo. Per fare le proprie divozioni, per veder Roma, soprattutto per visitare tanti personaggi, dodici giorni, quanti appena li separavano dalla festa di Maria Ausiliatrice, erano un'inezia. Ma giovò loro assai, oltre all'abitudine di non istare con le mani alla cintola l'incontrarvi generali simpatie e quindi facili accessi, più che comunemente non soglia accadere in Roma. Rimasero poi addirittura incantati alla vista della cordiale sollecitudine, con cui i più alti Prelati chiedevan notizie di Don Bosco e della Congregazione.
Poco i due pellegrini ci han permesso di sapere del tanto che dovettero riferire a Don Bosco. Ci han tramandate però alcune cose interessanti sulla visita al Cardinal Vicario, e sulle udienze pontifice. [139]
Il cardinal Patrizi li trattò con somma confidenza. Venne a parlare anche delle difficoltà torinesi, conchiudendo: A Doli Bosco che l'ha voluto e se lo tenga, ha detto Pio IX. Del resto sono contento di ciò che accade. Le tribolazioni della vostra Congregazione indicano che essa è opera di Dio. Mi dispiacerebbe se le cose andassero diversamente. Ma tutto passerà! - Il che egli diceva con grande effusione d'affetto.
Il giorno 14, ottantesimoterzo genetliaco di Pio IX, ebbero già il biglietto per un'udienza pubblica, poco diversa per loro due da un'udienza privata. Vi si presentarono con il cuore in sussulto, come chi sente avvicinarsi uno dei momenti più solenni della sua vita. L'apparire di Pio IX li elettrizzò. “Pio IX, scrive Don Lemoyne, vestito di bianco, con aspetto maestoso e affabile, era una vera immagine della bontà di Gesù”.
Al momento opportuno, mons. Ricci, Maestro di Camera, li presentò dicendo: - Due preti di Don Bosco, o Santo Padre. - “Il Papa, scrive ancora Don Lemoyne, ci diede un'occhiata che non posso descrivere e venne difilato verso di noi. Alzati gli occhi al cielo e sollevando la testa quanto potè come in atto d'ispirato, tese le braccia e con voce sonora che in mezzo a quel silenzio fu udita da tutti: - La famiglia miracolosa! esclamò. Cresce, cresce? Quanti siete?
- Beatissimo Padre, risposi io con voce interrotta, noi siamo già quattrocento ed ottomila i nostri giovanetti.
Il Vicario di Gesù Cristo calcò allora le sue mani sui nostri capi e quindi ce le porse a baciare. Tutti i presenti osservarono che egli tenne sempre lo sguardo fisso in alto. Quindi passò oltre senza più fermarsi dinanzi ad alcuno, e la sua voce più non si udì”.
Mons. Ricci ottenne loro anche un'udienza privata, sebbene essi dichiarassero che nulla avevano di particolare da dire al Pontefice. Introdotti, subito al loro entrare: - Oh, i miei figliuoli! esclamò Pio IX, ritto in piedi presso lo scrittoio, Come sta Don Bosco? Sta bene? [140] Inginocchiatisi entrambi, Don Lemoyne gli presentò una lettera di Don Bosco e poi due buste sigillate.
- È questo l'obolo di San Pietro dei vostri giovanetti? E voi siete Don Bonetti, direttore di Borgo S. Martino, e voi Don Lemoyne, direttore del collegio di Lanzo?
- Sì, Beatissimo Padre; e Le presentiamo i più umili omaggi, gli attestati più sinceri della nostra venerazione e obbedienza a nome di Don Bosco, della Congregazione Salesiana e degli alunni di tutti i nostri collegi. Nello stesso tempo Le domandiamo la Sua apostolica benedizione.
- Sì, volentieri; benedico ai dirigenti e a tutti i diretti.
- Compresi pure i nostri giovani, sorse a dire Don Bonetti.
- E i vostri giovani non sono fra i diretti? osservò sorridendo amabilmente il Pontefice.
- È vero: ma per dir loro che furono in modo speciale nominati.
- Sì, si, li benedico particolarmente e di cuore.
- E ora noi oseremmo chiedere una grazia speciale a Vostra Santità, incoraggiativi da Don Bosco stesso, riprese Don Lemoyne.
- Un'indulgenza plenaria per tutti coloro che sono nelle nostre Case.
- E non è questo l'anno del giubileo?
- Sì, Beatissimo Padre; ma si è per avere un ricordo della vostra bontà, e della nostra visita al Vicario di Gesù Cristo.
- Ebbene, la concedo: per una volta sola, sapete, per una volta sola! - E così dicendo sollevava il pollice della mano destra.
Avevano offerto anche al Pontefice le primizie dei loro lavori letterari, che furono graditi con parole d'incoraggiamento. Così finiva l'udienza. Anteposti a centinaia di persone, [141] che chiedevano di essere presentate al Pontefice, Sicchè, se eglino avessero dovuto aspettare il loro turno, non sarebbero bastati altri quindici giorni, compresero quanta stima circondasse a Roma il nome di Don Bosco[97].
Il 24, solennità di Maria Ausiliatrice, Don Lemoyne cantava la Messa nel Santuario di Valdocco.
Pio IX, che agl'inizi del suo sacro ministero aveva visitato l'Argentina[98] e conosceva quanto fosse abbondante la messe ivi preparata, ascoltò con piacerei propositi di Don Bosco circa le Missioni a pro di quei paesi, intrattenendosi a lungo sull'argomento. Don Bosco, andato a Roma anche per averne, come sempre, lume, consiglio e approvazione dal Vicario di Gesù Cristo, non appena con la lode e la benedizione ricevette dal Sommo Pontefice ogni migliore incoraggiamento, si accinse con tutta la sua risolutezza ed energia all'impresa, per la cui attuazione aveva già fatto i primi passi.
Dopo i preliminari esposti nel volume decimo, si erano intavolate trattative più concrete. Così l'antivigilia di San Francesco di Sales arrivarono dall'America le risposte, con cui si accettavano tutte le condizioni messe innanzi da Don Bosco e insieme si sollecitava la partenza dei Salesiani. Le lettere, dirette al console argentino Gazzolo, dovevano essere da lui ufficialmente comunicate.
Don Bosco volle, che la massima solennità accompagnasse questa comunicazione. Perciò la sera della festa diede ordine che fossero radunati nella sala di studio tutti i giovani dell’Oratorio [143] e tutti i confratelli, e che di fronte a loro stesse eretto un gran palco. Sul palco ascesero e fecero corona a Don Bosco i membri del Capitolo Superiore e i direttori delle Case, convenuti in quei giorni per generali conferenze. Ben pochi sapevano il motivo preciso di quella novità; quindi l'aspettazione era straordinaria. A un cenno di Don Bosco il console Gazzolo, vestito di certa sua uniforme, si avanzò e fra religioso silenzio lesse ad alta voce le lettere argentine. Poi Don Bosco, levatosi in piedi, prese la parola e disse che, per quanto stava da lui, le proposte erano accettate; ma che egli aveva sul momento un'unica riserva da fare, che cioè il Santo Padre vi accordasse il suo pieno consenso; che egli sarebbe andato a Roma per udire dalle sue labbra, se la cosa fosse di suo gradimento; solo nel caso di un diniego da parte del Sommo Pontefice egli avrebbe risposto negativamente alle domande argentine.
Non si può descrivere l'effetto prodotto da quella scena imponente. Giovani e confratelli andavano in visibilio. Alcuni dei superiori, alla vista di tanta solennità, eransi mostrati ritrosi a prender posto sul palco, per tema che, all'atto pratico, difetto di personale o insufficienza di mezzi mandasse a monte la spedizione; ma alla fine l'entusiasmo infiammò talmente gli animi, che anche gli esitanti si sentirono travolti. Fu una corrente elettrica che si propagò in un baleno dentro e fuori dell'Oratorio. Tosto vi tennero dietro le istruzioni di Don Bosco alle Case, sicchè tutti si persuasero che non erasi voluta inscenare una sterile dimostrazione. Egli diramò questa circolare.
Fra le molte proposte che vennero fatte per l'apertura di una missione nei paesi esteri, pare di preferenza di potersi accettare quella della Repubblica Argentina. Quivi, oltre la parte già civilizzata, si hanno estensioni di superficie interminabili abitate dai popoli selvaggi, tra cui lo zelo dei Salesiani colla grazia del Signore può essere esercitato. [144] Per ora cominciamo ad aprire un Ospizio a Buenos Ayres, capitale di questa vasta Repubblica, ed un Collegio con chiesa pubblica a S. Nicolas de los Arroyos non molto distante dalla stessa capitale.
Or trattandosi di preparare il personale da spedire a fare questo primo esperimento, desidero che la scelta cada sopra soci che vi vadano non per ubbidienza, ma di tutta libera elezione. Quelli pertanto che si sentono propensi di recarsi nelle missioni straniere dovranno:
1° Fare una domanda per iscritto, in cui palesino il loro buon volere di recarsi in quei paesi come soci della nostra Congregazione.
2° Dopo si radunerà il Capitolo superiore, che dopo aver invocato i lumi dello Spirito Santo, esaminerà la sanità, la scienza, le forze fisiche e morali di ciascheduno. E saranno scelti unicamente quelli di cui si possa con fondamento giudicare che tale spedizione sia per riuscire vantaggiosa all'anima propria e nel tempo stesso tornare della maggior gloria di Dio.
3° Fatta la cerna, si raccoglieranno insieme per quello spazio di tempo che sarà necessario ad istruirsi nella lingua e nei costumi dei popoli, cui si ha in animo di portar la parola di vita eterna.
4° Se qualche grave ragione non farà cangiar divisamento, la partenza è stabilita pel prossimo mese di Ottobre.
Ringraziamo di tutto cuore la bontà di Dio che in larga copia elargisce ogni giorno novelli favori all'umile nostra congregazione, e procuriamo di rendercene degni coll'esatta osservanza delle nostre costituzioni, specialmente quello che concerne i voti con cui ci siamo consacrati al Signore.
Ma non cessiamo di innalzare continue preghiere al Divin trono, affinchè possiamo praticare le virtù della pazienza e della mansuetudine. Così sia.
PS. Il Sig. Direttore legga e spieghi il tenore di questa lettera ai Salesiani che sono in questa casa.
Don Ceccarelli, il parroco di S. Nicolas de los Arroyos, gli aveva riferito un mondo di bene sul conto d'un venerando vegliardo della sua parrocchia, per nome Giuseppe Francesco Benitez, impaziente di vedere i Salesiani nella sua patria[99]. Tre giorni prima di spedire la circolare alle Case Don Bosco gli aveva indirizzata questa bella lettera: [145]
La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi.
Molte persone della Rep. Argentina e specialmente il Sig. Comm. Giov. Batt. Gazzolo mi hanno parlato assai della grande carità, della sincera affezione di V. E. alla S. Sede e del suo zelo per tutte le cose di religione.
Dio sia in ogni cosa benedetto e conservi la V. E. a lunghi anni di vita felice pel bene di Nostra Santa Madre Chiesa.
Il Sig. Dottor Ceccarelli, mio antico amico, mi ha pure in modo particolare proclamata la protezione speciale che si degna di prendere pei Salesiani che fossero destinati per la novella casa di S. Nicolas. Dolce tratto di provvidenza! La E. V. porta il nome di Francesco e prende sotto alla sua paterna protezione la Congregazione di S. Francesco Salesio. Io la ringrazio di tutto cuore e fin da questo momento metto una speciale intenzione per cui ella possa partecipare di tutte le messe, di tutte le preghiere che i religiosi Salesiani saranno per fare in comune oppure in privato. Ogni mattino poi nella S. Messa io farò un memento particolare per la conservazione dei giorni della E. V.
Siccome la nostra Congregazione si trova in principio ed ha tra mano la fondazione di molte case e Collegi, così noi ci raccomandiamo tutti umilmente alla sua carità per amore di N. S. G. C.
Dio ci benedica tutti e ci conceda la grazia di poter tutti camminare per la via del bene e trovarci un giorno raccolti insieme col Padre celeste nella patria dei beati. Così sia.
Raccomando anche me alla carità delle sue sante preghiere e mi professo
Don Bosco non ignorava i sentimenti del Papa, tutt'altro che contrari a un apostolato quale era quello da lui propostosi; la sua saggezza però gli consigliava di non comparire a Roma con delle mere buone intenzioni, ma con qualche cosa di più solido, che ispirasse fiducia nell'esito finale. Ecco perchè non invocò la benedizione del Papa se non dopo aver preparato un po' il terreno lontano, nell'America, e predisposto bene l'ambiente vicino, nella Congregazione. Cosicchè il beneplacito pontificio currentem incitavit.
A Roma e da Roma fece subitamente due cose. Anzitutto conferì con il card. Franchi, prefetto, e con mons. Simeoni, [146] segretario di Propaganda, che in un batter d'occhio guadagnò entrambi alla propria causa. Infatti, quand'egli se ne venne via dalla Città Eterna, ivi si compilavano già i due decreti d'uso: uno per l'Ordinario del luogo di missione, allo scopo di comunicargli ufficialmente che i Salesiani si recavano nella sua diocesi con licenza della Santa Sede e muniti di tutti i privilegi e facoltà soliti a concedersi in simili casi; l'altro per il Superiore Generale, a cui si largivano le concessioni necessarie in quelle date circostanze. “I privilegi sono molti, disse Don Bosco nelle conferenze di aprile; per le Missioni non si guarda tanto pel sottile”.
Da Roma inoltre scrisse in America, chiedendo ulteriori informazioni, sia perchè i Salesiani vi godessero poi piena libertà di azione, sia perchè non si sollevassero in seguito difficoltà, quando vi fossero chierici da ammettere agli ordini sacri. Le risposte giunsero favorevoli. Allora diede l'ultimo suo consenso, notificando insieme d'aver ottenuto il beneplacito del Papa, e l'affare potevasi dir conchiuso. Se non che gravi moti anticlericali, scoppiati in quei giorni, turbarono la capitale dell'Argentina. Nel marzo del '75, una mano di forsennati, dopo un comizio nel teatro Variedades, al grido Abajo los Jesuitas, incendiò il loro collegio del Salvador, uno stabilimento di prim'ordine. Si temeva che la furia settaria non si arrestasse lì; perciò Don Bosco tornò a scrivere per sapere, se quegli avvenimenti potessero impedire o ritardare la partenza dei Missionari. Ma quel contrattempo non si avverò.
Le cose stavano in questi termini, allorchè la sera del 12 maggio Don Bosco, salito il pulpitino della "buona notte" sotto i portici, esordiva così: “Questa sera, miei cari giovani, lasciamo da banda ogni altro argomento. Io ho da parlarvi di una cosa, della quale da tanto tempo aspettate che vi tenga parola. Vi dirò adunque di Buenos Aires e di S. Nicolas”. - Ah, ah, finalmente! - si gridò da tutte le parti. Indi profondo silenzio e viva aspettazione. Don Bosco proseguì: [147] Molti mi chiedono se non si trattava più di andare in America ed io faccio sapere a costoro che oggi arrivò l'ultima risposta definitiva. Chi Vuol partire si metta all'ordine. La lettera giunta poc'anzi mi dice che l'Alcade di S. Nicolas, carica che presso di noi corrisponderebbe a quella di Sindaco, ricevuto il mio foglio di accettazione, s'inginocchiò per terra, ed alzando gli occhi al cielo ringraziò il Signore come di uno dei più grandi favori da Lui concessi a quella città; poi andò egli stesso a dame avviso a tutte le altre autorità del paese; subito mi rispose essere egli contento di tutte le condizioni apposte e che poneva da quel momento a nostra disposizione il collegio con un terreno atto a pascolare ottomila pecore, con orto, cortili, ecc. Vedete adunque come in quei paesi ci sarà da lavorare per ogni fatta di persone. Ci vogliono predicatori, perchè si hanno chiese pubbliche da funzionare; ci vogliono professori per le scuole; ci vogliono cantanti e suonatori, perchè là si ama tanto la musica; ci vuole chi conduca le pecore al pascolo, le tosi, le munga, faccia il cacio: ci vogliono poi persone per fare tutti gli uffizi di casa. E quel che è più, mei cari figliuoli, si è questo. Poco lungi da S. Nicolas cominciano le stazioni delle tribù selvaggie, le quali però sono d'indole molto buona e molti di essi dimostrano già buona intenzione di abbracciare il Cristianesimo, purchè vada qualcuno a loro insegnarlo. Ma questo missionario ora non si trova e perciò vivono nell'idolatria. Facciamoci adunque coraggio noi, e cerchiamo ogni modo per prepararci ad andare a far del bene in quella terra.
Intanto fra poco si sceglierà il personale e costoro si metteranno a studiare la lingua spagnuola che è quella parlata nella Repubblica Argentina. Nè è da temersi la distanza di quelle terre; anche le più grandi distanze sono oggigiorno avvicinate dalle macchine a vapore e dai telegrafi.
Com'è evidente anche da queste parole, l'ideale di Don Bosco mirava all'evangelizzazione degli infedeli; soltanto egli aveva in animo di battere una via diversa da quella tentata in passato. Altri missionari, volendo penetrare difilatamente in mezzo alle tribù selvagge, vi avevano quasi tutti incontrata la morte per mano degl'indigeni. Egli dunque giudicava miglior consiglio stabilire collegi e ospizi in paesi limitrofi, ricevervi anche figli della foresta per conoscere lingua, usi e costumi degli Indi e così avviare a poco a poco relazioni sociali e religiose con essi. Buenos Aires sarebbe il centro di comunicazione e per intanto S. Nicolas costituirebbe già un punto avanzato. [148] Ma gli stava anche molto a cuore la condizione degl'Italiani, che in numero strabocchevole e ognor crescente vivevano dispersi in quella vastissima repubblica. Piovuti laggiù dall'Europa in cerca di fortuna, privi di scuole per i fanciulli, lontani da ogni pratica religiosa un po' per colpa loro, un po' per mancanza di sacerdoti che se ne potessero prendere cura, rischiavano di formarvi tutta una gran massa di popolazione senza fede e senza legge.
Frattanto gli atti e le parole di Don Bosco sulle Missioni avevano gettato un fermento salutare fra gli allievi e i Soci. Si videro allora moltiplicarsi le vocazioni allo stato ecclesiastico; crebbero anche sensibilmente le domande di ascriversi alla Congregazione, e un ardor nuovo di apostolato s'impadronì di molti che vi erano ascritti.
Due lettere a Don Ceccarelli sono più eloquenti di qualsiasi nostro discorso a esprimere tutta la sollecitudine paterna di Don Bosco per predisporre le cose in modo, che i suoi figli, mettendo piede su quelle terre lontane, non vi capitassero come stranieri fra stranieri, ma vi giungessero come amici fra amici. Nella prima egli fa, per dir così, la loro presentazione e con delicatezza squisita tocca del passaggio. Quest'ultima mossa non rimase senza effetto; poichè il municipio di S. Nicolas pagò il viaggio per cinque missionari.
La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi. Fatto il dovuto conto delle lettere scritte di V. S. Rev.ma e dei preziosi documenti che la Eccellentissima Commissione fondatrice si compiacque indirizzarmi, ho deliberato che i miei figli dessero opera sollecita per partire alla volta della Repubblica Argentina, appena le cose a quest'uopo siano preparate. Ora prego la sua bontà di comunicare ai signori di detta rispettabile commissione elle:
1° Io li ringrazio di tutto cuore delle benevoli espressioni con cui mi hanno scritto, e che i Salesiani nella loro buona volontà sperano di corrispondere alla giusta loro aspettazione, sia per la direzione del Collegio di S. Nicolas, sia per le scuole serali, che tra noi ottengono tanti buoni risultati. [149]
2° Per uniformarmi alle Costituzioni della nostra Congregazione modifico alquanto il personale che mi era stato accennato. Saranno cinque sacerdoti tutti maestri approvati e muniti dei loro diplomi nei nostri paesi. Con essi vi andrà un maestro di musica per suonare ed insegnare il canto, il pianoforte, l'organo, ed altri strumenti, tanto nelle chiese se fosse d'uopo, quanto nel collegio e nelle scuole serali.
Due coadiutori Salesiani di cui uno avrà cura del materiale della chiesa, l'altro dell'alloggio dei collegio. Io desidererei che le persone di servizio fossero tutte della Congregazione Salesiana, a fine di essere viepiù sicuri delle loro azioni: ma quando le cose siano cominciate, Ella me lo scriverà ed allora si potrà provvedere quanto sarà necessario.
3° Il Sac. Dott. Giovanni Cagliero, Ispettore e Vice - Superiore della Congregazione, guiderà i Salesiani con pieni poteri di trattare e conchiudere qualunque affare possa occorrere colle autorità civili, oppure ecclesiastiche. Installati i Salesiani al rispettivo ufficio, Egli lascierà direttore il prof. Bonetti Giovanni che da molti anni è capo di un collegio di oltre a cento allievi, e già conosciuto per alcune opere da lui pubblicate; quindi D. Cagliero farà ritorno in Europa per essere in grado di corrispondere e provvedere quanto farà mestieri al buon andamento del collegio e di altre case che la divina Provvidenza si degnasse affidarci.
Siccome poi è il primo viaggio che i Salesiani fanno sopra lungo tratto di mare, così io desidero vivamente che siano accompagnati dal Comm. Gio. Gazzolo Console Argentino a Savona. Esso è persona che ha tutta la nostra fiducia, pratico di vicende di mare, e conoscitore dei paesi e di molte persone, tra cui i nostri dovranno stabilire la loro dimora. I viaggiatori pertanto sono dieci, ed io mi raccomando a questo rispettabile municipio per altrettanti passaggi, di cui tre bastano di seconda classe. Ma se ciò cagionasse difficoltà, io mi assumerei il passaggio di tutti coloro, a cui non si giudicasse di pagarlo. Sono pronto di fare questo ed altri sacrifizi, perchè desidero vivamente che le cose vadano bene specialmente per la moralità e niente manchi di quanto può contribuire a mettere un solido principio all'opera di S. Nicolas.
5° I Salesiani partirebbero di qui circa la metà del prossimo Novembre e farò notificato il giorno, appena questo si possa con precisione stabilire.
6° In quanto ai nomi dei religiosi da mettersi sulle bollette dei passaggi, potrebbesi firmare una bolletta sola in capo al Dott. Gio. Cagliero, oppure in capo al Comm. Gio. Gazzolo del valore per quel numero di persone che si giudicherà. Con questo mezzo sarebbe evitata la difficoltà che potrebbe avvenire, se qualcuno non potesse porsi in viaggio all'epoca stabilita. [150]
7° Comunicare a S. E. Mons. Arc.vo le cose non notate nel modo che Ella giudicherà necessario. A lei poi, o caro e rispettabile Sacerdote del Signore, fo umili e cordialissimi ringraziamenti per la carità che ci usa in questa pia impresa. Se ne verrà, come spero, qualche poco di gloria a Dio, e vantaggio ai giovanetti di S. Nicolas, Ella ne avrà certamente il merito principale. Io sono persuaso che V. S. avrà nei Salesiani dei buoni fratelli, i quali, seguendo i savi di Lei consigli, appagheranno l'aspettazione delle autorità civili e religiose, siccome abbiamo finora fatto nella difficile posizione, in cui versano le cose pubbliche nei nostri paesi.
Qualunque cosa me la scriva con libertà ed anche prontamente; io poi le scriverò altra lettera quanto prima, per darle minuto ragguaglio delle cose che andiamo preparando per la divisata partenza.
In fine raccomando me, li miei salesiani e tutti i nostri allievi alla carità delle sante sue preghiere, mentre ho l'onore di potermi professare con gratitudine e stima di V. S. Rev.ma
Nella seconda lettera scende a minimi particolari su quanto potrà occorrere a' suoi figli, allorchè si troveranno isolati in quei remoti paesi, volendo sapere tutto per filo e per segno, financo se vi sarà carta di musica. Ci tiene insomma a metterli in grado di far onore alta Congregazione nascente. Mentre poi si occupa di cose della vita ordinaria, ecco sfuggirgli dalla penna una gemma pedagogica, là dove, annunziato l'invio dei regolamenti di alcuni collegi salesiani, dice: “Ma il vero Regolamento sta nell'attitudine di chi insegna”,
Ricevuta la sua lettera, d'accordo col Sig. Comm. Gazzolo abbiamo subito fatto risposta per Lei e pel Municipio di S. Nicolas. La nostra partenza sarà non più tardi del 15 Novembre prossimo; ma speriamo che sarà prima. Intanto che noi prepariamo i nostri equipaggi, io debbo chiederle molte cose particolari e:
1° In quanto agli arredi sacri, vasi sacri, suppellettili della Chiesa saranno costà provveduti o che dobbiamo provvederli noi e portarceli insieme?
2° Dica lo stesso delle suppellettili di casa, di cucina, di camera di camicie, lenzuola, fazzoletti, tovaglie, asciugamani, etc.
3° In quanto ai libri e. g. messali, antifonarii, cartelle per la [151] benedizione, per le messe da morto, Breviarii, Catechismi, libri di scuola come sono grammatiche, dizionarii e simili.
4° Se giunti a S. Nicolas i nostri andranno in Collegio oppure in casa parocchiale; se dobbiamo pensare alle persone di servizio, oppure vi sia già qualche cosa stabilita a questo riguardo.
5° Se colle scuole del Collegio si intendano anche quelle della città, oppure queste si fanno separate da quelle, se o no ad altri affidate.
6° Se è necessario che ci provediamo un pianoforte oppure già esiste in collegio.. Della carta di musica, metodi per insegnare l'organo, il pianoforte, il canto Gregoriano.
7° Le mando i Regolamenti o piuttosto l'Orario di alcune nostre scuole serali di Varazze e di Torino. Ma il vero Regolamento sta nell'attitudine di chi insegna.
8° Se i nostri preti avranno da prendere parte alla predicazione, al catechismo, alle confessioni dei fedeli, siccome facciamo nelle nostre Chiese.
9° Se sarà necessario che io scriva preventivamente all'Arc. di Buenos Ayres e in quale senso.
10° Siccome io sto stampando un libro di pietà per la gioventù in lingua spagnola, come le ho già scritto, e desiderando di uniformarmi quanto è possibile alle usanze di questa Archidiocesi, avrei bisogno che Ella mi mandasse nel più breve tempo possibile un piccolo catechismo pei fanciulli da cui ricaverò le preghiere quotidiane cioè: Vi adoro, Pater, Ave, Credo, Salve, Angele Dei, Decalogo, atti di fede e simili. Così i nostri religiosi si uniformeranno tosto a quanto si suole già praticare in Diocesi.
In questo tempo bisogna, che Ella si armi di pazienza, mi istruisca e mi aiuti. Io desidero che Ella abbia a fare bella figura, e che niuno possa dire: È una meschinità, Perciocchè essendo impegnato l'onore di una Congregazione nascente, io intendo di niente risparmiare di personale ed anche di spesa, che possa contribuire al buon esito della nostra impresa.
La prego infine di darmi tutti quei consigli, che Ella giudicherà del caso, e di fare da parte mia i miei umili e rispettosi ossequi ai Signori della Commissione fondatrice, i quali si degnarono di scrivermi con tanta bontà.
Dio la colmi di sue benedizioni, preghi per me, che con vera gratitudine ho l'onore di professarmi
Don Bosco, posta che avesse la mano a un'impresa che stimava voluta da Dio, agiva come dice il proverbio: Aiutati, [152] che Dio t'aiuta. O meglio, si regolava conforme alla massima di Sant'Ignazio: Nel corso dell'opera, fa 'come se tutto avesse a dipendere da te; a opera compiuta, danne lode a Dio, come se tu non ci fossi entrato per nulla. Quindi applicavasi alla ricerca de' mezzi, picchiando a tutte le porte. Nell'allestire dunque la spedizione non dimenticò il Cardinale Prefetto di Propaganda, ma gli si raccomandò caldamente tanto per aver copia di favori spirituali quanto per ottenerne sussidi d'ordine materiale.
Ricorro umilmente all'E. V. perchè si degni farmi da padre e da protettore nell'affare che qui rispettosamente ho l'onore di esporre. Colla benedizione del Santo Padre, previe le pratiche necessarie coll'Arcivescovo di Buenos Ayres e col municipio di S. Nicolas de los Arroyos, la Congregazione Salesiana conchiuse le trattative, secondo le quali deve aprire un Ospizio in quella Capitale, un Collegio a San Nicolas, specialmente in vantaggio delle Missioni, ed assumersi l'amministrazione delle pubbliche scuole con Chiesa a favore di quei cittadini.
La prima partenza dei Salesiani è fissata per gli ultimi dieci giorni del prossimo Ottobre, in numero di dieci, ed egual numero dovrà partire non molto dopo.
Essendo questa la prima volta che apriamo case nelle missioni estere, io mi rivolgo all'E. V. Rev.ma supplicandola:
1° A voler concedere alla Congregazione Salesiana (definitivamente approvata 3 Aprile 1874) tutti quei favori, grazie spirituali e privilegi, che la Santa Sede suole accordare ai religiosi che vanno nelle missioni estere, sia considerati come individui, sia come case religiose quali appunto sono le Salesiane.
2° Questa Congregazione, benchè si trovi abbastanza provvista del personale necessario, trovandosi tuttavia nel suo principio, è priva affatto di mezzi di fortuna; quindi in grave bisogno, supplica la E. V. a voler fornirci quel sussidio in danaro, in libri specialmente spagnuoli, o ad uso di Chiesa, o scuola, in vasi sacri, paramentali e simili, secondo che la nota sua carità giudica opportuno.
Il municipio di S. Nicolas somministra il locale pel Collegio e Chiesa, e paga il viaggio per cinque missionarii. Le altre spese preparatorie per lo studio delle lingue, pel corredo personale, per tutto ciò che concerne al viaggio, suppellettile e primo impianto sono tutti a carico dei Salesiani.
La benevolenza e la singolare carità che mi usò in altre occasioni [153] mi danno fiducia che eziandio al presente si degnerà d'esserci padre e protettore.
I Salesiani dal canto loro procureranno con vivo zelo di corrispondere ai benefizi ricevuti e ricorderanno con incancellabile gratitudine colui che loro porse mezzi efficaci, con cui poterono recarsi ad esercitare il Vangelico Ministero nella Repubblica Argentina, donde coll'aiuto divino sperano potersi anche estendere in altre parti dell'America.
Tutti poi di buon cuore pregano Dio che la colmi dei suoi celesti favori e le conceda lunghi anni di vita felice pel bene della Chiesa e della civile Società, mentre a nome di tutti le bacio la Sacra porpora e mi professo colla massima venerazione della E. V. Rev.ma
La lettera è del 31 agosto, secondochè si rileva dalla risposta del 14 settembre. La qual risposta fu che egli si rivolgesse al Cardinale Segretario di Stato, dipendendo la Repubblica Argentina dalla Congregazione degli Affari Ecclesiastici straordinari.
Allo stato dei documenti non ci consta se Don Bosco si sia indirizzato da quella parte. Probabilmente non ne fece nulla. Questa nostra congettura si fonda sulla circostanza che proprio in quei giorni l'affare dei privilegi e delle dimissorie attraversava una fase delicatissima, come vedremo, ed egli non avrà creduto buono il momento per avanzare la domanda.
Le angustie causategli dalle cose di Roma avevano il loro nesso con le difficoltà di Torino: contemporaneamente le une e le altre gli davano travaglio. Eppure con sovrumana serenità d'animo egli procedeva tranquillo verso lo scopo che si era prefisso di cominciare le Missioni d'America. Anzi, non perdeva nemmeno il suo consueto buon umore, come ci rivela questa lettera al suo grande amico e benefattore Don Michelangelo Chiatellino.
Siccome in tempo delle vacanze non avrà tanto da fare e forse le farà bene passeggiare, così a nome di Maria A. le affido l'impresa dei nostri missionari, che sul finire di Ottobre guidati da D. Cagliero andranno nell'altro mondo o meglio nel nuovo mondo. [154] Ella avrà qui la nota del corredo che loro strettamente occorre ed hanno bisogno che i buoni cattolici offrano la borsa, mentre essi vanno ad offrire la vita fra le tribù selvaggie della Patagonia.
Faccia adunque così: faccia un giro e tanti sono gli oggetti, altrettanti siano i caritatevoli provveditori che li paghino. Se fa questo mi raccomando al Papa che la faccia Monsignore e forse di più.
Vedremo, Caritas omnia vincit.
Noti bene: urge di provvedere ed io non ho ancora nè un filo nè un soldo ad hoc.
Fra gli altri credo che Ella possa utilmente invitare: D. Chiatellino di Villa Stellone, Mons. Appendino, T. Fascio prevosto, suo Fratello vice parroco, Sig. Assom ex - agente dei Sig. Villa, Sig. Garabello farmacista, Sig. Alloatti, Sig. Marcellino ed altri.
In Carignano: Mad. Calosso, T. Langero, Mad. Aghemo vedova, il prevosto, D. Febbraro e suo coadiutore di Borgo, D. Chiatellino Michelangelo, D. Robatto parroco di Santena ed altri che Dio le metterà in testa come persone di carità e di buona volontà.
Se giungesse la Sig. Duchessa, spero che qualche cosa sarà Ella pure per fare. Dio ci benedica. Soffra e faccia tutto per amor del Signore, mentre le sono in G. C.
Il corredo personale per dieci individui e tutto l'occorrente per il sacro ministero, per lo studio, per la scuola, importava spese ingenti, a cui certo l'Oratorio non era in grado di far fronte. Bisognava provvedere calze, calzetti, scarpe, camicie, mantelli, mantelline, pastrani, sottane, suppellettili di camera, arredi di chiesa, paramenta, calici, messali, antifonari, pissidi, libri di lingua spagnuola e francese, testi di teologia, opere predicabili, manuali di ascetica. Don Bosco, sempre molto positivo, compilò un elenco particolareggiato di tutti questi oggetti, specificandone il numero relativo e il costo[100]; indi ne fece moltiplicare le copie e le mise largamente in giro.
Allora si vide in Torino un'ammirevole gara di carità. L'Istituto delle Figlie dei Militari, l'Istituto del Refugio delle Maddalene, delle Orfane, di S. Anna, di S. Giuseppe, di S. Pietro, [155] quello delle Fedeli Compagne di Gesù, del Buon Pastore, della Cascina, molte famiglie private, lavoravano giorno e notte per apprestare il corredo necessario. Nel medesimo tempo giungevano all'Oratorio pacchi di calze, camice, stole, dalmatiche, piviali, tovaglie, tovagliuoli. In casa i laboratori erano tutti in moto per allestire calzature, indumenti, casse, ferramenta.
Non avremmo detto tutto, se tacessimo di una particolarità. In mezzo a tanto fervore di preparativi, parecchi ancora vi erano, i quali duravano fatica a persuadersi che la spedizione si sarebbe fatta davvero. Essi guardavano le cose dai tetti in giù, e vedevano Don Cagliero, destinato a guidarla, professore di teologia morale e maestro di musica nell'Oratorio e direttore spirituale delle Figlie di Maria Ausiliatrice; degli altri chi vedevano prefetto in un collegio, chi professore, chi addetto a faccende importanti, e tutti ben difficilmente sostituibili. Il coadiutore Belmonte, per esempio, incaricato di badare agli ospiti, che nell'Oratorio si succedevano quotidianamente, mezz'ora prima della partenza esercitava ancora le sue funzioni, talchè se non gli si fosse ricordato di consegnare le chiavi, se le sarebbe messe in tasca e le avrebbe portate in America. Guai se Don Bosco fosse stato di così corte vedute! Formato il suo disegno davanti a Dio, egli era ben lungi dall'immaginarsi che l'avrebbe condotto a termine senza difficoltà; ma, all'affacciarsi di un ostacolo, non che smarrirsi, subito studiava il modo di superarlo, tenendo per sua norma il suggerimento di santa Teresa: Niente ti turbi.
NEL tirare su la sua Congregazione Don Bosco ha fatto come il mistico vignaiuolo d'Isaia, secondochè suona il testo della Volgata[101]. Dice il profeta ch'egli cinse di siepe la sua vigna e ne cavò fuori le pietre e vi edificò nel bel mezzo una torre. Don Bosco trasformò a poco a poco il prato di Valdocco in vigna eletta, ben custodita dietro il riparo d'un saggio regolamento; là entro poi si venne scegliendo tra i giovani quei che giudicava più acconci all'attuazione de' suoi disegni, se li lavorò, per così dire, e se li foggiò a modo suo, secondo l'ideale che aveva nella mente, li unì fra loro con saldi legami di comuni interessi spirituali, se li strinse attorno con la forza della più tenace affezione, fintantochè, senza che se n'avvedessero, costituì di loro un corpo ben compatto, ben organizzato, capace di vivere e di svilupparsi e di raggiungere proporzioni gigantesche. La Storia Ecclesiastica non offre esempi di simili fondatori che si siano assembrata per vicos et plateas un'accolta di birichini e ne abbiano con cure assidue formate le pietre basilari dei loro grandi edifizi religiosi; si presentavano uomini già fatti quelli che si ponevano sotto la disciplina dei santi fondatori e senza indugio con essi collaboravano a gettar le basi di provvidenziali istituzioni.
E si noti ancora che correvano ai tempi di Don Bosco anni difficilissimi per gli Ordini e le Congregazioni religiose, [157] tanto difficili, che non se ne poteva impunemente neppure dir bene; figuriamoci poi a volerne suscitate dei nuovi! Bisognò a Don Bosco muovere davvero con piè di piombo. Del resto, chi poteva nutrir sospetti su quell'accoglienza di ragazzi, che mangiavano il pane di Don Bosco? Diremo di più: Don Bosco era obbligato a stare in guardia di fronte a queglino stessi, ch'ei designava antesignani dell'Opera sua, tali e tanti pregiudizi ingombravano universalmente gli spiriti. Se avesse anzi tempo fatto loro menzione di vita religiosa e di voti, avrebbe visto intorno a sè il deserto. Lo stesso cardinale Cagliero, con la vivacità che gli fu propria fino all'estremo della vita, ci ripeteva che, se a lui prematuramente si fosse parlato di professione religiosa o di Congregazione, egli avrebbe detto: - Stare con Don Bosco, aiutare Don Bosco, sì; ma farmi frate, no, no! - Manodusse quindi i suoi dove volle, con longanime tolleranza e graduale preparazione, sospingendoli in alto mare prima che sapessero di essersi imbarcati. Ecco la ragione principale, per cui uomini eminenti del clero insorgevano scandalizzati, invocando o applicando provvedimenti, dei quali oggi noi misuriamo tutta l'inopportunità e importunità; essi miravano le cose dell'Oratorio dal di fuori e le giudicavano alla stregua dei passato.
I bravi direttori di collegi, che rivedremo ora far corona a Don Bosco, sono precisamente quei folletti più o meno sbarazzini, che pochi lustri innanzi con le loro irrequietezze ne mettevano a dura prova la pazienza, ma che giorno per giorno trattati con bontà, istruiti, posti in salvo da pestilenziali esempi, imbevuti di pietà spontanea e lieta, amarono d'un amor tenero, forte e perseverante il loro buon Padre e furono suoi per la vita e per la morte.
Uno dei mezzi usati da Don Bosco per trasfondere ne' suoi eletti i propri sentimenti e consolidare la Congregazione di fresco approvata, era di chiamarli spesso a conferire tutti assieme. In tali adunanze, egli, senz'apparato di sorta, ma trattando più da padre che da superiore, si metteva con essi [158] in intima comunione d'idee e di propositi, affezionandoli ognor più alle sue Opere e valendosi di loro per imprimere sempre maggiore consistenza nella compagine del corpo intero. Poichè oltre a ciò che, per così esprimerci, era all'Ordine del giorno, formava cioè l'oggetto precipuo della convocazione, egli aveva allora agio di sentirli uno a uno in privato, di conoscere da vicino le disposizioni dei singoli, d'incoraggiare, di consigliare; dopo di che essi, quasi ripigliata lena, si rimettevano con ardor nuovo al quotidiano lavoro.
L'occasione colta da Don Bosco per invitare nuovamente a riunirsi nell'Oratorio i più ragguardevoli rappresentanti della Società fu il suo ritorno da Roma. Non ignorava egli quale effetto dovesse produrre su gli animi loro e il metterli a parte di vitali interessi della Congregazione e il ridir loro personalmente la parola dei Papa.
Nei tre giorni 14, 15 e 16 aprile sei conferenze si tennero, delle quali cinque private e una pubblica. V'intervennero Don Rua, Don Cagliero, Don Durando, Don Lazzero, Don Ghivarello, Don Bonetti, Don Lemoyne, Don Francesia, Don Cerruti, Don Albera, Don Dalmazzo, Don Barberis, segnatosi per ultimo nel verbale, giacchè fungeva da segretario. Vi mancarono Don Savio e Don Costamagna, trattenuti da precedenti impegni di sacro ministero.
Nella prima seduta Don Bosco, dopo avere con gran riverenza di espressioni, comunicata la speciale benedizione del Papa ai Superiori della Società ed esposti i motivi del suo viaggio a Roma, presentò ai convenuti lo stato particolare delle cose, abbozzandone come un quadro, di cui illustrò le luci e le ombre. A Roma aveva incontrato vive simpatie in alto e in altissimo luogo, nonostante le sfavorevoli relazioni, che vi fioccavano da Torino. Al qual proposito fece trarre dagli archivi e leggere alcuni documenti riservati, affinchè si vedesse chiaro in che acque si navigava e con quanta prudenza era da procedere anche nel governo delle Case. Dal verbale di questa seduta noi abbiamo già desunte notizie per [159] narrazioni precedenti, e altro vi attingeremo ancora per il capo nono; sicchè ora senza più passeremo avanti.
Alla seconda conferenza presiedette Don Rua. La lettura d'un verbale delle conferenze di gennaio mise sul tappeto una questione, che oggi fa sol ridere, ma del sorriso buono, con cui si guarda all'infanzia. La stessa osservazione si dovrebbe ripetere più d'una volta anche qui appresso. Bisogna intendere le cose per il loro verso. Don Bosco non fu uomo che presentasse disegni bell'e compiuti da attuarsi in pieno; egli invece poneva umili semi in terreno propizio, assistendone poi con oculatezza il barbicare sotto il suolo e il germogliare all'aperto e il crescere fino alla ramificazione. L'opera sua maggiore, la Congregazione, è nata da un granello come la senapa del Vangelo, nè crebbe prodigiosamente per salti, ma adagio adagio, da poveri inizi e per gradi; nel tempo di cui narriamo la storia, essa irrobustiva il fusto ancor tenero e spiegava timidamente i primi rami, sorretta dal solerte cultore. Chi non vede con diletto e non gusta di sorprendere come in atto il venir su della pianta?
Si capì dunque allora che ci voleva un segretario del Capitolo Superiore, il quale prendesse nota di tutto, sia per impedire che le deliberazioni cadessero dalla memoria, sia per tramandare ai posteri cose importanti, che altrimenti non avrebbero lasciato traccia. Una specie di segretario veramente c'era, nominato già “da tempo” nella persona di Don Ghivarello; ma era come se non ci fosse, perchè, avendo molto da fare, egli non ci badava, e nessuno vi faceva caso. Allora invece si impose il quesito, se convenisse che Don Ghivarello stesso, rinunziando ad altre occupazioni, attendesse di proposito a questa, o se fosse da eleggervisi un socio più libero di applicarvisi. Opponendosi Don Ghivarello alla prima soluzione e per l'impossibilità di alleggerire il suo lavoro e per certo suo difetto di memoria, fu ventilata l'idea di chiamare a quell'ufficio un cotal confratello; ma non ardirono pronunziarsi in merito, perchè, si disse, Don Bosco aveva scelto Don [160] Ghivarello e a Don Ghivarello toccava di rimanere. Fu dunque deciso di rimettere l'affare nelle mani di Don Bosco.
Dopo questo preambolo, fu data lettura di favori spirituali a noi già noti; indi si passò all'Ordine del giorno, preparato da Don Bosco stesso e distinto in tre parti: 1° non cambiare personale; 2° il teatro non disturbasse l'orario della Casa; 3° non far spese accessorie. Sui primi due punti si manifestò tale disparità di vedute, che non si veniva a capo di concigliarle; onde nacque il dubbio che non s'intendesse bene dai presenti la portata degli articoli. Perciò, dopo avervi discusso su parecchio, deliberarono di riparlarne con Don Bosco.
Restava la terza cosa. Ma in che senso bisognava prendere quelle “spese accessorie”? Nuove fabbriche, no, perchè era già legge che nessun direttore mettesse mano a fabbricare senza il consenso del Capitolo Superiore. Dunque, modificazioni accidentali nelle fabbriche. Ebbene, ogni direttore si disse pronto dal canto suo ad astenersene, come del resto generalmente già si usava.
La chiusa si aggirò sull'opportunità di autorizzare una spesa in fatto d'indumenti estivi. Nel Piemonte durante i mesi caldi gli ecclesiastici portavano per lo più un ferraiolino molto economico. Era il caso di seguire una nuova corrente, permettendo ai preti d'indossare un pastrano leggiero? Religiosi, sacerdoti secolari, vescovi facevano ormai così; e poi quel soprabito permetteva di prolungare l'uso di vesti già alquanto logore o scolorite, “che per lo più abbiamo”, nota il verbale. Non si osò decidere, ma si amò meglio, per la terza volta, attendere la decisione da Don Bosco.
Nella terza conferenza ritroviamo Don Bosco. La già narrata mediazione dell'Arcivescovo di Vercelli e parecchi Decreti di facoltà e d'indulgenze che del pari già conosciamo, occuparono la prima parte del tempo; il resto fu impiegato nel dilucidare i due punti lasciati in sospeso dalla seduta anteriore. [161] Interpellarono prima Don Bosco sul “Non cambiar personale”. Se egli intendeva del non traslocare nessuno arbitrariamente da Casa a Casa, non constava che ciò si fosse giammai fatto; se poi voleva dire che non si mutassero occupazioni ai confratelli nei singoli collegi, senza previa licenza del Capitolo Superiore, sembrava questa una misura atta a creare imbarazzi, occorrendo spesso di far passare lì per lì un individuo da un'assistenza a un'altra, da uno a un altro insegnamento.
Don Bosco rispose così: “Si tratta qui di una misura preventiva più che repressiva. Di regola generale, bisogna che le cose si mantengano come sono. Vedete: su questo particolare io mi sono consigliato con il padre Franco, il quale mi disse che tra loro Gesuiti non si fanno mutamenti, se prima non c’è il consenso dei superiori maggiori. E realmente è una cosa questa che arreca due grandi beni: toglie di mezzo ogni odiosità che potrebbe nascere contro il superiore locale, e fa che il suddito si mostri più pronto e resti più contento. Credetemi: io vorrei far penetrare quest'abitudine in tutte le Case. Sì, vi trovo qualche difficoltà; ma se ogni direttore, prima di dare un ordine un po' importante, scrivesse ai superiori e così l'ordine venisse da Torino, ecco che ciò contribuirebbe assaissimo al buon andamento delle Case particolari. Lo stesso dicasi delle negative. Se ogni volta, invece di negare un permesso, si dicesse: - Va bene, ecco, scriverò al Capitolo Superiore, perchè veda il da farsi, e dopo te ne riferirò - con questo si risparmierebbe al confratello il dispiacere che facilmente nasce da un diniego, quando si possa supporre che il direttore, dicendo di no, abbia agito per capriccio. Nei trasferimenti ciò si vede ancora meglio. Vorrete, per esempio, mandare un soggetto dalla vostra Casa a un'altra. Se fate da voi il trasloco, gli mettete nell'animo l'odioso sospetto che vogliate sbarazzarvi di lui, perchè non conviene più che egli stia dov'è. Se invece scrivete al Capitolo Superiore ed esso chiama quell'individuo per collocarlo altrove, ecco [162] che sono evitati molti inconvenienti. Facendo in questo modo, vi sarebbe più soggezione e meno malumori”.
Di parola in parola il discorso si portò su disordini che avvenivano riguardo alla corrispondenza. Qui Don Bosco fece una raccomandazione e diede due norme. Raccomandò che si lasciasse libertà piena e assoluta di scrivere al superiore generale; al qual proposito ricordò che in certi Ordini religiosi è comminata perfino la scomunica al superiore locale che impedisse di scrivere o si arrogasse di leggere tali lettere siano esse missive o responsive; anzi espresse il suo desiderio che si esortasse a scrivergli con frequenza. Le norme riguardavano tutta l'altra corrispondenza epistolare. Ogni socio consegnasse al direttore dissuggellate le lettere da spedire e parimente dissuggellate il direttore consegnasse ai soci quelle in arrivo; nondimeno si usasse l'avvertenza di non mandarle per mano altrui, ma dal direttore personalmente si consegnassero a chi fossero indirizzate. “Questo però, soggiunse egli, non s'intenda in modo così assoluto e universale, da credere che al superiore ne incomba l'obbligo per ogni caso. Resti solo ben assodato e riconosciuto aver il direttore facoltà di farlo ed essere conveniente che lo faccia in via ordinaria. Messo fuori di controversia questo punto, ecco evitati dispiaceri, ogni volta che il direttore stimasse di esercitare tale diritto”.
Don Dalmazzo, che aveva tirato fuori la questione delle lettere, volle rilevare pure l'inconveniente delle uscite di casa. - Si presentano a me, osservò, e mi dicono: Ho bisogno di uscire. Ma per lo più tacciono il motivo, e vanno dove vogliono e a fare quel che loro piace. - Si uscisse e si lasciasse uscire il meno possibile, perchè c’è sempre pericolo; si uscisse accompagnati, come dicono le Regole, nè si assegnasse tutte le volte il medesimo compagno. Questa fu la conclusione. Ma si obiettò Come trovare nella maggior parte dei casi il compagno di uscita, essendovi tanta scarsezza di personale? - “Meglio ancora! intervenne Don Bosco. Essendo così difficile trovare [163] il compagno, non si lascerà uscire se non nei casi di necessità. Il non saper chi dare per compagno autorizzerà senz'altro a rispondere: - Per adesso non puoi uscire -”. Qualcuno per altro osservò d'aver visto a Roma il padre Perrone e il padre Curci andare per città in compagnia di fratelli coadiutori tagliati abbastanza alla grossa. Certo così era più facile trovare il compagno. Tuttavia, tanto per la corrispondenza quanto per l'uscire accompagnati, parve cosa più prudente soprassedere all'esecuzione, per salvare i direttori dalla taccia di commettere arbitrii. “Fra poco, disse Don Bosco, io scriverò una lettera circolare a tutte le Case, richiamando l'attenzione dei direttori su questi due punti del Regolamento. In tal modo la cosa verrà contemporaneamente a notizia di tutti, e i direttori locali non saranno fatti segno a critiche, quasi che agissero così di loro testa. Più altre cose vi sarebbero ancora da riformare e da attuare; ma ciò si farà col crescere del personale. C'è, per esempio, la contabilità. Fortunatamente (e lo disse sorridendo) voi siete tutti fior di galantuomini, e invece di portar via, portate in Congregazione quello che avete. Ma chi sa quante migliaia di lire potreste sottrarre prima di venire scoperti, essendo così senza controlli?! Col tempo si rende necessario che nella contabilità vi sia precisione, se si vogliono prevenire inconvenienti per il futuro”.
