INDEX
Capo I. Testimonianze degli antichi scrittori su s. Ireneo.
Capo II. Patria, nascita, educazione di S. Ireneo.
Capo III. È fatto sacerdote, poi Vescovo di Lione.
Capo IV. Zelo di s. Ireneo durante il suo episcopato.
Capo V. Suo martirio, sue reliquie e onori renduti alla sua memoria.
Capo VII. Osservazioni da farsi sulle opere di S. Ireneo.
S. Ireneo, nome greco, che significa pacifico, fu uno dei santi che più illustrarono la nostra santa Chiesa cattolica dalla metà del secondo secolo sino al principio del terzo: imperocchè egli la propagò col suo zelo, la difese co' suoi scritti, la adornò colla santità esimia della sua vita, e la arricchì di un nuovo trionfo collo spargimento del suo sangue. Inoltre egli e fiorito in un secolo rimoto ed ha scritto libri pieni di sapienza {47 [143]} e di erudizione a sostegno della fede cattolica: per questo egli meritò il titolo insigne di Padre e Dottore della Chiesa: anzi egli è anche annoverato fra i Padri che sono detti Apostolici. Il nome di S. Ireneo sarà sempre caro assai a tutti i cattolici i quali sentono in cuore una consolazione dolcissima, perchè la loro madre, Chiesa santa, in ogni età ebbe dei vescovi santi e accesi di zelo; dei martiri gloriosi e dei sommi dottori i quali posero in chiaro le verità della fede e smascherarono l'eresia. La memoria poi di S. Ireneo ha un titolo speciale per meritarsi l'affetto dei teologi cattolici, conciossiachè egli sia il primo fra i Padri di cui ci rimangano scritti voluminosi, e questi siano una fonte di argomenti per difendere le verità principali della {48 [144]} Chiesa cattolica. Noi pubblichiamo assai di buon grado la vita di questo gran santo anche per la ragione che più volte abbiamo avuto occasione di servirci de' suoi scritti e accennare alcune sue azioni che hanno relazione diretta colla vita de' Papi.
Speriamo che esso vorrà colle sue preghiere ottenere a tutti gli ecclesiastici dei tempi nostri una porzione di quello zelo che lo animava e di quella santità ond' egli era adorno, e si degni pure di intercedere presso Dio per tutti i fedeli un vivo attaccamento a quella Chiesa fuori di cui non è salute, e per cui egli impiegò la sua vita e sostenne un glorioso martirio. {49 [145]} {50 [146]}
Il nome di S. Ireneo fu sempre mai celebre nella Chiesa: e benchè sia cosa incerta se immediatamente dopo la sua santa morte alcuno ne abbia scritto la vita, nulladimeno è cosa certissima che i Dottori della Chiesa ne' tempi più antichi scrissero grandi elogi di questo illustre vescovo. Tertulliano che visse nel medesimo tempo e scrisse i suoi libri pochi anni dopo la morte di S. Ireneo, ne parla nel libro v. Contro Valentiniano; Eusebio vescovo di Cesarea in Palestina ne fa menzione nel libro v. della sua Storia ecclesiastica (cap. 4). S. Girolamo non lo dimentica nel suo Catalogo degli scrittori ecclesiastici (cap. 29) S. Basilio lo loda nel suo libro dello Spirito Santo (cap. 29). S. Epifanio nel suo libro delle Eresie, (Hæresis XXXI), e Teodoreto nel Dialogo I. rendono onore alla sua santità e dottrina. S. Gregorio di Tours nel I. libro della Storia dei Franchi (cap. 26, 27), fa grandi {51 [147]} elogi di lui, e Adone vescovo di Vienna nelle Gallie, lo annovera nel suo Martirologio, ossia Catalogo dei Santi. La Chiesa di Lione poi fu mai sempre sollecita di conservare con una filiale premura la memoria delle virtù e delle sante gesta del suo antico Padre e Pastore, riguardandolo giustamente siccome una delle sue glorie più belle.
Egli è certissimo, che S. Ireneo nacque nell'Oriente, conciossiachè egli stesso e nel suo libro Contro le Eresie si lagni della difficoltà che incontrò nell'imparare la lingua latina, ed abbia scritto questa opera non già in latino, ma in greco. E pare assai probabile che esso abbia avuto i suoi natali a Smirne, città allora assai rinomata dell'Asia minore.
È difficile il precisare l'anno in cui esso nacque; ma si ha ragione fondata da supporre che la sua nascita sia avvenuta circa l'anno dopo l'Incarnazione di G. Cristo 120.
A quei tempi era vescovo di Smirne {52 [148]} il celebre S. Policarpo, il quale, come abbiamo detto, era stato discepolo di san Giovanni l'Evangelista, e che dopo avere governato quella Chiesa per molti anni con zelo apostolico, terminò poscia la sua carriera episcopale con morire tra le fiamme per la fede di G. C. Ora questo s. Vescovo si prendeva gran cura nell'allevare dei giovani pel santo ministero dell'altare, istruendoli diligentemente nella dottrina del santo Vangelo, e nella storia e disciplina ecclesiastica, e informandoli con amore a tutte le virtù che debbono ornare un sacerdote di G. C. e delle quali egli era il primo a loro porgere un eccellente modello. Ireneo, a giudicarne da quanto egli scrive nella sua lettera a Pierino, sin dalla fanciullezza si dedicò con tutta l'anima al servizio di Dio, e fu uno di que' giovani avventurati, i quali ebbero la sorte invidiabile di ricevere la loro educazione da un maestro sì dotto e sì santo qual era S. Policarpo.
Ireneo, fornito com'era di fino accorgimento, intese la bella ventura che gli era dato di godere, pose ogni studio sì nell'apprendere le sante lezioni del suo esimio maestro, come nel trarne il maggior profitto {53 [149]} possibile. Quantunque non ci rimanga più tutta la lettera sovra citata, ch'egli scrisse a Fiorino, pure il sovra detto Eusebio ce ne conservò uno squarcio, dal quale rilevasi il grande amore di Ireneo verso il suo maestro, e il desiderio vivissimo di imparare, di cui il suo cuore era acceso. «Ti ho veduto, scrive egli a Fiorino, quando tu eri ancora fanciullo, nell'Asia minore presso a Policarpo. Imperocchè le cose, che allora accadevano (essendo proprio della cognizione che ricevesi negli anni teneri, il crescere coll'età, e in certa guisa divenire parte dell'anima) stanno sì attaccate alla memoria assai più fermamente che non quelle le quali avvennero poco tempo fa. Che anzi mi sta come innanzi agli occhi il luogo, ove Policarpo sedeva, quando ragionava; e come egli là entrasse, e poi sen partisse, e la forma del suo corpo, e il modo del suo vivere. Io potrei riferire i sermoni, che egli faceva alla moltitudine, e come egli raccontasse la sua famigliarità e il suo conversare con Giovanni e con gli altri, che avevano veduto il Signore, e come egli era solito narrare quanto egli stesso {54 [150]} aveva udito da lui (Giovanni) intorno al Signore: così pure parroi di poter ricordare siccome egli affermasse tutte le cose, riguardo alla dottrina e ai miracoli del Signore, le quali egli aveva udite da coloro che avevano veduto il Verbo della vita coi loro propri occhi, essere conformi alle Scritture, Imperocche tutte queste cose (che al certo fu una misericordia di Dio verso di me), io allora diligentemente ascoltava; non già scrivendole sulla carta, ma stampandole nel mio cuore; le quali ora per la grazia di Dio sempre rivolgo in mente e schiettamente esprimo.»
