DAL SACERDOTE
BOSCO GIOVANNI
TORINO
TIP. G. B. PARAVIA E COMP.
1860 {1 [351]} {2 [352]}
INDEX
Funerale celebrato nell'oratorio di San Francesco di Sales in memoria del Sac. Caffasso Giuseppe
Discorso funebre sul Sacerdote Caffasso Giuseppe
II. Giovinezza del Sac. Caffasso.
III. Vita clericale di Don Caffasso.
IV. Vita sacerdotale pubblica di D. Caffasso.
V. Vita sacerdotale privata di d. Caffasso.
VI. Vita mortificata di don Caffasso.
Esequie e sepoltura del sacerdote Caffasso Giuseppe
Solenne pompa funebre celebrata nella chiesa di san Francesco d'Assisi
Ragionamento funebre esposto il giorno XXX agosto nella chiesa di san Francesco d'Assisi
II. Principii del Sacerdote Caffasso.
III. Il Cornitto ecclesiastico di S. Francesco.
IV. Sue fatiche apostoliche nelle carceri.
V. Cose maravigliose di D. Caffasso.
VI. Segreti di D. Caffasso per far molto bene.
Pensieri del Sacerdote Caffasso Giuseppe per passar bene la giornata.
Esercizio della Buona Morte che D. Caffasso praticava ogni mese nel modo seguente.
Ultima volontà per disporsi alla morte.
Fra i luoghi che furono oggetto di beneficenza del sac. Caffasso Giuseppe fu questa nostra casa detta Oratorio di S. Francesco di Sales. La perdita di questo insigne benefattore fu con gran dolore sentita tra noi, e sebbene fossero già state fatte speciali preghiere con varii uffizi di cristiana pietà in suffragio dell'anima di lui; era tuttavia nel desiderio di tutti il tributargli un atto di pubblica riconoscenza con un funerale sontuoso per quanto comporta la povera nostra condizione. Il giorno 10 di luglio diciassettesimo dopo il doloroso di lui decesso fu scelto per dare {3 [353]} questo segno di gratitudine. Due iscrizioni[1] vennero affisse alle entrate della {4 [354]} chiesa, ed altre nell'interno della medesima intorno al feretro[2]. {5 [355]}
Ciascuna delle inscrizioni del feretro era accompagnata da figure allusive agli insigni suoi meriti. I medesimi giovani con sollecitudine prepararono un canto musicale nel miglior modo loro possibile. Alcune preghiere precedettero ed accompagnarono la sacra funzione. Secondo l'uso di questa casa i giovani, premessa la debita preparazione, fecero tra la messa la Santa Comunione, che certamente è uno dei mezzi più efficaci per suffragare le anime dei fedeli defunti. Tra i nostri giovani e parecchi distinti personaggi amici o ammiratori del Defunto la chiesa era piena di gente.
Dopo la messa prima delle esequie ho letto il seguente ragionamento, che si può appellare biografia funebre accomodata alla condizione e desiderio degli uditori. A questo segue un altro discorso funebre esposto nella chiesa di S. Francesco d'Assisi. Non era mia intenzione di dare tali scritti alle stampe, essendo questi semplici e famigliari discorsi {6 [356]} indirizzati specialmente ad una radunanza di amici e di giovanetti, che godo poter chiamare miei cari figliuoli nel Signore; ma le replicate dimando fattemi da persone autorevoli mi hanno determinato di pubblicarli. Questa biografia è un compendio della vita del sac. Caffasso che ho in animo di compilare se il Signore nella sua misericordia mi darà sanità e grazia.
Siccome so star molto a cuore delle persone divote di avere qualche ricordo di Don Caffasso ho pensato di soddisfare a questo pio desiderio aggiugnendo in forma di appendice la stampa di due esercizi di pietà composti ed usati da lui medesimo. Questi sono: Ultima volontà per disporsi alla morte, ossia Esercizio per la buona morte, che egli soleva fare una volta al mese: l' altro Visita al SS. Sacramento per ciascun giorno della settimana, la quale visita egli faceva ogni giorno invariabilmente.
Il Signore Iddio, che secondo gli imperscrutabili {7 [357]} suoi decreti ci ha voluto privare di un cosi raro e prezioso amico, faccia almeno che le azioni e gli scritti di lui ci siano di eccitamento ad imitarlo nella sua grande carità e nelle altre virtù. Così facendo io spero che saremo sicuri di battere come lui quella strada che conduce all'eterna felicità. {8 [358]}
Non so, miei cari giovani e venerati signori, non so se l'argomento di questa mattina debba per noi considerarsi come oggetto di dolore o di consolazione. Certamente se nella morte del Sacerdote Caffasso noi consideriamo la perdita di un benefattore della misera umanità, noi abbiamo gravi motivi di dolerci e piangere come colpiti da grave sciagura. Sciagura pei buoni, infortunio pei poveri, disastro pel clero, calamità pubblica per la religione. {9 [359]}
Ma se giudichiamo questa perdita nel conspetto della fede noi abbiamo ragionevole motivo di cangiare l'affanno in consolazione, perciocchè se abbiamo perduto un uomo che ci beneficava sopra la terra, abbiamo ferma fiducia d'aver acquistato un protettore presso Dio in Cielo.
Difatto se noi diamo un'occhiata sopra la vita del Sacerdote Caffasso, sopra l'innocenza de' suoi costumi, sopra lo zelo per la gloria di Dio e per la saluto delle anime, sopra la tua fede, speranza, carità, umiltà e penitenza; noi dobbiamo conchiudere che a tante virtù sia stato compartito un gran premio, e che egli morendo non abbia fatto altro che abbandonare questi vita mortale piena di miserie, per volare al possesso della beata eternità.
Inoltre, secondo S. Paolo, le virtù dell'uomo mortale sono imperfette e sono neppur degne di essere paragonate colle celesti: perciò se la carità del Sacerdote Caffasso fu grande in terra, quanto più lo sarà ora che lo crediamo in Cielo? Quindi, se in terra egli ci beneficava come uno, in cielo ci beneficherà come dieci, come cento, come mille. Fortunati adunque coloro che poterono godere della carita di Don Caffasso quando {10 [360]} era sopra la terra, ma assai più fortunati essi e quelli tutti che ora lo riconoscono protettore presso Dio in Cielo.
Affinchè siamo persuasi di quello che dico, vi prego di accompagnarmi colla vostra pietosa attenzione, mentre vi andrò esponendo le principali azioni della vita di quest'uomo maraviglioso. Dico di esporvi soltanto le principali azioni, perchè la maggior parte di esse sono ancora sconosciute, che col tempo però si andranno con diligenza raccogliendo a fine di farne glorioso deposito per la storia. Io pertanto mi limiterò a quelle sole cose che io stesso ho vedute, oppure udite. Queste pure debbo in parte tacere sia per tenermi alla brevità voluta in un discorso, sia perchè molte di esse mi cagionerebbero troppo grande commozione da cui forse mi sarebbe impedito di poterle esporre. Tuttavia stando pure alla brevità di un discorso e tenendomi al solo racconto delle cose per lo più note a quanti lo conobbero, credo che esse basteranno a persuaderci che il Sacerdote Caffasso Giuseppe visse una santa vita, cui tenne dietro una santa morte.
Sono questi i due pensieri che primi ci corrono alla mente ricordando questo caro {10 [361]} e compianto amico; e questi due pensieri sono eziandio la materia del nostro trattenimento. Intanto mentre noi andremo ricordando le virtuose azioni e la preziosa morte del Sacerdote Caffasso, diremo che egli fu maestro di ben vivere e modello a tutti quelli che desiderano di fare una santa morte.
