ALMANACCO PER L’ANNO 1883
ANNO XXXI
STRENNA OFFERTA AI SOCI DELLE LETTURE CATTOLICHE DI TORINO
TORINO, 1882
TIPOGRAFIA E LIBRERIA SALESIANA
Sampierdarena - Lucca - Nizza Marittima - Marsiglia
Montevideo - Buenos-Aires. {1 [99]}
[è premesso alle opere ristampate solo parzialmente; è premesso agli scritti attribuiti o attribuibili a Don Bosco]
INDEX
Un addio del galantuomo ai suoi carissimi Lettori
Come sapete, Lettori carissimi, io compii il 30° anno di vita pubblica, che, coi 37 di vita privata, sono 67 anni.
È oramai tempo che io mandi altri da voi, e che mi metta sul serio a pensare ai fatti miei.
Uno dopo l’altro vedo che se ne vanno tutti nella casa della loro eternità, ed il tempo, essendo galantuomo, non bada a papi, a re, a ministri, a generali, a signori {3 [101]} ed a poveri, a studiosi e ad operai, tutti tratta in eguale maniera. Eguaglianza completa.
Ma prima di darvi l’ultimo addio, non posso fare a meno di dirvi due parole d’affetto, due parole sulla mia origine e vita. Sarò breve.
Io mi chiamo Giovannino, così volle mia madre nel battesimo.
La genealogia di mio padre risale fino ad Adamo certamente, ma nessuno dei miei antenati si curò di conservarne memoria.
Il nome di mio padre era Giandoja. Uno di quegli uomini, vi dico io! L’Europa, con tutte le sue grandezze napoleoniche, non ne vantava uno così da bene, probo, onorato.
Fu chiamato Giandoja da mio Nonno, per ricordare la memoria dell’arcibisavolo del suo arcinonno di nome Giovanni dal Doglio, a causa di un arnese che nel dialetto {4 [102]} chiamasi doja, specie di bottiglia o fiasco di creta usato da lui, come usa la povera gente, per portare il vino a tavola.
Quando io nacqui, mio padre e mia madre erano appena usciti forti e ringiovaniti da 26 anni di dura prova.
Avevo sei anni, quando alcuni dei miei fratelli maggiori, ardenti di novità e di libertà, a me parlavano di esse siccome delle cose migliori che vi fossero.
Ma mio padre dopo dura esperienza ed amari disinganni, mi insegnò che le migliori novità e libertà, anzi la vera novità e la vera libertà, sono quelle d’un galantuomo. Soventi volte mi ripeteva: Giovannino! non badare agli apparenti vestiti di gala dei tuoi fratelli, il vero galantomismo non istà in gale, ma nell’acquisto della sapienza e nell’operosità. {5 [103]}
Avendo egli studiato nella lingua che parlavano gli antichi nostri nonni latini, mi aggiungeva: I Romani erano caratteri serii, e non dicevano galantuomo, ma vir probus, honestus, liberalis. Tu non devi badare a fare il galante, ma sì il galantuomo nel significato serio della parola. Tutto questo me lo diceva mentre ero pastorello su pei colli monferrini.
Studiai poi a pie’dei colli ed a pie’dei monti e vidi che mio padre aveva ragione, e piantai i piedi al muro di volere e fortissimamente voler essere galantuomo.
Compiti i miei studi e messomi a 26 anni alla pratica del lavoro, riconobbi che l’arte di farsi galantuomo e di farne altri, è arte dell’Artefice Superno, il quale tiene in sua mano il mondo, ed a Lui mi abbandonai. Venni ammesso tra gli operai dal codino assai lungo. {6 [104]}
Osservai i bisogni dei miei fratelli sofferenti e ne vidi parecchi storpi, sordi, ciechi; altri gementi in oscure prigioni, ed altri fra tenebrose vie che a quelle conducono.
Sposai la loro causa e con l’aiuto di Dio ne raddrizzai parecchi, e molti mi furono figliuoli, cari come le pupille dei miei occhi.
Ne liberai gran numero dalle carceri e dalle catene dell’ignoranza, più terribili d’ogni altro umano servaggio, ed alcuni vennero in casa mia, e mi consolarono.
A mantenerli fui aiutato da mio padre e da mia madre e dal lavoro degli stessi miei figli, al quale io pure ebbi parte non piccola.
Fui muratore, fabbro, falegname, sarto, calzolaio, e loro insegnai lavorando.
