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[è premesso alle opere ristampate solo parzialmente; è premesso agli scritti attribuiti o attribuibili a Don Bosco]
INDEX
Confratelli chiamati da Dio alla vita eterna Nell’ anno 1876.
Obedienza ed osservanza delle Regole
Amore allo studio ed alla fatica
Questo nostro confratello nacque in Rochetta Tanaro il 26 di Agosto 1852 da onesti e probi genitori, i quali nell’ allevarlo posero ogni cura per instillargli sodi principii di virtù che non tardarono a produrre copiosi frutti.
Crescendo negli anni, crescevano del pari in lui quelle doti che rendono caro ed amabile un fanciullo, cioè una rara modestia, una forte inclinazione alla pietà ed allo studio, congiunte al rispetto ed alla ubbidienza verso i suoi genitori. Perciò desiderando questi che il loro figlio avesse tutto l’ agio di coltivare il suo ingegno e i germi di sì belle virtù, conscii dei pericoli che sovrastano ad inesperto fanciullo in mezzo al mondo, fatti in paese i primi studi elementari, stabilirono di condurlo a Torino nell’ Oratorio di s. Francesco di Sales, che essi già ben conoscevano per mezzo di altri compaesani che quivi ricevevano educazione. {23 [337]} Fu pertanto condotto all’ Oratorio ai 4 di Luglio 1863; ma vi dimorò poco tempo, imperocchè non essendo il giovanetto ancora atto a percorrere gli studi che quivi si fanno, fu inviato al collegio di Lanzo. Quivi egli passò cinque anni e in tutto questo tempo si regolò in modo da non dare mai motivo a lagnanze sulla sua condotta.
Compiuto il ginnasio, non incontrò difficoltà sulla scelta dello stato, e vedendo che il consiglio del suo direttore spirituale si accordava perfettamente colla naturale sua inclinazione si deliberò per lo stato ecclesiastico e vesti l’ abito clericale il 30 ottobre 1870 per continuare i suoi studi nella Congregazione Salesiana.
Fu allora mandato nel collegio di Borgo San Martino ove passò due anni, il primo come assistente, il secondo come maestro di 3a Elementare. Egli adempiè 1’ uno e 1’ altro ufficio con soddisfazione dei superiori e con molto profitto dei giovani alla sua vigilanza affidati. Fu dipoi chiamato a Torino per assistere i giovani artigiani; ufficio che sostenne fino agli ultimi suoi giorni, e disimpegnò con rara prudenza e con zelo illuminato. Dotato di esperienza sapeva trovare sempre mezzi nuovi, nuove industrie per promuovere il bene del suoi giovani.
Persuaso che il miglior modo di educare i cuori alla virtù consiste più specialmente nel prevenire il male, anzichè punirlo ove fosse stato commesso, non perdeva mai di vista coloro dei quali avesse qualche sospetto; li consigliava con bontà, li correggeva con carità, sapeva compatire quei difetti che provenissero non da malizia, ma da {24 [338]} giovanile spensieratezza. E se talora doveva mostrarsi severo, non ricorreva mai a quei mezzi odiosi di repressione che compromettono chi li adopera e inacerbiscono quelli contro cui vengono usati. Gelosissimo in tutto ciò che potesse offendere la più bella delle virtù, mostravasi inesorabile in chi ne fosse colpevole, ma in questo caso si contentava di denunziarlo ai Superiori, rimettendosi interamente al loro giudizio e prudenza. Ben compreso che l’ ozio è origine di tutti i vizi, era sua cura, in tempo di ricreazione mettersi in mezzo ai giovani, disporre giuochi, animarli e insieme mantenere ordine e perfetta disciplina. Nè a ciò si restrinse la sua attività; imperocchè sapendo quanto gli onesti divertimenti contribuiscano alla buona educazione, e siano ottimo preservativo a pericolose dissipazioni, col permesso de' superiori costrusse in apposito locale un piccolo teatrino pei soli artigiani, dove spesso si rappresentavano drammi, declamavansi poesie, leggevansi componimenti in modo però, che tutto inspirasse amore alla virtù e affetto al lavoro. Fra le sue occupazioni, egli non dimenticava le pratiche di pietà e assisteva con esemplare assiduità ai divini uffizi. Nutriva speciale divozione a s. Giuseppe, e con apposite conferenze e con piccole accademie incoraggiva i suoi allievi a farsi inscrivere alla compagnia eretta nell’ Oratorio sotto la protezione di questo Santo Patriarca. Ivi leggevansi dai giovani poesie e prose e chiudevansi con un sermoncino ricordando i meriti e le glorie del Santo, e invocando sopra gli artigiani la potente sua intercessione. {25 [329]} Ma erano giunti anche per lui i giorni del combattimento imperocchè già alquanto inoltrato nei corsi della Teologia, approssimandosi il tempo delle sacre ordinazioni, fu caldamente esortato dai parenti e da altri amici ad uscire di Congregazione, lasciandogli travedere un avvenire felice. Egli ondeggiò per qualche tempo; non voleva da una parte disgustare persone che sembravano interessarsi del suo bene, per altra parte ei sentiva una irresistibile inclinazione a rimanere nella Congregazione, dove aveva passati i più belli anni della sua giovinezza. Quivi trovava ne' suoi compagni altrettanti fratelli, nei superiori padri affettuosi, nel ritiro e nelle pratiche di pietà un potente preservativo contro i pericoli innumerabili, cui vanno esposte nel mondo eziandio le persone che pel loro ufficio e condizione sembrerebbero esserne immuni. Correvagli anche per la mente come egli fosse indegno della Congregazione cui aspirava, ma questa non era che un’ insidia del nemico, che sotto le apparenze della virtù cerca allontanarci dalla retta via, destando in noi apprensioni e scrupoli, che turbano la mente e inquietano il cuore, e talvolta spingono a deliberazioni, le quali sono poi causa di sciagure irreparabili.
In questa dolorosa alternativa il nostro Piacentino non desisteva di pregare il Signoro, che volesse dissipare i suoi dubbi e illuminarlo sulla scelta dello stato. Ed il Signore, il quale non abbandona mai coloro che con purità di intenzione a lui fanno ricorso, lo esaudì; gli diè forza a resistere ai reiterati inviti, a ribattere le lusinghiere proposte, che gli venivano fatte e si consacrò a {26 [340]} Dio coi voti triennali negli esercizi spirituali di Lanzo l’ anno 1874. Questo passo segnava per lui un vero distacco dalle cose del mondo e fu subito compensato colla calma del cuore, colla tranquillità dell’ animo. Egli si vedeva tracciata una via sicura, da poterlo rendere felice nel tempo e nell’ eternità. Eransi dissipate tutte le apprensioni, quetati gli scrupoli, e per evitare ogni ulteriore istanza, contraria alla sua risoluzione, sebbene fosse amantissimo de' suoi parenti, prese il partito di non più recarsi in paese.
Era intanto scorso un anno dacchè aveva professato con voti triennali, e avendo compiuti i corsi di Teologia era mestieri emettere i voti perpetui, a fine di potersi presentare alle Sacre Ordinazioni. Egli prese tempo, e risolvette di fare quest’ ultimo passo nei prossimi esercizi spirituali di settembre. Ma il Signore, che gradisce la pia intenzione, e nell’ infinita sua misericordia ce ne fa merito come di cosa fatta, non gli lasciò il tempo a mettere ad effetto la presa deliberazione. Imperocchè sebbene fino allora avesse costantemente goduto ottima sanità, cominciò nel mese di maggio a provare un malessere in tutta la persona; il cibo gli venne a nausea, e una prostrazione di forze accompagnata da lenta febbre si impossessò di lui.