Accade a molti giovanetti che per lo sfortunato incontro di perversi compagni, o per la trascuratezza dei genitori e spesso ancora per la loro indole infedele alla buona educazione, dalla più tenera età diventano preda infelice del vizio, perdendo così l'inestimabile tesoro dell'innocenza prima di averne conosciuto il pregio e divenendo schiavi di Satanasso senza nemmeno aver potuto gustare le dolcezze dei figliuoli di Dio. Per B. Caffasso non fu cosi. Nacque egli nel gennaio del 1811 in Castelnuovo d'Asti da onesti contadini. La docilità, l'ubbidienza, la ritiratezza, l'amore allo studio ed alla pietà del giovinetto Caffasso, fecero sì che egli presto divenisse l'oggetto della compiacenza dei genitori e de' suoi maestri. {12 [362]}
La cosa caratteristica fin da quella giovanile età era la sua ritiratezza congiunta ad una propensione quasi irresistibile a fare del bene al prossimo. Egli stimava giorno per lui il più felice quando poteva dare un buon consiglio, riusciva a promuovere un bene o ad impedire un male. All'età di dieci anni la faceva già da piccolo Apostolo in sua patria. Fu spesso visto uscire di casa, andare in cerca di compagni, di parenti e di amici. Grandi e piccoli, giovani e vecchi tutti invitavali a venire in casa sua, di poi accennava loro d'inginocchiarsi e fare con lui breve preghiera; poscia montava sopra una sedia, che per lui diveniva un pulpito, e da questa faceva la predica, cioè andava ripetendo le prediche udite in Chiesa, o raccontando esempi edificanti. Egli era di piccola corporatura, ed il suo corpo era quasi tutto nella voce; perciò ognuno al rimirare quel volto angelico, quella bocca da cui uscivano parole e discorsi cotanto superiori a quella età, andava pieno di maraviglia esclamando colle parole proferite da quelli che rimiravano il fanciulletto San Giovanni Battista: chi mai sarà questo fanciullo? Quis putas puer iste erit?
Voi, o Castelnovesi, che attoniti ascoltando {13 [363]} il fanciullo Caffasso dimandaste chi egli sarà per essere; allora non lo sapevate, ma io adesso sono in grado di appagarvi. Quel fanciullo sarà modello di virtù nelle scuole, quello che i maestri proporranno come esempio di diligenza ai condiscepoli; sarà lo specchio di divozione, egli dovrà guidare tanti discoli sul cammino della virtù, confermare tanti buoni nella via del bene; egli sarà il padre dei poveri, la delizia dei genitori; egli sarà colui che in breve giungerà a tal grado di virtù da non conoscere più alcuna strada se non quella che conduce alla Chiesa ed alla scuola; egli sarà colui che dopo aver passato quindici anni nello studio e nella virtù risolve di darsi tutto a Dio nello stato ecclesiastico; lavorare unicamente per la gloria di Dio; egli sarà colui che un giorno divenuto maestro del clero somministrerà molti degni ministri alla Chiesa e guadagnerà molte anime al Cielo.
Qui la brevità mi obbliga ad ommettere inciti fatti per tosto portarmi a quel momento {14 [364]} per me fortunato che feci la prima personale di lui conoscenza. Era l'anno 1827, ed in Murialdo, che è borgata di Castelnuovo d'Asti, si festeggiava la Maternità di Maria SS. che era la solennità principale fra quegli abitanti. Ognuno era in faccende per le cose di casa, o di chiesa, mentre altri erano spettatori o prendevano parte a giuochi o a trastulli diversi.
Un solo io vidi lungi da ogni spettacolo; ed era un chierico, piccolo nella persona, occhi scintillanti, aria affabile, volto angelico. Egli era appoggiato alla porta della Chiesa. Io ne fui come rapito dal suo sembiante, e sebbene io toccassi soltanto l'età di dodici anni, tuttavia mosso dal desiderio di parlargli, mi avvicinai e gl'indirizzai queste parole: signor abate, desiderate di vedere qualche spettacolo della nostra festa? io vi condurrò di buon grado ove desiderate.
Egli mi fe' grazioso cenno di avvicinarmi, e prese ad interrogarmi sulla mia età, sullo studio, se io era già stato promosso alla Santa Comunione, con che frequenza andava a confessarmi, ove andava al Catechismo e simili. Io rimasi come incantato a quelle edificanti maniere di parlare; risposi volentieri ad ogni domanda; di poi quasi per ringraziarlo {15 [365]} della sua affabilità, ripetei l'offerta di accompagnarlo a visitare qualche spettacolo o qualche novità.
Mio caro amico, egli ripigliò, gli spettacoli dei preti sono le funzioni di chiesa; quanto più esse sono divotamente celebrate, tanto più grati ci riescono i nostri spettacoli. Le nostre novità sono le pratiche della religione che sono sempre nuove e perciò da frequentarsi con assiduità; io attendo solo che si apra la chiesa per poter entrare.
Mi feci animo a continuare il discorso, e soggiunsi: È vero quanto mi dite; ma v'è tempo per tutto; tempo di andare in chiesa, e tempo per ricrearci.
Egli si pose a ridere, e conchiuse con queste memorande parole, che furono come il programma delle azioni di tutta la sua vita: colui che abbraccia lo stato ecclesiastico si vende al Signore; e di quanto avvi nel mondo, nulla deve più stargli a cuore se non quello che può tornare a maggior gloria di Dio e a vantaggio delle anime.
Allora rutto maravigliato volli sapere il nome di quel chierico, le cui parole, e il cui contegno cotanto manifestavano lo spirito del Signore. Seppi che egli era il chierico Giuseppe Caffasso studente del 1° anno {16 [366]} di Teologia, di cui più volte aveva già udito a parlare come di uno specchio di virtù.
Se mai avessi tempo di venire ad un minuto racconto delle virtù luminose che egli fece risplendere negli anni del suo chiericato, sia quando viveva in patria, sia quando viveva in seminario a Chieri, quanti curiosi edificanti fatti vorrei esporvi! Dico solo che la carità verso i compagni, la sommessione ai superiori, la pazienza nel sopportare i difetti degli altri, la cautela di non mai offendere alcuno, la piacevolezza nell'accondiscendere, consigliare, favorire i suoi compagni, l'indifferenza negli apprestamenti di tavola, la rassegnazione nelle vicende delle stagioni, la prontezza nel fare catechismo ai ragazzi, il contegno ovunque edificante, la sollecitudine nello studio e nelle cose di pietà sono le doti che adornarono la vita clericale di D. Caffasso; doti che praticate in grado eroico fecero diventar familiare a' suoi compagni ed amici il dire, che il chierico Caffasso non era stato affetto dal peccato originale. - Giunto a questo punto io sono costretto di ommettere una lunga serie di fatti edificanti compiuti dal chierico Caffasso per aver tempo a dir qualche cosa della vita di lui sacerdotale. {17 [367]}
Ma chi sei tu, io dimando a me stesso, che pretendi esporre le maravigliose gesta di questo eroe? Non sai che le più belle azioni di lui sono soltanto note a Dio? e non sai che le più dotte penne dovrebbero scrivere grossi volumi per parlare degnamente delle cose che son note al mondo? Lo sa: e vi assicuro che mi trovo come ragazzo che per fare un mazzetto di fiori entra in un giardino e lo trova in ogni angolo pieno di fiori così belli e svariati che rimane confuso e non sa che farsi. Così io volendo parlare delle virtu sacerdotali di D. Caffasso, non so nè dove cominciare, nè che cosa dir prima o di poi. Perciò mi limito a raccogliere e mettere insieme un piccolo serto delle virtù che egli fece in modo particolare risplendere nella sua vita sacerdotale pubblica, nella sua vita privata, e mortificata. Cominciamo dalla vita pubblica.
Il suo zelo, la sua facilità nell'esporre la parola di Dio; il buon successo delle sue prediche lo facevano cercare da tutte parti {18 [368]} per dettar tridui, novene, esercizi spirituali e missioni al popolo di varii paesi. Egli coraggioso facevasi tutto a tutti per guadagnare tutti a Gesù Cristo. Ma dopo alcuni anni non potendo più reggere a così gravi e continue fatiche dovette limitarsi a predicare al clero, che pareva la porzione dell'umana società in modo speciale dalla divina provvidenza a lui affidata. E qui chi può enumerare il gran bene che ha fatto cogli esercizi spirituali; colle conferenze pubbliche e private; col somministrare libri, mezzi pecuniarii ai sacerdoti ristretti di mezzi di fortuna affinchè potessero compiere i loro studi, ed esercitare così degnamente il sacro loro ministero!
