Negli anni 1883 e 1884
TORINO 1885. { [5]}
S. BENIGNO CANAVESE
TIPOGRAFIA SALESIANA { [6]}
[è premesso agli scritti attribuiti o attribuibili a Don Bosco]
INDEX
Il ch. Giovanni Battista Fauda.
Il ch. ascritto Luigi Gamerro.
L'usanza di pubblicare ogni anno le biografie dei nostri cari confratelli defunti si è interrotta l'anno scorso per varie circostanze non potute allora superare. Ora, ripresane la compilazione, vi presento qui con quelle dell'anno andato varie di anni antecedenti. Spero in altro fascicolo, che uscirà fra non molto tempo, presentandovi quelle dei defunti in questo medesimo anno, compire anche quelle che ancora mancano degli anni passati; anzi è mia ferma volontà di far redigere anche le biografie dei primi nostri confratelli, defunti quando non avevamo ancora la bella usanza di redigerle anno per anno e di presentarvele poco alla volta. Così nel termine di pochi anni si potran conoscere da tutti le loro opere e le loro virtù, e ci serviranno di esempio e di sprone al bene. Spero nella misericordia del Signore che per mezzo di quelle biografie, venendo a conoscere la vita e le usanze dei primi tempi dell'Oratorio, ci animeremo ad essere sempre più costanti nel genere di vita che abbiamo intrapreso. { [7]}
Ricordiamoci sempre che le virtù degli altri devono servire di sprone al bene a noi, secondo quel detto di S. Agostino: si ille, cur non ego? Se tanti e tanti si santificarono essendo anch'essi di carne ed ossa, avendo anch'essi le medesime regole, le medesime usanze nostre, perchè noi potremo anche noi? Forse non avevano tante tentazioni? Ma sappiamo che molti ne ebbero delle terribili, certo più gravi che le nostre. Forse avevano un carattere non tanto perverso come il nostro? Ma noi sappiamo che varii ebbero da natura carattere ed inclinazioni più perverse che noi. Forse che ebbero più grazie da Dio? Ma Iddio si è protestato che le sue grazie le dà a chi prega e le dà con misura piena, abbondante, superaffluenter. Dunque animiamoci: si ille, cur non ego?
Anche impariamo a rassegnarci facilmente quando vediamo qualcuno dei nostri confratelli chiamato da Dio all'eternità, specialmente quando fosse, come molte volte avviene, dei migliori: pensiamo che il Signore ce li toglie dalla vita corporea per darceli quali esemplari in terra perchè conoscendo meglio le loro virtù, che essi vivendo, per umiltà tenevano celate, ci servano a guida del nostro operare; e per darceli ancora protettori in cielo nei difficili tempi e nelle difficili prove per cui passa la nostra Congregazione.
Torino, Giorno della Presentazione di M. V. al tempio.
In G. C. vostro Aff.mo
Sac. GIOVANNI BOSCO { [8]}
Se è già per una famiglia una grande benedizione il contare tra i suoi membri un figliuolo pio, docile e obbediente, più grande benedizione è per un collegio il poter annoverare tra i suoi alunni alcuni giovani che per pietà ed esemplare condotta siano il modello dei loro compagni; poichè, dal loro esempio attirati, più e più altri si mettono volonterosi a correre la via della virtù. Per una Congregazione religiosa poi l'avere alcuni di questi giovani esemplari è un vero tesoro; imperciocchè è constatato che il buon esempio il quale continuamente sta sotto gli occhi de' confratelli è come una non interrotta predica ed un perpetuo eccitamento al bene.
Noi non esitiamo ad asserire che il chierico Giovanni Arata, decesso in Lanzo il giorno 3 Febbraio 1878, fu uno di questi modelli mandati da Dio nei nostri collegi e nella nostra Congregazione perchè, santificando sè, servisse di buon esempio agli altri.
Egli, come da giovanetto formò per la sua {1 [9]} bontà l'ammirazione della famiglia e del paese che lo vedeva crescere, così successivamente venne a formare l'ammirazione del nostro Ospizio di San Pier d'Arena, dove dimorò due anni come alunno, poi dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, dove, prima come alunno, poi come chierico, passò altri tre anni, i più splendidi della sua vita; ed, in seguito, del Collegio di Lanzo, dove ebbe appena tempo a farsi conoscere, essendosi il gran piacere d'averne fatta la conoscenza ben presto cambiato in doppio rammarico per averlo tanto prematuramente a perdere.
Di lui con realtà si può dire ciò che ci dice lo Spirito Santo nel libro della Sapienza, (c. IV, 13) che cioè, consummatus in brevi explevit tempora multa; poichè, mancato ai vivi nella verde età di anni 20, aveva già fatte azioni ammirabili, e la Congregazione Salesiana nell'averlo avuto riconosce una vera benedizione del Cielo; poichè non solo egli sarebbesi potuto mostrare come modello ai mediocri ed ai buoni: ma come modello ai modelli.
Non sarà dunque fuor di proposito che di lui un po' più diffusamente in questi cenni biografici ci intratteniamo e che un po' più posatamente ne esaminiamo le virtù.
- Giovanni Battista Arata nacque ai 9 di Aprile del 1858 da Paolo e da Luigia Boggiano, poveri ma onesti genitori, in Orero, paesello della costa orientale della Liguria nel circondario di Chiavari. Il territorio di questo comune, essendo posto sui contrafforti degli Apennini, è montagnoso e scarso di raccolti; motivo per cui ad ogni anno varii abitanti vanno altrove a procurarsi quanto manca nel paese nativo. {2 [10]}
La famiglia Arata, povera affatto di quelli che si chiamano beni di fortuna, a cercar modo di vivere portò il suo domicilio a Rovegno, sul fiume Trebbia, nella diocesi di Bobbio. Quivi il nostro Giovanni Battista passò gli anni della sua fanciullezza. I buoni genitori non intralasciarono nulla che essi conoscessero opportuno per inspirare nel giovane cuore il germe di ogni virtù. E Giovannino corrispondeva mirabilmente: fin da quegli anni sua delizia consisteva nell'andare alla Chiesa o nel pregare fervorosamente in casa, anche lungo il giorno mentre da nessuno era osservato.
Tutti quelli che lo conobbero ne ebbero stima e presagivano di lui le più belle speranze. Quivi fece con grande edificazione la sua prima comunione alla Pasqua del 1870, essendo in sui dodici anni. Dopo qualche tempo fu condotto presso un suo zio arciprete ad Arenzano, grosso comune nel mandamento di Voltri, sulla costa occidentale della riviera Ligure.
Assai volentieri i genitori avevano accondisceso alla domanda dello zio, sia perchè restava così d'alquanto alleggerita la povera famiglia, sia poi perchè speravano, come veramente avvenne, che colà avrebbe potuto avere una educazione ben più compiuta di quella che a casa poteva avere.
Ad Arenzano il nostro Giovanni passava la sua vita, qual'altro Samuello, alla custodia del tempio, e mentre serviva lo zio in quei lavori domestici che erano adatti all'età sua, faceva pure come da sacrestano e serviva le messe. Fu tosto notato da tutti pel contegno che teneva in chiesa: e nel servire la messa era di tanta edificazione a quei buoni terrazzani, che ancora presentemente {3 [11]} molti lo ricordano con molto piacere e ne parlano con ammirazione.
In casa, oltre all'Arciprete, ubbidiva ancora alla nonna in modo esemplare, sebbene questa lo trattasse troppo duramente, e lo lasciasse mancare di varie cose necessarie alla vita; motivo per cui cominciando da quell'età fu sempre di salute cagionevole. Debole di corpo, ma vigoroso di spirito, si può far di lui l'elogio che la Sacra Scrittura fa del giovane Tobia dicendo: che sebben fosse molto giovane non fece mai azione veruna da ragazzo: « Cum junior esset, nihil tamen puerile gessit. » o quello che di altri faceva S. Bernardo: « Agebat senex moribus, annis puer » il che col medesimo senso è bellamente espresso dal poeta italiano: « Sotto biondi capei mente canuta ».
Tutti i signori di Arenzano l'avevano in massima stima e dicevano doversi prendere cura speciale di questo giovinetto che dava sicuri indizi di diventare un buon sacerdote. Sparse specialmente gran fama di lui una buona religiosa che abitava in faccia alla canonica; la quale, senza che il nostro giovinetto se ne accorgesse mai, lo vide molte volte nella sua cameretta prostrato colla faccia fino a terra davanti all'immagine di Maria SS. e di Gesù Crocifisso. Ed ecco il motivo per cui la nobile Signora Ghiglini, insigne benefattrice dell'Ospizio di San Pier d'Arena e nostra Cooperatrice, lo raccomandò a quel collegio con tali e tanti elogi, che vi fu accettato gratuitamente. Faceva il suo ingresso in quell'Ospizio il 16 Dicembre 1872, avendo compiuto i 14 anni, nè più se ne mosse se non per venire all'Oratorio l'8 di Luglio del 1874. {4 [12]}
Ecco in che modo il direttore che allora reggeva quel collegio, testifica sulla condotta colà tenuta dal nostro Arata. - A S. Pier d'Arena fu sempre tenuto pel migliore degli allievi. Fin da principio imparò sì bene a servire in chiesa, che molte volte fece da cerimoniere alla Messa Solenne. Servendo appunto una volta da cerimoniere avvenne, che, per non so qual incidente inaspettato, tutti si misero a ridere, anche alcuni dei ministri. Arata solo tenne un contegno serio e dignitoso. Già fin d'allora avea molta cura di far buon viso ed incoraggiare i nuovi arrivati, di condurre i compagni alla Visita del SS. Sacramento ed animarli al bene raccontando fatterelli edificanti. Volle essere ascritto a tutte le Compagnie, anzi fu il primo a cui si propose di entrare in quella dell'Immacolata Concezione, della quale può essere considerato come fondatore in San Pier d'Arena.
Fu visto al tempo dell'Elevazione divenir rosso, pregar forte e, qualche volta, prostrarsi colla faccia a terra restandovi finchè andasse a far la Comunione. Avvisato da un compagno che ciò dava nell'occhio, nol fece più. Dopo la Comunione rimaneva senza muovere palpebra fino al tempo di uscire. Disse a qualche compagno che avanti al SS. Sacramento avrebbe passato i giorni intieri; e passava la notte intera dal Giovedì Santo al Venerdì in ginocchio presso al Santo Sepolcro e sarebbe stato pronto a passarne ben altre, se ciò gli fosse stato concesso. Spesse volte, troppo occupato in servizi di casa e di chiesa, non poteva compiere i suoi doveri di scuola: rimproverato di ciò taceva, mentre bastava una sola parola per giustificarsi. {5 [13]}
Quando veniva sua madre a visitarlo in San Pier d'Arena, sempre le raccomandava d'aver molta cura dei suoi fratelli e sorelle, perchè crescessero nel timor di Dio, e non avessero la disgrazia di perder l'innocenza trattando con cattivi compagni. Seppe anche ribattere assai bene le difficoltà che moveangli i suoi parenti riguardo all'abbandonare la famiglia e farsi religioso.
Fu sempre molto riconoscente ai superiori, ed ogni volta che scriveva al Direttore di S. Pier d'Arena lo ringraziava d'averlo accettato nell'Ospizio di S. Vincenzo, ove, egli diceva, potè incominciare a servir meglio Iddio lontano da tutti i pericoli, e dove gli si presentò l'occasione di conoscere ed entrare poi nella Congregazione Salesiana. In segno di riconoscenza volle, col permesso dei Superiori, donare all'Ospizio la piccola biblioteca che la zia gli avea lasciata. Pensava alla messa, che sperava di poter un giorno celebrare, con vero entusiasmo, e tutto s'infiammava di desiderio di prepararvisi bene. - Fin qui l'antico suo direttore.
La virtù caratteristica esercitata da lui in S. Pier d'Arena, e che lo accompagnò fino all'ultimo de' suoi dì, dopo l'amor di Dio, fu l'amor del prossimo. Avrebbe voluto fin da quell'età fare grandi cose per salvare delle anime; ma mentre preparavasi a far ciò su d'una scala più vasta colla predicazione e colle missioni, cominciò a mostrare quella carità, che in petto nutriva, adoperandosi con tutto il suo potere a far del bene ai compagni. Lo si vide molte volte ad interporsi tra i giovani dell'Ospizio per comporne i dissensi: ogni favore che altri domandasse, {6 [14]} e che fosse in suo potere lo faceva molto volentieri; se poteva prestarsi in loro servizio o in dormitorio, o in ricreazione, od altrove non lasciava mai passare occasione senza farlo: dava buoni consigli quando giudicava che ciò potesse tornare opportuno a qualche compagno, nè mai in ciò si lasciava vincere dal rispetto umano. Scorgendo qualche grave mancanza, si struggeva dal dispiacere, e prima che si propagasse, si adoperava per distruggerne, se era possibile, i cattivi effetti; e più d'una volta lo si vide accusato innocentemente senza che si prendesse il pensiero di scolparsi, contento di risparmiare una sgridata al compagno colpevole.
Due piccoli episodii, che soli qui ci limiteremo a raccontare, dimostrano a maraviglia di qual tempra fosse la sua carità verso i compagni. Il direttore dell'Ospizio di S. Vincenzo, continuando le antiche abitudini dell'Oratorio, disponeva che in certe occasioni speciali si facessero delle passeggiate da tutti i giovani insieme. Specialmente questo si faceva in occasione dell'esercizio di buona morte. Meta delle passeggiate erano i vicini santuarii, ne' quali si desiderava fare la S. Comunione. Nell'estate del 1873 la carovana di quei giovani s'indirizzò al Santuario di N. S. del Gazo, su quel di Sestri Ponente. Per accedere ad esso bisogna arrampicarsi per una via rapidissima. Vivaci e lesti come il pensiero, i più non badando nè punto nè poco alla difficoltà del cammino, s'appigliavan frettolosi per la scorciatoia più breve; nè la tortuosità della via, nè il caldo che il sole già innalzato mandava su quella montagna, valevano ad arrestarne il passo. Quando non si poteva coi soli piedi, s'aiutavano colle mani a salire, {7 [15]} ma tutti volevano essere i primi a raggiungere la cima, e salutare da vicino la prodigiosa immagine di Maria colà venerata. Alcuno tuttavia è sempre che, o per difetto naturale, o per picciolezza di statura, o per qualche malanno, in queste passeggiate rimane in dietro tristo e scoraggiato. Arata, che conosceva questo, s'era proposto di star sempre degli ultimi per aver campo ad esercitare la sua carità, e questa volta gli si presentò l'occasione.
Uno dei più piccoli, trovandosi trafelato di sudore, avea per sopra più un piede scalfitto dalla scarpa, e lentamente muoveva il passo. Ciò non sfuggi all'occhio pietoso di Arata, il quale si avvicinò al dolente ragazzo, gli si offerse per sostegno, e prestatagli la mano lo aiutava a camminare. Ma, sia per la stanchezza ognor crescente, sia pel dolore che gli produceva la sempre più irritata scalfittura al piede, fatto sta che il poverino andava ad ogni istante rallentando il passo, e in fine, non reggendo più a proseguire, voleva fermarsi. Il nostro Arata, dimenticando la pochezza delle sue forze, la stanchezza prodottagli dal lungo cammino già fatto, il digiuno perfetto in cui era, poichè voleva far la sua S. Comunione al Santuario, ricordandosi solo della carità che in cuore tanto lo animava, si toglie in collo il compagno, se lo adagia alla meglio, e su se lo porta per tutto il tratto che ancora lo divideva dal Santuario, sebbene il cammino fosse ancora assai ben lungo. Arrivava colassù non solo tutto trafelante, ma affatto inzuppato di sudore, stanco da cadere per la fatica, senza più aver figura di uomo; ma ciò per lui era nulla, contento come si sentiva d'aver esercitata la carità verso i suoi compagni. {8 [16]} Quante grazie gli avrà concesso Iddio nella fervorosissima Comunione che fece ancor di quella mattina!
Altro fatterello, non meno caratteristico è il seguente. Un suo camerata annoiato delle ammonizioni, che ripetutamente riceveva dai superiori per le continue sue mancanze, cercava modo di fuggire dal collegio. Cattivo com'era, riuscì, prima di andarsene, a rubacchiare qua e là varii oggetti, con intenzione di venderli poi e farsi alcuni soldi. Una domenica adunque, presentataglisi l'occasione, perchè il portinaio si era allontanato per un momento dalla portieria, col suo involto sotto il braccio, furtivamente se ne scappava. In quell'istante medesimo il nostro buon Giovanni usciva di Chiesa, dove si era più a lungo fermato a pregare; vede il compagno, e s'accorge che vuol fuggire: capisce d'altronde che quell'involto contiene roba non sua: sa che lo sventurato fuggiasco, monello come era ed orfano, senza avere alcuno che pensi a lui, con questa fuga sarebbe certamente andato contro ad irreparabile rovina; solo la prigione sarebbe d'allora in poi la sua dimora. Che fa adunque? Gli balena in mente una idea, ed in men che non dico, la eseguisce. Veloce come un lampo, visto da nessuno, vola addosso al compagno, lo afferra ai panni, lo tira per la giubba e trascina in portieria. Sperava di non essere osservato da nessuno; ma quando è per entrare in un col compagno in casa, ecco che arriva il portinaio. Non voleva che persona alcuna venisse a scoprire il fallo del compagno: era risoluto salvargli la riputazione, dargli le opportune ammonizioni e tenere il segreto. Come fare adunque ad entrare nell'Ospizio senza essere {9 [17]} visti mentre viene il portinaio? La carità e industriosa. Perchè il compagno non comparisse colpevole, senza nulla dire gli strappa l'involto di mano, dice al compagno: Fuggi in casa, col portinaio m'aggiusto io. Il compagno riesce ad entrare furtivamente, perchè gli occhi del portinaio caddero incontanente sull'involto; ed ecco il nostro Giovanni solo, col corpo del delitto in mano, in presenza dell'usciere, il quale, come è naturale, lo rimprovera aspramente: gli prende il pacco e trascina lui al direttore. Era quello che Arata voleva; poichè appena fu solo alla presenza del superiore subito raccontò la cosa con tutta precisione: nè al direttore era bisogno di alcuna parola di scusa poichè conosceva con chi parlava e lo aveva in quel conto che sopra abbiamo detto. Il più difficile si fu nell'ottenere il perdono per il colpevole; ma Arata era deciso di non uscir di là senza aver ottenuto anche quello: Se v'è bisogno di qualche castigo, soggiungeva, ecco, son qui io; accetto qualunque pena mi si voglia infliggere, ma si lasci salvo il compagno. Poi continuava: do malleveria per lui che si emenderà di certo. Lo terrò io continuamente d'occhio, lo preparerò in bel modo ad accostarsi ai Sacramenti, me lo farò subito amico. In una parola, tanto disse col Direttore, che il compagno fu interamente perdonato: egli poi tanto gli s'adoprò attorno, e tanti furono gli artifizi della industriosa sua carità e del suo zelo, che ottenne in lui un prodigioso miglioramento nella condotta morale, cosicchè da pigro e neghittoso divenne laborioso e diligente e potè più facilmente imparare la sua arte e mettersi in grado di guadagnarsi onoratamente il pane della vita. {10 [18]}
Questi ed altri fatti facevano risplendere sempre maggiormente la buona condotta ed impegno nel bene del nostro Arata e per ciò gli guadagnarono l'intera confidenza dei superiori, i quali di lui si servirono più volte nella delicata assistenza degli altri giovani.
Per queste incombenze trovandosi sempre nell'immediato contatto coi giovanetti, potè conoscere che non ostante tutta la mitezza dei superiori nel correggere le loro mancanze, mai o quasi mai le correzioni vengono accettate qual medicina ai loro disordini; che anzi il loro amor proprio offeso li fa mendicare vane scuse per coprire i loro falli. Egli si armò di novello ardore per andare incontro a quest'inconveniente, e trovò opportuno appigliarsi ad un nuovo genere di stratagemma che gli riusci più volte a maraviglia. Valendosi egli della stima che aveva tra i compagni, ed era molta, animatissimo nelle ricreazioni non lasciava di penetrare col suo sguardo nei crocchi dove era qualche pericolo, e fissato colui che gli pareva principal fonte di male, gli era tosto ai panni, e senza far parola con altri, dicendo avere bisogno del suo aiuto, lo conduceva un po' discosto, e quivi gli dava qualche buon avviso o gli diceva qualche infuocata parola, che gli pareva più opportuna: e poi insieme tornavano al giuoco senza che altri se ne accorgesse. Diceva poi aver fatto quello per celia. Ma i consigli che dava al compagno e il frutto che ne traeva indicava qual genere di celie fossero le sue.
Siccome, la sanità nol favoriva molto a S. Pier d'Arena, si pensò di provare se l'aria di Torino meno soggetta ai venti potesse giovargli, e nell'8 {11 [19]} Luglio del 1874 fece il suo ingresso nell'Oratorio. Quivi si conosceva da molti per fama, e si stava osservando se avesse corrisposto alla riputazione che di lui era sparsa. In breve si ebbe a dire da tutti che la realtà superava veramente quanto di lui ciascun si aspettava. Non è che in lui si scorgesse nulla di straordinario, no; poichè la virtù sua era di quelle bensì grandi, ma non molto appariscenti; ma l'esattezza assoluta con cui osservava le regole anche più minute, la frequenza con cui si vedeva andare in chiesa, il contegno che in essa vi teneva, la costante ilarità del volto, unita ad una gravità contegnosa che in ogni suo atto appariva, erano cose che lo fecero prendere subito in gran concetto e dai superiori e dai compagni. Un fatto avvenuto nei primi giorni che frequentava la scuola servì a far crescere sì nei compagni che nel maestro la stima che già avevano di lui.
Alcuni compagni avendolo visto venire nella scuola con un contegno umile, piuttosto malvestito, piccolo della persona, indietrone'suoi studi, con un aspetto modesto e non curante, prendendolo per un milenso cominciarono a berteggiarlo in secreto ed a farsi beffe di lui; nè di ciò contenti alle volte anche lo punzecchiavano, gli davano spinte ed urtoni e lo deridevano amaramente. Egli non badava a queste cose, lasciava fare ed attendeva a' casi suoi, speranzoso di poterli un dì vincere colla sua pazienza e tirarli al Signore. Ma le cose arrivarono a tal punto, che tutti gli altri compagni, i quali ben presto se ne accorsero, ne restarono sdegnati e ne parlarono col professore; il quale tostamente fece cessare questo scandalo, e se i colpevoli non ricevettero altro {12 [20]} castigo fu solo a preghiera del buon Giovanni, che non voleva altri portasse pena alcuna per conto suo. Tutti rimasero maravigliati del modo con cui si diportò il buon giovane in quel caso; e varii asserirono aver ricevuto da quello un incitamento incredibile a sopportare coraggiosamente ogni molestia che loro avvenisse. Gli sprezzatori poi allora furono perdonati; ma sta scritto che chi deride il buono perchè buono, sarà severamente punito da Dio; e questi cominciarono ad essere puniti severamente su questa terra; poichè presi più volte in fallo per altre mancanze, furono cacciati ignominiosamente dal collegio, nè furono più in grado di proseguire gli studi intrapresi; e certo se al tutto non pensano a convertirsi, saranno ben più rigorosamente castigati dal Giudice Eterno, che tanto severamente punisce i falli degli uomini quando essi non vogliono pentirsene ed emendarsene.
Gli studii di Arata quando venne da S. Pier d'Arena erano sufficienti per l'ammissione alla 3a ginnasiale. Veramente nella scuola non riusciva tra i primi, egli che avea fatto solo poco più di un anno e mezzo di latino, e che per soprappiù era stato durante quel tempo occupato in uffizi domestici e varie settimane avea passate nell'infermeria. Ma l'ardore con cui intese allo studio e il modo scrupoloso con cui occupava il tempo fecero sì che assai bene tenesse dietro a' suoi compagni che da tre anni circa s'esercitavano nelle classiche discipline. Nello studio non perdeva briciolo di tempo: se incontrava qualche difficoltà, che non valeva a superare, la notava su di un foglietto di carta e proseguiva oltre. Nelle ricreazioni poi non voleva discorrere di cose inutili {13 [21]} e frivole, ma cercava i compagni migliori della scuola per farsi spiegare da loro quelle cose che non aveva capito nello studio; tirava fuori il suo bigliettino dove s'era notato quanto non capiva, ed insisteva o dall'uno o dall'altro finchè ogni difficoltà non fosse superata. Era si bello e garbato il modo da lui tenuto in queste bisogna che tutti si recavano a dovere di compiacerlo come meglio potessero. Nella ricreazione, dopo d'essersi sollevato un poco la mente e fatta visita a Gesù Sacramentato e a Maria SS. se ne andava cheto in qualche cantuccio, e quivi studiava le lezioni e quelle cose nelle quali si trovava più indietro. Con questa costanza a poco a poco raggiungeva i compagni e ben molti ne superava. Avea qualche ramo di scienza in cui si trovava più indietro ed anche, diremo, gli tornava meno gradito: ma di questo più che degli altri si occupava; e la matematica, la quale in sul principio gli riusciva molto dura, mercè de' suoi sforzi, coll'andar del tempo, gli si rese agevole e gradita. Crediamo di poter asserire senza tema di fallo, che, solo per l'impegno straordinario che avea di compiere bene ogni suo dovere, abbia potuto egli vincere la repugnanza che a quella scienza portava, ed a ridurlo al punto a cui pervenne.
L'attaccamento straordinario al suo dovere facea sì che mai non ispendesse briciolo di tempo in altri studi ameni, ma non obbligatori; come avviene a tanti giovani, che attirati dalla curiosità si danno alla lettura e da quella si lasciano trasportare fino a trasgredire i proprii doveri. La sanità sua già debole si risentì in varie circostanze della soverchia sua applicazione; ed anche a Torino ebbe per qualche tempo a rallentare i suoi studii per motivo della tosse, che {14 [22]} assai con frequenza lo tormentava; ma con soddisfazione sua e dei superiori potè terminare l'anno con sufficiente profitto e con una buona promozione.
Sebbene così grande fosse in lui l'impegno che aveva per lo studio, questo veniva superato dall'impegno che mostrò per la pietà e per la virtù. L'amore a Gesù Sacramentato ed a Maria SS., che già fin da fanciullo coltivava, venne sempre aumentandosi col crescere dell'età. Gesù nel SS. Sacramento gli si era dato a conoscere, già fin da quando giovinetto serviva la messa ad Arenzano; ed il suo amore per Lui si era ben conosciuto nella dimora che fece nell'Ospizio di S. Pier d'Arena. All'Oratorio poi parve crescere smisuratamente. Non lasciava mai passare una ricreazione della quale non consumasse almeno alcuni minuti ai piedi dell'amato suo Signore. Per lo più all'uscire di refettorio, di scuola e di studio vedendosi attorniato da molti compagni sorrideva loro ed in bel modo li invitava dicendo: Andiamo a dire qualche cosa al nostro Gesù che nel SS. Sacramento ci sta aspettando, poi usciremo di nuovo a fare la nostra ricreazione: ed avutili a sè in bel modo s'incamminava in chiesa. Dopo aver pregato ciascuno quanto voleva, ne usciva per ricrearsi; ed egli si fermava l'ultimo, prolungando per quanto più poteva la preghiera.