Non bastando a mantenerli, e non avendo cuore di metterli in {7 [105]} una strada, chiesi financo elemosina ai miei benestanti fratelli durante il giorno, scrivendo di notte per illuminarli sui loro doveri di soccorrere le altrui miserie, ricordando ai miei fratelli miserabili di sopportare con pazienza il loro stato, e di rialzarsi col lavoro.
Comparso in abito di gala in società, al mio primo mostrarmi, fui tenuto per oscurantista.
Alcuni mi chiamarono retrogrado, ma io risposi con un avanti di 30 anni.
Agli altri mestieri aggiunsi anche quelli di cartaio, fonditore di caratteri, tipografo e legatore, e ciò a fine di dar lavoro ai miei ominini galanti, ed anche al mio paese, e di meglio stamparmi, e così correre più prontamente ai cari miei lettori, ai quali per 30 anni parlai da amico e da fratelllo. {8 [106]}
Fui da molti aiutato e da altri perseguitato.
Per gli uni pregai e prego Dio a rimunerarli, e per gli altri pregai e prego a scusarli, se hanno torto, ed a perfezionare me ed i miei figli in ciò che manchiamo.
Per i miei figli sudai per allevarli, e ne ebbi consolazione da loro non solamente, ma financo dai miei nipoti.
Alcuni mi fraintesero e mi calunniarono, ed io perdonai.
Qualche imprudente (e chi è perfetto lanci pure la pietra) errò, ed a me alcuni malevoli attribuiron la colpa. Ma anche a questi perdòno.
A voi, carissimi Lettori, do un vero addio di cuore, e dicendo un vero, intendo dire che con tutta l’anima mia vi auguro di ritrovarci poi con Dio, in compagnia di quei tanti e reali galantuomini, {9 [107]} il cui venerato catalogo per trent’anni io vi misi sempre davanti, affinchè in ciascun giorno aveste un modello da imitare. Colà non leggeremo più i galantuomini di carta, ma liberi galantuomini leggeremo il libro della vita, Dio, e l’anima nostra ed il nostro corpo, saranno davvero ricreati, cioè creati novellamente; saremo davvero uomini fatti, perfetti, compiti, a cui nulla mancherà ed a cui nulla sarà da aggiungere. Ma, affinchè ciò avvenga, conviene che preghiamo il buon Dio, perchè non ci accada, che credendoci al convito tra i cittadini celesti, il Redentore non abbia a dirci: Ehi galantuomini! queste vostre vesti non sono nuziali; queste gale sono sbiadite, polverose; e chiamando i suoi servi, invece di farci entrare nella Celeste Gerusalemme, non comandi loro di {10 [108]} metterci in gattabuia, buia per davvero.
Rivestiamoci dunque della luce di nostro Signore Gesù Cristo, delle gale bianchissime della sua purità e della rettitudine di sue vedute; delle gale rosse del suo ardente amore di far del bene al prossimo, gale graditissime ai cittadini di quaggiù ed a quei di lassù.
Se ascoltassi il mio cuore mi tratterrei con voi tutto l’anno 1883 e negli avvenire, ma, come dissi, è tempo che io pensi ad altro; ch’io pensi cioè a rivedere le mie gale e toglier loro la polvere, che avesser presa nei miei viaggi di trent’anni.
Lascio perciò la parola ai miei nipoti, grandi ammiratori dei caratteri italo-germanici dei Paesi Bassi, detti elzeviri, che si pretende siano i più virili. Io poi, lodando Iddio per il bene che fa all’uomo {11 [109]} su questa terra, in qualunque parte lo faccia, portando uno special affetto ai caratteri egiziani, poco ammirati e messi in abbandono, colla stampa antica, e augurandovi da Dio ogni bene, mi dichiaro.
IL GALANTUOMO. {12 [110]}
Il Galantuomo ai suoi lettori |
pag. 3 |
Ai Lettori il Nipote |
13 |
Fine ed origine delle accademie |
22 |
Sull’uomo. Dialogo |
32 |
L’uomo. Canto di Silvio Pellico |
46 |
Dio - Grido di Giganti intellettuali |
48 |
Carattere di Satana |
51 |
Tipi del Galantuomo |
52 |
Il tempo dell’uomo |
64 |
Le quattro stagioni della vita |
64 |
Calendario per l’anno 1883 |
65 |
Buon fine e buon principio |
125 |
Addio del Nipote |
129 |
A S. Giovanni Scrittore Evangelista |
145 |
Non plus ultra |
151 |
Visto: nulla osta alla stampa.
Torino, 9 Dicembre 1882.
CHIUSO TOMMASO Provic. Gen. {14 [112]}