Ma il giovane coraggioso non se ne dava per inteso, talchè gli fu d’ uopo d’ un comando perchè si mettesse a letto. Riavutosi alquanto, i Superiori per consiglio dei medici lo inviarono al Collegio di Alassio, colla speranza che l’ aria mite di riviera avesse potuto giovargli. Invero dopo gravi ed attente cure parve stesse meglio, e già poteva {27 [341]} passare la giornata fuori di letto. Qui non è da lasciar passare sotto silenzio, come egli sebbene ammalato, in un Collegio fin allora a lui sconosciuto, non desistesse tuttavia dal sorvegliare i giovani dalla sua finestra, che metteva al cortile della ricreazione e intravedendo qualche piccola cosa, che desse anche il minimo timore d’ offesa di Dio, ne dava subito avviso a coloro, che primi andavano a visitarlo.
Ma quel miglioramento fu di poca durata, e la ricaduta gli fu fatale. La durò ancora qualche settimana e in questo frattempo, come in tutto il corso della malattia, si mostrò assai rassegnato ai divini voleri, confortando d’ ora in ora il suo spirito con qualche preghiera a Dio ed a Maria SS., e colla Santa Comunione. Ringraziava Iddio di averlo chiamato alla Congregazione Salesiana, e così trovarsi in mezzo ai cari suoi Confratelli; nè rifiniva di commendare le affettuose cure che erangli state prodigate all’ Oratorio e gli venivano fatte in Alassio.
In questo tempo ricevette la notizia della morte di D. Chiala. La perdita inaspettata di un cosi caro amico fu accompagnata da un visibile deterioramento delle sue forze. Ogni giorno più le sentiva mancare, domandò i SS. Sacramenti che ricevette con grande trasporto dell’ anima sua ed edificazione di coloro che lo attorniavano. Munito pertanto di tutti i conforti della Santa Cattolica Religione, il 18 di Luglio l’ anima sua volava ad abbracciare i suoi confratelli che poco prima l’ avevano preceduto, come speriamo, nel possesso della gloria del Cielo. Egli avrà presto ricevuto il premio della {28 [342]} sua grande operosità e zelo pel bene; zelo che deve animare ciascuno di noi, e che per certo renderà dolci le ultime ore della vita, se avremo la sorte di terminarla in mezzo alle fatiche, come appunto avvenne al nostro caro Piacentino.
Ma non dimentichiamo mai, che in quegli ultimi momenti si raccoglie il frutto di quanto si è seminato nel corso del vivere mortale. Quae seminaverit homo, haec et metet. Beati coloro che impiegarono la loro vita in opere di carità, nel compire i loro doveri, specialmente nel lavorare per la maggior gloria di Dio, a mantenere le promesse con cui ci siamo a Dio consacrati. Quanto grande allora sarà il loro gaudio! Più grande ancora sarà la loro contentezza, quando al Divin tribunale si udranno dal Supremo Giudice quelle consolanti parole: Perchè tu mi sei stato fedele in poco, ti darò una mercede grande assai, entra nel gaudio del tuo Signore. Quia in pauca fuisti fidelis, supra multa te constituam; intra in gaudium Domini tui.
Grave perdita fece la Congregazione nostra nella morte del compianto Ch. Antonio Vallega. Nato in Alassio il 13 Giugno 1858, da ottimi genitori, parve portare con sè fin da' suoi primi anni tutti i doni della natura e della grazia. Di aspetto angelico, ilare nel volto, modesto nello sguardo, affabile nel parlare e nel conversare, ubbidientissimo {29 [343]} ai genitori, l’ avreste detto fin d’ allora il modello dei giovanetti. Divotissimo di Gesù e di Maria egli aveva già tutto a loro consacrato il suo cuore in quell’ età, in cui l’ uomo appena può dirsi che ne abbia uno per se stesso; e la pietà, che suol essere sempre un tardo frutto della grazia, in lui invece preveniva lo svolgersi della ragione.
Questi preziosi germi di virtù e di saviezza congiunti con un’ ardente volontà e singolare attitudine allo studio crebbero ognor più con gli anni, talmente che i vicini solevano spesso dire ai loro figliuoletti: “Imparate dal giovanetto Vallega a studiare e ad esser buoni e virtuosi.” All’ età di sette anni lo colse una gravissima malattia, che pose per qualche tempo in pericolo i suoi giorni, e valse pure a far conoscere quanto la sua bell’ anima fosse cara a Maria Immacolata. Poichè raccomandatosi di cuore a questa dolcissima Madre prese tosto a migliorare, sicchè a poco a poco riebbe quella sanità che i medici avevano dichiarato come perduta e ripigliò le antiche forze.
Questa grazia segnalata di Maria accese viemaggiormente in petto al nostro Antonio quell’ amore e quella divozione che già aveva vivissima verso di Lei, instillata come era in lui, con la vita stessa, e cresciuta quindi nel suo vergine cuore come in proprio terreno. E perchè sapeva che nessuna virtù è maggiormente cara a Maria quanto la purità, Le fece fin da quell’ età un prezioso regalo di questo candido giglio, offrendo a Lei la sua mente, il suo cuore e tutto se stesso, e proponendo risolutamente di non contaminarlo giammai, dovesse andarne la vita stessa. Or chi potrà dubitare non {30 [344]} essere questo il segreto di tutti quei tanti straordinari favori, onde Iddio lo volle premiare anche in questa vita? Chi per poco conosce l’ eccellenza di questa virtù, ne' giovani sopratutto, tanto più preziosa, quanto più rara, l’ inestimabile pregio, che ha davanti a Dio, e di quali grazie spirituali e temporali ricolmi i suoi fedeli cultori, abbellendone il cuore, nobilitandone la mente ed ornandone assai spesso, come aureola luminosa, la fronte stessa, più non farà maraviglia allo scorgere nel giovanetto Antonio tanta abbondanza di celesti favori, per cui primo nella pietà, era pur sempre il primo anche in qualsivoglia più ardua materia scolastica. Sicchè i suoi passi negli studi erano costantemente segnati da altrettanti trionfi.
Ma appunto perchè preziosa, fece egli uso di tutti i mezzi necessari per mantener sempre viva nel suo cuore questa virtù. Diedesi quindi fervorosamente alla preghiera, coltivava la mortificazione dei sensi, e sopratutto degli occhi, pasceva la sua mente e confortava il suo spirito nelle sante letture, frequentando i SS. Sacramenti della Confessione e Comunione, il più saldo sostegno dell’ innocenza ed il più soave refrigerio nei giorni della tribulazione e del dolore. E tutte queste pie pratiche, coltivate per convinzione, spontaneamente e come naturalmente, rendevano bella e cara la sua pietà, ed erano felice sorgente di ogni più eletta virtù. Egli sapeva condire ogni sua parola, affabile sempre e cortese con tutti i suoi compagni, a segno che nessuno mai fu che gli mostrasse il più lieve disamore, tutti invece nutrivano verso di lui un sentimento misto di affetto e di venerazione. {31 [345]} Come era poi ammirabile il raccoglimento nella preghiera! Col capo chino a terra, le mani giunte al petto, immobile nella persona, l’ avreste detto non un uomo della terra, ma un serafino del cielo. Che se i suoi occhi, timidi spesse volte di preziose lacrime, sollevavansi dal suolo, era solo per affissarli in quell’ adorato tabernacolo dove si racchiudeva Gesù, delizia e sospiro dell’ anima sua. E doveva egli un cuore sì candido e puro bruttarsi nelle sozzure del mondo? Doveva un’ anima così pia e virtuosa, perdersi fra le vanità del secolo? No, non mai; un fiore così delicato e gentile non doveva più a lungo patire l’ alito pestifero di questa misera valle, ma trapiantarsi lungo i chiari fonti d’ un chiuso giardino; Dio lo voleva a sè solo consacrato, segregato dal mondo, che non ne era degno, e solo inteso alla sua spirituale perfezione; lo voleva insomma nello stato ecclesiastico, e più ancora nello stato religioso.