Che bell'anima doveva avere questo santo giovane! che fede viva, che amore a G. C! che desiderio di crescere nella virtù! Oh! se tutti i discepoli e specialmente gli alunni del santuario portassero tanta riverenza a' loro maestri e ne apprezzassero così gli ammaestramenti, quale progresso non vedremmo nella scienza e nella virtù! Ma ritorniamo ad Ireneo.
S. Girolamo nel Catalogo degli Scrittori Ecclesiastici, dice che questo Santo fu anche discepolo di Papia, il quale aveva anche avuto S. Giovanni per maestro, e {55 [151]} fu poi vescovo di Gerapoli. Fatto sta che sotto maestri così chiari per santità e dottrina, Ireneo fece progressi maravigliosi, e diede prove così insigni di zelo per la gloria di Dio e della Chiesa, da meritarsi l'affètto del suo vescovo S. Policarpo, e l'ammirazione dei fedeli, i quali già cominciavano a prevedere che Iddio destinava questo suo servo ad essere una delle fiaccole, che poste sul candelabro avrebbero sparso molta luce nella casa del Signore.
Non si sa di certo, se s. Ireneo sia stato promosse alla dignità sacerdotale, mentre era ancora in patria, epperò da s. Policarpo, oppure se sia stato innalzato a tanto onore dopo che venne a Lione: come anche non si conosce in modo certo la ragione per cui egli lasciò Smirne e valicò sì gran tratto di mare per recarsi ad abitare nella capitale della Gallia Narbonese cioè in Lione. Nulladimeno non è improbabile, che ai tempi {56 [152]} di Antonino Pio imperatore dei Romani, e del sommo pontefice s. Igino, il quale occupava la sede di s. Pietro alla metà del secondo secolo, l'eresia dei Valentiniani dall'Asia essendo penetrata nella Gallia, perciò s. Potino (detto anche Frotino) allora vescovo di Lione avendone gran bisogno dimandò a s. Policarpo un ecclesiastico dotto pio e zelante onde resistere agli assalti del nemico, e gli fu mandato s. Ireneo. S. Gregorio di Tours dice appunto essere stato s. Policarpo, che mandò s. Ireneo a Lione.
Non dee recar maraviglia, che il vescovo di questa città si rivolgesse a quello di Smirne, che era sì lontano. Imperocchè egli è assai verosimile che vi fosse maggior numero di ecclesiastici nell'Asia minore, ove la Chiesa si era assai propagala fin dal principio del cristianesimo, che non nelle Gallie convertite di fresco alla fede. Inoltre Smirne essendo situata in riva al mare Mediterraneo, comunica con Lione per mezzo del fiume Rodano, che attraversando questa città, va a scaricarsi nel golfo detto di Lione. Epperò da Smirne a Lione doveva esservi a quei tempi un commercio assai vivo, epperò un andare {57 [153]} e venire contiuuo di navi. Il che non rendeva difficile agli abitanti di recarsi da una città all'altra.
Comunque sia, egli è fuor di dubbio, che s. Ireneo dopo essere stato discepolo di s. Policarpo a Smirne, venne a Lione distante circa 1500 miglia da quella città, e che in Lione esercitò il ministero sacerdotale. La prima difficoltà che ebbe da vincere, fu di imparare la lingua latina, che era a quei tempi la lingua comune degli abitanti, e che dai Greci era chiamata barbara. S. Ireneo pel desiderio vivissimo che sentiva di istruire il popolo e convertirlo a Dio, superò collo studio assiduo ogni ostacolo. E quindi applicossi con amore alla predicazione, all'amministrazione dei sacramenti, alla visita degli infermi, all' assistenza dei poveri. Egli si segnalò sì fattamente in ogni virtù, e guadagnossi così l'affetto di tutti che circa l'anno 177 s. Frotino avendo terminato il suo episcopato colla corona del martirio, il clero e popolo di Lione elessero Ireneo per loro ambasciadore presso la santa sede incaricandolo di portare una loro lettera al sommo pontefice Eleuterio, il quale governò la {58 [154]} Chiesa dall'anno 179 all'anno 194. Questa lettera doveva pure essere comunicata ai fedeli dell'Asia e della Frigia. In essa i fedeli di Lione intitolano se stessi servi di Cristo, e così scrìvono al vicario di G. C. «Noi desideriamo, che tu, o padre Eleuterio, in ogni cosa e sempre ti porti bene. Noi abbiamo esortato il nostro fratello e collega Ireneo di recare a te questa lettera, cui ti preghiamo di riguardare siccome degno di raccomandazione, essendo egli zelante del testamento di Cristo. Che se sapessimo, che il posto apporta giustizia a chi lo occupa, noi te lo avremmo principalmente raccomandato qual prete della Chiesa; che tale è appunto il suo grado». Ora da questa sì calda raccomandazione che gli ecclesiastici e fedeli di Lione fanno di Ireneo al papa noi abbiamo motivo di conchiudere che passato a miglior vita s. Frotino loro vescovo, essi desiderassero Ireneo per suo successore nell'episcopato e lo mandassero a Roma, pregando papa Eleuterio ad approvare la loro elezione e a consacrare egli stesso il nuovo vescovo. {59 [155]}
Se l'uffizio di vescovo è sempre mai eccessivamente difficile, e al dire di s. Paolo è un peso tale da atterrire gli stessi angeli, lo era assai più nei primi secoli della Chiesa. Perchè allora il vescovo aveva da difendere il suo gregge dai nemici esterni che erano gli idolatri, e dai nemici interni che erano gli eretici. Bisognava adoperarsi con zelo per illuminare e convertire i primi, per confutare e combattere i secondi, e per preservare i fedeli dalla corruzione a cui erano esposti venendo in contatto cogli uni e cogli altri. Era uopo predicare, catechizzare e scrivere libri. Conveniva essere ben forniti di dottrina, di virtù, di coraggio, di fermezza, di prudenza e dolcezza a un tempo. A dir breve tali e tante erano le doti richieste a fare un buon vescovo, che chi ne era adorno non abbisognava d'altro a meritarsi il titolo di santo. S. Ireneo lo possedette e in sommo grado. Quando egli venne {60 [156]} a Lione, i cristiani erano ancora pochi, perchè non era ancora gran tempo che la fede era stata predicata in quella città. Quindi a Lione non v'era ancora stato altro che un vescovo