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CONFRATELLI CHIAMATI DA DIO ALLA VITA ETERNA NELL’ANNO 1877
[è premesso alle opere ristampate solo parzialmente; è premesso agli scritti attribuiti o attribuibili a Don Bosco]
INDEX
Il sac. Missionario Giovanni Battista Baccino.
Capo I. D. Boccino prima della partenza per le Missioni.
Capo II. Partenza per le Missioni e sue prime fatiche.
Capo III. Nuove fatiche, necessita d'altro personale.
Capo IV. Una giornata di D. Buccino. Grande stima in cui era generalmente tenuto.
Capo VI. Ultimi mesi di sua vita.
Vinovo, ameno villaggio della Diocesi di Torino, distinto da lungo tempo per la ereditaria bontà dei suoi abitanti, fu la patria del nostro confratello Giovannetti Michele rapitoci sul principio di quest'anno da immatura morte. Nasceva egli il 9 giugno dell'anno 1857 da poveri, ma buoni genitori, i quali, non potendo lasciargli titoli e ricchezze, nessun’altra cosa avevano più a cuore che di farlo partecipe del maggior tesoro, di cui possa vantarsi un Cristiano; cioè d’una coscienza pura ed illibata, munita di quelle virtù, che meglio si confacessero alla sua età, ed al suo stato. Fin dai più teneri anni egli corrispose, alle sollecite cure materne, e cresceva nel santo timore di Dio. Messo alle scuole, progredì talmente negli studii, che, compiute le scuole del paese, i suoi genitori gli fecero frequentare il corso classico. Sebbene lo studio del latino gli riuscisse assai difficile, si mantenne sempre costante in questo, per {25 [359]} il vivo desiderio che aveva di consacrarsi tutto a Dio nello stato ecclesiastico. La sua condotta in vero meritava tale riuscita, poichè, sebbene la straordinaria vivacità giovanile e naturale impazienza lo portassero a qualche diletto, tuttavia puo dirsi cho sia sempre stato un giovane esemplare nella pratica delle virtù e nell’adempimento de' suoi doveri.
Ancor tenero d'età dimostrò un amore straordinario e, direi, appassionato alle sacre cerimonie ed alle cose di chiesa. L'aggiustare gli altari, pulire la chiesa, imparare ed insegnare ad altri le sacre cerimonie, aver cura degli arredi sacri erano per lui cose, che si convertivano in natura. Delle cose ecclesiastiche egli voleva tutto fare, tutto vedere, tutto imparare e di tutto chiamare spiegazione; ma il voto più ardente del suo cuore era di poter vestire le divise clericali, servire con la cotta la santa Messa, udir prediche ed assistere a grandiose funzioni di chiesa. Onde quando finito il ginnasio fu accettato nell'Oratorio, egli si trovò come fuori di se pel contento di vedere così appagati i suoi desiderii, e ad un compagno che gli chiamava se era contento d'essere venuto nell'Oratorio, rispose: “Puoi immaginartelo; tu ben sai che mio più grande desiderio fu sempre di assistere a solenni funzioni ecclesiastiche, a prediche, aver comodità di accostarmi ai santi Sacramenti; qui ho insieme tutte queste cose; non ho altro di meglio da desiderare”.
Entrava dunque con noi il 2 nov. 1875. Conoscendo di quanta importanza fosse il passo che stava per fare col vestire le clericali divise, lo si vedeva ad ogni mattina accostarsi alla santa Comunione, onde preparatisi meglio; e lungo il giorno le frequenti e lunghe visite a Gesù Sacramentato, facendogli detestare {26 [360]} sempre più i difetti della vita passata, come diceva esso, lo innamoravano oltre ogni dire del nuovo tenor di vita che era per abbracciare. Alla sera poi era bello il vederlo prima di coricarsi, inginocchiato accanto al letto pregare a lungo il Signore, affinchè non solo chierico, ma santo chierico potesse riuscire. Il Signore lo volle esaudire, ed egli con grande contento potè indossare l'abito ecclesiastico il giorno 20 novembre dell'anno medesimo.
L'impegno che aveva messo prima per accertarsi della sua vocazione, e poi nel prepararsi a seguirla a dovere, fece sì che, dopo d'essersi aggregato alla milizia ecclesiastica e fattosi ascrivere alla Congregazione se ne trovasse sempre contento, senza che alcun dubbio venisse ad offuscargli la mente o ad intorbidargli la pace del cuore. Coadiuvò poi talmente la grazia del Signore in tal giorno ricevuta, che i suoi superiori possono asserire con grande contento del loro cuore, che nel suo chiericato, Giovannetti progredì sempre a grandi passi nella via della virtù.
L'obbedienza alle regole della Congregazione, la puntualità nell'eseguire gli ordini dei superiori e di accorrere al suono del campanello, la premura di fare dei piaceri ai compagni quando era in sua facoltà di farlo e la sua precisione nel compiere i suoi doveri religiosi e scolastici, iniziarono e si può dire che formarono la sua vita da chierico. Pose tosto cotanto amore a' suoi nuovi superiori, che in verità si sarebbe gettato nel fuoco per far loro piacere; e provava tale contento d’essere stato accettato nella Congregazione che alcune volte dava in esclamazioni ed atti da far parere che ne andasse fuori di sè per la gioia. Vi fu chi un giorno lo rimproverò di non portare amore all’Oratorio. Questo fu per lui un fulmine: {27 [361]} mi dicano, rispose, che sono un cattivo, un /buono a nulla, un poltrone, è vero, mi merito questi ed altri rimproveri; ma dire che io non ami l'Oratorio e la Congregazione, oh questo non puo nè potrà mai essere; in mia vita non ebbi mai tempi più felici di questi; io non so d'aver mai posto ad altri, più amore che all'Oratorio ed alla Congregazione.
Una cosa che in lui divenne anche caratteristica fu l'amore con cui insegnava il catechismo ai ragazzi. In vista di tanta buona volontà, come venne la Quaresima, fu mandato con un altro compagno a fare il catechismo in una delle parrocchie di Torino, e non è a dire come egli fosse sollecito per farlo bene. Con grande sacrifizio terminava in fretta il pranzo per arrivare al suo posto all’ora assegnata; colà poi la fatica, non che disanimarlo, pareva che viemmaggiormente lo infiammasse. Pregava assai per i suoi scolaretti e molte volte per loro appositamente faceva la santa Comunione. Trovandosi poi con i chierici suoi compagni, si informava dagli uni e dagli altri qual mezzo usassero essi per ottenere buon effetto coi loro discepoli, e nulla intralasciava perchè i giovani frequentassero volentieri il catechismo e si comportassero in quello come a giovani cristiani si conviene. Nè contento di ciò, cercava presso i superiori di essere mandato a fare il catechismo anche in altro luogo, dove si faceva ad ora diversa; e certo l'avrebbe fatto con frutto, se il timore che ne avesse a patire nella sanità e a rallentare negli studii non avessero persuaso i superiori a non contentarlo nel suo pio desiderio.
I lavori esteriori non facevano sì ch'egli negligentasse il proprio perfezionamento. Aveva sortito da natura un {28 [362]} carattere buono, ma piuttosto leggiero, impaziente e poco amante dei profondi studi. Queste cose l'avevano fatto cadere in varii difetti; ma dal momento che fu chierico puossi affermare, che la sua vita fu un continuo sforzo per emendarsi.
L'umiltà che adoperava inverso i compagni era tale, che subito domandava scusa di qualunque disturbo od offesa avesse loro fatto; ed un suo vicino di scuola e di studio attestava d’esserne persino mortificato; poichè, diceva, per ogni piccola cosa me ne chiama scusa e perdono incolpando se stesso di villano e perverso, da parere che io sia un superiore ed egli un gran malfattore. Pregava poi il suo maestro a volerlo riprendere anche in pubblico quando cadesse in fallo; e, avvisato, riceveva infatti le riprensioni con tutta umiltà, chiedendone anche qualche penitenza.
Metteva un impegno speciale per far bene la meditazione; non la tralasciava mai; quando per qualche motivo non poteva farla cogli altri, trovava tempo lungo il giorno e la faceva da sè, ed anche quando era già ammalato, si sforzava di fare quel poco che per lui si potesse. Frequentava la Comunione quasi quotidianamente. Ad un compagno che un po' malignamente lo ripreso, con pacatezza e carità: “So, rispose, che sono pieno di difetti; ma desidero di emendarmi, e vado alla Comunione, perehè il fonte della santità poco per volta mi santifichi. Quando non vi era tanto assiduo, cadeva con molta maggior frequenza ne' miei difetti.” Il compagno, ammirato della risposta e più ancora della calma e carità con cui la diede, si pose esso stesso a frequentare di più questo augusto Sacramento. - Vi fu anche chi lo burlò più volte, perchè lungo il giorno andava {29 [363]} con frequenza in chiesa a far visita a Gesù Sacramentato e giunse al punto di maltrattarlo, dicendogli: “Tu che sei sempre in chiesa, devi soffrir tutto con pazienza.” Malgrado ciò, non ne ebbe mai parola aspra; tantochè dovette esso stesso confessare essere ben buon Giovannetti a non offendersi mai.