Appartiene alla vita pubblica di D. Caffasso la sollecitudine che egli prendevasi specialmente dei poveri giovanetti. Questi istruiva nelle verità delle fede; quelli provvedeva di abiti affinchè potessero decentemente intervenire alla chiesa, e collocarsi al lavoro presso ad onesto padrone; ad altri poi pagava la spesa dell'apprendimento, o somministrava pane finchè avesse potuto guadagnarsi di che campare colle proprie fatiche. Questo spirito ardente di carità cominciò a mettere in pratica quando era {19 [369]} semplice borghese, e continuò quando fu cherico e con zelo raddoppiato fece vie più risplendere quando fu sacerdote. Il primo catechista di questo nostro oratorio fu Don Caffasso, e ne fu costante promotore e benefattore in vita e dopo morte ancora.
Appartengono alla vita pubblica di D. Caffasso le intere giornate che passava nelle carceri a predicare, confortare, catechizzare quegli infelici detenuti, ed ascoltarne le confessioni. Qui non so se sia degno di maggior lode il suo coraggio o la sua carità. Se non vogliamo dire che l'ardente sua carità inspiravagli coraggio eroico. Dei moltissimi atti di cui sono stato testimonio trascelgo il seguente; ascoltatelo, che è curioso.
Egli, per disporre i carcerati a celebrare una festa che occorreva in onore di Maria Santissima, aveva impiegata un'intiera settimana ad istruire ed animare i detenuti di un colloquio, ovvero camerone, ove erano circa quarantacinque de' più famosi carcerati. Quasi tutti avevano promesso di accostarsi alla confessione alla vigilia di quella solennità. Ma venuto il giorno stabilito niuno risolveasi a cominciare la santa impresa di confessarsi. Egli rinnovò l'invito, richiamò in breve quanto aveva loro detto nei giorni {20 [370]} trascorsi, ricordò la promessa fattagli; ma fosse rispetto umano, fosse inganno del demonio od altro vano pretesto, niuno si voleva confessare. Che fare adunque?
La carità industriosa di D. Caffasso saprà che cosa fare. Egli ridendo si avvicina ad uno che a vista sembra il più grande, il più forte e il più robusto dei carcerati. Senza proferir parola, colle sue piccole mani lo piglia per la folta e lunga barba. Il detenuto da prima pensava che D. Caffasso facesse per burla, perciò in modo garbato, quanto si può aspettare da tale gente; mi prenda tutto, disse, ma mi lasci stare la mia barba.
- Non vi lascio più andare finchè non siate venuto a confessarvi.
- Ma io non ci vado.
- Ma io non vi lascio andare.
- Ma... io non voglio confessarmi.
- Dite quello che volete, voi non mi scapperete più, ed io non vi lascerò andare via finchè non vi siate confessato.
- Io non sono preparato.
- Io vi preparerò.
Certamente se quel carcerato avesse voluto, avrebbe potuto svincolarsi dalle mani di D. Caffasso col più leggiero urto, ma fosse rispetto alla persona, o meglio frutto della {21 [371]} grazia del Signore, fatto sta che il prigioniero si arrese, e si lasciò tirar da D. Caffasso in un angolo del camerone. Il venerando Sacerdote si asside sopra un pagliericcio, e prepara il suo amico alla confessione. Ma che? In breve questi si mostra commosso, e tra le lacrime e tra i sospiri, appena potè terminare la dichiarazione delle sue colpe.
Allora apparve una grande maraviglia. Colui che prima bestemmiando ricusava di confessarsi, dopo andava a' suoi compagni predicando non essere mai stato cotanto felice in sua vita. Quindi tanto fece, e tanto disse che tutti si ridussero a fare la loro confessione.
Questo fatto, che scelgo tra migliaia di tal genere, sia che si voglia chiamare miracolo della grazia di Dio, sia che si voglia dire miracolo della carità di Don Caffasso è forza di conoscere in esso l'intervento della mano del Signore[3]. {22 [372]}
Il rimanente della vita pubblica di Don Caffasso lo vengano a raccontare quei molti sacerdoti e borghesi, ricchi e poveri, che a lui sono debitori chi della scienza, chi dei mezzi di acquistarla, chi. dell'impiego, o {23 [373]} della felicità che gode in famiglia, chi del mestiere che esercita, e del pane che mangia[4].
Lo vengano a raccontare quei molti infermi da lui confortati, i moribondi assistiti, le lunghe schiere di penitenti d'ogni età e condizione che in ogni giorno e in ogni ora del giorno trovavano in lui un pio, dotto e prudente direttore delle loro coscienze.
Lo vengano a raccontare tanti infelici condannati all'ultimo supplizio, che datisi in preda alla disperazione non volevano saperne di religione; ma che assistiti, e direi, vinti dall'irresistibile carità di D. Caffasso morirono {24 [374]} nel modo più consolante, lasciando morale certezza della eterna loro salute.
Oh! se il paradiso venisse a raccontarci la vita pubblica di D. Caffasso, sarebbero, io credo, a migliaia, a migliaia le anime che ad alta voce direbbero: se noi siamo salvi, se noi godiamo la gloria del cielo, ne siamo debitori alla carità, allo zelo, alle fatiche di D. Caffasso. Egli ci scampò dai pericoli, ci guidò per la via della virtù; egli ci tolse dall'orlo dell'inferno, egli ci mandò al Paradiso.
Ma sospendiamo di parlare della vita pubblica di D. Caffasso per trattenerci un momento intorno alla vita privata. Per vita privata intendo particolarmente l'esercizio delle virtù praticate nelle private sue occupazioni familiari, quelle cose che per lo più appaiono dappoco agli occhi del mondo, ma che forse sono le più meritorie davanti a Dio. E qui che lunga serie di fatti edificanti, di virtù luminose si presentano alla nostra considerazione! Quante mortificazioni, penitenze, {25 [375]} astinenze, preghiere, digiuni, si compierono tra le mura di quella sua abitazione. Ogni momento libero dalle occupazioni del sacro ministero era impiegata nella prolungata udienza, che si può dire illimitata. Egli era sempre pronto a ricevere, consolare, consigliare, e confessare nella medesima sua camera. Talvolta era stanco a segno che non poteva più far sentire il suono della voce e non di rado egli doveva trattare con gente rozza che nulla capiva, o di m'Ha mostravasi appagata. Nondimeno era sempre sereno in volto, affabile nelle parole, senza mai lasciare trasparir una parola, un atto, che desse alcun segno d'impazienza.
Oh se le pareti di quel fortunato abitacolo potessero parlare, di quante virtù, di quanti atti di carità, di pazienza, di sofferenza, ci render ebbero gloriosa testimonianza! Sempre affabile, benefico, non lasciava mai partire alcuno da lui senza renderlo consolato con spirituali o temporali conforti, o almeno senza aver prima loro suggerito qualche massima utile per l'anima. La moltitudine di quelli che chiedevano di parlargli lo costringeva ad esser molto spedito. Perciò senza perdersi in complimenti o in cerimonie {26 [376]} entrava subito in argomento e con una sorprendente disinvoltura al primo cenno comprendeva quanto gli si voleva dire e ne dava pronta, franca e compiuta risposta.
Ma ciò faceva con umiltà, con rispetto e con tale prestezza che una persona assai stimata non seppe altrimenti esprimere questa singolare prerogativa di D. Caffasso se non con queste parole: Ègli aveva niente per l'umanità, ma tutto per la carità.
Sapeva e lo andava predicando che ogni spazio di tempo è un gran tesoro, perciò approfittava di ogni momento e di ogni occasione per fare del bene. Nel salire o discendere le scale, nell'andare o venire dal visitare gli infermi o i carcerati, per lo più era sempre accompagnato da qualcheduno con cui trattava di cose del sacro ministero, o dava parole di conforto a persone che in altra guisa non avrebbero potuto parlare con lui.