solo, cioè s. Frotino. A s. Ireneo dolse amaramente che la maggior parte dei cittadini fossero ancora sì stolti da adorare gli idoli, e che in conseguenza fossero schiavi di Satanasso e fuori della via della salute; epperò decise di fare quanto era in lui per convertirli alla fede di G. C. e farli tutti figliuoli di Dio. Il cielo benedisse le sue fatiche: gli idolatri accorrevano in folla a udire le sue prediche e a ricevere le sue istruzioni, e chiedevano con vive istanze di essere ammessi al s. battesimo e ricevuti nel grembo della vera Chiesa. Quindi s. Gregorio vescovo di Tours nel luogo sopracitato dice che «s. Ireneo splendette per virtù ammirabili, e che nello spazio di breve tempo riuscì a rendere tutta la città (vale a dire una gran parte) cristiana, specialmente colla sua predicazione». Ma, come dissi, allora non solo v' erano gli idolatri da convertire, sibbene anche gli eretici da combattere. Questo era un impegno per {61 [157]} varii rispetti più difficile. Eretici si dicono coloro, i quali pretendono di essere cristiani, ma frattanto ricusano di credere tutto ciò che la s. Chiesa cattolica, che è la sposa di Gesù C, insegna da credere. Essi presumono di saper interpretare le sante scritture meglio del sommo pontefice, di tutti i vescovi, non badando che Gesù Cristo ha dato l'autorità di predicare e di insegnare al supremo pastore della Chiesa, ai vescovi e non ad altri. Quindi gli eretici sono nemici più nocivi degli idolatri, perchè questi sono nemici dichiarati e aperti, quelli sono nemici che pretendono il titolo di amici, e che mostrando un certo rispetto alle sante scritture, presumono di essere cristiani al pari, anzi assai di più degli stessi cattolici.
A' tempi di s. Ireneo la Chiesa era travagliata da molte eresie, che facevano un guasto orribile delle anime; ma fra esse la più maligna e formidabile era quella dei Gnostici, i quali sotto mostra di professare la religione del puro vangelo, volevano introdurre di bel nuovo l'idolatria. Gnostici vuol dire illuminati, e quegli eretici davano a se stessi questo {62 [158]} nome orgoglioso, perchè mentre disprezzavano i cattolici siccome gente sfornita di scienza e dottrina, essi soli credevano di possedere la luce della verità. Essi erano acciecati dalla superbia siccome i miscredenti ed eretici dei giorni nostri, i quali trattano siccome stolti coloro che ubbidiscono alla Chiesa, e stimano se stessi genti di spirito e di mente elevata perchè rigettano gli insegnamenti dei ministri di G. C. Ma i Gnostici benchè pretendessero d'essere illuminati, pure non s'accordavano tra di loro, ed erano divisi in più sette. Fra queste si distinguevano quella dei Valentiniani ed i Marcosiani. I Valentiniani si chiamavano così da un certo Valentino, il quale quando era cattolico era stato promosso al sacerdozio, ed aveva predicato in Egitto e quindi a Roma con grandissimo applauso. E perchè mai di sacerdote della vera Chiesa divenne un eretico epperò un ministro dell'errore? Cel dice Tertulliano nel suo libro contro i Valentiniani (cap 4): Perchè non avendo potuto ottenere in Egitto la dignità di vescovo, che era il suo desiderio, per vendetta si arruolò alla bandiera di Satanasso, {63 [159]} e fecesi a perseguitare la Chiesa con predicare l'eresia.
Anche a giorni nostri l'orgoglio e l'interesse sono la causa dell'apostasia di certi infelici ecclesiastici, i quali indispettiti di non aver potuto conseguire qualche posto lucroso ed onorifico, per vendetta passano tra le file dei protestanti o miscredenti. Tra questi fu in Francia il Lamennais, il quale prima sembrava un sacerdote molto zelante della causa della fede, poi, perchè non potè ottenere quegli onori che erano l'oggetto della sua superbia, divenne un incredulo, e come tale morì dopo avere scritto varii libri pieni di empietà.
Valentino continuò a spargere i suoi errori nell'isola di Cipro, poi passò in Italia e quindi nelle Gallie. Dato mano alle sante scritture, egli le spiegava a suo capriccio, come fanno i protestanti de' nostri giorni, e insegnava tra altre stravaganze che vi hanno trentadue dei. Il primo eterno, invisibile, incomprensibile, il cui nome è bathos che significa profondità; il secondo è la sua moglie per nome Ennoia, ossia pensiero, detta anche sige, ossia silenzio. E da queste due prime divinità Valentino faceva discendere {64 [160]} trenta altre divinità, quindici maschi e quindici femmine, che esso chiamava Eoni e dai quali diceva essere governato l'universo e le cose tutte di questa terra.
S. Ireneo, come vide che questa eresia, benchè così assurda, pure minacciava di dilatarsi e di spegnere la vera fede in molte anime, si accinse a confutarla cogli scritti, e pubblicò a tal fine un'opera cui intitolò contro le eresie. Quest'opera è divisa in cinque libri.
Nel primo enumera e descrive gli errori delle varie eresie, le quali tentarono di corrompere la Chiesa sino dai tempi degli apostoli, e mostra come gli eretici non si siano mai accordati fra di loro. Negli altri quattro libri smaschera i loro errori coll'autorità della s. scrittura e della Chiesa e con argomenti tratti dalla ragione: ma si ferma specialmente sulla novità dei loro erronei insegnamenti, osservando come nella Chiesa non vi sia dottrina vera fuorchè quella che fu insegnata dagli apostoli, epperò ogni insegnamento nuovo per questo solo sia manifestamente falso.
Questo è lo stesso argomento, col quale oggidì confutiamo i protestanti, imperocchè {65 [161]} la Chiesa fu fondata dagli apostoli, che cominciarono a predicare 1827 anni fa. Ma Lutero e Calvino fondatori del protestantismo è circa 300 anni che cominciarono a predicare la loro dottrina: adunque essi furono gente nuova che vennero fuori a insegnare ciò che non si era mai insegnato per oltre a 1500 anni. Ciò basta a convincerli, che essi non insegnano la dottrina degli apostoli, ma bensì l'errore.