Restava la questione del teatro. A che cosa mirava Don Bosco, raccomandando che il teatro non disturbasse l'orario della Casa? Che la levata non si dovesse ritardare il giorno dopo per causa del teatro? Quanto al rimanente, come fare a non modificar l'orario? Senza dubbio l'ora della cena andava anticipata, e l'ora del riposo differita. “Io invece, prese a dire Don Bosco, sarei di parere che l'ora della cena non si anticipasse, anzi che si cenasse dopo il teatro; si ovvierebbe così al gravissimo inconveniente, che gli attori facciano poi da soli una seconda cena dopo la recita”.
Si osservò che un tempo si faceva precisamente così, ma [164] che poi si smise a causa d'inconvenienti; d'altra parte essere tutti i direttori d'accordo nell'asserire che dal cenare dopo verrebbero disordini maggiori. Infatti, col metodo vigente, si dicevano le orazioni nella sala stessa del teatro e quindi si andava subito a dormire, sicchè tutto era finito; se invece si fosse dovuto cenare dopo, ci sarebbe voluta poi la ricreazione dopo cena, il che avrebbe causato guai molto più gravi. Inoltre, durante il teatro, tener, occupati cucinieri e refettorieri sembrava poco opportuno. “Eppure, ripigliò Don Bosco, bisogna che ad ogni costo si eviti quella cena separata dei comici. Vi capitano sempre disordini; basterebbe che se ne conoscesse qualcuno avvenuto nell'ultima recita, perchè voi foste tutti unanimi nel non permetterla. Piuttosto si faccia il teatro in giovedì e in pieno giorno”.
Ma neanche così gl'inconvenienti parvero eliminati. Gli artigiani, per esempio, dover sospendere il lavoro per andare alla rappresentazione; e poi? In secondo luogo, dove solevano assistere allo spettacolo i personaggi più ragguardevoli del luogo, non essere quello per loro il tempo più adatto a intervenire. “Allora, suggerì Don Bosco, io trovo una via sola di uscita: nei giorni di teatro si mangi alla francese. Un déjeuné verso le 11, e il pranzo verso le 5, al quale prenderebbero parte anche i comici. Dopo pranzo, un'ora di ricreazione; alle 6½ teatro: due ore e mezza di divertimento bastano, e alle 9 è tutto finito, senza che vi sia bisogno di cena per i comici. Così subito dopo il teatro si dicono le preghiere e si va a dormire. E Poichè il teatro per solito si fa nei giorni delle solennità maggiori, ecco che è possibile prima delle 5 eseguire le funzioni di chiesa”.
A ogni modo egli volle che si tenesse la cosa in ponte. Abituato a prender norma dall'esperienza prima di fissare le sue regole raccomandò che si cominciasse a far la prova in qualche collegio; si sarebbe così potuto vedere se e quali inconvenienti si verificassero. Qualora tutto andasse bene, si sarebbe appresso fatto dappertutto nello stesso modo. [165] Don Rua presiedette la quarta conferenza. La concessione di esami straordinari per conseguire l'abilitazione all'insegnamento nelle scuole tecniche e ginnasiali durava ancora un anno. Urgeva far sì che in ogni collegio, quanti si sentissero in grado di sostenere tali esami, fossero incoraggiati a presentarvisi. Ma si preparassero a dovere, esortò Don Durando, perchè col far cattiva figura non si offendesse il buon nome delle Case. I direttori perciò trovassero modo di lasciar liberi un paio di mesi prima i candidati, affinchè si radunassero nell'Oratorio per avervi una scuola speciale. Non convenire per il ginnasio superiore o inferiore presentarsi a Torino, essendo ivi i membri della Commissione esaminatrice troppo mal prevenuti, per essi veder un prete e respingerlo essere tutt'uno. Si andrebbe dunque a Venezia, a Bologna o altrove. Conosciuto il numero degli esaminandi, si sarebbe provveduto alla scelta della sede. Le domande si spedissero a lui Don Durando, che le avrebbe trasmesse a chi di ragione. Con la fine di maggio spirava il tempo utile per presentarle.
Quanto agli esami per il conseguimento della patente di maestro elementare, c'era uno di quegli imbrogli, che non di rado si ripetevano sotto varie forme in passato. Una circolare del Ministero richiedeva l'iscrizione di tutti a una scuola normale, ma accordava la facoltà di presentarsi agli esami anche senza tale iscrizione, quando il privatista potesse attestare d'aver fatto un anno di tirocinio nell'insegnamento; viceversa un'altra circolare dello stesso Ministero non riconosceva alcun valore a tirocini non preceduti dai debiti esami. Insomma di tirocinio non era il caso di tener conto. Veramente Don Rua sembrava più propenso a che nessuno si presentasse. Non la pensava così Don Cerruti, il quale propose che patenti se ne pigliassero, ma poche alla volta e senza fare tanto chiasso, come in anni precedenti. Chiunque se la sentisse, vi si preparasse. Così fu stabilito. Prima tali esami si davano a Novara; allora non si poteva più andare là, perchè quella scuola era solo pareggiata, mentre le ultime disposizioni ministeriali [166] esigevano che i privatisti si presentassero esclusivamente nelle scuole regie. Venne dunque designata per sede la regia scuola normale di Pinerolo.
Esaurito quest'argomento, alcuni direttori chiesero che si ponesse rimedio a un'irregolarità. Confratelli di passaggio in una Casa, se ne uscivano, e pranzavano financo fuori senza dir nulla al direttore locale. Ma su ciò non occorrevano provvedimenti nuovi; bastava che si eseguisse una decisione anteriore, per la quale ogni socio, trovandosi in una Casa di non sua ordinaria residenza, si ponesse subito sotto l'obbedienza del direttore di quella Casa, nè uscisse o facesse alcunchè contrario alle Regole senza domandarne il permesso.
L'amore della regolarità consigliò invece di prendere un provvedimento nuovo per i viaggi non autorizzati. Il moltiplicarsi dei soci rendeva sempre più frequenti i viaggi e quindi anche i passaggi per le Case. Vi sarebbe sempre il debito permesso per tali fermate? nessuno mai vi avrebbe prolungato “con inganno” la sua dimora? e che avrebbe potuto dire il direttore locale, ignorando il vero scopo del viaggio, la sua durata e il relativo itinerario? Ogni direttore dunque, allorchè un suo suddito dovesse passare per qualche altra Casa, lo munisse di una lettera d'accompagnamento, dove fosse indicato il perchè, il quanto, il dove, tutto quello insomma che giovasse al direttore estraneo di conoscere. Cotal lettera fosse suggellata, ma portasse sulla busta il bollo del collegio di provenienza; così i portinai avrebbero potuto senz'altro impedire l'ingresso a simulatori che mentissero il nome di Salesiani. E i direttori lacerassero immediatamente la busta, affinchè altri per avventura non ne facesse indebito uso.
Sempre lo stesso amore della regolarità fece prendere in esame il caso di chi, viaggiando o stando presso i parenti, si permettesse diversioni o gite non prima contemplate. Taluno nelle vacanze ultime non erasi spinto fino al Gran San Bernardo? Nulla si sancì di definitivo; solo parve opportuno che in ogni collegio si avvertissero i confratelli di non fare così; [167] ma, chi fosse partito per un luogo, andasse in quel luogo e non altrove; e chi si trovasse presso i genitori, prima d'intraprendere viaggi o cose d'importanza, scrivesse ai Superiori.
La quinta conferenza fu pubblica. Tutti i soci dell'Oratorio, professi, ascritti e aspiranti, in numero di 150, si raccolsero nella chiesa di S. Francesco a udire la parola di Don Bosco. Quant'egli disse venne raccolto e inserito nel verbale. Esordì naturalmente con la benedizione del Papa; indi narrò la coincidenza fra il suggerimento di Pio IX e la nota scritta da lui Don Bosco circa la fedeltà e l'obbedienza al Vicario di Gesù Cristo; poi annunziò le indulgenze generali portate da Roma: tutte cose già da noi riferite nel capo sesto. Finalmente proseguì:
Noto poi in modo speciale come non solo il Santo Padre ci vuol bene e ci favorisce, ma tutti generalmente vedono bene questa Congregazione. È vista bene sia dai buoni che dai cattivi, sia dalle autorità civili che ecclesiastiche, e, fatte pochissime eccezioni, tutti ci favoriscono. Diceva a bello studio che anche i cattivi ci vedono di buon occhio; poichè noi vediamo che coloro stessi che gridano contro gli Ordini religiosi e li vorrebbero soppressi fino all'ultimo, lodano poi noi.
E d'oggi stesso vi racconterò quest'episodio. Oggi stesso mi sentii a salutare da una persona grande e grossa, che aveva in mano due giornalacci pessimi. Io non lo conosceva più; ei si fece conoscere essere uno dei più antichi giovani della Casa dicendomi che conservava tanta buona memoria di me e dell'Oratorio. Domandatogli come mai avesse quei due giornali cattivi in mano, m'accorsi che vi scriveva esso stesso e che teneva opinioni assolutamente opposte a quelle imparate qui. Entrai a parlargli un poco per volta se avesse già fatto Pasqua e capii che da più anni non frequentava più le chiese. Allora mi avanzai più e più nel discorso e gli chiesi come mai, con la vita che teneva, con gli scritti che stampava, potesse avere buona memoria di noi. E mi rispose che se tanto scriveva contro i preti, frati e prelati, si era perchè vedeva realmente tanti disordini, cose da far schifo; che ben conosceva noi; e che anche i suoi compagni e colleghi (della stessa risma) ci vedevano bene, perchè si fa del bene, non si entra in politica, non si sta in ozio.
- Come può essere che voi diciate bene di noi? poichè mi sembra che pochi giorni fa si scrisse un articolo infame riguardante un prete sul vostro giornale. [168]
- Dai frutti si conosce l'albero, signor Don Bosco; di altri scrissi così, perchè così avvenne: ma vedendo i frutti ch'ella ed i suoi producono, noi non possiamo che dir bene di loro.
E faceva già il nostro panegirico, quand'io ripresi il discorso della Pasqua, e che vedesse anche una volta i suoi difetti, senza giudicare coloro, di cui non è costituito giudice. Ci lasciammo non senza buone speranze. Questo dico solo per farvi conoscere che anche i cattivi sanno apprezzare, quando si lavora veramente senza interesse e si lavora molto; e noi siamo tenuti come tali; procuriamo di non essere diversi dal concetto che si ha di noi. Animiamoci a vicenda.
Venendo poi a parlarvi più direttamente dello stato della nostra Congregazione, bisogna che vi premetta alcune osservazioni.
Quando si vuol fondare una Congregazione religiosa, bisogna passare per tre stadii. In prima il Santo Padre costituisce un Superiore. Con ciò resta approvata la Congregazione preventivamente, e si dà facoltà a questo Superiore costituito di farsi dei Soci, i quali possano cominciare ad emettere voti. Questa è la prima approvazione, il primo stadio, il quale per noi in radice cominciò nel 1841, che fu proprio l'anno in cui Don Bosco prese ad aprir Oratorii ed a cercarsi dei compagni che lo aiutassero, in ciò sorretto dall'Arcivescovo di Torino, senza però che per allora avesse scopo prefisso. Ma questo primo stadio non ebbe il suo vigore naturale che nel 1858, anno in cui Don Bosco andò a Roma per la prima volta e parlò col Santo Padre d'istituire una Congregazione. Il suo pieno sviluppo, questo primo e più difficile stadio l'ebbe nel 1864, in cui il S. Padre lodò l'Istituto e diè permesso di fare voti anche perpetui e regolari.
Il secondo stadio comincia quando il Santo Padre e le Congregazioni di Roma approvano definitivamente la Congregazione in sè come buona e diretta a far del bene, ma non si approvano ancora particolareggiatamente le regole che si possono ancor cambiare dai Superiori per adattarle sempre meglio allo spirito che la Società va prendendo; e questa approvazione per noi ebbe luogo col Decreto Pontificio del 19 febbraio 1869, nella quale circostanza si diè pur il privilegio ad decennium di dar le lettere dimissorie per gli ordinandi ad quemcumque episcopum. Per ultimo, passato questo stadio, si esaminano e si discutono nelle Congregazioni di Cardinali le singole Regole e si approvano le Regole o Costituzioni come atte, se osservate, a produrre la prosperità e felicità dell'Istituto; e da quel momento non si può più cambiar nulla delle Regole così approvate senza che intervenga l'approvazione del Capitolo Generale e della Santa Sede. Questa è l'ultima e definitiva approvazione che si dà ad una Congregazione, e per noi quest'atto solenne si compì l'anno scorso 3 aprile 1874.
Ciò posto, essendo così approvate definitivamente la Congregazione e le Costituzioni, mancano ancora a noi quei privilegi che sono necessari perchè una congregazione ecclesiastica possa sussistere [169] prosperamente e produrre del gran bene nei prossimi. Ed io quest'anno fui a Roma appositamente per questo. Molti privilegi son già ottenuti come sopra vi notificai; molti son già passati al Santo Padre, e sebbene noi non ne abbiamo ancora i rescritti, è certo che arriveranno quanto prima. Altri sono in corso. Ed anche vi son pratiche ben avviate e già avanzate per ottenere un corpo intiero di privilegi, a guisa delle altre congregazioni.
Venendo ora a dirvi dell'interno della Congregazione, debbo notificarvi con grande mia soddisfazione che va molto bene, sia perchè cresce ogni giorno il numero dei Soci e nuove domande vengono fatte ogni giorno; sia anche perchè va formandosi molto bene lo spirito dei Congregati.
Animiamoci adunque tutti e specialmente per due cose. Per primo, cerchiamo di lavorar molto per far molto bene. Dicano poi altri ciò che vogliono. Credetemelo, contentar proprio tutti non si può; è proprio impossibile. Posso dirvi che questo fu sempre il mio impegno precipuo di non mai discontentar alcuno; ma mi avveggo sempre più che il contentar tutti è impossibile. Lavoriamo perciò alacremente, facciamo quel che possiamo e facciamolo tutto; d'altronde lasciamo dire; non curiamoci di quanto altri possa dire di noi. Noi diciamo sempre bene di tutti.
La seconda cosa in cui vorrei che c'impegnassimo tanto si è nel togliere le mormorazioni anche tra noi. C'è qualcuno che abbia qualche cosa a dire? Ne parli coi superiori. Si cercherà ogni modo di togliere motivi di malumore; ma nessuno mai stia a lamentarsi di nulla. Specialmente sosteniamoci gli uni gli altri sempre, sia tra noi che con altri, sia interni che esterni. Questo contribuirà grandemente all'incremento ed al bene della Congregazione.
Ancora raccomando grandemente a tutti la cura della propria sanità. Io son d'accordo che quando uno non sta bene, si abbia tutte le cure possibili e gli siano somministrate tutte le cose che possono essergli vantaggiose. Questo raccomando in modo speciale ai Direttori, che non lascino mancar mai nulla agli ammalati; anzi vedano che le fatiche non siano eccedenti. Io preferisco che si lasci piuttosto qualche cosa da fare che affaticar di troppo un individuo. Facciamoci coraggio; chi può far più, faccia di più e lo faccia volentieri; chi può far meno, sia tenuto in conto come gli altri e si abbia riguardo alla sua complessione o malferma salute.
D'altro, che cosa volete che io vi dica? (Qui la sua voce si abbassò assai. Era già prima molto esile e sembrava quasi che non Potesse Parlare per la stanchezza; ma ora si pose come a Piangere e a mostrarsi commosso sempre più). Non mi resta che a pregarvi d'aver sempre la bontà di sopportarmi come avete fatto finora e di raccomandarmi al Signore. Sopportiamoci a vicenda gli uni gli altri e questo sia un gran ricordo che valga per tutta la nostra vita. [170] Ancor una cosa e finisco. Uniamoci d'accordo nell'eseguir bene le pratiche di pietà della nostra Congregazione e specialmente ciò che riguarda l'esercizio della Buona Morte, l'ultimo giorno d'ogni mese. Per quanto si può, si lascino tutte le occupazioni estranee in detto giorno, e ciascuno si applichi proprio in cose spettanti alla salute eterna dell'anima sua. Io spero molto in questo esercizio benfatto; perchè, se ciascuno ogni mese impiega un giorno ad aggiustare in modo regolare tutte le cose sue, costui, venga la morte quando vuole e nel modo che vuole, non avrà a temere la morte improvvisa. Non solo in detto giorno si faccia una confessione con maggior diligenza ed una più fervorosa Comunione, ma anche si dia sesto alle cose che riguardano gli studi e specialmente alle cose materiali; che se la morte ci sorprendesse, allora noi, potremmo dire: Non ho più da pensare a nient'altro che a morire nel bacio del Signore.
Che Iddio vi benedica, miei cari figliuoli.
Anche per l'ultima tornata i convenuti si riunirono intorno a Don Bosco nella sua cameretta. Fattasi, secondo il consueto, l'invocazione allo Spirito Santo, Don Rua, rendendosi interprete del comune desiderio, chiese come stessero le trattative d'America; Don Bosco di buon grado riferì quanto aveva concluso a Roma e con quei dell'Argentina; tutte cose già da noi esposte nel capo settimo.
Dopo l'America, l'Italia. Qui si erano avute richieste per collegi da più parti. C'era Bassano; ma vi ci volevano troppe spese per il riattamento del fabbricato offerto e per l'arredamento. C'era Cremona, dove il vescovo stesso invitava e non ci sarebbe stato forse da spendere molto. C'era pure Crema; sembrava per altro preferibile Como, che presentava convenienze speciali. A Milano poi non sarebbe mancato nulla, se non fosse che mons. Calabiana prevedeva un pericolo: andandovi i Salesiani, si sarebbe fatto rumore e quindi temeva che i collegi ivi esistenti ne avessero a risentir danno. Proprio la stessa cosa che per Rho: qui sembrava già tutto bell'e concluso, quando fece capolino la medesima paura. Del rimanente, Don Bosco aveva in questo genere di affari un pensiero suo. In tutta la Lombardia le autorità scolastiche avversavano e osteggiavano i preti, ed egli, che non voleva pregiudicar [171] l'avvenire, ci teneva a stare in buoni rapporti con tali autorità. Se pertanto i Provveditori agli studi gli si dichiaravano contrari, avrebbe per allora rinunziato alla Lombardia. “Ora, soggiunse, non abbiamo gran bisogno di estenderci, ma piuttosto di rassodarci; quindi, se non vi sono speciali ragioni di convenienza, noi ci rivolgiamo altrove”. Purtroppo in quegli anni a far da Provveditori nella Lombardia si erano mandati “pessimi Piemontesi”, come asserì Don Durando, i quali al più al più non avrebbero date grosse molestie ai Salesiani, ma sostenuti non li avrebbero giammai. Ebbene, ripigliò Don Bosco, “se essi non sono disposti ad agire verso di noi con tutta la larghezza permessa dalle leggi, io non accetterò”.
Don Rua allora eccepì che, essendovi già collegi a sufficienza negli antichi Stati Sardi, sarebbe parso conveniente aprirne anche fuori. Don Bosco prontamente rispose che a Ceccano, il card. Berardi desiderava molto un collegio; ma che fino a quel punto non si era combinato nulla. Perciò pensava di abbandonarne l'idea, tanto più che importava assai avviar bene l'Opera di Maria Ausiliatrice, e soprattutto faceva d'uopo conservar personale per l'America.
Dal di fuori, al di dentro. Parecchi soci erano nelle condizioni volute per ricevere gli ordini sacri; ma avevano solamente i voti triennali. Trovandosi essi nella possibilità di procurarsi il patrimonio ecclesiastico, conveniva farli ordinare con questo titolo, anzichè aspettare che facessero i voti perpetui per ricevere così le ordinazioni titulo mensae communis? Diversamente, sarebbe lecito ammetterli alla professione perpetua, avanti che spirasse il termine dei voti triennali, fatti per la prima volta?
Apertasi la discussione, si giunse all'epilogo seguente. Ad primum: potendosi avere i patrimoni, si procurasse di averli, sia perchè vi sarebbe un introito per la casa versante in strettezze, sia perchè l'ordinando avrebbe maggior piacere di poter fare assegnamento per ogni eventualità sopra un reddito [172] fisso; tanto più che i genitori, avendone i mezzi, fanno volentieri per i loro figli questo atto di benevolenza. Ciò si diceva per i professi perpetui. Riguardo ai professi triennali, non se ne ammettessero facilmente agli ordini col patrimonio; essere infatti troppo grave tentazione per un giovane prete il potersene andare, quando volesse, perchè aveva la sua Messa e la sua rendita: bastare a tal effetto un qualsiasi urto coi superiori. Finalmente non si facesse balenare la possibilità di prender Messa anche coi soli voti triennali, pur di essere forniti del patrimonio; tornare ciò di vero danno alla Congregazione, poichè certuni vi sarebbero entrati unicamente per istrappare la Messa e poi uscirsene; diventare costoro fra noi un vero flagello, perchè soggetti privi di vocazione e d'ordinario già scartati dai loro vescovi.
Ad secundum, circa l'ammissione ai voti perpetui prima d'aver fatti o terminati i triennali, Don Bosco disse: “Vi sono ragioni per ammettere ai voti perpetui anche appena finito il noviziato. La concessione dei voti triennali prima dei perpetui è un doppio privilegio: privilegio in favore del socio, il quale può riserbarsi maggior tempo per conoscere bene la Congregazione ed esaminare la propria vocazione; privilegio in favore della Congregazione, affinchè possa meglio conoscere gl'individui prima di riceverli definitivamente nel suo seno. Ora, essendo questi privilegi concessi in favore dei due, se entrambi di comune accordo vi vogliono rinunziare, possono farlo. Dunque è lecito ammettere ai voti perpetui e può fare i voti perpetui anche chi non abbia fatti o non abbia compiuti i voti triennali”.
Veramente Don Bosco avrebbe avuto diritto di appellarsi senz'altro alle facoltà concessegli da Pio IX vivae vocis oraculo. Il provvido Pontefice gliele aveva accordate amplissime, perchè in ogni caso egli potesse agire speditamente; nella stessa guisa largheggiò più tardi con lui Leone XIII, fintantochè, venuti i sospirati privilegi, quelle diventarono superflue e furono nel Breve espressamente revocate. Ma la prudenza [173] esigeva che di sì straordinarie concessioni si parlasse il meno possibile.
Sorvoliamo su coserelle del momento. L'ultima parola di Don Bosco fu che i direttori salutassero tanto i soci tutti da sua parte; comunicassero loro le buone accoglienze avute dal Papa, le belle cose fatte a Roma, la benedizione pontificia per i singoli; massimamente poi si dessero molte buone nuove della Congregazione in casa e fuori, poichè, com'egli osservò, specialmente in collegi così distanti si desiderava assai di sapere come andassero in Torino le cose della Congregazione. Da ultimo pose fine all'adunanza con queste parole: “Fate saluti particolari da parte mia ai preti e ai soci: fate vedere in che buona opinione io li tenga: poichè, credetemi, ciò fa molto effetto: anche i preti amano di sapere, se son tenuti in considerazione e ricordati dai superiori. Procurate anche voi di far vedere proprio che li avete in considerazione e che pensate molto a loro. Questo servirà a stringere fra noi grandemente il nodo della fraterna carità, sicchè facciamo sempre più un cuor solo e un'anima sola”.
IL primo accenno ai privilegi si udì in pubblico durante le conferenze di gennaio, allorchè Don Bosco manifestò il proposito di farne domanda a Roma, pur non n ascondendosi la difficoltà di ottenerli[103]; poscia nelle conferenze di aprile ne spiegò sommariamente il concetto e diede notizia di quanto erasi fatto nel frattempo a tale scopo. Sull'origine e la natura dei privilegi e sui primi passi per il concedimento dei medesimi noi daremo qui un breve ragguaglio, ricalcando la nostra esposizione sul verbale della prima seduta[104].
Già ab antico, fin da quando il monachismo si propagò in Occidente dopo S. Benedetto, alle famiglie monastiche, affinchè potessero prosperare interiormente e far del bene anche agli altri, i Papi accordarono privilegi e grazie. Con l'andar del tempo, all'apparire di ogni nuovo Ordine religioso, gli si concedevano di solito ad instar o per assimilazione, come si disse da poi, gli stessi privilegi conceduti già a quei primi, con l'aggiunta di altri, che parevano richiesti dai bisogni dei tempi e dalle mutate circostanze, cosicchè a poco a poco il numero dei privilegi crebbe a dismisura e i Decreti [175] dei Pontefici o della Curia romana restavano spesso lettera morta, avendo sempre i religiosi, in tutte le questioni, i loro privilegi da opporre.
Sul finire del secolo XV si cessò d'istituire Ordini regolari, ma si vollero invece religiosi che non solo avessero per iscopo precipuo di attendere alla lode di Dio e alla propria perfezione dentro i chiostri, con clausura e ufficio corale, ma che potessero anche uscire in pubblico e prendere larga parte nei ministeri ecclesiastici e non fossero quindi vincolati da clausura nè obbligati a spendere il più della giornata nel coro. Cominciarono allora le Congregazioni ecclesiastiche, la prima delle quali fu quella dei Teatini; poi vennero Gesuiti, Somaschi, Scolopi e tante altre nuove famiglie religiose diverse dagli Ordini regolari sia per quanto si è detto, sia per avere solo voti semplici.
Fra voti solenni e semplici corrono queste due differenze, che i solenni son fatti alla Chiesa, i semplici ai superiori della Congregazione; i solenni non si possono sciogliere se non dalla Chiesa, e si sciolgono assai più di rado, mentre i semplici possono venir sciolti dai superiori della Congregazione e senza tante formalità.
Arrivate dunque le cose al punto, che agli Ordini regolari i privilegi erano cresciuti eccessivamente, Roma decise che non se ne comunicassero più alle Congregazioni ecclesiastiche. Tuttavia pian piano la Chiesa vide che così i nuovi religiosi ad ogni piè sospinto nel fare il bene incappavano in pastoie, le quali non permettevano loro di procedere speditamente a promuovere la maggior gloria di Dio; laonde cominciò a concedere alcuni privilegi, poi alcuni altri, poi altri ancora; di modo che, facendosi ognor più manifesto che le novelle Congregazioni ecclesiastiche operavano nella Chiesa tanto bene quanto i vetusti Ordini regolari e che, svolgendosi la loro attività massimamente fuori delle proprie Case, vi occorrevano privilegi anche maggiori, si finì con l'accordare alle Congregazioni ecclesiastiche nè più nè meno di quanto erasi [176] accordato agli Ordini regolari; anzi, una volta pigliato quel dirizzone, si aggiunsero privilegi a privilegi senza limite.
Di questo passo si andò avanti fino al principio del pontificato di Pio IX, comunicandosi di mano in mano i passati privilegi anche alle Congregazioni nascenti, ultima delle quali fu la Rosminiana. Pio IX rinnovò la disposizione che non si concedessero più privilegi in massa; soltanto si stabilì che, al sorgere di qualche nuova Istituzione, il fondatore facesse domanda di quei privilegi, dei quali credesse d'aver bisogno. Or ecco perchè Don Bosco andò a Roma nel febbraio del '75 per avviare le pratiche a fine di ottenere la comunicazione dei privilegi, come costumavasi un tempo, e insieme la facoltà delle dimissorie ad quemcumque Episcopum.
Fu questo l'argomento, di cui ragionò a lungo col Segretario della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari mons. Vitelleschi, appena messo piede in Roma. Nessuno meglio di lui avrebbe potuto dargli le opportune istruzioni sul modo di regolarsi a tal riguardo. L'Arcivescovo di Seleucia gli domandò di quali privilegi avesse bisogno. - Di molti, rispose, sia per il buon andamento interno della Congregazione, sia per i buoni rapporti con le autorità ecclesiastiche locali. - Ciò detto, gliene presentò un elenco di circa ottanta.
Tastò quindi il terreno per sapere se vi fosse qualche probabilità di ottenere per assimilationem i privilegi goduti dalle altre Congregazioni. Il Prelato gli rispose:
- Il Santo Padre ha ogni autorità; egli può benissimo derogare a una legge fatta da lui stesso. Glie ne faccia parola.
- Monsignore, disse allora Don Bosco, mostrandogli un bel volumone, io presento al Santo Padre questo libro, che contiene i privilegi dei Redentoristi e lo prego di darmi l'assimilazione.
- Per carità, fece Monsignore, non lo lasci vedere al Santo Padre, perchè dinanzi a tante concessioni rimarrebbe spaventato e non solo non le comunicherebbe a Lei, ma le torrebbe anche ad altri. [177] Don Bosco capì che occorreva molto tatto. Presentatosi dunque al Santo Padre condusse bel bello il discorso sull'argomento, dimostrandogli l'imperioso bisogno che aveva di ottenere i privilegi che competevano agli altri Ordini. Il Papa rispose:
- Ma, Santo Padre, c’è una difficoltà sola: da circa trent'anni è stato deciso di non concederli più in massa per assimilazione.
- Fate come han fatto le altre Congregazioni approvate da Noi.
- Ma il difficile sta qui, Santo Padre, che il povero Don Bosco è il primo a trovarsi in quest'imbroglio. I privilegi furono concessi così l'ultima volta all'Istituto della Carità dal Vostro Predecessore Gregorio XVI, il 30 dicembre 1838.
- Vostra Santità ha ogni potere. Chi sa, se credesse di fare ancora un'eccezione?
- E io la farò. Fatene domanda alle Congregazioni dei Cardinali. Essi esamineranno tutto, discuteranno e poi mi riferiranno, e vedremo che cosa sarà da fare. Per parte mia, sono pronto a fare ancora questa eccezione.
Don Bosco rese grazie al Papa per così insigne atto di benevolenza; ma per lui era un affar serio: bisognava ricominciare le cose da capo. Egli doveva in pochi giorni compiere un lavoro, che normalmente avrebbe richiesto mesi e mesi. Gli mancava perfino un dizionario latino per consultarlo su qualche parola. Nondimeno ci si mise di buona voglia. Studiò la storia dei privilegi; raggracimolò citazioni di bolle, nomi di Papi, sentenze di canonisti; riunì un corpo di privilegi, intorno ai quali gli convenne rintracciare e quando e da chi e a chi fossero stati concessi; gli toccò insomma compulsare largamente il diritto canonico, lavorando, com'egli disse più tardi, “alla disperata”. [178] Frutto di sì febbrili indagini furono due suppliche in latino al Papa e una memoria, alla quale in seguito diede pure forma di supplica ai Cardinali che diremo. Le due suppliche riguardavano una le lettere dimissoriali ad quemcumque Episcopum, e l'altra la comunicazione dei privilegi conceduti già alle altre Congregazioni ecclesiastiche. Alla prima supplica andava unita un'istanza di mons. Vitelleschi nel medesimo senso. Rettamente la domanda delle dimissorie fu presentata a parte, giacchè tale indulto non può mai essere compreso nella comunicazione dei privilegi, massime trattandosi di Congregazioni con voti semplici, ma si accorda sempre con specifica o diretta concessione, anzichè in virtù di comunicati privilegi. Noi pubblichiamo i tre documenti in calce al volume[105].
Le due suppliche al Papa ebbero per effetto immediato la nomina di una Straordinaria Commissione Cardinalizia pro voto. Con biglietto firmato dal Segretario della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari ne venne data partecipazione ufficiale a Don Bosco nei termini seguenti: Ex audientia SS. die 26 Februarii 1875 SS.mus porrectas preces examini demittere dignatus est Em.mi Patrizi, De Luca, Bizzarri, Martinelli pro voto emittendo. Segr. Archiepiscopus Seleuciensis, Vitelleschi. Erano dunque i medesimi Cardinali eletti l'anno innanzi per l'esame delle Costituzioni; ad essi indirizzò Don Bosco la memoria anzidetta. Noi ce ne occuperemo qui brevemente, anche perchè ivi le motivazioni sono addotte con ampiezza maggiore di svolgimento che non nelle suppliche al Papa, dove necessità di cose voleva che vi si accennasse appena per sommi capi.
Si divide questa memoria in due parti, nella prima delle quali si discorre dei privilegi e nella seconda delle dimissorie assolute. Omesse le disquisizioni canonistiche, limitiamoci a spigolare quanto riguarda personalmente Don Bosco, sia nel suo pensiero che nelle sue Istituzioni. [179]
Il proemio generale esalta nobilmente l'atto papale del concedere alle Congregazioni sì segnalati favori. “I Privilegi e le Grazie spirituali concesse agli Ordini religiosi e alle Congregazioni Ecclesiastiche possono considerarsi come altrettante cordicelle, con cui tali Istituzioni restano legate colla S. Sede; perciocchè Essa sola potendoli concedere, restringere ed anche rivocare a piacimento secondo il bisogno e la convenienza, ne segue un vivo e continuo pensiero di gratitudine dei beneficati verso il loro insigne benefattore”.
Venuto in seguito al punto di chiedere la comunicazione con una qualche Congregazione, esprime la sua preferenza e ne dichiara i motivi. “- Si pregherebbe a scegliere di preferenza quella dei Redentoristi, o quella dei Preti della Missione, le cui Costituzioni e scopo possono dirsi identiche (sic) colle Salesiane. Dai Brevi di concessione che qui unitamente si accennano, appaiono le ragioni che mossero i Pontefici ad accordare ai Redentoristi tali Comunicazioni. I motivi speciali per cui si fa tale preghiera anche per la Congregazione Salesiana, sono:
1° Essendo essa affatto destituita di mezzi materiali, abbisogna di molta indulgenza e di molti aiuti spirituali, affinchè possa conseguire il suo fine.
2° Questa Congregazione ebbe principio e si andò consolidando in tempi burrascosi in cui tuttora ci troviamo, ed in cui si vorrebbero soppresse ed annientate tutte le Istituzioni Ecclesiastiche; tuttavia potè crescere, aprire case in varie Diocesi ed anche nelle Missioni estere. In questa calamità di tempi, diversità di paesi, in questa distanza grande degli uni dagli altri i Soci, Salesiani hanno bisogno di una maniera compiuta di Governo con Privilegi già conosciuti ed in generale praticati da altre Pie Congregazioni.
3° La tristezza dei tempi fa che le autorità civili vedano di mal occhio il frequente ricorso alla Santa Sede. Essendo venuto a notizia dell'Autorità Governativa che la Santa Sede aveva concessi alcuni favori, pretese contro ogni diritto ed [180] in modo minaccioso che fossero portati i Decreti e i Rescritti per sottoporli al così detto Regio Exequatur. Fu forza di accondiscendere; ma intanto non fu mai possibile nè di ottenere l'Exequatur nè di riavere quelli originali[106].
4° L'umile esponente poi desidera questo favore per impiegare quel po' di vita, che a Dio piacerà concedergli, nel regolare le varie case e uniformare tutti quelli che ne hanno la direzione a servirsi dei privilegi colla massima parsimonia e prudenza; e solamente nei casi in cui chiara appaia la maggior gloria di Dio e il vantaggio delle anime”.
Intorno alla comunicazione dei privilegi si movevano allora da alcuni canonisti tre difficoltà; si diceva infatti che essa: 1° può dare origini a questioni; 2° turbare la pace e l'armonia con gli Ordinari; 3° attribuire a certi Istituti privilegi che ad essi non convengono. Don Bosco vi risponde partitamente.
“1° Al primo. Se queste concessioni fossero nuove, potrebbero essere cagione di questioni; ma i privilegi che si vanno comunicando dagli uni agli altri da oltre a trecento anni; che furono costantemente studiati, interpretati e praticati in modo uniforme e secondo lo spirito della Santa Sede, sembrano doversi dire piuttosto un vincolo di unione, di uniformità e quindi escludere ogni motivo di questioni.
2° Al secondo: nemmeno pare turbar la pace cogli Ordinari, perciocchè in pratica i Vescovi e i Parrochi conoscono già i privilegi degli Istituti approvati dalla Chiesa, e nei nostri paesi cagionerebbe meraviglia il vedere che un Istituto goda maggiori o minori favori degli altri. Anzi i privilegi essendo atti che altamente onorano la Suprema Autorità del Pontefice e fanno palese il pieno suo gradimento verso di una Istituzione, farebbe supporre che una. Congregazione non sia definitivamente approvata, finchè [181] dalla Santa Sede non è graziata dei medesimi privilegi che godono le altre.
Un dotto e rispettabile Ordinario non si potè finora indurre a credere, la nostra Congregazione essere definitivamente approvata, perchè non gli consta che goda i privilegi dei Ministri degli infermi, dei Preti della Missione, degli Oblati di Maria.
3° Al terzo: nemmeno sembra potersi dire che con tale comunicazione ai novelli Istituti si concedano favori non opportuni. Imperciocchè in tali concessioni si intendono sempre le clausole: Dummodo Institutis eorum conveniant ac regulari observantiae non sint contraria. Si aggiunga ancora che tali favori potendosi esclusivamente concedere dalla S. Sede, Essa li può liberamente modificare ed anche rivocare ogni volta scorgesse tornare di maggior bene a coloro cui furono concessi”.
Per le dimissorie assolute la motivazione è assai più spiccia, riducendosi a rilevare il fatto della “varietà delle Diocesi in cui esistono case della Congregazione Salesiana; gli Ospizi, i Collegi per le Missioni della Repubblica Argentina, e di altri (sic) di cui trattasi di aprire in Australia ed in Hong - Kongh nella Cina, la qual cosa spesso richiede che alcuni chierici siano con premura ed extra tempus presentati alle Sacre Ordinazioni”. Al che si aggiunge il bisogno urgente di “appianare il grave incaglio di un Ordinario nella cui Diocesi esistono più Collegi ed Ospizi della Congregazione, e che da tre anni rifiuta le ordinazioni ai chierici Salesiani”.
Don Bosco termina con una preghiera e con una dichiarazione. “Quanto ho fin qui esposto sulla comunicazione dei privilegi e sulla facoltà delle dimissorie, venne fatto per dare qualche ragione della supplicazione umiliata agli Eminentissimi Cardinali; ma io lascio a parte tutte le ragioni e mi fo soltanto a pregare le Eminenze loro a voler esclusivamente ponderare quello che nella loro alta saviezza ed illuminata sapienza, giudicheranno tornare alla maggior gloria di Dio e [182] vantaggioso ad una Congregazione che può dirsi nascente e che ha bisogno di aiuto materiale e morale, di consiglio e di direzione.
Io pertanto mi professo preventivamente soddisfatto di qualunque loro deliberazione, e tutti i Salesiami procureranno di mostrare la loro gratitudine, invocando ogni giorno le benedizioni del Cielo sopra le LL. EE. Rev.me, affinchè Dio lungamente le conservi a gloria della Chiesa e pel bene della Società Salesiana, che Le considererà sempre come Padri Benevoli ed insigni Benefattori”.
Prima di venir via da Roma, Don Bosco si recò a visitare i Cardinali della Commissione, che tutti gli sembrarono benevoli verso la Congregazione Salesiana, avendo avuto da ognuno la parola rassicurante che, siccome il Santo Padre lo desiderava, non ci sarebbero stati impedimenti. Infatti con la semplice accettazione delle suppliche il Papa aveva manifestato la sua volontà incline alla grazia.
A Roma Don Bosco lasciò quale suo agente d'affari l'avvocato Don Carlo Menghini, il già noto sommista presso la Congregazione dei Vescovi e Regolari, assistito pure dall'ottimo mons. Fratejacci, che godeva grande stima e poteva influire utilmente sull'animo di qualche Cardinale della Commissione.
Era da pochi giorni ritornato a Torino, quando gli pervenne da parte della Commissione cardinalizia una nota, nella quale a titolo di schiarimento gli si ponevano due quesiti: 1° Se la Pia Società avesse fatto qualche progresso dopo la definitiva approvazione delle sue Costituzioni il 3 aprile 1874; 2° Quali difficoltà si fossero incontrate nel chiedere specificatamente, cioè nella misura del bisogno e non in globo, gl'invocati privilegi. Don Bosco vi diede risposta il 12 aprile con due succinte dichiarazioni, nella prima delle quali enumerava i progressi compiuti dal 3 aprile 1874 al 3 aprile 1875, e nella seconda esponeva le difficoltà occorsegli nel domandare eventualmente i singoli privilegi. [183]
Quest'anno si può dire impiegato a consolidare l'osservanza delle Costituzioni, specialmente tradurre in pratica le modificazioni introdotte nella definitiva approvazione di esse. Il Noviziato venne letteralmente diretto ed uniformato a quanto era stato prescritto o consigliato dai benemeriti Em.mi Cardinali di quella autorevole Congregazione. I religiosi poi crebbero notabilmente: il solo numero dei novizi oltrepassa i cento e porgono belle speranze di felice riuscita. Le varie case esistenti accrebbero assai la messe primitiva e perciò si dovette anche aumentare il personale quivi già stabilito. Le opere nuove affidate ai Salesiani, oltre a quelle notate nel riassunto dell'anno passato, sono le seguenti:
1° L'amministrazione delle pubbliche scuole di Mornese, che è paese della Diocesi di Acqui.
2° Amministrazione delle pubbliche scuole di Borgo S. Martino presso Casale Monferrato.
3° Nuova casa delle Figlie di Maria Ausiliatrice, le quali d'accordo coll'Ordinario Diocesano presero la cura della biancheria e vestiario del piccolo Seminario eretto nel mentovato Borgo di S. Martino.
4° Ospizio con chiesa pubblica a Buenos Aires nella Repubblica Argentina in America.
5° Un collegio con pubblica chiesa per le Missioni a S. Nicolas, città assai popolata, non molto distante dalle tribù selvagge tuttora esistenti al Sud di quelle vaste regioni. Venti socii Salesiani si stanno preparando collo studio delle lingue e dei costumi di quei paesi per recarsi colà al prossimo mese di ottobre.
6° Costruzione di una Chiesa dedicata a S. Giovanni Evangelista, di un Ospizio per poveri fanciulli, locali per pubbliche scuole e giardino di ricreazione festiva. P, in Torino presso al tempio dei protestanti in una estensione di oltre a trentamila abitanti, tra cui non avvi chiesa di sorta pel culto Cattolico.
In tutte le case della Congregazione gli allievi ed i ricoverati sono in aumento, e dappertutto si lavora per fabbricare od ampliare locali, per accogliere maggior numero di giovanetti che ad ogni momento fanno richiesta di essere accolti.
Co' Parroci e co' Vescovi siamo in ottima relazione, a segno che possiamo chiamarli tutti protettori nostri e benevoli in tutto quanto è compatibile colla loro autorità. Si deve soltanto eccettuare un Ordinario col quale si spera pure di poter riacquistare la buona armonia, appena egli si risolva a manifestare i motivi che lo inducono a mostrarsi contrario. Taluno ha parimenti domandato se di frequente vi siano Salesiani che lascino la Congregazione e cagionino [184] disturbi nelle loro Diocesi. Posso rispondere che finora pochissimi uscirono durante il tempo di prova, ma non si conta neppur un Salesiano definitivamente aggregato che di poi sia uscito; quindi non si può accennare alcuno che abbia cagionato disturbo in qualche Diocesi.
È bensì talvolta avvenuto che giovani, non della Congregazione, ma semplicemente accolti ed istruiti nelle nostre case, non abbiano corrisposto a chi giudicò di ascriverli nel suo clero; ma noi non possiamo essere responsabili nè della vocazione nè della riuscita degli allievi, quando, usciti dai nostri Ospizii o Collegi, fanno ritorno alle rispettive famiglie o vanno in altri collegi o in qualche Seminario Diocesano.
Pel rimanente mi rimetto a quanto fu già esposto l'anno scorso nella posizione per la definitiva approvazione delle Costituzioni.
L'anno scorso dacchè Sua Santità si degnava di approvare le nostre Costituzioni, fui consigliato a domandare non la Comunicazione, ma in modo specificativo i Privilegi, facoltà e grazie spirituali necessarie, affinchè una Congregazione Ecclesiastica possa conservare la propria autonomia e conseguire il suo fine che è di promuovere la maggior gloria di Dio. In pratica ho trovato molte difficoltà.
1° Non sapendosi preventivamente le cose che possano occorrere, devesi attendere il caso del bisogno, e perciò qualche inconveniente prima di conoscerle, e quando si conoscono riferirle al Superiore affinchè supplichi per l'opportuna facoltà. La qual cosa se può farsi per una casa determinata, riesce assai difficile in una Congregazione che conta già diciotto case o chiese aperte in diverse Diocesi.
2° Non conoscendosi poi le Congregazioni, cui devonsi indirizzare le domande, per lo più passa un tempo assai notabile prima di ricevere la desiderata risposta.
L'anno scorso umiliai alcune domande di cose che mi parevano necessarie; ma dopo il carteggio di un anno dovetti recarmi a Roma per farmi assistere da persona pratica dei varii uffizi, cui ognuno devesi indirizzare.
3° Con difficoltà si ottengono le cose richieste; ho fatto domanda alla Sacra Penitenzieria di facoltà di cui in generale godono tutte le Congregazioni Ecclesiastiche e si giudicò bene di negarle tutte in altre Congregazioni si concedettero alcune facoltà utili, ma se ne rifiutarono altre che sembrano di vera necessità, come sono la facoltà di ritenere e leggere libri proibiti, dare la benedizione papale in articolo di morte ai proprii Congregati. In altre congregazioni poi si modificarono le domande in guisa che il favore concesso non conseguiva più lo scopo. Per esempio, fu chiesta la facoltà di poter celebrare [185] la S. Messa un'ora prima dell'aurora e un'ora dopo il mezzodì Si concedette, ma solo pel tempo di Missioni; mentre il bisogno può succedere ad ogni giorno.
4° Oltre alle difficoltà sopranotate avvi anche quella della spesa che si deve sostenere nelle poste, nelle tasse, negli uffizi e nelle agenzie. Per esempio, un solo Breve importava oltre a mille franchi; è vero però che la Carità grande dell'Em.mo Cardinale Prefetto di quella Sacra Congregazione, che ci ha più volte beneficati, ridusse la somma a soli 120 franchi: somma tenue, è vero, ma che resta tuttora rilevante per una Congregazione che affatto destituita di mezzi materiali, si sostiene della sola Provvidenza cotidiana e deve aver cura di oltre a settemila fanciulli, quattrocento soci, tenere aperte al Divin culto diciotto chiese e provvedere a quanto è necessario a questo fine.
Ciò posto io rinnovo l'umile preghiera della Comunicazione dei favori e dei privilegi che godono le altre Congregazioni Ecclesiastiche cui mercè si provvede a quanto occorre nelle varie case e chiese già aperte e per quelle che dovranno aprirsi quanto prima.
Le cose dunque minacciavano già di andare per le lunghe, e per le lunghe andarono molto più di quanto Don Bosco si sarebbe potuto immaginare. Infatti mancava ora l'uno ora l'altro dei quattro Cardinali: così il Card. Bizzarri stette assente da Roma quasi tutto maggio e parte di giugno; il card. De Luca, circa tre settimane di luglio; a volte affari di Congregazioni, delle quali essi erano membri, ne trattenevano alcuno; poi sopraggiunse il colmo dell'estate, nel qual periodo, scriveva l'avv. Menghini, “proporre certe questioni in via straordinaria rende strani gli Eminentissimi giudici”. Pertanto, una settimana dietro l'altra, si doveva arrivare fino a settembre inoltrato.
Eppure a Don Bosco urgeva di presentare alle sacre ordinazioni undici professi perpetui, che sarebbe stato follia sperare di veder ordinati a Torino. Perciò il 16 luglio si rivolse “alla inesauribile carità e clemenza” del Santo Padre, supplicandolo che si degnasse concedere per quei soci salesiani la facoltà di “ricevere a quocumque catholico Episcopo [186] extra tempus gli ordini minori e maggiori”. In favore di quattro supplicava anche per la dispensa sopra l'età[107].
A rincalzo della sua umile domanda egli presentava rispettosamente alla considerazione del Pontefice tre motivi: “Con questa segnalata concessione la Santità Vostra fa un grande benefizio alla Congregazione Salesiana, che nel prossimo autunno dovendo aprire un Collegio ed una Missione nella Repubblica Argentina è [= ha] mestieri d'inviare colà un numero assai notabile di professi, la cui maggior parte devono essere Sacerdoti. Si avrebbe pure maggior numero di Sacerdoti da inviare ad esercitare il Sacro Ministero ora in Chiese pubbliche ora in Chiese private, secondo le varie richieste. Si procaccerebbe eziandio un potente aiuto alla Congregazione Salesiana, che ad ogni momento vede crescersi la Messe e perciò trovasi in maggior bisogno di Evangelici Operai.”
Il Papa rimise l'affare alla Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, il cui segretario con lettera del 2 agosto annunziò a Don Bosco, avere il Santo Padre accordato “in parte” il chiesto favore; commettesse quindi allo spedizioniere Sigismondi di ritirare il rescritto, dal cui tenore avrebbe veduto “l'intenzione e le condizioni delle grazie”. Don Bosco, riconoscentissimo, si affrettò a ringraziare Sua Eccellenza[108]: “Ho ricevuto la Sua lettera e La ringrazio di tutto cuore per la bontà con cui mi tratta; ne serberemo viva gratitudine; procurerò di eseguire le condizioni poste nel favore concesso; desidero soltanto che non mi si metta sotto gli auspizi del nostro Arcivescovo”. [187]
Ma la lettura del rescritto gli causò un'amarissima sorpresa: la sua preghiera era stata esaudita in minima misura. Vi si disponeva infatti che egli, valendosi della facoltà già concessagli per un decennio di rilasciare a' suoi le dimissorie, potesse, una volta tanto, presentare ai loro rispettivi vescovi d'origine cinque soli degli undici supplicanti. Non basta: nell'indulto nessuna menzione dell'extra tempora. Non basta ancora: una seconda lettera di mons. Vitelleschi, facendo seguito alla prima, avvertiva non essersi inteso con quello di accordare dispense d'età[109].
Don Bosco era in un bell'imbarazzo! Pensò di rimediarvi, rimandando a mons. Vitelleschi il rescritto, nella ferma fiducia che vi si volesse tornar sopra per riformarlo. Indarno! Il Segretario della Congregazione replicò essere quell'indulto quanto con non poca fatica aveva potuto ottenere; ritornarglielo quindi tale quale; non averne forse Don Bosco intesa la portata. Dopo di che proseguiva[110]: “Piuttosto che concedergli (sic) quella facoltà, voleva il S. Padre che scrivessi all'Arcivescovo di Torino, perchè accettasse le di Lei dimissorie. Io mi permisi di fargli osservare che avremmo fatto un buco nell'acqua. Allora Sua Santità acconsentì che a cinque soltanto de' suoi proposti, e da scegliersi da Lei, si concedesse ch'Ella li facesse ordinare dai rispettivi loro Vescovi d'origine, essendosi considerato dal suo esposto che tutti, meno due, erano d'altre diocesi e non di Torino. Se non ho ottenuto l'extra tempora è stato perchè non lo ha dimandato nelle preci[111]; se non ha avuto la dispensa dall'età, è stato perchè il S. Padre non ha accordato alli undici, ma solo a cinque le grazie, e poteva essere che Ella scegliesse, tra gli undici, cinque che non ne avessero bisogno. Si riterrà dunque il rescritto che gli (sic) ritorno, altrimenti non ne può fare uso: [188] s'Ella mi dice che sceglierà tra i cinque da far ordinare, quelli che hanno bisogno di domanda d'età, me ne avverta, che implorerò questa domanda, che gli (sic) potrò fare avere con l'altra dell'extra tempora... Ella per gli altri dia le dimissorie all'Arcivescovo di Torino”. Proprio in quei giorni al Santo Padre erano pervenuti i reclami degli Ordinari di Torino e d'Ivrea contro l'Opera di Maria Ausiliatrice. A Roma, come apparirà evidente dal seguito di questo capo, si temeva d'inasprire il dissidio e di compromettere l'autorità vescovile.