Alla Comunione, secondo la licenza avuta già avanti, e che avea fatta confermare dallo stesso Don Bosco, s'accostava tutti i giorni. Subito cercò di farsi ascrivere alla compagnia del SS. Sacramento ed al Piccolo Clero di cui fu lo splendore anche qui come abbiamo già veduto esserlo stato a S. Pier d'Arena.
La divozione a Maria SS. nell'anime elette, {15 [23]} cammina ordinariamente di pari passo con quella a Gesù Sacramentato. Arata era solito dare alla B. Vergine il nome di Mamma cara: avea in lei una confidenza al tutto straordinaria. Le giaculatorie « Maria auxilium Christianorum, ora pro me » « Maria aiutatemi » gli erano continuamente sulle labbra come gli erano stampate nel cuore, e tanta ne era la foga che non poteva a meno di farla apparire. Di qui i sospiri amorosi che lungo il giorno faceva anche in presenza de' compagni: da questo ancora avveniva che in tutti i suoi libri e quaderni si trovavano scritte queste stesse aspirazioni. Appena conobbe la Compagnia dell'Immacolata Concezione vi si fece ascrivere e vi operava da vero campione: e del giardinetto di Maria poi era così zelante, che giovanetto com' era ne fu eletto vicepresidente. Ne' suoi studii avea ognora l'immagine della Madonna avanti agli occhi, ed a lei si rivolgeva ingenuamente nelle sue difficoltà: e diceva trovar in ciò il motivo del profitto che esso facea nello studio. Al sabbato, oltre alla solita visita in Chiesa, recitava le sette allegrezze che gode Maria in cielo; e, col permesso del suo direttore, digiunava poi sempre a suo onore e non desistette più da questa pratica finchè ebbe vita. Questo digiuno non consisteva solo nel digiuno ecclesiastico, ma di più anche a pranzo non prendeva che pane e minestra. Avrebbe amato che questa pratica non si avesse a conoscere, e veramente da ben pochi si seppe: tuttavia non potè, nè a S. Pier d'Arena nè all'Oratorio di Torino tenerla interamente celata.
Un dì, che a tavola, per occasione di certa allegria domestica, il prefetto del collegio avea {16 [24]} fatto tagliare delle belle fette di cacio più grosse e più buone per distribuirle a ciascuno, si vide l'allegria in faccia a tutti i discepoli, i quali a gara prendevano la loro porzione e saporitamente se la mangiavano. Un solo non si vide a porgere la mano: era il nostro Giovanni. Per quel momento il prefetto non ne fece caso; ma un'altra volta ci badò di più: osservò e s'accorse che al sabbato non prendeva pietanza alcuna. A Torino il primo ad accorgersene fu il compagno che più l'avvicinava. Un giorno vedendo che non faceva colezione, gli domandò: « che è che non mangi? » « È niente, non ho troppo appetito ». Passati parecchi giorni e vedendo nuovamente che non mangiava gli chiama: « Ma perchè non fai colazione? » « È per meglio studiar la lezione. » Altra volta rispondeva qualche cosa di simile. Fu solo dopo lunga osservazione che il compagno s'accorse Arata far questo per mortificazione. Allora pensò sopra, e s'accorse precisamente essere al sabbato che digiunava sempre in onore della B. Vergine.
Dacchè parliamo di mortificazione, non sarà fuor di proposito far osservare che, avvenendogli di trovare per terra tozzi di pane caduti forse inavvertitamente ad altri o dimenticati comechessia, egli sempre li prendeva quantunque spesso molto duri, ed inzaccherati e lordi; se li poneva in tasca per mangiarseli poi saporitamente a tavola.
Altro fatterello indica quanto fosse generalmente mortificato.
D'inverno era travagliato da' geloni nelle mani, i quali gli si screpolavano arrecandogli dolore non ordinario. Egli pazientemente se li copriva, {17 [25]} tolleravali, cercava medicarli; ma non s'udiva mai lamentarsene, anzi a chi glie li avesse tocchi e inasprito il male, era tutto pronto a dire: Oh! è nulla, è nulla!
La virtù che rifulse specialmente in lui nel tempo che passò all'Oratorio prima d'indossare l'abito chericale e che, può dirsi, accompagnollo per tutta la vita fu l'inalterabil sua pazienza, prendendo sempre tutto come disposizione provvidenziale. Infatti non fa mai visto impazientarsi con nessuno: egli sorrideva con chiunque s'incontrasse, fosse grande o piccolo, fosse grazioso od aspro. Nel medesimo modo sorrideva quando alcuno lo carezzava, come quando gli faceva un'ingiuria. Fu osservato una volta, che ad uno che gli calpestò fortemente il piede, sorrideva come ad un altro che gli offeriva una caramella. Nemanco si lamentava o del troppo freddo d'inverno o del troppo caldo d'estate: prendeva le cose come accadevano e ne rendeva gloria a Dio. Questa sua virtù lo fece amare moltissimo dai compagni, i quali da ciò conobbero quanta santità si racchiudesse in colui che a primo aspetto in nulla da loro si distingueva. L'amore e la stima che si faceva di lui, lo facevano rispettare. Per certo nessuno in sua presenza osava dir parola o fare atto che a cristiano giovane disdicesse, poichè si sapeva già che egli non l'avrebbe tollerato; ed anche il solo timore di dispiacere al compagno sì buono tratteneva qualcuno da azioni biasimevoli.
Quando un po' d'ira divideva i compagni, fu visto molte volte mettersi paciere in mezzo a loro: anzi pare proprio che abbia ottenuto grazia speciale su ciò, poichè adoperava pochissime parole e nullameno si attirava i cuori di {18 [26]} tutti. Qualora gli fosse avvenuto di vedere qualche disordine a cui non poteva mettere rimedio, specialmente quando si trattava d'impedire l'offesa di Dio, subito si recava dai Superiori a tenerli avvisati, acciocchè il disordine non avesse a ripetersi; e questo seppe fare sempre con tal delicatezza, da non compromettere mai alcuno. La sua grande carità verso i compagni si facea specialmente vedere quando arrivava un giovane nuovo nella casa. Egli cercava di avvicinarlo, e quando in ricreazione lo incontrava solo, gli faceva opportune interrogazioni, gli raccontava qualche fatterello, gli insegnava dove fosse il refettorio, il dormitorio, lo studio, le scuole; gli faceva conoscere le regole della casa, e poi anche lo conduceva in chiesa a pregare breve tempo, ed in seguito lo divertiva e lo teneva allegro.
Molti ancora oggidì raccontano il loro incontro con Arata nei primi giorni in cui erano all'Oratorio, e vanno magnificando il bene che da esso ne ricevettero. Ecco come racconta questo uno che in seguito lo frequentò poi molto. « Il primo giorno che mi trovava nell'Oratorio di S. Francesco di Sales stavo tutto solo e malinconico appoggiato ad una trave, che una volta avea servito per la ginnastica; quando vidi venirmi incontro un giovane poco più alto di me, in abiti semplici, ma coll'ilarità sul volto. Mi fece varie interrogazioni, ma io lo accolsi con diffidenza e risposi con poche ed asciutte parole. - Sei venuto da poco tempo all'Oratorio, non è vero? - Sì - Sei di un paese molto lontano? - Sì - Ti piace star qui? - No - Egli non si scoraggiò per questo mio modo di fare, ma sorridendo ripigliò: Oh vedi, dicon tutti così il {19 [27]} primo giorno, ma poi si assuefanno: vengono a conoscere i compagni e i buoni Superiori, e stanno poi molto volentieri: difatti, osserva che allegria, che vita in questi giovani! Farai così anche tu, vedrai! E mi parlò della bontà dei maestri e degli altri superiori. E poi continuando mi domandò: Che scuola vuoi fare in quest'anno? La 4a ginnasiale - Oh! bene, saremo compagni di scuola, saremo amici, n'è vero? - Voglio essere amico con tutti io. - Così mi piace, amico con tutti ed anche con me; oh! a proposito, hai già visitata la nostra chiesa di Maria Ausiliatrice? - Non ancora - Allora bisogna andarla a vedere subito; è tanto bella! vuoi venire? E mi vi condusse. Appena entrato si pose ginocchioni sul banco più vicino; e si mise a pregare in atto così divoto, che mi sentii costretto ad imitarlo. Quindi mi fece osservare i varii quadri e gli altari, e mi raccontò quanto sapeva del mirabile modo in cui questa chiesa fu edificata. Mi interrogava poi se mi piacesse più che quella del mio paese, ed altre cose simili, che ora non ricordo. Questo so, che riuscì a farmi parlare e dissipò la mia mestizia ed io conobbi subito che perla d'amico avessi trovato in chi così bruscamente aveva ricevuto. La mattina del giorno seguente mi salutò amichevolmente e mi invitò di nuovo a fare una visita in chiesa con lui; il che seguitò per alquanto tempo.
Nella ricreazione del dopo pranzo venne ancora a cercarmi, conversò nuovamente un tantino con me; poscia mi condusse ad un gruppo di suoi conoscenti, e domandò un posto per me in un giuoco che stavano per incominciare. Fui accettato; ma egli non volle fermarsi, poichè eravamo {20 [28]} nel tempo in cui arrivavano molti giovani nuovi, e andò a cercar altri da consolare. In questo modo Arata mi procurò buoni compagni e mi rese gradita la vita del collegio, e dispose il mio animo a ben fare. Io benedico sempre quel momento nel quale m'incontrai con lui. Quello che fece con me, conobbi in appresso che lo faceva anche con quanti avea occasione di poterlo fare; e molti ora lamentano la perdita di chi fu il primo nell'Oratorio a metterli sulla buona strada ».
Dal momento che era entrato nelle case della Congregazione, non cercò più di andare a casa sua, poichè diceva incontrarvi troppi pericoli, mentre esso chiamavasi fortunato di poter star allegro senza trovarsi nei pericoli del mondo. I Superiori dal canto loro si davano ogni sollecitudine per provvedere alla sua sanità e lungo le vacanze cercarono sempre di trovar qualche modo di farlo divertire, affinchè potesse rinforzarsi. Per lo più veniva mandato a vendemmiare in qualche luogo, oppure a far da sacrestano in quei luoghi di campagna dove si facesse divota novena in preparazione a qualche gran festa della Madonna.
Anche questo tempo per lui era santificato. Un suo compagno di vendemmia ci racconta di lui, che, essendo andato a Chieri per vendemmiare, e non essendovi alla cascina alcuna capella, Arata si era fatto un piccolo altarino, avanti al quale faceva le sue preghiere, cantava lodi sacre; e quelle volte in cui non vi era molto da fare, cantavano anche il Vespro od il Mattutino della B. Vergine. Altre volte, soggiunge il medesimo compagno, trovandosi sul lavoro interrompeva {21 [29]} il silenzio, ed intonava una lode a Maria SS. od invitava i compagni a recitare con lui il Santo Rosario. Così egli passava le sue vacanze santificandole colla preghiera e col lavoro, e distaccando insensibilmente il cuore dagli affetti che lo legavano alla sua casa.
Intanto si avvicinava per lui il tempo di decidere definitivamente della sua vocazione. Egli che non aveva mai avuto altro desiderio se non quello di consacrarsi tutto al Signore non stette guari esitante. Sapeva che in queste cose la voce del proprio confessore era da tener siccome voce di Dio. Egli adunque consigliatosi debitamente fece una apposita muta di esercizi spirituali e decise di farsi chierico e salesiano. Per ricordarsi sempre de' propositi che fece in quegli esercizi volle in un quadernetto secreto, che solo gli si trovò dopo morte, scriversi le risoluzioni che allora fece. Ci pare pregio dell'opera riportarne qui la parte più importante a comune nostra edificazione e ammaestramento.
«In questi esercizi, tu hai udito come per essere sicuro dell'eterna salute, bisogna che ti abbandoni intieramente al superiore. Abbandona adunque coraggioso il mondo e mettiti nelle mani del tuo buon Padre D. Bosco. Esso ti condurrà sicuro per la via del paradiso. Non fare nè intraprendere nulla senza il consiglio de' tuoi superiori: fa tutto quello che essi ti comandano e ti consigliano e così sarai sempre contento, specialmente in punto di morte. Allora sì che sarai felice se avrai ascoltato i consigli che il Signore ti diede per mezzo de' tuoi Superiori. Ricordati che è di loro che il Signore disse: qui vos audit me audit. {22 [30]}
Se ti viene il pensiero della casa e dei parenti, rispondi così: La casa e le cose mondane sono il sentiero che guida al Paradiso? No - Via dunque, brutto pensiero, che non ti voglio ascoltare. È il demonio che ti suscita questi pensieri onde perdere l'anima tua. Ricordati bensì dei parenti e degli amici, ma spiritualmente; cioè pregando il Signore per loro acciocchè li aiuti nelle cose temporali e specialmente nelle spirituali.
Ricordati sempre che ti sei fatto ascrivere alla Congregazione di S. Francesco di Sales per vivere in volontaria povertà, in perfetta castità ed obbedienza in tutte le cose; e non per vivere agiatamente, prenderti piaceri e fare come ti talenta. Se ti tornerà grave l'osservanza di queste virtù, ricordati che ne hai promesso l'osservanza a Dio, al quale spiacciono le promesse vane e stolte.
La virtù dell'umiltà è come il fondamento delle altre virtù: cerca di esercitarla un po' almeno tutti i giorni, e quando alcuno te ne somministra l'occasione ringraziane di cuore il Signore.
Il peccato più schifoso, più odiato dal Signore è il peccato dell'impurità, cui S. Paolo vuol nemmeno che si nomini tra i Cristiani. Oserò dunque io commetterlo, pensando che il Signore mi legge nel cuore e nella mente? Mi servirò io di questo corpo, di queste mani, di questi piedi, di questi occhi, che mi furono dati dal Signore, per offenderlo? Ahimè! No, non sarà mai che io ne commetta. Ma come astenermene io che sono tanto debole? Certo che da per me solo non posso nulla: chi dunque mi sosterrà? Il Signore; e mi aiuteranno specialmente presso Lui Maria Vergine, S. Giuseppe {23 [31]} e S. Luigi. Questi mi possono aiutare e darmi quelle forze che io non ho: col loro aiuto, se io mi metto di buon animo, certo potrò vincere tutte le tentazioni ed astuzie del demonio. Sì, essi specialmente saranno il mio aiuto: io li pregherò tutti i giorni e terminerò sempre la preghiera con domandar loro la grazia di avere piuttosto a morire che peccare. Penserò anche molto con frequenza al giudizio, perchè allora il Signore non sarà più misericordioso verso coloro che peccarono. In quel punto mi troverò solo avanti a Dio. Unica compagnia sarà il bene o il male che avrò fatto... Ma no... Se sarò stato buono in vita verrà Maria Vergine stessa a difendermi, come ella assicurò a Magone Michele. Dunque piuttosto la morte che peccati. Viva Maria. Maria aiutatemi.
Ancora una cosa devo regolare - Le mie confessioni. Guarderò di farle meglio che potrò. Prima di tutto penserò all'importanza di questo Sacramento, il guadagno che ne ricavo se lo ricevo bene, il danno che m'attiro se lo ricevo malamente. Ogni sera, prima d'andare a dormire procurerò con un accurato esame di venire a conoscere i miei peccati, se ha passato bene la giornata, se sarei contento di morire nella notte. Prima della confessione poi pregherò Iddio che me ne dia un vero dolore senza cui non posso riceverne il perdono. Penserò assai alla preziosità dell'anima mia che posso redimere solo lavandola nel Sangue di G. C. Pregherò molto la Madonna perchè mi faccia essere perseverante nel non più commetterli. Non avrò vergogna di confessare tutti i peccati. Meglio sopportare qualunque rossore che andare a patire per sempre nell'inferno. {24 [32]} Poi se non li palesassi io in confessione, verrebbero palesati a tutto il mondo nel dì del giudizio.»
Questi furono i proponimenti speciali e i pensieri che volle porre in iscritto negli Esercizi e li rileggeva poi ad ogni mese nell'esercizio della buona morte. Chi non ammira l'assennatezza che è riposta in questi sentimenti? Non paiono essi piuttosto di un uomo consumato nella meditazione e pieno di esperienza, che di un giovinetto uscito pur ora dalle classi ginnasiali? Non ti par egli di trovare in lui adempiuto quanto lo Spirito Santo promette nel salmo 118 che cioè, il giovane il quale scruta la legge di Dio resta illuminato e riceve molta intelligenza? Declaratio sermonum tuorum illuminat et intellectum dat parvulis?
Le sue virtù ed il suo fervore nelle cose di pietà gli procacciarono tanta stima tra i superiori, che in detti esercizi spirituali a Lanzo, avendo chiamato di essere ammesso come novizio nella Congregazione, non solo vi fu ammesso, ma quando si venne a trattare di lui, e tra i postulanti si lesse il suo nome vi fu un sorriso generale tra i superiori radunati a quest' uopo, ed una esclamazione che significava: « Oh anima cara! » Non fu necessario lo scrutinio: sebbene da tutti si conoscesse di complession debole ed infermiccia, la quale osservazione, nelle accettazione non è mai di poca importanza, in premio della sua ottima condotta fu subito accettato ad unanimità di voti. Tanto può la virtù in un giovane, o meglio tanta è la forza della preghiera di un'anima eletta; poichè essa arriva a far dolce violenza al cuor di Dio, ed ottiene tosto anche le cose più difficili ed ardue!
Dissi essere questo effetto della preghiera, poiche, {25 [33]} se lo spirito d'orazione nel nostro Giovanni era già grande, e direi continuo, più grande lo fu in questi esercizi nei quali pareva proprio non potersi staccare dalla Chiesa non solo di giorno ma neppure di notte. In vero dopo le orazioni della sera egli prolungava siffattamente la sua preghiera, che se non veniva avvertito da qualcuno che si curava di lui, avrebbe forse dimenticato di andare a riposo. La notizia della sua accettazione lo colmò di gioia, poichè questo dava compimento al suo vivissimo desiderio di consacrarsi a Dio in una Congregazione religiosa. Un'altra cosa accresceva la sua gioia, ed era che con questa poteva vestire l'abito ecclesiastico, ed esercitarsi ognora più nelle cerimonie ecclesiastiche tanto da lui amate.
Consiste la vita religiosa nel seguire per quanto più si può perfettamente G. C. Egli deve essere il modello da seguirsi e specialmente nella povertà volontaria, nella castità perfetta, e nell'ubbidienza esatta sia alle regole come ai superiori, mettendo in pratica i mezzi che a questo ci possono condurre; e tutto ciò con umiltà di spirito, e con piena mortificazione e rassegnazione ai voleri di Dio. Arata, che già prima di entrare in Congregazione avea voluto istruirsi su queste cose, sia parlandone con chi potea ammaestrarlo perfettamente, sia leggendo libri che a queste cognizioni conducessero, subito da principio si pose ad osservare con esattezza ogni cosa che conoscesse atta a farlo divenir perfetto religioso. Anche prima la sua vita era sempre stata buona, ma da questo tempo in poi si può dire che facesse progressi da gigante: sicut gigas ad currendam viam. La povertà trovò in lui un perfetto {26 [34]} osservatore. Egli già l'avea praticata in tutto il corso della sua vita, non solo perchè ricchezze non avea, ma perchè fin da fanciullo cercò distaccare il suo cuore dalle cose di questa terra, e non desiderò ricchezze nè stato agiato; anzi come di una grazia segnalata era solito ringraziare Iddio d'averlo fatto nascere povero, perchè, diceva, se fossi nato ricco, ora forse non mi troverei chierico ed ascritto Salesiano: forse mi troverei invischiato ne' vizii, e malcontento ed infelice per tutta l'eternità. Come povero volontario cercava gli abiti più meschini. Tenne così da conto la veste, che mentre la prima per altri dopo alcuni me, si riesce inservibile, egli l'adoperava ancora tre anni dopo.
Uguale amore alla povertà risplendea in lui per le cose di biancheria, e di cibi e di libri e di tutto. Non solo non si lamentava quando toccava a lui qualche oggetto disadatto, ma i suoi compagni affermano, che quando ad un suo vicino fosse toccata cosa meschina ed a lui cosa più bella ed adatta, subito l'offeriva al compagno pregandolo di cambiare con lui dicendo: a me nulla importa. Tale povertà compariva anche nei libri; non ne cercava dei nuovi; e quando sapeva che ve n'erano dei logori che potevano fargli lo stesso servizio, questi a preferenza di quelli eleggeva. Non solo egli si guardava di non far guasto alcuno per piccolo che si fosse: ma vedendo qualche compagno tagliuzzare il banco o far altro guasto, subito ne lo ammoniva, o faceva in modo che il guasto non avvenisse.
Il modo gelosissimo con cui custodiva il bel giglio della purità è degno di ammirazione. Pur troppo che alcuni giovani non pensano a tempo {27 [35]} alla preziosità di questa virtù e non ne conoscono il pregio se non quando hanno a piangerne la perdita. Il nostro, fin da fanciullo ne riconobbe il pregio. Da piccolo stava in casa ritirato presso i genitori, e così sebben nato in paese di riviera, dove tanti pericoli sono per questa virtù, potè conservare intatto questo fiore così delicato. La vita sua, si può dire, fu un continuo sforzo per questo. Chi lo vedeva, avrebbe detto questa virtù essergli naturale, e non avergli costato alcuno sforzo; ma chi il conobbe addentro, sapeva come per natura propendesse molto al male, e che tutto quanto compariva era tutto sforzo di virtù. Quanti impegni, quante preghiere gli costò il conservarsi immaculatus ab hoc saeculo! Oh quante volte, prostrato all'altare della SS. Vergine, a calde lagrime chiamò la grazia di poter conservarsi puro e casto: quante volte prometteva di voler essere tutto di Maria! quante promesse, quante assicurazioni, quanti sospiri, quanti gemiti e quante lagrime! Ma vi riuscì. A questo fine custodiva gelosamente gli occhi, ben sapendo che per lo più il demonio si serve di queste finestre per entrare nell'animo di molti giovani; moderava e mortificava la sua curiosità; non volle mai leggere libro senza essere prima dai Superiori assicurato che in esso non v'era pericolo per l'anima sua. Era sempre non solo parco, ma molto mortificato nei cibi; e tutte le preghiere, le giaculatorie, gli atti della presenza di Dio, i digiuni, le Comunioni, le visite a Gesù Sacramentato erano dirette a poter ottenere dal Signore la grazia di conservare questa virtù. Anche a questo fine rinunziò di recarsi alla casa paterna a passar le vacanze, ma le voleva passare {28 [36]} nell'orto chiuso, come chiamava i nostri collegi: poichè, diceva, se all'aperto l'uccello gode maggior liberta, è pur vero che è in maggior pericolo d'essere preda del nibbio o dello sparviero. Era anche con questo fine che voleva occupar così ad usura il tempo, tanto da non perderne pur un briciolo; perchè, diceva, basta un momento in cui non lavori io, per dar agio al demonio di lavorare esso. Quando udì spiegare che il mezzo efficacissimo per conservare questa virtù era la pratica esatta dei consigli del confessore, specialmente per chi già avesse cattive abitudini, non solamente si pose di tutto cuore ad eseguire detti consigli; ma per ricordarsene meglio, volta per volta che andava a confessarsi, si scriveva in un librettino riservato, che non mostrava mai ad alcuno, e che solo gli si trovò dopo morte, i consigli avuti ed i proponimenti pratici per metterli in esecuzione. La santità, noi diremo con S. Filippo e con S. Francesco di Sales, non è vero che consista in cose tanto difficili e straordinarie, in modo che pochi possano trovarsi in circostanze da poter arrivare a questo grado; no: essa consiste nel far bene tutte le cose che si hanno a fare; ma a chi poi credesse con piccoli sforzi e con momentaneo proponimento poter pervenire a quella meta, noi lo negheremmo affatto; e basta a provarlo la costanza straordinaria che ha dovuto avere il nostro Giovanni, della santità così desideroso, eppure sempre instancabile ne' suoi sforzi. Dacchè io dissi che Arata della santità fu continuamente desideroso, soggiungerò qui che egli conosceva molto bene consistere questa nel fare bene anche le piccole cose. Avea bensì gran desiderio di poter essere un dì {29 [37]} missionario e convertire migliaia d'anime: anzi domandava al Signore di poter soffrire molto pel suo santo nome, ed oh! soggiungeva, mi fosse dato di morire martire sbranato o divorato dai selvaggi! Ma egli non si lasciava ingannare da questo desiderio. Egli sapeva troppo bene che la santità non consiste nei grandi desiderii, e che invano si mira a cose grandi se non si è capaci di far bene le cose piccole, epperciò a quelle attendeva continuamente. Questo è l'inganno di molti che non sono capaci a sopportare pazientemente una persona molesta, e si credono poi da tanto di sopportare qualunque disagio nella via della virtù; sono ora continuamente impazienti, ma credono che in altre occasioni saprebbero prendere tutto con pazienza: non sono capaci di fare il loro dovere trattandosi di cose facili, e credono di poterlo fare nelle cose difficili molto: non sarebbero capaci a far la più piccola mortificazione nel vitto, e si credono disposti a fare qualunque sacrifizio. È ben vero che il Signore ne' grandi bisogni dà grazie straordinarie: ma è pur vero che colui il quale non sa mortificarsi nel poco, lo saprà fare tanto meno nel molto.
L'ubbidienza era la virtù sua. Era solito chiamare questa virtù la via compendiata per andare in Paradiso; e aveva sempre sulle labbra quel detto della Sacra Scrittura, in cui si dice che l'uomo obbediente riporta sempre vittoria. Vir obediens loquetur victoriam. Si pose in impegno di eseguire non solo i comandi ma anche i consigli, e per lui bastava sapere che un superiore qualunque desiderasse una cosa per farla subito allegramente. Stava bene attento agli avvisi che ad ogni sera dopo le orazioni si è {30 [38]} solito dare quando sono tutti i giovani radunati insieme; ed egli si era imposto per legge di tenere come fatto a lui solo qualunque raccomandazione o avviso si facesse in pubblico. Si era preso la massima ad ogni volta che suonava la campana di dire « Il Signore mi chiama, » e correva subito dove la campana chiamava: era così puntuale in questo, che correva in proverbio tra i compagni: essere puntuale come Arata.