Belle speranze!... Ma circa il mese di aprile, fosse cambiamento di stagione, fosse fatica fatta nei catechismi quaresimali, fosse sforzo per far riuscir bene gli esami semestrali da poco subiti, cominciò a perdere l'appetito e trovar difficoltà nella digestione, ed in breve si sviluppò in lui una vera malattia. Consigliato dal medico di recarsi a provare se l'aria nativa servisse a ristabilirlo più presto, esso non voleva acconsentire, dicendo che, se a casa se ne guadagna pel corpo, se ne perde sempre per l'anima, e solo si risolse quando i superiori, vedendo che invece di migliorare deteriorava ogni giorno, essi stessi ne lo consigliarono. Sebbene così malandato di sanità, l'unico suo pensiero nel partire era di cercare dal suo superiore qualche consiglio sul modo di diportarsi a casa e qualche libro adattato, onde poter fare anche in famiglia la meditazione e le pratiche di pietà. Dicendogli qualcuno che dette pratiche potevano nuocergli, rispose: “un po' più, un po' meno di male, non conta; ma se mi fo del bene me lo troverò; e poi il Signore se vuol guarirmi, lo può fare con la medesima facilità; io spero in Lui ed in Maria Ausiliatrice.” Con questi sentimenti partiva dall'Oratorio speranzoso di potervi far ritorno in breve; ma il Signore disponeva altrimenti. Poveretto! Pochi giorni dopo la sua partenza scriveva: “La speranza di ristabilirmi presto in sanità fu delusa; invoco di migliorare peggioro, Un pensiero {30 [364]} ora domina la mia mente: chi sa se vedrò ancora l'Oratorio? Questo pensiero mi affligge; ma non importa, già mi son rassegnato e mi dispongo a far Pasqua nel prossimo giovedì Santo, ed a morirmene col Signore nel venerdì: Cupio dissolvi et esse cum Christo.” Ed una settimana dopo, mesto nuovamente scriveva: “Ieri, giovedì, non ho poi potuto far Pasqua; mi confessai la vigilia, mi levai quel mattino, e quando fui in chiesa da un poco, uno svenimento mi sorprese e fui portato via. Pazienza! Vedrò se domenica mi sarà ciò concesso e potrò così passare una santa Pasqua.” E Iddio lo volle consolare con leggero miglioramento, per cui al mattino di Pasqua potè ricevere il sospirato Signore.
Siccome la malattia gli lasciava molti giorni liberi e non l'obbligava a stare continuamente a letto, quando poteva, frequentava molto le pratiche di pietà, si prestava alle funzioni di chiesa; visitava con frequenza il Ss. Sacramento nella parrocchia, e, quando era bel tempo, andava a visitare una divota chiesa della B. V. Addolorata in molta venerazione presso i Vinovesi, e colà consolavasi nei dolori di Maria. Oh io soffro, sì, diceva, ma ben più strazianti de' miei furono i suoi dolori. Quando poi venivagli buona l'occasione, non lasciava mai di parlare dell'Oratorio e di Maria Ausiliatrice, cercando d'indurre tutti a praticare fervorosa divozione alla gran Vergine invocata sotto questo grandioso titolo.
Intanto comparve in lui un vero miglioramento; e secondo il suo gran desiderio ammesso in settembre a fare gli esercizi spirituali in Lanzo, potè in essi adattarsi intieramente all'orario ed al vitto comune senza soffrirne. La sua sanità pareva dunque in buono stato; la sua condotta era ottima, ed essendo virissimo {31 [365]} oltremodo il suo desiderio di consacrarsi tatto a Dio nella Congregazione, fu ammesso ai voti triennali. Non è a dire qnanto ne gioisse l'animo suo. Egli avrebbe ben voluto far subito i voti perpetui, ma per la sanità non al tutto rassicurante fu molto il concedergli che li facesse triennali. Si contentò nella speranza di potere poi farli perpetui appena si fosse trovato in piena robustezza.
Pare che il Signore abbia posto tregua al suo male solo perchè potesse compiere questo ardente desiderio del suo cuore, somministrargli il mezzo d’acquistarsi maggiori meriti; e dargli poi il contento di morir Salesiano; poichè non andò guari, che ricomparve la primitiva malattia e con una violenza maggiore ancora: il che in breve lo prostrò intieramente. Perdurò in questo stato varii mesi, durante i quali gli furono prodigate tutte le cure possibili, ma era giunto il tempo stabilito da Dio per chiamarlo a sè; e malgrado o-gni consulto ed ogni medicina, il male si aggravava ognora. I chierici suoi compagni per l'affetto che gli portavano, non permisero ad altri il pietoso uffizio di vegliarlo di notte; ma dandosi il cambio essi stessi lo assistevano; di che esso si querelava socoloro, rincrescendogli di dover essere d'aggravio ai suoi confratelli: “L'unica cosa che mi rincresce, ripeteva soventi volte, si è il vedere gli altri a lavorare e faticare pel Signore, ed io, non solo star qui inoperoso, ma essere ancora di aggravio altrui. Vi è tanto bisogno sia qui che nelle missioni di operai, ed io non fo che disturbare chi lavorerebbe in altro; ma se il Signore dispone che io guarisca, oh lo prometto io, che voglio compensarlo questo tempo che perdo e che fo perdere!” {32 [366]} Ciò che formava il soggetto più consueto de' suoi discorsi e persino de' suoi vaneggiamenti era la passione di nostro Signor Gesù Cristo. Ripeteva di tempo in tempo il piccolo Passio quale trovasi verso il fine del Giovane Provveduto: “Passio Domini nostri Iesu Christi sit semper in cordibus nostris. Recordemini, fratres carissimi, etc.” E questo faceva con tal sentimento da attirarsi l'ammirazione universale. Altra cosa che lo occupava fuor modo erano i Missionari; ne domandava delle notizie, parlava delle grandi loro occupazioni, esternando l'acceso desiderio di andare anch'esso in quelle lontanissime regioni a dividere con loro le fatiche apostoliche. Contento poi d'aver potuto fare i voti all'epoca degli esercizi, lamentava che in causa della malattia non aveva potuto farli perpetui, come era stato suo ardente desiderio per incorporarsi intieramente alla Congregazione. Io per me, soggiungeva, sono già troppo deciso; il mondo lo conosco abbastanza, che è un traditore, il quale lusinga, promette e poi non attende; non andrò mai più a lui. Se ora guarisco, domando che mi inviino nelle Missioni, e spero che i superiori me Io concederanno. Con questi sentimenti passava le lunghe nottate senza poter prendere riposo di sorta, ma sempre pazientando e raccomandandosi alle preghiere di tutti.
Intanto arrivava il giorno 6 marzo 1877, il quale doveva essere l'ultimo della sua vita. Aveva già nei giorni precedenti con gran divozione ricevuti tutti i Sacramenti ed i conforti, che nostra santa Religione istituì e pratica in questo luttuose circostanze; pareva che il suo male andasse diminuendo, e già tornava in tutti gli amici la speranza che forse il caro Giovannetti sarebbe ancora guarito, quando ad un {33 [367]} tratto peggiora, il catarro lo soffoca, un freddo cadaverico unito ad un sudor di morte s'impossessa di lui. Gli astanti sono fuor di se, vedendoselo mancare così in fretta; ma egli tutto tranquillo e sereno, interrottamente a varie riprese fa ancora udire queste parole: “Ho sempre sperato che Maria SS. e S. Giuseppe mi sarebbero di gran conforto nell'ora della morte, ed ora mi riempiono di consolazione: Gesù, Giuseppe e Maria, vi dono il mio cuore e l'anima mia; Gesù, Giuseppe e Maria, assistetemi nell'ultima agonia; Gesù, Giuseppe e Maria...” e non potè dire di più; il Signore compiva esso la giaculatoria, facendo che spirasse in pace e con lui l'anima sua. Chi lo vide spirare così tranquillo e rassegnato, non potè trattenersi di esclamare: Oh com'è sempre vero che è preziosa agli occhi di Dio la morte dei giusti; com'è sempre vero che la divozione a Maria SS. ed a S. Giuseppe sono di grandissimo conforto in punto di morte!
Sì, o cari confratelli, siamo anche noi zelanti nel-l'eseguire con tutta esattezza le regole della nostra Congregazione; abbiamo anche noi molta divozione a Maria SS. ed a S. Giuseppe, e stiamo certi che il Signore non ci abbandonerà mai, e che dopo una morte avvenuta tra le sue braccia, ci prenderà seco id un eterno godimento. {34 [368]}
Le nostre Missioni da poco oltre due anni iniziate in America, colla grazia di Dio produssero già frutti assai copiosi e superiori alla nostra aspettazione; ma ecco che uno dei principali membri, che lavorava alacremente in questa porzione della vigna del Signore ci venne già da immatura< morte rapito il 14 giugno dell’anno ora scorso. È questi il sacerdote Giovanni Battista Baccino, di cui si intraprende qui con gran dolore a scriverne alcuni cenni necrologiei. Speriamo che la sua bell'anima, vedendo il gran bisogno che le Missioni hanno di operai evangelici, vorrà efficacemente interporsi per noi al trono dell'Altissimo per mandare nuovi operai alla Congregazione, i quali possano supplirlo in questi urgenti bisogni.