In questa opera, la quale giunse fino a noi, si vede chiaro quanto questo s. vescovo fosse pratico non solo delle sante scritture e della storia della Chiesa, ma anche delle scienze profane. Il suo ragionare è stringente, e pieno di forza, e mostra quanto viva dovesse essere la fede, quanto profonda la convinzione, quanto caldo lo zelo di chi lo scriveva. Quindi s. Epifanio discorrendo dei Valentiniani nel libro sovracitato, dice che s. Ireneo, «adorno siccome era in ogni modo dei doni dello Spirito Santo, e siccome un generoso atleta messo in campo dal Signore, e cosperso delle grazie celesti della vera fede e scienza, combattè e sconfisse tutta la dottrina ciarliera di questi eretici». {66 [162]}
Questo libro servi non solo a mettere in chiaro le eresie dei Valentiniani, ma circa tredici secoli dopo servì anche ad arrestare il protestantismo, che minacciava di avvelenare tutta la Francia coi suoi errori. Infatti Fiorimondo Remondo nel suo libro sull'origine e progresso delle eresie (cap. 7), narra che Francesco I re di Francia s'era già lasciato ingannare da' protestanti o falsi cattolici sì fattamente che era sul punto di voltare le spalle al Vicario di Gesù Cristo, per mettersi sotto le bandiere di Lutero e Calvino, quando il cardinale Tournon arcivescovo di Lione gli mostrò il libro del suo predecessore Ireneo, e accennatogli il capo terzo del libro terzo, gli fece leggere, come, secondo ciò che quivi scrisse il s. Martire, gli apostoli e loro discepoli portassero o raccomandassero un odio implacabile ad ogni eresia, e prendessero e inculcassero ogni diligenza nello schivare il consorzio degli eretici. Questo bastò per indurre il re Francesco I ad allontanarsi dal precipizio in cui stava per cadere.
S. Ireneo scrisse quest'opera in greco perchè potesse essere letta nell'Oriente, e perchè a quei tempi tutte le persone {67 [163]} colte dell'impero romano, conoscevano e parlavano questa lingua. Ma acciocchè tutti potessero facilmente leggere il suo libro, se ne fece tosto una traduzione in latino; e non è inverisimile che lo stesso s. Ireneo si assumesse questa fatica. Questo s. vescovo adoperandosi nel tempo stesso e a confutare gli eretici e a convertire gli idolatri, per questi ultimi scrisse un libro, cui intitolò contro i Gentili, di cui parlano con lode s. Girolamo ed Eusebio. Ma questo libro andò perduto, siccome pure si smarrirono il libro che egli (come ci assicura s. Girolamo) dedicò a Marziano (cui chiama fratello) dell'Apostolica predicazione, e un altro col titolo Dei varii trattati.
Un certo Fiorino, che insieme col nostro santo vescovo aveva avuto la sorte di essere discepolo di S. Policarpo, divenuto prete della Chiesa romana, dimenticossi dei santi insegnamenti del suo maestro, e fecesi a predicare le più empie bestemmie, e tra le altre, che Dio era autore del peccato.
S. Ireneo non appena il seppe, che e per lo zelo di Dio, e per sentimento di amicizia scrisse al suo antico condiscepolo {68 [164]} una lettera col titolo Della Monarchia, e che Dio non è autor del peccato. Sgraziatamente anche questa lettera andò perduta: ma Eusebio ce ne conservò un brano, dal quale scorgesi, che bel cuore avesse il nostro santo e quanto tenero fosse della causa di Dio, e dell'amico suo. Egli ricorda a Fiorino, e quasi gli dipinge sotto gli occhi S. Policarpo maestro d'amendue, quando esso loro raccontava le opere sante e le celesti dottrine del Salvatore, tali quali egli le aveva apprese da San Giovanni l'evangelista; e in questo modo egli si sforza di muovere Fiorino a lasciare l'errore e ritornare alla verità.
Dicesi, che la lettera abbia ottenuto il suo effetto, e che Fiorino si ritraesse da quelle eresie: ma sfortunatamente la superbia aveva preso possesso del suo spirito, e il misero cadde ben tosto nell'eresia dei Valentiniani. S. Ireneo non si perdette di animo, e sia per difendere la verità, sia per tentare di nuovo la conversione dell'amico, scrisse il suo libro Dalle Ogdoadi, ossia degli Otto Eoni, cioè delle otto principali divinita a cui Valentino attribuiva la creazione del mondo. Il libro fu distrutto dalle vicende dei tempi: se non {69 [165]} che Eusebio ce ne preservò uno squarcio in cui l'autore finisce così: «O voi, che trascriverete, questo libro, io vi scongiuro pel nostro Signor Gesù Cristo e per la sua gloriosa venuta, nella quale giudicherà i vivi ed i morti, di riscontrarlo dopo di averlo compiuto, e di correggerlo esattamente sull'originale, e di scrivere anche questa mia esortazione» Dal che vedesi che S. Ireneo dava una grande importanza a questo suo scritto.
A quei tempi oltre l'idolatria e le eresie che travagliavano la Chiesa, v'erano dissenzioni anche tra i cattolici su di un punto di disciplina assai importante, cioè sul giorno in cui dovevasi celebrare la solennità della Pasqua.
Imperocchè ve ne erano di coloro, i quali invece di solennizzare la Pasqua nella prima domenica dopo il plenilunio di marzo, siccome avevano insegnato i santi Apostoli Pietro e Paolo e i sommi pontefici, la celebravano nel giorno stesso del plenilunio, qualunque fosse il dì della settimana in cui questo cadeva. E siccome la luna appare piena il dì quartodecimo dopo che fu nuova, così questi cattolici si chiamavano quartodecimani. {70 [166]}
Nel loro novero erano varii vescovi dell'Asia minore e di altre parti d'Oriente: e quantunque la loro pratica non toccasse la fede, pure recava un gran disturbo nella Chiesa; imperocchè mentre gli uni già festeggiavano la Risurrezione del Redentore, gli altri ancora si affliggevano per la sua passione.
Per lo che S. Vittore, che allora sedeva sulla cattedra di S. Pietro, comandò ai Quartodecimani di uniformarsi alla pratica della Chiesa universale, minacciando di scomunicarli ossia di separarli dal corpo dei fedeli, se non ubbidivano. A S. Ireneo premeva assai che i Quartodecimani si sottomettessero al comando del papa S. Vittore, ma nel tempo stesso gli rincresceva, che ove disobbedissero, venissero scomunicati in pena della loro disobbedienza; perchè vi era pericolo che la scomunica invece di ravvederli, li irritasse maggiormente, e cagionasse peggiori scandali e divisioni più gravi. Che fece egli adunque? Egli fece quanto gli suggerì la sua carità, e mostrandosi degno del suo bel nome, che significa pacifico, ossia amante di pace, egli si rivolse a un certo Blasto prete della Chiesa {71 [167]} romana, uno dei Quartodecimani più caldi (conciossiacchè insegnava, esservi un precetto divino di celebrare la Pasqua il dì 14 della luna del primo mese), e gli scrisse un trattato Dello Scisma (che non giunse fino a noi ), onde indurlo a mutar parere, e a non disturbare più oltre la pace della Chiesa.