Dopo la mensa avvi un po' di ricreazione. E questo era il tempo della maravigliosa scuola di D. Caffasso. Qui i suoi alunni succhiavano come latte la bella maniera di vivere in società; di trattare col mondo senza farsi schiavo del mondo; e {27 [377]} diventar veri sacerdoti forniti delle necessarie virtù per formare ministri capaci di dare a Cesare quello che è di Cesare, a Dio quello che è di Dio.
Ma niuna cosa è tanto maravigliosa nella vita privata di D. Caffasso, quanto l'esattezza nell'osservanza delle regole del convitto ecclesiastico di S. Francesco. Come superiore da più cose avrebbesi potuto dispensare, sia a motivo della sua cagionevole sanità, sia per la gravità e moltitudine dello occupazioni che in certo modo lo opprimevano. Ma egli aveva fisso nella mente che il più efficace comando di un superiore è il buon esempio, è il precedere i sudditi nel adempimento dei rispettivi doveri. Perciò nelle più piccole cose, nelle pratiche di pietà, nel trovarsi per le conferenze, alle ore della meditazione, della mensa, egli era come una macchina, che il suono del campanello portava quasi istantaneamente all'adempimento di quel determinato dovere.
Mi ricordo che un giorno per bisogno gli fu portato un bicchiere d'acqua. Già l'aveva in mano, quando udì suonare il campanello pel Rosario. Non bavette più, lo depose, e si recò immediatamente a quella pratica di pietà. Beva, gli dissi, e {28 [378]} poi andrà ancora a tempo per questa preghiera. Volete, mi rispose, volete preferire un bicchiere d'acqua ad una preghiera così preziosa quale si è il Rosario che diciamo in onore di Maria SS.?
Parte della vita privata di Don Caffasso è quella segreta, ma continua mortificazione di se stesso. Qui si scorge un' arte grande usata da lui per farsi santo. Si giudica con fondamento che egli usasse il cilicio, mettesse oggetti per incommodarsi nel letto, facesse altre gravi penitenze. Lascio per ora queste cose da parte. Dico soltanto quelle che io, e tutti quelli che lo conobbero, abbiamo veduto. Comunque stanco non si appoggiava mai nè col gomito ne altrimenti per riposare. Non accavallava mai un ginocchio sull' altro; a mensa non diceva mai: questo mi piace più o meno; tutto era di suo gusto. Fin dalla più giovanile età aveva consacrato certi giorni ad atti particolari di mortificazioni. Il sabato era con rigoroso digiuno dedicato {29 [379]} a Maria SS. Ma che vo dicendo del digiuno del sabato, mentre che ogni settimana, ogni mese, l'anno intero erano per lui un rigido e spaventevole digiuno? Da prima egli diminuì il numero delle refezioni e si ridusse a mangiare una sola volta al giorno, e il suo vitto era una minestra ed una piccola pietanza. Alcuni al mirare tale prolungata austerità gliene fecero rispettoso rimprovero accennando al danno che avrebbe cagionato alla sanità. Si usi qualche riguardo, gli dicevano; se ciò non vuol fare per amor di sè, lo faccia pel bene degli altri. Egli ridendo rispondeva: godo miglior salute facendo così. Ma adducendogli lo sfinimento di sue forze che andavano ogni giorno diminuendo; tosto conchiudeva: O Paradiso! Paradiso! che fortezza e sanità tu darai a coloro che ci entreranno! Fosse intirizzito dal freddo, soffocato dal caldo, oppresso dal sudore, non mai ne cercava conforto, neppure si udiva proferire voce di lamento o di pena.
In ogni tempo dell'anno passava molte ore ad ascoltare le confessioni dei fedeli, e non di rado entrava in confessionale alle sei del mattino e ne usciva alle dodici. Lo stare immobile cosi lungo tempo anche {30 [380]} quando il freddo è essai crudo faceva sì, che uscendo egli per recarsi in sacrestia traviava e doveva appoggiarsi di banco in banco per non cadere, e talvolta a metà della chiesa era costretto ad inginocchiarsi o porsi a sedere. A quella vista ognuno sentivasi commosso, e parecchi volevano a loro spese comperare uno sgabelletto calorifero, sopra cui appoggiasse i piedi, e così potesse ripararsi alquanto dalla crudezza della stagione.
Per timore che egli nol permettesse qualora ne fosse a lui fatta parola preventivamente, il cherico di sacrestia comperò tale sgabelletto ad insaputa del padrone e lo portò ai confessionale prima che egli vi giungesse. Appena vide quell'oggetto di agiatezza, come egli lo chiamava, lo respinse con un piede in un angolo del confessionale e dopo ordinò che più non si portasse dicendo: queste cose sono inutili, danno idea di troppo riguardo in un prete che non ne ha bisogno.
Gli si fecero varii riflessi, ma nè in questa nè in altre circostanze fu mai possibile di piegarlo a temperare quell'ardori; di penitenza, che certamente contribuì a consumare una vita cotanto preziosa. {31 [381]}
Era alieno da ogni specie di divertimenti, a trentadue anni che io conobbi non lo vidi mai a prendere parte a giuoco di carte, tarocchi, scacchi, bigliardo od altro trastullo. Invitato qualche volta ad uno di questi divertimenti, ho ben altro a divertirmi, rispose. Quando io non abbia più alcuna cosa di premura andrò a divertirmi.
- Quando sarà questo tempo?
- Quando saremo in Paradiso.
Oltre il mortificare costantemente i sentimenti del corpo, era nimicissimo di ogni abitudine anche la più indifferente. Dobbiamo abituarci a fare del bene, e non altro, soleva dire. Il nostro corpo è insaziabile. Più glie ne diarno, più ne dimanda, meno gliene si dà, meno egli dimanda.
Quindi non si è mai voluto abituare al tabacco, nè a commestibili dolci, nè a bibite particolari ad eccezione di quelle ordinate dal medico. Nel corso de' suoi studi, in collegio, in seminario non volle far uso nè di caffè, nè di frutta a colezione ed a merenda.
Egli era da dieci anni al convitto ecclesiastico, era già prefetto di conferenza, e. la sua colezione consisteva tuttora in alcuni {32 [382]} tozzi di pane asciutto. In vista delle dure fatiche da lui sopportate, un giorno gli dissi di prendere qualche cosa più confacente alla sua gracile complessione. Pur troppo, egli soggiunse con ilarità, verrà tempo in cui si dovrà concedere qualche cosa di più a questo corpo; ma non voglio appagarlo finchè non possa più farne a meno.
Soltanto alcuni anni dopo fu dall'ubbidienza costretto a temperare tale rigida maniera di vivere. Non ostante però la debole sua complessione, e la sua sanità cagionevole, non volle mai abituarsi ad alcun cibo particolare, anzi lo andò sempre diminuendo finchè, come or ora ho detto, sì ridusse ad una sola refezione al giorno, e refezione di una minestra e di una pietanza. Sebbene soggetto a molti incommodi non volle prolungare un momento l'ordinario suo riposo, che era di sole cinque scarse ore ogni notte. Onde nel crudo freddo di inverno, anche quando pativa malori di stomaco, di capo, di denti, per cui a stento reggevasi in piedi, egli prima delle quattro del mattino era già in ginocchio a pregare, a meditare, o disimpegnare qualche sua particolare occupazione. {33 [383]}
Questo tenor di vita laboriosa, penitente, vita di preghiera, di carita, di stenti e di annegazione praticò fino alla morte, che venne a colpirlo nel momento che noi avevamo maggior bisogno di lui, nel momento da noi inaspettato, ma da lui atteso con calma, ed a cui tutta la vita fu una costante preparazione.
Ma tu, o tempo, perchè fuggi cotanto in fretta, e mi costringi a tacere tante cose ch'io vorrei ancora raccontare? Sebbene sia già alquanto prolungato il mio discorso, spero che vorrete ancora usarmi un momento di pazienza per ascoltare il racconto delle ultime ore del Sacerdote Caffasso. E questo farò dopo breve respiro.