Nasceva Giovanni Battista Baccino ai 24 aprile 1843 in Giusvalla, paesello della Diocesi d'Acqui, da Giuseppe e Margherita Scarrone, entrambi pii genitori. Fatte al paese natio le prime scuole, per mancanza di mezzi dovette intralasciare gli studi e darsi ai lavori campestri per aiutare i suoi poveri genitori. Un pensiero però sempre dominava la sua mente, ed era quello di consacrarsi a Dio nello stato ecclesiastico; e vedendosi dalla povertà chiusa la via, cotidianamente pregava il Signore che gli desse mezzo di poter mandare ad effetto questo suo ardentissimo {35 [369]} desiderio. Persuaso che questa era voee del Signore, anche in mezzo alle grandi fatiche ed ai lavori contadineschi, frequentemente pregava Iddio con fervidi sospiri, perchè gli desse modo di eseguire la sua chiamata. Dovette il povero giovane perdurare a lungo in quella preghiera. Finalmente avendo udito che in Torino si accettavano poveri giovani per fare i corsi classici, ne fece dimanda e fu accettato nell'Oratorio di S. Francesco di Sales, quando egli toccava il ventesimo quarto anno di sua età.
Ci vuole una forza di volontà ben straordinaria ad uno che sia già maturo d'età, per adattarsi a ricominciare gli studi ed a perseverare con lena in quelli. Ma Baccino non si lasciò sgomentare, e con una costanza più unica che rara, in meno di due anni compì tutti gli studi classici, e con'ammirazione di tutti quei che lo conoscevano ai Santi del 1869 potè con indicibile sua consolazione vestire l'abito clericale. Può dirsi che compivasi in questo momento il desiderio più dominante di tutta la sua vita, e dall'età di sette anni nessuna cosa con maggior ardore aveva bramato e chiesto al Signore con più calde lagrime.
Egli lasciò scritti i pensieri di quella giornata nel modo seguente: “Che farò io mai per ringraziare il Signore di tanto benefizio? Farò così: voglio che non vi abbia un istante in mia vita, che non sia consacrato a Lui; voglio che il mio cuore sia tutto, tutto suo; oh potessi un po' anche avere la fortuna di consacrargli il mio corpo e la mia vita in testimonianza dell'amore che gli porto; potessi un dì morir martire per la fede in qualche remota-regione tra i selvaggi, dov'io tanto bramo d'andar in missione!” Era questo come uno sguardo profetico, il {36 [370]} quale doveva seguirlo nel restante di sua vita, e doveva compiersi, ahi troppo presto! se non proprio con un martirio di sangue, tuttavia con un martirio di pene e di fatiche apostoliche.
Nel tempo de' suoi studii classici ebbe comodità di conoscere bene lo spirito della Congregazione Salesiana, e pieno d'entusiasmo per quella, superò i vari ostacoli che si frapponevano, e si fece inscrivere tra le sue file. Venuto poi in grado di lavorare nella vigna del Signore, cominciò ad aiutare a tutta possa D. Bosco, affinchè, diceva, come egli aiutò me a compiere i miei studi, così io possa aiutar altri nel medesimo fine. Con questo intendimento, ancor chierico e studiando la Teologia, venne mandato nel collegio di Lanzo Torinese, dove per tre anni attese al delicato incarico dell'educatore quale maestro di corso elementare superiore. La chiarezza d'idee e la facile comunicativa colla quale sapeva trasfondere la scienza nei giovani, fecero dire ai Direttore di quel Convitto, che in fatto di condurre avanti bene la sua numerosa scolaresca, forse non conobbe altri più esperto ed atto del eh. Baccino Giovanni.
I suoi scolari ricordano tuttora con piacere le savie ammonizioni ed i ricordi morali che sapea tanto bene intercalare alle lezioni letterarie, e la premura con cui all'approssimarsi delle solennità li invitava ad accostarsi ai SS. Sacramenti. Tutte le sere poi immancabilmente, finita la scuola, si recava in chiesa a fare una visita al SS. Sacramento. I suoi allievi senza essere obbligati ne invitati, andavano con gioia a fare corona al loro amato maestro. Ci gode il cuore al poter assicurare che non solo la sua classe allora era tenuta tra le più studiose e buone del collegio, ma che gli scolari conservarono {37 [371]} i fratti di questa educazione, ed ora molli sono chierici e benissimo incamminati per la strada del Santuario.
Intanto si avvicinava il giorno in cui doveva prendere le sacre Ordinazioni. I suoi studi teologici gli erano riusciti assai bene. Oh con qual gaudio vide giungere il tempo in cui avrebbe potuto offrire a Dio per la prima volta l'Incruento Sacrifizio! E con qual fervore nel giorno della sua prima Messa non celebrò l'augustissimo Mistero ! Il collegio di Lanzo era in festa straordinaria, ed il paese intiero preso parte a tanta gioia, tutti rallegrandosi nel vedere con questo soddisfatte le mire dell'amato maestro dei proprii figliuoli.
Dopo tre anni di permanenza nel collegio di Lanzo, i superiori vedendo che colla sua abilità e zelo nell'operare il bene avrebbe potuto con grande profitto della gioventù lavorare in campo più vasto, che non fosse una scuola elementare, ed anche perchè gli rimanesse maggior tempo a studiare la teologia morale per abilitarsi ad udire le confessioni, lo mandarono Catechista, ossia Direttore spirituale nel collegio di Varazze presso Savona. Disimpegnò questo suo incarico in modo veramente esemplare. Ne' suoi più profondi studi sapeva tuttavia dar gran tempo alla preghiera, ed in ricreazione attorniato dai giovani del collegio la faceva tra loro non che da amico e consigliere, da padre. Non è a dire come la sua pietà ed operosità trovasse il modo di far del bene; basti l'accennare che lasciò nei giovani tale impressione di sé, da non essere ancora per niente sminuita al presente, sebbene sieno decorsi varii anni. Per molti di loro poi il nominare D. Baccino, è nominare colui che li aiutò più efficacemente a {38 [372]} mettersi sul sentiero della virtù e ad essere perseveranti in quello.
Ecco come il Direttore di quel collegio si esprime a suo riguardo in una lettera ad un suo amico che richiedeva qualche notizia : “D. Baccino fece sempre quanto poteva per contentare i superiori e promuovere il bene negli alunni, sia con istruzioni e conferenze, sia con la scuola. Avea a cuore la conferenza del SS. Sacramento, che ,qui dilatò con molto frutto. Il piccolo clero per lui edificava quanti lo vedevano per il buon contegno; lasciò in lui così soave memoria, che ogni volta dall'America mi scriveva, non se ne dimenticala mai, augurandosi presto di poter ordinare colà la medesima cosa. Ciò mi scriveva tuttavia pochi giorni prima che il Signore lo riunisse a sè. Quando si parlò dell'America fu uno dei più caldi per il gran passaggio. Anzi, diceva che sperava d'aver ad incontrar il martirio, e che gliene pareva un pronostico l'essere nato e battezzato in un dì consacrato ad un santo Martire, e portare il nome di un Martire e d'un Martire predicatore. La sua parola semplice, ma espressiva lasciava ammirazione in chi l'aveva udito, e si faceva augurare una morte lontana, dopo una vita laboriosa e benedetta. La sua morte mi colpì e mi fece piangere, e quanti lo conoscevano ancora qui divisero con me lo stesso dolore. Il Signore ci mandi ben presto altri confratelli come lui.
Tuo amorevolissimo D. G. B. FRANCESIA.
E qui a Varazze nuovamente più forte che mai gli si fece sentire l'acceso desiderio di consacrare la sua vita a Dio nelle Missioni; e di fatto non era più lontano il giorno in cui il Signore gli aprirebbe la {39 [373]} anche a questo passo, la quell'anno appunto incominciarono le trattative per una missione Salesiana nell'America del Sud, ed egli fece tante istanze presso il suo superiore che si credette bene il compiacerlo, quantunque l'uffizio che copriva allora di Direttore Spirituale nel predetto collegio di Varazze fosse assai delicato, ed in quello si fosse attirato tanto la stima dei superiori, quanto la benevolenza degli allievi.
Si pose subito con gran lena in compagnia di altri missionarii a studiare i costumi, le abitudini e la lingua parlata là, dov'esso avrebbe dovuto recarsi, ed in pochissimi mesi si trovò in grado di partire per quelle lontane terre.
Recatosi ai piè del S. Padre Pio IX a prendere la benedizione e la missione, accomiatossi non senza lagrime dal vecchio padre (poichè madre non aveva più) e dagli amati superiori. Pareva che nel separarsi avesse un secreto presentimento che non vedrebbe più nessun di loro su questa terra, poichè nella commovente funzione dell'addio ai compagni, che si costuma fare in chiesa nel momento della separazione, egli abbracciando ciascuno e lacrimando non seppe dir altra parola che: “A rivederci in Paradiso.” Recatosi a Genova per l'imbarco, quivi provò la più forte emozione; poichè, se la separazione da ogni altro luogo e persona è dura per chi tanto si allontana, oh come più dura a noi riesce la separazione dall’amato D. Bosco! Il nostro missionario si trovava forte, perchè sua fortezza era in {40 [374]} Dio, pel cui amore aveva già più volte offerta la sua vita, tuttavia in quell'istante non potè a meno che dare in un forte scoppio di pianto.