Era l’ Ottobre del 1872, quando egli, dopo d’ aver ne' due anni antecedenti frequentata la III e IV classe Ginnasiale nel Collegio d’ Alaggio, vi entrava come convittore a compiervi la Quinta, risoluto di vestire subito l’ abito clericale e cominciar l’ anno di prova richiesto dalle nostre costituzioni. Così ai 20 di detto mese, indossava nella Chiesa del Collegio la veste da chierico con tanto giubilo dell’ animo suo, che ben gli si leggeva sul volto stesso. Da questo momento apparve come gigante a correre le vie del Signore. L’ umiltà, la carità, la modestia, il distacco dalle persone e dalle cose del mondo, l’ ubbidienza e l’ esattezza condotta all’ ultimo grado nell’ osservanza delle regole del Collegio {32 [346]} e della Congregazione erano divenute per lui occupazione di ogni giorno. Egli non tralascio mai ni la visita quotidiana al SS. Sacramento ed a Maria SS., nè la recita del Rosario, nè la meditazione, nè altra delle pratiche di pietà così necessarie nella vita ecclesiastica e religiosa. Era poi illimitata la confidenza, che aveva nel suo Superiore, a tal segno che, qualunque cosa interna od esterna fossegli succeduta, tosto correva ad aprirsene con lui, con tutta schiettezza ed umiltà, chiedendone consiglio e norma pel viver suo. Nè per questo dimenticava i doveri scolastici, cui egli compiva con tanta puntualità ed esattezza da esserne ammirati i suoi stessi maestri. E frutto di questa esattezza e dell’ ingegno, che Dio gli aveva dato singolare, era 1’ eccellente riuscita che fece negli studi, sicchè nella Licenza Ginnasiale dell’ anno 1873 riuscì il primo tra i numerosi compagni, che con lui subirono il pubblico esame al R. Ginnasio Monviso in Torino.
Nel Settembre di quell’ anno medesimo andò cogli altri suoi confratelli a far gli Esercizi Spirituali a Lanzo Torinese, ed avrebbe desiderato assai di emettervi i voti, ma non potè ciò fare per non avere ancora compiuto l’ anno sedicesimo di età prescritto da' sacri Canoni e dalle regole della Congregazione. Di questo impedimento fu sulle prime assai accorato; ma si rasserenò tosto, solito come era a rassegnarsi in ogni cosa alla volontà di Dio. Desideroso di acquistarsi un buon corredo di virtù e di scienza, soleva farsi un sunto e compendio delle prediche ed istruzioni da lui ascoltate con un’ attenzione e compostezza veramente ammirabili, {33 [347]} che riandava a quando a quando, onde conservarne perenne il fratto. Di più si notava con accuratezza ogni ricordo che avesse dato il suo Superiore, procurando di praticarlo con la massima esattezza, come se fosse stato a lui in particolare indirizzato. Nè a questo solo contento portava con sè un libretto, che tuttora si conserva, in ciascuna pagina del quale scriveva al fine d’ ogni mese, da una parte le mancanze, che credeva aver commesse, dall’ altra i proponimenti da praticare pel mese seguente, interrotti ad ora ad ora da calde aspirazioni, da slanci generosi, che rivelavano l’ infuocato amore, onde tutto ardeva per Gesù e Maria quel candido cuore. E tutto questo non l’ impediva per nulla dall’ attendere a' suoi doveri scolastici, ed a quegli altri, che gli venissero affidati. Incaricato della cura della Sacrestia non è a dire con quanta esattezza e precisione compiva l’ ufficio suo, senza che però mai la moltiplicità e farragine delle cose nuocesse, come suole talvolta avvenire, agli obblighi della pietà. Con tali aiuti andava ogni dì più perfezionandosi nella virtù e e rendendosi degno delle grazie del Signore.
Giungeva intanto il giorno per lui da tanto tempo sospirato, in cui potè finalmente, colla professione religiosa, far paghi i voti del suo cuore. Ciò fu nel Settembre del 1874, e qual fosse la gioia dell’ animo suo, lo dicono le lettere, che scrisse in quella circostanza ai confratelli ed amici, lettere che, mentre sono un modello di bello scrivere, rivelano l’ elevato grado di virtù, a cui era giunto in sì poca età, e l’ ardente desiderio, che era in lui di sempre maggior perfezione. Co' voti, scrisse sotto {34 [348]} la data di Settembre nel suo librettino, ho reso l’ anima e il corpo tempio vivo dello Spirito Santo. Adunque voglio che questo tempio sia sempre puro e mondo. E come promise, così mantenne, con una perseveranza al tutto mirabile, fino al termine di sua vita.
Era egli soggetto fin da piccolo a frequente mal di capo, il quale aggravandosi ogni dì più col crescere dell’ età, rincrudì ad un tratto nel Gennaio del 1875; cagionando oppressione di petto, con tosse. Pareva sulle prime cosa passeggiera e facilmente sanabile; ma sventuratamente non fu così; che ben tosto si palesarono sintomi d’ incurabile malattia. Invano gli si prodigarono tutte quelle cure, tutti quei rimedi, che l’ arte medica e l’ affetto dei parenti ed amici, di cui era a buon diritto la pupilla, seppero trovare. Il male, sempre fieramente persistente e lentamente divoratore, ne spegneva la preziosa vita agli 11 d’ Aprile del 1876 in Noli Ligure fra il pianto degli ottimi suoi genitori, dolenti di perdere in lui non solo un figlio, ma un modello, un esemplare di virtù. Io lo vidi, scrive il suo Direttore, la sera innanzi alla sua morte, e qual dolorosa stretta ne sentissi al mio povero cuore pensando che avrei fra poco perduto non che un confratello carissimo, un modello di virtù, mi sarebbe impossibile l’ esprimere a parole. Pur tuttavia confortavami 1’ animo e rendevami come invidiabile la sua condizione la rassegnata pace, la tranquilla serenità di coscienza, con cui stava per presentarsi all’ Eterno Giudice. Pareva che in lui le passioni fossero totalmente sopite, e l’ anima sua non sentisse in alcun modo il peso {35 [349]} di questo misero corpo. Ringraziò più volte il Signore d’ averlo chiamato alla Congregazione Salesiana, e prima che io partissi, mi incaricò di pregare l’ amatissimo D. Bosco, a cui ebbe sempre una tenerezza figliale, che, qualora il Signore gli ridonasse la saniti, volesse annoverarlo tra i Missionari, che sarebbero partiti per l’ America, dove desiderava ardentemente consacrare tutta la sua vita alla gloria di Dio ed al bene delle anime.
In Barone, villaggio del Canavese diocesi d’ Ivrea, nacque il nostro Giacomo Vigliocco il 15 Luglio dell’ anno 1857. Suo padre Giuseppe e sua madre Angela Gameno, seppero per tempo inspirare al loro figliuolo sentimenti di profonda pietà e divozione sincera, e ne furono ben corrisposti, poichè il piccolo Giacomo si guardava dall’ arrecare loro il benchè minimo disgusto. Essi attestano non aver ricevuto da lui mai dispiacere di sorta e fin da bambino avere dimostrato saviezza quasi virile. Fu sorpreso nella sua adolescenza più volte ad orare di notte ed anche molto prolungatamente. Ai suoi fratellini poi la faceva proprio da padre in tutto; ma quando loro parlava di religione, il suo viso si infiammava e le più patetiche esortazioni uscivano dal suo labbro.
Il paroco, conosciuta a prova la pietà e 1’ assennatezza di lui, ne parlava sempre con ammirazione {36 [350]} coi terrazzani di Barone e qualora avesse a proporre ai giovani un vero modello di virtù, additava il giovane Vigliocco.