Che poteva fare Don Bosco? Aver pazienza e contentarsi di quel tanto. E così fece. Si affrettò dunque a inviare due suppliche, nelle quali implorava per tre[112] l'apostolica dispensa sul difetto di età canonica e per i cinque prescelti[113] l'apostolico indulto dell'extra tempora. Per l'una e l'altra grazia il 27 agosto Sanctitas Sua benigno annuit.
Nello stesso mese si tenne dai membri della Commissione cardinalizia una Congregazione preparatoria, in cui fu letta la relazione a mo' di supplica, presentata da Don Bosco. La storia della concessione dei privilegi per communicationem ivi limpidamente abbozzata destò un senso di meraviglia. Leggeva mons. Bianchi, non guari favorevole alle cose dei. Salesiani; uomo, per altro, retto e alieno da spirito di parte. I Cardinali, persuasi che lo scritto fosse opera dell'avv. Ménghini, interrompevano di quando in quando la lettura con segni e parole di viva approvazione. Mons. Bianchi tirava innanzi imperturbabile. Finito che ebbe, sentendo levarsi un coro di lodi, chiese:
- Trovano bello, Eminentissimi, questo lavoro!
- E chi credono che ne sia l'autore?
- L'avv. Menghini. Ci si vede il suo ingegno.
- Ebbene questo lavoro l'ha fatto Don Bosco.
Restarono di stucco a tanta conoscenza del diritto canonico. [189]
Ritenevano il lavoro preparato da Menghini e scritto da Bianchi. Alle assicurazioni di quest'ultimo, ammutolirono alquanto mortificati degli sperticati elogi, che rincresceva loro d'averne fatti, quasi ne fosse rimasta pregiudicata la causa.
Per la discussione, che non veniva mai, relatore doveva essere mons. Vitelleschi. Egli fin da principio aveva affidato al sommista Menghini l'incarico di comporgli la consultazione. Si sogliono designare con questo nome le disamine di questioni, su cui le Congregazioni romane sono chiamate a dare il loro voto consultivo. Vengono stese da appositi ufficiali secondo le istruzioni che ricevono dai Prefetti o dai Segretari e, messe in istampa, si distribuiscono agl'interessati. Il buon avvocato non fece da semplice estensore d'ufficio; ma, avendo sposata con vero entusiasmo la causa di Don Bosco, per il quale nutriva affettuosa venerazione, la studiò a fondo, radunò copiosi materiali e la compilò con la massima cura. Essa riuscì di gradimento a Don Bosco (I). Diamovi un rapido sguardo, affinchè e dal già detto e da quanto siamo per dire, coloro che leggono si formino un concetto esatto e chiaro di tutta la grossa questione.
La consultazione esordisce con questo opportuno rilievo di fatto: “È veramente prodigioso che la S. Sede, agitata da luttuosa tempesta, mentre da un lato soffre la soppressione di rispettabili Ordini Religiosi, dall'altro canto si occupi con animo invitto a costituire pietose Società e Congregazioni, che, a guisa di una sussidiaria milizia, ne suppliscono la missione benefica, dove quelli non possono giungere”. Segue un cenno storico della Pia Società Salesiana, dove con maestria sono messe in luce le difficoltà accampate dall'Ordinario torinese, specie per il riconoscimento dell'esenzione canonica e per l'ammissione agli ordini sacri. Apertasi con ciò la via, il Relatore viene al punto, intorno a cui la consultazione si aggira, [190] enunziandolo in questi termini: “Il Fondatore, in vista di tali collisioni, come anche perchè il suo Istituto godesse di quei privilegi che già furono concessi a molte Congregazioni, cui certamente non è inferiore per prodigiosi fatti operati a vantaggio della Religione e della Società civile, nel giro di trentaquattro anni, sul principio di quest'anno trasmise due suppliche”. Sono le suppliche umiliate al Papa per ottenere le dimissorie assolute e la comunicazione dei privilegi. Espostone il contenuto, la consultazione entra nel vivo dell'argomento.
L'investigazione procede con dottrina e chiarezza. Nella prima parte, che tratta delle dimissorie, premesse le teorie che delineano la storia di questo privilegio, si pone il quesito, se “sarà spediente di annuire alla particolare domanda fatta dal sacerdote Don Bosco, Fondatore di un benemerito Istituto”. Sembrerebbe non doversi tanto facilmente concedere per tre motivi: 1° perchè questa è una grazia concessa di rado; 2° perchè, essendone privi gli Ordini Regolari, come il Relatore ha dimostrato, i quali Ordini pure hanno secolari e onorevoli tradizioni, sarebbe forse precoce concederla ad una Congregazione di quasi recente data, già in possesso, quantunque per un decennio, del rescritto sulle dimissorie ad Episcopum Dioecesanum; 3° perchè la prassi della Sacra Congregazione si addimostra piuttosto rigorosa nell'accordarla.
Ma vi si oppone: “Ciò nondimeno la rarità di questi privilegi potrebbe avere un solido fondamento nello straordinario sviluppo e prodigioso incremento che la Società Salesiana, nata in questi calamitosi tempi, ha acquistato e tutti i giorni va acquistando a beneficio della religione e della umanità. Il beneficare con istraordinari privilegi e grazie singolari meriti ed insigni fatti s'appartiene al Sommo Pontefice in forza di sovrani e regali diritti”. E la consultazione si fa a dimostrare essersi praticato a questo modo più e più volte, anche in altri tempi. Anzi, e qui bisogna plaudire all'abilità [191] dell'Estensore, si cita il Tomassini, il quale “deriva l'elargizione di alcune particolari esenzioni da rigorose esigenze, capricci e peggiori cose... che ne furono causa impulsiva”. Dopo di che prosegue: “Perciò non sembra da trascurarsi la ragione addotta dal sacerdote Bosco sul soverchio rigore dell'Arcivescovo di Torino nell'ordinare i Salesiani.”.
Nella parte seconda Sulla comunicazione dei privilegi, accennatosi alla doppia forma di concessione, una absoluta, plena et perfecta e l'altra imperfecta et relativa, si osserva: “A scanso di qualunque interpretazione che nel dubbio farebbe rivivere l'ordinaria giurisdizione del Vescovo Diocesano, Don Bosco dimanda ferventemente in genere la partecipazione dei privilegi già elargiti alle altre Congregazioni e nominatamente a quella del SS.mo Redentore”. Quindi, addotti esempi di simili comunicazioni anche in data non antica, si continua: “Animato Don Bosco da questi esempi di non lontana epoca, adduce nelle sue manoscritte memorie varii riflessi”. Nel riferire poi i quattro motivi, che noi ben conosciamo l'Estensore eloquentemente dice: “Se una navicella ha bisogno di pochi remi, non si deve dire lo stesso relativamente ad un vasto bastimento che ha bisogno di molto equipaggio, d'una gran forza motrice e di altri validi sostegni per seguire più speditamente il cammino, quali sarebbero appunto i privilegi, relativamente ad una Società definitivamente approvata”.
Ma dopo il pro veniva il contro. Tre ostacoli sembravano opporsi alla concessione invocata; 1° La comunicazione dei privilegi da molto tempo non era stata più concessa; se adunque si doveva umiliare al Santo Padre un voto consultivo su tale pendenza, pareva che questo dovesse essere conforme alla prassi, trattandosi di materie disciplinari. 2° Tra le regole della Cancelleria apostolica, approvate da Pio VI, due ve n'erano, da cui si vedeva essere la mente che consimili privilegi si dovessero concedere specifice et nominatim, e ciò molto più nelle Congregazioni di voti semplici, non aventi il privilegio [192] di appartenere agli Ordini regolari. Tanto hanno, quanto ad esse viene tassativamente concesso. Soltanto i Regolari godono di una più larga esenzione dalla giurisdizione vescovile, quantunque anch'essi, giusta la Costituzione Inscrutabili di Gregorio XV, siano in sette articoli soggetti alla giurisdizione ordinaria o delegata dei vescovi. 3° Moltissimi erano i privilegi concessi agli Ordini e alle successive Congregazioni e tutta questa moltitudine di privilegi veniva compresa globalmente nella comunicazione; ora il buon senso pareva suggerire che potevano sempre insorgere dubbi, se questo o quel l'indulto, se questa o quella grazia potesse convenire all'Istituto di Don Bosco, che, quantunque solennemente lodato e approvato, pure offriva il carattere di una Società sui generis, ed insorgendo dubbi, ecco prevalere l'ordinaria giurisdizione del vescovo. Poteva quindi sembrar più prudente premunirsi da futuri contrasti, prevenendo il male prima che nascesse.
Il Relatore, facendosi a rispondere, lasciò da banda i princìpi generali e ritenne miglior partito esaminare se nel caso concorressero le cause per muovere il Sommo Pontefice alla petizione rimessa al giudizio della particolare Commissione Cardinalizia. Egli essere il supremo e indipendente dispensatore di tali grazie e privilegi; spettare perciò alle Eminenze Loro giudicare se fosse espediente tale concessione in vista delle circostanze, dei luoghi, tempi e persone, avuto specialmente riguardo alla fondazione di fresca data, benchè un Istituto qualunque in breve periodo di canonica esistenza possa aver operato quello che altri non hanno compiuto in moltissimi anni.
E qui cadevano in taglio i due schiarimenti di aprile. La consultazione se ne vale nell'interesse del supplicante. Noi non ci ripeteremo; ma poichè riguardo ai progressi della Pia Società il relatore era in possesso di nuovi elementi che ne mostravano il graduale sviluppo e ve li aggiunse, non ne defrauderemo i nostri lettori, [193]
1° Molti Salesiani si segnalarono con opere letterarie, storiche ed anche con libri di testo che furono stampati e che si usano nei pubblici stabilimenti. Fra le opere storiche sono assai lodate le recenti: L'Evangelista di Vittemberga e la Riforma Protestante in Germania pel sac. G. B. Lemoyne, direttore del Collegio di Lanzo, non che la Vita di Cristoforo Colombo [del medesimo][114]. Circa venti Soci sono morti in fama di singolare virtù, e di ciascuno venne scritta speciale biografia.
2° Per utilità della religione furono composte, calcografate o stampate, molte opere musicali per facilitare lo studio dell'organo e del canto fermo.
3° Esiste nella Società una libreria e tipografia, dove lavorano continuamente quattro macchine col motore a vapore e sono applicati centotrenta individui. Per questo è stato sorprendente lo spaccio di Letture Cattoliche, che contano 23 anni di pubblicazione, benedette dal S. Padre, che si degnò raccomandarle con apposita circolare, scritta dall'Em.mo Signor Card. Vicario; quindi non fa meraviglia, se del solo libro intitolato Il Giovane Provveduto furono spacciati in pochi anni non meno di un milione di esemplari.
4° Si rilevano varie opere in costruzione: A) Una notabile ampliazione dell'edifizio in Alassio, per cui il numero degli allievi può essere elevato da 200 a 400. B) In S. Pier d'Arena si sta amplificando l'abitato in guisa che il numero presente dei ricoverati può essere triplicato. C) Nel prossimo ottobre si apriranno tre case per le Religiose delle Figlie di Maria Ausiliatrice ad Alassio, a Lanzo, ed in Valdocco dove da 30 anni esisteva una casa d'immoralità; con grande dispendio fu testè acquistata per stabilirvi le Figlie Ausiliatrici, che quanto prima si prenderanno cura di molte povere fanciulle di quel contado, dove non esiste alcun mezzo per la loro morale e religiosa educazione. D) Finalmente l'Opera di Maria Ausiliatrice, il cui scopo si è di raccogliere giovani grandicelli dai 16 ai 30 anni, di bontà conosciuta, per far loro percorrere gli studi e avviarli allo stato ecclesiastico; ed il numero di questi nel prossimo anno scolastico sorpasserà il centinaio.
La dotta e cauta elucubrazione termina così: “Tali rilievi, congiunti con quanto fu già esposto nella passata consultazione sopra l'approvazione delle Costituzioni, somministrano gli elementi perchè le LL, EE.ze Rev.me nella ben conosciuta maturità di senno e pari prudenza di cui sono adorni, si degnino rispondere ai seguenti [194]
I. Se e come convenga concedere le lettere dimissoriali ad quemcumque Catholicum Episcopum e l'extra tempora in favore della Società Salesiana nel caso?
II. Se, come e di quali Privilegi s'abbia a concedere la comunicazione a favore della stessa Società nel caso?”.
Vivo desiderio di Don Bosco era che la pratica dei privilegi fosse terminata almeno prima delle ferie autunnali, perchè s'avvicinava il tempo della partenza dei Missionari per l'America[115]. Il prolungarsi però della dilazione non fu inutile, sia perchè l'avv. Menghini e mons. Fratejacci, anche lui “impegnatissimo” nella cosa, poterono di concerto elaborare meglio la consultazione, sia perchè Don Bosco ebbe agio di meglio conoscere l'animo dei giudici mercè il carteggio di quei due suoi esperti e solerti amici.
Il Card. Patrizi, Vicario, propenso sempre a favorire Don Bosco, volentieri presiedeva quella particolare Congregazione; egli si mostrava bene animato, ma disse pure che si sarebbe rimesso al voto dei colleghi. Il Card. De Luca, uomo risoluto, non pativa certo di scrupoli come qualche altro dell'eminente Consesso; la sua presenza si stimava giovevolissima alla causa di Don Bosco. Il Card. Martinelli con una cordialissima lettera del 9 luglio a Don Bosco lo ringraziava della visita fattagli da Don Lemoyne e da Don Bonetti e dell'omaggio di “alcuni loro opuscoli”. A Don Bosco in particolare diceva: “A questo proposito rammento pure il dovere, che ho già da molto tempo con la S. V., di ringraziarla cioè della graziosa operetta intitolata Maria Ausiliatrice, che Ella per un tratto di sua gentilezza si compiacque inviarmi. Dal modo prodigioso con cui è sorta cotesta chiesa, veramente può dedursi a ragione che Maria aedificavit sibi domum”. [195]
Questi tre Cardinali tuttavia non erano i più influenti; l'influenza maggiore la esercitava il card. Bizzarri, sul quale sua volta influiva mons. Vitelleschi. E Prefetto dei Vescovi Regolari ne' suoi scritti di diritto canonico, ragionando della comunicazione dei privilegi, batteva molto sull'in praesens difficillime conceditur; non poteva dire nullimode, perchè la grazia dipendeva dal sovrano volere del Papa, ma la sua tendenza vi traspariva evidente. All'estensore Menghini, che necessariamente lo consultava, suggeriva difficoltà, che dal bravo avvocato, come si scorge nella consultazione, vennero temperate con osservazioni piene di riguardo e di delicatezza. Questi dice financo d'aver fatto la consultazione “sotto l'incubo del Cardinal Prefetto, il quale avrebbe anche voluto quello che egli non doveva eseguire per coscienza e per giustizia”. C'immaginiamo facilmente il buon volere del Menghini alle prese con i famosi scrupoli del Cardinale.
Aggiungeremo ancora che, in agosto, Prefetto e Segretario diedero chiaramente a divedere di ritener impossibile la comunicazione in globo; più tardi, il Cardinale stesso inclinava a concedere un numero determinato di privilegi, ma tutti no, mentre per le dimissorie assolute si dichiarava recisamente contrario.
Sotto l'impressione di un colloquio con mons. Vitelleschi l'avv. Menghini nello stesso mese propose a Don Bosco, ma “come figlio al suo Padre”, che in via subordinata si chiedessero “almeno alcuni capi principali, puta le Dimissoriali etiam ad Episcopum originis, l'esenzione dalla visita ed altri speciali privilegi e grazie spirituali”, che a lui piacesse di indicare; però si rimetteva del tutto alla sua saviezza e prudenza. Qui gioverebbe conoscere che cosa rispondesse Don Bosco; ma in difetto d'altri documenti, è lecito ricostruire sostanzialmente la sua risposta dalla replica del Menghini: “Anch'io sono persuaso che bisogna giungere ad uno stato fermo, stabile e non precario, mendicando come tapini piccole grazie che giovano più agli agenti e poco ai petenti... Le grandi [196] operazioni non si devono eseguire per metà ed è purtroppo vero quel detto: Benefacta male collata maleficia existima...
Ella scriva e prenda tutte le misure, come un provvido ed esperto generale d'armata. Si assicuri che l'opposizione purtroppo ci è”.
Di mons. Vitelleschi Don Bosco riteneva che non fosse contrario; ma egli ignorava ancora, che nel commettere al Menghini di stendere la consultazione, il Segretario dei Vescovi e Regolari gli aveva detto: “La domanda di Don Bosco è una stranezza; componga un semplice foglietto per darvi sfogo”. Cioè, faccia una molto sommaria relazione, tanto per dar corso alla domanda.
Il giorno della discussione si approssimava. Don Bosco, preoccupato della piega che il negozio sembrava prendere, seguì un consiglio datogli dal Menghini: intervenne direttamente presso la Commissione per raccomandare la propria causa. Scrisse dunque ai singoli Cardinali ed a mons. Vitelleschi una lettera del tenore seguente:
Se per buona ventura mi trovassi a Roma in questi giorni mi studierei di compiere un grave mio dovere col recarmi di presenza a far atto di ossequio alla E. V. Rev.ma e raccomandare alla sua bontà la Congregazione Salesiana, intorno a cui Ella è invitata a proferire giudizio della massima importanza, quale si è la comunicazione dei Privilegi che generalmente godono gli altri istituti religiosi approvati dalla Chiesa. Mi permetta che io possa valermi di questo umile scritto.
La E. V. mi si mostrò padre benevolo ed insigne benefattore all'epoca dell'approvazione; ora si degni di continuarmi la sua benevolenza, affinchè questa umile Congregazione possa conseguire l'insigne favore della Comunicazione dei privilegi. Due grandi vantaggi deriverebbero da questa concessione:
1° La Congregazione Salesiana sarebbe posta al livello delle altre in faccia alle autorità Ecclesiastiche.
2° Nel prossimo ottobre i Salesiani dovendo recarsi nella Repubblica Argentina per aprire un collegio a favore delle Missioni, ed a richiesta di quell'Ordinario essendo convenuto di prendere l'amministrazione delle pubbliche scuole e di una pubblica Chiesa in S. Nicolas de los Arroyos, tornerebbe della massima utilità che eziandio i nostri religiosi godessero i privilegi e le grazie spirituali degli ordini religiosi [197] e delle Congregazioni Ecclesiastiche, esistenti in quel vastissimo regno.
Con questo mezzo verrebbe parimenti tolto il motivo di opposizione che fa l'Ordinario di questa Torinese Archidiocesi, il quale non si persuade che la Società Salesiana sia definitivamente approvata perchè non gli consta che ella goda i privilegi delle altre Congregazioni.
Rimetto però ogni cosa nell'alta ed illuminata sapienza della E. V. assicurandola che tanto per la carità usata, quanto per quella che speriamo si degni ancora di usarci, i Salesiani oltre all'incancellabile gratitudine, inalzeranno ogni giorno speciali preghiere per la preziosa conservazione dei giorni suoi tutti pieni di celesti benedizioni.
Mentre poi in tutte le case Salesiane si fanno preghiere e digiuni perchè Dio le inspiri quanto sarà di sua maggior gloria, ho l'alto onore di potermi inchinare e baciare la sacra porpora colla massima venerazione.
La discussione, fissata per il 9 settembre, fu per sopraggiunto impedimento rinviata al 16. Quel che si fa o si dice in tali adunanze, difficilmente può essere oggetto di storia, circondate com'esse sono da doveroso segreto. Indiscrezioni se ne possono commettere, se ne commettono anzi; ma resta sempre più o meno incerto qual valore si debba loro attribuire. In ogni modo non è dignitoso per lo storico raccattare notizie di origine così impura.
Proprio quel giovedì 16 settembre mons. Vitelleschi chiudeva le sue funzioni di Segretario dei Vescovi e Regolari, perchè elevato alla Sacra Porpora, e le chiudeva appunto con la relazione sull'affare di Don Bosco. Veramente già da due giorni aveva consegnato tutte le carte d'ufficio al sostituto; ma volle ritenere la sola posizione di Don Bosco; per questo partecipò al Congresso della Commissione Cardinalizia.
La seduta, aperta alle nove, si sciolse a mezzodì. Che cosa vi si era deciso? Ufficialmente non se ne poteva saper nulla; il giudizio consultativo della Commissione doveva essere comunicato in una prossima udienza al Papa, a cui spettava [198] pronunziare l'ultima parola. Se non che per il giorno dopo, stante il Concistoro per aprire la bocca ai nuovi Cardinali, l'udienza si prevedeva impossibile; sicchè si sarebbe dovuta aspettare fino alla settimana appresso la sentenza definitiva, e allora la relazione, non più il card. Vitelleschi, ma l'avrebbe fatta o il nuovo eligendo Segretario o il sostituto. “Se era qui il card. Berardi!”, esclamava in una lettera mons. Fratejacci, che ragionevolmente si riprometteva da lui un'azione efficace presso il Pontefice; il Cardinale però si trovava fuori di Roma. “Ma non pertanto, soggiungeva il buon Monsignore, è qui sempre Dio e Maria nostra buona Madre Ausiliatrice, che come in altri bisogni e circostanze, così ora persuaderà al Santo Padre il da farsi, alla maggior gloria del Signore ed incremento del suo nuovo Istituto, a tutti caro e accetto”. Indi, profferendo i suoi servigi, proseguiva: “Qualunque cosa io possa fare per Lei, già lo sa, io sono sempre in parata, sempre in fazione. Ella ordini, e sarà tutto fatto di gran cuore, e col più vivo piacere”.
Ma avvenne l'imprevisto e l'imprevidibile. Il neoporporato, che dopo il Concistoro sarebbe stato fuor del caso di occuparsi della faccenda, si assunse l'incarico di portare la sera stessa del 16 il risultato della Commissione al Santo Padre, “in via straordinaria”, nota monsignor Fratejacci, cioè, com'egli spiega, “non aspettato il corso consueto delle udienze[116]”. La mattina seguente, all'avv. Menghini che lo interrogava sull'esito della Congregazione, egli rispose: “Certo, quando Don Bosco lo saprà, non ne resterà molto contento!”.
E vediamo finalmente quest'esito. Al primo dubbio circa le lettere dimissoriali fu risposto: Negative et ad mentem. La mente era che si comunicasse a mons. Arcivescovo di Torino la domanda presentata dal Rettore Generale della Società Salesiana di poter concedere le lettere dimissoriali ad quemcumque Episcopum e l'extra tempora, e il rifiuto dato dalla [199] Congregazione a tali privilegi, tanto più che egli godeva l'indulto decennale datogli il 3 agosto 1874, nel cui esercizio si esortava per altro mons. Arcivescovo ad attenersi alla concessione fatta e così non rendere necessario che la Sacra Congregazione provvedesse altrimenti, perchè egli potesse di quell'indulto fruire. Al secondo dubbio circa la comunicazione dei privilegi la risposta fu: Communicationem, prout petitur, non expedire. Si stabiliva però di supplicare il Santo Padre, perchè si degnasse dichiarare le Case della Pia Società Salesiana, in cui vivessero regolarmente almeno sei soci, esenti dalla giurisdizione e dalla visita degli Ordinari in tutto che concernesse la disciplina interna e l'amministrazione, salva sempre la giurisdizione degli Ordinari quanto alle chiese, all'amministrazione dei sacramenti e alle cose riguardanti il ministero sacro.
Il buon Menghini, quando lesse che il rescritto si doveva contemporaneamente spedire all'Ordinario torinese, non credeva ai propri occhi. Per altro, scrivendone a Don Bosco, osservava: “Io non voglio accendere questioni. Ella nella sua prudenza conosce il quid agendum”. Egli non ignorava nemmeno che cosa più di tutto in quel frangente valesse a confortare Don Bosco: la non diminuita benevolenza del Papa. Perciò, avuta dal Santo Padre udienza per ringraziarlo della propria elezione a canonico dell'insigne collegiata di Sant'Eustachio, passò di proposito a parlargli di Don Bosco, e avvertì che il Papa ascoltava con soddisfazione quanto gli veniva dicendo. Di questo si affrettò a informare Don Bosco stesso.
Per vero dire, Don Bosco, secondo il suo costume, sofferse l'amara disdetta con ammirabile rassegnazione e pacatezza d'animo[117]. Ma rassegnarsi non vuol dire darsi per vinto.
Qui, lo storico desideroso di scoprire la causa del fatto, non ha se non una via per venirne a capo. Supporre che uomini così eminenti in oggetto di tanto rilievo agissero per passione [200] o comunque per motivi non confessabili, sarebbe infliggere loro un'ingiuria gratuita. Fatta dunque la debita parte alla mentalità di curiali, attaccati per ufficio alla prassi e alieni per abito dal fare buon viso a novità in materie gravi, lo spettro di una scissura fra l'Ordinario torinese e la Santa Sede dovette sopraffare l'animo dei giudici e di rimbalzo mettere in apprensione anche il Santo Padre[118]. L'opposizione ostile e ferma di Torino dava ragionevolmente a temere che la collisione con Don Bosco degenerasse in serio conflitto con Roma, e ciò in momenti nei quali si sentiva troppo la necessità della più salda unione di tutto l'Episcopato con il Capo della Chiesa. Qui sta il nocciolo della questione.
Si compieva appena un mese dall'epilogo di questi fatti e dalla sua promozione alla Porpora, che il card. Vitelleschi non era più. Una violenta febbre tifoidea nel giro di pochi giorni l'aveva spento. “Che fatto, che meditazione!”, esclamava fuor di sè mons. Fratejacci. Nella sua fervida immaginazione egli ci vide addirittura il dito di Dio[119].
Il Beato nell'aprile del '76 trovò la nobile famiglia del Cardinale ancora tutta costernata per una morte così repentina e, come dicevano, misteriosa. L'11 aprile del medesimo anno il cardinal Martinelli disse che le difficoltà erano venute da mons. Vitelleschi; ma si può ritenere per fermo che questi non agì in tal modo per animo ostile a Don Bosco. La causa prima dell'insuccesso va cercata lontano da Roma.
LA vita dell'Oratorio nel 1875 ci somministrerà materia a intrattenere i nostri lettori per due non brevi capi. Ci guarderemo bene dal ricascare a dir sempre lo stesso. Senza portar legna alla foresta, ci limiteremo a cogliere le sole novità più salienti di questo periodo nell'andamento consueto delle cose, non che i nuovi detti e i nuovi fatti di Don Bosco, aventi relazione col nostro tema. Per imprimere un qualche ordine all'esposizione, noi, movendo dal concetto che l'Oratorio era una grande famiglia, diremo prima del Padre, poi della Casa, quindi dei figli e in ultimo di taluni atteggiamenti e rapporti, meritevoli di attenzione. Fonti ordinarie saranno cronachette, verbali, relazioni, lettere, che si custodiscono nei nostri archivi.
L'Oratorio, residenza abituale di Don Bosco, e Casa Madre della testè nata Congregazione, doveva non solo essere un ambiente che facesse onore al Padre nell'estimazione del mondo, ma offrire anche in sè una forma di vita Salesiana, su cui si modellassero con sicurezza le altre Case. Perciò il suo andamento Don Bosco voleva che dipendesse dal suo comando e dal suo consiglio. Non già che nella pratica egli legasse le mani ai superiori subalterni, sulle cui spalle gravava pondus diei et aestus: lasciava anzi ad essi molta libertà [202] d'azione; ma sempre nell'ambito delle regole da lui poste e nel senso delle direttive da lui dettate. Questa sua ingerenza diretta nel gran mare dell'Oratorio derivava anche da una necessità di fatto; poichè i preti della Casa erano tutti giovani. Cosicchè la vita della famiglia di Don Bosco s'imperniava nella sua persona.
Che questa sia realtà e non fantasia, le prove non fanno difetto nell'anno, che è oggetto del nostro studio.
Lo dimostrano anzitutto la costituzione del Capitolo locale e il suo modo normale di agire. Don Bosco vi figura come direttore, ma non più solo, bensì coadiuvato da un vicedirettore che è Don Rua. Nè si creda che Don Bosco fosse direttore ad honorem, e che il suo aiutante avesse nome di vicedirettore, ma nel fatto fungesse da direttore. I verbali delle sedute, così limpidi nella loro laconicità, ci rappresentano Don Rua che presiede, Don Rua che propone, Don Rua che prende gli accordi con gli altri membri; ma ben si vede che in cima a' suoi pensieri sta la preoccupazione d'interpretar a dovere la mente di Don Bosco: infatti, ogni volta che s'affacci un'idea innovatrice, la deliberazione è sempre subordinata a quanto dirà Don Bosco.
Vien da sè che un tal Capitolo non si scostasse un ette da quella linea di condotta, che Don Bosco fece sua legge e che si formula con una parola sola: prevenire. Così per esempio, le cose vi sono sottoposte a minuto esame in antecedenza e le ricorrenze di maggior rilievo sono studiate anche un mese prima sì da poter presagire in tempo le probabili eventualità e anticiparvi adeguate provvidenze. Al quale scopo si solevano anche rileggere le deliberazioni degli anni anteriori con le relative annotazioni post eventum; poichè Don Bosco insegnava a raccogliere e a fissare sulla carta i dati dell'esperienza per farne tesoro e valersene in circostanze analoghe.
È di questo tempo un episodio molto istruttivo[120]. Verso [203] il '75 erasi cominciato a permettere che per la festa di Maria Ausiliatrice la gente fino a notte avanzata restasse in chiesa e vi circolasse nelle adiacenze. Ciò diede luogo a inconvenienti, alcuni della casa, per esempio, sottrattisi alla vigilanza dei superiori, si nascosero una volta nei sotterranei a far gozzoviglie. Per questi fatti, certi capitolari persistevano a volere che si abolisse quella veglia, la quale pure favoriva la pietà dei divoti, massime forestieri. Quando l'opposizione giunse all'orecchio di Don Bosco, egli lasciò dire e poi osservò: - È avvenuto così e così. Ma di chi la colpa? Di voi, che non avete sorvegliato abbastanza. Adesso non si sopprima il bene per impedire il male; piuttosto un altr'anno ci si pensi in tempo e si piglino tutte le precauzioni, perchè i lamentati inconvenienti non si ripetano più.
Personalmente, Don Bosco trattava di proposito gli affari e i casi giornalieri dell'Oratorio dopo cena. Sullo scorcio delle sue laboriose giornate, presa la parca refezione vespertina con la comunità, durante la mezz'ora che intercedeva fra il levar delle mense e le orazioni della sera, egli sentiva, chiamava, dava ordini..
Una cronachetta ce lo ritrae al vivo nell'atto di compiere tale ufficio. La sera dell'otto luglio, sfollato che fu il refettorio, fe' cenno a Don Chiala, catechista degli artigiani, che si fermasse, e con lui s'intese sulla stampa di alcuni fascicoli delle Letture Cattoliche. Subito dopo, Don Lazzero, prefetto della Casa, venne a parlargli di provvedimenti da prendere per il buon ordine degli artigiani. Non aveva ancora finito lui, che Don Barberis, maestro dei novizi, si fece avanti a riferirgli come il Capitolo della Casa fosse stato unanime nel proporre che ai chierici si procurassero vacanze allegre, sicchè non saltasse loro il ticchio di andare in famiglia; e lì a ventilare disegni di luogo, di tempo, di durata, di modalità, finchè: - Va tutto bene, conchiuse Don Bosco; ma quella tal Casa contiene appena una quindicina d'individui, Per altro è adatta. Vi si facciano i preparativi [204] necessari. - Ed ecco sopraggiungere Don Durando, consigliere scolastico generale, e dire:
- Il professor Rocchia vorrebbe far stampare da noi, lasciandocene la proprietà, quel suo libro, del quale credo che Le abbia scritto.
- È un repertorio di frasi latine. Sembra che non ci sia male.
- Anche gli Scolopi lo useranno nelle loro scuole e contribuiranno a diffonderlo.
- Parla con Barale (il direttore della libreria) e intendetevela. Io però sarei di parere che si stampasse a conto dell'autore.
Poi si presenta Don Guanella a esporre la sua idea di un libro sulla propagazione della Fede per le Letture Cattoliche, e ne traccia lo schema. Quindi Don Milanesio, direttore dell'oratorio festivo e delle scuole esterne, messosi al fianco di Don Bosco, che si moveva per uscire, lo accompagna su per le scale, pregandolo di voler approvare una nuova scuola serale a pro degli esterni e spiegando come, secondo lui, la si potrebbe fare. Con indirizzi così continui, concreti e sicuri, mentre si formavano gli uomini dell'avvenire, accadeva che le molteplici attività dell'Oratorio si svolgessero senza complicazioni.
Come di presenza, a viva voce, così per corrispondenza, quand'era lontano. Tre lettere di Don Bosco, scritte a brevi intervalli nel novembre da Sampierdarena, da Alassio e da Nizza, ne documentano la sempre vigile attenzione sulle cose dell'Oratorio. Meglio che lettere, si direbbero elenchi di ordini, d'istruzioni e d'informazioni al “carissimo D. Rua”, suo vicereggente. Vi si toccano ben trenta oggetti, disparatissimi. Trasferimenti di giovani dall'Oratorio ad altri collegi salesiani; passaggio di un tale da studente a calzolaio; certificato da rilasciare a un partente; vestizioni chiericali; disbrigo di [205] negozi riguardanti beni immobili; comuni operazioni di banca; contratti per compie o vendite; ammissioni al noviziato. Don Rua vorrebbe destinare un certo posto ai ragazzi delle scuole esterne, ma egli lo ritiene troppo lontano; “se però, soggiunge scherzando, a Vostra Riverenza sembra bene così, si faccia”. Comunicazioni da fare a soci o per cose personali, espresse in termini che i soli interessati capiscono, o per cose da attuare nella loro sfera di attività; le scuole di fuoco, sacre ordinazioni e relative dispense; mutui già contratti o da contrarre. Disapprova che si muri un tramezzo dentro un lungo camerone. Avverte: “Se hai i 500 franchi per l'avvocato Comaschi, si facciano tenere. Altrimenti si scriva, se non lo disturba la dilazione di qualche settimana. Ad ogni modo scrivimi e studieremo di provvedere”. Non gli manca la preoccupazione per il silenzio di Don Rua, da cui attende urgente risposta “se l'Arcivescovo abbia acconsentito alla domanda delle ordinazioni per Albano e Perrot”. Finalmente gli dice che disponga “di poter andare a Mornese la domenica dopo la Concezione per fare il da farsi”. Di fatti in una minuscola cronachina Don Lazzero dice appunto che l'11 dicembre Don Rua predicò a Mornese.
I commenti si rimettono all'intelligenza dei lettori. A noi premeva solo di far toccare con mano come da Don Bosco partisse e a Don Bosco mettesse capo tutto il lavorio dell'Oratorio, nelle cose tanto di straordinaria che di ordinaria amministrazione. Risponderemo solo a un possibile dubbio. Don Bosco si assentò parecchie volte nel '75; non si sarà allora avverato il proverbio che, quando non c’è la gatta, i sorci ballano? La cronachetta di Don Barberis al 7 giugno ci fornisce la risposta, fissata là per noi, durante un'assenza di Don Bosco. Vi si constata questo: “L'Oratorio è così organizzato, che quasi nessuno si accorge della sua assenza da Torino”.
È stato scritto che Don Bosco più che una dottrina, ha lasciato dietro di sè uno spirito, che dovesse spirare in mezzo [206] a' suoi figli e farli vivere[121]. Precisamente questo spirito egli si dava pensiero che aleggiasse nel suo Oratorio; proprio con l'intendimento di precludere l'adito a infiltrazioni estranee che ne alterassero la genuina essenza, egli accentrava tutto in se stesso, non già facendo tutto da sè, ma nulla permettendo di fare senza di sè. Regime fermo, regime necessario, ma sempre paterno, i cui effetti ci sono descritti così da monsignor De Gaudenzi, Vescovo di Vigevano[122]: “Chi visita l'Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino ed i varii stabilimenti eretti o governati dal sig. D. Bosco coadiuvato dai suoi sacerdoti, vi sente tosto un non so che di pio, che non è dato sì facilmente di sentire in altri Istituti; pare che negli Istituti di Don Bosco si respiri proprio il buon odore di Gesù Cristo
2° LA CASA E L'ECONOMIA DOMESTICA.
Nei Collegi si fabbricava gagliardamente. Don Bosco suggeriva i disegni, egli li esaminava a minuto e, finchè da lui non fossero stati definitivamente approvati, nessuno si accingeva all'esecuzione. Ciò tanto più, se si trattasse dell'Oratorio, Abbiamo già visto come da Roma s'interessasse d'un povero muricciuolo di cinta. E qui ci sembra buono anticipare un fatto. Nel '76, lui assente, Don Rua autorizzò la riapertura di una finestra, già murata da tempo, presso il campanile della chiesa di S. Francesco. Al ritorno, avvertita l'innovazione, disse con certa fermezza al vicedirettore: - Sì, sì, adesso che comanda Don Bosco, fate pure come volete voi; ma un giorno, quando sarete voi a comandare, anche gli altri faran come vorranno loro. - Il povero Don Rua, sul quale ricadevano le responsabilità del governo, annichilito, si fece [207] piccino piccino, proferendo umilissime parole di scusa e protestandogli tutta la propria devozione; ma Don Bosco non modificò verbo[123]. Altro esempio dell'importanza che i Santi diedero sempre al rinnegamento della propria volontà.
Il 1875 non segna considerevoli novità edilizie nel caseggiato dell'Oratorio. Furono arrotondati i limiti territoriali mediante la compera di un'area e di una entrostante casa da un signor Antonio Catellino, che ne aveva fatto l'acquisto parte dal sacerdote Moretta, parte dal seminario. Chi volesse orientarsi, non ha che da rammentare la tante volte menzionata casa Moretta nei volumi di Don Lemoyne.
Le opere e le modificazioni edilizie eseguite nel corso di quest'anno si raggrupparono quasi tutte nei pressi della porteria. Una costruzione sola s'intraprese ex novo: l'edificio che dal palazzo sulla porteria si stende lungo la via Cottolengo. Questo fabbricato chiuse il primo cortile interno dell'Oratorio destinato agli artigiani e ospitò per molti anni nel piano di sopra i legatori e nel piano terreno la libreria e il magazzino generale detto delle somministranze.
Le modificazioni furono di poca entità. L'apertura che dall'atrio del passaggio carraio immette nei sotterranei di Maria Ausiliatrice; il portone d'ingresso al posto della porta provvisoria; di là dal limitare il peso; a sinistra di chi guarda la porteria, una bussola, la cui epigrafe marmorea in latino e in italiano rivolge ancora a quanti varcano la soglia la raccomandazione evangelica di dare ai poverelli ciò che loro sopravanza; finalmente la nicchietta per la campanella, la cui voce argentina fece udire per oltre mezzo secolo i segnali dell'orario giornaliero a tutti gli abitanti dell'Oratorio[124].
Lontano dalla porteria un lavoro solo è degno di menzione: il porticato che corre intorno all'abside di Maria Ausiliatrice e [208] che piegando ad angolo retto si protende fino alla casa, in modo da offrire un passaggio coperto per andare di qui alla chiesa e viceversa. Le colonne cilindriche, da cui il portico è sorretto, sono monoliti di granito, sodo in eterno contro tutti gl'insulti dei ragazzi.
A tutta la gestione finanziaria di questa grande Casa toccava a Don Bosco provvedere. Entrate fisse non si avevano. Le pensioni dei giovani, fattone un calcolo complessivo, fruttavano sì e no centesimi venti al giorno per testa. Per un quarto dei ragazzi gravavano sul bilancio della Casa anche le spese personali. Nè i giovani costituivano l'intera popolazione dell'Oratorio; oltre all'alto e al basso personale, c'erano i Figli di Maria, generalmente poveri, e i chierici, che nulla o ben poco pagavano. Dei laboratori soltanto la tipografia e i falegnami erano attivi; ma i loro introiti non arrivavano a coprire le passività degli altri. La libreria fruttava alquanto, ma in scarsa misura, perchè a scopo di bene Don Bosco voleva assolutamente che i prezzi fossero minimi. I collegi rimettevano, è vero, a Don Bosco i loro risparmi; ma questi non raggiungevano cifre elevate davvero, perchè assai modeste erano le rette. Infatti Don Bosco, in una delle tre lettere citate poc'anzi, sul finire dei primo trimestre, a Don Rua, che aspettava un po' di manna, scriveva da Alassio: “Ad Alassio, Varazze, Sampierdarena le finanze segnano 0”.
I momenti critici erano tre: al sabato, al termine delle quindicine, alla fine dei semestri. Ogni sabato bisognava pagare la settimana agli operai esterni dei laboratori; ma poichè il più delle volte i denari in cassa non bastavano o mancavano affatto, Don Bosco andava a pranzo, ospite gradito, presso qualche benefattore, rientrando con la somma occorrente. Un gran guaio si aggiungeva, quando c'erano in casa (e c'erano spesso) i muratori, il cui capomastro veniva a riscuotere la quindicina scaduta; allora egli andava addirittura alla questua, picchiando di porta in porta, finchè non avesse raggranellato il necessario. Per simili bisogne non soleva incaricare nessuno. [209] Allo spirare poi dei semestri, dovendosi pareggiar le partite coi fornitori, le preoccupazioni crescevano; ma egli non si turbava. L'esperienza di lunghi anni l'aveva abituato a pazientare, ben sicuro che al momento buono il soccorso provvidenziale non sarebbe mancato. Vedersi destituito di mezzi e confidare maggiormente in Dio erano per lui tutt'uno.
Quante e quali fossero le strettezze dell'Oratorio, se n'avvedeva colui che lo sostituiva nella direzione, allorchè il buon Padre si assentava. Finchè era in casa, o i benefattori venivano a cercare lui o egli andava in cerca dei benefattori; ma, quando non c'era, Don Rua; si trovava nelle peste.
Abbiamo accennato a pranzi presso benefattori; prima di continuare spieghiamoci, giacchè ne abbiamo l'occasione. Vi andava dunque per aver limosine; ma dietro a quello scopo ne teneva gelosamente nascosto un altro, che non perdeva mai di vista: far del bene a quelle persone e a quelle famiglie. Pur senz'aver l'aria di esercitare una missione, vi riusciva col contegno edificante, con la sobrietà e modestia, con le buone parole e gli ottimi discorsi, che aveva l'arte d'introdurre piacevolmente, senza dar ombra a chicchessia, ma sollevando gli spiriti. Ben conscio essere l'avarizia una cancrena che rode i ricchi, nè esservi predica atta a estirparla, li induceva a fare l'elemosina e ve li induceva, com'egli era solito dire, per procurar loro un grandissimo bene, senza che eglino se n'accorgessero. A tempo e luogo per altro proclamava francamente l'obbligo di dare ai poveri il superfluo.
Bussava a quattrini anche per lettera. Sono graziose queste due alla buona contessa Callori, una per chiedere e l'altra per ringraziare.
Martedì prossimo a sera spero di essere a Vignale e passare tutto il mercoledì in santa pace fino al giovedì. Ma che vuole mai? Questo figlio si trova al verde ed ha bisogno di quattrini; e parlo nemmeno [210] di soldi, per dirle che mi contento anche di pochissimo. Conosco il suo buon cuore e quando non può io rifuggo dal dimandare.
Dio La faccia felice nel tempo e nella eternità. Amen.
Preghi pel povero, ma in G. C.
Compio un mio dovere col ringraziarla tanto tanto della ospitalità, della cortesia e della carità fatta a questo povero questuante. La Contessa Bricherasio emula della virtù di V. S. mi diede il 5° e così l'opera dei graniti[125] è terminata, ma non è terminata la mia gratitudine, nè saranno terminate le benedizioni del cielo che invocheremo ogni giorno sopra di Lei e sopra la sua famiglia.
La Contessa Corsi, i Conti e Contessa Balbo gradirono assai i loro saluti e mi danno incarico di rinnovarli da parte loro, tanto a Lei quanto al Sig. Conte Casimiro e C.ssa Vittoria e sig. C.te Federico. La Signorina Maria soffre tuttora mal di denti? Se Dio mi esaudisce, dovrebbe essere guarita; ho pregato per Lei.
Domani parto alla volta di Cunico. Lunedì (17) spero essere a Torino per occuparmi esclusivamente dei missionarii Argentini.
Dio la benedica, Signora Contessa, e Le dia la rassegnazione ai suoi santi voleri in terra, ma le tenga assicurato un posto in cielo.
Preghi per questo povero, che le sarà sempre in G. C.
Nizza Monferrato, 11 - 10 - '75.
Anche nel '75 moltiplicò le consuete istanze a enti pubblici per averne sussidi o agevolezze di varia maniera. Le lettere scritte da lui a tal fine sono a volte preziosi gioielli per compitezza e semplicità di forma e per i sentimenti che le adornano. Questa, per esempio, al Sindaco di Torino è piena di garbo e buona grazia.
Il Sottoscritto già da molti anni tiene aperte parecchie classi elementari per l'Istruzione della gioventù più povera della città di Torino. Sonvi le scuole diurne e le serali ed anche le scuole autunnali. [211] Il numero complessivo degli allievi ascende a circa un migliaio e va ognora crescendo.
In tale condizione di cose trovasi in bisogno di essere provvisto di banchi, sia per supplire quelli che si resero inservibili per lungo uso, sia per provvedere al numero ognora crescente degli allievi. Trovandosi quanto mai ristretto di mezzi pecuniarii, ricorre rispettosamente alla ben nota bontà della S. V. affinchè voglia degnarsi di concedergli alcuni di quei banchi già usitati nelle scuole municipali i quali si trovassero a disposizione dell'onorevolissimo Municipio di questa città.
Fiducioso di essere favorito, ne rende anticipatamente le più vive grazie, pregandole dal cielo ogni bene, mentre si reputa ad onore di professarsi colla più distinta stima
Notevole pure è la seguente supplica indirizzata al Presidente del Consiglio Provinciale.
Nelle gravi strettezze in cui versano i giovanetti ricoverati in questa casa detta Oratorio Salesiano, mi fo animo di fare eziandio ricorso alla S. V. Ill.ma per ottenere qualche caritatevole sussidio.
I ricoverati in questo Ospizio sono oltre ad 850, di cui circa quattrocento appartengono alla provincia di Torino. Se non fossero ricoverati, questi ragazzi sarebbero esposti a non leggeri pericoli di finire male per se stessi con disturbo delle pubbliche autorità e dei cittadini. Noto anche come un numero notabile di questi fanciulli furono dalle Autorità municipali o governative inviati a questo istituto.
Riponendo tutta la mia fiducia nella esperimentata di Lei bontà e supplicandola de' suoi efficaci buoni uffici presso al Consiglio Provinciale, ho l'onore di potermi professare con gratitudine profonda
Le stesse imperfezioni di lingua e di stile producono un'impressione di confidente sincerità che piace. [212] Omettendo altri documenti consimili per la Direzione delle Ferrovie, per il Gran Maestro dell'Ordine di Malta o per Ministeri, non possiamo disinteressarci di tre accidenti che più o meno ne dissestarono le finanze, causandogli in pari tempo non lievi nè brevi disturbi.
L'avvocato Luigi Succi, proprietario d'un pastificio a vapore in Torino, uomo conosciutissimo per le sue virtù cristiane e per le sue beneficenze, pregò Don Bosco di prestargli la sua firma in un'operazione al Banco per ritirare 40.000 lire. Sapendolo ricco di censo e avendone ricevuti benefizi, egli vi si arrese. Tre giorni dopo il Succi morì, la cambiale scadde e Don Bosco mandò ad avvisare gli eredi. “Eravamo a cena, depone il card. Cagliero nei processi, quando entra Don Rua e dice a Don Bosco che gli eredi non salino nè vogliono sapere di cambiali. Io sedeva al fianco di Don Bosco. Egli stava mangiando la minestra e vidi che tra un cucchiaio e l'altro [si noti che era il mese di gennaio, e il refettorio non aveva riscaldamento], gli cadevano dalla fronte nel piatto gocce di sudore, ma senz'affanno e senza interrompere la sua modesta refezione”. Allora dunque non ci fu verso di far intendere ragioni, ma gli bisognò pagare. Solo dopo circa dieci anni riebbe quasi intera la somma assicurata con l'avallo della sua firma.
Un'altra opera di carità gli costò cara, se non proprio in contanti, certo in dannose molestie. Un tal Giuseppe Rua torinese aveva congegnato un apparecchio, con cui elevare l'ostensorio sul giardinetto dell'altare e poi abbassarlo sulla mensa, facendo contemporaneamente scendere e poi risalire la croce; si evitavano così gl'inconvenienti e i pericoli della scaletta in uso. Parve quello un mezzo più agevole e sicuro per l'esposizione del Santissimo. Parroci e vescovi gli avevano fatto buon viso. Don Bosco l'adoperava nelle sue chiese. L'approvazione di Roma avrebbe dischiuso all'inventore una fonte di lucro. Per favorirlo Don Bosco inviò i disegni alla Sacra Congregazione dei Riti, raccomandando la cosa. Ma la [213] Congregazione non approvò il ritrovato nè voleva restituire i disegni, tale essendo la prassi. Finalmente si fece un'eccezione con Don Bosco per liberarlo da gravi molestie. Il Rua, vista la rovina della sua industria, che senza quel ricorso avrebbe continuato a essergli profittevole, incolpandone Don Bosco gli mosse lite: pretendeva che dal tribunale il Servo di Dio venisse obbligato a sborsargli una grossa indennità. Per buona sorte il magistrato fu di tutt'altro avviso.
Anche la terza molestia ebbe origine dalla carità. Rammentino i lettori la questua sui generis escogitata da Don Bosco nell'inverno fra il '72 e il '73. Fu quello un inverno memorando a causa delle pubbliche ristrettezze. Don Bosco, per procacciare mezzi di sussistenza, invitò con una circolare spedita in busta chiusa un numero stragrande di benefattori ad acquistare biglietti da lire dieci caduno, ma per titolo di elemosina, mettendo a premio per sorteggio un bel quadro, pregevole riproduzione della raffaellesca Madonna di Foligno. Ora in quell'operato la pubblica autorità credette di ravvisare una violazione del precetto legislativo che proibiva lotterie pubbliche e lo chiamò in giudizio. Non valse che nel suo interrogatorio egli dicesse che con la lotteria “non si era eccitato il desiderio di speculazione e di guadagno, ma fatto appello alla carità cittadina, promettendo un tenue ricordo in attestato di riconoscenza”. La causa, trascinatasi molto in lungo, si chiuse solo nel '75 con una sentenza della Corte d'Appello, che condannava “il sacerdote cavaliere Don Giovanni Bosco” a una forte pena pecuniaria per contravvenzione alla legge sulle lotterie pubbliche[126]. Tuttavia nella sentenza [214] stessa che così duramente lo colpiva, fra i considerando si leggono queste proposizioni: “non poter dubitarsi che il fine propostosi dal cav. sac. Don Bosco era quanto mai lodevole ...; che lo stesso fine, cui con quella lotteria tendeva, era degno d'encomio ...; che però la buona fede non valeva ad esimerlo dalla pena, bastando il fatto materiale a stabilire la contravvenzione”. Ci sembra però inesplicabile quel che segue: “Ma siccome avrebbe potuto trascendersi il fine che egli con ciò intese...”. Dunque la motivazione si fondava sopra una mera possibilità? Lasciamo ai giuristi di giudicare.