D. Bosco, temendo quelle non fossero lagrime di pentimento per allontanarsi dal padre o dalla patria, lo interrogò se partisse malvolentieri; ma esso: “No, rispose, non son lacrime di pentimento queste; anzi, io son contento e contentissimo di partire e di fare questo piccolo sacrifizio, e l'assicuro che se non l'osse già tutta decisa la mia partenza, vorrei gettarmi ai piedi di D. Bosco, supplicandolo a lasciarmi partire. Le mie lacrime sono semplicemente prodotte da un affetto naturale che nutro verso di lei e dalla commozione, che è impossibile non sentire in questo istante nel pensare, che non potrò più, essere assistito da lei in punto di morte.” - “Maria Ausiliatrice e S. Giuseppe, gli rispose il superiore, ti assisteranno assai meglio di me.”
Separatosi adunque con tanta rassegnazione anche da D. Bosco, davano un ultimo addio a Genova i Missionari Salesiani, e salpavano per le remote regioni della Repubblica Argentina il 14 novembre 1875.
Arrivato dopo un prospero viaggio[1] in Buenos Ayres il 14 dicembre, subito ebbe occasione di porsi a lavorare, essendovi in quella vasta capitale oltre a 30 mila Italiani sparsi per ogni luogo della città. Essi hanno sempre sospirata una chiesa che provvedesse alle necessità delle anime loro, finchè coll’Ecc.mo Monsignor Arcivescovo e sotto la presidenza {41 [375]} del Cav. Gazzolo console Argentino in Savona unitisi in Commissione eressero nel bel mezzo della città una chiesa, la quale fu intitolata alla Madre delle Misericordie, e doveva essere ufficiata appositamente per gli Italiani, motivo per cui venne anche chiamata la Iglesia de los Italianos.
Essendo stato scelto D. Baccino a Rettore, l'Arcivescovo gli diede tutte le facoltà opportune. Quivi la direzione della chiesa, la predicazione, confessioni, catechismi, istruzioni, prime comunioni a cui attendere, scuole diurne e serali, furono altrettante occupazioni che caddero quasi istantaneamente sopra di lui. D. Baccino mira la messe copiosa che se gli presenta, vede che le sue forze sono insufficienti; nulladimeno si avanza all'opera, pronto a lavorare fino all'ultimo respiro.
Ma qui per non confondere le cose e per dirle con tutta precisione e nella naturale loro semplicità, credo bene di lasciar parlare il nostro missionario medesimo, estraendo dalle sue lettere quanto ci occorre pel caso nostro. Ecco come dà nuove del suo viaggio al Direttore del collegio di Varazze:
“Siamo arrivati al porto il 14 dicembre alle 6 del mattino. Alle 9 ci vennero a prendere con un vaporetto, perchè i grandi bastimenti per la poca profondità dell'acqua a questo punto si devono ancorare circa 12 miglia lontano. Il viaggio fu felicissimo; tutti godiamo buona salute. Fummo accolti con carità e benevolenza. Il dottore Ceccarelli ci venne a prendere a bordo. Molti Italiani, saputo il nostro arrivo, ci vennero incontro fino al porto. Quando ci condussero all'alloggio, e tutti in vettura, ci salutarono molte persone. L'Arcivescovo non potè aspettare che andassimo da lui per salutarci, ma ci venne ad incontrare {42 [376]} per via, e ci invitò pel domani ad andare all'Arcivescovado. Egli stesso ci volle servire di guida e ci fece visitare tutto. Volle che D. Cagliero suonasse l'organo e l'armonium, e che vi cantassimo qualche lode e qualche mottetto. Si trattenne con noi fino ad ora tarda e non voleva più che ci dipartissimo da lui. Tutti fummo alloggiati bene. I compagni con Don Fagnano alla testa partono domani per S. Nicolas de los Arroyos; D. Cagliero, io ed il catechista Belmonte per ora ci fermiamo qui alla chiesa di Nostra Signora della Misericordia. Qui apriamo subito oratorio festivo, e comincio un po' di scuola diurna e serale. Caro Direttore, se vedesse quanta volontà vi è in questi giovani di venire a scuola e di farsi nostri alunni! Già mi accorgo che se qui fossimo 10 preti, avremmo tutti da lavorare; non sono che due giorni dacchè siamo a posto e già devo confessare tutta la mattina.
Ad un suo compagno poi tutto famigliarmente scriveva: “Sarai già prete quando riceverai questa mia? Faccio voti, perchè presto possa offerire l'Incruento Sacrifizio al Santo dei Santi; sì, preparati bene con una santa vita, che quel giorno merita tutto. Ricordati che il primo dì in cui potrai tenere l'Agnello Immacolato nelle tue mani, non deve essere un giorno comune, no; deve essere santo e santi tutti quei che verran dopo. Allora prega per me, affinchè il Signore mi renda degno di essere suo fedele servo e ministro. Appena arrivato qui, la gente venne subito per confessarsi. Per lo più noi dobbiamo stare in confessionale dalle 6 del mattino ad un'ora pomeridiana; di modo che tutte le mattine vi sono molte comunioni.
“Alla sera sono attorniato da una moltitudine di giorni, {43 [377]} i quali vengono ad ascoltarci; stanno lì per più ore, e non vorrebbero mai partire per non perdere una parola. Tra gli altri due giovani sui 20 anni, i quali desiderano di farsi missionari, vennero da noi in segreto, e mi dimandarono se posso istruirli nella lingua latina stando tuttavia in casa loro, onde potere poi col tempo venire a dimorar con noi appena avremo posto; e questo lo dicono entusiasmati per farsi preti. Abbiamo bisogno qui di personale per poter lavorare. Spero che il Signore ne manderà presto, e tu sarai nel numero.”
Le cordiali accoglienze, il parlarne che si fece per tutta Buenos Ayres e nelle regioni circostanti, l'entusiasmo pei missionari novelli, fece sì che da ogni parte si correva a loro, e in breve il lavoro si moltiplicò talmente che fin dai primi giorni Don Baccino si trovò costretto scrivere a D. Bosco che da solo non bastava: aver bisogno di aiuto.
Buenos Ayres, 27 dicembre 1875.
Amato D. Bosco. - Gli altri miei compagni di viaggio sono partiti per la missione di S. Nicolas, ed han lasciato qui solo me col catechista Belmonte. Fortuna che D. Cagliero si ferma qui alcuni giorni per incamminare le cose! Io mi trovo contento. Sono in mezzo a gente di tutte specie, Argentini, Spagnuoli, Italiani, Francesi, Tedeschi, ecc.; però tutti ci vogliono molto bene. D. Cagliero si pose a predicare fin dal primo dì del nostro arrivo e fa la novena del Sto Natale. Io ho già anche predicato {44 [378]} tre volte; ma povero me! mi dicono padre Missionario, ed io mi scorgo affatto senza scienza e senza le virtù occorrenti. Mi aiuti lei con pregare pel povero suo figlio, il quale non sapendo fare per sè, dee già predicare e dirigere altri. Ci mandi presto dei compagni, perchè qui havvi molto da lavorare. Da tutte le parti corrono a noi. I Sacramenti si frequentano moltissimo. Già confessiamo anche in Casigliano. Ossequii per parte mia tutti gli altri superiori.”
Poco dopo scriveva: “Il sacrificio che abbiamo fatto lasciando i parenti e la patria, ci fu già dal Signore ricompensato abbondantemente con spirituali consolazioni. Tutti i giorni istruisco giovani per la prima Comunione; sono dai 15-18-20 anni, e pare si riesca a maraviglia.
“Se avessimo locali per tenere giovani e far loro scuola, già 4 sarebbero con noi per studiare, con volontà di farsi preti. Due hanno 20 anni circa, gli altri poco meno. D. Cagliero è partito per S. Nicolas, dopo di aver colle sue infuocate prediche suscitato un entusiasmo generale. Ed ecco che io solo mi trovo sul campo così vasto della missione. Non mi si dà tempo neppure a mangiare, tra il catechismo che faccio continuo, i confratelli della compagnia, il confessionale, la predicazione; però grazie a Dio sto sempre bene. Amato D. Bosco, mandi presto aiuto, che qui vi è da fare non solo per due, ma per dieci... Non posso neppure rubare un poco di tempo per iscrivere qualche lettera, ed a lei stessa son costretto a scrivere di questi piccoli e mal ordinati bigliettini. Il lavoro è immenso, non ci resta che a perseverare. Ella ai piedi di Maria Ausiliatrice ce la ottenga questa grazia della perseveranza.” {45 [379]} In questo medesimo tempo il Console Gazzolo, stupito del bene che si cominciava a fare in Buenos Ayres, non si potè trattenere, in riguardo a Don Baccino, di scrivere a D. Bosco: “Fin dai primi giorni D. Baccino fece una pesca eccellente; il primo pesce era di 36 libbre, voglio dire che fu un uomo, il quale da 36 anni non si era piò confessato; il secondo era un facsimile di questo. Ma potrei io forse dire anche solo la minima parte delle cose che opera qui questo zelante sacerdote? È impossibile. Non sarebbe sufficiente una risma di carta ed un mese di tempo. Questa missione Dio la benedice. Ah se vedessero i confratelli e gli amici d'Italia quanto bene fanno qui i Salesiani! Oh se vedessero quanti bei trionfi! piangerebbero di consolazione.”