Intanto venne l’ età in cui ebbe a far vedere che i suoi sentimenti religiosi erano quanto mai sodi, poichè fatte in paese le classi elementari con grande profitto, vedendosi di tanto ingegno e così inclinato allo studio, si giudicò di metterlo in collegio a Caluso a fare il corso classico. Esso abbracciò con gioia questa deliberazione de' suoi, perchè così gli si apriva la via ad effettuare un secreto suo pensiero, qua! era quello di abbracciare lo stato ecclesiastico. Il suo primo maestro e l’ assistente in quel collegio attestano di averlo più volte sorprèso in orazione nei cantucci della casa, ed avendolo i superiori proibito di ciò fare per 1’ avanti, questi umilmente si sottometteva agli ordini loro. Pregavali tuttavia di lasciarlo qualche volta scostare dalla ricreazione per attendere a taluni de' suoi prediletti esercizi di pietà.
In questo collegio di Caluso si segnalò talmente che il direttore attestò al paroco di Barone, non avere avuto mai in collegio allievo più esatto ne' suoi doveri, più regolare nella sua condotta, più fervente nelle pratiche di religione. Occorrendo poi al novello paroco di parlare con molte persone, ora già uomini fatti, i quali furono suoi condiscepoli, tutti decantano del nostro Vigliocco cose straordinarie affermando che già da giovinetto era fatto segno alla stima ed affetto universale per prudenza, carità e mansuetudine.
Avendo sempre dimostrato ardente desiderio di abbracciare lo stato ecclesiastico e non potendo in {37 [351]} Caluso maturare abbastanza questo desiderio, il suo professore, già antico nostro allievo, gli parlò dell’ Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino. Egli ne fu come elettrizzato, e decise co' suoi di venire a fare in Torino quinta Ginnasiale per vie meglio prepararsi alla vestizione clericale.
Il 18 Novembre 1873 si vedeva comparire nell’ oratorio un giovane, sui 16 anni, di statura un pò più che mezzana, pallidetto in volto e piuttosto magro, con un aria semplice, tirante un po' alla buona, vestito dimesso ma pulito. Era il nostro Giacomo. Per prima cosa cercò della chiesa per ringraziare il Signore del segnalato benefizio fattogli, di essere stato accettato in questo istituto; poi si presentò ai superiori dicendo, che si abbandonava intieramente nelle loro mani, persuaso con ciò di fare la volontà di Dio; facessero pure di lui quanto credessero bene nel Signore.
Quell’ aria tanto semplice e modesta fece sì, che quando gli si dovette assegnare la classe, non fu neppure interrogato quali scuole avesse fatto; si credette che fosse per cominciare pur ora il ginnasio, come avviene alla gran maggioranza dei giovani studenti, che tra noi si accettano. Fu condotto senza più nella sezione inferiore della prima ginnasiale. Ubbidiente ed umile qual era, egli vi andò, e tutto il giorno se ne stette tranquillamente in quella scuola attento alla lezione del maestro. Non fu che al giorno dopo nel ripassare i registri, che avvedendosi dello sbaglio il direttore delle scuole lo mandò subito con raccomandazione nella quinta.
Ci volle poco al professore ed ai superiori, per conoscere qual gemma nascosta fosse loro capitata {38 [352]} alle mani. Si palesò ben presto come uno degli ingegni più svegliati, e d’ una pietà a tutta prova. Ne' suoi doveri scolastici era esatto: rimanendogli tempo libero si metteva a leggere, ma non intraprendeva mai la lettura d’ un libro, senza domandarne consiglio ai superiori; nò mai fu visto leggere altro, prima di avere compiuti i suoi doveri. Poco dopo la sua venuta all’ oratorio, in vista dell a sua buona condotta, e del suo gran desiderio, fu accettato nella compagnia di s. Luigi, ed in quella del Santissimo Sacramento. Vi è anche nei nostri collegi la compagnia dell’ Immacolata Concezione, fondata da Savio Domenico l’ anno 1856, collo scopo di santificare i suoi membri, e far del bene anche ai compagni. Vigliocco vi fu accettato a voto unanime, ed in poco ne divenne uno dei membri più attivi. La sua divozione principale, alla quale anche cercava modo di attrarre gli altri, era verso Gesù Sacramentato, e verso Maria Ausiliatrice, e non lasciava mai nelle ricreazioni, almeno una volta al giorno, di andare a far qualche visita in chiesa.
Intanto si approssimava il tempo decisivo di fare la scelta dello stato. Egli non stette molto a deliberare. L’ amore che pose all’ oratorio ed a' suoi superiori, la vista del gran campo che al suo zelo offriva la Congregazione Salesiana fecero si, che prima della fine dell’ anno, esso era già decisissimo di abbracciare la vita religiosa, ascrivendosi alla nostra Congregazione, per cui inoltrò formale domanda nel Settembre 1874. Varie contrarietà gli furono mosse da distinte ed influenti persone; ma egli disse sempre: “nelle cose di vocazione per lo più {39 [353]} la sbaglia a gran partito, chi vuole ascoltare altri, fuori che la voce della coscienza e del suo direttore spirituale.”
Non è a dire qual fosse il contento che provò durante gli Esercizi Spirituali a Lanzo quando udì che fu definitivamente accettato come Ascritto alla Congregazione. Così tutta la mia vita, andava esclamando, sarà consacrata al Signore facendo del bene al prossimo! Oh questo anno voglio proprio metter un fondamento di sode virtù! Ben presto se ne andò dal novello suo superiore, il maestro dei Novizi, e sua più grande sollecitudine fu nel pregarlo che lo avvisasse molto e lo correggesse. “Sì, sì, gli ripetè più volte, io son pieno di difetti; ma ho buona volontà; mi avvisi pure, mi corregga anche in pubblico ed aspramente, poichè ho bisogno di fiaccare questa superbia, che mi domina. Le chiamo questo come un segnalato favore che mi ha da fare; ed io le prometto di pregare sempre tanto per lei; ma più specialmente pregherò ogni volta che mi farà qualche riprensione.”
Da questo momento la sua condotta, che era già tanto buona anzi ottima, divenne angelica: ed il suo maestro può attestare che in tutto 1’ anno del noviziato non ebbe il più piccolo dispiacere per riguardo di lui; che anzi servì di esèmpio vivente a' suoi compagni, tra cui venne il proverbio: “Bisognerebbe esser buono come Vigliocco.” Che più; il medesimo suo maestro dovendo dare il rendiconto in iscritto al Superiore Generale della Congregazione, su di lui si espresse semplicemente con queste parole: “Vigliocco è il buon esempio del noviziato, vero S. Luigi.” {40 [354]} Ma per non confondere i fatti, i detti, gli episodi, i quali riguardano il nostro caro Giacomo, bisogna qui dividere la materia in vari punti.
Già fin da ragazzo aveva dimostrato desiderio di andare con frequenza a confessarsi ed a fare la s. Comunione; ma non se gli presentava tanto propizia occasione. Allorchè venne neir Oratorio una delle sue prime cure si fu di domandare quando, dove, e da chi vi fosse comodità di confessarsi, e come seppe che D. Bosco stesso, per quanto gli era possibile, confessava tutti i giorni chi gli si presentasse, subito con gran giubilo, lo scelse come suo confessore, e d’ allora in poi ogni settimana andava senza manco a trovarlo, nè più lo abbandonò, finattanto che la lunga e dolorosa malattia lo costrinse a star lontano dai fianchi dell’ amato padre. Nò ciò gli bastava, poichè anche mentre era già gravemente malato e debolissimo di forze, soleva recarsi con grande stento a Torino per avere la soddisfazione di confessarsi da lui.