Il magistrato pertanto sembrava indicare apertamente com'egli, dalla inesorabilità della legge astretto a punire, trovasse nell'intima sua coscienza la pena ripugnante alla intrinseca lodevolezza del fatto imputato. Questa considerazione incoraggiò Don Bosco ad un ultimo passo: ricorse al Re Vittorio Emanuele II, implorando in virtù della grazia sovrana il condono a favore non della propria persona, ma dei giovinetti, ai quali aveva l'incarico di provvedere e sui quali soltanto sarebbero ricadute le dolorose conseguenze della condanna. Il ricorso fu fatto per il tramite dell'avvocato Vincenzo Demaria.
Il Sovrano benignamente annuì, accordando la grazia. Il decreto di condonazione pervenne a Don Bosco in un momento proprio opportuno, nel giorno cioè della partenza dei primi suoi Missionari per l'America.
Elevandoci col pensiero a guardar le cose dall'alto, diremo che nel regno della carità si avvera portentosamente il proverbio che chi ben fa ben trova. Agli uomini della carità che nulla possiedono, ma prodigano se stessi per il bene altrui, si dà ogni credito: nei loro riguardi la promessa e la fede vale quanto le maggiori garanzie. È la storia di Don Bosco. L'impresario Carlo Buzzetti edificava allora la chiesa dell'Immacolata in Torino. La Commissione che raccoglieva i fondi necessari, composta di nobili cittadini, gli doveva la somma di trenta mila lire e, per pagarla, aspettava che venissero i [215] denari. Ma l'impresario si rifiutò a proseguire i lavori, finchè o lo pagassero o gli prestassero garanzia. Queglino per animarlo a continuare gli osservarono che per Don Bosco egli anticipava bene qualunque somma! - Per Don Bosco sì, rispose; il suo nome vale qualunque garanzia; io sono sempre certo che la Provvidenza gli manderà i mezzi di pagare: dopo tanti anni che lavoro per lui, non ne ho il menomo dubbio. Degli altri non sono egualmente sicuro. Proprio così: la Chiesa di Maria Ausiliatrice mi fu pagata fino all'ultimo centesimo!
Nel dialetto piemontese per dir giovane si dice figlio. Di questi figli Don Bosco ne aveva nell'Oratorio da sette a otto centinaia. Non ci stavan comodi, ma ci stavano. Si bipartivano in artigiani e studenti. I Figli di Maria, distinti nelle loro tre classi, formavano un corpo a sè; intorno ad essi non abbiamo qui più nulla da aggiungere.
Parrà strano che fino al '75 non esistesse un programma stampato sulle condizioni per l'accettazione dei giovani; eppure è così: s'andava proprio alla patriarcale. La bozza pervenutaci[127] è impreziosita da due righe autografe di Don Bosco. Fra i certificati richiesti per gli studenti, fosse dimenticanza o altro, mancava quello di buona condotta rilasciato dal parroco. Don Bosco all'articolo 5° aggiunge sulla bozza: “di scuola, e di buona condotta dal parroco. Quest'ultimo certificato è assolutamente necessario”.
Il '75 segna un buon passo avanti nell'andamento dei laboratori, che s'incamminavano sempre più a diventare vere Scuole professionali. La scuola per gli artigiani, che finiva con l'anno scolastico degli studenti, fu proseguita anche dopo. Questa scuola, limitata precedentemente alle ultime ore della sera, si prese a fare anche di mattino, appena terminata la [216] Messa, a cui gli artigiani assistevano da soli, come oggi, subito dopo la levata.
Oltre all'avviamento didattico, se ne migliorò pure lo stato disciplinare. Così si provvide a isolarli completamente dagli esterni col non lasciar più che entrassero in casa giovani espulsi da poco tempo; e poichè alcuni di questi tali erano musici e in certe occasioni venivano chiamati a sonare, fu ingiunto al maestro della banda che non ne invitasse mai più. Fino allora agli artigiani erasi permesso di tenere bauli nelle camere, cosa che poteva celare pericoli; ai bauli vennero sostituite cassette aperte. Intorno al loro cortile scomparvero tutti i nascondigli su o giù per le scale dalla parte tanto della chiesa che della nuova casa di via Cottolengo. Infine si ebbe la nomina di un catechista, che si occupasse esclusivamente degli artigiani col titolo di direttore degli artigiani.
Degno di nota è che Don Bosco non vedeva bene che gli artigiani cambiassero mestiere, ritenendo che da ciò provenisse loro gran danno. Perciò il 30 maggio ammonì chi di ragione che tali cambiamenti non si permettessero. “Bisogna proprio, disse, che chi viene per una determinata cosa faccia quella e non altra. Quanti cambiamenti si sono già fatti! E quasi tutti riuscirono male”.
Riguardo agli studenti, per non ammannire cose che sappiano di rifritto, restringiamoci a registrare poche particolarità del '75, riferentisi alle scuole e agli studi dell'Oratorio, intercalandovi alcune idee pedagogiche di Don Bosco.
Il fatto speciale più meritevole di essere segnalato è un'appendice provvisoria e ardimentosa alle scuole interne, ispirata a Don Bosco dal suo zelo inesauribile per il bene della gioventù. Un bel giorno, a pochi passi da Maria Ausiliatrice, una scuola elementare gratuita dei protestanti aperse le sue aule ai giovinetti del vicinato. I denari profusi a bizzeffe purtroppo accalappiavano la povera gente. Era una sfida e Don Bosco la raccolse. Da donare egli non aveva gran che: qualche regaluccio a quelli che la domenica frequentavano [217] l'oratorio festivo, e nulla più. Ma gl'interni pregavano e facevano molte comunioni, perchè egli riuscisse a strappare da mani insidiose le anime dei piccoli. Aperse dunque anche lui nell'Oratorio una scuola somigliante per esterni, affidandone la direzione a Don Milanesio. Questi vi dedicò tutto se stesso, apportando nell'opera quegli spiriti missionari, di cui diede più tardi luminose prove nella Patagonia. L'effetto fu che le scuole protestantiche a poco a poco si spopolarono, finchè tra l'aprile e il maggio del'75 rimasero completamente deserte: tutti i piccoli insidiati gremivano ormai le scuole di Don Bosco, e gli emissari dell'eresia chiusero bottega e se ne tornarono con le pive nel sacco là donde con tanta petulanza erano venuti.
Cessato il pericolo, Don Bosco non lasciò in asso i nuovi figliuoli; anzi fece ancor meglio. Per il nuovo anno scolastico ’75 - '76 quelle scuole esterne furono trasferite in sede più comoda, nella casa Catellino acquistata di fresco; cosicchè, se essa non potè venire adibita per i Figli di Maria, ai quali Don Bosco l'aveva destinata, rese quest'altro servigio non meno provvidenziale.
Neppure nel ginnasio degli interni Don Bosco chiudeva la porta agli esterni. E crescere della popolazione nel nascente quartiere di Valdocco faceva ognor più sentire il bisogno di scuole secondarie non troppo lontane; Don Bosco per alcuni anni vi sopperì, tollerando quella mescolanza. Ma egli non si contentava che agli esterni s'impartisse l'insegnamento: nel mese di gennaio stabilì che anch'essi prendessero parte con i loro condiscepoli alle funzioni religiose nella chiesa di Maria Ausiliatrice e volle che non si facesse “nessuna eccezione per nessun motivo”.
Don Bosco sorvegliava le sue scuole e tendeva l'orecchio alle voci che correvano fra gli scolari sul conto dei loro insegnanti. Appunto per osservazioni udite e riscontrate vere un giorno paternamente disse a taluni de' suoi, e noi riassumeremo il suo dire dagli appunti di Don Barberis: “Generalmente [218] i professori tendono a compiacersi degli allievi, che primeggiano per studio e per ingegno e spiegando mirano solo ad essi. Quando i primi della classe hanno capito bene, sono pienamente soddisfatti e così proseguono sino alla fine dell'anno. Invece con chi è corto di mente o poco avanti nello studio, si adirano e finiscono con lasciarli in un cantone senza più curarsi di loro.
Io invece sono di parere affatto opposto. Credo che sia dovere di ogni professore tener d'occhio i più meschini della classe; interrogarli più spesso degli altri, per loro fermarsi più a lungo nelle spiegazioni e ripetere, ripetere, finchè non abbiano capito, adattare i compiti e le lezioni alla loro capacità. Se l'insegnante tiene un metodo contrario a questo, non fa scuola agli scolari, ma ad alcuni degli scolari.
Per occupare convenientemente gli alunni d'ingegno più svegliato, si assegnino compiti e lezioni di supererogazione, premiandoli con punti di diligenza. Piuttostochè trascurare i più tardi, si dispensino da cose accessorie; ma le materie principali si adattino interamente a loro.
Vorrei inoltre che le spiegazioni fossero attaccate al testo, spiegandone bene le parole. Andare nelle regioni elevate mi sembra un battere l'aria.
E sono anche di parere che s'interroghi molto e molto, e, se possibile, non si lasci passar giorno senza interrogare tutti. Da ciò si trarrebbero vantaggi incalcolabili. Invece sento che qualche professore entra in classe, interroga uno o due, e poi senz'altro fa la sua spiegazione. Questo metodo non lo vorrei nemmanco nell'Università. Interrogare, interrogare molto, interrogare moltissimo; quanto più si fanno parlare gli scolari, tanto più il profitto aumenta.
E non si critichino i testi. Ci vuol poco a metterli in discredito dinanzi ai giovani; perduta poi che questi ne abbiano la stima, non li studiano più. Si può aggiungere quel che manca, dettandolo; ma critiche, no, mai”.
Si studiava dunque o non si studiava nell'Oratorio? Antica [219] fama diceva di sì. Se non che nell'agosto del '75 l'Ordinario torinese scrisse a Roma queste righe dopo gli esami della vestizione chiericale datisi in seminario: “Nove giovanetti vi vennero dalle scuole di Don Bosco: quattro furono rimandati, perchè sforniti di buona condotta; gli altri cinque, benchè ammessi, sono debolissimi negli studi, e nessuno ebbe pieni voti”[128]. Vuol dire voti sufficienti in tutte quante le materie.
Sembra che Monsignore non fosse bene informato. Osserveremo anzitutto che quei “giovanetti” avevano un'età che andava dai 16 a 21 anni, come risulta dai registri. Inoltre i registri del seminario ci fanno sapere che, provenienti dall'Oratorio di Don Bosco, si presentarono in quell'agosto non già nove, ma sette candidati, dei quali tre furono ammessi, due rimandati al '76 e due respinti. Due degli ammessi avevano fatto la quinta ginnasiale, uno anzi portava il diploma della licenza. Tutti gli altri cinque erano della quarta. Per amor di verità dobbiamo aggiungere che i registri dell'Oratorio ce ne danno ancora uno come presentatosi all'esame in seminario, anch'esso della quarta; ma in quegli altri registri figura come alunno della quinta presso la scuola privata di un tal prof. Ferrero. Egli, dunque, aveva preferito compiere così privatamente il ginnasio, durante le vacanze. Ebbe l'ammissione.
Intorno a quest'ultimo dobbiamo aggiungere qualche altra notizia. Di famiglia chierese, ma nato a Torino, amantissimo delle cose di pietà e fornito di grande ingegno, aspirava al sacerdozio. Sua madre, volendo a ogni costo preservarlo dai pericoli delle pubbliche scuole, ottenne di mandarlo a frequentare il ginnasio dell'Oratorio come esterno. Don Bosco lo aveva molto caro. Dopo le prime quattro classi, egli vestì l'abito chiericale nell'autunno del '75; ma rimase nel seminario un anno solo, perchè chiamato a vita più perfetta. [220] Egli fu il padre Giuseppe Chiaudano, predecessore del padre Rosa nella direzione della Civiltà Cattolica.
Se vi furono impedimenti derivati dalla condotta, è chiaro che dovettero valere per i soli due respinti. Ma non è probabile che vi fossero, perchè nei medesimi registri si nota che quei due avevano i loro certificati in regola; d'altra parte basta dare un'occhiata ai voti finali dell'esame chiericale e alle votazioni ordinarie dell'Oratorio, perchè salti subito agli occhi la loro deficienza intellettuale: questa dunque, e non la condotta, ne determinò l'esclusione. Quanto agli altri si comprende facilmente come da alunni della quarta in una prova di maturità ginnasiale non si avesse il diritto di pretendere medie elevate.
Ma che nell'Oratorio si studiasse, abbiamo carta che canta, e sono i registri d'esame dei R. C Ginnasio “Monviso”, ora “Massimo d'Azeglio”. Ne risulta quanto segue. Nell'anno 1875 si presentarono ivi dall'Oratorio quindici candidati alla licenza ginnasiale, di cui quattordici furono licenziati. Non ci siamo permesso di estendere le nostre indagini fino al punto da poter formulare un giudizio comparativo generale; ma nulla ci vieta d'istituire un confronto almeno fra tutti i candidati privatisti. Essi furono 87, di cui 59 licenziati. Nella graduatoria di questi ultimi gli alunni dell'Oratorio vanno così distribuiti: 2°, 3° (due), 4°, 5° (tre), 7° (due), 9° (due), 11°, 14°, 17°. Il primo dei privatisti riportò una votazione superiore anche a quelle di tutti i pubblicisti: si chiamava Antonio Ronco e proveniva dal Collegio Salesiano di Alassio[129].
Abbiamo guardato pure ai due anni successivi. Nel '76 si presentarono 17 e furono licenziati 16; nel '77 candidati 32, licenziati 30, di cui due con particolare attestato di lode. [221]
Le due cose nella Casa di Don Bosco si davano amichevolmente la mano. Il vecchio e buon coadiutore Enria verso il '75 vide e udì alcuni signori, che, trasecolati allo spettacolo di tanti giovani nella sala di studio silenziosi e intenti ai loro doveri, dissero a Don Bosco che li accompagnava a visitare la Casa:
- Per mantenere così la disciplina ci vorrà un bel numero di assistenti!
- Osservino, rispose Don Bosco; ve n'è uno solo.
- Ma allora chi sa che rigore si userà!
- Vedano; ciò che rende questi giovani buoni e studiosi non è il timore dei castighi, ma il timore di Dio e la frequenza dei Santi Sacramenti. Ecco ciò che fa fare miracoli alla gioventù.
Questo meravigliarsi era naturalissimo. Sembrava a tanti inesplicabile che nell'Oratorio non succedessero certi disordini che si contavano di altri collegi, dove spesso non si riusciva a tenere in freno i ragazzi. Ma gli estranei non conoscevano i segreti dell'Oratorio. Un giorno, sul principio di giugno del '75, Don Bosco ne enumerò sette. Eccoli in breve:
1° I giovani erano poveri, mantenuti gratuitamente o a pensione assai ridotta. Ben sapendo che i cattivi si mandavano via e che gli espulsi non avevano più ove dar del capo, stavano bene in guardia per non farne delle grosse.
2° Vi era grandissima frequenza ai Sacramenti; onde s'imparava a operare per principio di coscienza e non per paura di castighi.
3° Tutto il personale (superiori, maestri, assistenti, cuochi) apparteneva alla Congregazione, senza promiscuità perciò di “esseri eterogenei”. [222]
4° Vi si facevano molte speciali conferenzine, a cui volentieri partecipavano i giovani migliori, che, non costretti, vi trovavano un pascolo adattato per loro.
5° I superiori davano molta confidenza e amavano stare in mezzo ai giovani, ma sempre in modo da scansare le soverchie familiarità.
6° Mezzo potente di persuasione al bene era quel rivolgere ai giovani due parole confidenziali ogni sera dopo le orazioni. Li si tagliava la radice ai disordini, prima ancora che nascessero.
7° Allegria, canto, musica e libertà grande nei divertimenti.
L'ottimismo però di Don Bosco non lo accecava nè gli faceva venire le traveggole: la realtà che lo circondava, non isfuggiva al suo sguardo indagatore. Egli vedeva in genere la difficoltà di condurre avanti veramente bene una Casa tanto complessa, che da un momento all'altro avrebbe potuto diventare una babele; vedeva poi in ispecie e non si dissimulava i mancamenti che di quando in quando vi si commettevano. Ma se in casi eccezionali non ometteva di ricorrere a rimedi estremi, egli possedeva in sommo grado l'arte di prevenire.
Ecco, per esempio, un rimedio preventivo, semplice ed efficace che salta agli occhi di chi sfoglia i registri delle pensioni. Rarissimi sono i giovani nuovi, per i quali vi stia scritto: “Gratis in tutto”. Sotto una cifra che va da un minimo di 5 lire mensili a un massimo di 24, leggiamo quasi sempre: “Per il primo trimestre; dopo...”. Il “dopo” nel secondo trimestre è in ragione diretta delle possibilità dei parenti o dei benefattori; quindi ora “gratis in tutto”, ora “sole provviste”, ora riduzione varia. Ebbene questo sistema produceva salutarissimi effetti. I nuovi venuti, nella speranza del benefizio, stavano attenti a fare il loro dovere; i genitori o chi per essi, che non di rado si toglievano il pane dalla bocca per mettere insieme la sommetta mensile, premevano sul ragazzo, perchè [223] si comportasse in guisa da meritare la grazia. Frattanto in tre mesi di sforzi e di regolarità i novellini si abituavano all'ordine, allo studio e alla pietà, la qual cosa diventava in seguito la loro salvezza.
Ma che gran preservativo era poi la bontà di Don Bosco verso i giovani! In chiunque della Casa egli s'imbattesse, il suo animo paterno gli dettava sempre un'affettuosa parola; il che contribuiva a produrre serenità di ambiente e desiderio di piacergli. Vediamo alcuni di simili incontri, dei quali è cenno nelle memorie di quest'anno.
Un giorno nell'uscire si volse al portiere e gli disse: - Ho letto la tua lettera e ne terrò gran conto. Sta' sicuro che Don Bosco pensa molto a te e, se conosce cosa che ti possa giovare, la fa sempre assai volentieri. - Un'altra volta, rientrando, nel passar vicino al giovane Deppert che in quel momento accudiva alla porteria, gli disse posandogli la mano sul capo: - Voglio che fra breve tu deponga quest'abito e vesta quello di chierico. Tu hai posta la fiducia in Don Bosco, e Don Bosco non ti lascerà mai indietro. Egli pensa molto a te e cerca la maniera di renderti felice in questo mondo e nell'altro. - Il Deppert divenne infatti un degno sacerdote Salesiano.
A un chierico Trivero che aveva presentato la domanda di andare alle Missioni disse in tono festevole: - Ecco qui il nostro campione! Voglio che ne facciamo un piccolo San Francesco Saverio. Io ti tengo in gran conto; faccio molto assegnamento su di te. Siamo sempre amici, non è vero? Lascia fare. Purchè tu mi aiuti... e poi... e poi... vedrai. Il chierico morì santamente a S. Benigno nel '79.
Ad un. gruppetto di giovani che nel cortile, mentr'egli lo attraversava, gli si erano accostati per baciargli la mano, tralasciando di sbocconcellare la loro pagnottella: - Fate, fate la colazione; non dimenticatela mai. Giocate, correte, ricreatevi, io ne sono contento. Guardate solo di non farvi male e di star buoni.
Visitava i giovani ammalati fermandosi a bell'agio nella [224] infermeria presso il letto dei singoli e anche ponendosi a sedere e a parlare della scuola, della casa, dei parenti, del parroco. Don Vacchina, oggi missionario nell'America e allora giovanetto nell'Oratorio, scrive che nel '75, essendo infermo, Don Bosco s'intrattenne a discorrere con lui, come se null'altro avesse da fare; gli diceva di un altare che avrebbe fatto mettere là, perchè tutte le mattine si celebrasse Messa, e trattava con lui del luogo più adatto.
Il medesimo Vacchina, uscito che fu dall'infermeria, andava attorno debole e pallido, quando Don Bosco, incontratolo nel cortile, e chiestogli del suo stato, gli disse: - Fa' del moto, passeggia; non qui però, ma fuori, all'aria libera. Passava in quell'istante il chierico Giordatto futuro direttore della Casa di Loreto, e Don Bosco gli disse: - Avvisa il prefetto, e per due settimane conduci questo giovane un'ora e anche più a passeggio nei dintorni di Torino. -
L'aureola di bontà che gli splendeva in fronte, esercitava un fascino irresistibile sui giovani. Bastava ch'ei comparisse in cortile, perchè tosto al primo vederlo fosse un corrergli attorno per baciargli la mano e stare vicino a lui, ed egli a parlare, a ridere, a scherzare, volgendo qua e là lo sguardo benigno e accostando l'orecchio a chi mostrasse di aver segreti da confidargli. I giovani insomma lo amavano e godevano di attestargli il loro amore. - Don Bosco per noi era tutto - dice Don Nai. Ben si appose il vescovo argentino mons. Alberti, togliendo a dimostrare nel suo discorso per le feste della beatificazione che Don Bosco educatore ebbe del pedagogo il puro necessario, del carabiniere niente, del padre tutto.
Soprannaturale mezzo preventivo era finalmente la pietà. Nessuna pressione morale a frequentare i Sacramenti; anzi, i superiori si sarebbe detto che non ci badavano nemmeno. La cronaca del '75 nota: “Una cinquantina fanno la Comunione quotidiana o quasi; circa duecento oltre la domenica, una volta lungo la settimana; trecento e più tutte le settimane; [225] rarissimi quelli che si comunicano una volta al mese. Questi tali, se continuano così, sono poi quelli che si fermano poco nell'Oratorio, ma o se ne vanno o sono mandati via”. Allora tutto questo era nuovo e inusitato nelle case di educazione.
L'anno 1875 ci viene segnalato per il fiorire delle Compagnie, focolari di pietà e coefficienti di buon ordine. Ve ne erano sei. La più numerosa, quella di San Luigi, comprendeva quasi la metà dei giovani, che avevano le loro conferenze una volta al mese. La Compagnia del Santissimo Sacramento, molto fervorosa, si componeva di cento giovani, scelti fra i migliori, di cui buon numero apparteneva alla quinta ginnasiale. Il Piccolo Clero si formava con gli ottimi della Compagnia precedente, che erano anche i primi nelle classi, sommando a una sessantina; essi tenevano speciali adunanze nelle maggiori solennità. Alla Compagnia dell'Immacolata Concezione appartenevano i sceltissimi fra i scelti: pochi e maturi. Questi non palesavano a nessuno ciò che si faceva nelle conferenze. Oltre all'esemplarità della condotta e all'onorare fervidamente Maria Santissima, avevano per fine specifico di prendere sotto la loro protezione i giovani più discoli dell'Oratorio. A ogni socio si assegnava la cura di qualcuno, perchè gli andasse insieme, lo facesse giocare e lo animasse al bene. Tutti i giovedì poi nella conferenza regolamentare ognuno riferiva sul proprio cliente; quindi il moderatore della Compagnia impartiva istruzioni generali per il buon andamento della Casa. La quinta, la Conferenza di San Vincenzo, riserbata agli adulti che attendevano a occupazioni domestiche, aveva per iscopo di fare il catechismo ai giovinetti nell'oratorio festivo; erano una trentina e si adunavano la domenica a sera. Gli artigiani avevano poi una compagnia di San Giuseppe, fatta esclusivamente per loro.
Ancora una parola sul Piccolo Clero e un'altra sopra certi peculiari effetti di queste compagnie.
I chierichetti di Maria Ausiliatrice sapevano egregiamente le cerimonie, e le eseguivano con edificante esattezza e gravità, [226] conforme all'ideale di Don Bosco, che mirava con questo mezzo a onorare Dio, a imprimere in tutti un alto concetto del divin culto ed a favorire nei giovani lo sviluppo della vocazione ecclesiastica. Don Rua, nei verbali autografi già citati, interpreta motto bene il pensiero di Don Bosco, scrivendo in appendice al resoconto di una seduta del 21 marzo queste bellissime parole: “La carità, la buona grazia nel disporre quanto occorre pel servizio religioso, la gravità, la compostezza e una sincera divozione durante le sacre funzioni saranno come incenso odoroso al cospetto di Dio e formeranno l'edificazione dei fedeli”.
Da tutto questo sistema di Compagnie derivavano due vantaggi di somma importanza, ma senza che gl'inscritti se n'avvedessero. Uno era l'entrare in intima relazione coi superiori. Siccome inoltre vigeva la consuetudine che col crescere dell'età si passasse da una Compagnia di minor grado a una Compagnia di grado più elevato, senza che si cessasse di appartenere alla precedente, ecco un secondo effetto: il progredire di molti nella virtù. Per questa via Don Bosco insensibilmente condusse fino alle soglie della Congregazione i giovani di più elette speranze, i quali, entrando nel noviziato, non cascavano di botto in un mondo nuovo, nella vi arrivavano predisposti e preparati dal tirocinio delle Compagnie, che nel loro ordinamento rispecchiavano le regole e lo spirito della Pia Società, sicchè la proposta di salire a maggior perfezione non destava sorpresa.
Nella vita dell'Oratorio, avvenimento di capitale importanza era l'onomastico di Don Bosco: una festa preparata alla lunga, ansiosamente attesa, apportatrice di allegria, feconda di preziosi frutti. Trionfava in essa l'espressione dell'amor filiale.
Dal 7 giugno Don Bosco visitava i collegi di Sampierdarena, Varazze e Alassio. Don Rua, la sera del 21, annunziandone [227] il ritorno per il dì appresso, menzionò il simbolico mazzo di fiori solito a offrirglisi nella vigilia, ma per avere il destro di rammentare a tutti, che una bella Comunione generale nel mattino della festa sarebbe stata il miglior mazzolino che si potesse presentare al festeggiato.
Il buon Padre giunse, mentre i giovani uscivano in fila per andare in refettorio. Vederlo spuntare dalla porteria e volare in massa verso di lui, gridando: - Viva Don Bosco! - fu un punto solo. Dopo le orazioni egli ascese sulla cattedra della "buona notte" e parlò così.
Eccomi di nuovo in mezzo a voi, miei cari figliuoli. Sono partito senza neppure domandarvi il permesso nè salutarvi. Un'altra volta non partirò più senza dirvelo. Sono stato in questi giorni a far visita ai collegi di Alassio, Varazze, Sampierdarena e Borgo S. Martino. Ho trovato tutte le cose bene: una quantità sterminata di giovani che poco più, poco meno sono dell'età vostra, hanno i vostri costumi ed anche sono buoni come voi. Erano tutti ansiosi di sapere vostre notizie ed io le dava loro e sempre molto buone. In questo, secondo il mio solito, non solo diceva le cose come realmente sono, ma diceva anche quello che io desidererei che fossero. Essi si mostravano contenti e ora si sforzano di fare altrettanto.
Ma in questo momento un pensiero mi conturba. Bisogna che io vi dica che se fui molto contento della maggior parte di voi, non lo sono però di tutti. Vi fu un piccolo numero che veramente si diportò male. Io aveva già incominciata una lettera indirizzata a D. Rua, dicendogli che prendesse misure severe con questi tali. Non ebbi tempo a finirla e non l'ho mandata. Ora starò un po' a vedere se questi tali si metteranno intieramente all'ordine; poichè, in caso contrario, io sarei costretto a fare ciò che pur troppo ho già dovuto fare con altri, allontanarli cioè dalla casa.
Passiamo ad altro. Facciamo tutti bene e d'accordo queste feste di S. Giovanni, di S. Luigi e di S. Pietro e ne saremo contenti...
Fin dalla vigilia l'allegria dominava sovrana nell'Oratorio. La pioggia obbligò ad abbandonare il cortile, dove tutto era preparato per l'accademia. Fu ornata invece la gran sala dello studio. Al posto della cattedra sorgeva il trono di Don Bosco; lo fiancheggiavano numerose sedie per forestieri e superiori. A destra presero posto i cantori sopra un palco [228] improvvisato, a sinistra gli studenti, e in faccia gli artigiani.
Don Bosco, dopo aver confessato parecchie ore, vi fece l'ingresso verso le 10 fra un subbisso di applausi e salutato da un inno di Don Lemoyne, che fu subito eseguito in musica su note di Don Cagliero. Anche l'anno innanzi Don Lemoyne aveva letto la sua poesia, buscandosi però un'osservazione da parte di un lettore. Ce lo dice Don Rua ne' suoi verbali autografi dei Capitoli oratoriani sotto il 21 giugno 1874, con la postilla seguente: “Questi la fece assai bene, ma fu notata di un po' d'esagerazione dall'Arcivescovo”. Se in quei versi il dente della critica si arrestò lì, ebbe il poeta ogni ragione di andare in solluchero.
All'inno seguirono declamazioni e letture, e infine l'offerta dei doni. Erano oggetti di chiesa. Furono acquistati con i soldini dei giovani, che, poveretti, mostrarono il loro buon cuore mettendo insieme lire 200, Cioè 113 gli artigiani e 87 gli studenti. Il trattenimento durò appena un'oretta. Don Bosco parlò per ultimo. Espresso il gran contento che provava e ringraziati tutti, proseguì:
I più han letto in poesia, ed ai poeti è lecita l'esagerazione. Le cose che si dissero non mi convenivano; tuttavia fan vedere il vostro buon cuore e per questa parte accetto le vostre lodi. La maggior parte dei lettori finiva dicendo: - Non avendo altro da offrirle, le offro il cuore e prometto per l'avvenire di contentare Don Bosco con la mia condotta. - Oh, sì, questo è che io desidero. Non vi chieggo altro, se non che mi lasciate padrone del vostro cuore, affinchè possiamo ornarlo di tante virtù e presentarlo così a S. Giovanni, perchè l'offra a Dio. Io, e già ve lo dissi altre volte, la vita l'ho consecrata tutta per voi; e ciò che dico di me lo dico di tutti i vostri Superiori che mi aiutano a salvare le anime vostre; come anche è inteso che quello che dite di me (che io faccio, che io m'impegno, che io mi sacrifico) intendete dirlo non di me in particolare, ma di tutti coloro che con me si affaticano pel vostro bene. Intanto io vi assicuro che tutto quello che ho potuto fare per voi l'ho sempre fatto: non posso promettervi di fare ancora di più, ma vi prometto che continuerò a lavorare per la gioventù, finchè il Signore vorrà conservarmi in vita. [229] Il 24 spuntò sereno. Generale la Comunione; vivissimo il giubilo dei giovani nell'uscir di chiesa. Don Bosco, che aveva confessato tutta la mattina, disse Messa verso le 10. Quando egli si avviò al refettorio per prendere un po' di ristoro e la comunità rientrava in chiesa per la Messa solenne, ecco arrivare la banda musicale esterna, seguita da moltissimi uomini, con i quali si avanzarono gli ex - allievi, recando anch'essi i loro doni.
La banda si componeva anch'essa di ex - allievi. Il medesimo Don Bosco li aveva esortati a formare così un buon corpo musicale per dar a Torino una banda cristiana. Anche un regolamento egli aveva compilato per loro: non accettare nella società se non allievi dell'Oratorio, ma tener lontani gli espulsi; frequentare i Sacramenti; non andar a sonare in teatri; prestarsi volentieri a sacre funzioni; aiutarsi a vicenda. L'idea di Don Bosco in pochi mesi divenne un fatto compiuto: trenta giovinotti fra i migliori elementi, che fossero usciti dall'Oratorio, eransi costituiti in società di musicanti.
L'appello per la filiale dimostrazione era partito naturalmente da Gastini. Mercè le loro modeste oblazioni fu acquistato e offerto a nome anche degli assenti un bel ostensorio a raggi, alto circa un metro. Non mancarono poesie e prose, nè le amenità di Gastini. Don Bosco, fatti i più cordiali ringraziamenti, li invitò a pranzo. Altri regali gli pervennero; ma più d'ogni altro dono lo consolarono le lettere, riboccanti di tenerezza, di riconoscenza e di generosi sensi.
Solenni e divote riuscirono le funzioni sacre. Verso sera diede Don Bosco la benedizione col Santissimo Sacramento; il qual atto rallegrò tutti, poichè soltanto due o tre volte all'anno egli lo compieva, nè mai cantava Messa se non nella notte di Natale. Ai vespri solenni non presiedette più dal 1850 in poi.
Al tramonto il cielo velato si sciolse nuovamente in pioggia, sicchè per la seconda dimostrazione bisognò tornare nello studio. La prima accademiola Soleva essere cosa di famiglia; [230] ma alla sera della festa intervenivano molti invitati. I nobili convittori di Valsalice, finito che fu il canto dell'inno, presentarono a Don Bosco un magnifico lampadario. Vennero pure circa duecento ragazzi dell'oratorio festivo, che lessero un indirizzo e offersero il loro mazzo di fiori. Don Bosco rese grazie vivissime ai presenti; indi espose i motivi della contentezza che allora gl'inondava il cuore.
Voi mi avete espresse belle cose tra ieri e questa sera. Oh potessi io estendere a molte altre migliaia di giovani abbandonati i benefizi e le cure che a voi si compartono! Il pensiero che tanti giovani sono derelitti, senza padre, senza amici, senza consiglieri, privi di ogni cosa necessaria alla vita materiale e alla vita morale, che nessuno pensa a loro, mi pare che deve anche in voi far nascere pensieri di gratitudine verso la Divina Provvidenza e la volontà di servirvi in bene dei favori che Essa vi comparte. Per carità, corrispondete. Se sapeste quanti pericoli corrono coloro che sono nel mondo, e quanti si lasciano lusingare dalle sue apparenze. Eppure guardate. Di necessario non c’è altro che salvarsi l'anima. Oh questo pensiero com'è importante! Molti di voi mi auguravano tanti anni di vita. No, miei cari. È un errore il desiderare di vivere tanto. Siamo nelle mani della Divina Provvidenza. Quello che importa si è che, o si viva molto, o si viva poco, s'impieghi bene la vita che Dio ci dona; ma impiegarla proprio tutta a suo onore e gloria. Del resto poi il più e il meno lasciamolo nelle mani, di Dio e che egli disponga di noi come meglio gli piace.
A questo punto, scandendo bene le parole, conchiuse: “Con la ritiratezza, la mortificazione e il zelo per la gloria di Dio, S. Giovanni Battista si fece il più gran Santo del paradiso”.
Vi fu ancora il dì dopo un'appendice alla festa. Nel pomeriggio del 25 arrivarono centocinquanta giovanetti dell'oratorio di S. Luigi, guidati dal loro maestro Macagno coadiutore e da Don Abrate, che, tenendo colà un ginnasio privato, aveva unito agli oratoriani parecchi suoi alunni vicini a dar l'esame della vestizione chiericale. Venivano a porgere i loro auguri. Don Bosco li ricevette nella biblioteca. Fece le presentazioni Don Guanella, Direttore di quell'oratorio festivo. Il buon Padre ascoltò amorevole e poi disse: [231] Io vi ringrazio di questi bei mazzetti di fiori che mi avete portati e delle cose dettemi nelle vostre poesie e lettere. Sono contento molto di quanto avete fatto. È però tutta bontà di coloro che vi guidano, poichè ad essi e non a me dovete i sentimenti di riconoscenza e di gratitudine manifestati. Sono essi che si occupano di voi: io per voi non fo niente. Ringraziate D. Luigi Guanella, D. Abrate, il sig. maestro Macagno.
Ciò che io vi posso raccomandare è questo. Andate sempre e volentieri ogni domenica all'oratorio, sia al mattino che alla sera. Conducetevi anche dei compagni. Veramente il locale che ora serve di oratorio è piuttosto un bugigattolo che una cappella; ma spero che quanto prima avrete un locale molto più adatto, più vasto, più comodo, e divertimenti migliori e in maggiore quantità. Io sono contento che vi divertiate, che giochiate, che siate allegri; è questo un metodo per farvi santi come S. Luigi, purchè procuriate di non commettere peccati. Se poi avrete qualche speciale bisogno, indirizzatevi a D. Luigi. Egli me ne parlerà ed io per certo accetterò qui in casa molto più volentieri quelli che frequentano gli oratori e tengono buona condotta, che non qualunque altro. Ora ditemi un po': quando, a quale età bisogna cominciare a farsi buoni?
- Da piccini! rispose una voce. E un'altra: Fin dalla più tenera età.
Bene, miei cari, continuò D. Bosco; fin dalla più tenera età. Che cosa sarebbe stato di S. Luigi se avesse voluto aspettare a farsi buono in età avanzata? Non avrebbe avuto tempo. Se avesse un po' detto: - Quando avrò - 25 anni, mi metterò sulla buona strada - sarebbe morto senza poter eseguire il suo disegno. Cominciate dunque subito a farvi buoni. S. Luigi a quattro anni si può dire che si era già consacrato tutto al Signore. Voi avete già tutti più di quattro anni. Coraggio adunque; siate allegri, obbedienti ed il Signore vi benedirà.
Vi raccomando tra le altre cose di propagare la compagnia di San Luigi nell'Oratorio: si facciano iscrivere molti e si osservino le regole.
Spero di vedervi altre volte; o voi verrete qui a trovar me, ed io sarò sempre contento quando verrete; o verrò io qualche volta a trovare voi. Bisogna poi che si scelga qualche festa, in cui tutti facciate la vostra Confessione e la Comunione, s'intende chi è promosso; ed io procurerò che in quel giorno non manchi una buona pagnotta da colazione con una bella fetta di salame per accompagnarla.
Statemi dunque allegri, ricordatevi anche di pregare per me e siate sempre riconoscenti ai vostri benefattori.
Pregato di benedirli, accondiscese; poscia, allegri e contenti, i giovanetti ripresero la via delle loto case, accompagnati dai maestri. [232] Seicento lettere de' suoi giovani gli piovvero in camera durante quei giorni. Non contenevano esse puramente auguri e felicitazioni, ma domande di consigli sulla vocazione, desideri da appagare, dubbi da sciogliere, regolamenti di vita; le dovette leggere, dovette anche un po' alla volta mostrare di averle lette, rispondendo or all'uno or all'altro, secondo i casi.
Le "buone notti" di Don Bosco illuminano la vita nell'Oratorio agli occhi nostri, come già la informarono allorchè furono pronunziate. Attraverso le pochissime tramandate a noi per iscritto ci si discoprono oggi alcuni lati di quella vita quotidiana, che neppure una cronaca sarebbe riuscita a fissare; intorno poi alle feste domestiche ci apprendono un insieme di particolarità, che non sapremmo dove meglio collocare altrove nel corso di questa storia. Noi le disporremo cronologicamente, illustrandone, ove occorra, il contenuto con brevi osservazioni.
18 aprile. Patrocinio di S. Giuseppe; modo di onorare i Santi.
Oggi, miei cari, abbiamo celebrato il Patrocinio di S. Giuseppe ed ho da dirlo con vera soddisfazione: sono contento! Contento di tutti voi, e contento massimamente, perchè veggo molti e molti, non solo attenti, ma diligenti in tutti i loro doveri; in chiesa e fuori, in refettorio, dormitorio, studio e scuola. A costoro attesto tutta la mia soddisfazione, perchè mi recano veramente piacere.
Ma per altro, se ho da dire una parola di lode ai buoni, non è meno vero che me ne rimanga un'altra di rimprovero per coloro che non sono cattivi, ma, come si suol dire, nè freddi nè caldi (i quali però avvicinandosi l'estate speriamo che accresceranno il fervore), quelli cioè che sanno essere cosa buona andare in chiesa, cosa buona il pregare, lo stare attenti ai proprii doveri: lo sanno e lo dicono, ma per essi altro è il sapere e altro il fare, perchè loro sembra di trovarsi in mezzo ad un ostacolo gravissimo che impedisca l'operare; e questo è realmente la loro indifferenza.
A questo proposito mi occorse pochi giorni sono un episodio ridicolo. Uno di costoro in compagnia d'altri venne in sagrestia a fine di confessarsi. Ma cosa singolare! Era venuto per confessarsi e [233] ad ogni tratto si ritirava un pochino per dare luogo ai compagni che erano venuti con vero fine di aprire il loro cuore e purgarsi dalle loro colpe. Infine veniva il suo turno e poichè vi erano più pochi giovani, era necessario che si avanzasse. Voi direte che egli si sia avvicinato ed abbia fatta la sua confessione. È uno scherzo il vostro, perchè il mio penitente invita il compagno vicino ad andare prima di lui. L'amico gli risponde:
- Va' tu, gli dice l'altro sottovoce.
- No, va' tu! gli ripete l'amico.
- Piglialo tu il posto - riprende quello stordito.
E così dicendo si ritraeva indietro per dar luogo agli altri. Un momento appresso si sente il rumore, prodotto dal cesto del pane nell'atto che lo deponevano e, gambe aiutatemi, mi scivola via come un daino.
Eh! che volontà di confessarsi! Quanto ho detto però sia tra parentesi, che io la tengo per una ragazzata; ma con ciò, ripigliando il filo del discorso, volevo dirvi che costoro sanno che è bene l'essere buono, ma però non vogliono mai mettersi di proposito a far bene. E ne sapete il motivo? Ecco: si credono taluni che per essere buoni, basti conoscere le cose: così per essere divoti di S. Giuseppe, basti saperne la vita od alcuni tratti. Vedete errore! Miei cari, non è così, ma ci vuol qualche cosa di più. Bisogna conoscere e praticare le cose buone per esser buoni. Così, ad esempio, è bello saper che è cosa buona stare in chiesa a pregare: ma di più si deve pregare e pregar bene; è bello sapere che è cosa buona l'andare a confessarsi e andarvi: ma andarci di vero proposito pel bene dell'anima. Nemmeno basta la divozione di affetti e preghiere lì per aria, ma ci vogliono ferme risoluzioni e poi emendamento. Così si onorano i santi. Credetelo; l'errore contrario è pur troppo comune ed è error grande.
Finisco. Volete essere veri divoti di S. Giuseppe? Fate di essere i veri imitatori delle sue virtù e in fin di vita vi troverete contenti. Buona notte.
Le due parlate che seguono, si aggirano intorno agli esercizi spirituali degli studenti. Li predicarono Don Costamagna per le istruzioni e Don Dalmazzo per le meditazioni. Don Bosco li dice entrambi “della Casa”, sebbene uno dirigesse le Suore a Mornese e l'altro il Collegio di Valsalice; i Salesiani anche residenti altrove si sentivano sempre e sempre erano considerati come strettamente uniti con la famiglia, che faceva corona a Don Bosco nell'Oratorio e da cui Don Bosco li aveva spiccati. [234]
23 aprile. Modo di far bene gli esercizi spirituali; pensare alla vocazione. - Stassera, o miei cari figliuoli, dobbiamo fare un dialogo tra me e voi: - Volete essere amici di D. Bosco?
- Bene: e come buoni amici di D. Bosco siete disposti a fare ciò che egli vi vuol dire?
- Bene: e se egli adunque vi dicesse di far bene questi esercizi, li fareste bene?
Oh, tutto va bene! Con questa vostra buona volontà io spero che faremo grandi cose. Gli esercizi, o miei cari, sono opere di somma importanza e di un'utilità immensa. È ben vero che tutti siete già virtuosi e santi; ma per questo, o miei cari, non dovete illudervi che non siano gli esercizi utilissimi anche ai buoni; perchè questo è sempre un nuovo conforto, un nuovo, aiuto che rinfranca sempre più, che rinforza lo spirito già affievolito. Tutti hanno bisogno d'una rivista alla loro coscienza, di un ristoro alla fiacchezza. Vi dice espressamente l'Apostolo: Qui sanctus est, sanctificetur adhuc, qui iustus est, iustificetur adhuc: chi è buono e virtuoso, si avanzi maggiormente in bontà ed in virtù; chi è santo, aneli a maggior santità e si faccia più santo. Oltre a ciò io sono solito in queste circostanze di raccomandare tutti gli anni ai giovani, e raccomandar molto, di pensare alla propria vocazione e massime a quelli che si trovano sul finir del loro ginnasio. È questa, o miei cari, una cosa che vi deve assai interessare; poichè dall'avere o dal non avere posto mente in quale stato Iddio ci abbia chiamati, moltissime volte può dipendere una vita felice qui in terra (comunque sia questa felicità) e l'eterna salute anche nell'altra. A quest'uopo, o miei cari, è di grande momento una confessione generale, o di tutta la vita per chi non l'avesse mai fatta, o dal tempo che trascorse dall'ultima confessione generale fino al giorno d'oggi. Chi volesse confessarsi dai predicatori, avrà comodità; ma è un consiglio, o miei cari figliuoli, che io dò e che danno anche i Santi, che ciascuno dovendo trattare d'una cosa di tanta importanza, quale è quella di conoscere la chiamata del Signore, deliberi intorno a ciò col suo confessore ordinario. Questi, conoscendo già la condotta da noi tenuta per l'addietro ed inoltre essendo munito dei lumi che il Signore gli suole mandare in siffatte circostanze, più facilmente e più sicuramente potrà discernere fra le altre la via tracciata da Dio. E mentre dico questo, non intendo già che uno si confessi al suo confessore ordinario e poi sopraffatto dalla paura o dalla vergogna taccia qualche peccato. No, miei cari; chè allora io, mutando consiglio direi loro che cangino tutte le volte confessore, piuttostochè avvenga, anche una volta sola, che uno tema e taccia quel grave peccato. [235] Dunque, o miei figliuoli, in questa bella occasione degli esercizi spirituali, pensate seriamente alla vostra vocazione e voi in ispecie che vi trovate già in corsi avanzati di studi. È questo il tempo più propizio in cui il Signore è solito comunicare i suoi lumi e le sue grazie. O miei cari! Dico volentieri queste cose, perchè nonostante che si avvisi che ciascheduno pensi al passo futuro, pure c’è sempre qualche spensierato che non curandosi ora punto degli esercizi, lascia passare il tempo; quando poi viene il momento di deliberare, si trova imbrogliato e non sa che cosa abbia da fare: va dal confessore e gli dimanda della sua vocazione. - Ma poverino, gli dice il confessore, e non hai già tutto deciso agli esercizi spirituali?
- Mi sono dimenticato, risponde. - Qual consiglio potrà dare il confessore a queste teste vuote? Ed allora, vedete, è il tempo che crescono le incertezze, gli imbrogli. Il giovane si appiglierà naturalmente a qualche partito, ma sempre dubbioso di questo suo nuovo stato. Adunque, cari miei flglìuoli, se volete essere veramente gli amici di D. Bosco, datevi attorno in questi esercizi e praticate quanto vi ho detto, sicuri di trarne un gran vantaggio per l'anima vostra. Buona sera.
25 aprile. Lodi ai buoni, che fanno bene gli esercizi; avvertimento ai non buoni, che nel farli bene hanno il mezzo per non essere allontanati dalla Casa. - Godo assai di vedervi sul principio tanto esatti nel praticare il silenzio, che è certo uno dei principali requisiti per fare debitamente e con frutto gli spirituali esercizi e che nello stesso tempo palesa la buona volontà che avete di rendervi virtuosi. Siete già tali, ed invero, pensandoci un poco, mi paiono questi esercizi affatto inutili, se non per tutti, per molti almeno di voi. Perchè, debbo dirlo con grande mio piacere: vi è una gran parte di voi che mi consola davvero e che mi contenta: diligenti in tutto, quando si tratta di studiate, di pregare, o di adempiere qualche altro dovere.
Dico una gran parte, perchè mentre da un canto sono incoraggiato e rallegrato dalla buona condotta degli uni, per contrario da un altro lato sono amareggiato da Certuni, i quali non vogliono saperne nè di studiare, nè di pregare, nè di stare alle regole. E sì che il numero di costoro non è del tutto piccolo, potendosene contare uno sopra trenta circa. Si è parlato di costoro sul serio ed erasi quasi deliberato di mandarli alle proprie case; ma l'occasione di questi spirituali esercizi ha fatto sospendere ogni decisione dispiacente, facendo sperare a taluno dei superiori che essi in questi giorni siano per mutare tenore di vita e praticare quindi innanzi con impegno la virtù. Perciò coloro che possono essere messi in questo numero, vedano chiaramente in quale alternativa siano posti; o di mutare maniera di vivere o di essere costretti a fare fagotto. Raccomando [236] perciò loro che vogliano trarre partito dalle pratiche di questi giorni e si facciano buoni.
A quelli poi che sono buoni non mi resta che incoraggiarli sempre più a perseverare e ad avanzarsi verso la perfezione a grandi passi. Sia per gli uni sia per gli altri non manca cosa alcuna perchè possano ottenere il loro intento. Abbiamo due predicatori della casa, i quali crebbero anch'essi fra di noi, conoscono l'Oratorio ed i bisogni dei giovani coi quali hanno sempre a conversare e a predicare, due predicatori che vi vogliono molto bene e che non cercano se non il vostro interesse. Perciò da questo lato non ci resta nulla a desiderare. A voi solo spetta che dalle loro fatiche ricaviate quel frutto che essi unitamente con tutti gli altri superiori intendono di largirvi abbondantemente. Raddoppiate il vostro buon volere e il Signore certamente non mancherà di coronarlo di tutti i suoi beni. Buona notte.
Come già nel Convitto Ecclesiastico Don Cafasso, così Don Bosco nell'Oratorio era confessore ordinario; e come Don Bosco nell'Oratorio, così facevano i direttori nei loro collegi. Tale stato di cose durò fino al 1900. Orbene, una di quelle sere degli esercizi, a Don Costamagna che lo portò sull'argomento, Don Bosco espresse così il suo pensiero circa l'opportunità o meno che un direttore ascoltasse le confessioni dei giovani anche nel corso degli esercizi spirituali: “Lasciate che Don Bosco faccia qualche eccezione e che anche nel tempo degli esercizi confessi i giovani; ma generalmente non è bene che allora i direttori confessino. Dico in via ordinaria; giacchè può darsi il caso che un giovane sincero col suo direttore voglia da lui confessarsi, perchè, essendone ben conosciuto, si sbriga in poche parole, mentre ad altri dovrebbe dare mille spiegazioni. Io sarei di questo parere. Si avvisi che i predicatori confessano, che si vada pure liberamente da loro, che in tempo d'esercizi è lecito, anzi conveniente cambiar confessore. Se qualcuno poi volesse confessarsi dal direttore, questi lo chiami e vada a confessarlo in sua camera, ossia in luogo un po' incomodo o di suggezione per i giovani, affinchè da lui non vadano se non coloro che hanno veramente questa intenzione e non altri fini”.
I giovani si confessavano tanto volentieri da Don Bosco [237] che l'ultima sera degli esercizi egli si alzò molto tardi dal confessionale e così stanco da non poterne più; tanto stanco, che contro l'usato pregò i rimanenti di tornare la mattina dopo.
A cena esilarò i commensali raccontando la storia di una robiola, portata in tavola.
Da pochi giorni era tornato all'Oratorio un alunno della terza ginnasiale, recatosi in famiglia per causa di malattia. Salito a salutare Don Bosco, gli disse che i suoi genitori assolutamente non potevano più pagare nè i debiti arretrati nè la pensione corrente. - L'unica cosa, soggiunse, che abbiano potuto fare per compensarla in qualche modo, si fu di mandarle queste sei robiole. - E lo disse con molta grazia e disinvoltura, secondochè osservò Don Bosco, il quale sapeva pure com'egli fosse il primo della sua classe e molto buono.
- Altro dunque i tuoi parenti non potrebbero proprio fare? incalzò Don Bosco.
- Nulla, nulla! Quello che potrei ancora darle io, è di farle la mia confessione generale.
Rise Don Bosco, credendo che il fanciullo scherzasse. Invece il giorno dopo egli andò tutto serio a fare veramente la sua confessione generale. Don Bosco notò per ultimo che una formetta di quel formaggio brianzino valeva cinquanta centesimi.