Tiriamo un velo sopra gli avvenimenti che certamente contribuirono a privarci d'una persona cotanto cara, utile e preziosa. Diciamo solo che una vita così pura, cosi santa, còsi simile a quella del Salvatore, doveva pure essere con ingratitudine {34 [384]} pagata da quel mondo, che nol conobbe; da quel mondo a cui vantaggio aveva impiegate le sue sostanze, la sua sanità, la sua vita. - Noi in ciò adoriamo i decreti della divina provvidenza.
È verità di fede che in punto di morte l'uomo raccoglie il frutto di quanto ha seminato nel corso della vita: quae seminaverit homo, hæc et metet. Ora Don Caffasso avendo vissuto una vita piena di buone e sante opere, buona e santa ne doveva essere la morte. Egli stesso aveva per detto familiare e spesso lo andava ripetendo specialmente nelle conferenze morali: fortunato quel prete che consuma la sua vita pel bene delle anime, fortunatissimo colui che muore lavorando per la gloria di Dio; egli avrà certamente una grande ricompensa da quel Supremo Padrone per cui lavora.
Ora colle stesse vostre parole diremo noi: fortunato voi, o Don Caffasso, che avete consumata l'intera vostra vita nel promuovere la gloria di Dio e la salvezza delle anime; voi fortunatissimo che terminaste la vostra vita in mezzo alle fatiche del sacro ministero.
Si crede con fondamente che egli abbia {35 [385]} ricevuto da Dio speciale rivelazione del giorno e dell'ora di sua morte, e ne diede non dubbi segni a quelli che negli ultimi giorni ebbero la bella fortuna di potergli parlare. Egli era solito di aggiustare i suoi affari ogni giorno come se si trovasse alla vigilia di sua morte. E prima di coricarsi ogni sera disponeva le cose di casa come se quella notte fosse l'ultima di sua vita. Ma i tre giorni che precedettero la sua malattia, li passò quasi sempre chiuso in camera. Aggiustò ogni cosa che riguardasse il buon andamento del convitto. Diede gli ordini opportuni a' suoi famigli; rispose ad alcune lettere; ordinò ogni scritto; rnise a posto regolare ogni pezzetto di carta; noto alcune cose da aggiugnersi alle sue disposizioni testamentarie; poscia fece l'esercizio della buona morte che egli soleva fare inalterabilmente una volta al mese.
Intanto giunge il mattino del lunedi 11 giugno dell'anno corrente; e D. Caffasso che cosa fa? Egli ha ogni cosa aggiustata' , tutto è preparato pel suo viaggio all'eternità. Egli va passeggiando per la sua camera aspettando la voce del Signore che gli dica: vieni. Ma che? pensando allo stato di sue forze, gli pare di {36 [386]} poter ancora impiegare alcuni momenti a vantaggio delle anime. Con animo allegro, ma con fatica, dalla camera si porta al confessionale e là impiega più ore nell'ascoltare le confessioni dei fedeli, di quei fedeli che egli con singolare dottrina, prudenza e pietà guidava per la via del cielo. Fu però osservato che il suo modo di confessare non era il Consueto. A tutti raccomandava di staccare il cuore dalle cose terrene; amar con tutte le forze Iddio creatore; pregarlo di toglierci presto dagli affanni della vita per darci il bel Paradiso. Oh Paradiso, Paradiso, disse ad un penitente, perchè tu non sei cercato, desiderato da tutti? perchè ritardi ancora, perchè, perchè...? Ma l'uomo vale per
un uomo; l'ardore di guadagnar anime a Dio continua in quell'anima grande; le forze però gli mancano. Egli è costretto di abbandonare quel confessionale ove per lo spazio di circa venticinque anni era stato fedele dispensatore dei celesti favori a prò di tante anime, e questo confessionale deve abbandonarlo per non ritornarvi mai più.
A passo lento si reca nella sua camera. Ma prima di porsi a letto s'inginocchia e dice queste memorabili parole che egli si {37 [387]} teneva scritte: «Il dolore ch' io provo, o Signore, per non avervi amato, il desiderio che io sento vie più d'amarvi, mi rendono oltremodo noiosa e pesante questa vita, e mi sforzano a pregarvi a voler abbreviare i miei giorni sulla terra, e perdonarmi il purgatorio nell' altra vita, sicchè presto io possa andarvi a godere in paradiso...» Non potè più dire, e per non cadere sfinito andò a porsi a letto circa alle undici del mattino.
La malattia era un'affezione ai polmoni con corso di sangue allo stomaco. I medici praticarono quanto suggerisce l'arte loro, ma tutto invano. Quasi tutti i giorni loro sembrava che l'infermo fosse in via di miglioramento, ma in realtà, com'esso diceva, si andava avvicinando al momento di volare al cielo.
Fin dal primo giorno di malattia egli disse francamente che non guarirebbe più, e che voleva andarsene al Paradiso.
A chi gli domandava se stava meglio, se aveva riposato bene, rispondeva sempre: come Dio vuole. Si raccomandava alle preghiere di tutti. Mi disse un giorno di ordinare speciali preghiere in casa fra i {38 [388]} nostri giovani. L'abbiamo già fatte, gli risposi, e continueremo a pregare; ma ho detto ai nostri giovani che voi sareste, poi venuto un giorno festivo a darci la benedizione col SS. Sacramento. State tranquillo, egli soggiunse: andate, pregate e dite ai vostri giovani, che vi benedirò tutti dal Paradiso.
Dimandato se aveva qualche cosa a fare scrivere, qualche memoria a prendere, commissione a lasciare, egli mi guardò ridendo e disse: sarebbe bella che avessi aspettato a quest'ora ad aggiustare le mie faccende. Tutto è aggiustato per me nel mondo; una cosa sola mi rimane ad aggiustare con Dio; ed è che nella sua grande misericordia voglia darmi presto il Paradiso.
Una singolarità era da tutti notata, ed era il ricevere colla solita bontà chiunque si avvicinasse al suo letto; ma dopo alcuni minuti dava segno che se ne partissero. Sicchè non voleva che alcuno si trattenesse con lui più del tempo richiesto dallo stretto bisogno. Per questo motivo io partendo lo stava qualche volta osservando dall'uscio della sua camera. Io lo vedeva giungere le mani, baciare e ribaciare il crocifisso, poi cogli sguardi volti al cielo parlare interrottamente come in discorso famigliare. {39 [389]}
Da ciò potei convincermi che desiderava d'essere solo a fine di potersi più liberamente trattenere coi suo Dio. Tuttavia un giorno rimasto solo con lui mi feci animo a dirgli essere cosa migliore l'avere regolarmente persona presso al suo letto, sia per que' servigi che frequentemente gli occorrevano, sia anche per ricevere qualche parola di conforto. No, tosto rispose, no. Dipoi alzando gli occhi al cielo disse con forza: e non sapete che ogni parola detta agli uomini, è una parola rubata al Signore?
Eziandio quando la malattia gli minacciava la vita; nella stessa agonia amava di essere solo; anzi non dava segno di gradimento neppure quando gli erano suggerite giaculatorie, quasi che tali preghiere gl'interrompessero gli ordinari colloqui che egli certamente aveva con Dio. Diceva però a tutti di pregate per lui e di raccomandarlo alla protezione della B. Vergine e di S. Giuseppe. Una persona di grave autorità e che frequentò D. Caffasso nel corso della vita, lo visitò più volte nel corso della malattia, dopo averne esaminato attentamente il contegno, quanto diceva e faceva, proferì questo franco giudizio: {40 [390]} Egli, D. Caffasso, non ha bisogno dei nostri suggerimenti; egli è in diretta comunicazione con Dio, egli si trattiene in familiari colloquii colla madre del Salvatore, col suo Angelo Custode e con San Giuseppe.
Molte cose dovrei raccontarvi dell'ammirabile sua pazienza nel tollerare il male, delle parole indirizzate a' suoi amici, della benedizione data a molti, e specialmente a' suoi cari convittori; intorno al modo edificante con cui ricevette gli ultimi sacramenti; ma queste cose mi cagionano troppo grande commozione, e non potrei forse reggerne il racconto.