Alla Comunione da principio andava settimanalmente, e poi con più frequenza ancora; ma dacchè entrò fra' Salesiani cominciò a frequentare la Comunione quotidiana, pratica che non dismise più se non per impossibilità, nella sua ultima malattia. Non è a dire con quanto fervore frequentasse questo sacramento e quanto profitto ne ricavasse per l’ anima sua. Si mise proprio sicut gigas ad currendam viam. Alcune volte dopo la comunione rimaneva così assorto, da non accorgersi più checchè attorno a lui avvenisse.
Varie volte, arrivata la messa al vangelo ed alzandosi {42 [355]} gli altri tutti in piedi, egli non si accorgeva punto del rumore, e stava inginocchiato. Un giorno poi aliatosi al vangelo coi compagni, pregava con tal fervore, che non udì pia il rumore degli altri mentre si inginocchiavano e rimase così in piedi pregando per molto tempo.
Non contento di andare esso con frequenza alla Comunione esortava anche gli altri, e ne' suoi discorsi famigliari in ricreazione sovente parlava di questo, per aver campo ad invitare i compagni a frequentarla anche di più. Aveva in sommo pregio tutto quello che riguardava al SS. Sacramento. Faceva con frequenza la Comunione spirituale, ed ogni volta che gli era possibile, si portava in chiesa a visitare Gesù Sacramentato e Maria SS. Oh! potessimo imitarti, caro Giacomo, nel tuo amore ardente verso Gesù e Maria!
Se questi pochi cenni biografici fossero per caso letti da giovani chierici, oh! con quanto ardore vorrei dir loro che imitino il nostro Vigliocco, specialmente nella frequente Comunione, se vogliono vincere ogni cattiva inclinazione e prepararsi a venire santi ministri dell’ altare.
Appena conobbe l’ importanza somma della meditazione pel progresso della vita spirituale, l’ abbracciò con tale amore, che più non lasciò di farla neppure nella sua malattia. Trovò da principio delle difficoltà; ma tanto fu il suo impegno, che in breve riuscì a farla come se fosse provetto nell’ arte del meditare. Cercò in vari libri il metodo che si doveva tenere; pendeva dalle labbra del maestro, quando spiegava le regole che aiutano a farla con profitto, ed era bello il vederlo {43 [356]} al principio d’ ogni meditazione raccogliersi talmente in so, da non udire o vedere più altro, se non ciò che a quel soggetto si appartenesse. Come ottimo fu posto accanto al compagno più dissipato; ed è esso che ora attesta con sommo rincrescimento, di avere alle volte cercato di distrarlo, ma che non ci riuscì mai.
Un suo secreto per far bene la meditazione era questo: sul principio, nel porsi alla presenza di Dio, si figurava proprio che gli comparisse visibilmente Gesù Crocifisso, e che dalla Croce stesse osservandolo se la faceva con tutto l’ impegno possibile. Nel corso della meditazione come per crescere viemaggiormente il fervore, dava vari sguardi colla sua mente al Crocifisso, e parendo riceverne da Lui rimprovero, si metteva a considerar sempre meglio la verità che meditava. In fine pregava fervorosamente questo medesimo Gesù, che lasciasse cadere su di lui almeno alcune goccio del suo preziosissimo sangue, come pegno del perdono che riceveva de' suoi peccati e di grazia abbondante che pioveva sul suo cuore. Nel fine della meditazione, quando si trattava di prendere buoni proponimenti, compariva più che mai, anche nell’ esterno, l’ impegno che aveva di compirla bene.
Il pensare continuamente a Gesù Crocifisso nelle sue meditazioni, era ciò che gli faceva prendere le grandi risoluzioni pratiche, le quali cercava poi con ogni possa di eseguire, che gli faceva scrutare ogni più recondito ripostiglio del suo cuore, per vedere se vi fosse ancora il germe di qualche vizio da estirpare, o di quali virtù maggiormente abbisognasse per arricchirsene. Oh quante volte non potendo {44 [357]} contenere la piena del cuore andava poi sfogandosi col maestro, indicando il desiderio di dare la vita per salvar anime; il desiderio di patire per amor di Gesù Cristo, più che tutti gli uomini del mondo; il desiderio di slanciarsi tra gli uomini procurando la loro conversione! Fu nella frequente Comunione e nella meditazione, che imparò a vincere talmente se stesso, che i suoi compagni e superiori non trovavano neppure la più piccola cosa da appuntargli! Fu a queste due fonti che attinse quell’ amore ai disprezzi, per cui non solo non si offendeva quando era ingiuriato o disprezzato, ma che gli fecero domandare più volte al suo maestro licenza di fare qualche stranezza, per poterne aver dispregio dai compagni.....
Una gran cosa per chi vive in comunità è il saper vivere in pace con tutti, e sopportare i difetti altrui. È tanto facile che s’ introduca, quando si sta sempre insieme, qualche antipatia per alcuni, che si dia luogo a puntigli od a sospetti, che, se non si sta bene in guardia, anche coloro i quali sono di grande virtù, cadono in questo laccio. Il nostro Giacomo con isforzi continuati cercava di mettere in pratica il detto di S. Girolamo “aut nullum aut omnes similiter dilige” e venne al punto di amorevolezza verso i suoi compagni, da superare ogni avversione e si diceva tra questi: se vuoi divenirgli amico, fagli qualche ingiuria. Prendeva per ischerzo quanto gli si dicesse un po' piccante ed ingiurioso. Qualora alcuno dei compagni lo burlasse pel suo difetto di pronunzia che aveva, egli amorevolissimamente balbettando ancora di più, si rideva di sè, di lui, e celiando {45 [358]} e burlando si metteva con quel tale a divertirsi; e ehi per più anni lo praticò assiduamente, e l’ ebbe scolaro, assicura non averlo mai veduto incollerire.
Gran gusto provava quando poteva arrecare qualche piacere ai compagni, o far loro qualche servizio. Si tratteneva sempre, quando gli era permesso, in mezzo ai giovani, ed i più dissipati erano la sua porzione. Non era solito giuocare molto, perchè amava trattenersi in ragionamenti morali o scientifici; ma quando si trattava di far del bene, lasciava subito le cose di suo maggior gradimento per appigliarsi a quello: e noi lo vedemmo molte volte, per caparrarsi i più cattivelli, giuocare e far con loro ogni sorta di facezie e di divertimenti, per scegliere poi un momento adatto, e suggerir loro un buon pensiero, dire una buona parola ad animarli alle cose di pietà. Ne era contento di far esso così; ma invitava altri chierici suoi compagni a praticare lo stesso. Anche ora vari di essi attestano esservi stati da lui più volte invitati, con grande profitto dei giovani.
Al suo maestro manifestò più volte, che questo desiderio di far del bene ai giovani era in lui così grande, da non poterlo trattenere in cuore; avere bisogno di sfogarlo, e domandava consiglio, perchè aveva paura di fare imprudenze e finir con male invece di bene. E andava esclamando: Oh potessi un po' dare la vita tra i più acerbi spasimi, per procurare la salute eterna di qualcuno di essi! Oh come volentieri per ciascuno di essi vorrei soffrire tutti i dolori immaginabili! Più volte, quando era già cominciata la sua malattia, domandò il permesso di potere parlar molto con loro, per esortirli {46 [359]} alla virtù. Che si accresca il mio male, che importa? purchè possa fare un po' di bene.