In seguito venne a dire della pazienza di molti giovani nello stare inginocchiati, immobili, senz'appoggiarsi anche due o tre ore, aspettando il loro turno e talora, dopo aver aspettato tanto, lasciando anche passare prima altri. - Per fare così ci vuole proprio una gran virtù - conchiuse Don Bosco.
Seguono due "buone notti", che furono date nella prima metà del mese di Maria e in due sere consecutive; esse si integrano a vicenda. Nella seconda Don Bosco usò il metodo dialogato, a cui ricorreva, quando volesse pelar l'oca senza farla gridare. Ogni dì più cresceva il numero degli aspiranti [238] allo stato ecclesiastico, che provenivano da famiglie poverissime; se non ci si badava seriamente, quanti si sarebbero fatti preti per fini umani e non per vero zelo delle anime! Don Bosco naturalmente riteneva essere meglio per la Chiesa avere un prete di meno che uno scandalo di più. Bisognava inoltre richiamare l'attenzione sulla Pia Società. Insomma l'argomento era delicato. Ecco il perchè del secondo discorsetto a dialogo; un dialogo però non improvvisato, ma concertato prima a quattr’occhi.
10 maggio. Disinteresse nella vocazione sacerdotale; sicurezza dei deboli nelle Congregazioni religiose. - Siamo nel bel mese di Maria e di più nella novena dello Spirito Santo. Io vorrei che aveste tutti grande impegno a far bene questo mese e questa novena e perciò metteste un'intenzione speciale. Pregate che lo Spirito Santo in questi giorni vi illumini e vi faccia conoscere che cosa il Signore voglia da voi. Pensate tutti alla vostra vocazione e vi pensino in modo particolare coloro che sono più avanzati negli studi. Tenete a mente essere della massima importanza questo punto della vostra vita. Io desidererei che in questa novena o in quella che immediatamente seguirà in onore di Maria Ausiliatrice, chi si deve decidere, risolvesse definitivamente. Ma nessuno intraprenda lo stato ecclesiastico, se non vi è chiamato da Dio: e nessuno s’incapricci di altro stato, se la voce del Signore lo chiamasse al servizio della sua Chiesa.
Qui però bisogna che vi manifesti un gravissimo errore radicato nei genitori e nei figliuoli, errore, che forse voi già avrete udito ripetere da persone di qualche autorità. - Fatti prete, si dice; così avrai una buona posizione in società e potrai aiutare i tuoi genitori. - Carissimi giovani! Non sia mai che alcuno di voi abbracci lo stato ecclesiastico per aiutare i suoi genitori. Se volete ciò fare, prendete un'altra carriera e così guadagnate pur danari quanti bastano. Chi si fa sacerdote, deve solamente operare per guadagnare anime a Dio.
Ancora un'obiezione vi voglio sciogliere a questo riguardo, che mi fu già fatta da parroci e da altre persone ragguardevoli. Dicono costoro: - Come va che D. Bosco suggerisce ad alcuni de' suoi giovani che si facciano preti, purchè abbiano intenzione di ritirarsi in qualche Congregazione religiosa; e invece, se questi giovani dimostrano l'intenzione di stare in mezzo al mondo, suggerisce loro di non abbracciare lo stato ecclesiastico? - La ragione, miei cari giovani, è questa: vi sono molti, i quali, se stanno ritirati, praticano la virtù e adempiono con diligenza i doveri di religione; se invece si trovano [239] anche per brevi istanti nel secolo, non sono più capaci di contenersi fra i tanti pericoli che vi s'incontrano e non fanno buona riuscita. Perciò quando io vedo un giovane, il quale, finchè si trova ricoverato nell'Oratorio o in altro collegio, conduce vita esemplare e poi va a casa in vacanza e cade in molti peccati e ripiglia le opere che faceva prima che venisse nell'Oratorio; e quindi ritorna dalle vacanze, e vedo che si mette di nuovo sul serio ad adempiere bene i suoi doveri ed essere assiduo alle pratiche di pietà e, restituitosi a casa un'altra volta, si hanno da lamentare di bel nuovo gravi cadute, oh, io allora richiesto da questo giovane di dargli consiglio sulla sua vocazione, gli rispondo assolutamente: - Se tu hai intenzione di andare nel mondo come prete, parroco, vice - parroco, assolutamente non entrare nella via del santuario, che questa sarebbe la via della tua rovina e chi sa di quante altre anime. Che se però ti senti inclinato, con fini retti, a farti prete, allora, se tu ti risolvi a condur vita ritirata in qualche Congregazione religiosa e regolare, volentieri ti consiglio e permetto di farti sacerdote.
E questo, credetelo, è ciò che diede già a me molti dispiaceri, poichè alcuni mi dicono: - Don Bosco ha suggerito al tale di indossare l'abito ecclesiastico e poi si dovette cacciarlo dal Seminario; ha consigliato al tal altro di farsi prete ed ora si vede che conduce vita tutt'altro che esemplare. - Ma questi critici non sanno come io avessi assicurati quei tali, che avrebbero potuto mantenersi buoni chierici e buoni preti, ma solo qualora avessero fatta vita ritirata. Essi domandavano in qual senso, ed io in quel senso rispondeva.
Io credo che se voi, miei cari figliuoli, terrete a mente questi miei avvisi, non avrete nessun umano riguardo nella scelta della vocazione; e che colui che è chiamato allo stato ecclesiastico lo abbraccerà, e chi non è chiamato, ne rimarrà indietro. Così voi sarete sicuri della strada per cui vi metterete, e sicuri della vostra stessa salvezza.
Raccomandatevi dunque allo Spirito Santo ed alla Beata Vergine, che vi illumini e vi aiuti.
11 maggio. Di nuovo del disinteresse nelle vocazioni ecclesiastiche. Si risolvono tre obiezioni.
DON BARBERIS (dopochè Don Bosco ebbe dette alcune parole d'introduzione). Domanderei la parola.
DON BOSCO. Sentiamo che cosa vuoi dire.
DON BARBERIS. Ogni fatica deve avere il suo premio; quindi è ben giusto che quel prete che lavora possa guadagnare.
DON BOSCO. È vero quanto tu dici, e per ciò io non intendo che, chi lavora nel ministero, abbia poi a digiunare tutto il giorno. Chi lavora deve eziandio mangiare ed avere tutto ciò che è necessario per vivere. San Paolo lo dichiara espressamente. Qui altari servit, [240] de altari vivat. Ma, oltre il vitto, i guadagni del prete vogliono essere le anime e nulla più. Si è sempre veduto che, chi cerca gli interessi temporali, ben difficilmente converte molte anime o pensa alla salute eterna di quelle che gli vengono affidate. Invece mostrami un prete al tutto disinteressato che non pensi a far denari, ovvero a provveder la sua famiglia e vedrai quanto bene, quante conversioni egli farà. È per questo che S. Paolo, e notalo bene, non vuole che il prete s'immischi in negozi secolari, non implicat se negotiis saecularibus. Nemmanco deve pensare a compre, a vendite, a capitali sulle banche; nulla di tutto questo.
DON BARBERIS. Mi permetterà, sig. Don Bosco, che avanzi ancora una parola. È cosa certa che il prete deve specialmente pensare alla salute delle anime. Tuttavia nei comandamenti della legge di Dio si comanda: Onora il padre e la madre. La parola onorare significa anche soccorrere. Se tutti adunque devono andare a gara nel soccorrere i genitori, tanto più il prete.
DON BOSCO. Io sono contento che si onori e perciò si soccorra il padre e la madre, quando sono in bisogno. Ma se tu hai questo fine nel farti prete, lascia la carriera ecclesiastica e datti a qualche arte o mestiere, datti al commercio o ad altra impresa che a te sia più conveniente: ma non farti prete. Dal momento che tu ti fai prete, divengono tuoi parenti tutti coloro che hanno un'anima da salvare e tu devi pensare a loro e non ad altro. Il Divin Salvatore ci volle dare questo esempio in modo proprio splendido; poichè, mentre cercava di far del bene alle turbe, avendogli alcuno detto: - Tua madre è fuori che ti cerca - egli rispose: - Chi è mia madre? In verità vi dico che quanti ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica, sono mio padre, mia madre, miei fratelli! - E Gesù benedetto andò ancora più avanti. Arrivò a dire: - Colui che non odia suo padre, sua madre, i suoi fratelli e le sue sorelle, non può essere mio discepolo. - Dimodochè tieni bene a mente, che la santità dello stato ecclesiastico importa l'assoluto distacco dalle cose del mondo. I Teologi poi sono tutti d'accordo nell'asserire questo: Bona clericorum sunt patrimonia pauperum: i beni dei chierici, e qui la parola chierico vuol dire prete, sono patrimoni dei poveri.
DON BARBERIS. Mi sembra che non ci sia altro a ridire. Io la pensava in tutto come lei; ho parlato solo perchè desiderava qualche risposta precisa e categorica per coloro che su di ciò m'interrogassero. Mi permetta tuttavia che faccia ancora un'osservazione che oggi stesso venne fatta a me. Ci sono persone molto autorevoli, di grande studio ed anche ecclesiastici, che su questo punto non sembrano così stretti di maniche; anzi dissero: - Fatti pur prete che potrai fare così e così; guadagnare, comperare, farti un capitale. -
DON BOSCO. Lo so che ve ne sono di costoro, e pur troppo non pochi; e altri non solo lo dicono, ma lo fanno. Io non vado a investigare [241] le opere di costoro. Essi ciò faranno in buona fede, o sarà stato loro rivelato un qualche altro Vangelo diverso da quello che io conosco. Fatto sta che il Signore parlò come io ti esposi; così S. Paolo; così i santi Padri che commentarono le sacre carte. (E continuando con alcuni riflessi, finì con augurare ai giovanii la buona notte. N. d. Cr.).
Due parlate dopo le orazioni della sera durante la novena di Maria Ausiliatrice. La prima contiene un'allusione al sogno, che si leggerà nel paragrafo seguente. L'accenno faceto ai “quattrini” prelude ivi all'ordine categorico, che ancor più facetamente sarà dato due sere appresso. Nelle feste si permetteva ai giovani di spendere sul loro peculietto individuale, ma nella misura determinata dal prefetto e solo in cose esposte alla vendita dall'Oratorio e non in moneta sonante, ma con marche o buoni ad hoc. Poichè in tali occasioni si allestivano banchi da rinfreschi e da fiera, e vi si vendevano specialmente libri a prezzi molto ridotti.
18 maggio. Chiedere alla Madonna sanità e castità. - Ecco che è già cominciata e persino un po' inoltrata la novena di Maria Ausiliatrice. Bisogna adunque che prepariate quattrini per la festa; ed il cuore per ricevere molte grazie da Maria Vergine. Tra le grazie che ciascuno di voi ha da chiedere alla Madonna Santissima in questa novella, vi dirò che tutti chiediate specialmente queste due. La prima è che la Vergine Ausiliatrice vi dia la sanità necessaria per continuare i vostri studi, onde potervi preparar bene agli esami, perchè, volere o non volere, essi s'avvicinano; e per quei che vanno a prendete esami fuori, vi sono appena più due mesi. È adunque tempo di pensarci.
Ma la grazia principale che io vorrei che tutti domandassero e che è fonte di tutte le altre grazie, si è questa. Domandate tutti, tutti, di poter conservare la bella virtù della modestia. Questa è la virtù più accetta al cuore di Maria Vergine. Se c’è questa, vi è tutto. Se questa manca, non c’è nulla. Noi possiamo proprio dire di questa virtù che sia la fonte di tutte le altre: venerunt omnia bona pariter cum illa. Basti dirvi che chi la possiede vola sotto il manto di Maria Vergine: chi fu ferito, cioè la perdette, ma poi la ricuperò e cerca ogni modo di conservarla, corre; chi non la custodisce abbastanza, appena cammina; chi non l'ha, è trascinato.
Chiedetela questa grazia e sforzatevi grandemente per ottenerla. Coloro che non perdettero la bella virtù della modestia, seguono [242] l'agnello dovunque vada e cantano un cantico che nessun altro può imparare. Ma essendo virtù tanto fragile, bisogna pregare la Beata Vergine con vive e replicate istanze e fuggire tutte le occasioni che possono farla perdere, come sarebbero certi compagni meno buoni, certe parole non buone o dette o cercate nei dizionari. Per carità, fuggite ogni occasione. E praticate tutti i mezzi che possono aiutarvi conservare così inestimabile tesoro, come la comunione frequente fatta proprio bene, la divozione fervente alla Beata Vergine, le visite in chiesa, e cose simili. Oh, io spero che voi lo farete e ve ne troverete tanto contenti; chè ogni nostro dire sulla felicità che ci aspetta, è ora un nulla.
20 maggio. Spiegazione delle parole evangeliche. “Chi non odia suo padre e sua madre, non è degno di me”. - Si è deciso, miei cari giovani, come si faceva negli anni scorsi, che la moneta corrente in queste feste di Maria Ausiliatrice sia moneta coniata nella banca nazionale dell'Oratorio di S. Francesco di Sales. Non avran corso le monete di altri Stati. Questo provvedimento, come ve ne siete già accorti tante volte, è per evitare grandi disordini, che ne avverrebbero in caso contrario.
DON BARBERIS (chiesta e ottenuta la parola).Io, se permettesse, sig. Don Bosco, vorrei ancora farle qualche interrogazione riguardo alle cose dette altra volta sulla vocazione.
DON BARBERIS. Mi pare che l'altra volta abbia esposte senza spiegazione quelle parole dei Santo Vangelo: Se alcuno non odia il padre o la madre, non è degno di me. Molte domande mi furono fatte a questo riguardo, ed io risposi che queste parole non vanno prese così in generale, ma che si riferiscono al caso, nel quale la volontà dei genitori si opponesse direttamente alla volontà di Dio, già indubitatamente manifestata; come ad esempio di un pagano che si volesse far cristiano, o un protestante cattolico, e i genitori si opponessero; o si avesse dichiarata vocazione allo stato ecclesiastico, e i genitori non lo permettessero: allora piuttosto che andar contro alla volontà di Dio, si devono, in certo modo, odiare i genitori, cioè non obbedirli, ma seguire la chiamata del Signore.
DON BOSCO. Questo va bene, è vero; ma aggiungo: non solo in simili casi si deve superare l'amore della carne e del sangue, ma ogni altra volta e in ogni altro caso, quando ciò sia richiesto dalla maggior gloria di Dio. E si noti bene non essere Don Bosco che dice questo, come qualcuno di voi follemente asserì. E simile cosa asserirono alcuni genitori: - Don Bosco ha detto questo! Perchè va a dire questo ai giovani? - Ascoltatemi! Non sono io che lo dico, è il nostro Divin Salvatore. E il perchè di questi miei discorsi si è il sembrarmi essi di molta importanza e di grande necessità. Si è perchè [243] desidero di spiegare la, parola di Gesù Cristo. Si notino le circostanze, nelle quali Egli pronunciò queste parole. Si trovava in mezzo alle turbe e predicava. Venne sua Madre Maria con alcuni suoi cugini e parenti, che in ebraico venivano chiamati fratelli. Cercano di parlargli. I più vicini al Divin Salvatore lo avvisano: Tua madre e i tuoi fratelli sono fuori che ti cercano. E Gesù risponde: Chi è mia madre? chi sono i miei fratelli? Mia madre e mio fratello è chi ascolta la parola di Dio (S. LUCA, 14, 26). E altrove: Chi viene a me e non odia suo padre e sua madre, non è degno di me (S. MATTEO, 10, 35).
Io venni a separare il padre dal figlio e la madre dalla figlia Nemici dell'uomo sono i suoi domestici.
Da tutto ciò non risulta, che ciò che torna a maggior gloria di Dio, esige un simile distacco? Adunque non Don Bosco lo dice, ma è Dio che lo dice.
Del resto non dimenticate mai che Dio sa largamente ricompensare i sacrifizi che si fanno per obbedire alla sua santa volontà.
In fin dei conti, nel caso nostro, notate bene, chi abbraccia lo stato religioso sembra che non si curi per nulla de' suoi genitori: eppure egli potrà sempre dare un consiglio che varrà più che tanto oro; può più comodamente pregare per loro ed è la preghiera causa di tutte le felicità anche temporali. Quante volte vengono fortune ai genitori e non si sa donde e son le preghiere dei figli che le ottennero! Quanti affari prosperati, liti vinte, discordie pacificate, e sono le preghiere che apportarono questi beni. E questi non sono altrettanti aiuti che si possono prestare ai parenti, aiuti più grandi di quel poco denaro che si potrebbe somministrar loro? E poi, e poi, credete che il Signore che premia un bicchier d'acqua dato in suo nome, non voglia premiare quel sacrificio che essi fanno e che tanto costa al loro cuore? (La parlata è così tronca nel manoscritto).
Fin dopo la festa di Maria Ausiliatrice non abbiamo altre parlate. In quel giorno si distribuirono ai fedeli moltissime Comunioni. Straordinario fu il concorso della gente che voleva la benedizione di Maria Ausiliatrice da Don Bosco. All'ora della Messa solenne, non arrestandosi mai l'affollarsi delle persone, egli congedò la moltitudine con una benedizione generale.
Salito alla sua stanza, trovò nell'anticamera un gruppo di ragguardevoli signore, venute espressamente da Milano per assistere alla festa. Con tutta semplicità dinanzi a loro trasse dalle saccocce più di cinquanta offerte in biglietti di [244] banca o in ornamenti di valore, presentategli in quel mattino per grazie ricevute.
Raccontò pure un fatto che aveva dello straordinario. Quattro giorni prima era in fin di vita il conte Vialardi; andatogli a visitarlo, vide che si trattava di portargli il Viatico. Allora lo esortò a confidare in Maria Ausiliatrice, assicurandolo che sarebbe vissuto ancora; venisse poi nel dì della festa a fare la santa Comunione in Maria Ausiliatrice. Nella famiglia nessuno volle prestar fede alla possibilità della cosa. Invece quella mattina il conte era venuto, aveva fatto la sua Comunione, e Don Bosco mostrava la limosina da lui consegnatagli in onore di Maria Ausiliatrice.
Nel presbiterio di Maria Ausiliatrice si ammirava un ampio tappeto, lavoro e dono di nobili signore fiorentine, che nel mezzo dell'orlo anteriore avevano ricamato questa iscrizione: Mariae Auxiliatrici in suam suorumque tutelam Matronae Florentinae anno MLDCCCLXXV. Torna a onore delle oblatrici la lettera riboccante di riconoscenza, che Don Bosco scrisse loro a mo' di dichiarazione. Non sappiamo il perchè della forma di questo scritto, nè la causa del ritardo a inviarlo[130].
A maggior gloria di Dio ed onore dell'Immacolata Vergine Maria potente aiuto dei Cristiani, ed a perpetua ricordanza dello spirito religioso delle Matrone Fiorentine dichiaro quanto segue:
Una scelta di nobili Signore Fiorentine, mosse da spirito di carità e di divozione verso l'augusta Regina del cielo, dopo di aver cooperato con generosi sussidi alla costruzione del tempio dedicato a Maria Aus. in Torino, volendo aggiungere un segno pubblico e stabile della sincera loro venerazione a questa celeste benefattrice diedero opera ad un elegante tappeto, come sta più sopra descritto.
Compiuto il lavoro nel 15 maggio 1875 lo spedivano a sua destinazione in Torino. Io per tanto colla massima gratitudine ricevo il [245] dono prezioso con formale promessa che alle donatrici sarà riservata la proprietà in perpetuo, contento io di poterlo usare a decoro del tempio del Signore e ad onore di Colei, che la Chiesa proclama potente Aiuto dei Cristiani.
Oltre poi all'incancellabile gratitudine ho tosto procurato che le prelodate Signore, che colle offerte e col lavoro delle loro mani concorsero a compire questo tratto di zelo e di carità, siano registrate fra le insigni benefattrici che ogni giorno saranno in modo speciale ricordate nelle comuni e private preghiere che mattino e sera vengano a Dio innalzate all'altare dedicato alla Vergine Ausiliatrice in questo sacro edifizio, invocando le celesti benedizioni sopra di loro e sopra le loro famiglie.
Dichiaro in fine che queste obbligazioni si estenderanno a me e dopo di me ai miei eredi in perpetuo, mentre coll'animo riconoscente mi sottoscrivo
Durante l'intera novena, quante lettere gli giunsero, attestanti fatti prodigiosi! Per la solennità vi si pellegrinò da Genova, Savona, Ovada, Chioggia, Bologna, Firenze, Roma. Alla predica gli uditori occuparono altari, scale, confessionali. I cortili, la piazza, le strade attigue rigurgitarono di folla. Non si ebbe notizia d'alcun disordine.
Le continue udienze estenuarono Don Bosco. Vi furono persone, che non si mossero da Torino, fino a tanto che egli non le potè ricevere. I suoi figli lo vedevano sempre calmo e affettuoso, come nei tempi ordinari.
27 maggio. Parole di don Bosco nel giorno del “Corpus Domini”.
Oggi è una delle più grandi solennità che celebri la S. Chiesa. Il Corpus Domini! Vorrei che tutti voi faceste qualche promessa al Signore in riconoscenza del gran dono che ci fece, dandoci se stesso per cibo dell'anima nostra. Due cose vorrei che prometteste:
1° Farete delle frequenti, ma buone comunioni.
2° Procurerete di ornare il vostro cuore di belle virtù, allontanando ogni vizio, perchè Gesù possa venire a trovarvi e ad abitare volentieri in voi. - E continuò spiegando con molto calore questi due punti. [246]
28 maggio. Far bene le sei Domeniche di San Luigi; chiedere al Santo la virtù della modestia; invito particolare ai cattivelli. Posdomani, miei cari giovani, cominciano le sei Domeniche in onore di S. Luigi. Vi è indulgenza plenaria ogni volta a chi, confessato e comunicato, fa alcune preghiere secondo l'intenzione del Sommo Pontefice. Affinchè vi sia regolarità in queste divozioni in onore di S. Luigi, si seguiranno le pratiche degli anni scorsi, cioè si leggerà in pubblica chiesa quanto nel Giovane provveduto si trova a tale riguardo. Solo faccio notare che quelle pratiche e quelle preghiere non è necessario farle nel modo che sono stampate. Chi trovasse più comodo o conveniente fare altre pratiche, può farle; come sarebbe chi recitasse le allegrezze di Maria Vergine, chi il suo piccolo uffizio, chi i salmi penitenziali; costoro possono egualmente lucrare l'Indulgenza plenaria. Le preghiere che sono nel libro non sono che direttive per l'uniformità quando si fanno in pubblico. Se non avviene qualche causa che faccia mutare ciò che si è stabilito, si farà la festa Domenica 27 giugno.
Animiamoci a far veramente bene queste Domeniche. Siccome S. Luigi è speciale protettore della virtù della modestia, così consacriamo a lui in particolar modo questa virtù e adoperiamoci molto molto per conservarla illibata. Abbiamo celebrato da poco tempo la festa di Maria Ausiliatrice e si sono prese a questo fine molte buone risoluzioni; dunque facciamoci sempre più coraggio per offrire intatto al Signore il nostro giglio.
Ma mentre la maggior parte di voi è tanto animata pel bene, non ci sia quella frazione, piccola sì, ma che pur troppo fa del male, la quale stia indifferente e continui a proferire i cattivi discorsi. Alcuni son lì lì nella bilancia; si tollera, si tollera per lasciarli finire l'anno scolastico e non mandarli a casa con tanto loro disonore o per non metterli in mezzo ad una strada. Ma sapete che in questi casi la mia coscienza non può tollerare oltre il limite. Se si viene a conoscere che si fanno cattivi discorsi o cose contrarie alla virtù della modestia, non si tollera più; io sono costretto ad allontanar costoro dall'Oratorio, perchè non appestino gli altri. Seguano questi pochi gli esempi dei più e incomincino anch'essi una volta a regolarsi veramente bene. Date questa consolazione al cuore del povero D. Bosco, che non sia costretto suo malgrado a respingere da sè alcuno di voi. Date eziandio questa consolazione a S. Luigi e così sarete anche più contenti voi. Più contenti in vita, più contenti in morte; poichè sarete chiamati a parte della beatitudine che gode S. Luigi in premio delle sue virtù.
La sera del 30 maggio si principiarono gli esercizi spirituali per gli artigiani. Don Bosco andò a parlai loro separatamente dopo le orazioni. [247]
30 maggio. Esorta gli artigiani a far bene gli esercizi. Delle uscite senza licenza. A che cosa pensare durante gli esercizi, partite da aggiustare. - Sono molto contento di potervi vedere qualche volta separatamente e sono contento per più motivi. Il primo perchè godo sempre nel vedere i miei cari figliuoli. Poi nel veder voi artigiani in modo speciale e ancor più nel vedervi in questa circostanza, in cui incominciate gli spirituali esercizi.
So che siete contenti e che la maggior parte di voi ha proprio volontà di farli bene, e questo mi dà un vero piacere. Si ha una bella occasione per farei santi: non si lasci passare. Sono però costretto a dire ciò solo della maggior parte di voi, perchè veramente ci son di coloro che non ne vorrebbero sapere e se potessero non li farebbero. Poveretti! Non conoscono il gran bene che è il fare gli esercizi. Costoro però bisogna che stiano attenti, poichè qualcuno converrà forse che lo consegniamo alla porta, prima che siano finiti gli esercizi. Di altri poi si aspetta, se faranno un radicale cambiamento; perchè del resto bisognerà che siano cacciati poco dopo. Alcuni vogliono proprio seminar la zizzania e non c’è verso che lascino quei discorsi, quelle opere diaboliche. Mi rincresce che fino a stassera si ebbero mancanze da lamentare e che qualcuno sia uscito di casa senza permesso. Forse in altri luoghi a costoro non si lascerebbe più passare in casa neppur la notte, e ben se lo meriterebbero. Ma non voglio per ora che veniamo a questo punto. Questi tali pensino che hanno fatto un'azione ben cattiva!
Ecco intanto tre punti che sono da considerarsi bene in questi esercizi. Si deve considerare il passato, il presente, l'avvenire. Per ciò che riguarda il passato, ci sarà chi avrà ancora da rivedere o aggiustare la sua coscienza: non si lasci passar l'occasione, si faccia ora. Pel presente ci sono delle ferme risoluzioni da prendere e vedere di metterci con sicurtà in grazia di Dio. Per l'avvenire c’è da pensare alla vita che si dovrà tenere e prendere i mezzi necessari per arrivare là dove ci saremo prefisso.
Diceva che molto dovevamo pensare alle cose passate. Riandare un po' le confessioni, poichè, credetemi: 1° Per lo più ci sono delle cose dimenticate, che poi si lasciarono andare, a cui non si pensò più. 2° Ci sono delle cose cui non si pensò ancora, credendo che non fossero gran male e che pure sono vere offese del Signore e bisogna richiamarle a memoria, pentirvene e confessarvene. Ad esempio: Vi sarà chi non guardava tanto pel sottile a molte cose che fin da fanciullo fece contro la modestia. Altri rubarono, ma poco per volta e dicono: - Questo non è peccato mortale. - Si ruba, ad esempio, qualche marca di caffè, si rompe qualche vetro, o si guasta qualche cosa e si dice: Nessuno mi ha visto - e non si consegna. Ma vi ha visto Iddio! questo un danno arrecato! Un altro poi guasta dei lavori, o li fa di nascosto per sè. E così andiamo avanti; se si può [248] rubacchiare qualche cosa in cucina o nell'orto, si fa e si dice: - Son tutte piccole cose. - Ma se una goccia posta in un bicchiere quasi non si vede, aggiungendo goccia a goccia il bicchiere si riempie e facendo danno a questo modo sempre alla medesima persona, il peccato si fa grave e c’è bisogno assoluto di pentirsene e di confessarlo. Altra cosa, che per lo più non si pensa a confessare, è lo scandalo dato. Si veda bene che chi ha dato scandalo ad un altro colla sua cattiva azione, il peccato non è ben confessato dicendo solamente: Ho fatto la tale azione; - ma bisogna anche confessare di aver dato scandalo. Purtroppo vi sono eziandio cose taciute da taluni apposta nelle confessioni passate. Qui non c’è via di mezzo; bisogna fare un bucato generale per mettere a posto tutto.
Lungo gli esercizi vi sarà tempo per questi importantissimi affari. Si aggiustino bene tutte le cose, e ciascuno di noi un giorno sarà molto contento, giacchè è certo che per più di uno saranno questi gli ultimi esercizi. E non c’è bisogno di fare il profeta per asserir questo. Tutti gli anni avviene così. C'è sempre qualcuno che nel corso dell'anno muore e non potrà farli un'altra: volta. Ciascuno si animi dunque a farli bene ed io vi assicuro non potersi dire quanto contento arrecherà in punto di morte l'averli fatti bene. D'altronde anche coloro che vivranno, state certi che non saranno mai malcontenti d'averli fatti bene. L'aver la coscienza bene aggiustata è la cosa che nella vita procura maggior consolazione. Chi ha la pace della coscienza ha tutto: invece chi non l'ha, quale felicità potrà mai godere su questa terra?
Servitevi tutti, o miei cari, di questa grande occasione per fare del bene alle anime vostre.
Chi è già buono, tenda a farsi più buono; chi ha già delle virtù, faccia ogni sforzo per ornare il suo cuore ancora di altre virtù. Chi poi ha bisogno di mutamento di vita, si faccia coraggio, si metta con fermo proponimento all'opera, perseveri nel bene e si troverà poi ben contento in punto di morte.
Mentre Don Bosco scopriva certi altarini, Don Barberis, che stava in mezzo ai giovani, sentì dire a due dei più adulti: - Non credevamo mai più che Don Bosco sapesse già che siamo usciti! Chi sa come abbia potuto saperlo? Poveri noi!
Sì ingrate sorprese non toccavano raramente ai colpevoli. Si pensava che neppur l'aria sapesse; invece Don Bosco sapeva tutto.
Anche questa volta, l'ultima sera degli esercizi, Don Bosco cenò molto tardi per via delle confessioni. Uno dei predicatori, [249] Don Dalmazzo, che pure aveva confessato assai, esclamò: - Oggi, giornata piena!
Don Bosco gli rispose: - Io sono contento che specialmente durante gli esercizi molti giovani pongano grande fiducia nei predicatori e vadano da loro volentieri. Sì, va bene che vi accorrano molti. Io ne ho confessati quanti ho potuto. Vennero, molti da me ieri mattina, ieri sera, stamattina, stassera. Un numero grande andò via per non aspettar troppo il proprio turno. Non si poteva desiderare di meglio. Sembra che questi esercizi abbiano fatto gran frutto.
Ai 4 di giugno cadeva il primo venerdì dopo l'ottava dei Corpus Domini. Don Bosco la sera antecedente annunziò la festa del Sacro Cuore di Gesù.
3 giugno. Che cosa sia il culto del Sacro Cuore di Gesù.
Domani, miei cari figliuoli, la Chiesa celebra la festa del Sacro Cuore di Gesù. Bisogna che anche noi con grande impegno procuriamo di onorarlo. È vero che la solennità esterna la trasporteremo a Domenica; ma domani incominciamo a far festa nel nostro cuore, a pregare in modo speciale, a far comunioni fervorose. Domenica poi ci sarà musica e le altre cerimonie del culto esterno, che rendono tanto belle e maestose le feste cristiane.
Qualcheduno di voi vorrà sapere che cosa sia questa festa e perchè si onori specialmente il Sacro Cuore di Gesù. Vi dirò che questa festa non è altro che onorare con una speciale rimembranza l'amore che Gesù portò agli uomini. Oh l'amore grandissimo, infinito che Gesù ci portò nella sua incarnazione e nascita, nella sua vita e predicazione, e particolarmente nella sua passione e morte! Siccome poi sede dell'amore è il cuore, così si venera il Sacro Cuore, come oggetto che serviva di fornace a questo smisurato amore. Questo culto al Sacratissimo Cuor di Gesù, cioè all'amore che Gesù ci dimostrò, fu di tutti i tempi e sempre; ma non sempre vi fu una festa appositamente stabilita per venerarlo. Come sia comparso Gesù alla Beata Margherita una festa le abbia manifestato i grandi beni che verranno agli uomini onorando di culto speciale il suo amabilissimo cuore, e come se ne sia perciò stabilita la festa, lo sentirete nella predica di Domenica a sera.
Ora facciamoci coraggio ed ognuno faccia del suo meglio per corrispondere a tanto amore che Gesù ci ha portato.
Ai 16 dello stesso mese coincidevano due date di somma importanza: ricorreva il centenario della rivelazione fatta dal [250] Sacro Cuore di Gesù a Santa Margherita Alacoque e si compiva il venticinquesimo anno del Pontificato di Pio IX; onde si scelse quel giorno per fare l'esercizio della buona morte, sebbene fosse trascorso breve tempo dagli esercizi spirituali. I giovani si accostarono alla sacra mensa; quindi un po' più di ricreazione raddoppiò l'allegria. Verso sera tutto l'Oratorio si unì alla Chiesa universale nell'atto di consacrazione al Sacro Cuore. Prima Don Rua spiegò dal pulpito il significato e il valore di quell'omaggio; dopo di che lesse la formula, che i giovani ripetevano ad alta voce. La benedizione fu preceduta da un solenne Te Deum di ringraziamento a Dio per aver largito alla Chiesa un tanto Pontefice. Mancavano però due gruppetti di cantori recatisi per la medesima solennità a S. Benigno Canavese ed a S. Francesco d'Assisi in Torino. In quest'ultima chiesa i cantori dell'Oratorio avevano preso parte anche al triduo, fatto fare ivi dal Circolo della Gioventù Cattolica Torinese, che nelle dimostrazioni pubbliche in onore del Papa era sempre alla testa.
6 giugno. Esortazione all'amore fraterno. - Oggi abbiamo passata la seconda domenica di San Luigi. Mi starebbe molto a cuore che tutti ci animassimo ad onorar bene questo santo e a consacrargli in modo speciale il mese di giugno: si cercasse specialmente d'imitarlo nella divozione, colla quale pregava, faceva le visite al SS. Sacramento, si accostava alla Comunione. Un'altra sua virtù vorrei eziandio che si cercasse d'imitare: che ciascuno si sforzasse dal canto suo di praticare la carità fraterna; che in suo onore si lasciassero cadere tutte quelle maldicenze contro i compagni, cessassero quegli astii. Alcune volte il vicino o ci calpesta il piede o inciampando urta nella nostra persona senza farlo apposta; eppure quel tale ha subito una parola piccante ed alcune volte è pronto a restituire il calcio, il pugno. No! Si badi a quello che più volte ci disse il Divin Redentore: Mandatum novum do vobis, ut diligatis invicem sicut dilexi vos... In hoc cognoscent, quod discipuli mei estis, si diligatis invicem. Ecco un comandamento grande, un comandamento nuovo ci diede il Signore: non già che prima nella salita Scrittura si insegnasse diversamente, ma diversamente si operava, e gli Ebrei avevano introdotto, anche come dottrina, la massima di fare il bene solo a coloro che fanno del bene a noi; ed a coloro che ci fanno del male, potersi liberamente fare del male, con questa restrizione però [251] che il male fatto al prossimo non fosse maggiore di quello che abbiamo da lui ricevuto.
Noi procuriamo di non operare così stoltamente; abbracciamolo questo mandatum novum e vogliatevi sempre molto bene. Se uno può fare un piacere ad un altro, lo faccia; e se non lo può fare, pazienza, ma l'altro si dimostri contento egualmente. Sapete che gran bene avverrà, se questo si mette in pratica a onore di S. Luigi? Che tutti potremo chiamarci suoi divoti e imitatori in vita, avremo una caparra di essere da lui protetti in morte e dopo una santa morte il Signore ci farà partecipi di quel gran bene che egli gode in paradiso.
7 luglio Si raccoglie ciò che si è seminato. - Domani, giovedì, uscendo a passeggio vedrete che si taglia il grano. I contadini ne fanno manipoli, i quali, legati a fasci, prendono nome di covoni. Questo mi fa ricordare ciò che noi leggiamo le tante volte nella sacra Scrittura: Quae seminaverit homo, haec et melet, che cioè l'uomo mieterà di ciò che ha seminato. Ditemi un po': se questi contadini che, tutti contenti, mietono ora il grano, e si rallegrano e gioiscono, non avessero fatta la fatica di seminare e di coltivare bene il campo e adacquarlo a tempo debito, potrebbero ora gioire nel raccolto? No per certo, poichè per raccogliere bisogna seminare. Così sarà di voi, mei cari giovani; se ora seminerete, avrete poi il contento di fare un bel raccolto a tempo debito. Ma chi vuole scansar la fatica del seminare, quando sarà venuto il tempo del raccolto, morrà di fame.
E state attenti a questo testo dello Spirito Santo: Quae seminaverit homo, haec et metet. Il raccolto è della natura della seminagione. Se si semina grano, si raccoglie grano; se meliga, meliga; se si semina orzo, si raccoglie orzo; se avena, avena; se loglio o zizzania, si raccoglie loglio o zizzania. Se voi volete che il raccolto sia buono, di cose utili, seminate cose buone ed utili; ma ricordatevi che, sebbene costi un po' di fatica il seminare, ciò non è nulla in confronto della gioia che si avrà nel raccolto. Il contadino in ciò è per noi di un esempio mirabile.
Ancora una cosa. Affinchè la semente prosperi bene e dia frutto, va seminata a suo tempo; il grano d'autunno, la meliga di primavera, e via di seguito. Se non si semina a suo tempo, il raccolto va fallito. Ora qual è la stagione, in cui si deve seminare per l'uomo? Me lo dica un po' il tale. (Chiamò per nome uno dei giovani che era il più discolo della Casa).
- La primavera della vita, cioè la gioventù.
- E chi in gioventù non semina?
- E che cosa è che bisogna seminare?
- Raccoglierà spine in vecchiaia.
- Bene, bene; tienlo ben a mente quello che hai detto e si tenga bene a mente da tutti; poichè ne hai bisogno tu e ne han bisogno tutti!
La sacra Scrittura sempre su questo versetto dice poi ancora: E chi semina vento, raccoglierà burrasca e tempesta. Il vento è simbolo delle passioni; chi si lascia già adesso dominare da piccole passioni, queste sono come altrettanti semi che se non si estirpano, cresceranno grossi, e sì che, ve lo assicuro io, diverranno come tempesta e burrasca nel vostro cuore. Non lasciate, per carità, che nessuna passione si radichi in voi; poichè guai! in vecchiaia voi sareste in continua burrasca. Tenete a mente che tutte le grandi passioni che dominano gli uomini e fanno commettere loro azioni tanto cattive e scellerate, non furono sempre così grandi e violente. Vi fu un tempo che erano piccole; ma crebbero a poco a poco. Quando un giovane ha già le sue passioncelle e non cerca per nulla di vincersi, ma dice: - Oh! sono cose da poco - io tremo, perchè dico: È vero che adesso non sono ancora grandi, è un'erba appena spuntata; ma lasciatela a suo posto e crescerà: il lioncino innocuo si farà leone feroce, e l'orsicino quasi direi grazioso si farà un terribile orso, e la piccola tigre che quasi ti pare carezzevole, diverrà il più feroce degli animali.
Questo che vi dissi è vero per tutte le passioni; ma ciò che io più raccomando si è di sradicare dal cuore ogni cosa che sia contro la bella virtù della modestia. Fosse pur cosa da nulla, non si usa mai abbastanza riguardo per custodire questa bella virtù, ed il vizio contrario è così cattivo seme, che guai se si lascia germogliare! Sia sempre S. Luigi vostro modello e vostro esempio. Non lasciate mai che nessun pensiero cattivo s'impossessi di voi; poi ritenutezza negli sguardi, nei tratti, nelle parole, in tutto.
Specialmente poi raccomando che si esaminino bene coloro che ora sono per decidersi sulla loro vocazione. È il punto più importante della vita. Nessuno decida sbadatamente: ciascuno si consulti con qualcuno che possa veramente dargli un buon consiglio. Tutti gli anni vi sono alcuni che fanno sbadatamente questo gran passo, e poi piangono e se ne pentono; ma molte volte non sono più in tempo. Voi pensateci bene e l'esempio degli altri vi serva di ammaestramento. Buona notte.
9 luglio. Esorta a osservare il silenzio secondo la regola.
Nella visita che testè feci ai nostri Collegi, trovai che vi è una regola dappertutto osservata esattamente, intorno alla quale già si diedero qui mille volte avvisi, e vedo che non si eseguisce. Starò un poco a osservare, darò ancora un avviso e questo sarà per la millesima [253] ed una volta e vedremo se questo ultimo Sarà quello che basti ad ottenere. Io desidero proprio che si faccia silenzio andando dalla Chiesa allo studio, e dallo studio in Chiesa. Così eziandio alla sera dopo le orazioni; e questo silenzio non si interrompa fin dopo la messa del giorno seguente.
Vedendo che questa regola si eseguisce in tutti gli altri nostri Collegi e qui nell'Oratorio no, andava pensando se negli altri Collegi i giovani fossero più buoni di quelli che si trovano qui; e rispondeva a me stesso che là ce ne sono anche molti dei buoni, ma che tanti dei nostri giovani dell'Oratorio sorpassano e si lasciano di gran lunga indietro nella buona condotta i migliori di altri siti. Eppure l'altra volta che diedi questo avviso, l'effetto desiderato non durò che pochi giorni e poi vidi nuovamente che le file si rompevano andando e uscendo di chiesa, che uno saltava di qua e l'altro di là; poi uno schiamazzo, e qualche volta anche dopo le orazioni, da disgradarne un esercito di rivendugliole. Ora starò a vedere. Non voglio imporre con minacce o castighi; ma lascio alla coscienza di ciascuno il mettere diligentemente in pratica questo avviso. Sappiate che continuando con tale ordine è un vero piacere che fate a D. Bosco. Ma non fatelo solo per questo motivo; fatelo per piacere al Signore ed alla Beata Vergine.
Oh quante piccole occasioni abbiamo di acquistarci dei meriti! Se noi sappiamo diportarci da persone giudiziose, oh quanto cumulo di premi ci procureremo! Siate poi persuasi che, se si insiste sull'osservanza di certe regole che paiono da poco, ciò si fa solamente per vostro maggior bene. Senza che voi ve ne accorgiate, eseguendo tutti questi avvisi, che in fin dei conti costano poi un piccolo sacrifizio, vi troverete avanzati nella virtù e più ricchi di meriti.
28 luglio. Beato l'uomo che obbedisce a Dio fin dall'adolescenza. Nel visitare una scuola io promisi un premio a quell'alunno che avesse saputo dirmi per iscritto, qual cosa renda più felice l'uomo in questa vita. Chi mi disse le ricchezze, chi l'aver un bell'ingegno, chi la virtù, chi la fede, chi la speranza, chi la carità; ma nessuno diede nel segno. Io allora portai questo paragone. Qual cosa rende felice un puledro? L'essere presto addestrato in quell'ufficio, che dovrà compiere nel corso della sua vita. Ebbene ora riferite il paragone all'uomo. Allora uno scolaro si ricordò d'aver letto nei libri di divozione questa sentenza: Beatus homo, cum portaverit iugum ab adolescentia sua; che vuol dire: Beato l'uomo che fin dalla Sua adolescenza avrà incominciato ad osservare i comandamenti di Dio. Quel giovane scrisse questo versicolo in un suo biglietto e me lo diede. Io lo lessi a tutta la scuola e poi dissi: - Guardate dunque, adesso che siete giovani, di osservare i comandamenti di Dio e sarete beati in questa e nell'altra vita. - Lo stesso dico a voi; fate questo e vedrete quanto sia soave servire il Signore. Buona notte. [254] Una parlata del 10 agosto ha di mira specialmente gli alunni della quinta ginnasiale, quattordici dei quali avevano finito o stavano per finire gli esami di licenza presso il Regio Ginnasio “Monviso”. Alcune delle “buone notti” furono solo riassunte da coloro che le raccolsero.
10 agosto. La vocazione. Ritiratezza e frequenza ai Sacramenti nelle vacanze. - 1 giovani di questo ginnasio che ora hanno subito l'esame, ovvero continuano a subirlo, sono in piena libertà di prendere quella carriera che loro meglio aggrada. Molti sceglieranno lo stato ecclesiastico e di questi chi ha maggior propensione per andare in Seminario, e chi di stare qui. Ma per ognuno sarebbe bene, anzi necessario, che prima di partire per le vacanze decidesse e partecipasse ai Superiori quello che ha in animo di fare l'anno venturo. Così, se vogliono star qui, potranno al ritorno essere subito accettati senza bisogno di altro, dopo però di essere stati a Lanzo a fare gli esercizi spirituali; e per quelli che volessero andare in Seminario, se io lo so, potrò scrivere al proprio Vescovo, e quando andranno là, saranno già preceduti da buone raccomandazioni e potranno subito essere accettati per quel che sono e senza un lungo esame sulla vocazione. E perchè non ne patisca la vocazione e la buona regola di un giovane, che cosa dovrebbe egli fare durante le vacanze? Ecco: essendo io Chierico nel seminario di Chieri, quando venne il Teol. Borel a predicare gli esercizi spirituali, vedendo in lui tanta bontà ed affabilità, mi feci ardito di chiedergli questa stessa cosa. Ed egli, senza pur pensarvi un istante mi rispose: - Sta' ritirato, frequenta i santi Sacramenti e specialmente, la Comunione. - Lo stesso consiglio io dò a voi. Se volete conservarvi buoni e non soffocare la vocazione, osservate: Ritiratezza e frequenza ai santi Sacramenti. Buona notte.
3 agosto. Annunzia ai giovani la festa di san Domenico.
Domani si fa la festa di S. Domenico. A questo Santo Maria Santissima insegnò il modo di dire il santo Rosario ed egli per il primo lo recitò. Aggiunse poi alla Salve Regina quelle parole: Dignare me laudare te, Virgo sacrata; da mihi virtutem contra hostes tuos. Io non mi fermerò a contarvi la vita di questo Santo nè dei favori che gli compartì fa Madonna; solo mi limiterò a raccomandarvi che recitiate il Rosario con divozione e che non lasciate mai passar giorno senza recitarlo, specialmente quando si dice in comune, sia per onorare Maria Vergine e S. Domenico sia per guadagnare le indulgenze che a questa orazione sono annesse, e sia ancora per ottenere da Maria Santissima quelle grazie, di cui abbisogniamo. [255] Il pensiero della morte informa le tre “buone notti” che vengono ora. I licenziati, appena finiti i loro esami, andavano a casa, donde rivenivano all'Oratorio nella festa della Natività di Maria Santissima per la premiazione. La loro partenza e il tempo dell'anno non potevano non rallentare un poco negli uni il fervore, in altri la disciplina. Ciò spiega forse l'opportunità di questi reiterati richiami ai novissimi.
8 agosto. Modo di far bene la novena dell'Assunta. - Siamo nella novena di Maria Assunta in cielo. Non si fa pubblicamente nella casa nessun esercizio particolare di pietà in questa occasione, ma esortiamo ognuno ad esercitarsi privatamente in qualche opera di pietà, massime nella frequenza della Santa Comunione. Si potrebbero ancora fare delle mortificazioncelle negli occhi, nella lingua ed anche nella gola. Si fa poi questa festa dell'Assunta, perchè tutti preghiamo Maria ad ottenerci un transito felice, simile a quello che essa ha fatto, il quale più che morte si deve chiamare placido sonno. Io vi auguro a tutti una simile morte.
9 agosto Costanza nel bene per essere tranquilli in punto di morte. - Una signora si raccomanda alle preghiere della Casa. Si farà un triduo per lei e si desidera che anche per lei domenica vengano offerte le preghiere e le Comunioni degli ottimi giovani dell'Oratorio.
Quest'oggi fui a visitare una signora molto ricca, che si trova gravemente inferma. Servi, parenti, amici erano tutti in faccende. Non si trattava che di medici, di medicine e di consulti ed intanto la povera inferma era vicina a presentarsi al tribunale di Dio. Si è confessata e dopo tuttavia si mostrava inquieta e non poteva adattarsi al pensiero della morte e di dover abbandonare le ricchezze. Oh vanità delle cose mondane! Ed io pensava tra me: I miei giovani sono molto più felici dei ricchi e dei potenti di questo mondo, poichè essi affrontano la morte allegri, anzi desiderosi di liberarsi dal corpo, per andare a godere il Signore, come si è veduto di quelli che morirono qui in Casa; mentre i ricchi, anche non veramente cattivi, non possono non temere la morte vicina. E quelli che oggi fanno le loro divozioni e domani si ubbriacano, digiunano al sabato e poi mangiano carni al venerdì, e via via di questo passo, un poco del Signore, un poco del demonio, non possono essere da Dio benedetti e tremano all'appressarsi dell'ultima ora.
Ma noi viviamo sempre nel santo timor di Dio e al fine della vita affronteremo intrepidi le agonie della morte. [256] 10 agosto. Rimorsi dei peccatori in punto di morte e propositi vani. - Una persona da uno dei nostri Collegi si recò a casa chiamata dai suoi per la malattia del padre; arrivato, lo trovò già morto. Ora noi che preghiamo sempre per tutti quelli che si raccomandano alle nostre preghiere, tanto più dobbiamo pregare per questo defunto, il quale è padre di un sacerdote della nostra Congregazione, che fa molto del bene alle anime.
Ora continuerò un poco l'argomento di ieri sera, argomento di somma importanza, come quello che tratta della morte. Se si sbaglia, è tutto perduto; poichè si muore una volta sola.
È di gran tormento ai moribondi l'aver goduto durante la vita, pensando alla sanità data loro da Dio e come fu male impiegata, pensando che Dio diede loro le mani ed essi le adoperarono a commettere furti ed a fare altri peccati. Dio loro diede la lingua e a che cosa se ne servirono? A mormorare, e forse anche a bestemmiare Iddio e a fare discorsi cattivi. Dio diede loro gli occhi ed essi se ne servirono a leggere cattivi libri, a guardare cose indecenti. Dio li fornì, supponiamo, di sostanze, e quale uso ne fecero? Per la superbia della loro vita, per darsi liberamente a secondare i capricci di una vita senza regola, ad opprimere il debole, ad essere duri coi poveretti. Ah, che tormento sarebbe questo ricordo!
Ma io non voglio dilungarmi in queste cose, che spero non facciano per noi. Vedete adunque come chi ha goduto in vita sarà tormentato non solamente in punto di morte, ma ancora nelle gravi malattie, in cui vi sia pericolo di vita. Ed allora si lamentano: - Oh se avessi fatto questo! Oh se avessi fatto quello! - E se guariscono, ritornano a fare la stessa vita di prima, dimenticando i proponimenti fatti. Miserabili! In punto di morte si deve avere operato e non volere operare.
Noi adunque non aspettiamo in quegli ultimi momenti a darci al Signore, ma subito adesso; e Domenica, festa dell'Assunzione di Maria Santissima, ognuno di noi possa dire in cuor suo: Se avessi da morire in questo istante, io morrei contento e con ferma speranza di andare in Cielo.
Nel '76, Don Giuseppe Vespignani, nuovo ancora dell'Oratorio, si al rischiò a interrogare Don Bosco sopra i suoi sogni, domandandogli con filiale confidenza che cosa se ne dovesse pensare. Don Bosco gli diede una risposta generica, ma sufficiente, dicendo che nelle sue condizioni, senza mezzi, senza personale, sarebbe stato impossibile lavorare a pro [257] della gioventù, se Maria Ausiliatrice non fosse venuta in soccorso con lumi speciali e con copiosi aiuti non solo materiali, ma anche spirituali[131]. Lumi speciali e speciali aiuti della Madonna sono dunque da considerarsi i suoi sogni. Nella vita dell'Oratorio i sogni di Don Bosco esercitarono un'azione, che lo storico non può trascurare; vi si sarebbero detti ormai un'istituzione domestica. Si perpetuava il ricordo e l'impressione di quelli del passato e se ne aspettavano sempre di nuovi. L'annunzio di un sogno metteva in orgasmo piccoli e grandi; il racconto era ascoltato con avidità; i buoni effetti non si facevano lungamente aspettare.