Nel tempo stesso secondo l'ordine ricevuto dal sommo pontefice egli radunò a Lione un concilio provinciale, a cui intervennero tredici vescovi, e in cui si stabilì che secondo la tradizione degli Apostoli, la Pasqua si celebrasse nella domenica che segue il di decimoquarto della luna nell'equinozio di primavera. Ma onde evitare lo scisma in caso di disobbedienza, egli scrisse al sommo Pontefice S. Vittore una lettera, nella quale caldamente lo prega a risparmiare i fulmini minacciati, acciocchè l'unità del corpo ecclesiastico non venisse a rompersi. E tanta era la stima che papa Vittore nodriva per S. Ireneo, che accondiscese a' suoi desideri, e sospese la scomunica sui Quartodecimani, tollerando che osservassero la loro pratica e la osservarono sino all'anno 325, in cui si celebrò il Concilio di Nicea nella Bitinia. {72 [168]} In esso fu prescritto sotto pena di scomunica, che si dovesse celebrare la Pasqua nella prima domenica dopo il plenilunio di marzo.
Dalle cose dette si vede quanto vivo fosse lo zelo di S. Ireneo, quale amore egli portasse alla Chiesa, quanto a cuore gli stesse la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Iddio, onde premiarlo di tante virtù e di tante fatiche gli procurò il guiderdone più ampio che aspettare si potesse, cioè la corona e la palma del martirio.
S. Ireneo governò la Chiesa di Lione circa ventiquattro anni, cioè dall'anno 180 sino all'anno 204. Durante questo tempo furono imperatori di Roma Marco Aurelio, poi Commodo suo figlio, a cui succedette Pertinace, poi Didio Giuliano, che comperò l'impero all' incanto, finalmente Severo, il quale, prima era stato governatore di Lione. Quantunque costui {73 [169]} fosse debitore ai cristiani di segnalati benefizi, pure nell'anno 202 pubblicò contro di essi leggi di sangue, le quali furono crudelmente eseguite. Tra gli altri benefizi che Severo ricevette dai cristiani, fu questo, che uno di essi per nome Procolo guarì miracolosamente l'imperatore da una malattia[1].
Si ignorano le circostanze del martirio del nostro santo, si ha solo di certo, che nella persecuzione di Severo esso fece sacrifizio della sua vita al Signore per mano del carnefice, come attesta S. Gregorio di Tours, e pare che egli passasse da questo esilio alla gloria del Cielo nell'anno ottantesimo secondo della sua età.
Fu sempre cosa ordinaria in tutte le persecuzioni (siccome avverasi anche ai dì nostri, e si avvererà sino alla fine dei secoli), che i vescovi fossero singolarmente presi di mira, perchè dalla costanza o pusillanimità di essi dipendeva {74 [170]} la fermezza o caduta degli altri cristiani. Certe volle erano i magistrati e giudici, i quali per farsi un merito presso l'imperatore e presso a' suoi ministri, spiavano attentamente ogni azione e ogni parola dei vescovi e sacerdoti cattolici, e sotto varii pretesti li facevano catturare, e loro applicando tutta la severità delle leggi, li facevano martoriare e morire tra gli spasimi della morte più crudele. Altre fiate era il popolo il quale stimolato da gente malvagia e per mezzo delle più sfacciate calunnie contro del clero, e specialmente dei vescovi, con pubblici schiamazzi domandava la loro morte ai magistrati. Costoro poi lo compiacevano, scusandosi di non avere altro mezzo onde ristabilire la pubblica quiete. Egli è al tutto verosimile che S. Ireneo fu messo a morte in odio del suo santo ministero o per l'una o per l'altra di queste cause. Ma quello che è certo, e che reca una gloria immensa alla chiesa di Lione, è che quasi tutti i cristiani di questa città, seguendo l'esempio del loro santo pastore, stettero saldi nella fede, e preferirono di dare la loro vita sotto i colpi del pugnale che li sgozzava, piuttosto che rinnegare o anche solo fingere {75 [171]} di rinnegare Gesù Cristo e la sua Chiesa. S. Gregorio di Tours scrive, il numero dei cristiani scannati in quell'occasione, e dice essere stato sì grande che il sangue scorreva a rivi per le piazze; e se crediamo a ciò che leggesi in una iscrizione, la quale ancora esiste nella chiesa di S. Ireneo a Lione, i cristiani, che in quella sola persecuzione diedero il sangue per Gesù Cristo non furono meno di 12000. A Lione e nella Chiesa latina si è sempre creduto che il martirio di S. Ireneo avvenisse il 28 giugno, i Greci però celebrano la festa di questo santo al 23 di agosto.
I cristiani che sopravvissero, e per l'esempio che loro ne avevano dato i cristiani di tutti i tempi, e per quel sentimento di pietà e divozione che è naturale a chiunque ha fede, furono assai solleciti di dare sepoltura al cadavere del loro santo e amato pastore e di tutti i suoi compagni nel martirio.
In mezzo al colle che sorge in riva al Rodano e presso alla città eravi una piccola valle quasi a guisa d'una spelonca coperta di arbusti e spineti, e quivi, perchè allora, stante il furore dei Gentili, non potevano {76 [172]} far altro, nascosero le reliquie di S. Ireneo e degli altri martiri, tra i quali primeggiavano Epipodio ed Alessandro, le quali quivi stettero lungamente senza pubblica onoranza.
Ma anche per queste, siccome generalmente per le reliquie dei santi martiri, venne il tempo di quello splendore, che è come un pegno della gloria immortale loro apparecchiata nel dì del giudizio universale. Adunque nell'anno 480 san Paziente vescovo di Lione, desiderando di rendere onore a un suo predecessore così illustre qual era S. Ireneo, fece costruire una magnifica basilica. Essa è minutamente descritta da Sidonio Apollinare, il quale essendo vissuto a quei tempi, la visitò più volte, e quivi in mezzo a un immenso concorso di popolo, le reliquie del santo vescovo e dei suoi compagni furono solennemente trasferite e collocate nella cappella sotterranea, sopra cui la basilica si innalzava. Quelle dei santi Ireneo, Alessandro ed Epipodio furono poste dentro gli altari, ma la massima parte delle altre reliquie furono messe dentro a un pozzo scavato nel mezzo di questa cappella sotterranea, il quale esiste ancora. {77 [173]} E quivi tutte queste reliquie riposarono sino all'anno 1562, celebrandosi ogni anno l'anniversario di tale traslocazione prima il 5 aprile, e poscia la seconda domenica dopo Pasqua.