Il nostro Vigliocco conosceva appieno, che la perfezione della vita religiosa consiste nell’ obedienza e nell’ osservanza esatta delle proprie regole. Fin dai primi giorni che era nell’ Oratorio, si pose con impegno ad osservare tutte le regole della casa: ma quando fu nella Congregazione, allora questo divenne l’ impegno più grande della sua vita. Sapeva consistere la vera obedienza nel sottomettere la propria volontà, senza riserva, alla volontà del superiore, ed egli non investigava mai, se meglio convenisse operare più in un modo, che in un altro. Gli bastava il sapere che il superiore aveva disposto che si facesse così. Ad un compagno, che gli disse: a me piacerebbe più che invece della scuola di pedagogia ci fosse scuola di matematica, rispose reciso: ed a me piace più che sia come i superiori han disposto che si faccia. Ad un altro, che gli disse l’ assistente essergli di controgenio, e che dovrebbe piuttosto fare in un modo che in un altro, rispose: “Per me, io trovo tutti di mio genio: or vuoi tu andargli ad insegnare come debbasi comportare a tuo riguardo? Se i superiori ce lo misero come assistente, essi sanno quel che si fanno. E poi, non ricordi più quanto abbiam letto in s. Alfonso? essere per lo più una gran fortuna l’ avere un superiore, il quale ci sembri pieno di difetti; così si vede se siamo veri obedienti o no: se cioè obediamo all’ uomo perchè ci piace, o a Dio, di cui esso tiene le veci.”
Tutte le cose, anche le più piccole, erano per lui {46 [360]} di massimo momento. Era talmente puntuale nella levata, che difficilmente, quando finiva la campana di suonare, egli era ancora in letto. Non fu preso mai in ritardo nelle cose sue. Quante volte fu visto sospendere il passo, e quasi direi tenerlo levato in aria, voltandosi indietro al primo suono del campanello, che lo chiamava ad un qualche suo dovere! Avvenne qualche volta, che più per impotenza che per negligenza, non compì qualche pratica da noi avuta come regola; non che coprirla e fare che non si sapesse; andava immancabilmente esso stesso a manifestarsi al superiore e a domandarne qualche penitenza.
Per tutto il tempo che Vigliocco stette nell’ Oratorio, fu sempre trovato o il primo o dei primi di scuola. Noi abbiamo già detto più sopra, che egli aveva un ingegno svegliato; ma quel grande progresso, lo si deve attribuire alla, sua continua applicazione. Non voleva che neppure un bricciolo di tempo andasse perduto. Il suo discorso in ricreazione, se non era di cose che direttamente alla pietà riguardassero, era rivolto a cose di studio. Non lasciava mai passare alcuna difficoltà inosservata e quando qualcuna esso non sapeva sciogliere, in ricreazione andava dall’ uno o dall’ altro de' suoi compagni, che fossero dei primi di scuola o ben anche da' suoi professori, e cercava in ogni modo di farsela spiegare. Per lo più anche al tempo di passeggio aveva il libro con sè e studiava. Avendogli un giorno il compagno di passeggiata detto che si ricreasse alquanto: “Io studio, rispose, è per me di gran diletto e di gradita ricreazione.” {47 [361]} Nello studio la sua applicazione era tale, che non si accorgeva di quanto si facesse attorno a sè. Ridendo alenila volta i suoi compagni, per qualche cosa avvenuta in pubblico, e da tutti avvertita, era bello scorgere poi lui alzar la testa, e girare gli occhi quasi dicesse: che cosa c’ è stato che si ride? E la maggior parte delle volte neppure si accorgeva del disturbo generale. Con questa applicazione progredì in modo, che possiamo proprio dire straordinario, e già era riputato abile a coprire gli uffizi anche più difficili e delicati.
Nell’ Oratorio vi sono sempre dei giovani, i quali o per ragione dell’ età o degli impieghi che hanno, non possono frequentare le scuole ordinarie. Non era ancora compito l’ anno del suo noviziato, quando in vista delle doti straordinarie che esso aveva, essendo mancato altro maestro, si venne nel pensiero di affidare a lui questi giovani. Desideroso com’ era di lavorare molto alla maggior gloria di Dio, e solito a prendere il desiderio del superiore come un espressione della volontà di Dio, accettò ben volentieri l’ incarico, sebbene si credesse a mille miglia lontano dall’ essere capace d’ eseguirlo a dovere. Il Signore non lascia mai di premiare l’ obedienza. Sul finire dell’ anno, giovani, i quali prima avevano fatto pochi mesi di latino poterono subire l’ esame con quei di quarta ginnasiale.
Domandato un giorno, qual secreto usasse per riuscire a tanto, rispose: Dopo l’ aiuto Divina, io non conosco altro secreto, se non questo: ricevuto un incarico, mettersi di buona volontà, ed anche sapersi sacrificare, se occorre, per farlo riuscire bene; ossia mettere in pratica il proverbio che {48 [362]} dice: fa molto chi fa poco, ma fa quel che deve fare, mentre fa poco chi fa molto, ma non fa quel che deve fare.
Uno dei motivi, che gli fecero porre tanto amore alla Congregazione Salesiana, fu perchè scopo primario di essa è di occuparsi dei ragazzi più poveri ed abbandonati. Oh come ardeva il suo cuore del desiderio di istruire questi ragazzi nelle cose di religione, e di tirarli al buon sentiero! Difficilmente potrà trovarsi maggiore slancio del suo, per questa parte. Da fanciullo a mava istruire i suoi compagni nel catechismo; ma venuto all’ Oratorio crebbe in lui questo desiderio e godette grandemente quando, lungo la quaresima, fu mandato da' suoi superiori a fare quotidianamente il catechismo ai giovani, che frequentano l’ Oratorio di S. Luigi a Porta Nuova.
Si preparava prima accuratamente sulle espressioni e sulle similitudini più convenienti per far capire il punto da spiegarsi, sugli esempi più a dattati ed attraenti per piacer loro e ritrarre molto frutto. Adoperava grande dolcezza unita a tale e nergia di espressioni, che si accaparrava la stima e l’ amore di tutti i giovani, e si osservò essere i suoi tra i più costanti a frequentare 1’ Oratorio, e la sua classe tra le più ordinate e silenziose. Ammirabile è il vederlo, per due quaresime consecutive, appena uscito esso di scuola, frettoloso fare un po' di pranzo, e poi correre al suo caro Oratorio, facendo volta per volta circa tre chilometri. Arrivava colà non rare volte molto inzaccherato pel fango e per la neve, o trafelante di sudore per la premura; pure non mancava mai, e fatto {49 [363]} con ardore il suo catechismo, nuovamente rifaceva i tre chilometri con gran premura, per arrivare in tempo alla scuola del dopo mezzodì.
Avveniva eziandio, che prolungandosi la scuola al mattino, non aveva più tempo a pranzare, ed egli contento d’ un pezzo di pane, senza dir nulla ad altri, se ne volava, mangiando per via, a' suoi prediletti giovani. E quando fu chierico, non convenendogli più il mangiare per istrada, qualche volta stette affatto senza pranzo, ed alla sera a cena, si trovava aver preso nella giornata un solo po' di pane col caffè in sul mattino a colazione!... e con giornate sì faticose e di sì gran moto!!....
La cosa andò tant’ oltre, che in sul finire della quaresima del primo anno, le forze gli mancarono e cadde ammalato. La malattia, ad intervalli più o meno gravi, gli durò vari mesi; ma egli per niente raffreddato nel suo fervore, alla quaresima veniente domandò di nuovo la stessa cosa. Siccome i superiori, temendo per la sua sanità, da principio non lo giudicavano conveniente, egli ne fece istanza finchè gli fu conceduto. Frequentava anche detto Oratorio tutte le domeniche dell’ anno e ne faceva quasi per intero la parte di vice direttore. Anche qui risplendette il suo zelo e la sua abnegazione. Ogni domenica dopo essersi affaticato in chiesa, quando gli altri uscivano a prendere un po' di sollievo, egli raccoglieva i giovani più volonterosi ed insegnava loro a servire la s. Messa. In questa scuola di cerimonie fu così costante, che quasi tutti i giovani, i quali frequentavano detto Oratorio, imparavano a servirla con esattezza e divozione proprio edificante. {50 [364]}
Questo stesso amore che aveva di catechizzare ed istruire, si accrebbe allorquando la Congregazione stava preparando degli operai evangelici, per le remote terre della Repubblica Argentina. Egli desiderava di essere nel numero di coloro che venivano colà inviati. L’ udire che popolazioni di 20 e 30 mila anime non avevano prete, lo faceva ardere di zelo, e voleva recarsi in compagnia di qualche sacerdote, a catechizzare i fanciulli di quei lontani popoli. Ne fece per iscritto la domanda ai superiori, e con accalorate parole più volte la ripetè a voce.