Al mattino era così esatto che non veniva mai trovato in letto un minuto di più. Non voleva che il demonio con fargli fare un atto di pigrizia gli rubasse la prima azione della giornata. Per lui il tocco della levata, il fare il segno della Santa Croce e balzare dal letto era la stessa cosa. Questa diligenza faceva sì che gli avanzasse alle volte un po' di tempo prima del segno di andare in chiesa, ed allora, o s'inginocchiava accanto al letto a pregare, o leggeva qualche libro divoto. In una cosa trovò fatica ad essere esatto nell'obbedienza, ed è la seguente. Era solito, come abbiamo detto, studiare in tempo di ricreazione per tenere dietro a' compagni più avanti di lui. Siccome la sua sanità andava deperendo sensibilmente, così il Superiore gli comandò di non più studiare in detto tempo: conoscendo però la voglia grande che n'aveva e l'abitudine inveterata presa già negli anni antecedenti, credè bene dirgli: « In tempo di ricreazione non istudierai più senza uno special permesso; abbi qual disobbedienza il far il contrario. » Non ci volle di più: prese l'avviso allegramente secondo il solito, ne ringraziò il Superiore: ma conoscendosi assai indietro nella scuola, di tanto in tanto chiamava il permesso di poter istudiare in quella ricreazione. Concessogli, {31 [39]} ne approfittava: senza permesso non studiò mai. Lo si vedeva talvolta col libro chioso sotto un braccio aspettare l'opportunità di domandare il permesso: e quando, per essere il direttore occupato in altre cose, non poteva avvicinarlo, stava molto tempo col libro chiuso sotto il braccio, come se fosse in penitenza, senza aprirlo mai. Il Superiore in seguito conoscendo la mal ferma sua salute non comportare affatto qualunque studio in tempo indebito, gli disse: « Non venire più a domandarmi il permesso di studiare in tempo di ricreazione; è necessario che la ricreazione la goda tutta. » D'allora in poi non fu mai più visto studiare in tempo di ricreazione, e questo gli fece bene, e la sua salute ne migliorò.
Le pratiche di pietà le eseguiva con tanto impegno e fervore che tutti i compagni lo dicevano un angelo, un altro S. Luigi. Le preghiere del mattino e della sera, la recita del S. Rosario, l'assistenza alla santa Messa, erano per lui cose piene di edificazione. Nella meditazione s'internava talmente, che alcune volte non sentiva più nessun rumore per grande che fosse. Nè ciò gli bastava: sapeva che S. Luigi era riuscito a fare ordinariamente la sua ora di meditazione senza provare distrazione di sorta, ed egli rammaricavasi dicendo: « Mi rincresce che non posso imitarlo: sono varie meditazioni in cui resto anche distratto per due o tre minuti »: e pareagli cotesta gran distrazione, ed ebbe a confessare che in certi mesi in cui si sentiva maggior fervore neanco ciò gli avveniva ordinariamente.
Per quanto fosse occupato non tralasciava mai di farla una mezz'ora abbondante. « Oh! quante volte, scrive un compagno, rinchiuso nel suo gabinetto {32 [40]} del laboratorio lo vidi tutto assorto in profonda meditazione! E per vieppiù concentrarsi nelle cose che meditava, teneva sempre davanti a se un piccolo crocifisso, benedetto dal Papa, e di tanto in tanto fissava in quello gli occhi bagnati di lacrime ».
E punto essenziale delle nostre regole, il dar di tratto in tratto conto di sè ai Superiori. Arata in questo procedeva con tale schiettezza, che il suo maestro dovette moderarlo. Era così desideroso di essere conosciuto, per poter essere ben diretto, che avrebbe con chiunque e pubblicamente fatta la sua confessione generale. Di tutto si mostrava contento, e la buona stima in cui era, ed i favori che riceveva, tutto attribuiva alla bontà altrui: egli si credeva immeritevole di ogni cosa. Dai compagni si diceva troppo amato, e dai superiori tenuto in troppa stima. Il posto che toccava a lui in dormitorio, refettorio, studio, per lui era sempre troppo bello: le cure che si prendevano per la sua sanità, troppo grandi. Di una cosa sola si lamentava, cioè di non potersi fare più buono; e questo, come manifestò più volte, era l'unico suo cruccio. Altra cosa lo disturbava non poco: « Al mattino nella meditazione, diceva, faccio tanti proponimenti, e poi lungo il giorno ci penso poco e varie volte non li eseguisco. Questi, soggiungeva, sono proprio i più grandi dispiaceri che io mi abbia. » Poveretto! Eppure altri pensieri fuori della gloria di Dio e della salvezza delle anime non aveva! Qui, per non essere soverchiamente prolisso, mi limiterò di riportare quanto fu scritto dal suo direttore sul suo conto al Superiore generale D. Bosco, nella relazione che regolarmente {33 [41]} deve farsi di ciascun ascritto. «... Leggo del Beato Giovanni Berchmans che il suo maestro, interrogati tutti i compagni connovizi di lui, (ed erano circa cento), che gli notassero ciascuno qualche difetto, e la mancanza di qualche virtù in Giovanni, nessuno trovò neo da apporgli. Così mi pare che accadrebbe ad litteram se tal cosa si facesse del Giovanni nostro; nè io pure saprei che appuntargli. Egli di una pietà senza esempio, d'una innocenza proprio angelica, di una obbedienza tutta particolare; allegro, gioviale, per nulla scrupoloso, condiscendente coi compagni ed amorevole. Temeva che la sua pietà lo facesse parer rozzo; invece vedo che si affà benissimo con tutti, e nelle ricreazioni è capace a mantenere allegri tutti i suoi compagni. Lo credeva da principio di poco ingegno, invece m'accorgo ognor più che io era in errore. La sola cosa di cui teme si è di non essere degno di appartenere alla Congregazione, e che perciò i Superiori abbiano ad essere mal soddisfatti di lui. Caro Giovanni, chi vuoi che non sia soddisfatto di te che sei un angiolo! »
Non sono a tacere alcuni dei santi proponimenti che fece nell'occasione dei santi voti e che, secondo il solito, scrisse nel suo libro d'oro: eccoli. « Oggi, 27 Settembre 1876, nella Chiesa del Collegio di Lanzo ho emesso i voti perpetui di castità, di povertà e d'ubbidienza, coi quali voti intendo di essermi come con tre chiodi inchiodato in croce accanto a Gesù Cristo, per non abbandonarlo mai più. Oltre ai proponimenti generali due speciali ne voglio prendere, che, da me diligentemente osservati, mi saranno di grande giovamento spirituale: 1° tutte le sere andando a letto {34 [42]} mi preparerò alla morte: inginocchiato accanto al letto farò una breve preghiera; dirò almeno un Pater ed Ave in onore di S. Giuseppe ed una Salve Regina in onore di Maria SS. acciò mi aiutino a vivere ed a morir bene. Dopo di essermi posto a letto dimanderò a me stesso che cosa avrei voluto aver fatto se allora mi trovassi in punto di morte. Ricevuti i buoni pensieri e fatte le risoluzioni, m'immaginerò di essere veramente in punto di morte, di avere accanto il prete che mi porta il Viatico (e qui farò la comunione spirituale) e che mi raccomanda l'anima e quindi di essere nell'agonia e di spirare nell'abbraccio di Gesù Crocifisso che terrò tra mani. Intanto mi addormenterò pensando alla passione di N. S. G. C. - 2° L'esercizio di buona morte, che di regola si deve fare da quei della Congregazione, io prometto non solo di farlo sempre e con grande impegno non ostante qualsivoglia occupazione, ma prometto di volere in quel dì rileggere tutti i proponimenti da me fatti negli scorsi spirituali esercizi, di fermarmi seriamente sopra di essi, e vedere nel mese se li abbia eseguiti tutti, o quali abbia trascurato, e di fare proponimenti serii e particolari a questo riguardo. Intanto ricordati sempre che prima di emettere i santi voti ti sei eletto per madre Maria SS. e per padre S. Giuseppe, e scongiurali che non manchino mai del loro patrocinio. »
Infervorato dalle molte preghiere e slanci d'amore che in questi esercizi fece, e confermato dai santi proponimenti, qual altro piccolo Mosè risplendente la faccia dall'aureola dell'infiammata carità, discendeva dal monte dove era asceso per vincolarsi con Dio e si preparava a quei {35 [43]} lavori che la sua età ed i suoi studii comportavano.
Egli desiderava molto di aver da lavorare in pro dei poveri giovanetti. I Superiori, i quali conoscevano che molto avrebbero potuto ottenere dalla sua grande carità verso di essi, pensarono di lasciarlo a Torino, affidandogli l'assistenza dei giovani artigiani dell'Oratorio. In questo modo, anche lavorando per la gloria di Dio, avrebbe potuto terminare i suoi studii di filosofia. Egli accettò volontieri quest'incarico, sebbene si reputasse incapace a tanto ufficio; poichè, posta la sua fiducia in Dio, si teneva come sicuro che Egli, il quale gli aveva dato l'incarico, l'avrebbe anche aiutato a disimpegnarlo.
Sua prima cura fu d'informarsi bene dal Superiore in che consistesse il suo ufficio, offerendosi volonteroso a far tutto che sarebbe stato di maggior gloria di Dio e di bene per gli artigiani. Fu occupato anzi tutto nell'assistenza di dormitorio, chiesa e ricreazione della camerata più numerosa. La sollecitudine con cui disimpegnava quel primo ufficio, gli procurò la conoscenza dei giovani con cui aveva a trattare; poichè studiava attentamente il loro carattere per poter trattare con ciascuno secondochè la loro indole richiedeva. Si mostrava quindi delicato ed amoroso coi sensibili e coi dolci, confidente coi timidi, serio cogli arroganti, esigente e severo coi pigri e cocciuti, tenendo sempre per guida gli esempi di S. Francesco di Sales. Mentre dall'una parte attendeva a studiare il naturale dei giovani, dall'altra non usava minor cura di studiare ne' suoi colleghi le loro virtù e il modo per far bene le cose sue: dall'uno ritraeva la vigilanza, dall'altro il modo di assistere in {36 [44]} ricreazione, da questo fermezza nell'esigere l'osservanza delle regole, da quello la dolcezza del tratto: da tatti qualche cosa. In questo modo riuscì ottimamente in quella prova, e si abilitò ad altre di maggior momento.
I giovani sentirono ben presto il benefico influsso della carità industriosa del loro assistente. Ne venne mutamento e fervore sì nella preghiera che nei Sacramenti e la sua si chiamò camerata di S. Luigi, perchè chi ne era assistente aveva molto bene imitato le virtù di quel Santo.
Appena s'avvide che il disimpegno de' suoi doveri verso i giovani non gli costava più tanta fatica, chiamò esso stesso altro lavoro, per rendersi maggiormente utile a pro dei giovani e della Congregazione. Questo suo ardente desiderio venne appagato, perchè gli venne tosto affidata l'assistenza di un laboratorio. Con qual impegno, prudenza e carità s'accingesse a questa sua nuova missione, lo manifestarono tosto i salutari frutti che coll'aiuto del Signore riportò. All'entrar di un assistente nuovo in un laboratorio per lo più da principio si rilassa la disciplina, ignorando egli ancora e il carattere dei giovani, e le consuetudini già prese. Cosa singolare! Per lui avvenne l'opposto. Subito da principio si ottenne ordine perfetto; e avendo col tempo scorto la necessità di fare alcune variazioni e riforme, sia nei giovani, che nell'ordine e disposizione delle tavole, dei banchi e cose simili, fece il tutto tanto delicatamente e con tanta grazia, che niuno mosse lamento di sorta ed anzi tutti se ne mostraron contenti; sebbene già prima altri assistenti avessero tentata la prova, ma con poco esito. Solo l'ingenuità, il buon esempio e la carità d'Arata valsero ad ottener felice risultato. {37 [45]}
Conservossi costante nel nostro Giovanni la bramosia di lavorare alla maggior gloria di Dio; nè mai avvenne che venendogli offerto nuovo incarico, se le forze sue il permettevano, il rifiutasse: chè anzi preveniva il desiderio dei Superiori, ed accoravasi quando per riguardi alla sua persona glielo si negava.
Trovavasi verso l'esame finale: era anche stato invitato dai superiori a prepararsi agli esami di metodo per divenire maestro elementare e continuava nell'assistenza del laboratorio, dormitorio, chiesa e ricreazione. In questo frattempo venne l'avviso che Monsignor Arcivescovo sarebbe venuto quanto prima ad amministrare nell'Oratorio il sacramento della Cresima. Tra gli artigiani ve ne erano molti, i quali, venuti da poco, aveanla ancor da ricevere; e questi per lo più erano ignoranti persino dei primi rudimenti della Religione Cattolica. Essi avevano bisogno di un' istruzione continua e compartita più volte al giorno: si richiedeva qualcuno che potesse occuparsi continuamente della loro istruzione. Arata conobbe il bisogno, e si profferse da se stesso a fare quanto per lui si sarebbe potuto fare. Dapprima gli si rifiutò, perchè troppo occupato; ma poi vinti i superiori e dalle sue preghiere e dalla difficoltà di avere altri, gli si concesse l'ambito favore.
Per accudire nel tempo stesso agli altri suoi doveri, scelse a quell'uopo l'ora più opportuna; rimandava ad altro tempo le cose che non premevano tanto e sacrificava pure buona parte della ricreazione, dicendo che l'istruire quei ragazzi era per lui la migliore ricreazione del mondo. Le grandi cure che egli impiegava {38 [46]} per il bene de' suoi discepoli non lo distoglievano da' suoi studii. Non ostante tutte queste occupazioni seppe prepararsi al suo esame di filosofia da cui riportò esito lodevole; ed in seguito, a quello di maestro elementare che gli riuscì pure favorevole. E tutto questo non solo non lo distoglieva dalle sue pratiche di pietà, ma pareva che servisse a concentrarlo nello spirito. Il suo esempio, senza che pur esso se ne avvedesse, riuscì anche di stimolo potente a' suoi colleghi, molti de' quali appresero, ad unir l'impegno per l'adempimento dei proprii uffìzi a quello di attendere alla perfezione religiosa.
Moltissime altre cose sarebbero a dirsi di questo tempo che passò nell'assistenza degli artigiani e del bene che vi faceva; ma per non dilungarci soverchiamente s'intralasciano. Solo è necessario che noi ammiriamo una volta più il detto dello Spirito Santo là ove dice che la pietà è utile a tutto: pietas ad omnia utilis est. Poichè, come potè mai il nostro Giovanni ottenere tanti buoni frutti in cose così difficili e superiori all'età sua, egli per certo non essendo di un'abilità straordinaria, non avendo speciali doni di natura, non imponente la sua presenza, non affascinante la sua scienza? Il segreto di cui si serviva per ottenere tanti buoni frutti non è da rintracciarsi nel novero delle cose umane. Egli era un giovane di preghiera; pregava molto, pregava costantemente e con gran fede. Prima d'incominciare una cosa d'importanza andava in chiesa a pregare; prima di fare una correzione qualunque ad un giovane raccomandava la cosa al Signore, pregandolo dargli grazia a trovare la via di parlargli al cuore; prima di rintracciare e riparare al disordine cercava l'aiuto di Colui {39 [47]} che tutte può comporre le cose e disporle a sua maggior gloria. Varie volte poi alla preghiera univa quell'altr'arma tanto conosciuta ai santi, così poco a noi: la penitenza. Ci dice lo Spirito Santo che è irresistibile al trono di Dio la preghiera unita alla penitenza. « Precatio cum ieiunio. » Ma queste sue penitenze speciali dalla sua sagace umiltà per la maggior parte ci furono tenute nascoste; solo sappiamo che tra i proponimenti che fece negli Esercizi spirituali e che ad ognimese rileggeva facendo l'esercizio della buona morte, vi era questo: « Terrò sempre celati i miei patimenti. » Questi erano i mezzi che adoperava, e per cui riusciva nelle sue imprese.
Era passato poco più che un anno, dacchè il nostro Giovanni con tanto zelo si occupava nell'assistenza degli artigiani; quando il direttore del collegio di Lanzo, sentendo il bisogno di avere un buon maestro per la prima classe elementare, si rivolse direttamente al Superiore della Congregazione per averne uno che corrispondesse al gran bisogno che ne aveva. I cari bambini che frequentano quella prima scuola, più che d'imparare le cose di scienza hanno bisogno di un maestro che abbia molta pazienza, e che verso loro faccia quasi da madre; e non è tanto facile incontrarsi in chi accoppii in sè le molteplici qualità a quest'uffizio richieste. D. Bosco, il quale più che altri conosceva la necessità di quel collegio, volendo accondiscendere alle giuste domande del Direttore, determinò di mandare il chierico Arata. Tutti subito d'accordo dissero che miglior scelta far non poteva. A dire il vero, soggiunge qui il prelodato direttore da cui si toglie per intiero la relazione di quest'ultimo periodo {40 [48]} della, vita di Arata, a dir il vero, egli corrispose perfettamente al desiderio ed all'aspettazione dei Superiori. Arata fu una benedizione pel collegio di Lanzo. Appena arrivato colà si pose di tutta lena a compiere il suo assunto: fece veramente quanto per lui fu possibile; e non è a dire il bene che riuscì a fare in quelle anime tenerelle nei pochi mesi che vi lavorò attorno. Fu proprio sventura per quei piccolini vederselo sì presto chiamato da questa terra! Insegnava a leggere e a scrivere, ma non dimenticava mai di raccontare qualche bell'esempio di virtù; tanto diceva quanto era necessario per imprimere la verità che voleva insegnare in quelle piccole menti. Era tanta l'affezione che loro portava che non li curava solo in iscuola, ma anche in chiesa e quando andavano a fare le passeggiate, e mai li perdeva di vista quando ricreavansi nel cortile. Sono in errore coloro i quali dicono che stando sempre i superiori coi giovanetti, coll'andare del tempo questi perdono loro il rispetto. Arata mai s'allontanava da' suoi cari fanciulli e ciò nulla ostante tutti gli erano affezionatissimi, e sempre conservava su di loro quell'influenza che era necessaria per educarli al bene. Il vero si è che quando un maestro od altro superiore può fermarsi molto co' suoi alunni, ha campo in mille modi di dare ora un incoraggiamento, ora un buon consiglio, ora un'istruzione opportuna. La qual cosa appuntino con gran profitto faceva il nostro Giovanni. Nella scuola era pazientissimo; e quando voleva avvisar qualcuno, con tutta carità lo prendeva appresso di sè, e il castigo ordinario era il dire, che se continuasse nel mal fare, scemerebbe l'amor {41 [49]} suo verso di lui. Non passava dì che in tempo di ricreazione non andasse a fare divota visita a Gesù Sacramentato; e gli scolaretti vedendo lui, sebbene spinti non da altro che dal buon esempio, vi andavano anche essi e facevano bella corona al maestro. Come il Signore avrà guardato con occhio di compiacenza quella eletta schiera di giovanetti che tutti i giorni venivano a visitarlo! Quante speciali benedizioni non avrà fatto discendere su loro e su colui che tanto bene li incamminava per la via della virtù!
I più de' suoi scolari non avevano per anco fatta la prima comunione. Egli seppe mettere in loro così grande desiderio d'accostarsi alla Sacra Mensa, che tutti si posero a studiar bene l'intiero catechismo, per poter poi nella notte del Santo Natale fruire di una grazia così insigne. Quando le cose parvero abbastanza preparate, ei ne fece parola col superiore il quale fu maravigliato al vedere che erano tutti portati al punto di essere ammessi. Povero Arata! Tanto era il desiderio di vedere quei ragazzi a cibarsi delle divine carni di G. C, che s'affaticò tanto straordinariamente da ritrarne fiera malattia: ed in quel di in cui i suoi scolari, mediante le sue sollecitudini, facevano santamente la loro prima comunione, egli trovavasi in letto colpito da grave polmonite.
Il Direttore accortosi che al male già grave della testa e della febbre era unito un forte dolore al petto, mandò tostamente pel medico; il quale, ordinatogli di mettersi a letto, scorse il bisogno di cavargli sangue; lo che ripetè per quattro volte. Come si sparse la notizia della sua malattia si vide la mestizia sul volto di tutti, {42 [50]} che tutti amavanlo e desideravano vederlo. Grato e soave spettacolo era il vedere quei giovanetti chiedere il permesso di andare a trovare il loro maestro. Per un poco si concesse, ma aumentando il male si pensò impedire questo comechè dolce disturbo al virtuoso maestro. Tolta ogni occasione di visitarlo personalmente, i giovanetti facevano ressa attorno ai Superiori per saperne novelle, rallegrandosi o dolendosi secondo chè buone o cattive erano le nuove. Arata poi a tutti coloro che il domandavano di sua salute, quantunque sofferentissimo rispondea: Adosso comincio a stare meglio. Poverino! andava verso il Paradiso, quindi con ragione diceva di star meglio.
E davvero si avvicinava il giorno in cui egli si doveva presentare al Divin Giudice. Il dì innanzi alla sua morte domandò di confessarsi e di ricevere il Viatico. Solito come era a confessarsi dal suo Direttore accuratamente ogni settimana, non ci volle molto a prepararvisi. Domandò altresì perdono di tutti i peccati della vita anteriore, e ai circostanti dello scandalo loro dato. Indicibile la fede con cui ricevè per l'ultima volta il pane degli Angioli! Avrebbe voluto stare inginocchiato sul letto per ricevere il suo Signore, ma il male che lo opprimeva, glie lo impedì. Fatta la sua Comunione lo si lasciò per un momento solo, avendo con un cenno dimostrato questo suo desiderio. Quel giorno fu un continuo andirivieni alla Chiesa pregandosi da tutti per la sua sanità. Dopo, sembrando egli un po' sollevato, si permise ad alcuni di visitarlo. Egli, comechè stentatamente, rispondea a tutte le domande e continuava ad assicurare « che egli trovavasi abbastanza bene. » Mai più si sarebbe detto quello essere l'ultimo {43 [51]} giorno di sua vita! Erano le due pomeridiane quando si vide imminente il pericolo di morte. Si pensò subito a dargli l'Estrema Unzione e la Benedizione Papale. Egli con un sospiro dimostrò il desiderio ardentissimo che aveva di ricevere questi ultimi conforti. Si sforzò per fare il segno della S. Croce, ma non vi riuscì che con grande stento. Di quando in quando pronunziava il nome di Gesù e di Maria. Sapendosi la sua gran divozione alla Beata Vergine, gli si die' più volte a baciare la sua immagine; e ciò faceva con tanta divozione, che era una vera consolazione a vederlo. La tranquilità dell'anima, la serenità del volto, il continuo sorridere anche in mezzo ai dolori erano cose che strappavano le lagrime agli astanti e facevano esclamare: com'è bella la morte del giusto! oh sì, è proprio vero che pretiosa in conspectu Domini mors sanctorum ejus. Appena amministrata l'Estrema Unzione entrò subito in agonia. Erano circa le ore tre e mezzo pomeridiane, tempo in cui i giovani erano in chiesa per cantare il vespro. Data ai ragazzi la triste novella, si recitarono le litanie dei moribondi. Alcuni non poterono frenare le lacrime: sul volto de' suoi scolari era dipinta una tristezza che mai la maggiore. Verso le cinque era agli estremi; perduta la parola, dava segno di vita solo quando era chiamato ad alta voce. Molti vennero ad attorniare il suo letto; e mentre inginocchiati pregavano per lui, egli d'improvviso apre gli occhi, gira uno sguardo su tutti, fa cenno di volersi alzare dal letto, e se ne vola al godimento di quella pace celeste a cui egli tanto sospirava. La novella della sua morte si seppe ben presto {44 [52]} non solo nel collegio, ma da tutto il paese. Fu un lutto universale. Eran tutti persuasi che fosse volato in Paradiso, poichè fu sempre specchio di belle virtù. Con quella pompa che si potè maggiore si fecero i funerali nella Chiesa Parrocchiale e si cantò la Messa funebre dai giovani del Collegio.
Un fatto degno di osservazione, e che dimostra come la pietà del nostro Giovanni e il suo atteggiamento in Chiesa servisse di predica, è il seguente. Il Vicario di Lanzo aveva domandato un Chierico per l'insegnamento del Catechismo in Parrocchia per i giovani del paese: il Direttore pensò di mandare il Ch. Arata, ripromettendosi ben a ragione una felice riuscita. Il buon Giovanni non mancava mai di trovarsi puntuale al luogo che il Vicario gli aveva destinato. Fu tanta l'abilità e la pazienza che impiegava nell'adempimento di quest'ufficio, che i ragazzi, benchè indisciplinati, pendevano dal suo labbro senza fiatare. Era una maraviglia al vederli! Venivano volentieri, e sempre partivano soddisfatti. Le persone anche attempate, che trovavansi in quel frattempo nella Chiesa, vedendo il buon ordine di quei giovanetti, cercavano di avvicinarsi e di ascoltare le belle parole e gli efficaci esempi che egli raccontava ai ragazzi prima di lasciarli in libertà: e tutti andando pel paese magnificavano il suo dire ed il suo fare. Alcuni venivano alla Chiesa anche solo per udire lui. Quando non lo videro più secondo il solito comparire in Parrocchia per l'istruzione del Catechismo, andavano domandando di quel piccolo Chierico che aveva tanta pazienza nell'insegnamento del Catechismo. Lorchè seppero della sua morte, se ne dolsero e dicevano: era veramente un angelo. {45 [53]}
Altra con degna d'osservazione è questa. Dopo la sua morte, ritirandosi tutti i suoi libri e i varii oggetti che teneva, gli si trovò tra le altre cose un quadernetto intitolato: « libro d'oro; » in esso andava notando tutti i propositi che egli ogni dì faceva. Comincia con una piccola spiegazione delle parole che leggiamo in S. Paolo. « Mundus mihi crucifixus est, et ego mundo. » In questo diceva appunto che in cuor suo bramava di essere sempre inchiodato dal mondo, sicchè era disposto a morire le mille volte anzichè acconsentire alle sue brame. Poi spiegava i varii lacci che il mondo mette innanzi per trarre in inganno i poveri incauti e poneva fine a quelli con dire: « coll'aiuto del Signore spero di non mai cadere nelle sue massime. » Infatti non aveva egli incominciata la sua carriera col mettere in croce il mondo? Si dilettava forse d'altro che delle cose del Signore? Buon per lui che seppe conoscere gl'inganni del mondo ed evitarli.
Oltre quel libretto un altro ne aveva, in cui notava tutte le mancanze che commetteva nella giornata, sicchè in fine della settimana con tutta facilità poteva fare il suo esame. Fatta la confessione, scriveva poi gli avvisi del confessore e quale virtù voleva acquistar la settimana vegnente. Questo per certo gli deve aver servito più che ogni altra cosa a progredire nella virtù.