La carità è industriosa, e sebbene il nostro Missionario avesse già moltissimo da lavorare, tuttavia egli cercava ancora nuovi mezzi per far sempre più del bene, e sentendosi in buona sanità spendeva sul lavoro anche grande parte della notte. Egli erasi offerto a Dio, ed avea consacrata la vita per guadagnar anime nelle missioni, e trovandosi in mezzo a bisogni straordinarii, non temeva nè fatica, nè sacrifizi. Ecco come al 16 marzo si esprime a questo riguardo: “Reverendissimo D. Bosco... Io qui mi trovo circondato da una infinità di giovani; molti passano già i 20 anni, e debbo pensare a prepararli a ricevere la S. Cresima e fare la prima Comunione. Costoro sono in gran parte Italiani. I loro genitori vengono dal campo lontano fin 10 e più leghe per udire a predicare, confessarsi, comunicarsi, ascoltare una Messa; ed intanto lasciano in Buenos Ayres i giovani, perchè vengano da noi a farsi istruire. Pensi, caro {46 [380]} padre, in 8 giorni, o poco più, devo istruirli, prepararli alla confessione ed ammetterli alla santa Comunione. Devo io aver coraggio a risparmiare me stesso? Per costoro non posso aver ora fissa; ma a qualunque ora del dì o della notte vengano, io fo loro una lunga istruzione. Siccome poi vi è tanta necessità tra gli stessi giovani abitanti in questa città, e d'altronde sono abbastanza buoni di venire in gran numero ad ascoltarmi, per costoro fo tutti i giorni alle 4 pom. catechismo regolare; e noti che qui i ragazzi son tanti quante le locaste che devastarono l'Egitto. La dottrina dura un'ora ed ¼. Alla domenica poi la chiesa degli Italiani è stivata di gente. Se vedesse quanti vengono alle sacre funzioni! Alle tre comincia il vespro, e già la chiesa è così piena da non poter più capire persona. Riempiono la chiesa, il coro, il presbitero e montano sino sull'altare maggiore per udir la predica. Questo cominciarono a farlo per udir a predicare D. Cagliero e continuano a farlo adesso, sebbene non vi sia che un povero guastamestiere. Io non mi so che dire se non che: “A Domino factum est istud et est mirabile in oculis nostris:” è il Signore che fa tutte queste cose e noi stessi ne restiamo maravigliati. Ma subito dobbiamo soggiungere: “Messis multa, operarii autem pauci.” Dunque ne mandi; sì, Don Bosco, ne mandi e presto, perchè qui il bisogno è immenso. Vi son anche delle vocazioni allo stato ecclesiastico, se fossero coltivate! già varii ci fecero dimanda di entrare come coadiutori nella Congregazione, e chi sa che questi non ci possano già aiutare in qualche cosa. Dopo Pasqua comincieremo, coll’aiuto di alcuni preti di qui, a lavorare in altri due angoli della città, sicchè presto, avremo tre {47 [381]} oratorii festivi. Si ricordi di me nella santa Messa, e mi mandi, la prego, una sua lettera che aspetto con gran cuore.”
Il caro D. Bosco aveva prevenuto i suoi desiderii; la sua lettera era già per viaggio quando D. Baccino scriveva, e pochi giorni dopo il nuovo missionario fu consolato dai caratteri dell'amato Padre, da una lettera tutta piena di espressioni tenere ed incoraggianti; ed ecco come rispondeva il nostro confratello tutto ripieno di contentezza.
“Buenos Ayres, 3 aprile 1876.
Amatissimo D. Bosco. - Non posso esprimerle con quanto piacere ho letto il biglietto che si degnò mandarmi! Ella mi raccomanda di avere gran cura della mia sanità. Grazie a Dio, dalla mia partenza di costì ho goduto sanità perfettissima. E la assicuro che ne avea e ne ho bisogno; del resto, come far con tanti lavori tra mano? Se presto non manda aiuto qui, dovremo per certo soccombere. Se non ha un numero sufficiente di preti, mandi pure anche qualche chierico, il quale ci aiuti a far il catechismo e la scuola; così quando siano preti, avranno già fatto il tirocinio e potranno subito con profitto applicarsi alle cose del sacro ministero; ma qualcuno è necessario che mandi. Favorisca di spedirci anche dei libri. Oh vedesse quanto frutto fanno il Giovane Provveduto e la Vita di Savio Domenico! Se li strappano di mano tra loro e li strappano di mano a me stesso, e tutti i momenti mi domandano nuovi libri che trattino delle cose nostre. Non si scordi de' suoi figli lontani; ci raccomandi tanto a Maria Ausiliatrice.”
Dove D. Baccino in modo speciale apre il suo cuore e si fa conoscere proprio tal quale è, fu specialmente in alcune lettere scritte ad un suo antico {48 [382]} amico, già suo maestro, con cui continuò più che con altri la corrispondenza. Ecco una lettera che gli scriveva in data 18 maggio: “Mio caro D. Barberis. Fra tanti amici e confratelli che lasciai all'Oratorio ed altrove, Ella è ancor quegli che più sta fitto nel mio cuore ed anche quegli che più mi consola colle sue lettere. Quanto rallegra legger le nuovo dell'Oratorio e dei nostri colleghi! Mi par proprio di essere costì, e col cuore mi unisco ai confratelli e prendo anch'io parte alle sante conferenze, ai ricordi ed alle pratiche di pietà ch'essi fanno. Ma questi son sogni; io mi trovo troppo lontano. Tuttavia, coraggio, serviamo allo stesso Dio, il quale a suo tempo ci rimunererà nella santa Gerusalemme secondo la sua infinita misericordia.
“D. Cagliero mi lascia sovente solo, dovendo trattare gli interessi della Congregazione. Ora è a Montevideo, e da quanto pare conchiuderà il contratto di un collegio da aprirsi colà per un altro anno. Il campo in cui egli lavora è immenso; sarebbe mestieri che ognuno di noi potesse lavorare per cento. Io intanto devo sforzarmi a trovare un momento per mangiare. Il tempo non so come lo passi; solo so che mi alzo di buon mattino e alla sera vado a dormire molto tardi; varii giorni non trovo proprio un istante per riflettere se sono prima o dopopranzo, se di mattina o di sera. Pure ho una sanità di ferro, e finora non patisco nulla. Sian rese grazie al sommo Bene. Se sapesse! Alle domeniche confesso fino ad ora tarda, e questa buona gente fa ancora la Comunione. Poveretti! vengono dal Campo lontano fin 20, 30 e 60 miglia. Non andrebbero via tampoco alla sera, se prima non si accostassero ai Sacramenti. Monto in pulpito, e quel che dica non saprei; questo {49 [383]} solo so, che la chiesa è piena con quanti può capire, nemmeno uno che fiati; quei che arrivano dopo, devono contentarsi di starsene fuori ascoltando quanto possono. La settimana dopo raccolgo il frutto della predica, poichè mi assiepano talmente in confessionale da non poterne più uscire per molte ore. Finchè posso, vado avanti, e poi faranno altri. Ma qui non istà il tutto. La popolazione crede che i Salesiani siano santi che passeggiano sulla terra (pure lei sa chi sono io!.....) Ascolti il bel caso: Mi accadde l'altra notte di andare a confessare un ammalato. I medici gli davano solo più che qualche giorno di vita. Lo confesso e poi me ne vado, lasciandogli una medaglia di Maria Ausiliatrice. Ritorno all'indomani come per raccomandargli l'anima, ma oh maraviglia! Quella persona è salva; già è fuori di pericolo e sta seduta sul letto. Come va? dimando; e tutto allegramente mi risponde: Ella ieri sera mi ha data la medaglia, me l'han messa al collo, e, non so come, ho dormito tutta la notte; quando mi sono svegliato, mi trovai guarito; ora non ho più che debolezza. Bene, sia ringraziato Iddio e Maria Ausiliatrice.