Quando poi udiva parlare delle vastissime regioni delle Pampas e della Patagonia, abitate intieramente da selvaggi, tra i quali non penetrò ancora niente di Cristianesimo, neppure la più semplice nozione di Dio Creatore, allora il suo spirito non aveva più requie, e solo la impossibilità materiale di poter partire lo poteva trattenere. Con quanti parlava, con volto infiammato, con vibrate espressioni, con accalorate parole dimostrava il gran desiderio di poter dare la vita, per la conversione di quegl’ infedeli. Ecco testualmente la lettera colla quale fece la domanda di essere mandato nelle Missioni.
Torino 2 Febbraio 1875.
REVERENDISSIMO D. BOSCO.
Ho udito con una gioia stragrande che si è accettata la missione di s. Nicolas de los Arroyos nella Repubblica Argentina d’ America. Oh che bene immenso si potrà fare in quei paesi, per la {51 [365]} maggior gloria di Dio! Conoscendo che per queste impresa ci vogliono molte persone, e che nell’ Oratorio dei preti non ve ne sono in quantità sufficiente per formare tutto il personale di loro, credo bene di supplicare la S. V. con una formale domanda, a voler mandare anche me ad evangelizzare, per quanto le forze me lo concedano, quelle regioni. Ben conosco la pochezza mia, ed il non nulla in cui potrò aiutare! ma se Dio mi assiste, oh, qualche cosa farò anch’ io! Dacchè sono l’ ultimo dei suoi figliuoli, voglio almeno essere il primo a testimoniargliene il grande mio desiderio. La volontà di far del bene al prossimo, Reverendissimo Padre, è in me straordinaria, nè mi spaventano disagi e fatiche, e ad una Sua voce son pronto ad andare ben anche fino in capo al mondo.
Persuaso che non vorrà rigettare questa supplica; ma che si vorrà servire di me in qualche modo alla maggior gloria di Dio, ne la ringrazio grandemente, e mi protesto colla più profonda stima e sentita gratitudine
Di Vostra Paternità Rev.ma
Umilissmo ed affmo servo e Figlio
Ch. Giacomo Vigliocco.
Ma il Signore altramente disponeva di lui, poichè la sua sanità, che a tutti pareva in buono stato, andava perdendone di giorno in giorno.
Appena i suoi superiori se ne accorsero, stabilirono di sollevarlo surrogandolo nelle sue occupazioni. Si avvicinava l’ esame finale pe' suoi scolari, {52 [366]} ed egli temendo non ne scapitassero, e non sortissero poi un buon esito, tanto pregò che gli lasciassero terminarò l’ anno, assicurando le sue indisposizioni essere poca cosa, che gli si permise di continuare ancora un poco. Fu ammonito non pertanto, che appena si accorgesse di un ulteriore indebolimento, subito ne parlasse, essendoci più preziosa la sua sanità, di quello che non temessimo un po' di danno negli allievi.
Fu inutile il dire: esso stesso non conosceva, che la sua malattia presa a tempo era curabile; trascurata poteva rendersi fatale. Allorquando i suoi superiori si accorsero, che veramente la scuola lo stancava troppo, anche contro il suo parere lo tolsero da quell’ impiego, e gli si usarono tutte le cure immaginabili. La sua malattia non lo teneva in letto, e tutti speravano, che con un mese di vacanza, si sarebbe rifatto in sanità. Venne pertanto mandato a villeggiare sugli ameni e ridenti colli di Soperga. Le cure che quivi gli furono usate, lo fecero rimanere come confuso e più volte ebbe a dire: mi rincresce d’ essere ammalato, non per ciò che ho da soffrire, ma unicamente perchè vedo di essere d’ incomodo agli altri, volendomisi usare troppi riguardi.
Veniva intanto il Settembre, tempo in cui, radunati tutti i confratelli a Lanzo, per gli Esercizi Spirituali, si sogliono emettere i voti. Vigliocco desiderava ciò con tutto l’ ardore dell’ animo suo, e si preparava a quel passo con una pietà straordinaria; solo temeva che non gli fosse ciò permesso, perchè era infermiccio. I superiori tuttavia, in vista delle sue belle doti e del suo ardente desiderio, {53 [367]} credettero bene di permetterglielo; solo che invece di lasciarglieli fare perpetui, come sarebbe stato il suo desiderio, gli permisero solamente che li facesse, triennali. Egli ne fa contento ugualmente, sia perchè era solito assoggettare sempre con prontezza il suo parere a quello dei superiori; sia perchè diceva: son malaticcio, chi sa se ho tempo a finirli? Qualora poi guarissi intieramente, domanderò di farli perpetui, subito un altr’ anno, e spero che allora mi si concederà. Mi piace consacrarmi subito tutto per intiero al Signore. Fare i voti triennali è un fare le cose per metà. È meglio il sacrifizio farlo completo; non essere per metà dentro, e per metà fuori.
Pel momento, vedendosi inabilitato ad altro lavoro, si pose di grande animo a fare dei piccoli servizi per la casa, come p. es. servire alle messe, assistere nell’ infermeria. Poi fermamente nel suo cuore prese questa risoluzione: dacchè sono inutile alla Congregazione nel resto, almeno, che io le sia utile col buon esempio. Possano i compagni vedere in me la pazienza, la completa rassegnazione e l’ esercizio costante ed esatto delle pratiche di pietà.
Pare che il Signore volesse dare al suo servo la consolazione di poter emettere i voti, solo perchè avesse campo a meritare di più pel Paradiso, e non avesse poi a sentire tanto aspramente il distacco dalle cose di questa terra, ed i dolori della malattia, la quale tuttogiorno andava crescendo.
Consigliato dai medici, e chiamato da' suoi, si volle provare se 1’ aria nativa valesse a rinvigorire le sue forze esauste.
Anche a casa gli si osarono tutte le cure immaginabili; {54 [368]} ma egli era sempre un po' afflitto e per non essere in mezzo ai compagni, e perchè dimorando distante dalla parrocchia, non aveva la comodità di assistere alla santa Messa tutte le mattine, e di fare la comunione secondo il solito. Neppure quivi voleva che la sua dimora fosse inutile. Radunava i ragazzi e le ragazze dei dintorni e faceva loro con grande zelo il catechismo, nè lasciò questa pratica, fintanto che, aggravatosi sempre più il male, fu obbligato a tenere il letto.
Ancora in questo tempo, più che mai risplendette l’ amore e l’ attaccamento per la Congregazione. Ecco in che modo il suo paroco, in una lettera scrittaci poco dopo sua morte, si esprime.
“Sono lieto di poterle attestare l’ attaccamento profondo, ed un amore indescrivibile, che il chierico Vigliocco nutriva per cotesta Congregazione, come risulta dai 4 fatterelli seguenti.
- Nell’ anno prossimo passato, trovatosi in permesso, si affaticava a trovar giovani per indurli a venire alle case di D. Bosco, descrivendole come madre tenera, difenditrice dell’ innocenza.