Impariamo anche noi, cari confratelli, dal Ch. Arata a porre tutta la nostra fiducia nel possente patrocinio di Maria V. e a volerci a tutti i costi emendare dai nostri difetti. Lo scriverci i buoni proponimenti e gli avvisi del Confessore e praticarli, è per certo uno dei mezzi più sicuri per camminare nelle vie del Signore. Stiamo {46 [54]} persuasi che se grande come il suo sarà il nostro impegno per progredire nelle virtù, tranquilla come la sua sarà la nostra morte; e, quel che è più, noi potremo un giorno, come giova sperare per tutti, in compagnia sua godere gli eterni ineffabili gaudii del Paradiso.
Se v'ha cosa che debba consolare i confratelli della Pia nostra Società Salesiana si è il ricordare come finora tutti quelli che tra di loro furono chiamati all'eternità, morirono della morte dei giusti, lasciando ai superstiti morale certezza di loro salute eterna.
Ci duole, sì, il perdere un confratello, ma pure il nostro dolore viene addolcito dalla fiducia di aver un santo in Cielo e di poterlo raggiungere ancor noi nell'acquisto del premio, che al par delle sue ci meriteranno le nostre fatiche. Questa fiducia ci vien oggi ravvivata dalla santa morte del Sac. D. Giuseppe Stra, che quantunque non abbia potuto viver lungamente con noi, tuttavia per quegli anni che consacrò al Signore nella nostra Congregazione meritò di finire la sua vita, come dice S. Paolo, sopraffatto di gaudio in mezzo alle sue tribolazioni, rasseganto {47 [55]} in mezzo ai più acerbi dolori e con quella pace che imbalsama la morte di colui che è destinato al Paradiso.
Era nato in Novello, diocesi d'Alba, alli 4 di Ottobre del 1856.
Ebbe genitori pii, che conservarono nella loro famiglia come preziosa eredità il santo timor di Dio. Frequentò le classi elementari del paese natio con esito felice, e mentre progrediva negli studii, sentiva crescere nell'animo suo una particolar tendenza alla pietà. Era assiduo alla Chiesa, pigliava gusto nell'assistere alle sacre funzioni, ed in cuore diceva spesso: con quanto piacere mi farei anch'io sacerdote! Pareva che ciò non dovesse accadere; poichè, e per la povertà della famiglia, e per la mancanza di benefattori, non ostante il buon desiderio di tutti, gli anni passavano, e pel nostro aspirante al santuario non v'era mai nulla di nuovo. Ma un bel dì, dopo aver sentito parlare di D. Bosco e del suo Oratorio ove si educavano tanti giovani per lo stato ecclesiastico, volle parlarne in famiglia. Il progetto piacque, ed ecco dopo poco tempo il nostro Giuseppe venir annoverato fra gli alunni nostri di Torino. Percorse le prime classi ginnasiali con buona condotta e con profitto non mediocre. Giunto che fu alle classi superiori, ocorrendo un Maestro per le scuole dei giovanetti esterni, allora frequentatissime, fu scelto per tale incarico il nostro Giuseppe, come quello che per l'età e per gli studii fatti e per altre eccellenti doti che concorrono a formare un buon maestro sembrava a ciò attissimo. Assunse di buon animo questa prova d'obbedienza che durò per ben due anni, e frattanto occupando {48 [56]} con usura il tempo compì i suoi corsi di ginnasio. Il Signore compensò largamente l'ubbidienza e il sacrificio che fece in quei due anni dandogli la vocazione allo stato religioso.
Ebbe contrarietà a superare per corrispondervi; ma sapendo egli assai bene che, inimici hominis sunt domestici ejus, nell'affare della scelta dello stato non altre voci ascoltò che quella di Dio e del suo direttore di spirito. Di qui nacque la quieta tranquillità e la gioia che lo resero caro a quanti lo conobbero. Indossò l'abito ecclesiastico, a cui aspirava fin da fanciullo, l'anno 1875 e nel medesimo tempo fu ammesso fra gli Ascritti della Società Salesiana. Attese con nuovo ardore ai nuovi studii e fu docile alle lezioni di virtù che venivangli date da tutti quei mezzi industriosi di cui abbonda una Congregazione religiosa. Mandato come insegnante nel collegio di Lanzo vi passò molti anni, cercando per quanto le sue forze lo permettevano di fare del bene a quei cari giovanetti, che alle sue cure venivano affidati. Si occupava nelle scuole, nelle assistenze e nelle ricreazioni. Si mostrava sempre allegro e teneva viva la ricreazione sia con nuovi giuochi che introduceva, sia col suo umore gioviale; nel che si distinse sempre. Era assai umile; pel che s'intratteneva volontieri coi più piccoli, coi più meschini, e molte volte attirava ai giuochi (ed in seguito, con questo mezzo, al Signore), i giovanetti più ritrosi. Ovunque fu mandato dai Superiori si segnalò sempre per la facilità di volere, con cui piegavasi volontieri a qualunque occupazione venissegli data. Ma un desiderio era sempre come alla cima de' suoi pensieri, ed era il pensiero del Sacerdozio. Questo pensiero per {49 [57]} una parte lo riempiva di giubilo e lo spronava ad acquistare meglio le virtù richieste per sì alto stato, per l'altra lo atterriva, vedendosi come egli spesso diceva, tutto pieno di difetti, ed ancora appena principiante nella via della virtù; pel che si raccomandava a quanti avevano a fare con lui ed anche ai giovanetti alle sue cure affidati; poichè, diceva, tra questi ve n'è sempre qualcuno che ha l'anima ancor affatto candida ed innocente, e questi ottengono col loro cuor puro quelle grazie che anche le preghiere più ferventi degli adulti non possono ottenere. I suoi desideriifurono appagati.
Il Signore che l'aveva fatto religioso, lo volle ancora Sacerdote sebbene per brevi anni; chè, alcuni mesi appena erano trascorsi dopo il dì fortunato in cui aveva celebrata con tanta consolazione la prima Messa, quando cadde infermo con poca speranza di guarigione, essendoglisi rotta, per quanto pareva, una vena, in seguito a sforzi fatti. Ripigliatosi un po' da quel repentino assalto, dietro insistenza della famiglia e consiglio del medico, i Superiori gli permisero di andar a respirare l'aria natia.
Viveva col corpo lontano ma col cuore tra i suoi confratelli, come ne fan testimonianza le tante lettere che allora scrisse a' suoi compagni ed a' suoi Superiori. Dopo detto anno ritornò a noi migliorato e fuor di pericolo; motivo per cui fugli offerta la carica di prefetto nella casa di Navarra: dove, e per la salubrità dell'aria, e per l'amenità del sito stesso, e per il piccolo numero dei giovani, pareva si sarebbe potuto intieramente rifare, specialmente che mandandolo colà gli si pose l'obbligazione di anteporre alla cura della {50 [58]} nuova sua occupazione quella della salute. Parve invero che le cose procedessero bene da principio. Ma ciò fu per breve tempo; perchè dopo alcuni mesi dacchè era giunto colà, fu di nuovo soprappreso dall'antica malattia che finì per ridurlo alla tomba. E qui è da udire la parola dell'ottimo suo direttore. - « Da varii giorni, scrive questi, si lamentava d'un forte mal di capo, ed il giorno 21 Maggio fu obbligato a star in letto senza che più abbia potuto rialzarsi. Da quel giorno, fino al giorno della sua morte soffrì dolori acutissimi nel capo con perfetta rassegnazione invocando con viva fede ed affetto grande Gesù, Maria è Giuseppe. Mi pare, dicevami egli un giorno, che mi piantino dei chiodi di vetro nel capo. In mezzo ai suoi dolori fu sempre rassegnato, allegro e tranquillo. Ricevette più volte la Santa Comunione. Bastava che io gli domandassi se desiderava che gli fosse portato il Signore perchè egli mi rispondesse subito: Oh sì, sì! Ed era poi consolante il vedere con quali sentimenti di pietà riceveva il suo Gesù Sacramentato. - Il giorno 4 Giugno alla sera cadde nel delirio, ed, eccettuati pochi intervalli di lucidità, passò in quello stato i quattro ultimi giorni di sua vita mortale. Ci siamo approfittati di uno di questi momenti lucidi per amministrargli, il giovedì a sera, 7 Giugno, il Santo Viatico e l'Estrema Unzione. Nel suo delirio, invece di cose strane, come fanno tanti, egli recitava il Pater, l'Ave, il Confiteor, l'atto di Contrizione; poi canterellava qualche verso dell'Ave, maris stella. Infine, confortato di quanto poteva concedergli nostra Santa Religione, circondato dai Confratelli della casa, il dì 8 Giugno 1883 rese {51 [59]} la sua bell'anima a Dio lasciandoci tutti addolorati. Ciascuno di noi aveva perduto un confratello zelante ed un amico sinceramente caritatevole ed affettuoso.
Fa stupire come in sì breve tempo che passò in questa casa (dalli 15 Ottobre 1882 alli 8 Giugno 1883) abbia saputo accattivarsi l'affetto di tutti, tanto dei confratelli quanto dei giovani.
La pieghevolezza della mente nostra ai voleri dei Superiori e il lavoro assiduo in mezzo ai giovani, virtù che rifulsero cotanto nel nostro D. Giuseppe, siano anche le virtù nostre e saremo contenti in fin di vita. Che importa se la nostra vita vien troncata anzi tempo? Purchè i giorni nostri possano chiamarsi, con l'espressione scritturale, dies pleni, giorni pieni di opere buone; e poi stiamo tranquilli che anche morendo giovani avremo un premio in paradiso quale solo si dà ai provetti.
In coelestibus regnis sanctorum habitatio est,
et in aeternum requies eorum.
L'abitazione dei giusti è nel regno de' cieli, ove è la loro requie eterna. Vivono essi quaggiù come pellegrini, perciò non si affezionano alla terra, e chiamansi fortunati se presto possono {52 [60]} giungere al termine del loro viaggio. Altri li compiangono quando sì presto li veggono morire, ma essi invece ne vanno contenti, perchè si veggono chiamati per tempo alla casa del buon Padre celeste Iddio. Questo pensiero ci torna alla mente e ci consola nel ricordare la morte prematura del Chierico Nicco Casimiro, nostro caro confratello.
Era nato il primo giorno di Marzo dell'anno 1851 in Strambino, diocesi d'Ivrea. I suoi genitori non erano di elevata condizione, ma possedevano tesoro di cristiane virtù. Cresciuto negli anni, ebbe presto il felice pensiero di consacrarsi in modo speciale al Signore. Quantunque nol potesse subito mandare ad effetto, non per questo lasciò andare a vuoto un sì bel pensiero, ma sempre lo nutrì in cuore. Ad età un po' innoltrata potè finalmente incominciare lo studio del ginnasio nella casa salesiana di S. Pier d'Arena. Colà die' prove non dubbie di sincera vocazione allo stato religioso, mentre pur edificava i compagni colla rara sua modestia, pietà operosa ed applicazione assidua ai doveri scolastici.
Nel Novembre del 1878 indossò l'abito chericale nell'Oratorio di Torino, e fu annoverato tra gli Ascritti salesiani. Non è a dire con quanto impegno si studiasse allora di ricopiare in sè le doti del buon religioso. D'indole cheta e ritirata, egli parlava poco ed amava lo stare appartato. Di sanità sempre cagionevole, non poteva correre e giocare come gli altri; ciò non pertanto allegro e servizievole s'intratteneva famigliarmente e molte volte facetamente coi compagni che più lo avvicinavano. I suoi discorsi erano per lo più di cose religiose in cui cercava con ogni {53 [61]} suo potere di animare anche gli altri, oppure di cose scolastiche. Il suo assistente era solito dire che se fossero stati tutti pari a lui si sarebbe sentito di assisterne mille dormendo 12 ore al giorno, o andando a spasso continuamente. Non turbato da dubbi nella vocazione o da preoccupazioni potò in ciò riuscire più facilmente.
Poco dopo la professione fu mandato nella casa di Nizza al mare in qualità di assistente. Colà non venne meno nella virtù, e quando, pel naturale che aveva sensibilissimo e pronto, doveva soffrire alcunchè, all'esterno appariva sempre mansueto e dolce, domando mirabilmente sè stesso. Continuò, come già da buona pezza faceva, ad accostarsi quotidianamente alla SS. Comunione, essendo divotissimo di Gesù in Sacramento, e non pago di questo lo andava frequentemente a visitare, animando a ciò e coll'esempio e colle parole non pochi dei giovanetti a lui affidati.
Nel 1882 cadde infermo di itterizia; tenne il letto per più d'un mese, dopo il quale migliorò sì, ma non potè rimettersi pienamente in salute. Fu allora richiamato all'Oratorio di Torino, ove parve in sulle prime stesse meglio, e fu occupato nell'assistenza dei giovani artigiani. Esattissimo nell'ubbidienza, era pronto a qualsiasi ordine gli venisse dato. Nulla chiedeva e nulla rifiutava. Permettendolo Iddio talvolta i Superiori gli davano incarichi per lui gravosi, come assistere i giovani nel refettorio, condurli a passeggio... ed egli coglieva quelle occasioni di merito come mandate dal Signore, ed obbediva senza dir parola. Con molta carità poi interessavasi d'insegnare il Catechismo, e specialmente le orazioni ai giovinetti artigiani di fresco venuti {54 [62]} all'Oratorio, e molti ne preparò alla prima Comunione con quella cura che sa inspirare un cuore educato a molta pietà.
Era esattissimo nell'osservanza delle pratiche di pietà prescritte dalle regole, e, se non poteva talvolta intervenire a quelle che si facevano in comune, vi suppliva in privato. Per suo pascolo spirituale aveva raccolti con studio in un quaderno buon numero di detti e di fatti di santi, che spesso andava rileggendo.
Peggiorava intanto nella salute. Nei mesi estivi del 1883 i Superiori credettero bene d'inviarlo alla casa di Lanzo, ove il clima è più forte e meno sensibile il caldo. I confratelli di quella casa lo ebbero presto in ottima stima e ne conservarono dolce memoria.
Spesso lo si vedeva in cappella in orazione avanti a Gesù Sacramentato. Il portamento aveva sempre umile e modesto; si teneva per l'ultimo della casa; di tutto era contento, anche del suo male medesimo, che pur non gli dava quasi più speranza di volerlo abbandonare.
E di fatto più non lo abbandonò. Il buon chierico ritornato all'Oratorio di Torino dovette consegnarsi all'infermeria. Finchè potè reggersi in piedi adoperavasi a consolare gli altri infermi, trattenendosi or con l'uno, or con l'altro, e a tutti prestava servigi. Costretto finalmente a tenere regolarmente il letto, non pensò più quasi ad altro che a disporsi santamente alla morte. Riceveva ogni giorno con ammirabile fervore la SS. Comunione. Quel Gesù ch'egli aveva tante volte visitato in chiesa, ora restituivagli le visite al letto di morte. Quanto conforto, quale ineffabile consolazione è questa, specialmente per un {55 [63]} religioso che tanto abbia amato Gesù nel corso della vita!
Sentendosi intanto venir meno le forze, chiese egli stesso l'Estrema Unzione. La ricevette in piena cognizione, rispondendo ai versetti ed alle orazioni del Rituale.
La morte del giusto è consolante, e tale fa quella del chierico Nicco. Colla pace nell'anima e col sorriso sul volto passò egli da questa vita di tribulazioni e di prova a quella del premio, alli 11 di Febbraio del 1884.
La virtù in cui specialmente si distinse fu l'umiltà. Possiamo dire che egli abbia praticato con molto spirito il detto dell'IMITAZIONE DI CRISTO - « ama nesciri et pro nihilo reputari: » ama di essere sconosciuto e riputato per niente. In questa virtù dobbiamo anche noi esercitarci se vorremo essere partecipi della gloria che speriamo goda egli in paradiso. Intanto preghiamo che dal cielo, dove abbiamo sicura speranza che ora si trovi la sua bell'anima, pensi a noi, e ci ottenga dal Signore di poterlo un giorno raggiungere e rivedere in quella patria, ove già tanti altri buoni nostri Confratelli sen volarono e ci attendono ansiosi.
Il Sac. Vincenzo Reggiori nacque in Sangiano, frazione della Prepositura di Leggiuno, prov. di Como, alli 22 di Gennaio dell'anno 1883; Ebbe per genitori i coniugi Carlo Reggiori e Domenica {56 [64]} Spertini, virtuosi ed agiati campagnuoli. Al fonte battesimale gli furono imposti i nomi Domenico, Vincenzo e Pietro. Venne allevato con somma cura specialmente dalla madre, donna veramente cristiana che per tempo seppe educare il cuore del figliuoletto alla scuola della virtù. Il santo timor di Dio è la base della cristiana educazione, ed ella glielo seppe infondere molto bene.
Toccava l'età di 7 anni quando fu mandato alla pubblica scuola del villaggio. Ebbe per maestro il coadiutore parrocchiale, sacerdote fatto secondo il cuor di Dio, che alla santità di vita univa una certa soavità di fare coi fanciulli, che tutti se li traeva a sè e con rara facilità istruiva ed educava.
Tra le prime cose che ebbe a cuore d'imparare il nostro Vincenzino, appena seppe a leggere, furono le parole della S. Messa. Come poi appresela servirla lo si vedeva andar alla Chiesa per tal uopo con santa avidità assai volte la settimana. Pregava volentieri, era ubbidiente ed aveva somma cura di non offendere Iddio.
Fece la prima Comunione all'età di dieci anni, e vi prese tanto gusto che incominciò fin d'allora a comunicarsi con frequenza. Scrive di lui un suo antico compagno: « Era presente con esemplare compostezza a tutte le funzioni di Chiesa, amava l'orazione, interveniva ogni giorno alla S. Messa, ascoltava e ripeteva con mirabile precisione a' suoi di casa le prediche che vi si facevano, e fattosi più grandicello, aggiunse alle altre lodevoli pratiche la visita al SS. Sacramento. »
Dopo alcuni anni di scuola si diè ai lavori di campagna dietro l'esempio del padre, e pareva che tutta la sua vita dovesse passare in {57 [65]} in sì breve cerchia. Pareva allora follia il pronosticare che un dì sarebbe stato chiamato dai campi dell'uomo a coltivatore evangelico dei campi del Signore. Le vocazioni allo stato ecclesiastico, dove più dovrebbero abbondare, mancano, perchè nelle famiglie agiate manca oggimai quella educazione che vien atta a produrle. Se oggidì il figlio del cittadino esce a dire: io voglio farmi prete, ne vien amaramente rimbrottato e perfin la madre s'adopera per spegnere in sul principio quella santa idea. Il piccolo Samuele, Iddio se noi può avere nelle città, se lo va cercando alla campagna. Nella campagna l'aria è più sottile e pura, l'atmosfera imbalsamata come nei giorni della creazione. Tu vi trovi uomini di semplici costumi, di animo retto e di fede forte e sincera. Quivi con più ragione può Iddio ripetere: deliciae meae esse cum filiis hominum. Le sue delizie ve le trova veramente ed ama perciò spesse fiate fra i dimentichi campagnuoli scegliere a preferenza i suoi ministri. Il nostro Vincenzo fu uno di questi benedetti dal cielo. Il suo buon maestro era stato eletto dal Vescovo alla cura di una importante parrocchia della diocesi ed era venuto in Sangiano un altro sacerdote più giovane sì, ma di non minor zelo del primo. Conosciuto che ebbe il nostro Vincenzo, lo fece oggetto delle sue sollecitudini.
Dopo qualche tempo la risoluzione era presa: il buon giovane voleva farsi sacerdote. Ma come? e quando? Il buon coadiutore gli fece riprendere gli studii nelle ore libere dal lavoro, e finalmente, piacendo a Dio, lo avviò al nostro Oratorio di Torino. {58 [66]}
Caro Oratorio, quante anime elette, quante anime preziose al cospetto di Dio vennero già fra le tue sacre mura! Il mondo certi misteri di grazia li spregia perchè non li conosce. Oh buon Dio! quel giorno in cui non ci manderete più di queste anime segnerà il tempo di abbandono per noi. Il nostro Vincenzo toccava allora il 21° anno di età. Esaminato dai Superiori nella vocazione e negli studii fatti, fu ascritto tra i figli di Maria e mandato fra i medesimi in S. Pier d'Arena, perchè quivi compisse il Ginnasio. Dopo tre altri anni vestiva in Torino nella chiesa di Maria Ausiliatrice l'abito chericale. Qual giorno di gioia ineffabile non fu mai quello per lui! Venne annoverato allora fra gli ascritti Salesiani e dopo un anno di prova emise i santi voti perpetui.
Di lui chierico poteasi ripetere il detto di S. Pier Damiani (Opusc. 12°, capo 15°): Quae sit mens, ex veste colligitur. Dalla veste si raccoglie la qualità dell'animo e l'intendimento della persona. Era un degno alunno del Santuario. La frequenza ai SS. Sacramenti, l'osservanza esattissima delle regole, l'umile sottomissione ai Superiori, ecco la vita del Ch. Vincenzo Reggiori. Non occorreva, no, che i Superiori coi rendiconti mensuali o con altri mezzi, che la industre lor carità sa suggerire, dovessero animarlo all'adempimento dei suoi doveri. Non era d'uopo che l'animassero ad occupare saggiamente il tempo, che non nè perdeva un sol minuto: non allo studio, che anzi dovevan limitargliene le ore; non alle pratiche di pietà, perchè ne era osservantissimo.
Fin dal primo anno fu occupato nell'assistenza {59 [67]} degli artigiani. « Nel mese di Settembre del 1881, scrive di lui il direttore della Tipografia, per tratto della Divina Provvidenza, i compositori e gl'impressori tipografi si avevano la bell'anima di D. Vincenzo Reggiori per assistente. La sua permanenza in tipografia fu ritenuta quale una benedizione del cielo. Tutti i giovani affermano la stessa cosa e tuttora quanti son rimasti fra noi lo ricordano co' sentimenti più vivi di stima e di riconoscenza.
« Nel suo cuore ferveva l'industre carità del figlio di D. Bosco e del vero Salesiano.
Per savio consiglio, in sulle prime volle acquistare una sufficiente idea dei modi e degli usi speciali dell'arte tipografica, non che delle singole attribuzioni di ciascuno dei giovani alla sua cura affidati. Con questi lusinghieri auspizii il caro assistente veniva in mezzo a noi. Suo studio costante fu trovar modo di allontanare dai giovani ogni pericolo di male e di promuovere con mille industrie la virtù. Aveva cura speciale dei novelli apprendisti nel tempo stesso che il suo occhio vigile non dimenticava alcuno anche dei più anziani. »
Non meno felicemente riuscì nelle altre assistenze ed occupazioni affidategli dai Superiori.
Posto alla cura e distribuzione del vestiario della casa sapeva provvedere, distribuire ed accontentare con amorevole sollecitudine per modo che tutti ne lo ammiravano. Non sapeva tollerare che alcuno della casa si presentasse in cortile con abiti sdrusciti: l'onore e l'interesse degli altri erano onore ed interesse proprio. Con ammirabile carità cercava fra i giovani, e specialmente nella stagione invernale, quelli che {60 [68]} poco curavano la pulizia della persona ed egli medesimo li pettinava e li provvedeva di quanto abbisognavano, di biancheria e di abiti, sia perchè potessero mantenersi puliti, come anche perchè fosser meglio riparati dal freddo. Tutto zelo per gli altri, serbava per sè gli abiti peggiori, di tutto sempre soddisfatto, purchè potesse esercitare con la grande carità verso gli altri la povertà religiosa per sè.
I Superiori mi han posto qua, diceva, non già perchè me ne stia ozioso, ma perchè faccia santi tutti questi giovani.
Riusciva mirabilmente nell'indurli a frequentare i SS. Sacramenti della Confessione e della Comunione. Data l'occasione sapeva dire or a questo ed or a quello parole di lode o di biasimo che producevano mirabili effetti. Testimonio oculare debbo affermare che vidi più volte partirsi dall'ottimo D. Reggiori taluni dei più ostinati nelle mancanze, e piangere, non perchè temessero castigo, ma per le parole che da lui udivano e pel dolore d'averlo amareggiato. Io ne era tocco vivamente in cuore e ne ringraziava il Signore.
Gli anni del suo chiericato furono pieni di buone opere. La vocazione allo stato ecclesiastico e religioso, di cui aveva date prove non dubbie nell'anno di noviziato, non fu già trascurata da lui, ma colla ottima condotta la fece ogni dì più viva, e se una cosa egli bramava, si era di divenire perfetto Salesiano e santo Sacerdote. Come mai può Iddio dimenticare anime siffatte e non ricolmarle di grazie? Tale fu del nostro Vincenzo. Ricevette gli ordini sacri colle più sante disposizioni, ed alli 24 di Dicembre dell'anno 1882 celebrava nella nostra Chiesa di Maria SS. {61 [69]} Ausiliatrice la prima sua Messa con ineffabile divozione e consolazione.
Due giorni dopo il suo paese natio era tutto composto a festa, e parenti e amici e conoscenti del nostro D. Vincenzo accorrevano alla Chiesa parrocchiale per assistere alla Messa del prete novello.
Quel sacro tempio, in cui aveva ricevuto il S. Battesimo, la Cresima, la prima Comunione, oggi aprivasi riccamente addobbato per riceverlo al Sacro Altare qual novello ministro di Dio. Fu una festa grandissima. Alla Messa solenne da lui cantata assisteva pontificalmente S. E. Reverendissima il Patriarca d'Alessandria, Mons. Paolo Angelo Ballerini, ed un popolo infinito. Oh! giorno veramente benedetto, ci scrive un sacerdote testimonio oculare, quante lagrime di pura gioia e di santa edificazione si videro spargere dai confratelli nel sacro ministero, dai parenti, dagli amici e da tanti buoni comparocchiani del D. Reggiori! Fu quello un commovente spettacolo, un celestiale trionfo!
Se queste consolazioni concede già Iddio ai suoi servi fedeli in questa terra, che è luogo di esilio e di prova, che non darà loro nella patria dei beati?
Non meno affettuosa fu la festa che in occasione della sua Messa novella si fece nel nostro Oratorio. Ci piace qui ricordare una parte della parlata che egli fece allora ai giovani artigiani: « Prima che io fossi accolto dal caro Padre Don Bosco, un giorno m'imbattei per via con un povero vecchio, il quale mi chiese: Giovanotto, come te la passi tu? Ed io risposi: Studio e lavoro. Bravo! soggiunse allora, ma fa di unire {62 [70]} anche la virtù e di far bene mentre sei ancora in tempo, perchè se aspettassi in età matura non vi riusciresti più: io, alla tua età, sgraziatamente non volli mai ascoltare i savii consigli di un buon sacerdote, che cercava il mio bene ed ora Iddio solo sa quanto ne sia pentito e quanto mi costi il ridurmi a più savii propositi. E perchè? gli dissi io. - Perchè, mi rispose, essendo stato io uso a far male, non son più capace di far il bene; quindi devi rilevare quanto sia grande l'importanza che tu incominci a farti buono, mentre ancor sei giovane. Queste parole, prosegui D. Reggiori, mi fecero tale impressione che mi diedero l'ultima spinta a risolvermi ad abbandonare il mondo e farmi religioso per esser più sicuro della mia eterna salute. »
Pareva che il nostro D. Vincenzo, fatto finalmente sacerdote, dovesse gustare a lungo le dolcezze del nuovo stato a cui era giunto: invece un anno e pochi mesi dopo la prima sua Messa doveva abbandonarci per salire al Cielo.