“Sapendosi che noi ci prestiamo volontieri per gli ammalati, appena chi ci conosce sa di qualche amico o parente infermo, viene a chiamarci sia egli italiano o no, sia di giorno o di notte. Ordinariamente poi quando si esce dalla camera dell'infermo, trovansi nel cortile torme di ragazzi che ci aspettano. Hanno 10, 15 ed anche 18 anni. Domando a varii: Sei già promosso alla Comunione? No, mi rispondono. Allora bisogna mettersi con santa pazienza e istruirli; ed essi anche lì nel cortile od in mezzo alla via ascoltano volontieri la parola di Dio. {50 [384]} "Le voglio ancor dire come faccia la scuola serale. I giovani che vi intervengono sono già tutti adulti. Ebbene, dapprima insegno a fare il segno della santa croce e a recitare le orazioni; poi faccio la mia lezione, in cui procuro di farli progredire molto; e in fine racconto loro qualche fatterello, raccomandando di ricordarsi che hanno un'anima da salvare. ecc. Certe volte vengono le 10 di notte e non vorrebbero andar più via. Oh se avessimo già una casa! quanti giovani toglieremmo dalla via del male! Alcune volte prima di andarsene, vi è chi mi dice all'orecchio: Padre, potrei io ancora salvare l'anima mia? Vorrei farmi anch'io missionario, ma non lo dica a nessuno neh, perchè mi scherniscono i compagni se lo sanno.”
Intanto si trattava di richiamare D. Cagliero dall'America, e D. Bosco ne scrisse una mezza parola ai missionarii. Come colà si seppe, fu una vera desolazione. Ecco eome D. Buccino, appena ne ebbe sentore, scrive a D. Bosco:
Amatissimo Padre. - Ci chiama figli, e ci tratta tanto rigorosamente? Se già fossimo adulti, pazienza! ma siamo bimbi. Il Signore, i nuovi nella religione li pasce con latte e confetti; le prove le riserba ai vecchi, perchè si guadagnino meriti. Non sa che noi siamo ancora inesperti ed io il primo? Se ci toglie il capo ah!... che faremo? Certo che le cose di Buenos Ayres tanto bene incamminate daranno indietro. Verumtamen, non mea voluntas, sed tua fiat. Non cessi, caro Padre, di pregare pel povero D. Baccino; se no, si perde nel gran deserto di questo nuovo mondo. Cerco di essere vero figlio di s. Francesco di Sales e vero missionario, ma che? ci riesco poco; non mi sono mai visto così meschino e miserabile. Quanto è buono {51 [385]} il Signore nel chiamarmi a sè, ed io quanto poco corrispondo a lui! Però all'ombra di Maria Ausiliatrice, di s. Francesco di Sales, coll'aiuto delle sue preghiere, spero che le cose andranno avanti bene.”
Credo bene di aggiungere qui un episodio della vita del compianto nostro confratello tal quale ce lo raccontò il Commendator Gazzolo, Console della Repubblica Argentina a Savona, il quale ne fu testimonio oculare. Esso appositamente ci volle raccontare il modo, con cui D. Baccino passò la seconda domenica del febbraio 1876, assicurandoci che quasi del medesimo modo passava tutte le domeniche e tutti i giorni dell'anno.
Per assecondare la divozione del buon popolo tanto Italiano quanto Argentino, che da lui accorreva in folla straordinarissima per confessarsi, alzatosi in quel dì, secondo il solito, un'ora prima che levasse il sole (ed è da notare che febbraio forma, per quell'emisfero situato nella parte opposta al nostro, la stagione più calda dell’anno, con le giornate più lunghe), scese in confessionale e non si mosse più da quello, che per recarsi a celebrare la santa Messa, e continuando pur sempre il suo confessionale ad essere assiepato da gran numero di persone, dopo la Messa continuò a confessare fin passato mezzodì, ne lo lasciò se non quando non vi fu più alcuno che avesse a confessarsi.
È presto detto passare tante ore in confessionale senza muoversi punto: ma chi s'intende del ministero {52 [386]} d'udir le confessioni, sa quanto stanchi, anzi quanto uccida, una simile vita a chi l'esercita per tante ore del giorno! Il confessionale lo stancava immensamente; ma per D. Baccino le fatiche non finivano ancora qui. Siccome per ristrettezza di alloggio e per iscarsità di personale non si aveva ancora una cucina in casa, così si facevano portare sul mezzodì qualche cibo dalla locanda. Si recò adunque il nostro caro missionario, appena uscito dal confessionale, a refeziarsi un poco; ma non era ancora a metà della minestra, quando vengono ad avvisarlo, che una famiglia arrivata testè da lontani paesi per fare le sue divozioni, desiderava di confessarsi subito, per fare ancora la santa Comunione di quel giorno. Povera gente! vengono da lontano unicamente per confessarsi e ricevere la SS. Comunione con un viaggio discqmodissimo; eppure non guardano a disagi quando sanno che vi è chi si occupi di loro. Erano questi, per arrivare in tempo a fare le loro divozioni, partiti poco dopo la mezza notte dalle proprie case, attirati dal nome dei missionari Italiani, e non arrivavano in Buenos-Ayres se non dopo mezzodì. Avevano fatto circa 6 ore di viaggio a cavallo per giungere a Chivilvoy, che è il punto più rimoto, dove arriva la via ferrata da quella parte, poi circa quattro ore di viaggio in ferrovia. D. Baccino sentito il racconto, non ha animo di far aspettare ulteriormente quella povera gente, ed impressionato del pensiero di salvar delle anime, lascia il pranzo, discende a confessarli o dà la Comunione a quelle persone tanto desiderose della forza e consolazione che recano questi Sacramenti. Fatto ciò, si reca a finire quel misero pasto, che aveva lasciato a raffreddare. Intanto suonano le due {53 [387]} pomeridiane, ed egli dovette recarsi a fare un lungo catechismo ai ragazzi; non appena finito il quale, affrettatosi a vestire la cotta, procede al coro a dirigere il canto del Vespro, poichè la chiesa era già piena zeppa di gente che aspettava le funzioni. Povero me! dice al fine del Magnificat, non ho proprio potuto prepararmi niente quel po' di predica; ma pure come fare? È necessità: si raccomanda al Signore; monta in pulpito e la dura per una buona ora, commovendo tutto l'uditorio ed animando tutti fermamente ad intraprendere un vero tenore di vita cristiana.
Terminata la predica e data la benedizione del SS. Sacramento, restò assiepato in sagrestia da chi voleva una benedizione per questo o per quello, da chi desiderava da lui qualche consiglio. Intanto due persone lo chiamavano con premura a visitare due ammalati gravi, che da varii anni non si erano più confessati, e che adesso parevano disposti e decisi di voler aggiustare le cose dell'anime loro prima di partire per l'eternità. Era stanco, stanchissimo, il nostro missionario; ma non riflette pure se abbia da andare subito o da sospendere fino al mattino vegnente; va dall'uno, vola dall'altro e non tornava a casa che circa le 10 di sera, colla cena da fare, non avendo mangiato ancor quasi niente in tutto il giorno. Pure la predica fatta gli fruttava sì, che al mattino seguente alle quattro il suo confessionale era di nuovo stipato di gente.
Il sullodato Console credè di fargli coll'autorità, che aveva su di lui, qualche rimostranza, affinchè curasse maggiormente la sua sanità; ma D. Baccino rispondeva: Come vuole che si lascino andare perdute tante anime e che mi risparmii io, mentre per {54 [388]} la loro salvezza G. Cristo non dubitò di versare il suo preziosissimo Sangue? In questo modo passavano le giornate del nostro caro D. Baccino. Era ancor giovane; ma aveva operato già del gran bene. Le sue giornate erano piene di opere buone, e perciò noi siamo persuasi che il Signore l'avrà considerato come colui che in poco tempo explevit tempora multa, e gli avrà dato quel premio che dà a chi muore plenus dierum in osculo Domini.
Queste continue fatiche gli attiraron ben presto l'ammirazione di tutti. Non erano per anche trascorsi otto mesi dacchè i Salesiani dimoravano in Buenos Ayres, che la bontà del Signore loro aveva già fatto trovare stima e rispetto presso ognuno. I parroci della città ed i buoni religiosi tutti ebbero la carità di aiutarli col consiglio e coll’opera. In modo speciale il Segretario Dottor Espinosa e l'Arcivescovo testimoniarono in mille modi il loro contento e il loro buon animo inverso Don Baccino. Ecco con quali termini scrive egli al solito amico:
“Le voglio dare una buona notizia. L'altro giorno Monsignor Arcivescovo mi chiamò a casa sua; mi tenne con se più di un'ora e volle un ragguaglio di tutto e di tutte le cose nostre in Europa. Mostra verso di noi una speciale affezione, e mi dice che egli ha in noi molta confidenza. Mi licenziò poi con segni così evidenti di stima e d'affezione, ch'io ne fui proprio commosso e persin maravigliato.
“Anch'io tengo qui due novizi senza contare quei che già si accettarono ed inviaronsi a S. Nicolas per non aver qui posto. Sono assai buoni e mandano tanti saluti ai loro confratelli d'Europa.”
D. Cagliero poi è solito nelle sue lettere a D. Bosco quando parla di lui usare queste espressioni: “Fa {55 [389]} magnificamente bene - m'accudisce quella chiesa molto bene,” e specialmente “la fa in tutto e per tutto da vero pastor bonus verso gli Italiani di Buenos Ayres.” Scriveva ancora: “D. Baccino nelle sue prediche piace assai per la sua semplicità, quantunque non manchi alle volte di tuonare molto forte.”