Nella "buona notte" del 30 aprile Don Bosco, esortando a far bene il mese di maggio, dopo aver raccomandato a questo scopo maggior diligenza nell'adempimento dei propri doveri e la scelta di qualche divota pratica in onore di Maria, soggiunse che aveva un sogno da raccontare; ma che, non essendovi più tempo per l'ora tarda, l'avrebbe narrato la domenica seguente, 2 maggio.
I giovani non istavano più nella pelle. Ad acuirne l'aspettazione sopravvenne un ritardo di altri due giorni, per essere Don Bosco impedito. Finalmente, alla sera del 4 maggio, il comune desiderio potè essere appagato. Dopo le orazioni Don Bosco dalla solita cattedra parlò così:
Eccomi a mantenere la mia promessa. Voi sapete che i sogni si fanno dormendo. Avvicinandosi adunque il tempo degli esercizi spirituali, io pensava al modo col quale i miei giovani li avrebbero fatti, e che cosa dovessi lor suggerire per ricavarne frutto. Andai a letto con questo pensiero la notte della domenica 25 aprile, vigilia degli esercizi. Appena coricato, presi sonno e mi sembrò di trovarmi tutto solo in una estesissima valle: di qua e di là vi era un'alta collina. In fondo alla valle da una parte il terreno si alzava e quivi splendeva una luce chiara, dall'altra parte l'orizzonte era semioscuro.
Stando io a contemplare questa pianura, vidi venire verso di me Buzzetti con Gastini, i quali mi dissero: - Don Bosco, monti a cavallo; presto, presto! [258] Ed io: - Voi mi volete burlare: sapete che da molto tempo io non sono più andato a cavallo! - I due giovani insistevano; ma io mi schermiva ripetendo: - Non voglio andare a cavallo, sono andato una volta e sono caduto. - Buzzetti e Gastini sempre con maggior premura mi facevano pressa, dicendo:
- Monti a cavallo, e presto, chè non abbiamo tempo da perdere.
- Ma insomma, quando poi sia a cavallo, dove volete condurmi?
- Vedrà, faccia presto, monti.
- Ma dove si trova questo cavallo? Io qui non vedo nessun cavallo.
- Eccolo là! - gridò Gastini, additandomi un lato di quella valle. Io mi voltai da quella parte e infatti vidi un bellissimo e brioso cavallo. Aveva alte e grosse le gambe, folta la criniera e lucentissimo il pelo.
- Ebbene, risposi, poichè volete che io monti a cavallo, monterò; ma guardate bene che se mi fate cadere...
- Stia sicuro, risposero; ci siamo noi con lei pronti ad ogni evento.
- E se mi rompo il collo, dissi a Buzzetti, tu dovrai mettermelo a posto.
Buzzetti si pose a ridere. - Non è più tempo di ridere! - brontolò Gastini. Così ci avvicinarono al cavallo. Salii sulla groppa con molta fatica, mentr'essi mi aiutavano: ma, finalmente, eccomi in arcione. Come mi sembrò alto allora quel cavallo! Mi pareva di trovarmi come sopra un poggio elevato, dal quale io dominava tutta la valle fino alle ultime sue estremità.
Quand'ecco il mio cavallo mettersi in moto, e qui nuova stranezza: parevami di essere nella mia camera e domandai a me medesimo: - Dove siamo? - E vedeva entrare per trovarmi preti, chierici ed altre persone tutti spaventati, tutti affannati.
Dopo un buon cammino il cavallo si fermò. Allora vidi venire verso di me tutti i preti dell'Oratorio con molti chierici, i quali circondarono il mio cavallo. Fra costoro vidi Don Rua, Don Cagliero, Don Bologna. Come furono arrivati, si posero fermi, in piedi, a contemplare un tanto cavallo, sul quale io sedeva: ma nessuno parlava. Io li vedeva tutti con un aspetto melanconico, che significava un turbamento, di cui non avevo mai visto l'eguale. Chiamai a me Don Bologna e gli dissi: - Don Bologna, tu che sei alla porteria, sai dirmi che cosa di nuovo ci sia in casa? Perchè vedo in tutti un turbamento così grande?
Ed egli a me: - Io non so dove mi sia... che cosa mi faccia... Sono imbrogliato... Venne gente, parlarono, uscirono; c’è alla porteria un guazzabuglio di andare e venire, che io non ne capisco più niente.
- Oh possibile, io andava ripetendo fra me stesso, che quest'oggi abbia da succedere qualche cosa di straordinario? [259] Allora qualcheduno portò e mi porse una tromba, dicendomi di tenerla che mi sarebbe servita. Io domandai:
Soffiai nella tromba, e ne uscì questa voce: Siamo nel Paese della prova.
Quindi si vide discendere giù dalla collina una quantità di giovani tale, che credo fossero un cento e più mila. Nessuno parlava. Tutti, armati di una forca, si avanzavano a gran passi verso la valle. Fra questi vidi tutti i giovani dell'Oratorio e degli altri collegi nostri, e moltissimi che io neppur conosceva. In quel mentre da una parte della valle incominciò a oscurarsi il cielo per modo tale, che pareva notte, e comparve un immenso numero di animali, che parevano leoni, parevano tigri. Questi mostri feroci, grossi di corpo, con gambe robuste e collo lungo, avevano la testa piuttosto piccola. Il loro muso metteva spavento: con gli occhi rossi quasi fuori delle occhiaie, si slanciarono contro i giovani, i quali, vedendosi assaliti da quegli animali, si posero in difesa. Avevano in mano una forca a due punte e presentavano quella forca a quei mostri, alzandola e abbassandola secondo l'assalto dei medesimi.
I mostri, non potendo vincere al primo impeto, mordevano i ferri della forca, si rompevano i denti e sparivano. C'erano di quelli che avevano la forca con una sola punta, e questi rimanevano feriti; altri l'avevano col manico rotto, altri col manico tarlato, ed altri, presuntuosi, si gettavano contro quegli animali senz'arma e rimanevano vittime, e rimasero uccisi, e non pochi. Molti l'avean col manico nuovo e con due punte.
Intanto il mio cavallo da principio fu pure circondato da una quantità sterminata di serpenti. Ma esso con salti e calci a destra ed a sinistra li schiacciava e li allontanava, mentre s'innalzò ad una grande altezza ed andava sempre crescendo.
Ho domandato a qualcheduno che cosa significassero quelle forche colle due punte. Mi si portò una forca e vidi scritto sopra una delle due punte: Confessione; e sopra l'altra: Comunione.
- Ma che cosa significano quelle due punte?
Soffiai e ne uscì questa voce: Confessione e Comunione ben fatte.
Soffiai di nuovo e ne uscì questa voce: Manico rotto: Confessioni e Comunioni mal fatte. Manico tarlato: Confessioni difettose.
Finito questo primo assalto, feci a cavallo un giro pel campo di battaglia e vidi molti feriti e molti morti.
Alcuni osservai che giacevano per terra morti, ma strangolati, col collo gonfio in modo deforme: altri colla faccia deformata in modo orribile, ed altri morti di fame, sebbene avessero lì vicino un piatto di bei confetti. Quelli strangolati son coloro, che, avendo avuta la [260] disgrazia di commettere sin da piccoli qualche peccato, non se ne confessarono mai; quelli deformi nella faccia erano i golosi; quelli morti di fame, coloro che vanno a confessarsi, ma non mettono in pratica gli avvisi e gli ammonimenti del Confessore.
Vicino a ciascuno di quelli che avevano il manico tarlato, stava scritta una parola. Chi aveva scritto Superbia, chi Accidia, chi Immodestia, ecc. Devesi ancora notare che i giovani, mentre camminavano, passavano sopra uno strato di rose e ne godevano; ma fatti pochi passi, mandando un grido, cadevano morti o rimanevano feriti, poichè sotto le rose c'erano le spine. Altri però, calpestando quelle rose con coraggio, vi camminavano sopra, animandosi a vicenda, e rimanevano vincitori.
Ma di nuovo si oscurò il cielo e in un momento comparve una quantità di quegli animali o mostri superiore alla prima volta, ma tutto ciò in meno di tre o quattro minuti secondi, ed anche il mio cavallo ne fu circondato. I mostri crebbero a dismisura, per modo che anch'io cominciai ad avere paura; e mi sembrava già di esser graffiato dalle loro zampe. Senonchè in buon punto si portò anche a me una forca; allora presi io pure a combattere, e quei mostri furono messi in fuga. Tutti scomparvero, perchè vinti al primo assalto, scomparivano.
Allora soffiai nella tromba e rimbombò per la valle questa voce: Vittoria, Vittoria.
- Ma come? dissi io, abbiamo riportato vittoria? Eppure vi sono tanti feriti ed anche morti!
Allora, soffiando nella tromba, si sentì questa voce: Tempo ai vinti. Poi il cielo di oscuro che era, diventò sereno, si vide un arcobaleno od un'iride così bella, con tanti colori, che non si può descrivere. Era così largo, come se si appoggiasse a Superga e facendo un arco andasse a poggiare sul Moncenisio. Devo ancor notare che i vincitori avevano sulla testa corone così brillanti, con tanti e tali colori, che era una meraviglia a vederli; e poi la loro faccia risplendeva d'una bellezza meravigliosa. Verso il fondo, da una parte della valle e di mezzo all'arcobaleno, si vide una specie di Orchestra, in cui si vedeva gente piena di giubilo e con tante bellezze che non posso neppure immaginare. Una nobilissima Signora vestita regalmente si fece alla sponda di quel balcone gridando: - Figli miei, venite, ricoveratevi sotto il mio manto. - In quel mentre si distese un larghissimo manto e tutti i giovani presero a corrervi sotto; solamente che alcuni volavano ed avevano scritto sulla fronte: Innocenza; altri camminavano a piedi ed altri si strascinavano: ed anch'io mi misi a correre ed in quell'istantaneo movimento, che durò non più di un mezzo minuto secondo, dissi tra me: - O questo deve finire, o, se continua ancora un poco, moriremo tutti. - Detto questo, mentre correva, mi svegliai. [261] Per il motivo che dirà, ritornò sull'argomento il 6 maggio, festa dell'Ascensione. Fatti perciò riunire studenti e artigiani a dir le preghiere della sera, così parlò:
L'altra sera non ho potuto dir tutto a cagione d'un forestiero che era presente. Queste cose stiano fra noi, non si scrivano nè a parenti nè ad amici. Io con voi dico tutto, anche i miei peccati: quella valle, quel paese di prova è questo mondo. Il semioscuro è, il luogo di perdizione; le due colline i Comandamenti della legge di Dio e della Santa Chiesa; quei serpenti i Demoni; quei mostri le cattive tentazioni: quel cavallo mi sembra che significhi il cavallo che percosse Eliodoro, ed è la confidenza in Dio; quelli che passavano sulle rose e cadevano morti, sono quelli che si danno ai piaceri di questo mondo, che arrecano morte all'anima. Quelli che calpestavano le rose, sono quelli che disprezzano i piaceri del mondo e riescono vincitori. Quelli che volavano sotto il manto, sono gli innocenti.
Ora coloro che desiderassero di sapere la loro arma, se fossero o no vincitori, morti o feriti, un poco per volta io lo dirò. Sebbene non conoscessi tutti quei giovani, tuttavia quelli che si trovano all'Oratorio, li conobbi. E gli altri che forse dovranno venire, se li vedessi, mi ricorderei benissimo della fisonomia,
Il segretario Don Berto, che stese la narrazione, scrive che molte cose non le ricorda più, ma che Don Bosco espose e spiegò più diffusamente. La mattina del 7 gli domandò nella sua camera:
- Come fa Ella a ricordarsi di tutti i giovani che vide in sogno e dire a ciascuno lo stato in cui si trovava, specificando così bene i difetti di ognuno?
- Eh! Con l'Otis Botis Pia Tutis. - Una delle risposte che egli dava, quando voleva eludere domande imbarazzanti.
Anche a Don Barberis entrato a parlargli di ciò, Don Bosco rispose tutto serio: - C'è ben qualche cosa più che un sogno! - Ma troncò il discorso, passando ad altro.
Don Berto finisce la sua relazione con queste parole: “Anch'io che scrivo queste cose, volli dimandare la parte mia; n'ebbi risposta così precisa, che piansi e dissi: - Se fosse [262] venuto un angelo dal cielo, non poteva colpir meglio nel segno -”.
Una seconda volta il sogno offerse il tema della "buona notte", e fu il 4 giugno. Gli uditori assistettero allora a questo dialoghetto fra Don Barberis e Don Bosco.
DON BARBERIS. Se mi permette, Sig. Don Bosco, stassera io vorrei fare alcune domande. Nelle sere scorse, essendovi dei forestieri, non osai fare ciò. Desidererei qualche spiegazione sull'ultimo sogno.
DON BOSCO. Di' pure. È vero che già è passato molto tempo dal giorno che feci quella narrazione; ma non importa.
DON BARBERIS. Sulla fine del sogno ha raccontato che alcuni volavano sotto il manto di Maria, molti correvano, altri andavano lenti, e alcuni camminavano nel fango, restavano tutti imbrattati e per lo più non arrivavano fino sotto al manto. Ci ha già detto che coloro che volavano erano gl'innocenti; è facile capire chi siano quelli che andavano in fretta; ma costoro che restavano impantanati chi raffiguravano?
DON BOSCO. Coloro che restavano così impantanati, che per lo più non arrivavano sotto il manto della Madonna, sono coloro che sono attaccati ai beni di questa terra. Avendo un cuore egoista, non pensano che a se stessi; da per se stessi s'infangano, e non sono più capaci di prendere uno slancio per le cose del cielo. Vedono che Maria Vergine li chiama, vorrebbero andare, fanno qualche passo, ma il fango li attira. E così avviene sempre. Il Signore dice: Dove è il tuo tesoro, ivi è il tuo cuore. Coloro che non si sollevano ai tesori della grazia, mettono il loro cuore nelle cose della terra, e non pensano che a godersela, a farsi ricchi, a prosperare i negozi e ad acquistar fama. E per il Paradiso nulla.
DON BARBERIS. Vi è un'altra cosa che Ella, Sig. Don Bosco, non ha raccontata, quando ci parlò del sogno, ma che la disse ad alcuno in particolare e vorrei che ce la spiegasse. E? questa. Qualcuno le domandò del suo stato, se correva o andava adagio, o se era andato già sotto il manto di Maria: se aveva l'arma rotta o tarlata. Ed Ella rispose che non l'ha potuto veder bene, poichè una nube s'interponeva tra il giovane e Lei.
DON BOSCO. Tu sei teologo e lo devi sapere. Ecco. Veramente vi erano vari giovani, non però in numero molto grande, che io non poteva veder bene. Osservava, conosceva il giovane, ma non poteva veder altro. E, costoro, miei cari figliuoli, sono quelli che si tengono chiusi ai Superiori, non palesano il loro cuore, non sono sinceri. Se vedono un superiore di qua, piuttosto che incontrarsi con lui, volgono il passo di là. Di costoro alcuno venne a domandarmi come lo [263] vidi; ma che cosa volete che io rispondessi? Poteva dire: Tu non hai confidenza nei Superiori, tu non apri loro il tuo cuore. Eppure, tenetelo tutti bene a mente, una cosa che vi può fare più del bene si è questa: aprirvi coi vostri Superiori, aver molta confidenza in loro ed essere schiettamente sinceri.
DON BARBERIS. Ancora una cosa vorrei domandarle, ma temo; ho paura che mi dica che sono troppo curioso.
DON BOSCO. E chi non lo sa che sei curioso? (Risata universale). Tuttavia bada che c’è una sorta di curiosità che è buona. Quando un giovanetto domanda sempre questo o quello per istruirsi a chi lo può sapere, costui fa bene. Invece ve ne ha dì quelli che stan sempre lì come tanti farfu[132]. Non domandano mai nulla. Per costoro questo non è buon segno.
DON BARBERIS. Oh allora io non sarò di quelli. L'interrogazione che da molto tempo desiderava di farle, si è questa. In quel celebre sogno vide solo le cose passate dei giovani o vide anche l'avvenire, ciò che ciascuno farà, a che cosa ciascuno riuscirà?
DON BOSCO. Ecco: non vidi solo le cose passate: ho anche visto l'avvenire, che sta in faccia ai giovani. Ogni giovane aveva avanti a sè più strade, anche strette e spinose, alcune delle quali erano eziandio cosperse di punte di chiodi acute. Ma queste strade erano pure cosperse di grazie del Signore. Andavano a finire in un giardino amenissimo, dove era ogni sorta di delizie.
DON BARBERIS. Ciò vuol dire che saprà indicare qual è la strada che deve percorrere ciascuno, cioè quale è la propria vocazione di ognuno di noi, come andremo a finire, per qual via ci metteremo.
DON BOSCO. In riguardo al dire per qual via ciascuno si metterà e come andrà a finire, non è il caso. Dire ad un giovane: - Tu camminerai per la via dell'empietà - non è cosa che faccia del bene; solo riempie di spavento. Ciò che posso dire si è questo: che se il tale si mette per tal via, egli è sicuro di essersi messo sulla via del cielo, per quella cioè a cui è chiamato: e chi non segue la tal via, costui non è per la via diritta. Alcune vie sono strette, ciottolose, spinose; ma fatevi coraggio, miei cari figliuoli; con le spine c’è anche la grazia di Dio; e poi tanto bene ci aspetta al termine del cammino, che dimenticheremo presto le punture.
Quello poi che io voglio che teniate a memoria si è, che questo fu un sogno, a cui nessuno è obbligato di credere. Osservo, è vero, che tutti quelli che mi domandano spiegazioni, prendono tutti in buona parte l'avviso; tuttavia fate come diceva S. Paolo: Probate spiritus et quod bonum est tenete. Un'altra cosa che non vorrei che dimenticaste si è di ricordarvi nelle vostre orazioni del povero Don Bosco, affinchè non avvenga di me come dice S. Paolo: Cum aliis [264] predicaverim, ego reprobus efficiar, che predicando a voi, io abbia poi ad andar dannato. Io cerco di avvisar voi, penso a voi, suggerisco consigli, ma temo di fare come la chioccia. Essa va cercando grilli, vermicelli, sementi ed altro cibo, ma tutto per i pollastrini, e se non ha qualche abbondante cibo preparato apposta per lei, muore anche di fame. Raccomandatemi adunque al Signore, affinchè ciò non mi avvenga, ma che io riesca ad ornare il mio cuore di molte virtù, sicchè possa piacere a Dio e possiamo poi tutti insieme andarlo a godere e glorificare in paradiso. Buona notte.
ARTIGIANI e studenti non costituivano tutta la famiglia dell'Oratorio. Nell'Oratorio, sotto il regime paterno di Don Bosco, vivevano pure ascritti e professi in buon numero. Vedere come Don Bosco amalgamasse tanti elementi così disparati, sarà oggetto dì quest'altro capo sulla vita dell'Oratorio. Ma il capo riuscirebbe monco, se non dicessimo prima degli aspiranti, figli in massima parte dell'Oratorio.
A giudizio dell'Ordinario torinese, Don Bosco si sarebbe vantato di fornire alla diocesi giovani disposti allo stato chiericale, mentre in realtà traeva a sè in grande quantità giovanetti di tutte le diocesi e poi “con la mestola” scerneva e si pigliava il meglio, rimandando i meno idonei alle diocesi di origine[133]. Come quadrasse ciò con quanto si blaterava intorno all'inettitudine dei soggetti salesiani, indovinala grillo. Il fatto era che a Don Bosco nell'Oratorio si offrivano provvidenziali occasioni di buone conquiste ed egli non se le lasciava scappare.
La vigilia dell'Immacolata, nella solita mezz'ora d'intimità con alcuni pochi de' suoi dopo la cena, egli manifestò un proprio convincimento, il quale, a chi, guardando indietro, [266] rievoca il ricordo degli antichi Salesiani, spiega come l'Oratorio abbia dato tanti membri alla Pia Società. Disse: “Su cinquecento studenti che si trovano nell'Oratorio, più di quattrocento e forse quattrocentocinquanta sono disposti presentemente a vestire l'abito di chierico e tengono tale condotta da poter essere consigliati a vestirlo. Certo, di questi, col progredire degli studi e specialmente nel tempo delle vacanze, una parte si perderà; tuttavia il numero sarà sempre grande ed altri si aggiungeranno. Vedendo poi tutti come qui nell'Oratorio vi sia larghissimo campo a fare del bene e piacendo loro la nostra vita, molti di questi giovani sentiranno propensione a fermarsi in casa”. E poichè lo spirito dell'Oratorio, grazie ai direttori plasmati ivi da Don Bosco, si propagava nelle nuove Case, egli potè soggiungere: “Nel visitare di recente gli altri collegi ho visto una spiccata tendenza per la vita ecclesiastica e religiosa; tanti me ne parlarono ex Professo, benchè i più avessero ancora la casa e le vacanze nelle ossa e sebbene io non li ricercassi per nulla di questo, non essendo adesso il momento opportuno”.
Il tempo buono era invece, quando si facevano gli esercizi spirituali fra l'aprile e il maggio; da allora alla fine dell'anno scolastico egli diceva che bisognava consigliare, dirigere, spingere, aiutare. In quel periodo i giovani prendevano le decisioni e andavano da sè a consigliarsi, senza che occorressero sforzi per eccitarli.
Sotto questo punto di vista com'erano cambiate le cose nell'Oratorio! Allorchè la Congregazione contava poche decine di membri e lo spirito era in via di formarsi e si agiva piuttosto in segreto, Don Bosco di vocazione parlava, per dir così, sottovoce, temendo di spaventare. Invitando qualcuno, si guardava bene dal lasciar trapelare l'idea che si trattasse di Ordine religioso. Se egli avesse parlato chiaro, “saremmo fuggiti tutti”, disse quella sera uno de' suoi figli più affezionati, Don Giulio Barberis. Suscitava aspiranti, valendosi di espressioni come queste: “Vuoi bene a Don Bosco?... [267] Vuoi fare il chiericato nell'Oratorio?... Hai voglia col tempo di aiutare Don Bosco, lavorando con lui?... Oh, quanto c’è da fare! Fossero pur molti i preti e i chierici che si fermassero in Casa, ci sarebbe lavoro per tutti”. Generalmente gli anziani rimasero adescati a questo modo, in un modo cioè spontaneo e affettuoso; Don Bosco aveva da Dio la grazia di coltivar in loro con grande amabilità questo sentimento, senza ombra di ciò che oggi si chiamerebbe violenza morale. Don Barberis, quando venne il suo giorno, si presenta a Don Bosco e candidamente gli dice:
- I miei genitori mi cercano un posto in seminario. Io che cosa debbo scrivere?
- Scrivi che, riconoscente a Don Bosco, desidereresti fermarti con lui, per vedere se potessi, da chierico, aiutarlo nei tanti lavori che sono in Casa, di assistenza, di scuola e d'altro.
“Ed io veramente, scrive Don Barberis in quest'anno, allora non ne capiva, non ne sapeva, non ne desiderava di più”.
Ma nel '75 ci si capiva già, e di molto; il pericolo di spaventare poteva ancora sussistere, ma per qualche raro individuo soltanto. Da luglio a settembre Don Bosco si assentava il meno possibile, perchè gli alunni della quinta ginnasiale erano prossimi a partire per le loro ultime vacanze. Per lo più aspettavano a decidersi nell'ultimo mese sulla vocazione; dal trovarsi o no Don Bosco in Torino, facilmente dipendeva per alcuni lo stato di tutta la vita.
I lettori saranno vogliosi di vedere Don Bosco all'opera. Ebbene, la storia di uno è la storia di cento. Don Vacchina, che abbiamo incontrato poc'anzi, faceva nel '75 la quinta ginnasiale. In uno degli ultimi esercizi della buona morte ruminava fra sè e sè la sua decisione e non sapeva che pesci pigliare. Altre volte Don Bosco gli aveva detto: - Studia, prega, poi decideremo. - Ma i giorni passavano, e quel poi non veniva mai. Quella mattina adunque fra i moltissimi [268] assiepati intorno a Don Bosco per confessarsi Vacchina era il primo e ci s'era preparato bene. Ma Don Bosco lo fece aspettare ultimo. Andati via tutti, lo benedisse, dalla sinistra dove si trovava lo fece passare a destra e ne udì la confessione. Terminata l'accusa, il giovane ruppe il ghiaccio e chiese di quella benedetta decisione. N'ebbe per consiglio di farsi prete ma non nel mondo.
- Allora, se non vi è difficoltà, disse, io sto volentieri con Lei qui nella Casa.
- Io, rispose Don Bosco, ne sono ben contento. Vedi: ti ho sempre voluto bene, ti sono sempre stato amico, sebbene non te l'abbia dimostrato. Studia, prega, da' buon esempio...
“Altro mi disse ancora, scrive Don Vacchina, con tanta carità, che piansi, feci la comunione da solo alle nove e dimenticai il pane e il sospirato salame”. Si sa bene che Don Bosco, dopo l'anima, pensava al corpo nell'esercizio della buona morte; tutto l'uomo doveva essere contento nei giorni di grazia.
Don Bosco, pur bisognoso di accrescere il numero dei soci, non ispalancava le porte agli aspiranti, perchè entrassero oves et boves. In una seduta del Capitolo Superiore, tenutasi il 7 novembre, furono esaminate nove domande di aspiranti, delle quali otto sole vennero accolte. Per il nono, sebbene fosse già studente secolare di filosofia nell'Oratorio, si deliberò di sottometterlo a prove un po' serie, da cui conoscere quale spirito lo movesse; si volle perciò che fosse tolto, come si diceva allora, dalla filosofia temporaneamente, senza però far sapere a lui che ciò era ad tempus, e gli si assegnassero servizi domestici.
Don Bosco accoppiava alla bontà la prudenza: in Congregazione non accettava nessuno, se prima non lo conosceva bene di scienza propria. Nel '75 si notò che per l'ammissione degli aspiranti al noviziato egli andava sempre più a rilento, massime se gli aspiranti desideravano di vestire l'abito ecclesiastico. “Costoro, diss'egli in una conferenza di capitolari [269] delle varie Case durante gli esercizi autunnali, non si debbono accettare, se non diedero segno di una moralità a tutta prova o se non si lasciarono conoscere abbastanza bene e non ebbero confidenza grande nei superiori. Per i laici su questo secondo punto si può essere un po' più larghi, ma per i chierici no. Riguardo al primo punto è da notare che non basta la buona volontà, non bastano i propositi del momento; questo basterà per l'assoluzione, ma non basta per assicurare che in seguito non cadranno di nuovo. Perciò, se non diedero durante un lungo tempo segni straordinari di perseveranza, non bisogna fidarci; ordinariamente ricadono”.
Ai primari superiori che secondavano studiosamente gli sforzi di Don Bosco nell'avviare le cose verso una sempre più perfetta regolarità, si affacciò nel '75 il dubbio, se vi fosse obbligo di chiedere agli Ordinari le lettere testimoniali prima di ammettere aspiranti come chierici al noviziato, a tenore del decreto emanato dalla Santa Sede nel 1848. Fino allora non ci si era badato per due motivi. Anzitutto i giovani aspiranti stavano fin da fanciulli in Case Salesiane, sicchè i vescovi, ignari affatto della loro condotta e condizione, non se ne sarebbero potuti ragguagliare se non assumendo informazioni presso i Salesiani medesimi, i quali da sei, otto, dieci anni li avevano sott'occhio. D'altro canto, Don Bosco, avendo rappresentato il caso a Pio IX, ne aveva ottenuta vivae vocis oraculo risposta favorevole. E nulla consigliava la fretta nell'abbandonare quella linea di condotta; poichè non solamente Torino, ma anche Ivrea era un osso duro, e un contingente notevole di aspiranti apparteneva proprio a entrambe queste diocesi. Faceva opinare per la conformità alla legge lo spauracchio, che in eventuali contingenze la Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari non avrebbe mai fatto verun caso dell'accampare facoltà oralmente concesse dal Papa. Non sarebbe dunque stato meglio per lo meno invocare dalla Santa Sede un rescritto e nel frattempo rivolgersi ai vescovi per le testimoniali ogni volta che giungessero domande da soggetti [270] non educati nelle Case salesiane? Don Bosco stette per il quieta non movere: egli fra breve sarebbesi recato a Roma e là avrebbe accomodato tutto; intanto si continuasse a usufruire dell'esenzione, come per l'innanzi.
Un provvedimento invece che noti soffriva indugio era la designazione degli esaminatori generali e provinciali, voluti dal suddetto decreto per l'ammissione al noviziato. Anche qui si fece come si potè. Pio IX, che era a giorno delle difficoltà fra cui si dibatteva la Congregazione in quei primordi, non aveva dato su certe cose carta bianca a Don Bosco? Si provvide adunque così: i membri del Capitolo Superiore avrebbero tenuto il luogo degli esaminatori generali, e i Capitoli particolari delle Case avrebbero fatto le parti degli esaminatori provinciali. Nell'Oratorio però esaminatori provinciali sarebbero stati soltanto i membri del locale Capitolo, che non appartenessero al Capitolo Superiore, cioè sette su dieci. Queste funzioni furono esercitate per la prima volta a Lanzo durante gli esercizi spirituali, che ivi si fecero dal 9 al 16 settembre, quando tutti i confratelli formanti i Capitoli delle singole Case vennero convocati da Don Bosco per procedere all'esame delle domande di postulanti, che aspiravano al noviziato o alla professione. Vi furono ammessi diciotto ai voti perpetui; “in Congregazione, nota la cronaca, [era] la prima volta che vedeasi un numero così grande di accettati in una sola seduta”.
Nel mese di novembre vestirono l'abito chiericale quarantotto ascritti, cifra non mai raggiunta precedentemente. Don Bosco ne sperava ancora di più per l'anno prossimo, essendovi molti giovani di quinta e di quarta ginnasiale, che ne avevano già fatto domanda o dimostrato vivo desiderio. Quello poi che maggiormente lo consolava era lo scorgere come i chierici si andassero rassodando nello spirito. Negli anni passati si doveva far deporre l'abito a parecchi; altri, fermatisi un po' di tempo per convenienza nell'Oratorio, finivano con l'andarsene in seminario. Ma fra i novellamente [271] vestiti gli pareva che di simile gente non ci fosse nessuno o quasi nessuno.
Non è a dire quanto gongolasse di gioia il maestro dei novizi. Nulla di più opportuno per farei un'idea dei sentimenti d'allora che riprodurre testualmente l'espressione degli entusiasmi di quell'anima candida. Il 7 dicembre, ragionando con Don Bosco dei nuovi chierici in presenza di altri prese ad esclamare: “Quattro anni fa, eravamo tutti meravigliati, dicendo: - Oh! quest'anno diciotto chierici nuovi! Diciotto è un bel numero! Qui nell'Oratorio non furono mai tanti. L'anno dopo crebbe questo numero, l'anno appresso ancora dì più, e l'anno scorso si credette un vero portento, perchè i chierici nuovi ascendevano a trenta e si gridava da tutti: Non si vide mai tanto nell'Oratorio! - Ora sono quarantotto, e vi è speranza che un altr'anno il numero dei chierici riesca molto maggiore”. Uno dei presenti che doveva essere amico della matematica e scienze affini, rincalzò: - Le cose procedono con progressione geometrica o meglio in ragione del quadrato della distanza. - Tutti fecero coro con chi inneggiando proruppe nel biblico: A Domino factum est istud et est mirabile in oculis nostris.
In quell'anno il noviziato venne sospinto molto innanzi sulla via della normalità. A questo esordio ogni lettore non edotto delle circostanze inarca probabilmente le ciglia. Eppure, se oggi la Congregazione è quello che è, si deve al fatto che allora si contentò dì essere quello che potè. A Don Bosco ce ne volle pazienza per crearsi l'ambiente propizio! Ci fu tempo, in cui la parola novizi avrebbe urtato i nervi ai grandi e terrificato i piccoli. Solo nel '74 Don Bosco sì arrischiò a usarla; nel '75 poi la si udiva correre sulle labbra degli ascritti medesimi che ormai senza paura si chiamavano fra loro con tal nome. [272] È importante più che non si creda il prospettare bene questo periodo della nostra storia: compito tanto più facile, perchè lo possiamo riassumere con le parole stesse di Don Bosco. Udiamo com'egli descriva e commenti le fortunose vicende degli anni antecedenti.
- Quanti disordini esteriori avvenivano in quel tempo! Specie di lotte fra i chierici in dispute letterarie o teologiche, al tutto fuor di tempo e fuori di modo; disturbi continui e gravi nello studio, quando non vi erano i giovani; molti al mattino stavano a letto; alcuni non andavano a scuola senza dir nulla ai superiori; non si faceva la lettura spirituale, non la meditazione, non gli esercizi di pietà fuori che coi giovani. Ora invece, oh, quante cose si cambiarono un poco per volta e si andarono stabilendo e rassodando!
- Eppure io vedeva tutti quei disordini e lasciava che si tirasse avanti come si poteva. Se avessi voluto togliere tutti i disordini in una volta, avrei dovuto chiudere l'Oratorio e mandar via tutti i giovani, perchè i chierici non si sarebbero adattati a un serio regolamento, e se ne sarebbero andati, tutti. E io vedeva che di quei chierici anche divagati molti lavoravano volentieri, erano di buon cuore, di moralità a tutta prova, e, passato quel fervore di gioventù, mi avrebbero poi aiutato molto. E debbo dire che vari dei preti della Congregazione, che erano di quel numero, adesso sono fra coloro che lavorano di più, che hanno miglior spirito ecclesiastico, mentre allora sarebbero certamente andati via dalla Casa piuttosto che assoggettarsi a certe regole restrittive.
È da notarsi però che quelli erano tempi diversi; allora la Congregazione non si sarebbe potuta fondare secondo le norme consuete. Io era solo; io far scuola di giorno, io scuola serale, io scrivere libri, predicare, assistere, dirigere, andare in cerca di quattrini; e se per far andare tutto a perfezione mi fossi ridotto in una cerchia piccola, non avrei conchiuso nulla, e l'Oratorio oggi consisterebbe in una specie di collegio con una cinquantina o al più un centinaio di giovanetti. [273] Nell'opera di normalizzazione la pietà rappresentava la pietra basilare dell'edifizio religioso, e nella pietà due pratiche sono di capitale importanza: gli annui esercizi spirituali e la quotidiana meditazione. Dal '75 gli ascritti ebbero i loro esercizi separatamente dai professi durante le ferie autunnali, sicchè la predicazione e tutto il resto rispondeva ai bisogni loro propri. Facevano poi la meditazione ogni mattina durante la prima mezz'ora dopo la levata, da soli, su libri opportunamente scelti. A parte, facevano pure la lettura spirituale nel pomeriggio. Tanto più efficacemente s'infonde nei novizi lo spirito di pietà quanto maggiore sia la loro segregazione dagli altri che convivono in casa; perciò furono isolati anche nel dormitorio e nel cortile: per la ricreazione il luogo loro assegnato era accanto alla chiesa di Maria Ausiliatrice dal lato ovest. Alla santa Messa e alle funzioni assistevano dall'abside, senza mescolanza di estranei.
I novizi non ismettevano gli studi. Secondo la frase del tempo, entravano in filosofia, cominciavano cioè a svolgere il programma del liceo, con accentuata prevalenza della filosofia. Alle lezioni cessarono di assistere nel '75 alunni secolari. Il cresciuto numero fece maggiormente sentire le disparità di attitudini; onde si ventilò allora, per attuarla poco dopo, l'idea di formare due sezioni, una di vero liceo per preparare i futuri professori e l'altra con la filosofia e poi delle restanti materie il puro necessario, come costumavasi in seminario. Con tutto ciò il maestro dei novizi avvertiva l'opportunità di alleggerire nel noviziato l'applicazione agli studi letterari e scientifici, affinchè vi fosse maggior agio di applicare la mente alle cose dello spirito. Anche qui Don Bosco agiva secondo le eccezionali facoltà accordategli da Pio IX; anzi in virtù di esse egli si credeva autorizzato a impiegare anche novizi in assistenze e insegnamenti. Don Barberis, imbevuto dello spirito del Fondatore, attendeva a loro con vigile zelo, conferendo spessissimo con Don Bosco, che sempre lo ascoltava con bontà e gli era largo dei suoi lumi. [274] A quali criteri s'ispirava Don Bosco nell'ammettere i novizi alla professione? C'erano, ben inteso, le regole; ma gioverebbe non poco vedere con che spirito le applicasse caso per caso. Facciamo tesoro delle scarse notizie di quest'anno giunte fino a noi.
La sera del 10 dicembre Don Bosco convocò nella sua camera i membri dei Capitolo Superiore, invitandovi il maestro degli ascritti, per trattare di ammissioni ai voti perpetui e triennali. Ebbene la cronaca nota espressamente che fu tenuto indietro chi aveva dato segni di amare la bottiglia, e che Don Bosco dichiarò doversi procedere con gran rigore su questo punto. - Nè si dica, soggiunse, che furono avvisati e che riconobbero d'aver fatto male e che hanno promesso molto risolutamente di non lasciarsi più vincere dall'attività dei bere; questo dolore basta bensì per poter dare l'assoluzione sacramentale, ma non serve a darci la menoma guarentigia per l'avvenire. Al loro mai più che dicono promettendo, bisogna sottintendere: fino a tanto che non se ne presenti l'occasione.
E confermò l'asserzione con un esempio. Un suo compagno di scuola aveva il disgraziato vizio del bere. Avvisato, prometteva mari e monti. Una volta disse a Doti Bosco: - Sta' certo, Don Bosco, che non mi avverrà mai più di alzare il gomito. Sono risoluto, risolutissimo, avessi anche a morirne. Anzi, da questo istante ho fatto il proposito di non bere più vi no in vita mia. - Ma ci vuol altro! La mattina seguente Don Bosco ne ascoltava la Messa dal coro e all'abluzione sentì che diceva al serviente: - Giù, giù! non metti mica roba tua, balòs (birbante)! - Don Bosco, parendogli che il poveretto avesse buona volontà, gli fece rilevare l'indecenza di quell'atto. Promise egli; ma di lì a qualche giorno Don Bosco vide che lo portavano a casa sopra una carrettella briaco fradicio.
Appresso Don Bosco pose un quesito e lo risolse da pari suo. - Quando uno è così, che sarà della sua moralità? Vorrei [275] che si facesse una prova: si dia quest'oggi anche solo un bicchiere di vin buono a tutti i giovani dell'Oratorio e domani si faccia fare un buon esame di coscienza: si vedrà quel che successe! I giovani non ne sognano nemmeno la causa, non san nulla del che e del come; ma molti pensieri cattivi, molte tentazioni e, credo di poterlo dire con sicurezza, molte cadute in peccato ne furono la conseguenza.
A questo punto Don Rua, fece presente che nel decorso anno scolastico alcuni professori, anche davvero buoni, avevano la loro bottiglia in camera. Don Bosco rispose: - Questo non dovrebbe accadere. Mah!... Si può loro condonare per ora, dal momento che essi non ne conoscono il pericolo: posto però che non si creda opportuno di venire subito a un taglio reciso. Ma è cosa da pensarci seriamente per l'avvenire.
Diamo un balzo indietro. Nella prima settimana di luglio Don Barberis, accompagnando fuori di casa Don Bosco, profittò dell'occasione per parlargli di alcuni che non sembravano fatti per essere Salesiani. Uno di costoro spargeva fra i compagni che era risoluto di tornarsene a casa sua. Procura che se ne vada presto, fece subito Don Bosco. Digli da mia parte che in qualunque giorno voglia partire, io lo lascio in libertà; tuttavia, finchè si ferma con noi, metta un lucchetto alla bocca e non faccia più parola di questo coi compagni, perchè in caso contrario io sarò costretto a prendere misure severe. I Gesuiti, quando sanno che uno non vuole più far parte del loro Ordine, non lo lasciano più stare in casa neppure un giorno, nè quel tale può più parlare con alcuno della Compagnia per nessun motivo. Ed hanno ragione. Se comincia a dire che vuole andar via, è naturale che venga dagli altri interrogato del perchè. Il vero perchè della poca voglia di far bene, della poca mortificazione, della mancanza di virtù non si dice mai; si contano pretesti: perchè non mi piace questo, perchè vorrei quello, perchè quell'altro non è ben disposto verso di me, e simili. Comunicandosi dall'uno [276] all'altro questi suoi lamenti, ne viene infine un gran male; poichè tanti si disanimano, e si propaga il malcontento e la mormorazione.
Vi era però una cosa da osservare. Quell'ascritto aveva in casa scandali gravissimi, per i quali la coscienza non gli avrebbe permesso di coabitare coi genitori. - Questo lo so, riprese Don Bosco, e mi rincresce grandemente; ma che cosa possiamo noi farci! Non conviene che stia in mezzo agli altri a seminare il malcontento. Tanto più che scrisse già a me l'altro giorno, che egli rimarrebbe in Congregazione, ma vorrebbe che gli fosse concesso questo, che gli venisse permesso quello; in una parola, quasi vorrebbe mettere condizioni per fermarsi con noi. Io invece, quando uno salta fuori con delle condizioni, credo bene di farla subito finita con lui. Questi tali giungono a stimarsi persone necessarie e, quando si sia condisceso a una condizione posta da essi, ne hanno subito pronta un'altra. A chi vuole patteggiare, si dica schietto: Vedi, se tu vuoi restare con noi nel modo che fanno tutti gli altri, le cose van bene; del resto, in qualunque giorno ti piaccia provare altrove o andare in casa de' tuoi genitori, fallo pure, chè noi te ne lasciamo piena libertà. Allora colui si accorge che noi non abbiamo nessun interesse per trattenerlo e che facciamo ogni cosa puramente per Dio; quindi si risolve ancora più presto di mettere il cuore in pace e abbandona qualsiasi pretesa.
Un'altra circostanza vi era ancora. Il novizio, pur non avendo in animo di fermarsi come Salesiano, sarebbe stato disposto a rimanere per compiere gli studi, facendo nello stesso tempo qualche scuola e prestando assistenza ai giovani. - Non conviene, non conviene, insistette Don Bosco. Stare con gli altri, aver l'aria di far parte della famiglia e non farne parte, non mi sembra conveniente. Ma c’è di peggio. Nella lettera, di cui ti ho parlato, egli dava in insolenze contro Don Rua, il che fa vedere come non sia per nulla obbediente e che ascolta soltanto i suggerimenti dell'interesse: vero spirito [277] di subordinazione non pare che ne abbia. Tu procura che si sbrighi a cercarsi un posto, poichè temo che qui non ci faccia più nulla di bene.
Il chierico sarebbe andato volentieri in seminario. Don Barberis credeva di potervelo incoraggiare, rilasciandogli le commendatizie; tanto più che Don Bosco gli aveva consigliato di vestire l'abito. - Io, spiegò Don Bosco, gli suggerii di mettere la veste, perchè l'anno scorso egli si era dichiarato pronto a entrare in Congregazione. Vivendo fra noi, lungi dai pericoli del mondo, con regole proprio fatte per lui, in mezzo a tanti buoni esempi, avrebbe potuto fare del bene a sè e agli altri; ma io non gli suggerirei mai e poi mai che si faccia prete stando nel secolo. Anzi mi ha già parlato egli stesso di questo, e io gli dissi che non era assolutamente il caso per lui di farsi prete, rimanendo in mezzo al mondo. Egli non ha virtù sufficienti per questo. Fra noi anche con una virtù mediocre si sarebbe facilmente rassodato, riuscendo un buonissimo prete; fuori, in mezzo agli altrui scandali, invece di rassodarsi nella virtù, ne scapiterebbe tutti i giorni.
Esaurito quest'argomento, si trattò di un altro ascritto che desiderava di rimanere in Congregazione, ma che non sembrava conveniente ritenere più a lungo. Esteriormente egli sembrava buono, e buono era fors'anche in realtà; ma si mostrava chiuso, non si lasciava abbastanza vedere dai superiori, non aveva guari confidenza con essi. Don Bosco per questi soli motivi giudicò che non facesse per la Congregazione.
Un terzo ascritto si presentò in quel torno direttamente a Don Bosco e gli disse: - Io mi sono fatto ascrivere alla Congregazione senza conoscerne lo spirito. Io ignorava che fosse una Congregazione religiosa. Ora che dalle conferenze ne apprendo lo scopo, non ho più intenzione di andare avanti; massime che, essendo morto qualcuno de' miei parenti, non c’è più chi pensi a un mio fratello. Io andrei a casa per entrare poi in seminario. [278]
- Tu, mio caro, gli rispose Don Bosco, sei liberissimo di fare come credi; da questo istante io lascio che tu abbracci il partito che vuoi. Solamente bada bene che il dire di esserti fatto ascrivere senza conoscere il passo che facevi, è una parola mal detta; poichè questo sarebbe un darti dello sciocco da te stesso. Durante gli esercizi di Lanzo hai sentito leggere le regole, hai udite le conferenze che le spiegavano, e non hai capito nulla? Poi sarebbe un dare dello sciocco a Don Bosco, quasi che egli accetti a occhi chiusi, contro tutti i canoni, un giovane al noviziato, prima d'avergli fatto conoscere le cose come stanno.
Il chierico non seppe che rispondere. Tuttavia, risoluto com'era di andarsene, partì pochi giorni dopo.
In altra circostanza il Beato diede al maestro degli ascritti due norme pratiche per la buona formazione de' suoi. Ve n'era uno che non si diportava guari bene; si mostrava però divoto, accostandosi regolarmente e anche più spesso che la Regola non richiedeva, alla santa Comunione. Il Beato disse a Don Barberis: - La sola frequenza ai Sacramenti non è indizio di bontà. Vi sono di quelli che, sebbene non facciano sacrilegi, vanno però con molta tiepidezza a ricevere la Comunione; anzi la loro mollezza non lascia che capiscano tutta l'importanza del Sacramento a cui si accostano. Chi non va alla Comunione col cuore vuoto di affetti mondani e non si getta generosamente nelle braccia di Gesù, non produce i frutti, che si sa teologicamente essere effetto della santa Comunione.
Un altro ascritto, un po' per astio e un po' per puntiglio, voleva essere dispensato da certi studi letterari. Don Barberis gli aveva risposto con un no assoluto; ma quel caparbio insisteva egualmente per ottenere. Nel riferirne al Beato il Maestro disse che era un giovane d'ingegno non comune e di carattere fermo e capace di molta virtù, quando, calmato il bollore dell'indole, si mettesse a far bene; domandava perciò se fosse opportuno, senza mostrar di cedere, chiudere un occhio, [279] lasciando fare e cercando di coprire e aggiustare le cose alla meglio.
- No, rispose il Beato; procedi pure con le dolci, non dirgli parola da irritato, dàgli pure a divedere che non fai gran caso della sua pertinacia e che l'attribuisci a leggerezza giovanile; ma tieni fermo sul punto di volere che faccia quanto gli hai detto di fare. Su questo non transigere; altrimenti, quando saranno professi, bisognerà trattarli coi guanti, e lasciarli liberi nei loro capricci o mandarli via.
Abbiamo una conversazione del Beato intorno al modo di portar giudizio sopra gli ascritti e di trattarli, che sarà letta volentieri in extenso. La tenne il 17 febbraio 1876 con Don Barberis, che, non contento di farne tesoro per sè, l'ha voluta serbare anche per noi nella sua umile cronaca. Don Bosco parlò così: - Di alcuni ascritti si danno buone notizie, ma si vedono instabili nelle loro volontà. Vanno avanti anche per vari mesi, ma poi mutano. In quei mesi sono tutti fuoco e fiamma e chi non li conosce a fondo, si forma sul loro conto grandi speranze. Ma dopo cominciano a dar giù, passa il fervore, e si vede che era cosa effimera: infatti cambiano proposito ed escono anche dalla Congregazione. Invece altri vanno molto adagio a farsi inscrivere nella Società, fanno progressi nel bene quasi invisibili, ma si osserva che da anni progredirono sempre e mai diedero un passo indietro. Costoro da chi li conosce poco, sono tenuti come tiepidi nel bene o per lo meno come mediocri. Però chi li conosce bene e da lungo tempo, fonda su loro le più grandi speranze. Costoro vanno adagio a fare un passo; ma fatto che l'abbiano, non danno indietro. Prendono adagio una risoluzione, ma presa che sia, nessuno è più capace di smuoverli e si è certi di vederli continuamente progredire nella virtù. Si faccia adunque gran conto d'un giovane, quando è costante nel bene, quantunque non paia tanto ardente e infervorato in esso.
Don Barberis gli fece notare come certi ascritti allora si regolassero bene, mentre negli anni antecedenti, essendo [280] semplici alunni, non davano segni di fervore, sicchè erano fatte molte difficoltà prima di ammetterli al noviziato. Don Bosco rispose: - Di questi bisogna osservare una cosa. Per lo più sono poveri affatto, sicchè fuori della Congregazione mancherebbero persino del necessario. Qui non manca loro nulla, anzi per loro la nostra mensa è molto buona. Poi il non incontrare qui nessuna contrarietà, l'essere ben trattati, il non sapere ove dare del capo fuori, fa sì che restino molto contenti della Congregazione. A poco a poco intanto si rassodano nella virtù e abbracciano poi la nostra vita per vero principio religioso. Anche di questo mezzo è bene che ci serviamo. Quanti ora fanno benissimo in casa e da prima vi entrarono proprio solo perchè non avrebbero saputo dove andare altrove per vivere onoratamente! È di somma importanza che questi tali siano trattati bene, cioè che non manchi loro nulla del necessario; poichè in questa loro età instabile basta l'essere scontentati in qualche cosa per prendere la risoluzione di andarsene! Saranno poi essi stessi malcontenti del passo fatto; ma saran fuori e tutto sarà finito. Se fossero in età avanzata, direi: Se si offendono per poco e se ne v anno, vadano pure; non sono soggetti che con l'andare del tempo possano arrecare vantaggio alla Congregazione. Ma trattandosi di giovanetti, non si deve dire così. Si vedono giovani buonissimi, ma che, allucinati da qualche loro passioncella, da parenti, da amici, da interessi, da immaginazione esaltata, prendono deliberazioni premature. Se costoro si fermano in Congregazione, dopo qualche tempo, passati quei capricci, faranno del bene grandissimo a sè e agli altri.
Don Barberis gli riferì come il prefetto avesse scritto ai genitori di qualcuno degli ascritti che pagassero gli arretrati, non della pensione, perchè erano mantenuti gratuitamente, ma delle spese, minacciando che, se non veniva soddisfatto, avrebbe mandato a casa il chierico. Esser venuto qualche zio prete, protestando di non voler pagare, se il chierico si fermava in Congregazione e volerselo condur via [281] per menarlo in seminario. Il Beato gli ordinò di dire al prefetto che non scrivesse mai così risolutamente ai genitori degli ascritti, perchè certuni non pagavano a bella posta per riavere i figli. Inteso poi che quel tal chierico erasi mostrato risolutissimo di vivere e morire in Congregazione, gli fece dire da parte sua che stesse tranquillo, perchè per sola mancanza di mezzi finanziari non si era mandato mai via nessuno.