Lasciò ancora belli esempi di sue virtù ed in ispecie dell'ardente zelo che gl'infuocava il cuore. Eletto a vice-catechista degli artigiani, gli si moltiplicarono le fatiche, ma non vennegli meno il buon volere e lavorò indefessamente, finchè gli mancarono le forze. Oppresso dal male che lo doveva condurre alla tomba, lo superava coll'ardore del lavorare e non si rassegnò al letto se non gli ultimi giorni di vita.
Aveva perduto già la speranza di guarire, perchè il male, che da alcuni mesi lo travagliava, era già stato dichiarato incurabile; volle tuttavia sapere dal medico, senza ambagi, quanto avrebbe ancor potuto vivere. Il medico gli fè {63 [71]} travedere in parte lo stato grave a cui già era giunto. Diessi allora con sollecitudine a prepararsi meglio alla morte. Gli ultimi giorni che passò in letto, gli furono penosi assai. Ad ogni movimento della persona soffriva acuti dolori; eppure non diè il minimo segno d'impazienza. Le cento volte al giorno diceva: Signore, sia sempre fatta la vostra santa volontà! Aveva vivo desiderio di ricevere la Comunione ogni giorno e ne fu pienamente appagato.
L'amato padre D. Bosco, come lo seppe peggiorato, lo volle confortare con una visita e benedirlo ancora una volta prima di licenziarlo pel Paradiso. Lo interrogò sulla malattia, lo animò alla fiducia in Dio, gli disse parole tanto affettuose ed efficaci che lo lasciò consolatissimo. Avrebbe cantato allora di vero cuore il: Nunc dimittis...
La sera prima di morire dimostrò desiderio di dir ancor una parola ai giovani della sua camerata, ai quali intendeva di parlare come se fossero presenti tutti gli artigiani. Avutili intorno al letto, incominciò con dire ch'egli, come vedevano, era in viaggio per l'eternità e che quindi li lasciava col Signore e colla Madonna Maria Ausiliatrice. Chiedeva loro scusa se in qualche cosa fosse stato loro causa di dispiacere. Di poi continuò con un breve ma sì commovente parlare, che mosse tutti alle lagrime. Miei cari artigiani, soggiungeva, siate ubbidienti e rispettosi verso i vostri Superiori, i quali cercano sempre il vostro bene. Procurate di non mai trascurare le pratiche di pietà, ed in queste di non mai dimenticarvi di me, e state certi, che io non mi dimenticherò mai e {64 [72]} poi mai di voi, perchè siete stati e sarete sempre la pupilla degli occhi miei: mettete in pratica queste poche parole ed il Signore vi benedirà. Vorrei dirvi tante altre cose, ma mi sento venir meno. Manifestate questi miei pensieri anche ai vostri compagni e siate sempre buoni. »
Fu pregato di non più parlare e salutò per l'ultima volta quei cari giovani che usciron di là tutti profondamente commossi.
Quell'ultima notte la passò agitata assai. La mattina seguente ricevè per l'ultima volta quel Gesù in Sacramento che ei tante volte aveva visitato nei tabernacoli e ricevuto in Comunione con grande fervore durante la vita.
Il male rincrudiva ognor più ed ei nel vaneggiamento, che i dolori gli cagionavano, recitava ad alta voce il Te Deum, come in ringraziamento della visita che il buon Gesù gli aveva fatto e della grazia che ora facevagli accelerandogli l'ora del felice transito ai suoi eterni amori. Entrato finalmente in agonia spirava poco dopo la sua bell'anima in Dio, verso le ore 7 ½ di quel giorno medesimo, 15 di Febraio dell'anno 1884 nell'età di anni 31.
Fu compianto assai e la memoria di lui vive in benedizione presso quanti lo conobbero.
L'operare la nostra santificazione sforzandoci di ritrarre in noi il prototipo, l'esemplare per eccellenza, Gesù Cristo, è per fermo impresa ardua {65 [73]} e scabrosa, molto più se poniamo a confronto le deboli nostre forze con quel tanto che devesi fare per giungervi. Il portare con Gesù la Croce del dispregio, dell'umiltà, dell'ubbidienza, della rassegnazione, dell'abnegazione di noi medesimi e da tutto ciò che sente di carnale e di mondano, quanto non costa alla nostra natura corrotta ed attaccata alle cose caduche di quaggiù! Non è da porsi in dubbio: difficile è il cammino che conduce al Paradiso; ma forse che per questo dovremo disperarne? L'Apostolo ci fa avvertiti che se nulla possiamo per noi medesimi, tutto potremo coll'aiuto e colla grazia di Dio: omnia possum in eo qui me confortat. Confidati pertanto nella divina bontà, dobbiamo attendere ad operare la nostra salute, a santificarci, lasciando da parte ogni cura, ogni pensamento che ce ne possa distogliere.
Compreso di tal verità, il ch. Giovanni Battista Fauda, attese con ogni studio a vincersi, impegnando, per così dire, una fiera lotta con se stesso: poichè il correggere un carattere impetuoso come il suo, il vincere una natura proclive al male come la sua, non fu opera d'un giorno, nè lavoro da prendersi a gabbo. Egli era nato in Casalgrasso, in quel di Saluzzo, a' 21 d'Aprile dell'anno 1864 da Francesco Fauda e da Bernocco Laura. Ancor fanciulletto ebbe la disgrazia di perdere entrambi i genitori in brevi giorni; mala protezione di Dio sopra di lui non tardò a manifestarsi in modo peculiare. Suo zio fatto tutore gli tenne le veci di vero padre ed avvedutosi di non potere da sè accudirlo sufficientemente, causa le sue occupazioni, pensò di collocarlo in luogo ritirato, dove potesse attendere {66 [74]} di proposito alla educazione della mente e del cuore, ed elesse all'uopo il collegio di Lanzo, temendo, affidandolo ad altre mani non religiose, che, più che profitto, non ne avesse a ricever danno.
Il povero orfanello allora bilustre, piangendo per aver dovuto lasciare il tetto natio, comincio a frequentare la seconda elementare nel collegio; ma la sua indole vivace, l'attacco ai divertimenti ed a fare come voleva gli fecero sembrar duri i primi giorni di collegio. Tuttavia avendo un buon cuore si lasciò presto ridurre, e le cure della più affettuosa tra le madri, la Congregazione, di cui doveva divenire un giorno figlio rispettoso ed ubbidiente, dipinse a color di rosa quei teneri anni. Egli non li dimenticò mai più. Ben voluto da' compagni, amato da' superiori, egli compiva lo studio elementare ed era ammesso al ginnasio. Fu circa questo tempo che egli con trasporto riceveva per la prima volta il buon Gesù nel suo cuore: e dalle delizie e gioie di Paradiso che provava l'anima sua nell'unirsi col re de' re, prometteva di essere tutto suo, di crescere in fede ed amore per un Padre sì amante.
La rimembranza di quegli anni passati senza cura e senza affanni in braccio ad una dolce e spontanea pietà lo venne a scuotere quando frequentando il ginnasio, l'effetto delle vacanze e la compagnia dei dissipati l'avevano deviato un poco dal buon sentiero.
Intanto volgeva al termine anche il ginnasio; e trattandosi della scelta dello stato, cosa altrettanto difficile quanto importante, egli vi pensò seriamente e credette opportuno di non pigliar alcuna deliberazione prima d'essersi consigliato con Dio nei santi spirituali esercizi. Diede uno sguardo {67 [75]} al mondo, alla vita che fugge, alla gigantesca figura dell'eternità: e, riflettendo seriamente al quid prodest, al che cosa vorrei aver fatto in punto di morte, venne nella risoluzione di dare l'addio al mondo ed assicurar la salvezza eterna dell'anima sua.
Ascritto alla Congregazione rivolse ogni suo pensiero, ogni sua cura ad una totale riforma di se medesimo. Fino a questo tempo la sua indole irreflessiva, leggiera ed irascibile più e più volte aveva dato motivo a lamentare di lui indisciplinatezza, negligenza ed una tal quale tiepidezza nelle pratiche di pietà. Ma perchè ciò non l'aveva mai portato a gravi disordini, egli, contento di non essere cattivo, non si era dato a nessun lavorio speciale di perfezionamento di se stesso. Del pericolo cui esponeva l'anima sua se continuato avesse ad essere così leggiero, ben s'avvide negli esercizi che precedettero il suo noviziato; e perciò volle che l'anno di prova fosse tutto occupato non solo nell'apprendere a praticare esattamente le regole della Congregazione; ma bensì anche nel correggere ad ogni costo l'indole sua, o, come più e più volte diceva egli lepidamente, a cambiar pelle. E quanto gli stesse a cuore il rendersi meno indegno del titolo di salesiano lo dimostrò la costanza nel farsi tutto l'anno violenza; poichè mille volte promesso, mille volte ricadeva ne' suoi soliti piccoli falli; ma ebbe la costanza mille volte di rialzarsi sempre un po' più rinvigorito di prima, poichè non mai volle far la menoma tregua co' suoi difetti.
E tanto fu in conclusione l'impegno che vi mise e tante furono le violenze che si usò che riuscì a rendersi padrone di se stesso; per cui non cessando d'essere l'anima della ricreazione {68 [76]} sempre affabile e scherzevole con tutti, era poi osservante d'ogni regola benchè minima ed animato grandemente nello spirito di pietà, di carità e mansuetudine.
Il Signore avevagli dato un bel cuore, tutto carità ed amore inverso de' prossimi; ed egli assecondava gl'impulsi divini ed andava crescendo in modo mirabile in lui il desiderio di far del bene. Non solo negli ultimi anni del viver suo, ma sempre ed anche da fanciullo ce ne diede belle prove. Basti l'essere stato visto più volte a privarsi di oggetti anco di qualche valore, perchè vedeva che alcuno dei compagai ne difettava o non a-vrebbe potuto procacciarselo altrimenti; oltre di che nel prestare servigi ai compagni tanto era il contento che provava, che il più delle volte, anzichè aspettare d'esserne richiesto, li preveniva.
Il fortunato giorno della professione giunse anche per lui; quello che passasse nell'anima sua bella non è dato alla mia penna di scriverlo. Beato che due anni dopo riceveva già il premio di tanto sacrifizio.
Il tempo che corse tra la professione e la morte direi che fu una prova continua per lui. Cominciò a farsi sentire più intensamente un male interno, ch'egli diceva essere di famiglia, perchè di esso erano pur stati vittima i suoi genitori. Consigliato da' medici, provò l'aria mite di pianura: ma non giovandogli lo si mandò a passare qualche tempo in prossimità dell'amena spiaggia ligure per vedere se l'aria di mare gli avesse giovato; e parve che sì; poichè ritornato a Torino si diede per guarito e volle aver da' Superiori un impiego. Fu messo assistente degli studenti prima, poscia {69 [77]} degli artigiani, ma al volere mancò la possa, ed ecco che il nostro Giovanni dovette ben presto lasciar ogni cosa e mettersi nuovamente sotto cura - Egli che non poteva resistere di stare inoperoso in mezzo a' confratelli oppressi dal lavoro, temendo di riuscire di troppo aggravio alla Congregazione avrebbe voluto ritirarsi in casa dello zio; ma rassicurato da' Superiori si rassegnò al volere divino, pronto a fare quanto si chiedesse da lui. Avuta quindi l'obbedienza di recarsi per cagione della sanità che andava ogni giorno deteriorando, alla colonia agricola di Navarra in Francia v'andò con molta tranquillità e pace, quantunque prevedesse che non sarebbe più tornato. - Ed in vero i pochi mesi passati soffrendo con rassegnazione veramente cristiana e facendo del bene in mezzo a quei buoni campagnuoli gli servirono di vera preparazione alla morte.
Fortunato lui! giacchè il Signore, come per prepararlo meglio, gli lasciò ancora fare gli esercizi spirituali; dopo i quali trovandosi in Marsiglia, assistito dagli amici e da' confratelli, ricevuti tutti i conforti della religione volava alla patria celeste in età d'anni venti. Un confratello di Marsiglia, dando la notizia della sua morte scriveva: « Fauda è volato al cielo ad accrescere il numero de' Santi; alle 6 e mezzo pomeridiane rendeva la sua bell'anima a Dio coi dolci nomi di Gesù e di Maria sul labbro e nel cuore; è sabato, giorno consacrato alla Vergine; è il 1° Novembre festa d'Ognissanti: è l'antivigilia del giorno consacrato alla ricordanza dei defunti. Non che compiangerlo, l'invidiamo; abbiamo perduto un confratello, abbiamo un protettore di più in {70 [78]} Cielo - Ed ora che felice già godi della visione beatifica del Sommo Bene, tu che col soffrire e tacere in brevi giorni ti meritasti corona di gloria immarcescibile, perdona se alcuna volta ti fui d'impedimento nella via della perfezione! E rivolto al buon Gesù ed a Maria, ricorda sovente che hai in questa valle di pianto, tanti fratelli che pregano e sperano di raggiungerti un giorno in Paradiso.
Il chierico Carra Salvatore nacque in Cà del Sasso, comune di Morbegno, presso il lago di Como, il di 8 Luglio 1864. Dalla religiosissima madre ricevette quella pia e cristiana educazione che è sorgente di ogni bene per tutta la vita. Sotto questa tutela prese a frequentare le scuole del paese ed in esse segnalavasi e per istudio e per contegno. Ben presto fu ammesso alla prima Comunione e Dio solo sa quante grazie in lui trasfuse in quel fortunato giorno. Il buon Parroco del paese, osservando quanto prometteva la sua a bilità nello studio e la sua pietà e virtù, e vedendo in lui ancora chiari segni di vocazione allo stato ecclesiastico parlò alla pia sua madre perchè gli facesse continuare gli studi. Essa tutta contenta acconsentiva, movendo solo la difficoltà {71 [79]} della spesa da farsi, a cui era affatto impossibilitata. Allora il buon Sacerdote scrisse all'Oratorio Salesiano di Torino e ottenne un posto pel suo raccomandato. Siccome però non furono trovati sufficienti gli studii fatti al paese nativo per entrare in ginnasio si mandò un anno nel nostro Collegio di S. Filippo in Lanzo e l'anno seguente poi incominciò all'Oratorio la prima ginnasiale.
Appena giunse, cominciò a fare camminare la pietà a pari passo colla scienza ed andava tutti i giorni istruendosi e facendosi virtuoso; di modo che durante il ginnasio venne considerato tra i primi della classe e tra i più buoni. Era ascritto alle varie piccole compagnie in vigore nei nostri collegi e godeva nel prendere parte al piccolo clero facendo così corona in veste e cotta a Gesù nelle Sacre funzioni. Oltre alle pratiche comuni, non mai lasciava di fare frequenti visite a Gesù Sacramentato, a Maria SS. ed a S. Giuseppe. Il suo fervore raddoppiava poi nei bei mesi consacrati a questi celesti patroni, che con tanto slancio si solennizzano nella Chiesa di Maria SS. Ausiliatrice.
Finiti gli studii rettorici, dopo alcuni giorni di esercizi spirituali fatti in S. Benigno, dopo mature riflessioni, e dopo d'essersi consultato diligentemente col direttore dell'anima sua, conoscendo essere volontà di Dio che si rendesse religioso, egli con grande slancio assecondò la voce del Signore, sia per potere più perfettamente servire a Dio, sia per mettersi di più fuori dei pericoli e per avere maggiori mezzi di conservarsi nel bene. Considerato un poco a quale congregazione religiosa dovesse affigliarsi, riconoscendo che Iddio con averlo fatto venire nell'Oratorio {72 [80]} aveva già con questo dato un segno che indicava a chiamarlo dai Salesiani egli fece domanda di essere ascritto a questa Pia Società. Ed in ciò tanto più presto i Superiori diedero il loro assenso per accettarlo, quanto più conoscevano la sua buona condotta giacchè in tanti anni di dimora tra noi non aveva mai dato motivo di lagnanze, anzi aveva dato segno di virtù superiore all'età sua.
Se già fino a questo punto fu buona la condotta del nostro Salvatore, dopo, essa diventò ottima e proprio esemplare. Da questo momento egli si mise con ogni impegno a perfezionare se stesso specialmente con l'umiltà e con l'osservanza delle sante regole che aveva abbracciate. Queste due virtù furono, si può dire, in lui caratteristiche. Non vi era cosa, per minima che fosse, ch'egli trascurasse o non facesse per ispirito di dovere; ogni suo sforzo poi era diretto a rendersi degno di diventare effettivo religioso Salesiano. La S. Comunione che già durante il ginnasio era stata da lui frequentata, qui poco alla volta divenne quotidiana: le visite in chiesa si fecero più frequenti e fervorose; e tra i proponimenti che fece cominciando l'anno 1883 troviamo che egli le distribuiva nel seguente modo: subito dopo la colezione, facendo la visita in chiesa, metteva l'intenzione di onorare specialmente il S. Cuore di Gesù: in quella che faceva dopo pranzo, il SS. Sacramento: in quella che faceva nella ricreazione della merenda S. Giuseppe, S. Francesco di Sales, S. Luigi e nell'ultima, che si era proposto di fare dopo cena, Maria SS.
Con gli aiuti abbondanti che vengono dal buon Dio in premiò dell'esercizio di tanta divozione {73 [81]} egli fece un progresso tale nella virtù che ben presto si potè considerare provetto nella vita religiosa e fece stupire di sè compagni e Superiori. La carità fraterna fu esercitata in modo che nessuno ricorda aver ricevuto da lui parola scortese; distaccò il cuor suo da ogni affetto a cose terrene, tanto che provava fastidiò quando si parlava di interessi materiali e persin trascurava di scrivere a casa; pel che veniva di tanto in tanto rimproverato da' suoi.
Continuando in questo progresso arrivò al termine del suo anno di prova e potè con giubilo immenso consacrarsi tutto a Dio ed accrescere con questa nuova grazia i suoi sforzi per l'avanzamento nella via della perfezione.
Essendosi intanto inoltrato negli anni di filosofia, si trovò in circostanze di esercitare in sè stesso quella violenza che esigeva il fermo proposito di adempire esattamente il proprio dovere; poichè avendo come una naturale avversione per certe scienze di calcolo, che pur per dovere gli conveniva studiare, egli si pose in quelle con ogni impegno e sforzo possibile. Ma ciò non ostante le cose non riuscendo in modo che il professore avesse a chiamarsi contento di lui, egli se ne accorava grandemente ma pure continuava e cresceva la violenza che faceva a sè, e sentendosi necessitoso di qualche sfogo, non che di consiglio, molto con frequenza era dal direttore a chiamargli che dovesse fare; ed al suo consiglio si atteneva.
È scritto che la vita dell'uomo è una continua battaglia. Ecco che quando le cose degli studi cominciavano a migliorare, Dio, soddisfatto di questa prova ben superata, glie ne mandò un'altra {74 [82]} anche più grave. Fa soprappreso da lenta ma persistente malattia che per molti mesi lo travagliò e finì per condarlo alla tomba. Cominciò circa alla metà dell'anno scolastico a sentirsi disturbato da un po' di tosse e di male al petto ed anche da grande prostrazione. Passò qualche tempo nell'infermeria; ma ciò non valendo ed i Superiori vedendolo sempre peggiorare non lasciarono di prodigargli ogni cura possibile.
Lo mandarono dapprima nel collegio di Lanzo per vedere se a quell'aria di montagna il suo fisico si rinforzasse; ed in vero dopo un poco parve di vedere in lui miglioramento; ma in fine ci accorgemmo che quell'aria era già troppo forte per lui. Allora si pensò di mandarlo a Penango; ma anche colassù dopo d'avere migliorato un poco ricadde in febricciattole che, se non erano gravi, erano però persistentissime e lo prostravano ogni giorno più. In tutto questo tempo diede segni di virtù sempre maggiore. Egli, che fino allora aveva goduta discreta sanità, vedendosi ora in quello stato non mosse un lamento, ma sempre contento si assoggettava al volere divino, e stette sempre al parere del medico; ubbidì costantemente agl'infermieri, ed a chi lo compassionava egli sorridente rispondeva: oh! è niente: star sempre bene non si può.
Solo per ispirito di dovere prendeva le cure necessarie per la salute del corpo; poichè più che del corpo si occupava del bene del suo spirito. Così scriveva in data 24 Giugno 1883 in una relazione al suo direttore: « Benchè tutto intento alla salute del corpo, non dimentico, no, quella dell'anima; ma anche ad essa cerco di dare il cibo che a lei si confà. Mi accosto ogni {75 [83]} mattina alla SS. Comunione, faccio la meditazione, le visite al SS. Sacramento, la lettura spirituale e alla sera vado alla Benedizione. »
Ritornò per qualche tempo a S. Benigno per fare come meglio potè i SS. Spirituali Esercizi; ed anche qui assai mostrò di patire per non potersi conformare alla comunità, ma sempre paziente e rassegnato. Sperando quindi conforto dall'aria nativa, dietro insistenza della madre e del medico, lo si lasciò andare ed egli edificò tutto il paese nativo colle sue virtù; ma disgraziatamente per la sanità questa andata a casa non gli giovò; poichè vissuto pressochè sempre nello stesso stato per circa un mese dovette, indebolito com' era, porsi a letto e dopo poco tempo, munito di tutti i conforti di nostra S. Religione, mandava l'anima sua a Dio.
Ecco come il suo sig. prevosto che lo assistette fino all'estremo, laconicamente ma sublimemente ci diè contezza della sua morte: « Confortato da tutti i soccorsi della Religione egli spirava nel bacio del Signore il giorno 20 Novembre 1883 alle 6 ½ di sera. Il giorno dopo fu tumulato solennemente ed un sacerdote ne fece l'orazione funebre, ben meritata. La famiglia Salesiana avrà un santo di più in paradiso ad implorare le divine misericordie e tutti un protettore che chiamerà la clemenza di Dio sopra di noi. »
Imitiamo questo confratello nella pietà nell'umiltà e nell'osservanza delle sante nostre regole e poco per volta potremo renderci meno indegni della Congregazione, che è come nostra madre e del cielo cui dobbiamo sempre volgere gli sguardi come a vera nostra patria. {76 [84]}
Il giovane chierico Francesco Zappelli, che il dì dell'Immacolata, 1883, dal collegio di Alassio volava al cielo per festeggiare la Madre Santissima da lui tanto amata quaggiù in terra, praticò in tutta la sua vita tali e tante virtù, che giova non lasciarle cadere inosservate; ma anzi raccoglierle studiosamente, potendo esse tornare a nostro incoraggiamento ed a nostro esempio. Esso fu un vero esemplare che il buon Dio volle mandare specialmente per i chierici della nostra Pia Società. Fu come una stella che ornò assai il firmamento Salesiano, sebbene per poco tempo; e rischiarò tutti coloro che ebbero la sorte di osservarlo da vicino; fu un vero dono che per sua misericordia il Signore si volle degnare di farci, sebbene, ahi troppo presto ce l'abbia tolto! Ond'è che anche per questi brevi ed inadeguati cenni biografici che daremo, ci ripromettiamo che non solo tutti prenderanno ad ammirarlo, ma molti riceveranno slancio per imitarlo.
Nacque Francesco da agiati e buoni genitori, che furono il Signor Pancrazio Zappelli e Francesca Lodi, in Amelia, ameno villaggio dell'Umbria nel 1862; ma fin dai suoi più teneri anni fu trasportato dalla famiglia presso la città di Trevi, diocesi di Spoleto, ove passò i suoi anni prima di andare all'Oratorio di S. Francesco di {77 [85]} Sales in Torino. La sua buona mamma lo consacrò al Signore fin dal momento della sua nascita ed esso corrispose sempre all'educazione che riceveva. A quanto pare, fu veramente una di quelle anime fortunate, che, prevenute dalla divina grazia, non perdettero mai la stola dell'innocenza battesimale.
Fin da fanciullo si mostrò fornito di tante virtù e diede a vedere tanto abborrimento al peccato che può dirsi crescesse gigante avanti a Dio. « Certo si è, scrive la sua buona genitrice, che la vita del mio Francesco fu sempre considerata da tutti come quella di una creatura veramente perfetta. All'età di tre anni io doveva lasciarlo solo in casa per andare ad assistere alla S. Messa della parrocchia nei giorni festivi; ed essendo paesi di campagna non ve n'era che una; ei non muoveva lamento; anzi nel ritornare in casa, io lo trovava sempre nella medesima posizione che gli avevo ordinata. Fatto grandicello di sei od otto anni, avendo io dei figli più piccini, nei medesimi giorni festivi me ne partiva tranquilla perchè ero sicura che egli adoperava tutta la carità che le sue deboli forze potevano somministrargli; quando io tornava mi raccontava pieno d'ilarità, come se l'era passata. Quindi doveva egli per ascoltare la S. Messa camminare più di due chilometri, e non badando alla rigida stagione, ed alle intemperie, sebbene così giovane, partiva senza far motto, e là in quella chiesa egli stava con tal contegno che molte persone si rallegravano poi meco dell'esemplare suo raccoglimento. » E qui, parlandosi della sua pietà nei primi anni, convien dire {78 [86]} qualche cosa della sua prima Comunione, della quale ci rincresce non avere tutti i particolari; ma basta il sapere che la fece con tale fervore, che venne ammirato da tutti ed il Parroco stesso ebbe a dire alla madre che aveva provato una grande consolazione al vedere il suo contegno affatto straordinario. Cade qui pure assai in acconcio il riportare un brano di relazione rilasciatoci dal vice Parroco della parrocchia, che era l'insigne Collegiata di S. Emiliano in Trevi. Ei dice: « Per circa dieci anni che dimorò in questa parrocchia di S. Emiliano, ha menato sempre una vita esemplare con i suoi ottimi costumi dando segni non equivoci di religiosa pietà, con frequenza dei SS. Sacramenti, e con affettuosa divozione verso la religiosa immagine di Maria SS. delle Lagrime, a cui prestava assiduamente la sua servitù nelle Sacre Funzioni ed in altri religiosi esercizi. »
Il punto sul quale ben di sovente anche i giovani buoni danno fastidii ai loro parenti si è o per alterchi che van facendo coi fratelli e compagni o per negligenza nei doveri di studio ma anche in ciò il nostro carissimo Confratello fu sempre esemplare. A questo riguardo sentiamo ancora la madre: « Col fratello maggiore, d'indole assai vivace, Francesco seppe, colla sua docilità, mantenere sempre buona e perfetta armonia, ancorchè ricevesse da lui qualche torto. Dovendo poi frequentare le scuole comunali, dove si spesso succedono fra alunni altercazioni, egli seppe maestrevolmente evitarle, benchè avesse giusti motivi di risentirsi, e benchè la sua bontà, servisse di pretesto ad alcuni, per approfittarsene. Il maestro del villagio {79 [87]} era poi così contento della sua condotta, e dell'esattezza nello studio, che lo mostrava per modello agli altri. » Era anche dotato di grande ingegno, cosicchè sempre primeggiava fra i compagni, sebbene la sua umiltà e l'indole sua naturalmente quieta e taciturna lo facesser comparire quasi zotico a chi non l'osservava attentamente; e tutti gli anni riportò il premio, meno uno, che fu l'ultimo che passò nelle scuole pubbliche; ma la causa per la quale fu privato di tale onore, assai più di cento premii fece vedere la sua saviezza e virtù. Frequentava egli le scuole tecniche: era direttore un uomo che avea rinnegata la sua religione. Fra i libri che questi faceva usare nella scuola uno ve n'era assolutamente cattivo. Accortasene la vigile madre, a cui giustamente più stava a cuore la bontà del figlio, che una falsa erudizione, senz'altro glielo stracciò. Ritornato a scuola e fatto recitare, contro ogni usato, non sapeva la lezione, e richiesto della cagione, colla solita sua ingenuità, raccontò l'accaduto in casa ed il motivo. Il professore salito su tutte le furie lo sgridò acremente e giunse a minacciargli l'espulsione dalla scuola. Il sensibilissimo cuore di Francesco fu talmente colpito dal rimprovero del maestro che giunto a casa pallido e smorto non potea quasi profferir parola e poco dopo fu preso da una forte febbre che per ben due giorni lo obbligò a letto. Ma in questa occasione anche meglio si conobbe la squisita bontà di Francesco, il quale non osò fare il minimo lamento nè verso la madre che era stata la causa, nè verso il professore che ingiustamente si era sfogato contro di lui. Ad ogni modo però egli fu riammesso, {80 [88]} poichè l'ispettore scolastico, saputa la cosa, obbligo il professore a ritenerlo; ma in fine dell'anno i suoi voti si trovarono tutti scadenti assai; della qual cosa Francesco giammai si querelò benchè ne sentisse vivissimo dispiacere.