Anticamente era si grande la venerazione dei fedeli verso del santo martire, che gli stessi canonici della detta basilica non osavano accostarsi al sepolcro di esso se non a piedi nudi e dopo essersi purgata la coscienza d'ogni peccato; e nessuno dei cittadini o forestieri era ammesso a visitare quel sepolcro se non vi si apparecchiasse nella stessa maniera. E il santo martire era sì liberale e sì possente in ottenere grazie dall'Altissimo a prò dei suoi devoti, che della loro descrizione se ne erano empiti tre libri, i quali furono poi dati alle fiamme dagli eretici Calvinisti.
Si sa che Calvino nativo di Francia, volle emulare Lutero nel combattere la {78 [174]} Chiesa cattolica e farsi capo d'una setta di eretici, detti Protestanti, i quali presero poi il nome di Calvinisti.
Calvino fissò la sua residenza a Ginevra, la quale essendo prima una città soggetta al Duca di Savoia, ed eminentemente cattolica, per opera di Calvino si ribellò al suo legittimo sovrano, e apostatò dalla vera fede. I Calvinisti si recarono a predicare le loro eresie nella valle di Pinerolo, ove si guadagnarono i Valdesi, che sul finire del secolo duodecimo si erano separati dalla Chiesa cattolica. Adunque da quel tempo in poi i Valdesi divennero Calvinisti, e anche presentemente i loro ministri sono educati a Ginevra.
I Calvinisti si propagarono nella Francia, ove presero il titolo di Ugonotti, e ove non solo colle prediche e cogli scritti, ma anche colle armi alla mano e con ogni guisa di violenza più atroce tentarono di costringere tutti gli abitanti ad abbracciare i loro errori. E non è a dire gli incendi orribili, le stragi brutali, gli oltraggi nefandi, i sacrilegi e le empietà che commisero durante una lunga serie di anni. Atterrare chiese e monasteri, profanare altari, abbruciare imagini e libri {79 [175]} sacri, sgozzare sacerdoti, trucidare monachi e religiose, dopo averli insultati nelle guise più barbare, mutilare vecchi o donne e bambini, e poi lasciarli in preda a una morte altrettanto più angosciosa quanto più lenta, empire le città di sangue dopo averle rubato ogni cosa più preziosa, tutti questi orrori non bastavano a satollare il furore e la rabbia di quei mostri d'inferno; imperocchè essi non erano paghi finchè non avevano profanato il Santissimo Sacramento, calpestando pubblicamente coi loro piedi, o gettandolo (cosa sì orribile da raccapricciarne al solo pensiero) in cibo ai cani e porci, e finchè non avevano aperto i sepolcri dei martiri, onde trarne fuori le preziose reliquie, e fare di queste il più orrendo ludibrio, e poi distruggerle col fuoco e coll'acqua. Questi sono gli argomenti coi quali Calvino e i suoi protestanti volevano dimostrare che essi erano mandati da Dio a purgare la Chiesa di G. C. de' suoi errori e difetti. E queste sono le profanazioni che commetteranno i protestanti dei giorni nostri, se mai Iddio in punizione dei nostri peccati loro permetterà di far trionfare le loro bestemmie {80 [176]} in qualche paese finora cattolico.
Adunque i Calvinisti di Francia tra altre città, ove segnatamente agognavano di dare sfogo al loro odio contro la Chiesa cattolica, era Lione, della quale eransi impadroniti li 30 aprile del 1562. Quei nemici di Dio e de' suoi santi dopo aver distrutto templi, altari, immagini, facendo scempio d'ogni cosa più santa, segnalarono la loro barbarie contro le reliquie di S. Ireneo e degli altri martiri che erano venerati nella basilica eretta da S. Paziente. Cacciatisi, come farebbero cani rabbiosi sopra la preda, dentro di questo santo luogo, e precipitatisi nel sacro sotterraneo, spezzarono a furia gli altari, le urne, i serbatoi ove tante e sì venerande reliquie erano state collocate dall'antica pietà dei fedeli. Di poi traendole fuori, con una rabbia da cannibali le mutilarono, le dispersero, gettandone parte per le vie e per le piazze, e parte nel fiume. Ma come S. Ireneo per essere stato uno de' campioni più illustri delle dottrine cattoliche era fatto segno speciale al loro odio, così le sacre sue reliquie dovevano porgere un pascolo più squisito alla loro avidità di sacrilegio. {81 [177]} Quindi il cranio del santo Vescovo, quel cranio, dentro cui aveva albergato una mente sì nobile, e così piena della luce e dello spirito di Dio, fu rotolato, (raccapriccio al pensarvi) come una palla giù per le pubbliche vie, facendosene un empio giuoco e gettandoselo l'un l'altro non già a colpi di mano, che avrebbero temuto d'imbrattarsi, ma a furia di calci; e quegli indemoniati (come chiamarli altrimenti?) continuarono lunga pezza a godersi questo trastullo d'inferno finchè ne furono stanchi. In leggere questo orribile fatto, non par egli d'assistere ad una baldoria di demoni? Ma Iddio non permise che quel cranio venerabile andasse a male, poichè un chirurgo, uomo pio assai, non avendolo mai perduto di mira, quando quegli empi l'ebbero lasciato in un rigagnolo, siccome cosa di nessun conto, nascostamente il prese, e lo conservò gelosamente fino a tanto che Carlo IX re di Francia, avendo ripreso il possesso della città, pensò a riparare solennemente gli oltraggi che i protestanti avevano commesso contro la Religione. Allora fu che tutti i cittadini si rallegrarono sommamente alla notizia che il capo del {82 [178]} loro santo Vescovo era stato preservato, e ordinatasi pubblica festa, in mezzo alla gioia ed esultanza di tutto il popolo, quella preziosa reliquia insieme con quelle degli altri martiri furono riportate al loro luogo primiero, cioè alla chiesa di S. Ireneo. Esse vennero riposte nella cappella sotterranea, la quale è perciò riguardata dagli abitanti di Lione siccome il luogo più sacro della loro città, e ove anche al dì d'oggi i forestieri che hanno fede sentono un bisogno di recarsi a venerare la memoria d'uno dei Vescovi più insigni, che abbiano illustrato la Chiesa cattolica colla dottrina, colla santità e col martirio.