Gli stava a cuore la sanità degli ascritti. Un mese dopo questo colloquio, avendogli Don Barberis parlato di alcuni alquanto malaticci, il Beato gli rispose: - Ebbene, bisognerà che dopo Pasqua, tutti i giovedì, si conducano i giovani ascritti a fare una passeggiata di buon mattino a villa Monti, posta sulla collina di Superga ad un terzo della salita. È in mezzo a boschetti, e la padrona la lascia a nostra disposizione. Potrebbero passare là tutta la giornata e verso sera tornarsene all'Oratorio. Credo che ciò, oltre a giovar molto alla loro sanità, recherebbe anche altri vantaggi: li renderebbe contenti, allontanerebbe da loro pensieri di altro genere, li farebbe sempre più affezionati alla Congregazione.
Di lì a pochi giorni il medesimo Don Barberis gli chiese se dovesse lasciar andare un ascritto a casa sua, perchè aveva il nonno gravemente infermo. Il Servo di Dio gli espresse così il suo pensiero: - Credo bene di sì. Quando la malattia dei parenti è così grave e questi chiamano i figli, ordinariamente si deve concedere la licenza. Se venissero a morire e noi non avessimo lasciato andare il figlio o il nipote o il fratello, sembrerebbe la nostra una crudeltà. I giovani poi terrebbero nel cuore per tutta la vita il dispiacere di non aver visti i loro cari, prima che morissero.
Quindi Don Barberis gli rivolse un'altra domanda. Aveva un ascritto tiepido nelle cose di pietà, pigro e disobbediente. Che cosa bisognava fame? - Prendilo in disparte, suggerì il Beato, parlagli chiaro, digli che getti via da sè quella poltroneria [282] e stia in tutto e per tutto alle regole, se vuol davvero appartenere alla Congregazione. Altrimenti si decida e ritorni presso i suoi genitori di propria volontà; perchè, se continuasse con tale condotta, correrebbe rischio di essere ignominiosamente cacciato dall'Oratorio.
A Don Bosco rincresceva allontanare da sè giovani che mostravano desiderio di fermarsi in Congregazione; ma non s'illudeva. Visto che taluno dava indizi di mala riuscita o segni di poca moralità, era inesorabile. Sui novizi egli faceva questo conto: su ottanta se ne perdono dieci nell'anno di prova; altri dieci nel corso del voti triennali; restano sessanta veramente buoni. Prima del '76 veramente le defezioni erano state in maggior numero; ma con la maggior regolarità la cifra diminuì.
Mancavano appena due mesi al termine dell'anno di noviziato, quando l'8 settembre volò al cielo un angelo di ascritto, per nome Defendente Barberis. Il parroco di Cassinelle, in diocesi d'Acqui, l'aveva raccomandato a Don Bosco scrivendo: “Forse nel paese non c’è nessuno della sua età e condizione che lo superi in virtù”. Nell'Oratorio amò lo studio, amò le pratiche di pietà, anelava a essere sacerdote per adoperarsi presto alla salute delle anime. Aspirante, fu posto a fare da portinaio nell'oratorio esterno; ogni ufficio assegnatogli adempieva con zelo e prudenza. Chierico novizio, faceva con mirabile efficacia il catechismo ai giovani dell'oratorio festivo e si comunicava quasi quotidianamente con tale fervore da edificare tutti i suoi compagni; puntuale nell'obbedienza, esatto nei doveri, parco e mortificato nel mangiare e nel bere, ascoltava con avidità le cose antiche dell'Oratorio e le fatiche sostenute da Don Bosco per fondarlo. Lo attraeva il pensiero di un avvenire operoso a bene del prossimo nella Congregazione Salesiana. Ma purtroppo i suoi giorni erano contati. Gli si usarono tutte le cure. Ammirabile nella sua pazienza, si affliggeva temendo di cagionare aggravio all'Oratorio. Consigliato dal medico a provare l'aria nativa, si recò [283] presso i genitori, che molto lo desideravano. Passò all'eternità, edificando tutti con la sua rassegnazione alla volontà di Dio. Aveva vent'anni di età. Il ricordo de' suoi esempi infervorò al bene i suoi compagni di noviziato.
I professi erano coadiutori, chierici studenti di filosofia e teologia, e preti.
Nell'Oratorio i coadiutori professi, ventitrè sul principiare dell'anno, crebbero a ventisette dopo le vacanze. Ci piacerebbe conoscere come se la passassero con Don Bosco; ma il '75 ha su questo punto penuria di notizie. Faremo dunque come in tempo di penuria: ci attaccheremo alle magre informazioni pervenuteci, pur di cavarne qualche sugo.
Il maestro Dogliani cinquantacinque anni fa aveva emesso da poco tempo la professione triennale. Don Bosco, che nel trattare con i suoi non faceva distinzioni fra vesti talari e giacche borghesi, un giorno se lo tolse a compagno, andando a Caselle. Accortosi che mancava pochissimo alla partenza del treno, gli disse:
- Corri, Dogliani, precedimi alla stazione e prendi i biglietti.
- Di prima o di seconda classe?
Sopraggiunto Don Bosco, salgono insieme nei carrozzoni di terza classe. Gl'impiegati ferroviari, che riconobbero Don Bosco, lo costrinsero a passare in prima col compagno. Quando vi si furono accomodati, Don Bosco disse sorridendo a Dogliani: - Vedi? Se avessimo preso i biglietti di seconda classe, ci avrebbero lasciati stare in seconda. Abbiamo prese le terze, e ci hanno fatto venire in prima.
Dogliani viaggiò un'altra volta con Don Bosco, e come ricorda ancora il brutto momento in cui s'accorse di avergli perduta la valigia! Don Bosco, vedendolo tutto mortificato [284] e inteso il perchè: - Niente ti turbi! disse. M rincresce solo per certe carte... - Non finì la proposizione, che arrivò trafelato un uomo, dicendo: - Ecco la sua valigia. - Dogliani respirò.
Povero maestro Dogliani! Sperimentò la bontà paterna di Don Bosco verso i coadiutori in circostanze un po' differenti. Una sera il buon Padre, finì di confessare dopochè da un pezzo la comunità aveva cenato. Sedutosi a tavola, Dogliani, che alternava le lezioni di musica con i servizi dei refettorio, ordinò la cena per lui. Il cuciniere mandò un piatto di riso stracotto e freddo. Il giovane coadiutore si stizzì e disse: - Ma è per Don Bosco! - E il suo collega dalla cucina: - Oh, Don Bosco è uno come tutti gli altri. - Una giornata di cucina, e di quella cucina spiega, se non giustifica un tale linguaggio. Poi il famoso Gaia era un buon uomo, nonostante il suo carattere rubesto. Dogliani, umiliato, presentò a Don Bosco quella roba, e si tirò indietro. Ma il chierico Cassinis, il futuro missionario, non si rattenne e gli riferì le insane parole. Il Beato non corrugò la fronte, non battè ciglio, neppur tacque sdegnoso, ma disse con aria tranquilla e tono pacato: - Ha ragione Gaia; è vero - [134].
Quest'altra però fu tutta colpa del refettoriere, alquanto distratto forse dalla musica. Un giorno che aveva a mensa alcuni convitati, Don Bosco vide sudicia la tovaglia. Un po' indispettito, ne rimproverò Dogliani. Era una mancanza di rispetto agli ospiti. Per Dogliani fu uno strazio. Verso sera scrisse una lettera a Don Bosco, dicendogli fra l'altro essere quella la prima volta che aveva visto Don Bosco quasi adirato. Don Bosco si umiliò a leggere la lettera in Capitolo; indi per confortare il buon coadiutore, imbattutosi in lui, lo fermò, lo prese per mano e gli disse, facendo sua la famigerata espressione: - Non sai che Don Bosco è un uomo come tutti gli altri? [285] Tale costumava Don Bosco mostrarsi in ogni occasione con i suoi coadiutori. Qui, in questo modo di trattarli, stette il suo gran segreto per informare a soda vita religiosa uomini che nell'esteriorità della persona e nella qualità delle occupazioni non differivano punto da secolari della medesima condizione ed età. Don Giuseppe Vespignani, che non ne aveva mai veduti, rimase fortemente colpito nel '75 ad Alassio dalla loro sincera pietà in chiesa, dove compivano in comune le pratiche divote e cantavano i divini uffici con i collegiali. Il direttore Don Cerruti gli disse: - Questi coadiutori a volte, veda, ci confondono con la loro vita virtuosa, sicchè noi sacerdoti abbiamo quasi da arrossire dinanzi agli esempi edificanti che ci danno - [135].
La confidenza che Don Bosco ispirava loro, glieli rendeva a poco a poco malleabili e pronti a tutto. Ma la confidenza bisogna sapersela cattivare. Nel '77 chiese e ottenne di partire per l'America il coadiutore Bernardo Musso, che fu colà maestro di calzoleria per cinquant'anni. Orbene egli custodiva quale preziosa reliquia una letterina di Don Bosco, che vale un perù. Il Servo di Dio gliel'aveva scritta nel '74 e da Roma, e a lui ancora semplice artigiano. Certo nel giovane aveva scorta la stoffa di un suo coadiutore.
Io ora ho molto bisogno di essere aiutato dalle tue preghiere e dei tuoi compagni. Cercami dunque tra i tuoi amici tutti quelli che desiderano di aiutarmi e conducili ogni giorno all'altare di Gesù Sacramentato per raccomandargli i miei bisogni. Quando io tornerò a Torino, mi presenterai quelli che ti hanno accompagnato in quelle visite ed io darò a tutti un bel ricordo.
Nel '75 passarono all'eternità due confratelli, Antonio Lantieri e Giacomo Para, uno coadiutore e l'altro tale solamente [286] di fatto, degni entrambi di essere qui ricordati, perchè rappresentano ai nostri occhi quale fosse la formazione religiosa che si riceveva in quei tempi all'ombra dell'Oratorio.
Il Lanteri morì nell'agosto a Realdo di Briga Marittima. Faceva il pastore. Amava la chiesa, i Sacramenti, la Madonna e le pie letture. Un giorno, rincorrendo una pecorella sbandata, si sentì all'improvviso mancare la terra sotto i piedi e precipitò giù per un burrone. Ebbe appena tempo di esclamare: Gesù e Maria, aiutatemi! - In quella gli parve che un lampo balenasse a' suoi occhi: si trovò in fondo senza la menoma lesione. Balzato in piedi e misurata con lo sguardo l'altezza spaventosa da cui era caduto, levando le mani al cielo, disse: - O Gesù, o Maria, consacro d'ora innanzi al vostro servizio questa vita, che voi mi avete conservata. - Durante l'inverno doveva abbandonare la sua cara solitudine e recarsi presso centri dove lo nauseavano i discorsi contro la religione e il buon costume; per questo deliberò di ritirarsi in qualche Congregazione religiosa. Venne all'Oratorio nel settembre del '71. Avrebbe desiderato di studiare; ma aveva salute molto cagionevole. Applicato a lavori domestici, obbedì. Due mesi dopo, avendo fatta buona prova, fu mandato nella Casa di Marassi, trasportata poi a Sampierdarena. Qui ebbe la cura della chiesa. La pietà, la pace del cuore che gli traspariva dagli occhi, la diligenza in ripulire e ornare la casa di Dio, la carità e il bel garbo nel trattare le persone, gli attirarono l'ammirazione generale. Compiè così il noviziato e fece i voti triennali. Il tempo della preghiera non gli sembrava mai abbastanza lungo. Trascorso un anno, gravi sintomi di debolezza destarono inquietudine per la sua vita. Si credette che l'aria di Piemonte gli fosse più favorevole. Rimandato all'Oratorio, vi fece da sagrestano a Maria Ausiliatrice. Se non che il male assopito si risvegliò con l'inverno. I medici consigliarono l'aria nativa; ma egli pensava unicamente a fare una buona morte. In casa sua osservò con grande fedeltà le Regole della [287] Congregazione riguardanti le pratiche di pietà. Si mantenne calmo e sereno fino all'ultimo respiro. Era nato nel '41
Il Para era più giovane, essendo nato a Sampeire nel '50. In paese, frequentando la scuola comunale, reagì contro la mala abitudine di cantare canzonacce per le strade e per le campagne; il mezzo fu d'insegnare, col permesso del maestro, alcune lodi sacre a un gruppo di condiscepoli. Lavorava la terra, pregava volentieri e si comunicava sovente. Le strettezze domestiche non gli permettevano di andare agli studi per farsi prete. Sui vent'anni, mortagli la madre (il padre non l'aveva più), avendo udito parlare dell'Oratorio, chiese per mezzo del parroco di esservi accettato. Don Bosco, trovatolo molto buono, lo aggregò agli studenti. Nel '73 lo ammise fra gli ascritti, e, caso eccezionalissimo, gli concedette di fare la professione religiosa, sebbene non avesse ancora compiuto il corso di latinità. Al riaprirsi delle scuole, abbisognandosi in Borgo S. Martino di un buon portinaio, vi fu mandato Para. Gl'increbbe assai doversi staccare da Don Bosco; ma obbedì. Ivi attese allo studio di quarta ginnasiale sotto uno speciale maestro. Scosso nella salute e avvezzo ai disagi, tacque, continuando nel cuor dell'inverno a levarsi alle cinque. Il 22 febbraio, andato, secondo il solito, a ritirare la corrispondenza, disse all'uffiziale della posta:
- Di qui a due giorni altri verranno a prendere le lettere.
Quella sera si mise a letto. Le cose precipitarono. La mattina del 25, confidato al confratello assistente un bel sogno, affermò con sicurezza che presto presto avrebbe lasciato il mondo. Confessato e comunicato, pregò il direttore che, dando a Don Bosco l'annunzio della sua morte, lo ringraziasse del favore fattogli, preferendolo a tanti suoi compagni nell'ammetterlo pochi mesi prima alla professione religiosa. Poi soggiunse: - Io penso che Don Bosco sapesse che io doveva presto morire; altrimenti non mi avrebbe fatto una grazia [288] così grande. - Di lì a due ore spirò, baciando amorosamente il Crocifisso.
Venendo ora a parlare dei chierici, diremo quanto il Beato curasse in loro la formazione religiosa, intellettuale ed ecclesiastica.
La regolarità della vita religiosa fra i chierici studenti procedeva di pari passo con quella degli ascritti. Nelle conferenze di aprile Don Albera, interpretando il desiderio comune, fece voti che presto si distribuisse a tutti il testo delle Regole in italiano. Don Bosco non avrebbe indugiato tanto a far cosa sì ovvia; ma rubava alle sue occupazioni ogni resticciuolo di tempo per preparare quelle preziose pagine dell'Introduzione, che hanno per iscopo di chiarir bene quale sia lo spirito, di cui le Regole sono informate, pagine che furono licenziate per la stampa il 15 agosto 1875. Frattanto egli si studiava di far penetrare questo spirito nel cuore dei giovani chierici, valendosi di tutti i mezzi che la sua paterna sollecitudine gli suggeriva.
Ai superiori che per ufficio stavano più a contatto con lui, non isfuggivano le sue industrie nel ravviare i chierici che si mostrassero un po' liberi e insofferenti della regola. Vi si metteva attorno con tale prudenza, che, scrive Don Barberis, l'individuo, pur sentendosi conquiso, non si avvedeva neppure del perchè Don Bosco lo circondasse di tanta benevolenza.
La necessità lo obbligava talvolta a spiccarsi dal fianco quei cari figliuoli e mandarli a portar aiuto nelle Case; ma li seguiva con vigilante carità. Ne abbiamo una bella prova in un'amabile letterina scritta al chierico Nai, inviato di fresco a Borgo S. Martino.
Prima però giova conoscere i precedenti. Il Nai nell'anno di quarta ginnasiale si sentì domandare a bruciapelo da Don Bosco:
- Vuoi fare un contratto con Don Bosco?
- Un'altra settimana te lo dirò. [289] Venuto il giorno della confessione settimanale, il ragazzo, confessandosi, interrogò Don Bosco:
- Qual è il contratto che vuol fare?
- Ti piacerebbe stare sempre con Don Bosco?
- Ebbene fa' così: va' da Don Rua, e gli dirai che ti ha mandato Don Bosco.
Don Rua per tutta risposta affabilmente gli disse di trovarsi il giovedì appresso, alla tal ora, nella chiesa di S. Francesco. Il Nai vi fu puntuale. Trovò là un gruppetto di compagni scelti, coi quali ascoltò le cose che Don Rua disse dello stare con Don Bosco. Nè andò guari che in un'altra confessione Don Bosco gli parlò così: - In questo momento mi sta presente tutto il tuo avvenire. - E gliene squarciò il velo. Oggi a settantacinque anni d'età Don Nai afferma, e sarebbe disposto a confermarlo con giuramento, che la predizione si è avverata per filo e per segno.
Chierichetto adunque da poco vestito, quando venne il giorno di fare i voti, fu sorpreso da esitanze, di cui per l'addietro non aveva mai avuto sentore. Apertosene col Padre dell'anima sua, questi gli rispose:
I grilli saltano in terra e sopra la terra e i voti che intendi di fare volano al trono di Dio; perciò i primi non possono per niente turbare i secondi. Perciò temi niente e va avanti. Occorrendo osservazioni, ci parleremo fra non molto.
Dio ti benedica, age viriliter, ut coroneris feliciter. Prega pel tuo in G. C. sempre
Torino, Solennità di Maria A. 1875
Piace sorprendere il Servo di Dio nella vita vissuta dell'Oratorio in mezzo a' suoi chierici. In una relazione, stesa immediatamente dopo il fatto, ci si para davanti quasi una istantanea fissata su lastra fotografica da un chierico. [290] Dopo cena si forma un piccolo crocchio di chierici, che discorrono tranquillamente fra loro. Ecco arrivare Don Bosco in compagnia di alcuni altri. Quei del crocchio si muovono, gli si mettono attorno, gli baciano la mano. Egli si ferma, rivolge alcune parole amorevoli e facete a ognuno, indi a tutti dice:
- Voi, o chierici, siete la mia corona!
- Purchè, rispose uno, non siamo la sua spina.
Ed egli ridendo e accennando a Don Barberis che gli stava vicino, ribattè:, - Se mai fosse così, eccomi qui al fianco il gloria Patris filius sapiens!
Poi riprese a lanciare frizzi gentili, finchè venne a dire: - Nella notte passata ho fatto un sogno. Mi sembrava, anzi ero certo, che si portasse il Viatico a un infermo. Ansioso di sapere chi fosse, ne chiesi notizia a un mio vicino, ma costui non mi rispose. Gli ridomandai chi agonizzasse; ma l'altro, sempre silenzioso, mi fece una smorfia. Eppure, dissi fra me, voglio saperlo! Detto fatto: mi metto in cammino e seguo il Viatico. Giungo alla casa, i sacerdoti entrano, e io dietro; ma alla porta della stanza faccio per andar dentro e non ci riesco. Più volte mi sforzai di spingermi fino al morente; impossibile! Ah, dissi allora, questo è un sogno! In quella mi svegliai e ripetei: È proprio un sogno.
Cambiando poscia argomento, Don Bosco manifestò la sua contentezza, perchè nell'Oratorio non vi fosse nessuno ammalato. Allora uno di quei chierici gli venne fuori con la domanda se fosse vero che dalla buona conservazione dei denti dipendesse la longevità. Egli rispose che, generalmente parlando, la cosa può essere vera; ma l'importante essere che la morte di un individuo non sia scritta nei libri eterni per un determinato tempo: chè in tal caso nulla ce la potrebbe far evitare. Contribuire però in sommo grado alla longevità la buona morale, che ci dà le regole di ben vivere e c'insegna ad amare la virtù, la temperanza e molte altre cose utilissime alla conservazione del corpo. - Al qual proposito, continuò, [291] ho avuto notizia che è morto da pochi giorni un giovane robustissimo e di ottime speranze; invece vive, sebbene sempre malaticcio e, quasi direi, tisico, il suo fratello. Vedete dunque come a nulla valgano sanità e robustezza, se nei libri eterni è deciso che quello o quell'altro debba morire,
Qui il discorso fu interrotto dall'arrivo di un altro prete, Don Luigi Rocca, e dalla campana. “Noi, baciategli ripetutamente le mani, ce ne andammo”, scrive il relatore. Il qual relatore è il chierico che diede occasione alle funeree riflessioni finali. Si chiamava Cesare Peloso, ed è sintomatico che il pensiero di prendere appunti su quella interessante conversazione venisse proprio a lui, che doveva morire non molto dopo.
Per la buona formazione intellettuale il Servo di Dio annetteva somma importanza allo studio della filosofia. Si teneva al corrente di quanto si facesse in quella scuola tanto dai discepoli che dagl'insegnanti. Diceva a questi ultimi: I professori abbiano pazienza, cerchino di abbassarsi molto, si abbassino fino alla capacità degli alunni; non pretendano di fare continue e sublimi dissertazioni: non dissertare bisogna, ma spiegare alla lettera il trattato.
Il principale professore di filosofia doveva essere poco soddisfatto della sua scolaresca. Uomo serio, piuttosto severo, di forte ingegno, di fortissima tempra, non la trovava forse totalmente di suo gusto. È probabile che un bel giorno abbia esposte per iscritto a Don Bosco le proprie doglianze, e che questa sia stata la preziosa risposta del santo educatore:
Io andrò facendo quello che posso per risvegliare amore allo studio tra' tuoi allievi; ma tu fa anche quanto puoi per cooperarvi.
1° Considerali come tuoi fratelli; amorevolezza, compatimento, riguardo, ecco le chiavi del loro cuore.
2° Farli soltanto studiare quello che possono e non più. Far leggere e capire il testo del libro senza digressioni.
3° Interrogarli molto sovente, invitarli ad esporre, a leggere, a leggere, ad esporre. [292]
4° Sempre incoraggiare, non mai umiliare; lodare quanto si può senza mai disprezzare, a meno di dar segno di dispiacere quando è per castigo.
Prova mettere ciò in pratica, e poi fammi la risposta. Io pregherò per te e pei tuoi e credimi in G. C.
Il Beato doveva pensare per tempo a prepararsi professori titolati; perciò soleva mandare chierici a dar gli esami di licenza ginnasiale e liceale. Un giorno su questo delicato argomento indicò quale bisognava che fosse il criterio da seguirsi e disse[136]: - Bisogna che noi osserviamo per quali chierici possa tornar utile alla Congregazione che diano o non diano questi esami. Non si deve aver riguardo all'individuo, se ne abbia molta o poca voglia; anzi nemanco si deve tener conto, se questi esami siano per tornar utili o nocivi al chierico: ma si osservi solamente se ne possa venire vantaggio o danno alla Congregazione. Io non voglio che spingiamo tanto avanti questo principio, come si fa altrove: ma teniamo sempre come regola generale nel prendere le nostre deliberazioni di aver in mira il bene della Congregazione e non dell'individuo. Un'altra cosa da non mai perdere di vista è che si scelgano solo quelli, che abbiano buona capacità, diano speranza di far carriera e siano giovani. Agli altri o meno dotati o d'età avanzata si facciano compiere gli studi con maggior prontezza, esonerandoli da materie secondarie, acciocchè possano esercitare presto il sacro ministero. Abbiamo anche bisogno di molti che si occupino di assistenza, di prefettura e di altro nelle case.
Per formar bene i suoi chierici allo spirito ecclesiastico egli affidava la scuola di teologia a bravi sacerdoti di Torino, quale il valoroso canonico Marengo, che di buon grado si sobbarcavano a rendergli un sì segnalato servigio. L'esemplarità [293] poi della sua vita sacerdotale e i suoi pratici insegnamenti sull'esercizio del sacro ministero facevano il resto.
Don Giuseppe Vespignani fu testimonio di questa scena. Un giorno, dopo pranzo, davanti alla porta del refettorio, là dove oggi è stata rimessa più che a nuovo la famosa cappella Pinardi, egli discorreva familiarmente con Don Bosco, quando si appressa Don Barberis e porge al Servo di Dio una lista di ordinandi. Don Bosco la scorre e fa un atto di sorpresa. Vi mancavano i nomi di alcuni, che pure erano agli ultimi anni di teologia e tenevano ottima condotta. Don Barberis molto rispettosamente osservò: - È vero, sono preparati; ma essi fanno scuola e, se ricevessero ora il suddiaconato, la recita del Breviario farebbe loro perdere troppo tempo, mentre debbono...
Il Beato non gli lasciò finire la proposizione, ma con calore prese a dirgli: - Ma che dici? Far perdere tempo la recita del Breviario? Anzi, ne fa guadagnare. I chierici, recitandolo, compiono l'ufficio divino di pregare con tutta la Chiesa; vi s'istruiscono con la parola ispirata della Sacra Scrittura, con le lezioni dei Santi Padri, con le vite e gli esempi dei Santi; pregano con i salmi e i cantici del popolo di Dio e con gli inni liturgici. Il Breviario procurerà a questi chierici più cognizioni che non tanti libri e maestri e li ispirerà nell'insegnare ai loro allievi la scienza di Dio e dell'anima. Dunque facciamo capir bene ai nostri chierici, quanto sia importante l'ordine del Suddiaconato, e il gran mezzo che avranno nel Breviario per la loro istruzione religiosa e per la loro santificazione. Vedrai che ne ricaveranno profitto sotto ogni rispetto. - Quindi, rivolgendosi a Don Vespignani, che ascoltava edificato e ammirato un così spontaneo e fervido elogio del Breviario, conchiuse a modo d'interrogazione: - Non è vero che questo è il più bel tesoro del chierico, quand'è in sacris?
Sul capo dei chierici pendeva temibile la leva militare, che minacciava di mandar a monte le migliori speranze. I vescovi d'Italia ne gemevano. Don Bosco aveva ogni anno [294] la sua diecina di chierici esposti a quel pericolo. Per istrapparli ai rischi della caserma egli non lasciava nulla d'intentato: suggerire espedienti, visitare persone d'influenza, raccogliere elemosine per il riscatto. Questo biglietto alla signora Teresa Vallauri, torinese, benefattrice dell'Oratorio, ha tutta l'aria di riferirsi a un caso del genere.
Le ritorno l'ombrello con vivi ringraziamenti. Il curante del mio Chierico è il Capitano Chiaves, buon cristiano che dimora Via S. Domenico 34.
La ringrazio assai assai di tutta la carità che fa a me, a questa nascente congreg., la quale appunto perchè è nel suo principio, abbisogna di tutto e di tutti.
Dio la benedica e preghi per me che le sono in G. C.
Le cose peggiorarono sempre più; poichè il 18 aprile la Camera dei Deputati approvò una legge, con cui si aboliva ogni immunità a favore dei chierici. L'articolo secondo era così concepito: “A datare dal luglio 1876 è tolta la facoltà di far passaggio dalla prima alla seconda categoria mediante il pagamento di una somma”. La approvarono anche i Senatori e il Re la sanzionò il 7 giugno. A buon conto, in grazia di Don Bosco, neppure un chierico dell'Oratorio, fino al '75, andò sotto le armi.
Il luglio portò una gradita novità nel mondo dei chierici: le vacanze fuori dell'Oratorio. La caritatevole signora Eurosia Monti possedeva sulle colline di Superga un'amena villetta, che mise a disposizione di Don Bosco per questo scopo. Essendo però l'edifizio capace soltanto di quindici persone, Don Bosco provvide che i chierici vi si succedessero a gruppi di quattordici ogni due settimane. Diede anche le opportune istruzioni, molto precise ed esatte, che Don Barberis, incaricato [295] dell'esecuzione, pose fedelmente in iscritto. Sono le seguenti:
1° Procurare di contentar molto i massari, domandar loro di quali cose possiamo servirci e di quali no; avvisarli dove possiamo andare e dove no; dir loro fin da principio che, arrecandosi qualche guasto o consumandosi qualche cosa oltre lo stabilito, ne tengano conto e ce lo dicano, perchè noi intendiamo di pagare quanto occorre. E rifletteva D. Bosco: - Se incominciano ad essere malcontenti i massari, fanno poi di noi una nera pittura alla padrona e sebbene questa non stia sulle minutezze, tuttavia certe relazioni potrebbero recarci danno.
2° Andare a trovare il parroco e fargli tanti saluti da parte di D. Bosco. Metterci in buona relazione col cav. Arnaldi e D. Tomatis che hanno le loro villeggiature attigue a quella della sig. Monti; dire loro che D. Bosco li saluta e li tiene sempre presenti nelle sue preghiere.
3° Preparare una lettera di ringraziamento alla signora Monti, che ora sta a Biella: dirle che si sta godendo alle sue spalle; che non potendo rimunerarla altrimenti, si rivolgeranno al Signore per lei le preghiere e le, comunioni; ripeterle che a compiere l'allegria de' suoi ospiti, manca solo la presenza di mamma Eurosia; assicurarla che si prega specialmente pel riposo eterno del colonnello, suo marito, morto pochi mesi fa.
4° Non dimenticare qualche occupazione: - Io desidererei, diceva D. Bosco, che ci fosse un po' di scuola, nella quale i più deboli nella lingua latina potessero fare qualche progresso: ma cose semplici, facili, senza lunghe spiegazioni e solamente osservazioni grammaticali. Esercitarli a leggere bene. Non sembra vero come tomi difficile il leggere in pubblico con senso e a tono: per molti riesce malagevolissimo pronunziar le doppie, per altri la zeta. L'o poi si pronuncia come fosse u. Anche una cosa che sembra da nulla, ed è di somma importanza, si è l'insegnare a scrivere una bella lettera. Vi sono di quelli che hanno ingegno, han fatto progresso in seri studi, saranno già preti o medici o avvocati, e, se hanno da scrivere una letterina a modo, si trovano imbrogliati; si lasciano scappare errori d'ortografia, sgrammaticature, sbagliano nei titoli, nel posto ove metter la data e la sottoscrizione. Per insegnare queste cose mi sembra molto opportuno il tempo delle vacanze; poichè sono studi, che non riescono troppo gravosi, e arrecano un'utilità pratica grandissima. Si potrebbe anche dare qualche lezione di francese a coloro che hanno fatto molto progresso negli studi lungo l'anno.
- In quanto a quelli che sono debolucci nel latino, ci vuole pazienza. Per lo più sono quelli che vorrebbero meno scuole, oppure si credono di saperne quanto gli altri e non si degnano por mente [296] a quelle regole che essi chiamano piccolezze; e cercano cose più sublimi, e finiscono con non imparare nè l'una cosa nè l'altra.
- L'anno scorso accadde che un maestro, messo appositamente per costoro, di tanto in tanto non potesse fare scuola, perchè ora con una scusa ora con un'altra si assentavano: motivo principale la poca voglia. Tuttavia mi par bene che si faccia così, affinchè per parte nostra si procuri di dare maggior istruzione a coloro che ne hanno bisogno.
5° Stabilire un orario. Pratiche di pietà: alle 6 messa e meditazione. Alle 10 un'ora di scuola e dopo breve lettura spirituale. Dalle 3 e mezza pom. fin verso le 5 studio libero. Alle 5 visita al SS. Sacramento, domandando il permesso a Villa Arnaldi, ove si conserva in quella cappella. Il rimanente del giorno sia pur ricreazione e tutte le sere passeggio fino alle 7 e mezza; appena arrivati a casa, la cena. Alle 9 orazioni e riposo.
Non ancora pago di queste provvidenze, volle parlare di vacanze a tutti i chierici riuniti insieme. Perciò la sera del 6 luglio, essendosi terminati da un giorno gli esami finali, li adunò a conferenza. L'argomento delle ferie gli offerse pure bellamente l'addentellato per dire cose che giovassero a ravvivare nei chierici l'affetto alla Congregazione ed a premunirli contro i pericoli degli ozi estivi.
Si sono finiti con soddisfazione generale gli esami sia di teologia che di filosofia. Ora cominciano le vacanze. Io so che motti di voi altri siete assai stanchi e abbisognate di vacanze ed ho cercato ogni modo, perchè queste si possano fare con soddisfazione universale. Alcuni hanno ancora delle occupazioni e non possono cominciarle subito; per costoro si faranno un po' più tardi; altri comincieranno fin da domani. Di questo mi raccomando, che le vacanze sieno di riposo; ma nello stesso tempo sieno anche occupate, sicchè, ricreandosi il corpo, non abbia a perderne lo spirito. È già combinato a questo riguardo un orario sia per quelli che le passano qui, sia per quelli che vanno a Villa Monti, affinchè ci sia molta ricreazione ed anche occupazione.
Bisogna pure che pensiamo per il personale d'America. Ora la cosa è accettata e bisogna che si cominci una scuola di Spagnuolo e che si faccia la cena del personale; poichè, secondo che si è stabilito, la partenza sarebbe per Ottobre o al più tardi nella prima metà di Novembre. Abbiamo ricevute lettere di là che esprimono proprio il desiderio accesissimo, con cui ci aspettano, ed il bisogno che ce n'è. Il Collegio è già costrutto e lo mettono subito a nostra [297] disposizione. Vi è anche una chiesa pubblica da officiare, le scuole della città sarebbero tutte in mano nostra. Anche è necessario che si stabiliscano ripetizioni speciali d'Italiano, di Francese ed anche d'Inglese. Gli abitanti sono buoni per loro natura, attaccati alle cose di religione: solo mancano d'istruzione e non hanno preti che li istruiscano. S. Nicolas, che è la città dove noi andremo, ha circa 50 mila abitanti, tutti cattolici, e non ha che tre preti. Che cosa sono tre preti in una città, come sarebbe tra noi Alessandria, per l'amministrare i Sacramenti, far le sepolture, portar il Viatico, dir messa, confessare, predicare, far catechismi? Bisogna poi ancora che sappiate come non molto distante da S. Nicolas, comincino le regioni abitate dai selvaggi indigeni, che in quel luogo sono molti. Questi già vedono bene la religione cristiana, domandano di essere istruiti; ma non c’è nessuno che si possa occupare di loro e si lasciano vivere e morire fuori della religione cattolica, senza che vengano a conoscere chi è Dio. Sono questi bisogni pressanti che ci fecero accettare per ora il Collegio ed in seguito spero che potremo anche occuparci dei selvaggi, istruirli, educarli, farli cristiani.
In questi giorni scorsi, come ora abbastanza conoscete, siamo stati visitati dal Cardinal Berardi. È un gran segno di bontà, miei cari figliuoli, che ci diede sua Eminenza. È venuto espressamente da Genova a Torino per venire all'Oratorio; e poi il vedere la benevolenza che ci dimostrò, la contentezza che aveva nell'osservare i nostri giovani, il modo ammirativo con cui parlava di loro, è proprio cosa da intenerire. Anche m'intenerì il vedere l'affezione che il S. Padre ci porta; poichè tra le altre cose il Cardinale ci diceva anche: - Il S. Padre m'incaricò espressamente di salutarvi e di comunicare sia a voi che ai vostri giovani la sua benedizione; poi m'incaricò anche di dirvi questo e quello. - Sembra che noi abbiamo ad essere non so che per formare le sollecitudini di così gran Papa.
Ora poi, venendo nuovamente alle nostre vacanze, bisogna che io vi avvisi di un gran pericolo che si incontra. Poichè, oh quanti ne vidi io a perder la vocazione lungo le vacanze! È, questa la perdita più grande, la più gran rovina che vi possa capitare. E pur troppo avviene, specialmente quando si va a casa dei propri parenti. Si comincia qui a parlare dei bisogni, là dell'interesse; poi vengono i congiunti e non si parla che di compera, di vendita, di mercato e di fiera. Il povero chierico, sempre tra quei discorsi, che cosa potrà ricavar di bene? Per non dire di ben altri discorsi, molte volte immorali, che non si possono impedire: di risse tra fratelli e fratelli, a cui quasi forzatamente bisogna prendere parte; poi il padre già vecchio che non sa contar altro che le miserie di famiglia, con il bisogno che qualcuno l'aiuti, che il prete lo potrà poi fare e simili. S. Bernardo fu costretto a non andar più mai a casa dei genitori. Ce lo dice esso. - Una sol volta vi andai; ma nel ritorno al convento io non feci che [298] piangere e per più mesi mi stavano nel cuore le lagrime e i bisogni di mio padre e come io avrei potuto aiutarlo, finchè il Signore nella sua bontà mi liberò da questa tentazione. - Se così avvenne a S. Bernardo, quanti non rovinò nella vocazione questo pensiero d'aiutare i genitori?
Una cosa poi che credo bene sia rischiarata in questo momento riguardo alla vocazione si è quanto concerne la vocazione dubbia. Lascerò di parlare dei segni della vocazione, di quando uno l'ha o non l'ha; solo vorrei rispondere a chi dicesse: - Io mi farei ben religioso; ma chi sa se io sarò poi chiamato? Io mi fermo qui, ma chi sa se il Signore mi vorrà proprio qui e non mi chiami piuttosto là?
1° Dal momento che voi avete avuto il desiderio, la voglia di entrare in Congregazione è già segno che il Signore, avendo posto questo desiderio, questa voglia in voi, vuole che voi la seguiate.
2° Dal momento che questo desiderio in voi ci fu da parte del Signore, voi non dovete rigettarlo senza manifesta volontà di Dio espressa in contrario, la quale deve esser riconosciuta dal Direttore Spirituale.
Alcuno dirà: - Chi sa se il Signore non mi chiami ad una vita più dura e più austera che questa? - Per la maggior parte dei casi, e quasi per tutti i casi, questo è un inganno. Se il Signore t'ha data l'ispirazione di entrare in una congregazione, in cui tu vedevi che potevi far del bene, il desiderar altro è volersi allontanare dal luogo dove il Signore ti pose. Il demonio cerca di farti uscir di qui per una vita più austera; quando tu sia là, ti farà dire: - Ma chi sa se io potrò resistere? - Oppure: - Vedo che la mia sanità va declinando: chi sa se il Signore richieda da me questo? - Il demonio è principe di discordia e di sommovimento e ci perseguiterà sempre e, ovunque andiamo, ci metterà avanti le sue tentazioni. E poi, e poi... Tu esci di qui per condurre una vita più austera; ora esci; ma chi ti dice che l'abbraccerai poi questa vita più austera? Uscì uno dalla nostra Congregazione dicendo che la nostra vita è un po' rilassata, che egli voleva condur vita più rigida, perciò più perfetta, Uscito, dopo alcuni giorni decise di non entrar più in nessuna religione, ma di far vita austera nel mondo: in poco si rilassò; poi abbandonò le pratiche di pietà. Io l'incontrai che son pochi giorni e, domandandogli delle sue nuove, entrai subito a parlargli di cose dell'anima. Mi rispose: - Oh Don Bosco, non mi parli di questo!
- Perchè io non bado più a queste cose; mi si aprirono gli occhi...
- Eli sì! fui per abbastanza tempo abbindolato da ubbie che non han nome.
- Ma, caro mio, e a confessarti non vai più?
- Ma e il salvarti l'anima, di cui una volta eri così zelante che non ti bastavano i rigori della nostra Congregazione e cercavi di più? Facendo così, il paradiso è perduto per te; l'inferno ti si preparerebbe.
- Basta, non mi parli più di questo; io non ci credo più a queste bazzecole.
Miei cari, io ebbi un bel dire; non ci fu verso che potessi fargli penetrare una parola fino al cuore. Se il Signore non lo cambia con un vero miracolo di grazia, egli è bell'e perduto.
Dicono poi altri: - Noi staremmo ben volentieri; ma... - Che ma? - Ma il superiore mi odia... non si mostra contento di me... ma io non sono buono a far gl'interessi della Congregazione. Io non ho abbastanza virtù. I superiori mi odiano. - Ma che pensate voi? Coloro che han sacrificata la loro vita per il bene vostro; coloro che il Signore ha stabilito sopra di voi, coloro che sarebbero pronti a dare il sangue per salvarvi, qualora si desse l'occasione, essi vi odieranno? Credetelo, questo per ora tra noi è impossibile che avvenga. E poi, e poi! Siete entrati in congregazione per trovar tutto di vostro gusto, per ricever carezze? Bisogna che sappiate a suo tempo sopportare anche il disprezzo per amor del Signore. Forsechè un superiore non può mostrarti all'esterno poca stima per corregger la tua troppa sensibilità o per provare la tua fortezza? Credetemi, questo è un laccio antico del demonio, che fa sempre parer così, e di vero non c’è quasi mai nulla.
Non si mostra contento di te? E tu vedi se questo avviene per colpa tua, perchè non fai quel che potresti e dovresti fare, oppure se tu fai il possibile. Nel primo caso tu sei tenuto ad emendarti, la colpa è tua; vuoi che il superiore sia contento di te, mentre non lo meriti? Nel secondo caso pensa che tu non lavori per piacere agli uomini, ma per piacere a Dio. In generale poi, credetemelo, anche qui la parte più grossa l'ha l'immaginazione. Perchè il superiore non dà segni speciali di aggradimento, o non sta lì a far carezze, si dice subito che non è contento. Con fanciullini si farà così; con quei che son già d'età maggiore, non c’è questo bisogno e chi è ragionevole deve contentarsi dei segni ordinari di soddisfazione.
- Io non son buono a far gl'interessi della Congregazione, non so guadagnarmi il vitto, ad assistere non son capace, a far scuola tanto meno, a lavorare non ho forze. Sarò d'aggravio alla Congregazione.
Sapete chi è d'aggravio alla Congregazione? Sono quelli che, quantunque abili, non sono obbedienti. Bisogna che il superiore cerchi le parole più dolci per comandargli, altrimenti sa già o di non essere obbedito affatto o di essere obbedito di mala voglia. Sono coloro che non amano la povertà e si vanno lamentando ora del cibo, ora della bevanda o della camera. Sono coloro che non osservano fino allo scrupolo la virtù d'ella castità, senza la quale può un solo essere cagione di rovina alla Congregazione intiera. Se voi siete di [300] virtù e fate il possibile per far bene, non sarete mai d'aggravio alla Congregazione. E poi, se i superiori vedono la vostra inabilità, non vi ricevono; dal momento che vi accettarono, è segno che vi credettero abili, e questo giudizio va lasciato a loro, non a voi,
- Il superiore mi credeva di maggior virtù, invece io vedo proprio che non ho le virtù necessarie per lo stato religioso. - Se tu non hai virtù sufficiente per vivere nello stato religioso, dove sono allontanati i pericoli, tanti aiuti, molta la preghiera, e perciò la grazia del Signore, potrai tu vivere bene da salvarti dove tanti sono i pericoli dei luoghi e dei compagni, dove non potrai quasi più attendere alla preghiera, tutto occupato nel guadagnarti il vitto? E poi, la questione della virtù è assolutamente tutta nelle mani del Direttore Spirituale. Tu sforzati di fare il possibile, e poi non temere; se la tua virtù non è sufficiente, sarai avvisato, e o non più ammesso o cacciato. Se i superiori non ti dicono nulla, tu puoi andare avanti senza timore.
- Ma, può dir qualcuno, sembra che l'uscir di Congregazione e dannarsi sia la stessa cosa; invece mi pare che anche nel mondo si può vivere da buon cristiano; e vi son di quelli che, usciti, conducono una vita migliore e più regolata dì quando erano in Congregazione.
Rispondo: è vero che, assolutamente parlando, anche fuori di Congregazione si può vivere da buon cristiano; e può anche salvarsi uno che esca dalla Congregazione; ma se voi altri mi vorreste credere, io vi direi schiettamente che questo è più vero speculativamente parlando che venendo ai casi pratici. In realtà io son di parere che molto pochi di quei che escono da una Congregazione a cui erano affigliati, possano salvarsi. Primo, perchè se entrarono in una Congregazione, sempre, si può dire, ne ebbero la vocazione, e, avendola perduta per propria colpa, difficilmente potranno rimettersi sulla buona strada. Poi, chi lascia un posto che sa buono e vede che è ben per lui il fermarsi, costui è segno che non è mosso dal puro amor del Signore, ma da interesse proprio.
Ora, venendo a conchiudere qualche cosa di pratico, se io dovessi dare un consiglio a costoro che si sentono dubbiosi nella vocazione, il mio consiglio sarebbe questo. Non si prendano risoluzioni senza essersi ben consigliati. Le altre decisioni prese sarebbero immature. E a chi domandar consiglio? Io credo che nessuno possa consigliar meglio che il Direttore della propria coscienza. Si noti solo questo: di non fare come molti, i quali domandano consiglio, poi, se il consigli o è come piace a loro, secondo la deliberazione già presa, beffe quidem, se non è tale, non piace loro e non lo seguono. Il Signore, stabilendo i superiori e direttori, dava loro lumi e autorità. Ai sudditi poi diceva: Subiacete eis, quasi rationem reddituris pro animabus vestris. La parola del Direttore va ascoltata come voce di Dio e chi vi resiste, a Dio stesso deve temere di resistere. Ascoltate poi tutti l'altro avviso che è di S. Paolo: Manete in [301] vocatione, qua vocati estis; poichè chi, a guisa di banderuola, ora desidera questo, ora vorrebbe quello, poi gli pare meglio esser qua e quindi che farebbe più bene esser là; costui per lo più non saprà moderarsi in nessun luogo e farà male dovunque. Prendete adunque come a voi dette quelle parole in riguardo ai vostri superiori: Qui vos audit, me audit. Non fate nulla senza l'avviso o contro il parere del superiore.
Così facendo vi troverete sempre contenti, sarete sicuri di camminar bene, e non avrete a render conto al tribunale di Dio della vocazione non eseguita.
In quei chierici riposavano le speranze di Don Bosco; ma, guardati a distanza, essi turbavano i sonni. Nell'ultimo giorno dell'anno civile piombò nell'Oratorio un bolide. Era un blocco di osservazioni, in cui alla durezza del contenuto non erasi risparmiata nemmeno, come suol essere di prammatica in documenti simili, la rudezza della forma.
Questa Congregazione ha diritto di ricevere nel suo seno coloro che ne fanno domanda, ma non può riceverli prima che questi abbiano presentate le carte testimoniali del loro Ordinario (Constit., X). Se l'Ordinario nega tali testimoniali e la Congregazione pensa che il rifiuto non sia giusto, ricorra alla S. Congregazione Romana, ma non si faccia giudice in propria causa.
Essa non ha diritto di tenere un Collegio di giovani con veste clericale senza il permesso del Vescovo, nel cui distretto diocesano il collegio è aperto.
Anche in questo collegio essa non ha diritto di porre l'abito chiericale a un giovane qualunque in modo che questi possa portarlo fuori del collegio senza il permesso del Vescovo, alla cui diocesi il giovane appartiene. Quindi l'avere breve tempo fa vestito da chierico un giovane di Vinovo senza permesso dell'Arcivescovo di Torino fu cosa anormale in se stessa, e nelle sue circostanze fu cosa gravemente contraria alla dipendenza che devesi al Vescovo diocesano.
La scissura che è tra l'autorità Ecclesiastica di Torino e la Congregazione è stata aperta e si mantiene da questo, avendo essa cominciato e persistito a ricevere vestiti da chierici nelle sue case individui licenziati dal Seminario Metropolitano, non solo senza alcun permesso, ma contro l'esplicito dissenso dell'autorità Ecclesiastica. Lo che fu un sovvertire l'ordine gerarchico e la buona disciplina del Seminario e quindi, per conseguenza necessaria, un ferire il cuore dell'Arcivescovo in una delle parti più sensibili. [302] Si mantenne tale scissura e si mantiene ancora mancando, sia nelle lettere, sia nei colloqui, della dovuta riverenza al carattere ed al l'Autorità Arcivescovile, come avvenne l'altra sera [29 dicembre 1875]; e poi contentandosi di riparare a tale mancanza, cominciando con un dubitativo o condizionale se; posto il quale certamente si può domandare di qualunque peccato perdono, anche da chi sia immune da qualunque difetto.
La Congregazione si tenga negli stretti limiti delle leggi canoniche, osservi a puntino le sue costituzioni, non si dimentichi della riverenza che deve all'Arcivescovo nè faccia, nè attenti di fare alcuna cosa contro la sua giurisdizione, come pur troppo avvenne più d'una volta; nè manchi verso di esso e della diocesi ai suoi doveri di giustizia; verso di questo e verso qualunque sia e in ogni occasione dia l'esempio di umiltà, che forma la prima virtù delle Congregazioni religiose; e le cose prenderanno quell'aspetto che debbono secondo le buone regole della giustizia cristiana.
Don Bosco dettò senza indugio la risposta, ma formulandola in persona di Don Rua. Qui concetto ed espressione hanno la morbidezza della carità, che patiens est, benigna est, non aemulatur, non agit Perperam[137].
Sono in dovere di fare i più cordiali ringraziamenti per le osservazioni scritte il 31 u. s. dicembre le quali confermano l'idea concepita fra noi, cioè che la sola mancanza di schiarimenti fosse la vera cagione di malcontento all'E. V. per parte della Congregazione Salesiana. Ho fondato motivo a credere che, dato il vero aspetto alle cose e palesato il nostro buon volere, debbano eziandio svanire le difficoltà o non esistenti o non volute. Come prefetto della Congregazione, io sono sempre stato a giorno di ogni cosa e perciò, se me lo permette, esporrò il mio modo di vedere, sottoponendo poi il tutto alla illuminata sua Saviezza.
“La Congregazione Salesiana, Ella dice, non può ricevere alcuno senza che prima presenti le lettere testimoniali del suo ordinario”. Ciò per noi non cagiona difficoltà, perciocchè l'abbiamo per nostra regola (capo XI) ed ogni primo giorno dell'anno leggiamo in presenza di tutti i salesiani il decreto Romani Pontifices del 25 Gennaio 1848 emanato della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, in cui sono date le norme: da tenersi in tale materia: anzi abbiamo pur sempre l'occhio sopra alle molte risposte date in dilucidazione dei dubbi insorti e dei fatti quesiti. [303]
“La Congregazione Salesiana non ha diritto di tenere un collegio di giovani con veste da chierico senza il permesso dell'Ordinario”
Credo che noi non abbiamo mai contestato questo diritto e nè in questa nè in altra Diocesi esiste alcun nostro collegio ove i giovani vadano vestiti con veste chericale.
“L'avere breve tempo fa vestito da: chierico un giovane di Vinovo senza permesso dell'Ordinario fu cosa gravemente contraria alla dipendenza che devesi al Vescovo diocesano”.
Se in ciò si è mancato in qualche cosa, la colpa è tutta mia: e questa però spero non mi sarà imputata dal Signore, essendo stata commessa per pura inavvertenza. Quel giovane fu da me ricevuto come secolare e con raccomandazione di un pio e zelante ecclesiastico. Se venne vestito da chierico, fu in seguito a sua domanda di essere ammesso nella nostra Congregazione, servendomi delle facoltà avute per ammetterlo, con qualche altro, alla vestizione chericale.
Ella stessa ebbe la bontà di dirci più volte che non oppone difficoltà di sorta che giovani vengano come secolari da noi e che di poi siano ascritti alla nostra Congregazione. È però opportuno le noti, come col decreto, di approvazione definitiva della Congregazione Salesiana (1 marzo 1869) fu concessa facoltà di dare le dimissorie a quei giovani che venuti nelle nostre case prima dei quattordici anni, a suo tempo domandassero di far parte della stessa Congregazione. Quando poi (3 aprile 1874) furono approvate le stesse Costituzioni, questa facoltà fu estesa anche a quelli di maggiore età. Se fu preventivamente concessa la facoltà delle dimissorie a quei che sono ospitati in nostra casa, non occorre più altro permesso per l'accettazione in Congregazione. Così rispose più volte Mons. Vitelleschi di felice memoria, dopo aver parlato con chi ne era mestieri.