Pare che questo avvenimento fosse permesso da Dio anche per far conoscere alla buona mamma il pericolo che correva il suo Francesco se continuava a frequentare le scuole pubbliche, ed a lui medesimo quanto sia fallace il mondo e con quante insidie trami a danno della povera gioventù. La madre adunque, con gran gioia di Francesco, cercò qualche religioso istituto ove colla pietà si attendesse anche allo studio con più alacrità, che non nelle altre scuole, ed avendo udito parlare da varii parenti che essa aveva in Lucca dell'Oratorio Salesiano da poco tempo aperto in quella città, e delle opere straordinarie che si raccontavano di D. Bosco, fu lieta di poter affidare il suo gioiello, come lo chiamava, nelle mani di così esperto educatore e ben presto chiese ed ottenne che il suo Francesco fosse accettato come alunno della prima ginnasiale nell'Oratorio di Torino. La madre sentiva bensì grave il lasciar partire un sì caro figlio, ma vinse in lei il desiderio di vederlo crescere buono e timorato di Dio: anche al figlio rincresceva l'abbandonare il grembo di così buona mamma accanto a cui avea sempre vissuto; ma lo fece partire, non solo rassegnato ma anche esultante, il desiderio che fin d'allora era in lui prepotente della scienza, e più ancora quello di poter frequentare con comodo le cose di pietà. - Quando poi ancor meglio potè capire il benefizio grande che fu per lui l'esser venuto nelle case {81 [89]} di D. Bosco, allora tutto gongolava di gioia e Dio e Maria SS. sanno quanti ringraziamenti loro rese per tale grazia.
Arrivava pertanto all'Oratorio di Torino nell'autunno del 1878, ove subito trovò quanto gradiva il suo cuore. Maria SS. Ausiliatrice se lo prese sotto il suo manto; e quegli che in casa era stato un buon figliuolo, all'Oratorio fu un allievo modello a tutti, sebbene la sua umiltà sapesse tanto nascondere le virtù onde era fornito, che presso i compagni non dimostrò nulla di straordinario e generalmente poco si badava a lui. Alcuni condiscepoli interrogati risposero: noi non ricordiamo di lui neppure una mancanza per piccola che fosse, ma neppure in particolare non ci fermavamo mai a pensare sul suo conto poichè non avea niente di singolare. Ma chi osservava a fondo le sue azioni, ed i suoi Superiori in particolare, non tardavano ad accorgersi della straordinaria puntualità in tutto ciò che era suo dovere e della perfezione colla quale faceva riflessivamente tutti i suoi atti e come già fin d'allora possedeva le virtù anche più difficili per un giovane. E per accennarne qualcuna, dirò che nelle cose di pietà si mostrò subito provetto. Sua prima cura fu procurarsi un direttore spirituale e prese a frequentare tosto i SS. Sacramenti; le orazioni poi le recitava in contegno grave e con tutta la compostezza, ben mostrando come accompagnava colla mente le parole. Si unì tosto a quella eletta schiera di giovani che dopo il pranzo e la cena si raccolgono ai piedi di Gesù Sacramentato e di Maria SS. Ausiliatrice per render loro omaggio; e fra essi si mostrava dei più raccolti, e prolungava {82 [90]} d'assai le visite, specialmente quando erano più lunghe le ricreazioni. Nelle novene o mesi che si usano fare all'Oratorio in onore della Madonna, di S. Giuseppe, del Sacro Cuore di Gesù, egli non mai mancava a quelle pratiche divote che molti giovani facevano di loro spontanea volontà, nelle ore di ricreazione; anzi ben presto si fece esso stesso esemplare conducendo altri. Fino dai primi tempi che si trovava fra noi chiese ed ottenne di essere dei membri delle compagnie di S. Luigi e del SS. Sacramento; ed accettato ne osservò le regole puntualmente. A prova di ciò, tacendo della sollecitudine nell'intervenire alle conferenze, dell'esemplarità e precisione nelle pratiche di pietà e nel dare buoni consigli, mi piace ricordare come una delle regole dice di assistere i confratelli ammalati per quanto lo permettessero le altre occupazioni. Egli amava tanto questo ufficio. Quando sapeva esservi qualche grave ammalato andava dal Signor Direttore, a chiedere permesso di vegliarlo di notte e faceva questo con tanta carità che tutti desideravano la sua compagnia. Fra i confratelli del SS. Sacramento i più esemplari si scelgono per far corona in veste talare e cotta all'altare nelle più solenni funzioni che si celebrano nel santuario di Maria SS. Ausiliatrice: di questi era pure il nostro Francesco, ed era bello il vedere l'impegno col quale cercava di ben apprendere e compire le sacre cerimonie, sebbene ne avesse poca naturale attitudine. Anche fu notevole in questo per la sua perseveranza, poichè avviene con frequenza, che varii frequentino le cerimonie ed il clero, con gran fervore per un po' di tempo, mentre sono nelle scuole inferiori e poi si lascino prendere {83 [91]} dal rispetto umano e si svoglino e lascino tutto: egli fu costante fino al fine ed era bello il vederlo anche durante l'anno di 5a ginnasiale, mentre già i gravi studii lo occupavano, non credere che fosse perduto il tempo che dava per prepararsi al perfetto servizio dell'altare. Un'altra cosa che ci fa capire a qual grado elevato arrivasse la sua pietà, si è che al termine di ogni anno invece di agognare alle vacanze, come dai giovanetti si suole, egli desiderava di abbreviarle per quanto era possibile. E già fin dal termine del primo anno di ginnasio pregò ed ottenne di ritardare le vacanze per poter prendere parte ad una muta di esercizi spirituali che ogni anno si tiene dalla Congregazione circa la metà di Agosto; e questo fece in tutti gli anni consecutivi, sebbene i calori fossero grandi e sua mamma insistesse per averlo presto a casa.
Che se noi dalla pietà passiamo allo studio troviamo in lui non minore impegno. Fornito di buon ingegno e memoria, e grandemente amante del sapere, occupava talmente il tempo che sempre primeggiò fra i numerosissimi compagni. Giammai alcun maestro dovette in lui lamentare alcuna mancanza o negligenza, ed i suoi sforzi finivano sempre coll'avere la meritata corona quando all'esame finale otteneva il primo premio con un attestato a pieni voti.
Con riuscita non meno buona della pietà e dello studio procedevano in lui le virtù; ma per non andare a lungo nel loro racconto credo solo di far notare l'amorevolezza e carità che usò sempre coi compagni. Con tutti era carissimo amico ed affabile coi più cattivi come coi più buoni, coi più avanti nello studio come coi più {84 [92]} indietro; questi poi con ogni sollecitudine cercava di aiutare, ed egli stesso ogni qualvolta poteva si esibiva; ma con sì bel modo che pareva non lui insegnasse, bensì volesse egli medesimo essere aiutato e soleva dire: in due ci si vede meglio; ciò che uno non sa o non ricorda, lo sa o lo ricorda l'altro. Intanto però usava tutta la prudenza necessaria onde altri appoggiato a lui non trascurasse di fare il possibile, da parte sua, sebbene a vero dire qualcuno poi si abusasse della sua bontà, ed anche gli facesse avere qualche dispiacere; ma egli tetragono a tutto non si offese mai per gli scherzi dei compagni.
Con una condotta così edificante passò e terminò i suoi studii ginnasiali all'Oratorio di Torino; ma non è a pretermettere il come impiegasse quel po' di tempo che passava in famiglia, secondo che ci racconta la sua buona mamma: « Le vacanze le passava ritirato in casa, senza divertimenti e senza compagni, ed i suoi discorsi cadevano sempre in lode dei Superiori dell'Oratorio e della bellissima vita che vi si mena; nè saziavasi di raccontare del bello e del buon andamento dell'Istituto, della bella chiesa di Maria Ausiliatrice e delle grandiose funzioni che in essa si fanno, delle mirabili opere di D. Bosco e di cento altre cose per cui era compreso di venerazione. Nutriva ardente desiderio di ritornare presto all'amato nido, e cercava sempre di affrettare la partenza, benchè si trovasse assai contento in famiglia, perchè molto amato; ma diceva che qui gli pareva di perdere troppo tempo, non potendosi applicare assiduamente allo studio... {85 [93]} Nelle ultime vacanze e proprio nelle ultime ore, prima che partisse l'ultima volta per Torino, mi avvenne un fatto che io non saprei come spiegare, ma che ad ogni modo ora mi accorgo chiaramente che fu provvidenziale. Stando egli adunque a sedere presso il tavolino ove soleva scrivere, io vedendo vicina la partenza sua, non mi sapeva scostare da lui, e gli parlava ora dell'una ora dell'altra cosa, e gli davo dei ricordi; quando senza avvedermene io mi trovo in ginocchio presso di lui. È vero che io amava svisceratamente il mio Francesco, ma non aveva mai pensato di fare un atto simile. Questo inginocchiarmi quasi istintivamente senza il concorso della mia volontà, mi è stato continuamente nella memoria. Oh sì, Francesco, io allora non lo sapeva e neppure me lo immaginava: quella fu l'ultima volta che ti vidi; era il Signore che istintivamente mi fece inginocchiare ai tuoi piedi, per farmi capire sempre più che tu eri un santo! »
Ritornato pieno di giubilo tra gli antichi, ben amati compagni e tra i venerati Superiori a Torino, subito riprendeva con tutta alacrità gli interrotti studii e le buone pratiche degli anni antecedenti.
L'anno di 5a ginnasiale, sia per l'ingegno già un po' più sviluppato, sia per l'età che va crescendo, riesce assai volte di dissipazione ai giovani ed a varii anche di indietreggiamento nella via della pietà e ben anche di rovina; ma non fu così pel nostro Francesco, il quale anzi andò sempre progredendo e più che mai cercava di dare a questo o a quello dei compagni quei buoni suggerimenti che gli {86 [94]} si porgevano opportuni. Si unì a tal uopo con alcuni dei migliori e di più avanzata età e si adoperò a tutt'uomo per far anco del bene nei compagni sostenendo i deboli ed incoraggiandone altri ad abbracciare la vita religiosa a cui sentivasi esso inclinazione. Alla fine dell'anno egli pure si presentò alla licenza ginnasiale e ne ebbe una buona promozione.
Ma qui era venuto il tempo di fare la scelta dello stato e vedere qual via avrebbe dovuto seguire per tutta la sua vita. Perciò non solo volle in questo anno, come negli altri, accorciare le vacanze per fare una buona muta di Esercizi Spirituali; ma volle privarsi affatto delle vacanze presso i parenti per poter meglio pensare al passo che desiderava fare e per acquistar maggior vigore e lena nelle virtù, per poter poi nell'anno prossimo, come sperava, fare un buon noviziato e prepararsi alla professione religiosa a cui tanto agognava. Per prima cosa adunque si presentò al Signor D. Bosco a chiamargli consiglio, assicurandolo che dal dì che aveva messo piede nell'Oratorio aveva sempre mantenuto quel desiderio, avendo sentito come una voce insistente che gli diceva: tu devi farti religioso Salesiano. Recatosi, dietro consiglio di D. Bosco, a S. Benigno Canavese, dove avevano luogo gli Esercizi Spirituali passò giorni di paradiso nel sacro ritiro; ed alla fine, conoscendo questa essere volontà di Dio e partito più vantaggioso per l'anima sua, chiese di far parte egli pure della pia nostra società di S. Francesco di Sales. Avuto notizia che era stato accettato, oh quanto giubilo, oh quanti ringraziamenti al Signore! Solo il buon Dio lo sa! Più volte palesò anche ai compagni la grande grazia {87 [95]} che teneva di aver ricevuta da Dio in tale occasione, e per questo pensiero si fu che non mai si permise la pia piccola trascuranza nei doveri suoi in tutto il tempo che rimase tra noi sia come ascritto sia come professo, e soleva dire che temeva sempre di dover dopo morte dar conto a Dio di qualche mancanza dopo una grazia così segnalata che Dio gli aveva fatto nel chiamarlo allo stato religioso. Di qui ne nasceva quell'esattezza assoluta nell'osservare indistintamente tutte le regole anche più piccole, cosa che fu il suo distintivo per tutto il tempo che fu a S. Benigno, quel compiere immancabilmente i doveri di studio ed in generale quell'impiegare bene ed utilmente fin l'ultimo ritaglio di tempo, quel sopportare sempre pazientemente, ed anche volentieri tutti quegli incomodi o di sanità, o di intemperie o provenienti dai compagni, che spesso gli avvenivano. Nella carità e pazienza coi compagni poi si segnalò in sommo grado. In certi tempi in cui era permesso stare nello studio da chi voleva, per lo più egli si stava nel suo posto tutto intento a ben compiere un lavoro; pure, richiedendolo alcuno dei compagni di qualche schiarimento, fu osservato fino a troncar la parola per volgersi con faccia ilare a soddisfarlo. Con frequenza si è dai compagni osservato com'egli provasse grande consolazione quando riusciva a far capire qualche difficoltà ad un compagno; questa volta, diceva, sono riuscito anch'io a fare un piacere ad un confratello. In ricreazione poi negli altri tempi e sempre di tutto buon grado, usava tale carità e quasi si mostrava soddisfatto più egli del favore che faceva di quello che potesse esserlo chi l'avea ricevuto. {88 [96]}
Per riguardo alle pratiche di pietà poi, tale era il raccoglimento suo in esse che tutti ne erano edificati e ciò principalmente quando cessavano le preghiere in comune, ed egli a suo piacimento si abbandonava nelle braccia di Gesù ed entrava nel suo dolcissimo Cuore, di cui era specialmente divoto. Così può dirsi delle sue visite che non mancava mai di far più volte ogni giorno. Ma se si voleva proprio godere un dolce spettacolo bisognava rimirarlo dopo la S. Comunione, che dal dì in cui fu accettato come ascritto fece quotidianamente.
Si diè poi oltre che all'obbedienza a professar la castità e la povertà religiosa. E per quanto spetta alla povertà non solo non tenne mai danaro ed ebbe sempre il cuore distaccato dalle ricchezze e dalle comodità, ma si dimostrò sempre pienamente soddisfatto di tutto ciò che gli capitava, anzi bramava di essere trattato come l'ultimo; e qui racconteremo un paio di fatti a tal proposito tra i molti che ricordiamo. Già molto inoltrati nella stagione fredda un compagno si accorse che era ancora vestito da estate e chiesto perchè non si coprisse di più, rispose che il freddo non lo tormentava ancora molto e che c'erano altri più bisognosi di lui; eppure tanto dalle sue parole di altre volte, come dall'essere originario di paese più caldo ognun di noi sapeva che molto lo molestava il freddo. Così pure altra volta essendosi recati in altra casa a passare le vacanze autunnali, ciascuno si fece sollecito nel dormitorio a cercarsi un letto e un luogo adattato e comodo; egli nulla di tutto questo: aspettò che gli altri si fossero accomodati; e poi con tutta allegria prese per sè il primo che trovò il quale non era certo troppo adattato alla sua persona molto alta essendo un letto assai {89 [97]} corto; eppure vi dormì contento per tutto il tempo di vacanza. Interrogato da un compagno perche fin da principio non si fosse scelto un letto più adattato e non ne avesse parlato in seguito, rispose: « ciò che resta dopo che tutti han scelto, per me è sempre buono. » Altra cosa che si osservò pel suo amore alla povertà fu che, servito in varie circostanze ben male di calzatura e di biancheria, non fece mai osservazione di sorta, e più di una volta lo si vide tutto tranquillo passeggiare e correre sebben avesse le calze ragnate o di colore indebito e quasi godere che in quelle meschinità fosse dagli altri osservato.
Così per conservare la bella virtù, come egli stesso lasciò intendere ad un compagno, sovente si asteneva, per mortificarsi, or da una cosa ora dall'altra, coprendo sempre la sua mortificazione con una scusa che non lasciasse intravedere il santo fine che si proponeva; ed è con le lunghe e prolungate mortificazioni che riuscì, come un giorno si lasciò scappare ad un compagno, a domare le inclinazioni al male che di tanto in tanto gli venivano. Si pose anche a fare da Apostolo tra i compagni: gli pareva d'aver perduto tempo ogni ricreazione in cui non avesse detto qualche buona parola o dato qualche buon consiglio. Soleva ripetere molte volte, per animare sè ed altri, quel che diceva S. Alfonso, che cioè da un noviziato ben fatto dipendeva tutta la sorte di un religioso. Per invitare a preghiera gli erano famigliari queste parole: Come il nostro corpo ha bisogno del cibo materiale per sostenersi, così l'anima ha bisogno d'essere nutrita coll'alimento dei Sacramenti e della preghiera.
Con queste disposizioni si vedeva avvicinare il {90 [98]} giorno tanto sospirato dei santi voti. Vi si era con grande fervore preparato per tutto l'anno di prova, menando la vita sopra descritta; ma in quegli ultimi giorni raddoppiò ancora le preghiere e la puntualità nei suoi doveri e la vigilanza nel far bene tutte le sue azioni. Quando poi li ebbe emessi, contento e grato a Dio del compimento della grande grazia, che da molto tempo chiamava al Signore, non rifiniva di ringraziarne la Madonna, per cui intercessione diceva d'averla ottenuta. La grande allegrezza che aveva in cuore in quei giorni non poteva a meno di trasparirgli al di fuori ed in tale circostanza tutto promise a Dio di fare per la sua maggior gloria, e con tali buoni pensieri cominciò il secondo anno di filosofia, perseverando nella santa vita dell'anno antecedente e dandosi a tutt'uomo allo studio sì sacro che profano mirando sempre ad abilitarsi per poter poi un giorno riuscir utile a molte anime. Ogni briciolo di tempo, perfino le conversazioni in ricreazione cercava gli tornassero utili, e così alla fine dell'anno con una buona riuscita trovò coronati i suoi sforzi.
Un difetto poi che con frequenza capita anche tra i buoni e tra gli adulti è di lamentarsi del troppo lavoro o lezione o dei voti che si ottengono pei medesimi. Egli si mise a cercar mezzi per ovviare a questo inconveniente tra i suoi compagni, ed alcune volte che essi si sforzavano per fargli vedere che esso stesso aveva ricevuto torto in questi voti, egli tutto pacato diceva: questo che voi credete abbia a riuscirmi di danno io vi dirò che mi è di vantaggio, poichè ciò che so nessuno me lo toglie, e avendo voti scadenti ho un motivo ed una spinta di più per studiare. {91 [99]}
Come abbia passato in generale la sua vita in San Benigno, si può ricavare dalle segnanti parole pronunziate a suo riguardo dal direttore di detta casa, parole indirizzate in una conferenza ai compagni del defunto. «.... Vorrei in modo particolare che tutti imitassimo questo nostro confratello nell'esattezza che pose ognora nell'adempire i proprii doveri. Infatti egli non ebbe mai bisogno d'assistente, facendo tutte le cose per dovere, cioè perchè Iddio lo vuole e ne è contento. Dovremmo sforzarci ad imitar la sua carità fraterna. Vi ha forse qualcuno di voi che possa asserire d'aver ricevuta una sola parola piccante? parlo a voi che per due anni gli foste continuamente vicini. La sua umiltà non fu anche ammirabile? Egli in ogni tempo fu sempre dei primissimi della classe; pure fu costantemente umile e timoroso; e sempre lavorava e tenevasi basso. E la mansuetudine di S. Francesco di Sales che tanto bene egli imitava? Egli mai fu visto in collera. È vero che in parte era in lui disposizione di natura quella placidità che lo distingueva; ma anche in buona parte fu per l'impegno e per lo sforzo fattosi. Imperciocchè, sebbene non si abbia la natura collerica, crescendo in età, l'ira colle occasioni può facilmente farsi ben pericolosa; ma egli la represse ne' suoi germi, anche in quelle cose che non sono peccati ma difetti di natura. E la sua divozione? non fu già apparente, ma ben soda: stava in Chiesa con indicibile raccoglimento. Lasciò forse una sola volta la SS. Comunione? E nella povertà, nella castità, nell'ubbidienza v'accorgeste voi mai ch'egli abbia mancato in qualche cosa? Ditelo voi che da due anni continui gli siete stati ai {92 [100]} fianchi! Io non vorrei che questa morte ci arrecasse spavento, no; ma vorrei che ci arrecasse gran frutto; io desidererei che vi faceste buoni come lui, e non temerei dire che avreste già fatto molto. Eppure esso si fece tale vivendo qui, proprio qui, in questa scuola, in questo cortile, in questa cappella, in queste camere. Dunque incoraggiamoci a far bene; che se così faremo, potremo un dì essergli compagni in cielo a lodare e benedire il Signore per tutti i secoli.
Non esito nel dire queste parole; poichè son persuaso che sia volato subito in paradiso e non credo azzardato il dire che se qualcuno di voi abbisogna di qualche grazia si raccomandi pure a questo compagno; poichè come i santi tutti hanno special cura dei loro divoti, così esso che vede meglio che altri le vostre necessità, le vostre circostanze, per voi specialmente che lo amaste sempre e gli avete anche resi dei servizi non mancherà di ottenerle dal buon Dio ai piedi del cui trono già sono persuaso che sia prostrato. »
Terminata la seconda filosofia, dopo essersi corroborato e rinfuocato coi ss. Spirituali Esercizi, partiva per la nuova sua destinazione; poichè essendovi bisogno d'un buon maestro nel collegio di Alassio si era giudicato di mandar lui. Egli accolse volentieri questo mezzo che i Superiori gli porgeano di cominciar a lavorare. Tutto contento si dispose alla partenza per recarsi a fare un po' di bene ed appena giunto al suo destino, con tutto impegno intraprese la scuola affidatagli e fece conoscere ai suoi nuovi Superiori, che nel caro Francesco avevano acquistato un angelo ed un forte braccio pel buon andamento di quella parte del collegio {93 [101]} che da lui dipendeva. Ma qui giova lasciar parlare il direttore di quella casa, il quale, richiesto, diede la seguente relazione.
« Il Ch. Francesco Zapelli non dimorò in questa Casa che due soli mesi, dall'8 ottobre all'8 dicembre 1883, ma in questo poco tempo diede a divedere tal virtù, quanto raramente s'incontra anche nei più provetti nella perfezione religiosa. Esattissimo nei suoi doveri, non fu mai veduto mancare neppure una volta nè in fatto di puntualità a trovarsi a suo posto, nè per diligenza nell'adempirli. Fedele alle pratiche di pietà raccomandate dalla Congregazione, non ne lasciò mai neppur una in tutto il tempo che io l'ho qui conosciuto. Non parlo della sua affabilità, della sua pazienza e di quella così amabile umiltà che accompagnava ogni sua parola, ogni suo atto e ornava, direi quasi, tutta quanta la sua persona. Nè tralasciava quei mezzi, che la più ingegnosa carità suggerisce a chi vuol davvero coll'istruzione della mente provvedere all'educazione del cuore della gioventù. I suoi allievi di 1a ginnasiale raccontano ancor ora come nel correggere i compiti di casa (ciò che egli faceva con la più scrupolosa cura), fosse solito aggiungere, dopo il giudizio in punti, alcune parole or di conforto, or di schiarimento, or di ammonizione, sempre però improntate della più squisita carità.
Ma dove appariva sopratutto a qual alto grado di perfezione fosse già arrivato pure in sì giovane età era in quello spirito di fede e di raccoglimento, che lo guidava ne' suoi esercizii di pietà e nel candor di purità la più delicata che gli traspariva persin dal volto. Il suo contegno {94 [102]} nella SS. Comunione, che egli non lasciò mai di fare ogni giorno, l'avresti detto piuttosto d'un serafino che d'un nomo. Come era santamente bello contemplarlo in quell'estatica unione con Gesù! E ben se lo meritava questo dono ineffabile, ove si consideri quell'angelica purità che l'accompagnò fino alla tomba o meglio al paradiso. Io non lo conobbi che poco tempo, ma in questo poco mi parve davvero ammirabile in questa virtù, la cui pratica non costituiva già più per lui uno sforzo, ma era divenuta una seconda natura. Confesso che io lo guardava con un sentimento di venerazione e spesso dissi fra me: ecco un chierico modello in cui non si saprebbe davvero trovar difetto alcuno volontario.