- Un dì, ad un povero prete, che fortuitamente trovavasi in casa parrocchiale, e pronunziò qualche giudizio men retto intorno alle case di D. Bosco, rispose con volto infuocato: Non è lei, che dovrebbe parlare così di nostre case, perchè ella mangia del pane che generosamente le fu somministrato da D. Bosco.
- All’ invito ripetuto, che io gli feci, di far visita al nostro venerando vescovo (d’ Ivrea), egli rispondeva: Io voglio vivere e morire con D. Bosco. {55 [369]} La vita dei preti secolari è troppo piena di pericoli. Negli ultimi giorni di sua malattia, non domandava pia altre cose se non queste: Lasciate e fate che io muoia all’ ombra di Maria Ausiliatrice, che veda ancor una volta i miei superiori ed i miei compagni. Ci volle tutto il mio ascendente per impedire che partisse alla volta di Torino, avvegnachè io temessi, che sarebbe morto per via.”
Aggravandosi sempre più il male, ecco come egli stesso scrisse a' suoi superiori: “Ho vissuto fino al giorno d’ oggi colla speranza di tornare all’ Oratorio e quindi rivedere l’ amato D. Bosco ed i compagni. Questa mia speranza l’ ho sempre appoggiata su colei che è Auxilium Christianorum. M’ avveggo oramai, che in questo senso non sono esaudito, e che all’ Oratorio, forse non ritorno più. Il male peggiora di giorno in giorno, ed ora mi trovo al punto di non potermi più alzare da letto.
Il mio più gran desiderio sarebbe, di trovarmi in mezzo agli amati superiori e compagni, e terminare i miei giorni assistito da loro, perchè ho molto bisogno di consigli e conforti spirituali, per potermi preparare al gran passaggio. Ma vedo che anche di questo bisogna farne un sacrificio al Signore. I miei parenti sono a ringraziarla dei soccorsi fattimi pervenire finora; adesso non ab bisogno di nulla, solo desidererei tanto, di avere notizia delle cose più interessanti dell’ Oratorio. Conchiudo con raccomandarmi alle orazioni di tutti e specialmente alle sue, con preghiera di mandarmi la Benedizione di Maria Ausiliatrice.”
Dalle informazioni che ci mandava il paroco compariva, che le cose andavano {56 [370]}sempre peggiorando. Sapendo quanto gli tornerebbe gradita e di sollievo, la visita di qualcuno de' suoi superiori, andò D. Rua a trovarlo, portargli i saluti di tutti e le notizie dell’ Oratorio, unitamente alla benedizione di Maria Ausiliatrice. Questo lo sollevò assai, ma nessuna consolazione, come nessuna medicina, valse contro il suo male. La sola cosa che ancora lo consolasse in questi ultimi giorni era la tenera divozione, che nutrì sempre in tutta la vita verso Maria Santissima; e Maria la quale già tanto lo aveva protetto nel corso della vita, non era per abbandonarlo in morte; e pare anzi che proprio visibilmente lo consolasse in quegli ultimi momenti, e scegliesse il giorno della sua Natività su questa terra, per far nascere il nostro Giacomo in cielo.
E bene riprodurre qui le precise parole, con cui il suo paroco ci comunicò la straziante notizia della sua morte, affinchè servano a nostra comune edificazione.
Barone 8 Settembre 1876.
Reverendissimo D. Bosco.
Stamane, alle ore 7 antimeridiane, passò agli e terni riposi il nostro buon chierico Vigliocco. Sue ultime parole furono: “volesse la Madonna chiamarmi a se in questo bel giorno, liberandomi da tanti mali!”
Il buon figliuolo volle confessarsi soventi volte nella sua malattia, e dopo una di queste confessioni, da me interpellato se sarebbe morto volentieri, mi rispose: oh, si! Io spero che non temerà la morte quando mi si avvicini, nè mi farà paura, {57 [371]} perchè in tutti i mesi ho sempre fatto l’ esiercizio della buona morte. Gli impartii mercoledì scorso la benedizione papale con indulgenza plenaria in articulo mortis inviatagli per mezzo di V. S. dal Santo Padre, e la ricevette con somma divozione e profonda riconoscenza. Ieri mattina alla mia interrogazione: Soffri molto, mio caro chierico? rispondeva: Non so da qual parte io più soffra, perchè soffro grandemente da tutte parti; sia fatta la volontà di Dio!
Mio Reverendissimo D. Bosco! Voglia, ad edificazione dei compagni e confratelli del nostro chierico Vigliocco Giacomo esternare loro questi sentimenti, affinchè non si scoraggino dalla via intrapresa, quand’ anche dovessero soffrire assai e morire sì giovani.
Stamane ho pagato il tributo di mie lagrime alla natura, per la perdita di questo levita, ed a mala pena potei terminare il canto della S. Messa solenne. Ora il mio cuore si allarga al pensiero, che trovandosi in Paradiso questo fiore trapiantato da Barone, attirerà una benedizione speciale per me, per il mio caro popolo, e per la Congregazione Salesiana, alla quale io non avrei quella stima profonda che ho, se non passasse ne' suoi esordi fra le prove della maldicenza dei tristi, e per i contrasti dei buoni a lei suscitati in buona fede.
Umil.mo Servo.
Pietro Boita Prevosto.
Moriva adunque il nostro caro Giacomo Vigliocco, in età di anni 19 e due mesi circa, dopo una vita tutta condotta nell’ amor di Dio, e nella {58 [372]} pratica costante delle virtù cristiane. Impariamo da questo nostro confratello a nutrire tenera divozione verso la Beata Vergine in vita, se vogliamo essere consolati nella nostra morte; poichè, crediamolo pure, Maria non abbandona in quegli ultimi istanti, chi gli fu divoto in vita.
Giulitto Giuseppe di Perpetuo, e di Clara Argero nacque in Solerò ai 18 settembre 1853. Entrò nell’ Oratorio il 27 agosto del 1866, in età di circa 13 anni. Vestì con grande sua consolazione l’ abito clericale il 13 ottobre del 1870 e subitamente si fece ascrivere alla Congregazione, a cui ben presto pose tanto amore, che nel 1874 si legò ad essa perpetuamente.
Prese gli ordini minori ai 12 settembre, ed il Suddiaconato ai 18 dicembre 1875 da Monsignor Ferrè vescovo di Casale. L’ anno dopo ebbe la consolazione di prendere dal medesimo vescovo il Diaconato, 11 marzo, ed il Presbiterato. Aiutò in molti modi la Congregazione, specialmente nel suo uffizio di professore, che tenne molt’ anni. Poco dopo d’ essere stato ordinato prete cadde gravemente ammalato e morì nell’ agosto del 1876. {59 [373]}
Il sac. Cesare Chiala del fu Giovanni e della vivente Marianna Giordano nacque in Ivrea il 12 maggio del 1839. Frequentò da giovanetto l’ Oratorio come estero, e nel 1872 ai 29 settembre vi entrava definitivamente per far parte della Congregazione in età d’ anni 35. Subito si pose a studiare Teologia e vestì l’ abito clericale ai 14 febbraio del 1874. Prese gli ordini minori, il Suddiaconato ed il Diaconato in Casale Monferrato dal Reverendissimo Monsig. Ferrè. Fu poi assunto al sacerdozio il 1° aprile del 1876 da Monsig. Salvai vescovo di Alessandria. Esercitò 1’ uffizio di Catechista degli artigiani e di prefetto dell’ Oratorio con uno zelo illuminato e perseveranza infaticabile. Morì nel Luglio di questo stesso anno avendo 1’ età di 39 anni.
Di questi due confratelli, D. Giulitto e D. Chiala, non diciamo altro, perchè di loro, quanto prima, si darà a parte una biografia a nostra edificazione, e speriamo anche a comune consolazione. {60 [374]} {61 [375]} {62 [376]}