“La Congregazione Salesiana riceve individui licenziati dal Seminario Diocesano senza permesso dell'Ordinario”.
La R. V. conosce meglio di me che un Ordinario Diocesano non può impedire che i suoi preti o chierici vadano ad iscriversi in una Congregazione Ecclesiastica e che da poco tempo (13 Gennaio 1875) la S. Cong. dei Vescovi e Regolari dichiarò la cosa medesima, come giova credere sia stato eziandio comunicato all'E. V.
Ma nei calamitosi tempi in cui viviamo, non si è punto badato al diritto, ma unicamente al bene delle anime. Appena Ella dimostrò esserle spiacevole tale cosa, niuno fu più accettato. Due furono nominati da V. E. in una occasione di colloquio, e sono i chierici Mundina e Macono, accolti momentaneamente in una lontana nostra casa. Nello spazio di poche settimane ne vennero ambedue allontanati.
“Nelle lettere e nei colloquii si manca della dovuta riverenza all'Arcivescovo ecc.”.
Eccellenza, non io solo ma tutti i Salesiani desiderano di conoscere [304] quali sieno le lettere o le parole usate che possano reputarsi irriverenti all'Arcivescovo e ciò desiderano conoscere per detestarle, farne emenda e riparazione nel modo più formale.
Abbiamo frequenti relazioni con oltre quaranta Vescovi e tutti ci fanno da padre e da veri benefattori e, ci permetta il dirlo, con nessuno altro ci studiamo tanto di misurare le parole e gli scritti per evitare qualunque minima cosa che possa cagionare dispiacere. Sarei veramente ansioso sapere i particolari di tali asserzioni per unico motivo di poterli scongiurare in avvenire.
“La Congregazione si tenga negli stretti limiti delle leggi canoniche, ecc.”.
La prego di nuovo, Monsignore, di permettermi una preghiera. La nostra Congregazione è nascente, e nasce in tempi procellosi: quindi ha bisogno di tutto e di tutti con quella massima indulgenza che è compatibile coll'autorità degli Ordinarii; perciò non dimandiamo il rigor delle leggi canoniche, ma somma carità e clemenza nell'applicazione delle medesime. In questo senso i religiosi Salesiani hanno sempre lavorato e tutt'ora in numero di 200 lavorano nella diocesi di Torino non per paura delle leggi che li obblighino o per interesse materiale, ma unicamente mossi dalla necessità in cui si trova la Chiesa di operai che lavorino nel campo evangelico. Ciò nondimeno io sono autorizzato da tutti i miei Confratelli Salesiani ad assicurarla che qualunque cosa ci venisse da V. E. avvertita pro o contro alle leggi canoniche, adopreremo la maggior diligenza nell'evitare o praticare quanto fosse del caso.
La prego ancora di permettermi che le noti alcune cose che hanno grandemente costernati ed umiliati i poveri Salesiani,
Primieramente fu il decreto in data 17 Novembre 1874 con cui la E. V. giudicò bene di togliere i privilegi e favori che i suoi antecessori, ed Ella stessa, avevano concesso alla nostra istituzione nello spazio di 35 anni. Fatto questo che ne avrà pochi somiglianti nella storia; dare la patente limitata e togliere la facoltà di assolvere dalle colpe riservate al nostro Superiore che, senza mai farne domanda, fu al medesimo benevolmente concessa.
La risposta negativa data alle preghiere di venire ad onorare con qualche funzione il settenario della festa della consacrazione della Chiesa di Maria Ausiliatrice, di voler venire a dare la cresima ai nostri giovanetti: ad entrambe le cose rispose negativamente; e neppure volle permettere che potessimo invitare altro Vescovo ad intervenire.
Al principio di quest'anno fu rifiutata la facoltà di predicare a due nostri sacerdoti di cui uno è direttore delle scuole degli esterni e dell'Oratorio Festivo di S. Francesco di Sales.
Tutte queste gravi misure suppongono certamente gravi motivi, che a noi non fu mai dato poter conoscere. [305] Malgrado queste cose il nostro Superiore, su cui vanno a ricadere tali misure, non si è mai udito a dire, scrivere, o in altro modo promuovere cosa non decorosa pel suo Superiore Ecclesiastico. All'opposto io posso assicurare l'E. V. che esso fu invitato a sottoscrivere cose contro V. E. che furono di fatto inviate a Roma, ed egli si rifiutò sdegnosamente.
Potè sapere che il collaboratore di un pessimo giornale aveva una serie di articoli preparati e prezzolati contro di V. E. Egli si risolse ricoverare un figlio di quel miserabile e dargli una somma di danaro a condizione che gli venissero consegnati quegli scritti infami, nè mai più si desse ai medesimi alcuna pubblicità. Si ottenne l'intento.
Soltanto nel passato ottobre (1875) taluni credendo alla voce, che faceva D. Bosco avverso all'Arcivescovo, gli presentarono un'infame biografia di V. E. con una vistosa somma di danaro, perchè ne procurasse la stampa. D. Bosco si fece lasciare il manoscritto per esaminarlo; oltrepassava le mille pagine, ma conosciutone il contenuto, ridusse ogni foglio in minuti pezzi che consegnò alle fiamme. Questo fatto ebbe gravi conseguenze, il cui peso è tuttora sentito da D. Bosco; ma egli è sempre contento, quando con sacrifici di qualunque genere può riuscire a cose che possano tutelare l'onore del suo Arcivescovo, che egli ha sempre amato e rispettato.
Mi accorgo di essere stato troppo lungo, ma Ella mi vorrà perdonare questo sfogo del mio cuore per assicurarla che i Salesiani non hanno mai diminuito nè stima nè venerazione verso della E. V. nè quando era semplice canonico in questa città, nè quando era Vescovo di Saluzzo, nè quando la Divina Provvidenza dispose che divenisse nostro Arcivescovo.
Sarà sempre un grande onore per me ogni volta che mi potrò professare colla massima gratitudine
Fra le carte di Pio IX a Roma esiste l'originale delle suddette Osservazioni, con cinque postille marginali di mano del Beato. 1ª Alla fine del primo capoverso: “Disse più volte che tocca a lui dare l'esame di vocazione, quando taluno volesse venire in congreg.”. 2ª Alla fine del secondo: “Non abbiamo niuno di tali Collegi”, 3ª Alla fine del primo periodo nel terzo capoverso: “Non vestiamo se non quelli che intendono di far parte della nostra Congregazione” 4ª Alla fine del quarto capoverso: “La S. C. dei VV. e RR. ha già risposto [306] allo stesso assicur[ando] che non può impedire ecc. Tuttavia in nostra Congregazione non abbiamo avuto nè presentemente abbiamo alcuno espulso dal Seminario diocesano”. 5ª Dopo “colloqui” nel primo periodo del quinto capoverso: “Fa maraviglia che non abbia mai nominato nè lettere nè parole di questo genere”. In ultimo: “NB. Le cinque postille furono fatte dal Sac. Gio. Bosco, 16 gennaio 1876”. Il colloquio del 29 dicembre è quello, di cui parliamo più innanzi, nel capo XXII, e la riparazione sarebbe nella lettera di Don Rua ivi riferita.
Ci resta a dire dei professi sacerdoti. A guardare sul catalogo, i preti nell'Oratorio non abbondavano; se poi si bada al da fare che vi era, come non rimanere di stucco a contarne tanto pochi? Ci spieghiamo così le lagnanze di Don Cagliero per sì grande scarsità. Assistiamo a una botta e risposta fra la vivacità del futuro Cardinale e la calma inalterabile dell'Uomo di Dio. Il dialogo avvenne, al solito, dopo cena, il 4 luglio. Cominciò Don Cagliero a risentirsi che con tanto da lavorare scarseggiassero tanto i preti. Don Bosco gli rispose:
- Consòlati. Se le cose vanno bene, faremo ordinare undici nuovi preti in meno di tre mesi.
- Bene, bene; anche troppi, per essere tutti in una volta. Ma io non sono più nuovo nella Congregazione. Tutti gli anni si fanno dei preti, e tutti gli anni ci troviamo in maggiore scarsità. Si ordina un prete, e cresce il lavoro per due. Se ne ordinano due nell'Oratorio, ed Ella ne manda tre in altri collegi. Adesso, è vero, se ne ordinano undici; ma intanto si apre casa in America e si apre un altro Ospizio per cominciare l'Opera di Maria Ausiliatrice. E poi di quegli undici, chi per un motivo chi per un altro, quattro, sei e anche otto si vedranno ritardate le ordinazioni, e buona notte: noi staremo al buio più di prima.
- No, no. A meno che da Roma non ci concedano gli extra tempus che ho domandati; ma ciò non deve supporsi, perchè finora ci fu sempre concesso tutto quello che abbiamo [307] domandato. Appena arrivati gli extra tempus, la prima domenica i minori, la seconda il suddiaconato, la terza il diaconato, la quarta la Messa.
- E costoro terranno il posto di altri; ma ci vorranno altri a tenere il posto di costoro.
- Oh, finchè ci sarà Oratorio, temo che sarà sempre così; un lavoro ne incalza un altro, il secondo è incalzato dal terzo; e quando uno non avrà due lavori per le mani, n e avrà tre; e così ci terremo allegri.
- Basta, basta! Ora, chi ci ha da pensare, ci pensi; io scappo in America e proveremo un po' se là le cose cambiano.
Erano presenti solo tre altri sacerdoti, che non si scandalizzavano punto della franchezza di Don Cagliero, dovuta alla sua grande familiarità con Don Bosco. In America egli andrà, ma non da fuggiasco. Gli undici ordinandi ci sono già noti. Nonostante tutte le contrarietà, il catalogo del '76 ce ne dà otto preti, due diaconi e uno suddiacono.
Finchè Dio ci darà vita per condurre innanzi queste Memorie Biografiche, faremo si che nulla vada perduto delle sagge direttive largite da Don Bosco a' suoi sacerdoti nell'esercizio del sacro Ministero. Quale tesoro ci troveremmo accumulato davanti, se il tempo non ce ne fosse stato troppo avaro! Intanto raccogliamo le briciole.
Fra i pochissimi professi entrati in Congregazione già sacerdoti spiccava singolarmente Don Guanella. A lui, direttore dell'Oratorio di S. Luigi, Don Bosco diede un giorno queste norme pratiche di predicazione: - Se Vuol piacere e far del bene predicando ai fanciulli, bisogna che porti esempi, parabole, similitudini; ma ciò che più importa si è che queste, vengano sviluppate bene in tutte le loro particolarità fino alle minime circostanze. Allora i giovani vi prendono interesse e attendono con ansia come vada a finire il racconto. -
Altra norma per la predicazione ai giovanetti diede a Don Costamagna nel '75. Leggiamola quale egli stesso già [308] Vescovo la espose[138]: “Dovendo io predicare gli esercizi spirituali ai nostri collegi di Torino, Varazze, e altrove, mi chiamò a sè e dissemi: - Insta molto sulla fuga dei discorsi cattivi e sul danno che producono. Racconta pure che Don Bosco ha letto di grandi libri, ha sentito tante e tante prediche, e di tutto questo ben poco si ricorda; ma di una parola cattiva che un compagno cattivo gli disse all'età di sette anni, non si scordò mai; che il demonio si prende il brutto incarico di fargliela risonare sovente all'orecchio. Eppure ha già sessant'anni -”.
Nel medesimo anno, quando fu a Sampierdarena per la partenza dei Missionari, parlò a Don Albera della direzione spirituale dei giovani. Tornavano insieme in carrozza all'Ospizio, dopo essere stati a pranzo a Staglieno in casa del signor Angelo Borgo; il Beato, trovandosi solo con quel direttore, rimasto alquanto in silenzio, esclamò: - Quanto è difficile far del bene alle anime! Adesso che ho sessant'anni mi accorgo ancora delle difficoltà che s'incontrano nel confessare i giovanetti. Eppure Don Bosco qualche lume l'ha ricevuto.
Il Beato Don Bosco, che lanciava nelle occupazioni soggetti forniti assai più di buon volere che non di buona preparazione, persuaso che la funzione avrebbe svegliato e sviluppato l'attitudine, in cose poi del sacro ministero andava con piè di piombo, mostrandosi esigente più che altri non crederebbe. Un giovane prete, ordinato nell'agosto del '75 e destinato al collegio di Valsalice, essendo adorno di eccellenti doti oratorie, predicava molto. Un giorno chiese a Don Dalmazzo, suo direttore:
- Sento che il tale predica molto.
- Sì Don Bosco, rispose Don Dalmazzo.
- Ma la sua predicazione è tale, che rechi frutto di salvezza alle anime?
- Non saprei definire; ma ha moltissimi uditori, e restano entusiasmati.
- Io domando se la sua predicazione produce conversioni!
- Questo non lo so. Ha molta rettorica, immaginazione, bella voce, forse un po' troppo studiato...
- Ebbene, per alcuni anni gli proibirai di predicare.
Usava poi a tempo e luogo con i sacerdoti certi tratti, che rubavano i cuori. Così a Don Lemoyne, direttore del collegio di Lanzo, disse una volta in questo medesimo anno, aprendo lo scrigno:
- Ma è per non dover dipendere dal prefetto, quando te ne bisognasse, e per essere libero in certi casi e senza controllo.
Don Lemoyne gli baciò la mano, commosso.
A Don Barberis, che una sera lo accompagnava in camera, disse paternamente:
- Sarai sempre il grande amico di Don Bosco.
- Se posso in qualche modo aiutarla, lo farò ben volentieri.
- Voi compirete l'opera, che io incomincio; io abbozzo, voi stenderete i colori.
- Purchè non guastiamo quello che Don Bosco fa!
- Oh no! Ecco: adesso io faccio la brutta copia della Congregazione e lascerò a coloro che mi vengono dopo di fare poi la bella. Ora c’è il germe: te ne avvedi tu stesso che, da quando sei venuto nell’Oratorio, tante cose già si sono migliorate sia nell'andamento materiale che nell'ordine e nella regolarità... [310]
- Che cosa è nel mondo il nostro Oratorio qui di Valdocco? gli disse un'altra volta, e con queste sue parole chiuderemo due capi già lunghi. Che cosa è l'Oratorio? Un atomo. Eppure ci dà tanto da fare, e da questo cantuccio si pensa a mandar gente di qua e di là. Oh, potenza della mente umana! Oh bontà di Dio!
Oh, santità grande dell'uomo di Dio! esclameremo noi a nostra volta. Don Carlo Ghivarello, in quel tempo consigliere del Capitolo Superiore, uomo di poche parole, studiosissimo di meccanica e freddo verificatore non solamente su macchine morte, ma anche su uomini vivi - un altro dei tipi singolari formati da Don Bosco - si mise in capo di osservare con oculatezza il Beato Padre per vedere, se mai gli riuscisse di scorgere ne' suoi atti ordinari e comuni, nelle sue parole, nei suoi discorsi alcun che di meno conveniente. La durò per un mese intero a spiarne le mosse; ma, come dichiarò a Don Nai dopo la morte del Servo di Dio, nulla, assolutamente nulla gli fu dato di sorprendere in lui che si potesse chiamare difetto. Da tante virtù la piccolezza dell'Oratorio traeva quella intima e sana vigoria, che dà impulso a opere magnanime, alimenta la costanza nel bene arduo e dilata i cuori alle aspirazioni verso alte e nobili cose.
SIAMO sempre in tema di vita dell'Oratorio, sebbene il titolo esplicitamente non lo dica. Cercatori di udienze, ospiti e visitanti apportavano dal di fuori note passeggiere di varietà nel ritmo usuale della regolarità quotidiana; giacchè, quantunque Don Bosco fosse il centro di attrazione, pure or più or meno la sensazione di questi viavai arrivava anche alla periferia. Vediamo che cosa ci fu di nuovo nel '75 anche da questo lato.
Può sempre, chiunque lo voglia, rileggere nelle Memorie Biografiche al capo terzo del volume settimo l'eroismo di virtù da Don Bosco raggiunto, massime durante i suoi ultimi trent'anni, con l'improba fatica delle udienze. La cronaca del 26 maggio 1875 ci trasmette l'eco lontana di una conversazione, in cui affiorò anche quest'argomento. Don Bosco sedeva a mensa fra una corona d'invitati; ma non istava bene. La stanchezza lasciatagli dalla festa di Maria Ausiliatrice ne prostrava tuttora le forze; è probabile che non avesse il solito brio e che vedesse la convenienza di darne una spiegazione ai commensali. Egli avrebbe parlato così: “Quel che più mi rompe, sono le continue udienze. Tutti vogliono parlarmi, e parlarmi a lungo, e il povero Don Bosco non ne può più. Ora qualcuno mi domanda almeno una mezz'ore per lui. Ora un altro dice: - M fermerò a Torino tanto che basti per poterle parlare liberamente. - Io rispondo: - Ma se ora non posso! Veda quanta gente. - L'altro soggiunge: - Non [312] importa; mi fermerò, aspetterò, e il tempo si troverà. - Insomma si ha un bel dire, un bel fare; ma un uomo val solo e sempre per un uomo”.
Gli si dava la caccia dovunque si sperasse di poterlo avvicinare. Questa specie d'indiscrezione, della quale in simili casi nessuno si fa scrupolo, causò un incidente la sera del 10 giugno. Don Bosco aveva finito tardi di confessare gli artigiani e tardi andò a cena. Si aggiravano per il cortile due sante signore bolognesi, direttrici di un ospedale, venute a Torino per la festa di Maria Ausiliatrice e per parlare con Don Bosco. Udito che allora egli stava in refettorio, andarono là difilato a trovarlo.
- A quest'ora esse qui? esclamò Don Bosco, appena le vide comparire,
- Ci siamo fatto coraggio di venire avanti per tentare la prova di parlarle un momento.
- E non sanno che a quest'ora fra noi è clausura?
- Veramente non lo sapevamo, e se non è contento, noi ci ritireremo, osservò una.
- D'altra parte, continuò l'altra, è Don Rua che ci ha introdotte.
- Basta; io non le spingo via, ma pensino esse alla pena incurrenda per la clausura violata.
Si trovavano presenti circa dieci persone, sicchè le due signore rimasero ancor più mortificate. Non crediamo che Don Bosco avesse seriamente intenzione di comminare pene canoniche, sebbene il cronista commenti:
“Le sue parole non avevano niente di brusco, ma non erano accompagnate dal suo solito risolino”. Mai fino a quella sera donne avevano messo piede là dentro nè in tempo di cena nè dopo. Chi conosce l'estrema riserbatezza di Don Bosco, intende benissimo che la cosa non poteva terminare in un modo sostanzialmente diverso.
Non dipartiamoci da questo giugno. In tal mese chi visse nell'Oratorio, vide come la casa di Don Bosco fosse ancora [313] sempre la casa dell'ospitalità. Don Bosco non sapeva chiuderne le porte a nessuno. Le due signore bolognesi avevano fatto il viaggio accompagnate dal signor Lanzarini, che nel marzo aveva ospitato in casa sua a Bologna Don Bosco ritornante da Roma e che allora ne ricevette a sua volta l'ospitalità per oltre un mese. Contemporaneamente soggiornavano nell'Oratorio individui di parecchie nazionalità e religioni; un ebreo convertito da poco al cristianesimo; un inglese cattolico sui venticinque anni, desideroso d'imparare il latino per farsi prete; un chierico maltese; un protestante svedese ancor giovanetto, che si preparava a ricevere il battesimo; un francese, che da molti anni incurante di doveri religiosi, imbattutosi in Don Bosco e da lui confessatosi, voleva restar sempre nell'Oratorio. Vi si trattennero alquanti giorni tre preti forestieri: uno siciliano; l'altro, canonico di Alassio, venuto a trovare un ragazzo infermo, suo parente; il terzo, un parroco che vi fece qualche dimora. Vi pernottarono dieci sacerdoti, che andavano in pellegrinaggio a Paray le Monial. Vi si fermò anche venti giorni un prete di Modena, che doveva conseguire la laurea in teologia. Di siffatta popolazione avventizia nessuno si meravigliava, perchè oramai l'Oratorio si era incamminato a diventar un porto di mare.
Col prete modenese Don Bosco fece a mensa una conversazione, che ha avuto la sua notorietà presso scrittori e pubblicisti. Parlandosi della massoneria, egli disse: “Cavour, che qui in Piemonte fu uno dei capi della massoneria, teneva Don Bosco come uno de' suoi amici e mi disse francamente, così più volte fece, non volermi dare udienza, se non andavo pranzo da lui; e che, quando avessi bisogno di qualche favore, alla sua mensa vi sarebbe stato sempre un posto per me, e che quivi si parlerebbe con maggior comodità. E una volta che per un affare urgente mi era presentato al suo ufficio, non mi ricevette in quel momento, ma mi fece fermare, perchè pranzassi con lui. Allora mi concedeva quanto io gli domandava”. Soggiunse pure che l'anno innanzi il ministro Vigliani [314] pareva un suo compagno, tale era la confidenza con cui lo trattava; e che così diportavasi Rattazzi verso di lui.
Talora la sua benignità e facilità in accogliere ospiti gli fruttò qualche fastidioso. Un Don Teodoro Boverio, prete della diocesi di Casale, albergò, non sapremmo per quanto tempo, nell'Oratorio. Egli non aveva mancato al suo dovere di chiedere all'autorità diocesana la licenza di celebrare ivi la santa Messa. Spirato il termine della concessione, rimandò il Celebret alla Curia, affinchè, a tenore delle ordinanze sinodali, la licenza gli venisse rinnovata; ma, dovendo partire da Torino, non si curò di andar a ritirare il foglio. Ed ecco un'energica intimazione dell'Ordinario, con un monito sul passato, e una minaccia per l'avvenire, se tanto Don Bosco che il prete estradiocesano non si mettessero in regola entro lo spazio di tre giorni. Don Bosco s'ingegnò tosto di rintracciare l'interessato; e venutone a capo, scrisse questa rispettosa lettera:
Dopo essermi procurate le necessarie notizie intorno al Sacerdote Teodoro Boverio mi fo dovere di comunicarle quanto segue:
Il Sacerdote Teodoro Boverio venne per breve tempo a dimorare in questa casa, celebrando la S. Messa nella Chiesa di Maria Ausiliatrice. A motivo della sua malferma salute egli andò a Genova per mettersi in cura medica ed è tuttora in un Ospedale di S. Pier d'Arena.
Questo per norma dell'E. V., mentre colla massima venerazione ho l'alto onore di potermi professare
Affluivano inoltre all'Oratorio personaggi cospicui per conoscere Don Bosco e per osservare da vicino la sua Opera. Si ha memoria di visite fattevi in quest'anno da missionari e da vescovi. Nel mese di maggio visita l'Oratorio un missionario dell'Asia, di cui la cronaca non ci ha conservato il nome; [315] essa però ci fa sapere che egli invogliò molti ad andare nelle missioni, narrando di una provincia, nella quale per otto milioni di abitanti, vi erano appena il vescovo e otto sacerdoti, uno per ogni milione di anime. In ottobre vi fu l'Arcivescovo di Calcutta, che, parlato a lungo con Don Bosco, diede la benedizione col Santissimo Sacramento. In novembre venne il Vescovo d'Acerenza, che volle vedere scuole e laboratori, mostrandosi al partire sbalordito di quanto aveva osservato. Nel luglio oltre al Vescovo di Susa, sempre molto benevolo a Don Bosco, era stato all'Oratorio mons. Parocchi, Vescovo di Pavia, gradendovi anche l'alloggio. Su quest'ultima visita, che ebbe più tardi una ripercussione durante il processo apostolico, dobbiamo soffermarci un tantino.
L'antico avvocato fiscale della Curia arcivescovile torinese, canonico Colomiatti, che, affastellando cose su cose, intralciò l'andamento della causa di Don Bosco, depone che nel 1900 il Parocchi, Cardinale Vicario, gli disse queste parole: “Mi sovvengo che era Vescovo ancora di Pavia e recatomi a vederlo, egli [Don Bosco] mi disse se veniva a lui per consiglio. Ciò mi urtò, perchè, se più giovane di lui, tuttavia era vescovo, ossia avevo la grazia della pienezza del sacerdozio, e poi doveva io dire ciò, non lui a me”. Chiunque sappia quanto grande fosse non diremo l'umiltà, ma l'accortezza di Don Bosco nel parlare e nel trattare, sorride al sentirglisi attribuire uno sproposito così piramidale, Qui, una delle due: o il canonico ha travisato le parole del cardinale o il vescovo prese allora Roma per Toma. Che il paladino della vecchia Curia quando giudicava di Don Bosco, vedesse tutto sotto il colore de' suoi occhiali od anche cercasse di fare vedere bianco per nero è stato dimostrato a esuberanza da Don Cossu[139] e da altri: noi non condanniamo le intenzioni, ma il fatto non si sfatta, dicono in certi paesi. Del resto, Son cose [316] che capitano nelle difese a oltranza; lo cantava già il poeta romano, mettendo sull'avviso certi avvocati: Causa patrocinio non. bona peior erit[140].
Se poi così non fosse, ci spiace per il vescovo, ma dobbiamo proprio dire che la sua impressione gli fece fraintendere le parole di Don Bosco. Con persone anche altolocate che lo ammettevano nella loro confidenza, Don Bosco usava rispetto, sì, ma pigliava un fare bonario e semplice, che ne rivelava l'animo schietto e schivo d'artifizi. Ricevendo la visita di un prelato, che egli riguardava come intimo, lungi dal mettersi in sussiego, avrà, secondo il solito, adoperato frasi scherzevoli e confidenti, da cui si sarebbe guardato bene, se la sua abituale perspicacia gli avesse fatto scorgere nell'interlocutore un senso così scontroso della propria dignità da non tollerare che altri motteggiasse in sua presenza. Supporre che Don Bosco fosse capace di atteggiarsi a consigliere di vescovi è ignorare l'abbicì della sua psicologia.
Il 5 luglio fu giornata albo signanda lapillo nella cronografia delle visite: quella data restò memoranda anche per la maniera drammatica, con cui Don Bosco dispose che il fatto sì svolgesse.
Durante il pranzo compare nel refettorio dei giovani un superiore, fa cenno al lettore di sospendere la lettura e con aria di mistero avvisa: a un dato segno avviarsi ai dormitori e là indossare i vestiti migliori, lavarsi bene, pettinarsi bene, lucidar bene le scarpe... perchè... viene a far loro visita un gran personaggio. Si mostrino educati, tengano il cappello in mano, facciano silenzio a tempo e luogo. I musici, alle due, vadano a provare un inno d'occasione.
Immaginarsi la curiosità generale! Appena usciti, correvano intorno a preti e a chierici, tempestandoli di domande; ma preti e chierici ne sapevano tanto quanto i giovani. Allora è quando si tira a indovinare. - È il principe Amedeo... [317] Sarà il principe Umberto ... No, dev'essere Don Carlos, che va dal Papa e passa di qui ... O piuttosto il generale Lizzaraga, inviato a Roma da Don Carlos e ora di ritorno nella Spagna. - Un chierico udì fra superiori del Capitolo mormorare “cardinale”. - Ah! fece ridendo, è un monsignore che porta a Don Bosco il cappello cardinalizio. - Intanto nella scuola di banda i sonatori sulle cartine di un noto inno, al posto di “Viva Don Bosco”, lessero “Viva Giuseppe, Giuseppe viva”. Era un altro dato acquisito alla storia. Poco stante se ne aggiungeva un terzo: il visitatore veniva da Roma; e lì a riandar nomi di Cardinali, per trovarne uno che si chiamasse Giuseppe.
Il misterioso signore sarebbe arrivato alle quattro, e le quattro si avvicinavano. Il programma del ricevimento era questo: tutti i giovani a scuola o al lavoro; la banda presso il portone; Don Bosco sotto i portici del refettorio; visita ai laboratori; nel frattempo gli studenti scenderebbero, si disporrebbero in circolo sotto il porticato, ivi si eseguirebbe l'inno e si sonerebbero pezzi scelti. Ma all'atto pratico Don Bosco dovrà modificare alcuni numeri.
Il segreto durava impenetrabile; l'unico particolare nuovo era che trattavasi di un insigne benefattore.
Ed ecco alle quattro meno un quarto affacciarsi dalla porteria un dopo l'altro quattro signori; uno di essi alto di statura, già avanzato negli anni, ma aitante della persona, sembrava il grande aspettato: vestiva color nero caffè e portava cilindro in capo. I musicanti non erano ancora all'Ordine; ma Don Sala che trovavasi in porteria, conosceva il visitatore. Si vola a dar l'annunzio a Don Bosco: il signore gli fu condotto direttamente in camera con il suo seguito.
Di lì a pochi minuti Don Bosco, passando per la biblioteca, condusse i suoi ospiti a visitare lo studio e qualche dormitorio e, dato uno sguardo al giardino dietro la casa, si scese sotto i portici, dove la banda die' fiato agli strumenti. Dopo una sonata si visitarono tutti i laboratori. [318] Don Bosco, prima che il forestiero arrivasse, aveva fatto avvertire quelli che, essendo stati a Roma, lo conoscevano, di star cheti, di non dir nulla, di non dare neppur segno di speciale rispetto; ma l'incognito corse pericolo di essere tradito. In libreria Don Berto offri allo sconosciuto una Messa di Don Cagliero dedicata al cardinal Giuseppe Berardi; al che uno del seguito parve dicesse: - Oh! è dedicata a Lei. Due librai vicini sentirono e divulgarono il sospetto. In tipografia due giovanetti romani, appena lo videro: - Oh! il cardinal Berardi - esclamarono meravigliati.
Al suo riapparire sotto i portici gli studenti vi si trovarono schierati in doppia fila, e fra una salva d'applausi intonarono l'inno. Sedette con gli altri tre. Canti e suoni durarono mezz'ora. Negl'intervalli Don Bosco rivolgeva qualche parola al suo ospite, per dargli spiegazioni sui giovani e per concertar il modo di visitare in fretta Torino.
Sul finire del trattenimento il visitatore, alzatosi e toltosi il cappello, salutò graziosamente i giovani e si avviò verso la porteria. Il rispetto e la venerazione che egli dimostrava per Don Bosco, riempì tutti di meraviglia e di compiacenza. Volle averlo alla sua destra; a qualche suo tentativo di cambiar posto, gli disse: - In questo comando io; stia alla mia destra. - All'uscita, salì per primo in vettura e visto che Don Bosco girava dietro per entrare dall'altro sportello e mettersi dal lato sinistro, lo fece rigirare ed entrare dalla medesima parte, per cui egli era salito, e sederglisi a destra. Don Bosco avrebbe preferito stare a capo scoperto; ma si dovette coprire.
Tutti i giovani battevano le mani circondandone la carrozza. Ivi sorpresero Don Cagliero e poi Don Berto che gli baciavano la mano, mentre egli li benediceva. Allora il sospetto, già entrato in molti circa l'essere suo, divenne quasi certezza. Noi prescindiamo pure dal “quasi”.
La carrozza partì e, procedendo adagio, fece un lungo giro per la città, secondo l'itinerario fissato con Don Bosco, che mostrò a Sua Eminenza e illustrò i più importanti monumenti. [319] La meta fu Valsalice. Piacque straordinariamente al Cardinale il luogo, l'edifizio e l'accoglienza dei giovani. Disse a Don Bosco: - Qui si vede il collegio signorile, ben tenuto, adatto alla qualità dei convittori. A Valdocco si vedeva pulitezza, proprietà, non ricchezza, non eleganza; anche là, tutto conforme alla condizione degli alunni. Se qui il luogo fosse meno signorile, stenterebbero le famiglie ad affidarvi i figli; se là vi fosse di più, non si vedrebbe la Casa di beneficenza. Tutto, tutto ben appropriato.
Disceso da Valsalice, rientrò in Torino per il ponte di ferro sul Po e gli fu indicato il sito, dove sarebbe sorta la chiesa di S. Giovanni Evangelista. Don Bosco gli narrò la serie delle vicende, a cui diede origine l'acquisto del terreno. Verso le otto il Cardinale scese all’Hotel d'Europe e Don Bosco ritornò all'Oratorio, dove alcuni preti lo aspettavano, bramosi di sapere com'egli avesse passata quella sera. Don Bosco li contentò a cena.
Il Cardinale, e questo nessun altro lo sapeva, trovavasi in Torino fin dal giorno innanzi. Don Bosco, andatolo a visitare, l'aveva condotto a vedere il Campo Santo. Nel descrivere ai suoi preti quella visita, egli disse:
- Veduti molti monumenti, ammirati i marmi, i lavori, la pulitezza, i viali dei cipressi, per divagarlo alquanto gli raccontai la storia di madama Griffa, che voi sapete già.
- No, non la sappiamo, esclamarono i preti.
- Non sono molti anni che madama Griffa, essendo gravemente inferma, veniva confortata dal suo marito, famoso medico di Corte, a rassegnarsi al gran passaggio. Ma essa tuttavia mostrava rincrescimento di dover morire. Chiestole che cosa fosse che maggiormente le recava inquietudine, rispose al marito: “Non è il morire che mi rincresca, lo sa bene Iddio; no, non è il morire. Mi angustia il pensare che sarò gettata là nel cimitero alle intemperie senza che nessuno mi possa riparare dal sole, dalla pioggia e dalla neve. Mi si ponesse almeno sopra la tomba un parapioggia! Ma nemmeno [320] questo mi sarà concesso”. Se era quello solo, il marito le promise di far mettere sulla tomba un gran parapioggia di ferro, che la riparasse da ogni intemperia. “Se è così, sono contenta!”, disse la moglie. Morì, e il marito mantenne la parola, ed io condussi Sua Eminenza a vedere il famoso parapioggia, che ancora sta là al suo posto.
Mentre Don Bosco intratteneva così quei preti, Don Rua dopo le orazioni diceva ai giovani: - Voi, miei cari giovani, desiderate tutti di sapere chi sia quel personaggio che oggi ci ha fatto visita. Uno domanda se è il Papa, altri se è il cardinal Berardi, altri se è Don Carlos. Chi sia, ve lo dirò in poche parole. È un personaggio che vuole molto bene al signor Don Bosco e all'Oratorio, ma che desidera conservare l'incognito, cioè non vuole che si sappia chi esso sia. Verrà forse il tempo, che lo saprete.
Questa parlata indusse a nuove supposizioni; ma i più erano persuasi che fosse il cardinal Berardi.
Sua Eminenza trascorse ancora una giornata a Torino. Venutovi solo per parlare con Don Bosco, mantenne il più stretto incognito, ricusando di fare o di ricevere visite; non vide nemmeno l'Arcivescovo. Per altro scambiò poche parole con lo strenuo giornalista cattolico teologo Margotti, direttore dell'Unità Cattolica. Tutte e tre le mattine celebrò nella cattedrale; l'imponenza dell'aspetto e la sostenutezza del contegno con cui domandò di celebrare, chiuse la bocca a chi voleva far precedere le solite formalità, sicchè gli fu recata senz'altro una veste talare.
Dei tre che accompagnavano il Cardinale, due gli erano nipoti, e il più giovane, ed anche più vispo, era proprio quello prodigiosamente guarito nel '69 dopo la benedizione di Don Bosco.
Il Beato tenne compagnia al Cardinale la mattina intera, conducendolo a vedere l'armeria reale, l'orto botanico, il giardino del Re con le belve feroci; il palazzo reale e la cappella della Santissima Sindone, ed anche la biblioteca dell'Università; qui il celebre orientalista professor Gorresio, col quale [321] Don Bosco aveva molta familiarità, mostrò all'eminente visitatore quanto di meglio vi si custodiva in miniature e codici.
Tornato a casa per il pranzo, Don Bosco nel pomeriggio fu nuovamente a ossequiarlo e a prendere commiato. Il Cardinale si dichiarò contento e soddisfatto d'aver visitata Torino, e a lui in particolare disse: - Ora scriverò a S. Santità. Arrivato a Roma, saprò ben io parlare a suo riguardo.
Nella "buona notte " Don Bosco parlò così a tutti i giovani:
Ora che il personaggio, il quale ebbe ieri la bontà di visitarci, è partito, non è il caso che io vi mantenga il mistero. Alcuni di voi già lo sanno, che era sua Eminenza il Cardinale Berardi, persona tanto benemerita dell'Oratorio e che si occupò già molto molto per noi a Roma. Mi ha incaricato di farvi tanti saluti, di ringraziarvi da parte sua delle accoglienze che gli avete fatte, e dirvi che egli fu contento grandemente di tutti. Avrebbe voluto parlarvi prima di andar via; ma se vi parlava sorgeva la necessità che egli scoprisse chi era, ed egli, ciò non volendo, lasciò a me l'incarico di salutarvi. Mi disse che quando sarà a Roma vuol parlare molto di voi coi Santo Padre. Già fin d'ora scriverà una lettera a Pio IX per manifestargli le vostre buone accoglienze, poichè egli non va subito a Roma; ma, quando vi andrà, farà i suoi buoni uffizi per noi presso il Santo Padre. Mi disse ancora che, abbisognandoci qualche cosa da lui, osassimo pure rivolgerglici con piena confidenza, sia per le cose che riguardano a ciaschedun allievo in particolare, sia per le cose generali della Congregazione; che egli si sarebbe fatto un impegno speciale per eseguirle. Vedete quanta degnazione in un personaggio così eminente! Venire a Torino proprio solo per veder D. Bosco e l'Oratorio, di cui già tanto aveva sentito parlare; non voler darsi a conoscere a nessun altro, nè avere altra compagnia fuori di quella di D. Bosco i
Partendo lasciò anche di ringraziarvi delle preghiere che avete già fatte per lui; mi lasciò d'incoraggiarvi nella continuazione di queste preghiere, non solo per lui, ma eziandio per i tanti bisogni che ha la Chiesa, specialmente in questi giorni. Egli poi per parte sua non si dimenticherà giammai di noi e ci raccomanderà al Signore, affinchè possiamo poi nuovamente far festa tutti insieme nel paradiso. Buona notte.
Due sere dopo, dando la "buona notte" ai soli artigiani, riparlò della visita cardinalizia, in apparenza per dire qualche [322] cosa che li riguardava più direttamente, ma in realtà per avere lo spunto a imprimere nelle loro menti un salutare pensiero.
Non è più il caso che vi racconti chi fosse quel personaggio che venne a farei visita ier l'altro. Sapete già che è sua Em. il Card. Berardi. Egli si dimostrò molto contento della musica, sia del canto, sia del suono, e della visita dei laboratori; e mi lasciò l'incarico di ringraziarvi. Vedete quanta bontà! A venuto apposta da Genova a Torino solo per vedere D. Bosco e l'Oratorio. Io l'ho condotto a visitare le rarità principali di Torino, di cui si mostrò tanto contento. Tra gli altri luoghi siamo stati al Campo Santo e ne ammirò l'ordine, i lavori, i monumenti, i marmi. Ma quante memorie risveglia mai al cristiano il Campo Santo! Vedere là, radunati ricchi e poveri, giovani e vecchi, e dotti ed ignoranti! Là è la città di tutti. È inesorabile la morte! Tutti dobbiamo sottostare alla falce di quella bruttaccia. Non ci pensate mai, giovani cari? Oh questo pensiero si renda pure tra noi familiare; pensiamo e molto a quel terribile punto della morte e tenetelo bene a mente, che colui il quale vuol passare bene il suo ultimo istante in questo mondo, bisogna che viva bene. Un proverbio latino, che anche voi capite benissimo, dice così: Qualis vita, finis ita: quale sarà la vita, tale sarà la morte. Se la morte ci avvisasse prima almeno di venirci sopra! Ma no: per lo più viene improvvisa o repentina; e se non siamo preparati a morir bene, che cosa sarà di noi? Quanti giacciono ora nel Campo Santo, che desideravano di convertirsi, di pensare più tardi a farsi buoni e intanto venne la morte non furono più a tempo! Sapete che cosa è che sprona la morte spingersi furiosa contro di noi? Ce lo dice la Sacra Scrittura. Vedete un cavallo quando cammina per la via. Se va adagio quel cavallo, il cavaliere che ha fretta, che cosa fa? Dà due buone spronate al cavallo, ed esso corre che pare il vento. Lo sprone che ci fa saltare con furia la morte addosso è il peccato. Stimulus autem mortis peccatum est. Volete che la morte venga presto? .....
Fra l'una e l'altra buona notte Don Bosco aveva toccato della singolare importanza di tale visita nella conferenza ai chierici sulle vacanze, come abbiamo veduto. Insomma, tutto ci autorizza a opinare che fu un incontro voluto per gravi motivi, benchè finora ci manchino documenti sicuri per precisarne la portata.
Una visita che possiamo ben chiamare storica, è quella fatta al Servo di Dio nel giorno dell’Assunta. Durante la [323] novena predicava con monsignor Andrea Scotton gli esercizi spirituali al clero di Casal Monferrato il canonico Giuseppe Sarto. Quel vescovo monsignor Ferré invogliò i due predicatori a passare per Torino e a visitarvi Don Bosco. Vennero nell'Oratorio la mattina della festa: Don Bosco lì invitò a pranzo. Si faceva in quel giorno, e fu la prima volta, un po' di allegria per commemorare il natalizio del Beato. Egli stesso credette sempre di essere nato il 15 agosto; soltanto dopo la sua morte l'errore comune fu corretto dall'atto di nascita. Finito dunque il modesto desinare e usciti dal refettorio, il canonico tolse bellamente commiato dal Servo di Dio, e, per dirla in lingua povera, si tirò dietro il collega a rifocillarsi in un albergo della città. Anche da Papa egli ricordava con ammirazione, quanto mortificata gli fosse parsa allora la mensa di Don Bosco.
Pio X ricordava pure un esempio della docilità, con cui i giovani dell'Oratorio a una parola di Don Bosco scattavano, passando immediatamente dal suo dire al loro fare. - Vuol vedere come obbediscono i miei giovani? - gli disse il Beato. Ne chiamò uno, gli diede una bottiglia. - E ora, gli fece, apri le dita! - Le aprì quegli sull'istante, e la bottiglia cadde in terra. Rise il canonico, risero i testimoni; ma il giovane guardava tranquillamente Don Bosco, attendendo un suo cenno.
QUA e là per i collegi andremo noi, con o senza Don Bosco in persona; vi faremo incetta di notizie, che ne arricchiscano, foss'anche di poco, la biografia.
Con i collegi egli si teneva in continua corrispondenza epistolare; di ogni minuzia era informato e tutto dirigeva in modo da conservarvi l'unità di spirito. Vi faceva per lo meno due visite all'anno. Vi era ansiosamente aspettato. Là confessava i giovani, che con vero entusiasmo correvano a palesargli lo stato dell'anima loro; ascoltava uno a uno tutti i Salesiani separatamente, ogni sera dava la "buona notte" alla comunità; teneva speciali conferenze ai confratelli radunati. Partendo, lasciava dietro di sè un'aura dì grande serenità e pace.
Il 1875 minacciava di essere anno di guerra contro i collegi salesiani della Liguria. Quel direttore Don Francesia ne era stato preavvertito dall'onorevole Boselli, che gli scrisse: “La tempesta ora si addensa su Varazze; ma andrà a cadere anche su di Alassio”. Sembra che da ultimo non si volesse risparmiare nemmeno Sampierdarena. Ma l'uomo propone e Dio dispone.
La prima avvisaglia partì dalla regia Prefettura di Genova. Il prefetto Colucci negò l'approvazione alle scuole tecniche, com'erano stabilite nel collegio di Varazze; rifiutò pure di accettare come insegnanti i maestri che da cinque anni l'autorità scolastica riconosceva idonei. Il direttore ne [325] informò tosto l'onorevole deputato, che gli rispose promettendogli il suo appoggio.
Oltre all'azione del deputato lontano, tornò vantaggiosa l'opera di un valent'uomo vicino. Il Colucci, risoluto a non retrocedere, annoverava fra i suoi confidenti l'avvocato Maurizio, lustro del foro genovese, amico di Garibaldi e amicissimo di Don Bosco. Il prefetto ne aveva gran bisogno, massime sul principio della sua amministrazione: un consigliere più esperto egli non avrebbe potuto trovare a Genova, e poi la familiarità con un liberale così ben visto dal Governo e realmente di molto merito, gli concigliava credito. Ora questi, conosciutene le intenzioni, gli disse chiaro e tondo: - Signor prefetto, si faccia amico Don Bosco, se vuole far carriera; altrimenti Don Bosco la schiaccerà. - Parole che vennero subito riferite a Don Francesia dal marchese Invrea.
Ma il prefetto non tenne conto di quel monito. Contro le usanze de' suoi predecessori, egli andava in persona a visitare e ispezionare i municipi, intascandosi la diaria di trasferta, che era di lire trenta. Ed ecco giungere a Varazze l'avviso ufficiale del suo arrivo per l'ispezione del municipio e del collegio. Era proprio il giorno della Natività di San Giovanni Battista, sicchè Don Francesia non potè recarsi a Torino per la festa di Don Bosco, dovendolo aspettare.
Arrivò alle quattro di sera, si presentò al sindaco, diede un'occhiata ai libri dell'Amministrazione comunale e, vedendo stanziate somme per obblighi di Messe, per feste religiose e luminarie in onore dei Santi Patroni, disse al sindaco nello stile del tempo e con una punta di sarcasmo: - Ci sono altri Santi in paradiso, per cui si debbono spendere i denari. Il Sindaco, ricco signore, gli rispose freddamente: - Le nostre feste le paghiamo con i nostri denari.
Quella sera il Colucci tornò a Genova così deciso di rivenire dopo due giorni a Varazze, per la visita del collegio e delle scuole, che rimise a quella volta di far firmar e al sindaco [326] l'atto della sua trasferta. Ma Varazze non lo rivide più. Appena fu rientrato nel suo gabinetto, gli cascò una tegola sulla testa; l'ordine ministeriale del suo immediato trasferimento a Catania. Esonerato più tardi dalla carica e nominato senatore, gli toccò una disdetta maggiore: il Senato non approvò la nomina e lo respinse dal suo seno, che fu il primo caso forse di tale repulsa. Dobbiamo però aggiungere a onor del vero che a Catania egli mise molt'acqua nel suo vino anticlericale; tant’è vero che favorì in ogni modo l'apertura del primo collegio di Don Bosco in Sicilia a Randazzo.
Ma anche dopo la sua partenza, perdurava, nella regia Prefettura di Genova una sorda ostilità contro le istituzioni di Don Bosco, la quale cessò per l'intervento di Garibaldi. Venuto a Genova e accortosi di quel malanimo, il generale volle saperne il motivo; poscia esclamò: - Ma lasciatelo un po' stare tranquillo Don Bosco. È un prete che fa del bene. - Che Don Bosco avesse un tal difensore, fu causa di non poca meraviglia fra la gente del Governo. Del fatto si ebbe notizia da una persona, che in quel momento stava ai fianchi del generale
E poichè ci troviamo nella Liguria, diremo ancora che lo stesso Garibaldi passando l'estate sulla spiaggia di Alassio a Villa Gotica, parlò benevolmente con un alunno di quel collegio, condottogli dinanzi da Donna Francesca[141]. Del giovane costei era stata balia o fantesca che sia, e vista passare una camerata e riconosciutolo, l'aveva chiamato in casa. Garibaldi gli fece buon viso e gli disse:
- Dunque tu sei del collegio di Don Bosco?
- Io non so ancora che cosa farò.
- E in collegio si parla male di me?
- Io non ho mai sentito nessuno a parlar male di lei [327]
- Va' dunque con i tuoi compagni, studia e sii obbediente ai tuoi superiori.
La simpatia di Garibaldi per Don Bosco non sembra che fosse cosa effimera. Nel 1880, quando si recò a Milano e vi fu ricevuto in trionfo, qualcuno lo richiese, perchè non venisse anche a Torino. Ed egli:
In altra occasione disse: - Quello sì che è un bravo prete e un vero sacerdote di Dio, amante dell'umanità. Fa del bene alla gioventù, ed è il solo nell'Italia. - Era un po' troppo veramente! Quelle parole ferivano tanti ottimi sacerdoti, che in Italia si sacrificavano a vantaggio del prossimo. A ogni modo è lecito prendere atto che, una volta tanto, l'implacabile nemico dei preti seppe anche dir bene di un prete, che era prete in tutto il senso della parola.
In una delle visite fatte al collegio di Varazze, che fu ai primi di giugno, Don Bosco vi pescò una vocazione. L'episodio ci è raccontato in lungo e in largo da un documento, del quale non ispiaccia ai lettori che riferiamo in succinto il contenuto.
Il giovane Francesco Ghigliotto vi frequentava da esterno la quinta ginnasiale. Nel '69 leggendo vite di Santi, aveva pregato il Signore che facesse incontrare anche a lui un Santo per poterlo seguire. Sei anni dopo Dio esaudiva il suo voto.
Giunto Don Bosco a Varazze, il professore della quinta, che era Don Tomatis, avvertì i suoi alunni che, se alcuno di loro avesse desiderato parlare con lui e domandargli consiglio, andasse pure. Uscirono parecchi dalla scuola, Ghigliotto fra gli altri. Questi però non osava presentarsi, perchè non lo conosceva ancora. Un compagno, vistolo esitante, lo spinse dentro e gli chiuse dietro la porta. Ghigliotto, sbalordito, si trovò là di fronte a Don Bosco, e non apriva bocca.
- Ebbene, che cosa vuoi? chiese Don Bosco. [328]
- Mah! ... Sono di quinta ginnasiale. Sono venuto per chiedere un consiglio.
- Bene! .. Tu ti dài a me, e io ti dò al Signore.
Ghigliotto rimase turbato a quelle parole. Allora Don Bosco lo invitò a sedere sul sofà accanto a sè e, preso in mano il taccuino, gli domandò: - Dimmi il tuo nome. Ghigliotto si spaventò ancora di più e impallidì. Qual mistero si nascondeva là sotto?
E Don Bosco sorridendo: - Non temere; dimmi il tuo nome. - Glielo disse. Don Bosco lo notò nel taccuino e poi soggiunse: - Guarda, fra due mesi mi scriverai poi una lettera a Torino, e vieni a passare otto giorni con me all'Oratorio. Se ti piacerà stare, starai; se no, te ne ritorni a casa tua. Del resto, fa' come vuoi: se non mi vuoi scrivere, non mi scrivi, e tutto è finito.
Nei due mesi che ci vollero ancora per la licenza ginnasiale, il Ghigliotto aveva sempre in mente la lettera da scrivere a Doti Bosco. Difatti la scrisse; poi chiese ai parenti che lo lasciassero andare otto giorni a Torino. Andò e non tornò. Dopo un paio di mesi, il padre, stanco di battagliare per lettera, minacciò di ricorrere al prefetto della provincia e di farlo ricondurre per mezzo dei carabinieri.
Il giovane indossava già l'abito chiericale. Il padre non ne sapeva nulla; ma alla madre tutto era stato manifestato prima della partenza. La pia donna, pianto un po', gli aveva detto: - Sai com'è tuo padre. Non farlo inquietare. Non dir nulla a nessuno. Pensa soltanto a fare la volontà di Dio.
Ghigliotto, ricevuta la minacciosa lettera, la portò a Don Bosco nel refettorio, gli manifestò i suoi timori e chiese che cosa fare o che cosa rispondere. E Don Bosco: - Guarda, ora ti dico io come devi rispondere.
“Carissimi genitori, chi sta bene non si muove. Io qui sto bene, i miei superiori mi vogliono bene, posso studiare: lasciatemi dunque stare”. E poi ci metterai altro, tutto quello che vuoi. - Così fece; e per sei mesi non ebbe risposta e rimase tranquillo. [329] Alla fine dell'anno scolasti