Ma vi son due fatti, l'uno al principio, l'altro al termine della sua dimora in questa casa che mi hanno particolarmente colpito. Era egli da poco arrivato, quando un giorno mi si avvicina in giardino e domanda di far il suo rendiconto non già di un mese soltanto, ma di tutta la vita. Ella è incaricata, mi disse, di dirigermi e di guidarmi nella via che conduce al paradiso; è dunque necessario che mi conosca pienamente. E tosto si pose a raccontarmi per filo e per segno tutta quanta la sua vita con tal sincerità e candore, quanto non potrebbe desiderarsi maggiore nel Sacramento della penitenza. L'altro fatto appartiene all'ultimo giorno della sua vita. Infermiccio da qualche tempo pur continuava le sue occupazioni come se nulla fosse. Lo feci visitare e curare raccomandandogli riposo e riguardi, senza però mai sospettare che la sua fine dovesse essere così vicina. Ma pur troppo il male vi era e abbastanza grave, benchè egli per virtù {95 [103]} lo nascondesse. Me ne accorsi sopratatto una notte nel far una visita al dormitorio, dove egli assisteva, da una grande difficolta e penosita di respiro. Lo chiamai tosto al mattino, lo esonerai totalmente dalla scuola e gli feci usare tutti i possibili riguardi. E come il male, non accennava a scemare, fu collocato nell'infermeria, perchè vi fosse più particolarmente curato. E veramente pareva che in pochi giorni dovesse ripigliar le sue occupazioni, cessata la febbre, scemato l'affanno; sicchè il medico lo giudicava come guarito e tale da poter alzarsi e con qualche giorno di convalescenza ritornare alle sue occupazioni. Ma pur troppo non fu così. Nella notte dal 5 al 6 dicembre l'assalse una febbre fortissima con delirio; viene il medico e trova essersi manifestata una febbre tifoidea con ingorgo ai polmoni. Quanto soffrissi a questo doloroso annunzio, Dio solo lo sa. Prevedeva di dover perdere una gemma di confratello che per le sue virtù era per me d'esempio e di conforto. Lo feci tosto col consiglio del medico trasportare in una camera vicina al mio Ufficio, sì perchè più acconcia per un malato, come per poter più facilmente e più spesso visitarlo e intrattenermi con lui. Cosa singolare! delirante quasi sempre pure non avvenne mai che accostatomi al suo letto e chiamatolo per nome non rinvenisse ripigliando l'uso delle sue facoltà mentali, sicchè potè confessarsi e comunicarsi in piena conoscenza di se stesso. Ed oh! quale ineffabile commozione non destò in tutti gli astanti quel suo atteggiamento più che umano, quell'angelica disposizione con cui ricevette l'ultima volta nel suo petto il Dio del suo cuore, quel Gesù che avea {96 [104]} formato l'oggetto costante de' suoi desiderii, de' suoi sospiri! Ma un timore m'aveva poco prima per un istante angustiato. Non sarà egli che raddoppi i suoi assalti il demonio in questi ultimi momenti? E questi assalti diretti sopratutto contro la più bella delle virtù, la purità, non sarà a temere che riescano ad appannarne il candore? Non può essere che qualche cosa siavi o del passato o del presente che desti su tal punto una ragionevole inquietudine? Chi si conosce di assistenza spirituale di ammalati sa che questo timore ha pur troppo in tanti casi il suo fondamento. Questo timore poi era anche accresciuto in me dopo la visita del medico parendomi di veder in lui un non so che di moral agitazione. Prima pertanto di ritirarmi gli domandai se nulla veramente avesse che l'inquietasse, fosse anche solo minimamente, di contrario alla virtù della purità. Mi guardò egli, sorridendo alla mia domanda e con cenni e con quel poco che ancora aveva di voce mi assicurò che non solamente avea nulla che su tal punto lo inquietasse, ma che non sentiva omai più da assai tempo neppur tentazioni di tal genere; essere quindi colla grazia di Dio perfettamente tranquillo in tutto e per tutto. Queste cose me le espresse con tal aria di serenità e di franchezza, che mi commosse alle lacrime e mi ritrassi consolato per una parte, ma addolorato per l'altra al pensiero di perdere fra breve un angelo, anzi che un confratello. Nel ritirarmi gli chiamai se sarebbe stato contento di poter assistere in paradiso alla festa della B. V. Immacolata e mi rispose che lo desiderava immensamente. E così avveniva pur troppo poche ore {97 [105]} dopo, giacchè verso l'una antimeridiana del dì 8 Dicembre spirava placidamente l'anima beata colla bocca sorridente e gli occhi al cielo senza un minimo strepito nè movimento. Ricevuta appena la benedizione papale volava a far la festa di Maria Immacolata in paradiso.
Compieva allora il ventesimo anno; battezzato il dì di Maria Immacolata del 1863, questa tenerissima Madre, di cui era tanto divoto, se lo pigliava con sè nel giorno della medesima festa del 1883. Si fecero tosto preghiere e comunioni e si celebrarono messe per l'anima sua; ma era comun sentimento di quanti lo conobbero che di nulla omai più abbisognasse l'anima sua già partecipe dei gaudii del paradiso. Questo sentimento crebbe e si estese anche più dopo la guarigione straordinaria del giovane Gentile Giulio, avvenuta alcuni giorni dopo, ed annunziata nel Bollettino Salesiano di Febbraio ultimo scorso, guarigione ottenuta dal Sacro Cuore di Gesù per intercessione del caro Zappelli, che della divozione del Sacro Cuore era stato così tenero e zelante promotore. Gli fu fatta solenne sepoltura il di 9 dicembre e la sua salma tumulata in luogo riservato del cimitero, sovra cui venne collocata una lapide con la seguente iscrizione:
QUI RIPOSA LA VENERATA SPOGLIA
DI
FRANCESCO ZAPPELLI
DA AMELIA
CHIERICO SALESIANO
CHE GIOVANE D'ANNI E MATURO
ABBANDONAVA QUESTA TERRA PEL CIELO
ALASSIO, 8 DICEMBRE 1883 {98 [106]}
O ANIMA BENEDETTA
VEGLIA DALL'ALTO SOPRA I TUOI CARI
CHE QUASI NON OSANO LAGRIMARTI
PERCHÈ CHI MUORE DELLA TUA MORTE
MERITA ANZI INVIDIA CHE PIANTO
Non debbo neppur omettere che nello scoperchiare la tomba un mese dopo la morte pe' lavori che vi si dovevano eseguire, fu trovato il suo corpo quasi perfettamente intero. Abbiam fatto una grande perdita qui in terra; ma abbiamo un intercessore di più in cielo. »
Ora ci sia ancor lecito in forma quasi di appendice recare qui due documenti: il primo è una piccola orazione funebre che un suo antico compagno di scuola, quando Francesco era ancor a suo paese, disse in presenza degli altri suoi compagni, la quale ci fa vedere in quanta venerazione fosse sempre stato tra loro; il secondo è una lettera del suo ultimo direttore indirizzata al signor D. Bosco dove si racconta d'una grazia straordinaria ottenuta dal Sacro Cuore di Gesù per intercessione del nostro Zappelli, lettera già pubblicata nel Bollettino Salesiano del Gennaio 1884.
« Beati mortui qui in Domino moriuntur. »
« Il mesto rito che oggi per sentimento di cristiana pietà, si celebra in questo tempio, le nere gramaglie che velano questo feretro, i flebili rintocchi dei sacri bronzi, che lenti lenti sento echeggiare nell'aere, e che dolorosi scendono nel mio cuore, mi ricordano questa mattina, diletti {99 [107]} miei compagni, la repente ed immatura morte del nostro compagno ed ottimo giovine Francesco Zappelli.
Una lagrima di tenera compassione spunti sul nostro ciglio a significare il profondo dolore che sentiamo per tanta perdita: si sciolga, si sciolga affettuosa una prece a suffragio dell'anima del nostro più caro, affettuoso amico e collega. Egli dotato dei più nobili sentimenti, sì buono, sì modesto, sì rispettoso con tutti, esattissimo sempre nell'adempimento de' suoi doveri, chierico esemplarissimo; in quel che desioso aspirava al santuario, nel verde aprile della vita, or son pochi giorni veniva sciolto dai lacci di questo misero frale, per volarsene al cielo a ricevere il premio delle sue rare virtù. E mentre ci rattristiamo non poco della perdita del caro estinto, consoliamoci, anzi godiamo nella dolce speranza, direi quasi nella certezza che egli ha già raggiunto la sorte dei giusti, e che è ito a godere in eterno quel Dio che con tanta fedeltà ed amore servì su questa terra. È bensì vero che non ostante i motivi che abbiamo di rallegrarci alla sorte beata che ha già raggiunto, sul momento non ci è possibile marginare la cruda ferita che tuttora viva e sanguinosa abbiam nel nostro cuore, ma se non possiamo marginarla rendiamola meno sanguinolenta con una vera rassegnazione.
Ah triste pensiero! poichè finì i suoi giorni in una età così verde, in quel che tutto intorno gli sorridea, lontano dal suo paese diletto, senza il conforto della cara e desolata genitrice di cui formava con l'esemplarità della vita la più grande consolazione; senza vedere i suoi cari fratelli e le dilette sorelle che egli amava cotanto ci sentiamo {100 [108]} presi da sì acerbo dolore che non possiamo a meno di non rompere nelle più amare lagrime e pieni di angoscia esclamare: Ahi morte, morte! perchè hai tolto alla Chiesa così belle speranze? Perchè alla dolente famiglia la sua consolazione? Perchè a noi il nostro modello? Ora però a che valgono questi lamenti se è stata questa la volontà di un Dio a cui il solo pensier di resistere è grave offesa? Tutto che egli opera è per il nostro meglio: sì: Iddio nella sua infinita sapienza ha voluto togliere dai pericoli, inganni e lusinghe di un mondo traditore l'ornatissimo giovanetto Francesco Zappelli, lo ha chiamato a sè per meritamente retribuirlo delle sue virtù. Questo salutare pensiero è per noi gran conforto.
È vero, amico, la tua vita fu breve: ma fu santa, in sì breve spazio di vita già si è sparso per ogni dove l'odore soavissimo delle tue virtù ed è per questo che qui intorno al tuo feretro ne abbiamo voluti composti serti di rose e di gigli! Tu dormi placido il sonno dei giusti, e già ti bei, e ti bei per sempre di quelle delizie celesti riservate a quelli che imitano i tuoi esempi, e che han la sorte d'incontrare la morte beata siccome la tua.
Deh! o caro Francesco, prega per la tua amorosa madre che inconsolabilmente ti piange. Vedi in qual lutto ha gettato la tua morte le sorelle ed i fratelli tuoi carissimi! li consola. E a noi che stretti d'intorno al tuo feretro, deploriamo la tua perdita, ottieni da Dio conforto e pace. {101 [109]}
Alassio, 28 dicembro 1883.
AMATISSIMO SIG. D. Bosco,
Le scrivo col cuore consolato una notizia che riescirà pure a lei carissima. Ella ricorderà l'ultima mia lettera di pochi giorni sono, con cui le significava la malattia gravissima d'un egregio nostro alunno, certo Gentile Giulio da Tortorici, il dolore immenso che io ne sentiva, e come la guarigione sua la si attendesse solo da un miracolo del S. Cuore di Gesù per l'intercessione di quel caro nostro angelo, del chierico Zappelli, che il dì dell'Immacolata Concezione volava a far la festa di Maria in Paradiso. Ebbene: la grazia fu conseguita, e quello che umanamente non si poteva sperare si ottenne in modo, che si può dire miracoloso. Vossignoria ha dunque da sapere, che il giovane Gentile fu colpito il 14 corrente da febbre maligna violentissima che durò senza intermissione alcuna, lo trasse in breve al delirio e ad una spossatezza estrema che pronosticava una ben vicina morte. Furono adoperati tutti i rimedi dell'arte e gli si prodigò un'assistenza continua ed affettuosa di giorno e di notte. Il medico del Collegio lo visitava tre volte al giorno con la massima cura ed intelligenza, e martedì, 18, chiamavamo pure a consulta uno dei più celebri medici liguri. Ma il male continuava, anzi si aggravava di più coll'aggiungersi d'una risipola alla faccia la quale complicava la malattia e ne rendeva difficilissima la cura.
Quello che io soffrissi in quei giorni Dio solo lo sa. La vista degli spasimi da cui era straziato quel caro giovane, il pensiero del dolore che ne {102 [110]} provava l'ottimo suo padre, a cui facevamo noto ogni giorno l'andamento della malattia, mi opprimevano in modo tale, che davvero non so come non ne ammalassi. Ed è sotto questa impressione che io le scriveva mercoledì della settimana p. p. la mia dolorosa lettera. Vedendo svanire omai ogni umana speranza ricorsi al S. Cuore di Gesù, di cui siamo soliti fare ogni anno una solennissima festa, ed a cui il giovane Gentile era particolarmente divoto, e lo esortai a porre tutta la sua fiducia in Lui, pregando e facendo pregare.
La malattia intanto arrivava agli estremi. Confessato e comunicato con vera edificazione nei giorni innanzi l'infermo riceveva l'estrema Unzione. E poichè tutto omai rivelava in lui una prossima fine ed ogni momento pareva esser l'ultimo, D. Rocca che lo assisteva colla più affettuosa cura e colla più squisita carità, aveva già cominciato le preghiere per la raccomandazione dell'anima. Questo stato di cose continuava il mercoledì, ed umanamente parlando non vi era dubbio alcuno che il moribondo non avrebbe più veduto l'alba del giovedì seguente. Erano le 9 ½ pom. del mercoledì 19 corrente, ed io mi ritirava dopo le orazioni della sera nella mia camera, oppresso da una delle più profonde malinconie, che abbia mai provato in vita mia. M'inginocchiai davanti al Crocifisso piangendo e pregando, ma pur troppo confesso la mia debolezza, la mia fede vacillava. Mi viene allora alla mente che nella camera vicina era spirato undici giorni innanzi il nostro chierico Zappelli. Mi alzo, percorro frettoloso il corridoio, vado al balcone che prospetta l'orto e rivolto con gli occhi e le mani al cielo profondamente agitato esclamo: Dolce Zappelli, se sei in Paradiso dimostralo {103 [111]} coll'ottenermi dal S. Cuor di Gesù, di cui tu eri tanto divoto, la guarigione del caro Giulio - Amatissimo Sig. D. Bosco, se io ricorreva al Zappelli in quel doloroso frangente vi era incoraggiato dal pensiero dell'angelica sua vita e della santa sua morte. Io non lo conobbi che per soli due mesi, quanti appunto ne passò in Alassio, ma in questo poco tempo ho potuto apprezzare la rara sua virtù, di cui qualche tratto a me particolarmente noto non dimenticherò finchè io viva. E certo possiamo dirlo uno dei fiori più vaghi, che la bontà del Signore abbia piantato nel giardino della nostra diletta Congregazione. Tenerissimo del Cuor di di Gesù, la cui divozione aveva così ben appresa e coltivata nella Casa di S. Benigno, tale si mostrò fino alla morte. Gli si trovò ancora sotto il capezzale uno dei librettini della Pratica dei nove uffizi che aveva poco prima ricevuto da un suo compagno di quella Casa.
Ricorsi adunque a lui e non ricorsi invano. Il mattino seguente, giovedì, domandai ansioso e tremante notizie del Giulio, e seppi che aveva riposato alcun poco nella notte, e che il medico vi aveva trovato un sensibile miglioramento. Si temeva tuttavia che fosse il migliormento che precede la morte, tanto era grave il suo stato, ma il miglioramento si mantenne e continuò. La febbre e la risipola si andarono a poco a poco scemando, tornava pieno ed intero l'esercizio delle facoltà intellettuali, che aveva già perdute, ritornò in una parola la vita. Cessato or ogni pericolo, cessata perfin la febbre, l'allievo si va rinforzando felicemente di giorno in giorno. Lo possiamo ormai chiamare il morto risuscitato.
Ho già dato commissione per una lapide a Zappelli {104 [112]} e stiamo preparando la relativa iscrizione. Io stesso coll'aiuto di Dio condurrò a suo tempo il Gentile Giulio a pregare sulla tomba di lui e a ringraziarlo dell'insigne favore ottenuto. Nel mese poi di Giugno faremo la più solenne festa che ci sarà possibile all'amabilissimo Cuore di Gesù. E veramente abbiamo un motivo specialissimo di avere in lui un'illimitata confidenza. L'aver voluto la divina Provvidenza scegliere l'umile nostra Congregazione a suo principale stromento per l'erezione di una Chiesa monumentale al S. Cuore di Gesù nella Capitale del mondo cattolico mi è sempre parsa la cosa più consolante per un Salesiano. E come no, quando si pensa che questa così prodigiosa divozione, promossa in modo particolare da S. Francesco di Sales, propagatasi largamente per opera di una figlia della Visitazione, la Beata Margherita Alacoque, doveva ora ricevere come un suggello della sua consacrazione in un monumento innalzato per opera di una Congregazione, che del Salesio appunto prende il nome, e di questa divozione diventa come la custode e la depositaria nella città di Roma, sede del Vicario di Gesù Cristo?
Ma vedo che riesco troppo lungo. Accolga dunque i nostri più felici auguri, perchè il Signore ce la conservi ancora ad plurimos annos, e spanda copiosa la sua paterna benedizione sopra i suoi affezionati figli della casa di Alassio, e mi creda quale mi dico
Di Lei, mio buon Padre
Dev.mo figlio in G. C.
Sac. FRANCESCO CERRUTI. » {105 [113]}
Nacque il ch. Luigi Gamerro in Barone, paesello del Canavese, il 14 maggio 1860. Da fanciullo frequentò le scuole in compagnia di Giacomo Vigliocco, il quale fu poi nostro confratello professo e con lui s'unì in amicizia speciale. Quando il giovane Vigliocco fu accettato nell'Oratorio di Torino avrebbe avuto desiderio anch'egli di continuare gli studi in compagnia dell'amico; ma non potè ed i suoi gli fecero imparare l'arte del muratore nella quale presto si rese ben abile. La sua vita in questo frattempo cioè fino ai 23 anni non ebbe nulla per noi di notevole, conducendo nel suo paese una vita buona bensì, ma non diversa dalla vita dei buoni giovani del paese. Un fatto tuttavia è degno di essere ricordato come quello che ci fa conoscere il suo carattere schietto ed intrepido. Ecco come ce lo racconta il suo signor prevosto. « Appiccatosi un orribile fuoco ad una casa di Barone vidi questo giovane salir sul tetto di quella casa e lavorare in mezzo ai vortici del fumo e delle fiamme con un'accetta, e con impetuosa volontà ed imperturbabile costanza finchè intercettò la comunicazione dell'incendio ad altra casa. Disceso, e, direi quasi senza tema d'esagerare, precipitato da quel tetto mezzo abbrustolito ed invitato da me a venire in canonica a bere un bicchierino di confortabile, rispose: « ho fatto nè più nè meno che il mio dovere; tante grazie: » e non accettò nè congratulazioni nè compense.
Quando il suo compagno Giacomo Vigliocco fu chiamato dal Signore all'eternità ed egli lesse i {106 [114]} cenni biografici stampati per ricordar la memoria di quel suo caro amico, vedendo le virtù insigni che da lui furono praticate e perciò la santa morte che fece, fu preso da uno straordinario entusiasmo di voler seguire egli pure le pedate di chi tanto aveva fino allora amato.
Essendosi dopo poco tempo aperta in S. Benigno Canavese una casa apposita per aiutar negli studii i giovani adulti che ancor volessero consacrarsi a Dio nella carriera ecclesiastica, egli, troncato ogni desiderio dei guadagni terreni che ben poteva sperare dall'arte sua, domandò ed ottenne d'esservi accettato, e se la Chiesa, diceva, nel Vigliocco perdette un buon chierico, io voglio prepararmi ed entrare nel chiericato e tenere il posto suo.
Tanta fu la sua abilità ed applicazione negli studii che in due anni fece passare le materie prescritte pel ginnasio e fu ammesso alla filosofia; sul che è a dire che abbia ottenuto grazia speciale dalla Beata Vergine, perchè non sembra probabile che naturalmente un giovane il quale aveva appena fatta la 2a elementare, e poi intralasciati per tanto tempo gli studii, potesse così in breve riuscire tra la buona mediocrità nella prima filosofia.
E che Maria Vergine si sia voluto prender cura speciale di lui non è a stupire, considerando la vita mortificata, virtuosa e divota che conduceva nel tempo de' suoi studii. Senza alcuna affettazione e apparenza che colpisse i compagni fu sempre diligentissimo ne' suoi doveri; non perdette mai briciolo di tempo; fu grandemente umile con tutti e non si sentì mai uscire dal suo labbro parola di mormorazione o di lamento delle cose di casa. Si prestava volontieri nei giorni di giovedì ed ogni volta che i superiori glielo accennassero {107 [115]} a fare qualunque lavoro che per la casa occorresse da muratore. Era poi di una pietà così esemplare che oltre a fare con grande raccoglimento e fervore le pratiche di pietà comuni nella casa faceva ancora tutti i giorni immancabilmente varie volte la visita al SS. Sacramento ed a Maria Santissima e frequentò con sì gran fervore la S. Comunione, che, trovandoci un gusto straordinario ed un profitto grande, chiamò ed ottenne di poterla far quotidiana e non lasciò poi mai più di farla fino all'ultimo giorno della sua vita. Con tanta pietà e tanta virtù è a stupire che la Beata Vergine si sia degnata di prendersi una cura specialissima del progresso de' suoi studii?
Nell'agosto del 1883 essendo stato promosso alla filosofia pensò sul serio a quale stato di vita appigliarsi. I suoi benefattori e parenti l'avrebbero voluto sicuramente in seminario; ma, virtuosi come erano, non vollero fargli gravi difficoltà e sebbene lo incoraggiassero per quella via, finivano sempre con dirgli, che essi ad ogni modo non volevano opporsi alla volontà di Dio, quando egli conoscesse chiaramente quale essa fosse. Il buon Luigi non esitò molto nella scelta. Nei due anni del ginnasio aveva sempre pensato, aveva sempre pregato e si era più volte consigliato col direttore dell'anima sua. Erano bensì venute le ore di sconforto e di tentazione; ma considerando viemmaggiormente in una muta di ss. Esercizi, che appositamente volle fare, i pericoli del mondo e lo stato di maggior perfezione della vita religiosa, troncata ogni esitazione fece domanda ed ottenne di essere accettato come ascritto a quella Congregazione, alla quale si era ben prima aggregato il suo amico Vigliocco, cui si sentiva un impulso di voler sostituire; {108 [116]} a quella Congregazione che già con tanta amorevolezza l'aveva aiutato nei suoi studii e che aveva attirate da tempo tutte le sue simpatie.
Messosi nel nuovo arringo a correre con sempre maggior lena verso la perfezione, l'avresti detto quel gigante di cui parla David ne' suoi salmi: sicut gigas ad currendam viam. L'osservanza delle regole diventò sempre più esemplare; lo spirito di sacrifizio crebbe tanto che desiderava e chiamava al Signore che gli mandasse pur da patire che egli patirebbe volentieri qualunque cosa, purchè con questo si potesse ottenere la maggior gloria di Dio ed il vantaggio delle anime. Chiese al prefetto se aveva qualche lavoro manuale a dargli da fare nei tempi di ricreazione, che egli farebbe tutto volontieri. Più non si contentò di praticare egli la virtù, ma cercò di unirsi con altri compagni in buoni ragionamenti per animarsi a vicenda al bene; e quando conosceva che una buona parola poteva ottenere salutare effetto in un altro per incoraggiarlo al suo dovere, per animarlo alla virtù, o farlo desistere da qualche mancanza non lasciava mai di dirla, adoperando così da apostolo l'autorità che l'età e l'esperienza gli conferiva. Specialmente l'amore a Gesù Sacramentato ed a Maria SS. s'ingagliardirono tanto in lui che, si può dire, non aveva omai più altro anelito nel cuore fuori di questo. E l'amore di Gesù produceva in lui un effetto straordinario, poichè parlandone coi compagni l'un l'altro andavano invogliandosi di far del bene alle anime del prossimo e di cooperare alla salvezza di esse accendendosi del desiderio di compire in loro quanto manca alla passione di Gesù perchè sia applicata alle anime nostre. Nacque {109 [117]} in lui tale desiderio di consumar la sua vita per salvare delle anime, che già non sapeva più pensare ad altro o parlar d'altro: agognava il giorno di poter partire con altri missionarii per andare tra gl'infedeli ed insegnar loro a conoscere ed amare Gesù. Il suo desiderio per le missioni però era perfettamente regolato poichè diceva: partire o non partire questo deve lasciarsi nelle mani dei Superiori; sono essi che ci debbono comunicare la volontà di Dio; se la vita nostra non sarà consumata in America od in Africa ma bensì in Europa, questo è lo stesso; l'importante si è che sia consumata per il Signore.
Egli adunque non aveva già più altro desiderio da quello in fuori di consumare la sua vita per qualche opera che piacesse al Signore, e pare che il Signore accettasse di buon grado questa sua offerta; e già la sua santa grazia doveva aver fatto questo lavorio nel cuor di lui onde preparare, come giova a creder, una vittima adatta per un sacrifizio ben a lui accetto. Ed ecco come andò il fatto. L'ultimo di gennaio 1884, venuto ammalato il nostro caro padre e fondator D. Bosco e proponendosi ciascuno preghiere e sacrifizi speciali per ottener da Dio la grazia della sua guarigione, Gamerro offerì coraggiosamente la sua vita stessa a Dio con umile e sincera domanda al Signore d'essere esaudito.
È da dire assolutamente che Iddio lo ascoltò poichè dalle cose che precedettero ed accompagnarono la sua breve malattia e da quelle che successero nel punto di morte ci pare che ciò si appalesasse apertamente e noi le racconteremo più minutamente sembrandoci anche che esse abbiano dello straordinario.
Ebbe da prima un sogno in cui gli parve che {110 [118]} sarebbe morto in breve, e tra le particolarità del sogno che raccontò egli stesso con precisione ad un compagno vi era che sua mamma sarebbe venuta a trovarlo, ma che arrivata tardi l'avrebbe veduto già cadavere; cosa che precisamente avvenne: poichè non avendo potuto partir subito che ebbe la notizia dell'aggravarsi della malattia di lui arrivò che da due ore aveva spirata l'anima. Nel sogno ancora gli parve che mentre sua madre piangeva egli trovavasi già in un luogo pieno di delizie e che diceva: « invece di piangere mia madre dovrebbe consolarsi che sono venuto in un luogo così bello ». Pareva così persuaso di dover morire presto che ne parlò più volte coi compagni sempre dicendo schietto: io fra poco morrò; e facendosi il 1° del mese di febbraio l'esercizio di buona morte disse con altri; « Bisogna che io lo faccia bene perchè è l'ultimo che faccio; è per me un vero esercizio per morir bene; » e dandosi il giorno dopo i posti in refettorio egli disse ai compagni: « quanto a me possono darmi il posto che vogliono, poichè ho da venire più poche volte in refettorio; » ed in vero la notte susseguente fu colpito da un gran male, ed egli il quale, di complessione forte e vigorosa, pochi giorni prima felicitavasi con un compagno d'essere tra i più robusti, di non esser mai stato ammalato, e di non aver ancor neppur vista l'infermeria del collegio sebbene fossevi da oltre due anni, eccolo ad un tratto ammalato grave e costretto a cercar dell'infermeria. Appena sentiti i sintomi del male disse ad un amico: Iddio mi ha esaudito, accettò la mia vita per quella di D. Bosco; io fra pochi giorni sarò in paradiso.