L'Arcivescovo stesso in data 15 gennaio 1876, scrivendo a D. Bosco, si esprime in questo modo: “I suoi figli stan facendo qui un bene molto grande alla popolazione italiana di questa capitale tanto numerosa e tanto sprovvista.” Ed in data del primo luglio: “Son sempre più soddisfatto e contento dei suoi preti. Può dirsi che nella chiesa da loro officiata in questa città è una missione giornaliera che mai non finisce, tante sono le persone che vi concorrono e la frequenza dei Sacramenti sia tra gli adulti, sia tra i fanciulli, molti de' quali vengono promossi alla prima Comunione.”
Il dottor Espinosa si esprime in questi termini: “D. Baccino fa un bene immenso: predica, catechizza, confessa, che è una maraviglia il vederlo. Mons. Arcivescovo è contentissimo.”
La stima che l'Arcivescovo aveva di D. Baccino era ben meritata; e non solo lo attestano il suo gran lavoro e lo zelo con cui lo faceva, ma anche la benevolenza universale che seppe attirarsi; poichè dobbiamo dire con grande nostra soddisfazione,che veniva amato e stimato da tutti. I giovani, i quali intervenivano ai catechismi ed alle scuole serali lo tenevano in conto di padre, lo amavano tanto che non sapevano mai staccarsi dal suo fianco. I confratelli della Compagnia Mater Misericordiae lo amavano assai, ascoltavano ed eseguivano i suoi cenni come {56 [390]} figli a padre, sebbene la maggior parte di loro fosse più attempata di lui; ed alla sua morte ne mostrarono pubblico straordinario cordoglio. I padri e le madri di famiglia lo benedicevano come colui che aveva fatto metter senno ai figli loro, e che aveva saputo inspirare loro il rispetto e l'amore che dovevano agli autori dei loro giorni. Ai forestieri bastava venire una volta alla chiesa degli Italiani per essere ben impressionati di lui, e di ricordare anche dopo lunghissimo tempo le sue belle maniere, la pazienza con cui erano stati accolti ed ascoltati, e la pazienza che aveva usata nell'istruire e promovere per la Comunione i loro figliuoli.
Queste ed altre simili testimonianze ben ci addimostrano la stima in cui era universalmente tenuto; stima ben meritata e che il Signore gli mandava, come un pò di consolazione per alleviargli il peso delle fatiche che doveva sostenere.
Invece di diminuire, il lavoro coll'andar del tempo cresceva sempre. Tutto giorno si scorgevano nuove necessità, e si faceva il possibile per sopperirvi. Nel mese di Maria (che cade in Novembre per quell'emisfero australe), D. Cagliero scriveva: “La nostra chiesa in questo mese alla domenica si riempie due volte al dopo mezzodì; dalle 3 alle 6 per gli Italiani, e dalle 7 alle 9 per gli Argentini. Questo era necessario e l'abbiamo stabilito, ma ci porta grande aumento di lavoro; le assicuro che andiamo gobbi tutti e due, io e D. Baccino, il quale però non dice mai basta.” E in data del 19 agosto 1876, dopo d'essere stato {57 [391]} assente circa due mesi, D. Cagliero scriverà: “Ho travato D. Baccino in buona salute, però molto stanco e chiama aiuto, aiuto dall'Italia; e bisogna mandargliene.” Come si udirono a Torino i continui e pressanti reclami sia di lui, sia degli altri missionarii,e come si vide laverà necessità di mandarne, si organizzarono le cose per una nuova spedizione assai più numerosa che la prima, sia per aiutare quelli che erano partiti nell'anno antecedente, sia per aprire nuove case e nuove missioni. Con gravi sacrifizi pecuniarii e personali nel novembre 1876 partirono altri 24 novelli missionarii alla volta dell'America del Sud. Si mirava specialmente di venire in aiuto a D. Baccino, il quale si temeva avesse poi a soffrirne della sanità, e s'inviò chi proprio lo potesse aiutare.
I nuovi fratelli arrivati in Buenos-Ayres, mentre lo aiutavano a tutta possa, ogni giorno restavano più maravigliati al vedere il bene immenso che si era già operato, e al pensare alla maravigliosa operosità di cui D. Baccino aveva dovuto dar prova nel primo anno delle sue fatiche apostoliche in quella grande capitale. D. Bodrato, capo della nuova missione, scriveva nei seguenti termini: “D Baccino è sepolto nei confessionali, i quali sono il suo cibo, il suo divertimento, il suo sollievo, il suo centro, la sua vita, il suo tutto. Pare impossibile che possa resistere a tante fatiche; e non so come facesse prima del nostro arrivo, essendo esso solo prete nei varii mesi in cui mancava D. Cagliero: e D. Scavini soggiunge: “Non posso trattenermi dal parlare di D. Baccino, in cui aiuto fui mandato, come prefetto di sacrestia. Questi è un vero pescatore di pesci grossi! di confessionale se ne intende! Ora {58 [392]} ha molti giovani adulti che vengono tutte le sere al Rosario, per potersi poi dopo intrattenere con lui. Al suo primo comparire gli fanno tosto il circolo ed egli in mezzo trova parole per tutti. È poi maraviglioso come sa prendere i giovani pel proprio verso e tirarli ai Sacramenti. Un numero stragrande e di buona volontà viene alla domenica, e tengono tale contegno in chiesa e tale divozione nell'accostarsi ai SS. Sacramenti, che formano l'ammirazione di tutti. Quando esce D. Baccino di casa, tutti i ragazzi del vicinato corrono a lui d’attorno; chi salta, chi corre, chi grida, chi batte le mani. Ed egli trova una parola ed una carezza per tutti, fossero ben cento. Tutti lo amano, i vecchi come figli, i giovani come padre. Bisogna vedere...!”
D. Daniele poi scrive: “I primi nostri confratelli che stettero qui in Bueuos-Ayres l'anno scorso, D. Cagliero e D. Baccino, lavorarono moltissimo, e lo conosciamo ora. La chiesa degli Italiani è molto frequentata. Ci dicono che si fanno più Comunioni adesso in un mese, che prima in cinque anni” E D. Rabbagliati ad un prete dell'Oratorio, il quale si mostrava un po' incredulo a quanto si raccontava delle fatiche dei nostri in Buenos Ayres, scriveva: “È proprio tutto vero ciò che si scriveva riguardo a D. Baccino ed alla chiesa degli Italiani; anzi, la devo assicurare che le notizie che ricevevamo, non solo non erano esagerate, ma erano assai inferiori a quanto vediamo noi ora coi nostri proprii occhi.” {59 [393]}
Così andavano le cose prosperamente con un lavoro straordinario, senza che la sanità di D. Baccino deteriorasse per niente; ma pare che colla gravità e eolla moltitudine del lavoro Dio lo preparasse al gran premio, che tiene in cielo riserbato ai suoi servi fedeli, dandogliene non oscuro presentimento.
Non passarono 3 mesi dalle lettere sovraccennate che D. Baccino stesso scriveva, e chi l'avrebbe detto? l'ultima sua lettera a D. Bosco, la quale credo bene riprodurre qui tutta per intero.
Buenos-Ayres, 20 aprile 1877.
Reverendissimo D. Bosco. - Col postale del 20 marzo avrà ricevuto un mio biglietto inserito nella busta di D. Cagliero; ora bisogna che le dia le notizie più importanti che ci riguardano; anche perchè so V. S. averne molto piacere. Et ante omnia, la nostra Chiesa continua ad essere frequentatissima. Dio ci dà grandi consolazioni. Siamo varii a confessare tutti i giorni ed in qualunque ora ed alla domenica non siamo mai meno di tre, eppure abbiamo da fare fino a mezzodì e per lo più ad un'ora. E ciò che cerchiamo, che ci diano lavoro. Quando siamo giunti, l'abbiamo detto loro ch'eravamo venuti per lavorare e far loro del bene; ci han compresi, e del lavoro ce ne danno. Deo gratias.
In quanto al resto tutto va bene. D. Bodrato piace moltissimo col suo modo di predicare. Ci vuol bene a tutti, è pieno di esperienza e di prudenza.
Amato padre, fra 15 giorni avrà con lei Mons. {60 [394]} Arcivescovo, il Dottor Ceccarelli ed altri molti che si portano a Roma per il Giubileo episcopale del Santo Padre. Saranno una ventina, od al più venticinque. Arriveranno a Genova sugli ultimi di maggio col Lavarello. Stante l'assenza di D. Cagliero, dovetti io andare alla riunione che eonvocò a tal uopo Monsignore nel suo palazzo. Egli stesso mi interpellò, dicendo: Se i Salesiani non gli poteano dar alloggio in Roma ed in Genova? Desidera visitar la casa di Torino ed altre. Io gli dissi: che ci saremmo stimati troppo fortunati di poterlo ospitare nelle nostre case. Parlò a lungo di noi; disse che la Congregazione Salesiana era un miracolo della Provvidenza, e tante cose, ecc., ecc. Ci ama moltissimo. Sarebbe bene che si trovasse alcuno allo sbarco in Genova a condurlo su apposita vettura a Sampierd’arena. La Confraternita della Misericordia incarica lei di rappresentarla a Roma nella faustissima occorrenza; ma di ciò le parlerà più a lungo D. Bodrato.