Io prego il lettore di leggere attentamente le osservazioni seguenti; imperocchè esse sono di grande importanza nei tempi presenti, nei quali i protestanti fanno ogni sforzo per imitare i Gnostici nel muovere guerra agli insegnamenti della Chiesa cattolica. {83 [179]}
I Protestanti pretendono che la parola di Dio sia contenuta solamente nella Santa Scrittura, e che perciò per sapere quali cose convengasi credere e fare per salvarci non ci resta altro che leggere la santa scrittura e interpretarla secondo che pare alla nostra ragione. Ora S. Ireneo insegna tutto il contrario: cioè egli insegna: 1° che la parola di Dio è contenuta non solo nelle S. Scritture, ma anche nella Tradizione, cioè nell'insegnamento a viva voce della Chiesa: 2° che vi possono essere, e vi sono in realtà molti cristiani i quali professano la vera fede benchè non abbiano mai letto la santa Scrittura, conciossiacosachè non sappiano o non possano leggerla, ma conoscono le verità della fede solo per averle apprese dalla voce dei Pastori della Chiesa. Infatti nel libro III., cap. 4 volendo confutare gli eretici coll'autorità della Tradizione, cesi scrive: «Non è necessario il cercare presso di altri la verità, la quale facilmente possiamo ricevere dalla Chiesa, conciossiachè gli Apostoli abbiano abbondantemente conferito a lei siccome a un {84 [180]} ricco serbatoio le cose tutte che appartengono alla verità ... Infatti, che faremmo noi, ove si levasse disputa intorno ad alcuna questione anche non del massimo momento? Forse non dovremmo noi ricorrere alle chiese, in cui gli Apostoli vissero, e ricevere da esse ciò che avvi di certo e indubitato in quella questione? E che? se gli Apostoli non ci avessero lasciate le scritture, certo avremmo seguito il filo della Tradizione, che essi Apostoli affidarono a coloro a cui consegnarono il governo delle chiese, siccome fanno molte barbare nazioni, le quali posseggono la fede senza inchiostro e senta carta.»
I Protestanti insegnano, che per essere cristiano non è necessario di rispettare il Papa siccome nostro primo pastore e maestro, ma che si può essere veri cristiani anche ricusando obbedienza e rispetto al Vescovo di Roma. Ma S. Ireneo la pensava tutto all'opposto: perchè egli credeva e insegnava essere necessario il mettersi d'accordo colla Chiesa romana. Infatti dopo {85 [181]} aver detto, siccome abbiamo veduto, essere nostro dovere ricorrere alle chiese che furono governate dagli Apostoli per sapere la verità; egli continua ad osservare che sarebbe cosa troppo lunga lo andare a consultare una per una le chiese, fondate e governate da ciascun degli Apostoli, e quindi così conchiude: «Dobbiamo soprattutto ricorrere alla chiesa più grande, piu antica, e conosciuta da tutto il mondo; alla chiesa fondata in Roma dai gloriosi Apostoli Pietro e Paolo, la quale conserva la Tradizione che ha ricevuta da' suoi fondatori, e che è pervenuta sino a noi per una successione non interrotta. Con ciò confondiamo tutti quelli, che abbracciano l'errore per amor proprio, per vanagloria, per cecità o per qualsivoglia altro motivo.
Il perchè egli è necessario, che a questa chiesa a cagione della tua principale preminenza, ogni chiesa particolare si indirizzi; siccome alla fedele depositaria della Tradizione degli Apostoli.»
S. Ireneo dunque riconoscca nel Vescovo di Roma tanta autorità, che secondo lui ogni altra chiesa, epperò ogni altro Vescovo, doveva rivolgersi al Papa per {86 [182]} essere sicuro di insegnare la dottrina degli Apostoli.
Che se S. Ireneo pregò S. Vittore di non scomunicare i Vescovi dell'Asia, benchè questi ricusassero di obbedire a' suoi ordini riguardo alla celebrazione della Pasqua, egli non negava già al Papa il diritto di scomunicare i vescovi disobbedienti, ma solo il pregava a non usare di un tal diritto in quel caso particolare per non dare occasione al male di farsi assai più grave di quello che era.
I Protestanti dicono, nell'Eucaristia (cui essi chiamano la Cena ) non esservi realmente il corpo e il sangue di N. S. Gesù Cristo, ma sibbene esservi e riceversi solo pane e vino, in memoria del corpo e sangue di Gesù C. Ma ben diversa è la dottrina di S. Ireneo. Questo S. Dottore nel libro 5 contro le eresie (cap. 4.) vuol provare ai Valentiniani, i quali lo negarono, che alla fine del mondo i nostri corpi hanno da risorgere; e per convincerli di questa verità, egli li invita a riflettere non essere possibile che si distruggano {87 [183]} interamente i nostri corpi, i quali durante la vita presente si nudriscono del corpo e sangue del Verbo Dio. Ecco le sue parole. «Quando il calice in cui si è versato del vino, e il pane spezzato riceve la parola di Dio (vale a dire si sono pronunziate sopra di essi le parole della consacrazione, le quali sono le stesse profferite dal Figliuolo di Dio sopra del pane e del vino nell'ultima cena), cioè esso vino ed esso pane diventa l'Eucaristia del Corpo e Sangue del Signore, da cui la sostanza della nostra carne riceve sostentamento e incremento: come adunque affermano (gli eretici), la nostra carne, la quale si nodrisce del Sangue e Corpo di Cristo, quasi fosse membro di esso, non essere capace del dono di Dio, cioè della vita eterna?»