Queste parole non furono a fondo capite dal compagno il quale allora non ne tenne conto; il {111 [119]} medico stesso non fece caso della malattia ma in breve peggiorò tanto che dopo pochi giorni morì. L'infermiere attesta di lui che nei giorni in cui la sua malattia si manifestò più grave non diede mai segno di lagnanza, nè per il male nè per il servizio; anzi che fu sempre allegro e scherzevole con tutti andava dicendo: il morire è cosa gioconda: venga pure la morte, son preparato. Poi soggiungeva all'infermiere: non abbandonarmi, che presto morrò.
Fece anche subito chiamar il Direttor della casa e volle confessarsi; e poi gli ripetè che aveva offerto la sua vita per quella di D. Bosco e che credeva proprio essere esaudito, che perciò era persuaso di avere la morte vicina. Il Direttore per distrarlo da quel pensiero della morte, sapendo che desiderava molto d'andare missionario gli disse: Tu non hai da morire: in Patagonia vi sono molte anime che aspettano la salute eterna e i Superiori hanno pochi da lasciare partire: preghiamo insieme la Madonna che ti faccia guarire e poi ti faccia diventare un buon missionario affinchè possa salvare molte anime; e la Madonna non può far a meno che ottenerci questa grazia. - Egli rispose che sarebbe partito volentieri per la Patagonia, anzi, soggiunse: « appena che i Superiori me lo dicessero partirei anche adesso ammalato come sono, ma sono persuaso che non arriverei fin colà. »
L'ultima notte poi bisogna che qualche cosa di affatto sorprendente e miracoloso sia avvenuto in lui; poichè mentre il male era cresciuto in modo da non lasciargli più respiro, esso al mattino si mostrò tanto allegro e tranquillo che pareva venisse da nozze. Solo un momento alle ore 10 antim. {112 [120]} parve un poco pensoso, e soggiunse: « temo che mi debba toccare qualche tempo di purgatorio. Allora presentandogli un'immagine di Maria gli si disse: non avere timore: di' a questa nostra buona Madre che ti prenda essa per una mano e che ti tiri subito con sè in paradiso; attaccati a Lei, essa ti libererà certamente. A queste parole egli riprendendo tutta la sua allegrezza e festività di prima: « Già è vero, soggiunse, questa notte nostra Madre me l'ha detto che questa sera sarò con lei » e queste parole le disse con tutta franchezza e risoluzione tanto che ognuno restò maravigliato; ma non si giudicò bene in quel momento di scrutare più avanti le cose.
Poco dopo, entrato un suo compagno ad assisterlo, avvenne il seguente dialogo che detto suo compagno scrive ed attesta di confermar volontieri con giuramento occorrendo.
« Appena entrato in camera egli mi volse subito la parola - Ebbene, siete disposti che per stassera io mi trovi con nostra Madre?
- Che dici? vorresti già correre al paradiso? No, no, è troppo presto: del resto vidi altri stare peggio di te e poi guarire.
- Anche il sig. Direttore mi ha detto che non voleva che io morissi, ma lo ha detto per facezia, e voi vedrete che prima di sera io sono con nostra Madre. E che! vi rincresce forse? Dovreste invidiarmi.
- Certo la morte del giusto è invidiabile; ma la volontà del Signore è da desiderarsi ancor di più.
- Oh sì! Se fosse volontà del Signore che io guarissi, vorrei servirlo ben meglio di quel che ho fatto finora. Ma del resto, se voi mi coadiuvate colle vostre preghiere io prima di sera sono con nostra Madre. {113 [121]}
- Noi preghiamo tutti di cuore per te; ma tu non devi metterti in mente una cosa che non può essere e dovresti desiderare di vivere di più per meglio prepararti all'eternità.
- Oh! io son preparato e vorrei morir subito; ma al più tardi questa sera spero di essere con nostra Madre, Maria Ausiliatrice.
Qui l'ammalato si fece a recitare con grande affetto varie giaculatorie, e dopo breve intervallo:
- Son più contento dei due anni che ho passato in questa casa, che di tutto il resto di mia vita; e se il Signore mi concedesse di vivere, ma di vivere come prima, io gli direi: no; fatemi morir subito. Ma per questa sera sono con nostra Madre, vedrete.
A questo punto essendo venuto l'infermiere col termometro apposito per misurargli i gradi della febbre, l'ammalato dopo un poco soggiunse:
- Non basta ancora? Oh tu vuoi farmi vedere che non sono in fine; ma io lo so che per questa sera non ci sono più.
L'infermiere: - sta un po' cheto: io ho quasi sempre visto che quelli che dicono tanto di morire sono quei che non muoiono.
- Vedrai se questa sera io vi sarò ancora!... Oh mi sento tutto rallegrare... Mi sento ringiovanire... Voi siete ben contenti, non è vero?... ed intanto cominciò a recitare giaculatorie tenerissime e in quel momento entrò il medico che si era espressamente fatto venire da Torino per fare consulto.
Dopo poco arrivarono anche due suoi fratelli a visitarlo; vedendo che il caso era grave, non poterono trattenersi dal piangere; ma egli tutto festevole, appena salutatili disse loro: « perchè piangete? {114 [122]} perchè v'addolorate? dovreste esser contenti perchè vado in paradiso. Sarebbe da addolorarsi se avessi ancor a star qui; ma dovete far festa, vado in Paradiso, la Madonna stanotte me l'ha detto.
Usciti i suoi fratelli stette ad assisterlo un altro compagno il quale ci fa questa relazione anche pronto a confermarla con giuramento.
« Circa un quarto d'ora prima che spirasse, trovandomi solo per alcuni minuti ad assisterlo, lo vidi sereno ed allegro più del solito. Recitava preghiere ed io gli dava a baciare il crocifisso e l'immagine di Maria Ausiliatrice, il che faceva con divozione straordinaria. Intanto si prese da sè e strinse tra le mani l'immagine di Maria Ausiliatrice. In quel momento lo vidi con sommo mio stupore alzarsi alquanto dal letto, alzare le sfinite braccia ed allargarle in atto di chi chiede qualche cosa, poi stringerle come si fa quando si abbraccia qualcuno. Nello stesso tempo lo vidi fissare gli occhi in alto verso quella parete a cui stendeva le braccia. Tutto questo fece in tal modo, con tanta gioia sul volto e negli sguardi, che io fui maravigliato e soprappreso da un'impressione tale che più non so che mi facessi per un momento; poi guardai e riguardai verso quel luogo ove egli fissava gli occhi, perchè secondo i gesti delle sue braccia e de' suoi sguardi a me sembrava senza dubbio che qualche cosa di straordinario dovessi veder ancor io; ma vidi nulla. Questo so, che in quei momenti la faccia e tutto il suo sembiante era tanto composto ad allegria e quasi splendente che io non lo vidi mai così. Dopo poco, ricompose le mani sul letto e chiuse quasi intieramente gli occhi continuando a muover le labbra: ma io non compresi più nessuna parola. » {115 [123]}
Dopo un quarto d'ora spirava l'anima sua senza nessun segno di sofferenza, proprio come se si addormentasse.
Cari confratelli: la conclusione che per ora dobbiamo trarre da questa biografia si è di ammirare la bontà di Dio il quale volle in questo caso farci toccar con mano, direi, la verità di quel detto: pretiosa in conspectu Domini mors sanctorum ejus » Gamerro fece proprio la morte del santo, e come è bella la morte di chi muore nel Signore! Non un momento d'agonia, non un angustia: non, quasi direi, un combattimento; parlava della morte come d'andare ad un festino, la mente ed il cuore insieme cogli occhi fissi al cielo.
Altra conclusione che dobbiamo trarre si è che la cosa la quale più di tutte terrà consolata la nostra morte è l'essere stati divoti della Madonna. Oh! è proprio vero che la Madonna tiene preparato a' suoi divoti grandi consolazioni in punto di morte! O confratelli in Cristo carissimi, giova ripeterlo e vorrei che questa voce fosse udita per tutto il mondo: Ciò che ci renderà la morte così dolce e consolata sarà l'assistenza della nostra cara Madre, Maria SS. S. Alfonso è di parere che Maria Vergine o visibilmente, o con grazia speciale invisibilmente, compaia sempre a consolar in morte i suoi divoti. Maria Vergine Ausiliatrice fu sempre e ci sarà in eterno la nostra cara e buona mamma. Chi mai potè consolar gli ultimi giorni del nostro caro Luigi? Io credo dall'esposto non si possa dubitare ch'egli fu consolato miracolosamente da quella buona Mamma nostra celeste; poichè colui che l'ama e che non ha solo amor di parole, ma che è pronto aggiungervi il sacrifizio, oh costui è certo d'aver la sua protezione in vita e specialmente in punto di morte. {116 [124]}
Fu dal Signore chiamato beato quel servo che alla sua venuta fosse trovato vigilante; beatus vir quem cum venerit Dominus ejus invenerit vigilantem: i suoi combattimenti ed i suoi travagli saranno ricompensati con una corona di gloria eterna; avrà gli angeli per suoi compagni, per patria il cielo. Fra i Salesiani che furono certamente trovati dal Signore così vigilanti, e che quantunque morti, saranno pure sempre ricordati per gli esempi che ci lasciarono, non fra gli ultimi è da annoverarsi il chierico Repetto Lorenzo. Chiamato dal Signore ai gaudii eterni in sul mattino della sua vita, in così breve tempo speriamo avesse già preparato gran tesoro di meriti pel paradiso.
Era egli nato nella città di Savona nel dicembre del 1864. Ancor bambino rimase orfano della madre. La bontà del Signore non permise che egli avesse a respirare a lungo l'aria pestifera del mondaccio corrotto. Una sua zia, donna di molta pietà, si prese presto cura della sua educazione, lo raccomandò insieme ad un altro suo fratello alla direzione del nostro Ospizio di S. Pier d'Arena; dove fu accettato non avendo compiuti ancora i 9 anni. In così tenera età già era capace di comprendere quanto fosse grave la disgrazia che aveva colpito la sua famiglia e più volte fu veduto piangere pensando allo stato di suo padre e dell'ultimo suo fratello. {117 [125]}
La condotta del Lorenzino nell'Ospizio di San Vincenzo De-Paoli fa buona fin dai primi giorni; si adattò con molta facilità al vitto, sebbene fosse assuefatto a delicatezze per essere nato da famiglia agiata. Di natura molto vivace, pure per una continua violenza seppe fin d'allora occupare bene il tempo di studio e di scuola in modo che non meritò mai un voto scadente in condotta. In ricreazione giuocava con l'ardore proprio della sua età; ma ci assicurano i suoi assistenti che non una volta lo si vide contendere coi compagni e spesso fu udito ammonire egli stesso suo fratello che, sebbene maggiore di età; lasciava qualche cosa a desiderare nella sua condotta.
Dopo pochi mesi fece la sua prima Comunione col massimo fervore e raccoglimento. Fin dai giorni antecedenti si era raccomandato alle preghiere de' suoi maestri e de' suoi compagni più buoni onde poter ricavare molto profitto da quella Comunione. Alla mattina del giorno a ciò destinato, purificata la sua anima nel Sacramento della Penitenza, con l'amore di un serafino del Paradiso si accostò a ricevere Gesù benedetto; si scrisse gli avvisi del Padre dell'anima sua e le buone ispirazioni avute in quel dì benaugurato e più non li dimenticò. Quel giorno ricordava spesso con gran piacere, specialmente che, per aver fatta la prima Comunione in una nostra casa, aveva potuto preparar tanto bene il suo cuore per quella grande azione. Nel desiderio di mantenere il fervore ed i propositi fatti in quel giorno, chiese d'appartenere alla Compagnia di S. Luigi ed a quella del SS. Sacramento, assoggettandosi così ad una specie d'obbligazione d'accostarsi ogni settimana {118 [126]} ai Sacramenti della Confessione e della Comunione, e passare giornalmente un po' di tempo della ricreazione in Chiesa ai piedi di Gesù Sacramentato e di Maria SS.
Di bei modi e di vivace espressione nel suo dire venne quasi sempre scelto come attore nelle rappresentazioni teatrali che si davano in collegio e sosteneva la sua parte in modo da tirarsi l'applauso e la simpatia di tutti gli spettatori. Egli tuttavia non si lasciava vincer da questi applausi, che anzi avendo udito una volta alcune parole di elogio un po' esagerato sul conto suo ed accorgendosi che qualcuno cercava perciò d'accarezzarlo pregò i Superiori a volerlo togliere da quel pericolo.
Altra volta si accorse che qualche compagno gli si era troppo affezionato. Sebbene tanto giovane comprese il pericolo in cui si trovava di contrarre amicizie particolari; svelò tutto al suo Direttore, fece quanto esso gli disse e così mise in guardia l'anima sua contro i lacci del demonio. Con queste precauzioni, terminate le scuole elementari proseguiva pel ginnasio sempre assiduo allo studio, attento alle lezioni, diligentissimo nell'eseguire i suoi lavori. Trovato degno fu messo decurione nelle tavole di studio e nei banchi della scuola e della Chiesa. I suoi maestri ricordano ancora la sollecitudine e l'umiltà con cui a loro si presentava per domandare schiarimento allorchè incontrava delle difficoltà nello studio. Era voce in collegio che Repetto fosse il più buon giovane della casa.
Verso il fine del ginnasio, più che mai fermamente si decise di darsi a Dio nella Congregazione Salesiana. Manifestò questa sua decisione al direttore che, conosciutolo fermo nel suo proposito, {119 [127]} lo mandarono tra gli Ascritti Salesiani a S. Benigno Canavese dove stante le tante assicurazioni, fu di buon grado accettato. Poco tempo dopo indossava l'abito chiericale. Finita la funzione della vestizione, rimase in chiesa per molto tempo prostrato ai piedi di Maria. I suoi sfoghi d'amore ed i proponimenti di quel giorno non ci sono appieno noti; ma ecco come si espresse con un compagno: « Ora sono proprio contento: questa mattina ho detto al mio Padre spirituale tutto ciò che anche alla lontana mi faceva pena; non ho più la madre terrena, ma ho supplicato Maria SS. che mi facesse Ella sempre da madre pietosa; ho deposto l'abito vecchio del mondo e ho fermamente stabilito di lasciare con esso qualunque capriccio od altra cosa che mi sia d'impedimento per farmi santo. Pur troppo che il mio cuore è un terreno troppo facile a produrre spine; la mia fantasia spesse volte mi disturba e guai se non istò sempre alle vedette su di me stesso; ma mi consola il pensiero che il Signore mi fece appunto venire a S. Benigno per darmi forza ed aiuto costante a togliere dal mio cuore tutto ciò che a Lui dispiace per inserirvi le virtù necessarie a divenire un buon Salesiano. »
Il nostro buon Lorenzo, fedele ai suoi propositi ed alla grazia del Signore, risoluto di farsi santo, si diede con tale slancio all'adempimento di tutti i suoi doveri che fino dai primi giorni divenne l'ammirazione non solamente de' suoi compagni di scuola e de' suoi maestri, i quali lo proponevano agli altri per modello, ma di tutti i Superiori, i quali ringraziavano il Signore che aveva fatto questo bel regalo alla Congregazione Salesiana. Più volte il Superiore della casa ebbe a {120 [128]} dire: Oh se tutti corrispondessero alla grazia del Signore come il chierico Repetto, ben presto la terra si cambierebbe in un paradiso!
Il contegno che teneva in chiesa nell'orazione e nel servizio dell'altare, lo slancio con cui lo si vedeva fare le pratiche di pietà, le schiette maniere, la compostezza degli atti, in una parola tutto il suo esterno portamento tanto modesto e tanto attraente, troppo ben manifestavano a qual grado egli possedesse l'angelica virtù; e si può credere che la Vergine benedetta lo abbia voluto chiamare al cielo adorno della immacolata veste della purità perchè fu sempre verso di Lei divotissimo e non lasciava passare il giorno di sabbato od una sua festa senza fare qualche mortificazione od altro speciale esercizio di pietà in suo onore.
Non meno che la modestia si distingueva nel nostro Lorenzo la sua grande carità verso dei compagni. Questa carità ed affabilità con tutti può a buon diritto chiamarsi la virtù sua caratteristica. Fin da quando si trovava nella Casa di S. Pier d'Arena la fece spiccare. Nell'anno in cui egli fece la 1a classe ginnasiale aveva fra i suoi condiscepoli alcuni molto avanzati negli anni. Avveniva qualche volta che i suoi compagni, per leggerezza, non si diportassero con carità verso quegli adulti, che, per esser più indietro e da molto tempo non esercitati allo studio, si dimostravano tardi a comprendere le spiegazioni del maestro. Il giovane Repetto non solamente soffriva nel suo cuore per questi trattamenti, ma palesemente dimostrava il suo dispiacere e li invitava a desistere dal lor cattivo modo di fare. Ogni qualvolta poi che alcuno di quei compagni più adulti lo richiedeva di qualche spiegazione, ei subito e volentieri {121 [129]} lo aiutava sacrificando ben volentieri, se occorreva, parte della ricreazione. A S. Benigno poi crebbe ancora in questa virtù: non era piacere che potesse fare ad un compagno che non lo facesse con ogni graziosità; non vi era lavoro a cui potesse prender parte per aiutare altri che non lo intraprendesse; non vi era dispiacere che da altri ricevesse che subito non dimenticasse e che nol rimunerasse con preghiere speciali in pro dell'offensore. Quanti buoni avvisi diede! quante lagrime asciugò! quante amicizie raffermò quanto aiuto prestò ai compagni nei loro studii! Egli era l'anima della ricreazione, ma appena sorgeva qualche alterco era il paciere tra i compagni. Egli era il brio delle conversazioni; ma appena qualche parola pareva volgesse a lamento o mormorazione egli la correggeva o troncava introducendo altri discorsi. Era occupatissimo nelle sue cose di studio; ma appena poteva porgere qualche schiarimento ad un compagno e così essergli di aiuto e di consolazione non intralasciava di farlo. Un inverno per timore che alcuno de' suoi compagni rimanesse privo di pastrano non ne volle alcuno esso stesso e ad un cotale che lo consigliava a procacciarsene uno per tempo perchè gracile come era, non venisse a soffrirne: Vedi bene, rispose, che io giuoco come un disperato; posso quindi tener lontano il freddo; e poi ho già provato troppe delicatezze quando da bambino aveva ancora la madre: è ben giusto che almeno adesso impari a soffrire qualche cosa per il Signore che tanto ho io co' miei peccati fatto soffrire. La sua carità non aveva limiti quando sapeva che taluno era afflitto; a molti fu un vero angelo consolatore quando o per disgrazie di fortuna o perdita {122 [130]} di parenti avevano bisogno di consolazione. Per tutte queste sue buone qualità s'acquistò grandissima stima e venerazione da' suoi compagni; ed uno di questi manifestò al Superiore come durante la malattia del nostro caro Lorenzo (malattia che il condusse a morte) aveva al Signore offerta la sua vita perchè volesse conservar quella dell'amato compagno.
Finito l'anno di prova fece la solenne consacrazione di tutto sè stesso a Dio. Di questo favore non è a dire quanto egli ringraziasse il Signore, giacchè, com' egli manifestò una volta ad alcuni suoi compagni, pregava costantemente il Signore a volerlo piuttosto far morire anzichè permettere ch'egli avesse a mancare alle promesse fatte; troppo bene conoscendo che dispiace al Signore la promessa stolta ed infedele: Displicet enim Deo infidelis et stulta promissio. Di quei giorni scrisse una bellissima lettera al Direttore dell'Ospizio di S. Pier d'Arena che era stato il primo Padre dell'anima sua. In essa gli manifestava la sua gioia e lo assicurava che la sua gratitudine non gli sarebbe mai venuta meno per averlo tanto aiutato a farsi Salesiano.
Sapendo poi che per divenire un perfetto religioso il mezzo più facile e il migliore si è l'osservanza esatta di tutte le regole (per quanto alcune sembrino di poco momento), applicossi con tutto l'animo ad osservarle puntualmente, e neanche quando era infermo, si permise alcuna licenza od arbitrio senza prima intendersela bene col direttore della casa. In quell'anno il suo amore verso del SS. Sacramento crebbe smisuratamente; non solo faceva la santa Comunione ogni mattina, non solo prima d'incominciare qualunque {123 [131]} ricreazione andava, come usano molti buoni giovani nelle nostre case, a fare una visita a Gesù in Sacramento, ed a Maria SS., ma, o sia per mortificare sempre più nel giuoco la sua volontà, o sia per il grande amore che aveva acquistato verso Dio, spesse volte avveniva che troncasse la ricreazione per recarsi a pregare alcun poco in cappella.
Ma era appena incominciato l'anno scolastico 1883-84 quando si manifestò nel nostro caro Lorenzo una piccola tosse. Egli stimandola un semplice e leggero raffreddore avrebbe voluto disprezzarla; ma i Superiori ai quali stava troppo a cuore la sua salute lo fecero attentamente visitare dal medico e sgraziatamente si trovò che era colpito da un principio di consunzione, malattia della quale erano già morti altri suoi parenti. Senza più si cerca di usargli ogni cura; lo si dispensa dalla scuola, gli si procura vitto confacente; gli si fanno provare varii rimedi; lo si manda a cambiar aria; ma ogni sforzo fu inutile; chè il Signore voleva con questa lenta e penosa malattia purificare sempre più l'anima del caro chierico per trapiantare più bello questo fiore in paradiso.
Nei nove mesi e più che fu travagliato dal morbo fatale non diede mai il minimo segno d'impazienza o di malcontento per il male da cui era tormentato. Non potendo più esercitar l'ubbidienza coll'assistere alla classe ed attendere ai doveri scolastici, prese ad ubbidire all'infermiere come un bambino alla madre sua; ed in questo tempo era divenuto così delicato di coscienza che, anche in quei giorni in cui era già molto spossato ed a stento poteva camminare da solo, non lo si {124 [132]} poteva capacitare a fermarsi in cortile quando i suoi compagni erano dai loro doveri chiamati altrove, temendo d'esser loro di cattivo esempio; e tutto carità verso degli altri diceva: I miei compagni poveretti sono sempre occupati ed io che faccio più nulla fermarmi ancora in ricreazione in tempo di ritiro!... mi pare che non vada bene. Un'altra volta ebbe a manifestare ad un suo Superiore che il Signore in quell'anno gli aveva fatto un bel regalo, che fin dal giorno della prima Comunione ogni giorno avevagli chiesto: ed interrogato quale fosse questo dono, disse con tutta ingenuità che in tutto l'anno non aveva più mai sentita alcuna tentazione contro la bella virtù.
Nel febbraio, per consiglio del medico, fu mandato nel nostro collegio di Alassio. L'aria di mare sembrò in principio che gli giovasse molto; ma dopo circa due mesi accorgendosi che le forze gli si diminuivano e prevedendo prossima la sua fine chiamò di ritornare a S. Benigno, preferendo di finire i suoi giorni in mezzo a' suoi compagni. Quivi giuntò, domandandosegli perchè fosse ritornato così presto: perchè, disse, non ci è tempo da perdere, e voglio essere ben preparato per fare un altro viaggio assai più lungo ed importante. Quelli che allora si trovavano in infermeria, se per una parte soffrivano vedendo lo stato infelicissimo di Repetto, per l'altra erano ben contenti ed edificati per avere in mezzo a loro questa fiaccola di buon esempio, e l'infermiere asserisce che nel servire questo giovane provava una vera gioia.
Anche così infermo non volle mai tralasciare alcuna pratica religiosa: finchè gli fu possibile le fece con la comunità, e quando prostrato di forze non gli fu più possibile d'alzarsi pregò i Superiori {125 [133]} che lo lasciassero comunicar ogni mattina; ed avendo noi la comodità della cappella presso l'infermeria ebbe la consolazione di non mai tralasciare neppure un giorno la S. Comunione. Interrogato una volta da uno che sovente lo andava nell'infermeria a visitare, se moriva volentieri, disse queste testuali parole: Sì, muoio volontieri perchè ho proprio niente sulla coscienza che mi faccia pena; ho fatto solamente l'anno scorso i santi voti per cui Iddio mi ha ridonata l'innocenza battesimale, e questo anno mi pare di non aver fatto nessun peccato.
Nella notte antecedente alla sua morte colui che lo assisteva l'udì dare improvvisamente come un grido a guisa di esclamazione, e rialzatosi alquanto starsene come ridendo. Nel timore che fosse caduto in deliquio tosto lo rimette nella posizione ordinaria; l'infermo allora si volta e con volto ilare così gli dice: Oh! se non mi avessi disturbato! mettimi ancora nella posizione di prima!....... Non volle dire di più, ma in tutto il giorno che seguì i suoi discorsi furono solamente della bontà di Dio, della Vergine, dei Santi e delle feste del Paradiso; interrogato che desiderasse mangiare, ripeteva sempre essere meglio non curarsi di quelle cose, ma pensare al cielo. Nella notte dal 23 al 24 luglio, l'infermiere s'avvide che il caro chierico si trovava agli estremi. Accortosi del pericolo va a chiamare il Superiore e ritornato subito al letto dell'infermo con suo grande stupore lo trova tutto ridente, in atto di pronunziare ripetute, ma non intelligibili esclamazioni. Che fai? gli dice l'infermiere; ed egli: Voglio cantare. Ed ecco che con voce molto flebile, ma bastante da farsi comprendere, intona {126 [134]} la lode: Inni cantiam di giubilo ecc. In quel momento arriva il Superiore che gli suggerisce parole di conforto, gli somministra gli ultimi Sacramenti, gli dà la Benedizione papale in articolo di morte ed appena ebbe finito di recitare col Superiore l'atto di contrizione entrò in agonia. Essa non fu più lunga di 15 minuti. Alle 5 di mattino quell'anima bella abbandonava la terra dell'esilio per rientrare in patria.
Oh! il Signore ci mandi molti confratelli simili al chierico Repetto e ce li conservi per molti anni, a gloria sua, a lustro della nostra Congregazione, ad esempio dei confratelli ed a salute del prossimo.
Vitto per la Revisione Ecclesiastica:
S. Benigno Can. 5 Novembre 1885
Cav. Teol. ANTONIO BENONE Delegato. {127 [135]}
PREFAZIONE. |
pag. III |
Il Ch. Arata Giovanni. |
1 |
Sac. Giuseppe Stra. |
46 |
Il Ch. Casimiro Nicco. |
52 |
Il Sac. Vincenzo Reggiori. |
56 |
Il Ch. Giovanni Battista Fauda. |
65 |
Il Ch. Salvatore Carra. |
71 |
Il Ch. Zappelli Francesco. |
77 |
Il Ch. ascritto Luigi Gamerro. |
106 |
Il Ch. Repetto Lorenzo. |
108 {128 [136]} |