Il lavoro qui è immenso, epperciò ci mandi altri buoni e laboriosi preti, che ci possano aiutare, perchè la messe è molta. Io sono contentissimo di essere venuto in America, vivo tranquillo, lavoro facendo ciò che posso; ma sono ignorante; qui ci vorrebbero uomini più esperti di me.
Una sola cosa mi resta a desiderare su questa terra, ed è che vorrei ancora una volta vedere il mio amato padre D. Bosco. Potrò sperarlo in questo mondo? Almeno preghi che, riunitici dopo morte, possa poi stare vicino a lei per tutta l'eternità. Mi faccia pervenire un qualche suo biglietto, di quelli proprio di padre!...
Questa sia anche di augurio nel suo onomastico, se non posso più scriverle. E sappia che quantunque {61 [395]} lontano, non vi è alcuno che mi superi in affè’none per lei.
- L'umile suo figlio Sac. BACCINO G. B.
In questo frattempo con il lavoro così accresciuto, essendosi aperto un gran collegio a Montevideo ed una casa di artigiani in Buenos-Ayres, per supplire agli urgenti bisogni, si dovettero di nuovo togliere i fratelli mandatigli in aiuto. Si fu allora che Don Baccino, per non lasciar cadere il bene già incominciato e così bene avviato, sperando di giorno in giorno nuovi aiuti, moltiplicò ancora se stesso e si mise nel lavoro, dirò così, disperatamente. Onde poter sempre meglio attendere a tutto, troncò ogni cosa che potesse in qualche modo essergli di sollievo, e persino si limitò a scrivere rarissime e brevi lettere ai suoi compagni e superiori dell'Oratorio, tanto avea il tempo ad usura. Una sua corrispondenza si limitava quasi esclusivamente a queste parole: “Del lavoro ce n'è ed aumenta sempre, e qui son ridotto di nuovo al numero singolare; io mi trovo proprio nelle pastoie. Mandino qualche valente campione; se no, facciam nulla”. Nello stesso tempo D. Cagliero scrivea a D. Bosco: “D. Baccino lavora per 4 e riesce bene in tutto.” Altra volta tutto ammirato scriveva: “Non si capisce come possa fare tanto. Aiutandoci Dio, tutte le cose vanno bene.”
La domenica 10 giugno 1877 D. Baccino diresse ancora la processione del Corpus Domini fatta dagli Italiani. E chi l'avrebbe detto che dopo tre giorni esso fosse già chiamato dal Padrone della vita e della morte a prendere la ricompensa di questa, come di tutte le altre sue fatiche sopportate nel Nome del Signore? Pure è così; e questa doveva essere l'ultima cosa di importanza che si abbia a raccontare di lui. Ecco come ce la racconta il chierico Rabbagliati: {62 [396]} “Sfilava la processione dalle due pom. alle cinque. Il concorso fu più che straordinario. Vi prendevano parte due musiche. Inoltre vi era uno squadrone di soldati datici dal governo, i quali chiudeano la marcia. Sul cammino si trovavano qua e là sparsi altarini, eretti per l'occasione dove fermarsi il prete a prender riposo e benedire la moltitudine che assisteva. Presso ciascun altare vi era un piano od un armonium, attorno a cui si radunavano i giovani nostri cantori a ciò preparati; si cantava il Tantum Ergo in musica e quindi si continuava. La moltitudine cresceva ad ogni istante, ed al momento d'entrar in chiesa la folla era tanto accalcata, che la maggior parte fu costretta a fermarsi sulla pubblica via. Allora D. Cagliero esce sul pulpito e per la immensa folla che vi assistea si limitò a pochi pensieri, cioè una meritata lode alla Colonia Italiana, che dà tante prove di religione e di fedeltà alla Chiesa Cattolica, un'infuocata esortazione a continuare per l'avvenire, e tanto bastò per perdere la voce, conchiudere e discendere. Si diede la Benedizione, e così finì quest'atto di religione e di pietà data nella città di Buenos-Ayres dai nostri Italiani.”
Nella sua ultima lettera D. Baccino dimostra il gran desiderio di vedere D. Bosco ancora una volta su questa terra. Il Signore ne' suoi imperscrutabili disegni non giudicava bene di esaudirlo in questo punto; ma speriamo che gli concederà completo il secondo desiderio espresso nella medesima lettera, cioè quello di poter star vicino a lui per tutta la {63 [397]} eternità. Dopo la processione del Corpus Domini, non ebbe più a vivere che tre giorni. Il continuo lavoro proprio senza posa, accresciuto dal numero maggiore di coloro che s'accostarono ai Sacramenti in questi ultimi giorni per ragione della solennità, ed i preparativi perchè affatto bene ordinata e pomposa riuscisse questa processione, tutto insieme lo prostrò di forze, e sebbene per due giorni tenesse affatto celata la sua stanchezza eccessiva, e continuasse a lavorare come prima, il terzo giorno fu dal male medesimo soppraffatto e soccombette. Crediamo necessario riportare qui per intero la lettera di D. Cagliero, con la quale ei dava le particolarità più importanti della sua brevissima malattia e della sua morte:
“Caro D. Bosco. - Colla più grande amarezza del mio cuore, debbo con questa mia recare anche a lei dolore e pianto. Non so se il Signore abbia voluto regalarci o castigarci; il fatto sta che è caduto un campione, un prode d'Israello, che vigorosamente combatteva. Cadde da valoroso, mentre instancabilmente lavorava; cadde colpito sulla breccia senza dimostrare debolezza alcuna.
“L'amato D. Baccino ieri 13 giugno, alle ore 11 antimeridiane, usciva per visitare un ammalato. Ritornò alle 12 ½ pom. da noi aspettato per la refezione: ma rispose che non si sentiva bene e aver bisogno di riposarsi alquanto a letto. Io, credendo che la sua non fosse altro che stanchezza, finito il pranzo uscii per affari d'importanza. Ma poco dopo egli fu soprappreso da una colica così violenta, che lo portava in delirio. Si mandò tostamente a chiamare D. Bodrato, che si trovava nella nuova casa degli artigiani, distante circa 2 km. Venne immediatamente {64 [398]} e gli prodigò le cure possibili. Intanto giunsi io; D. Baccino, sentendosi fortemente male, volle stare da solo con me per alcun tempo. Quindi gli furon amministrati i conforti di nostra religione, come egli stesso desiderava. Circa le 10, altri vennero a prestargli i loro servizi, ed io sapendo andar lui soggetto tutti gli anni a tali infiammazioni di ventre, non ne feci gran caso.
Poco stante pareva calmarsi e riposare un momento. Era riposo foriero di morte, e di quattro che eravamo intorno al suo letto, nessuno s'accorse di questa sua partenza pel paradiso. - Egli era di grand'animo, ma umile, doti che lo fecero amare da tutta Buenos-Ayres. Ne ebbirno una potente prova. Io che conosceva il vuoto immenso che la sua perdita lasciava a Buenos-Ayres, la difficile posizione nostra per non avere al momento uno con cui supplirlo, stetti tutto il giorno affatto ritirato in camera; era come fuori di me e dimenticai di mandare gli annunzi di sua morte, nè pensai per la sepoltura. Tuttavia in breve lo seppero il vicinato, i confratelli italiani della Misericordia ed il Clero Argentino. Alle 3 pomeridiane la chiesa era piena zeppa; vennero i parroci circostanti, il Vicario generale dell'Arcidiocesi, Dottor Espinosa, accompagnato dai suoi segretari e dai curiali, e gran numero del Clero e degli Ordini religiosi.
Cantarono essi stessi gli uffizi da morto, fecero la levata del cadavere e colle proprie mani portarono la cassa funebre sulla carrozza mortuaria, e con immenso concorso di popolo lo accompagnarono al Campo Santo. Arrivati, ripresero essi stessi la cassa e processionalmente la portarono al monumento destinato al Clero. {65 [399]}
Prepariamo una trigesima solenne al primo Missionario Salesiano caduto sul campo dell'America Meridionale, vittima del lavoro e dello zelo che lo spronava ad occuparsi più degli altri che di se stesso. Morì sulla breccia; Iddio gli donò il premio dei valorosi!
“L'addolorato suo figlio in G. C.
“D. CAGLIERO.”
Questi brevi cenni d'un nostro Confratello, dilectus Deo et hominibus, mentre sono di comune nostra edificazione, ci inspirino coraggio a dividerne le fatiche, ed a prendere il posto di colui che lamentiamo morto in terra, ma che speriamo ci sia già protettore presso Dio in Cielo!
PS. L'ultimo giorno del 1877 mancava pur ai vivi il ch. Becchio Carlo professo perpetuo. Essendocene stata comunicata tardi la notizia, la sua biografia verrà inserita nel catalogo dell'anno prossimo. {66 [400]} {67 [401]}
TORINO
TIPOGRAFIA SALESIANA
1878. { [402]} { [403]} {1 [404]}
[1] Vedi Da Torino alla Repubblica Argentina del Sac. Chiala Cesare, dove dato un cenno del cominciamento della Congr. Salesiana e degli Oratorii di Torino si racconta il viaggio a Roma, l'addio dei Missionarii ed il viaggio da Genova a Buenos Ayres.