Vi dirò soltanto che confrontando la malattia e la morte del Sacerdote Caffasso con quella di S. Carlo Borromeo, di San Francesco di Sales, di S. Filippo Neri e di altri gran santi, parmi di poter asserire essere egualmente preziosa agli occhi di Dio. E come poteva essere altrimenti? Se fu santa la sua vita, perchè non doveva esserne del pari santa la morte?
Egli fu gran divoto di Maria, e fu costantemente promotore della divozione verso di questa madre celeste. Ogni giorno, e si può dire ogni momento, faceva qualche {41 [391]} pratica o qualche giaculatoria in onore di Lei. Il sabato era giorno tutto di Maria. Lo passava in rigoroso digiuno; ogni cosa chiestagli in quel giorno era con prontezza conceduta. E molte volte aveva esternato il desiderio di morire in giorno di sabato. Spesso in vita andava dicendo e lo lasciò pure scritto: «Che bella morte morire per amor di Maria. Morire nominando Maria. Morire in un giorno dedicato a Maria. Morire nel momento più glorioso per Maria. Spirare tra le braccia di Maria. Partire pel Paradiso con Maria. Godere in eterno vicino a Maria».
O anima fortunata! i tuoi desiderii sono appagati; tu sei al decimoterzo giorno di tua malattia; è giorno di sabato; giorno di Maria; tu hai ricevuto da poche ore il sacratissimo corpo di Gesù. Or bene, Gesù ti chiama e vuole darti quel Paradiso che tanto desideri, per cui hai impiegata tutta la tua vita. Maria tua Madre, di cui fosti cotanto divoto in vita, ora ti assiste e ti vuole Ella stessa condurre al cielo. Ed ecco il nostro D. Caffasso fare un sorriso... egli manda l'ultimo respiro... L'anima sua con Gesù e con Maria vola a godere la beata eternità. {42 [392]}
Noi speriamo fondatamente che dopo una morte cosi preziosa agli occhi di Dio l'animi di D. Caffasso abbia nemmeno toccato le pene del Purgatorio, e sia immantinente volata al Paradiso. Per questo motivo invece d'invitarvi a pregare per Lui, vi suggerirei piuttosto di ricorrere alla sua celeste intercessione. Ma siccome Iddio Santissimo e purissimo trova macchie negli Angeli stessi; così noi adempiendo un dovere di gratitudine e di amicizia offriamo a Dio qualche preghiera, qualche comunione, qualche limosina, qualche opera di carità in suffragio dell'anima del compianto nostro benefattore. Che se tali opere non saranno più necessarie per liberarlo dalle pene del Purgatorio, serviranno a suffragare quelle anime purganti al cui sollievo cotanto lavorò nella vita mortale, e che tanto raccomandò di suffragare.
Animo, uditori, ancora un momento. Tra le ultime parole di D. Caffasso sono le seguenti, e sono veramente degne di eterna ricordanza. «Quando sarò disceso nel sepolcro, egli disse, desidero e prego il Signore di far perire sulla terra la mia memoria, sicchè mai più nessuno abbia a pensare a me fuori di que' fedeli che nella {43 [393]} loro carità vorranno, siccome spero, pregare per l'anima mia. Io accetto in penitenza de' miei peccati tutto quello che dopo la mia morte nel mondo si dirà controdi me».
Caro D. Caffasso, questa vostra preghiera non sarà esaudita; voi desideravate d'umiliarvi in modo che la vostra gloria andasse con voi nella tomba. Ma Dio vuole altrimenti. Dio vuole che la grande vostra umiltà sia esaltata, e voi siate coronato di gloria in cielo. La vostra memoria è quella del giusto che durerà in eterno. In memoria æterna erit justus.
La vostra memoria durerà presso i sacerdoti perchè foste loro modello nella santità della vita, e maestro nella scienza del Signore. La vostra memoria durerà presso ai poveri che piangono la vostra morte come quella d'un tenero padre; durerà presso ai dubbiosi cui deste santi e salutari consigli; presso gli afflitti, cui in tante guise avete portato consolazione; durerà presso gli agonizzanti da voi confortati; nelle carceri ove sollevaste tanti infelici; presso a tanti condannati che la. vostra carità mandò al cielo. Durerà presso i vostri amici, e vostri amici sono tutti quelli che vi hanno conosciuto; presso a {44 [394]} tutti quelli che stimano i grandi benefattori dell'umanità quale foste voi in tutto il corso della vostra vita mortale.
Infine la vostra memoria durerà tra di noi, perchè la carità che aveste per noi in terra ci assicura che voi siate nostro protettore presso Dio, ora che siete glorioso in cielo. Vivi adunque in eterno con Dio. o anima grande, anima fedele. Il tempo de' patimenti per te è trascorso; non più pene, non più afflizioni, non più malattie, non più dispiaceri, non più morte, non più. Dio è tua mercede; tu sei in lui; e con lui e presso di lui godrai ogni bene in eterno. Maria, quella celeste madre che cotanto amasti e facesti amare in terra, ora ti vuole presso di sè per darti la debita ricompensa del filiale affetto che le hai portato. Ma dal mezzo di tua gloria, deh! volgi pietoso uno sguardo sopra di noi, che colla tua partenza dal mondo rendesti miseri ed orfani. Deh! per noi intercedi, e fa che vivendo secondo i consigli che ci hai dati, seguendo i luminosi esempi di virtù che ci hai lasciati, possiamo noi pure un giorno pervenire al possesso di quella gloria che con Gesù e con Maria, con tutti i Santi del Paradiso si gode per tutti i secoli de' secoli. Cosi sia. {45 [395]}
Il dì 23 giugno, 1860, volgeva alla metà del suo corso, quando si sparse la notizia della morte' del sacerdote Caffasso. Quest'uomo che fino allora visse quasi sconosciuto al mondo cominciò ad apparire grande. Tu avresti veduto, come accade alla morte de' santi, accorrere mesta alla funebre stanza del sacerdote una folla sempre crescente di persone, che cercava un lenimento al dolore nel vedere quell'aria di Paradiso spirante dal suo volto, nel baciar quelle mani ministre di tante, consolazioni spirituali e temporali, nel taglinzzare degli abiti, dei panni, dei capelli, nel far toccare il suo corpo con oggetti per questo tatto divenuti preziosi. Il popolo {46 [396]} con questo slancio di reverenza veniva a dire: è morto il sacerdote secondo il cuore di Dio, e mostrava il credito di santo in che teneva il Defunto.
La mattina del 25 chiuso nella sua cassa era trasportato nella chiesa di S. Francesco. Quivi da' suoi più cari, che avean divise con lui le cure del sullodato convitto, ebbe i primi pubblici suffragi e onori. Non è qui facile a ridire il concorso d'ogni condizione di persone dal sacerdote al laico, dal patrizio più illustre al bracciante e al povero, che con un solo affetto in cuore, con una sola preghiera sul labbro assisterono alla messa solenne da Requiem. Per tutta la funzione e ancor più finite le esequie era un accalcarsi continuo di gente intorno alla funebre bara, una pressa ad avvicinar più che si potea la cassa, un baciar di quel drappo mortuario, un versar di lacrime, un sospirar forte, un deporre di fiori e gigli così bene esprimenti le virtù ed il candore del perduto sacerdote. Questo commovente spettacolo metteva tutta l'anima in preda a teneri sentimenti, così che il piangere era un bisogno, un conforto, un misto di religioso dolore e di affettuose espansioni. {47 [397]}
Giunta l'ora fissata per la sepoltura, sfilarono varie compagnie religiose, la corporazione de' Francescani e da ultimo una lunga fila di sacerdoti muniti di torcine. Questo decoroso accompagnamento, che pur era imponente, acquistava una insolita pompa pel concorso di migliaia e migliala di persone, che lungo le vie attendevano coll'eloquente loro presenza a dare un tributo di onore e di ossequio alla salma del defunto. E chi faceva parte di questa funzione, udiva a dritta e a sinistra spontanei elogi della santità, dello zelo, della generosità del venerando sacerdote, e vedeva le lacrime di tutti spargersi miste alla preghiera, interrotta dai singhiozzi.