I Protestanti ridono a udire i cattolici parlare di miracoli operati a giorni nostri dai servi di Dio, che o già regnano in cielo, o combattono ancora sulla terra. Ora S. Ireneo nel libro 2º contro l'eresie, {88 [184]} (cap. 57) ci assicura che a' suoi tempi vi erano cristiani, i quali facevano miracoli. «Alcuni, egli dice, cacciano i demoni sì efficacemente e sì realmente, che quelli che ne sono liberati per mezzo loro, spesso abbracciano la fede: altri hanno delle visioni, conoscono gli avvenimenti futuri e li predicano: ve ne ha di quelli, i quali coll'imposizione delle mani guariscono i malati: molti che erano stati risuscitati, vissero poscia molti anni fra noi. In ultimo non è possibile lo enumerare i diversi miracoli che la Chiesa opera ogni giorno in tutto l' universo pel nome di Gesù Cristo»
E siccome gli eretici pretendevano avere anche essi il dono dei miracoli, S.Ireneo lo nega (cap. preced.) dicendo: «essi non possono rendere la vista ai ciechi o l'udito ai sordi, nè cacciare i demoni, se non fosse dei corpi di coloro, in cui eglino stessi li fecero entrare. Possono ancor meno risuscitare i morti, come il Salvatore e gli Apostoli hanno fatto, e come fanno i fedeli. Soventi volte non avviene egli, che siasi renduta la vita ad uomini morti, per l'efficacia dei digiuni e delle orazioni della Chiesa?» {89 [185]}
S. Ireneo adunque credeva fermamente: 1º che a' suoi tempi molti miracoli erano operati dai cristiani; 2º che questo dono era esclusivo dei cattolici, ed era una prova della verità della Chiesa cattolica. Ora perchè mai non crederemo noi che si operino miracoli a' tempi nostri? Non vi sono forse anche presentemente molti infedeli da convertire non solo là ove l'idolatria è ancora regnante, come nelle Indie, nella Cina e presso altre nazioni; ma anche in mezzo ai cattolici? Non vi sono forse molti eretici da illuminare e da convincere, che essi sono nell' errore? Non vi sono molti e molti cattolici, i quali sono nel punto di perdere la fede, ed hanno bisogno di essere confermati e fortificati in questa virtù, sì essenziale alla salvezza dell anima? Le promesse fatte da Gesù Cristo alla Chiesa di darle il dono dei miracoli, si debbono intendere ogni qual volta ve ne sia un bisogno, o vi abbia un vantaggio. Ora se i miracoli erano necessarii ed utili al tempo di S. Ireneo, non sono meno utili, e sono anche necessarii (almeno ove regna l'idolatria) a' tempi nostri. {90 [186]}
Chi legge le storie non deve già contentarsi di soddisfare alla curiosità, sibbene deve procurare di ricavarne qualche utile ammaestramento; e ciò in particolare quando leggonsi le storie dei Santi. Ora dalla vita dell'illustre Vescovo e martire S. Ireneo, abbiamo da imparare in primo luogo, come Iddio in ogni tempo secondo i bisogni abbia provveduto alla sua Chiesa dei pastori dotti, zelanti e coraggiosi, che la propagarono, difesero e illustrarono colla dottrina, colla santità e coll'esercizio del loro ministero.
Così, mentre s. Frotino, 1° Vescovo di Lione, già cominciava ad invecchiare, e s'appressava al termine della sua santa carriera, Iddio nella persona di Ireneo, il quale viveva lontano tante centinaia di miglia, gli preparava un degno successore, e a suo tempo per mezzo di s. Policarpo lo mandava in quella città, perchè dopo il martirio di s. Frotino prendesse cura di quel gregge rimasto senza pastore, e lo aumentasse con numerose conversioni di gentili, lo pascesse colle sue istruzioni, {91 [187]} lo difendesse cogli scritti, lo animasse alla costanza ed al martirio col suo esempio.
In secondo luogo, che la Chiesa cattolica si propagò assai presto in un modo prodigioso, a dispetto de' più gravi ostacoli, il che dimostra ad evidenza, ch' essa è divina. Così a Lione, per la predicazione di s. Ireneo, un numero immenso di idolatri si convertirono alla fede in brevissimo tempo, benchè per abbracciare il Vangelo dovessero rinunciare gli erronei insegnamenti in cui erano stati educati da fanciulli, tirarsi l'odio dei congiunti e degli amici, esporsi al pericolo di perdere le sostanze, la libertà e la vita stessa.
In terzo luogo, che i Cristiani dei primi secoli avevano una fede vivissima, per cui sentivano il pregio e l'importanza dell'essere membri della Chiesa, ed erano realmente disposti a mettere in pratica quanto Gesù Cristo ci insegna, che cioè noi dobbiamo amar Dio con tutto il cuore, ed essere pronti a perdere ogni cosa e soffrire qualunque tormento piuttosto che commettere un peccato. Quando l'imperatore Severo fece pubblicare la sua legge, colla quale si intimava a tutti i suoi sudditi di rinunziare a Gesù Cristo, sotto pena {92 [188]} di morte a chi disobbediva, i Cristiani di Lione, sapendo che le leggi dei sovrani di questa terra quando sono contrarie alla legge di Dio e della Chiesa, non meritano il nome di legge, e non solo non vi è obbligo di osservarle, ma vi è obbligo di non osservarle, determinarono di mantenersi costanti nella fede a qualunque costo, e si lasciarono scannare a migliaia, piuttosto che ubbidire a quella legge iniqua di quell' imperatore, che esigeva che si rinnegasse Gesù Cristo.
Faccia Iddio, che anche noi sull'esempio dei Cristiani di Lione, accresciamo la nostra fede così che anteponiamo la salvezza dell' anima a qualunque cosa terrestre siamo pronti a morire piuttosto che fare alcuna cosa contro la legge di Dio e della sua Chiesa. {93 [189]} {94 [190]}
Vita di s. Policarpo. - Prefazione |
Pag. 3 |
Capo I. Memorie antichissime che si hanno di s. Policarpo |
5 |
Capo II. Primi anni di s. Policarpo |
7 |
Capo III. Progressi di s. Policarpo nella virtù e nella, scienza |
11 |
Capo IV. È promosso al sacro ordine del Diaconato e del Sacerdozio |
13 |
Capo V. È fatto vescovo di Smirne, suo zelo nell'episcopato |
18 |
Capo VI. Martirio di s. Policarpo, quale è descritto nella lettera dei fedeli di Smirne |
29 |
Capo VII. Osservazioni a farsi sulle cose sopraddette |
44 |
|
|
Vita di s. Ireneo. - Prefazione |
47 |
Capo I. Testimonianze degli antichi scrittori su s. Irenio |
51 {95 [191]} |
Capo II. Patria, nascita, educazione di s. Ireneo |
Pag 52 |
Capo III. E fatto Sacerdote e poi Vescovo di Lione |
56 |
Capo IV. Zelo di s. Ireneo durante il suo episcopato |
60 |
Capo V. Suo martirio, sue reliquie e onori renduti alla sua memoria |
73 |
Capo VI. Orribili profanazioni commesse dai Protestanti contro le reliquie di s. Ireneo e suoi compagni |
78 |
Capo VII. Osservazioni da farsi sulle opere di s. Ireneo |
83 |
Osservazione prima |
84 |
Osservazione seconda |
85 |
Osservazione terza |
87 |
Osservazione quarta |
88 |
Conclusione |
91 {96 [192]} |
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Con approvazione della Revisione Ecclesiastica. {97 [193]} {98 [194]} |
[1] Così attestano oltre a Tertulliano nel suo libro a Scapola (cap 4). varii autori pagani, le cui citazioni sono riferite dal Tillemont (Ist. degli imperat. t. 3, p. 89. Ist. eccl. t. 3, p. 114.) e Fabrizio (Bibl. grec. t 8, p. 460).