Si giunse in fine alla parochiale dei Santi Martiri, e quella chiesa ampia assai era stipata di fedeli, che agognavano di assistere alle rituali preci, alla messa cantata presente cadavere, alle solenni esequie. Clero e popolo, signori e poveri, uomini e donne, provetti e fanciulli, circondavano l'altare e il feretro pregando pace e requie all'anima bella di D. Caffasso. Quelle auguste cerimonie terminarono; si spensero i molti lumi e al mesto canto tenne dietro un religioso silenzio, interrotto solo {48 [398]} da un cupo mormorio degli astanti, che dolenti separavansi da quelle care spoglie.
I confratelli della confraternita di S. Rocco levarono sulle spalle il prezioso deposito e si diressero al campo santo. Qui crebbe il trasporto di venerazione verso a quel santo uomo. Molta gente d'ogni ordine di persone prese a seguire il feretro recitando preghiere e rosari, alternati tra sacerdoti e popolo. La piccola chiesa del torinese cimitero non potè contenere la moltitudine che seguiva quelle venerande spoglie; compartita l'assoluzione funebre, era trasportato in una camera mortuaria, ove fu una gara nel dividersi i fiori soprastanti alla cassa, quasi preziose memorie e del defunto sacerdote e della pietosa funzione. Prima però di dividersi da quelle care reliquie si mandò dai fedeli per la prima volta dal cimitero a quell' anima candida un suffragio, che partiva dai cuori spezzati dal dolore e dalla ineluttabile necessità di pur separarsi anche dai resti del suo frale.
Dissi per la prima volta, e dissi bene; perchè nei giorni, che venner dappoi, la sua sepoltura fu visitata dalle persone memori de' suoi benefizi antichi, e speranzose di nuovi; e su quelle fredde sabbie immolossi {49 [399]} da quel dì un continuo sacrifizio di suffragi e di invocazioni. Chi scrive visitò quel sepolcro, e tornò a sentire che il cristiano cimitero sempre eloquente maestro a chi lo perlustra collo spirito della fede e colla preghiera della religione, diviene un luogo indispensabile al cuore, quando tra quelle tombe dimorino le ceneri dei nostri diletti benefattori.
Intanto si approssimava il dì trigesimo della morte del sacerdote D. Caffasso, e il Convitto gli apprestava tutto quel maggiore onore che gli era consentito dai disponibili mezzi. Tuttavia il desiderio di molte private persone vagheggiava una dimostrazione solenne in maniera che l'uomo di {50 [400]} tutti ricevesse da tutti quanti il volessero una testimonianza degna di lui. Alcuni suoi riconoscenti e apprezzatori de' suoi meriti si videro, s'intesero, e con coraggio intrapresero a disporre per un decoroso funerale raccogliendo offerte nella sfera delle persone, che più in vita l'avevano avvicinato o comunque ammirato. Era bello il vedere come a questo pietoso scopo il povero deponeva il suo obolo col rincrescimento di non poter fare di più, e l'agiato signore largiva con piena soddisfazione l'oro o l'argento. E quando riflettasi, che in pochi di e in una stagione di viaggi e di villeggiatura si raccolse tanto da sopperire vistose spese, dovrassi confessare che, ove arrida la religione, è possibile e facile mandar le più ardue imprese a felice esecuzione. Dal cielo l'anima benedetta di D. Caffasso ha senz'altro goduto assai allo scorgere il concorso del povero, del prigioniero, dell'agiato, del ricco, e sopratutto di un illustre patrizio che nel dar le volute disposizioni eccedeva la prevedibile entrata, perchè sapeva che la maggior pompa dell'apparato non avrebbe mai ecceduto la generosità del suo affetto e della sua mano. La mattina del 30 agosto aprivasi la {51 [401]} chiesa di S. Francesco per la mesta cerimonia, e l'aspetto maestoso di quel santo luogo faceva dire a più d'uno che simile ricchezza non avrebbe disdetto a regal principe, non avvertendo che il Defunto per cui erasi preparata quell'onoranza godeva in effetto l'impero dei cuori.
Tutto l'interno della gran croce della chiesa, come pure la cupola e la volta, era coperto di drappi a frangie d'oro; ma quel che più colpì si fa quel costante intreccio del bianco e del nero, così che simile apparato veniva a mescere al lugubre pensier della morte il lieto pensier della immortalità, e mentre ti chiamava al suffragio, secondo lo spirito della Chiesa, elevava lo spirito al cielo, ove ti pareva contemplar l'anima del caro estinto. Un gran Calvario a toga d' argento dominava tutta la chiesa dall'alto del coro; l'altare maggiore presentavasi tutto coperto a bruno e sormontato dal crocifisso in mezzo ad argentati cancellieri, una tomba ricca, di buon gusto, e circondata da gran quantità di torchie, sorgeva a pochi passi dalla balaustra, e lungo la chiesa i lampadari posti in mezzo a grandiosi cortinaggi mandavano una luce, che diceva assai bene {52 [402]} nel vasto aere ombreggiato artisticamente. Una pia signora avea preparato quattro corone di gigli da collocarsi ad ornamento del catafalco, col bel pensiero, che così venisse simboleggiato il candore dell'anima di D. Caffasso. Però il desiderio di attenersi esattamente al disposto delle ecclesiastiche rubriche consigliò di dare a queste corone un'altra destinazione, e fu quella di collocarle a pie di Maria Immacolata, il cui altare si ebbe cura che facesse bella mostra di sè, con disporre una serie di lumi ben compartiti innanzi l'immagine della Vergine, e un bell'ordine di vasi con piante di pini frammezzo ai dorati e ricchi candellieri. Mirabile intreccio che ti parlava nel suo insieme di candore, di speranza e di viva carità; più ancora quei gigli, quei lumi, quei vasi di verdura innanzi a Maria in quel dì svelavano di per sè il pensiero propostosi di significar con questo la gran pietà del defunto verso Maria, e la gran predilezione di Maria verso il defunto. Quivi sarebbe opportuno il discorrere delie iscrizioni dettate dal Prof. D. Carlo Ferrerò, iscrizioni che ben altri poteva farne di uguali per merito letterario, {53 [403]} ma non certo uguali per unzione e pietà[5].
Fin qui non si fece parola della funzione, o meglio ancora, della successione delle funzioni, perciò giova darne i rispettivi cenni.
Si notò con gran compiacenza che un gran numero di comunioni ebbero luogo in quel mattino, e questa divota espressione del principale spirilo ammiratore del funerale, mostrò la vivezza della cattolica fede nel porgere al defunto il precipuo suffragio dopo quello del sacrifizio incruento, anzi, se non era il timore di esigere troppo, e insieme il non volere introdurre novità di sorta, quelle comunioni si sarebbero riservate all'ora della messa solenne. Con tutto ciò debbesi dire a onore del vero, che riuscirono ugualmente edificanti nel tenore in che vennero fatte.
Secondo i calcoli basati sulle circostanze della stagione autunnale, erasi a temere, che la chiesa in altri mesi troppo angusta per simile funzione, in questo dovesse riuscire ampia troppo, ma il fatto smentì {54 [404]} i timori; imperciocchè i fedeli buon tempo prima della messa solenne già affollavansi ansiosi per assistere alla cara funzione, fino a mostrare colla loro presenza per ben due ore e mezzo quanto gustassero quella degna testimonianza di affetto data al degno ecclesiastico. Per ciò che spetta all'affluenza del clero, devesi confessare, senza timor di esagerazione, che furono non meno di tre centinaia gli accorsi non solo da tutte le parti della città, ma eziandio dai distanti paesi. Erano essi una parte solo dei beneficati e degli ammiratori di D. Caffasso, giacchè moltissimi altri che la stima e la riconoscenza avrebbe condotti alla funzione, furono dal dovere trattenuti al loro posto. Un centinaio dei presenti vestirono la cotta, e disposti intorno all'altare maggiore e al feretro assisterono al celebrante, che fu il canonico Anglesio, Padre della Piccola Gasa della Divina Provvidenza. Quel sagrifizio sempre solenne celebrato con tanta pompa, assistito da sì numeroso clero e popolo, offerto in suffragio e memoria dì un dilettissimo sacerdote, offriva un non so che di patetico, di tenero, di celeste, che tu adoravi, gemevi, godevi nel medesimo istante {55 [405]} e con un atto solo. E chi non ravvicinò in tai momenti quella augusta cerimonia a quell'altra della chiesa primitiva; in cui sulla tomba del martire offrivasi a Dio il sacrifizio della religion d'amore, nel mentre stesso che una ferma credenza. stava profonda nel cuor del Pontefice e degli assistenti, che cioè quel sagrifizio fosse più in invocazione e onore che in espiazione e suffragio del caro estinto?
Ad aggiunger decoro alla funzione eravi l'accompagnamento di scelta musica composta e diretta dal cav. Rossi così valente maestro nelle religiose melodie.
Tra il canto severo e grave delle preci della messa, e la soave e religiosa melodia dell'orchestra, tra le preghiere e del clero e del popolo progrediva al fine quel sacrifizio. Allora ho letto il ragionamento, più sotto stampato, in cui il sacerdote Caffasso è descritto modello di vita sacerdotale. Le prescritte esequie vennero a metter fine a quella solenne funzione, la quale per essere stata indirizzata ad un amico di Dio lascia luogo a sperare grandi benedizioni solite a coronare il funerale dei santi, benedizioni tanto più ad aspettarsi, perchè nei disegni della Divina Provvidenza è disposto, {56 [406]} e la storia lo attesta, che sia accettata la immolazion spontanea, che fa il giusto di sè, per lo scampo dai più tremendi castighi minacciati a' rei; e in ciò sia benedetta la premura de buoni che cercano di onorar la memoria dei diletti del Signore. E giusto fu dichiarato il Defunto e diletto dal Signore. Questa è la voce del sacerdote e del laico, del ricco e del povero, dell'afflitto e del carcerato, dell'anima condotta alla perfezione e del peccatore riconciliato con Dio. E se mai fu vero che la voce del popolo sia la voce di Dio, mi piace crederlo questa volta, io cui il popolo, senza voler prevenire i giudizi della chiesa, nello slancio dell'affetto chiamò Santo il Defunto, vide nei funerali maestosi i primi onori e secondo l'espressione adoperata da qualche persona non corriva nelle parole e nell' apprezziazion delle cose i primi vespri di un' altra solennità, e non si acconciò ad appellar altrimenti questa funebre pompa che col nome di festa.
Comunque sia la cosa, la funzione ebbe il suo termine, com'è proprio delle cose umane quaggiù, sian pur esse giuste, preziose e sante. Però il finir della funzione, uscir di quella chiesa non equivalse a smettere {57 [407]} la ricordanza di ciò che si era là dentro passato, e l'anima al lasciar quel luogo santo sperimentava vivo rincrescimento che troppo presto si fosse involato quel mattino, troppo presto si fosse cessato dall'attestare in faccia al mondo la riconoscenza del cuore all'uomo di Dio. Buon per noi che rimane all'affetto un rifugio, ed è il poter visitar la tomba che chiude le spoglie mot tali del Sacerdote così benemerito delle anime, è il poter avvicinar quelle ceneri che sono eloquenti anche dal nudo avello. Oh! amato D. Caffasso, ogni qualvolta vedrai dal Cielo raccolti intorno al tuo sepolcro, come ad un luogo di ambito convegno que' tali che già ebber da te consiglio, coraggio ed affetto, e che dopo averti mostrata una qualche riconoscenza ripareranno alla tua tomba, quasi ad un portò tra le tempeste, tu fa sentire l'effetto che si provava quando ti approssimavano in vita; allora questi giorni passeranno men tristi per la tua dipartita e le anime da te beneficato continueranno a usufruire dell'opera tua, forse meno sensibile, ma certo più efficace ancora.
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A. - Mettiamo qui le belle iscrizioni che l'erudito professore Ferrerò compose a giuria {58 [408]} del Sac. Caffasso e a decoro della solenne funzione celebratasi il 30 agosto nella chiesa di S. Francesco d'Assisi.
Sulla Porta della Chiesa:
Accorrete, o torinesi, e pregate
all'anima candida
del gran servo di Dio
il sacerdote GIUSEPPE CAFFASSO
rettore di questa Chiesa
onorato in morte da tante lacrime -
Cittadini d'ogni classe
patrizi, sacerdoti, artisti, carcerati, ricchi e poveri
rendono
solenni esequie e meritate laudi
onde abbia requie e gloria fra i santi.
Sulla porta nell'interno della Chiesa:
Il sacerdote GIUSEPPE CAFFASSO da Castelnovo d'Asti nacque addì 11 gennaio 1811 e dai primi anni natura e grazia gareggiarono a farne il compito uomo di Dio - Nel seminario di Chieri fra i chierici, nel Convitto Ecclesiastico di Torino fra i sacerdoti per candore di costumi, festività d'indole, vivacità di fede, altezza d'ingegno si raccomandò così che all'oculato giudizio dell'insigne T. Luigi Guala parve da eleggersi fra mille per succedergli ad informare i giovani sacerdoti al vero spirito di Cristo - In tale uffizio brillò per anni 12 {59 [409]} quasi lampada sul maggio in tempi difficilissimi sempre più ammirato dal clero e dal popolo quanto più conosciuto - Preside delle conferenze morali, esaminatore sinodale della Diocesi, predicatore di esercizi al Clero a Lanzo ed altrove, visitatore dei carcerati, ministro instancabile al tribunale di penitenza, compagno ai condannati sul palco di morte, parve a' vescovi a' sacerdoti a tutti superiore ad ogni encomio - Alienissimo dalle lodi degli uomini, fisso nelle cose eterne, largo di cuore e di mano, visse sobrio, penitente, ritirato, noverò i giorni coi benefizi, intento solo a praticare la morale cattolica e la perfezione sacerdotale coll'integrità dei santi - Versato nelle celesti ed umane discipline, amico di tutti, depositario delle più segrete confidenze con una semplice e sicura parola si chiariva angelo del buon consiglio, consolatore degli afflitti, l'uomo della prudenza e semplicità di Cristo - Non conobbe invidia perchè veramente grande - A mezzo le opere belle sopraggiunto da malattia previde il fine de' suoi giorni e sereno tranquillo sorrise alla tomba come all'aurora di giorni migliori e lieto delle grazie dei santi Sacramenti ed indulgenze della Chiesa benedetti vangelizzati i suoi alunni fece la morte del giusto il giorno 23 giugno 1860 addormentandosi placidamente nell'amplesso della croce - Visse anni 49 e mesi 5 giorni 7 ebbe al suo transito tale in tutta la città un'ovazione di lagrime e laudi per cui si vide che quanto meno cercò la gloria presso gli uomini tanto più l'ebbe verace ed universale. {60 [410]}
B. - Altre iscrizioni:
I.
Se le più calde preci
del clero e del popolo
se il bisogno di molte anime
la voce dei poverelli, dei carcerati ed infelici
se nel sommo della pubblica estimazione
la tua modestia incomparabile
avessero potuto protrarti i giorni
a maggiori meriti
non ora tu vedresti, o Giuseppe
anima sempre desiderata e compianta
il tutto di un popolo
che lamenta a Dio la morte immatura
del suo diletto già maturo
al gaudio della immortalità beata.
II.
Diletto a Dio e agli uomini
educò
all' apostolico ministero
informò
al vero spirito della cattolica fede
coll'esempio e colla parola
Sacerdoti, Parochi, ogni ordine di popolo
che splendendo nel paese
per incorrotta dottrina ed integrità di costumi
dell'uomo incomparabile
modello di virtù ed eccitamento a tutti
faranno eterni
i fasti, i detti, il nome. {61 [411]}
III.
Dove giustizia punisce i delinquenti
era l'uomo delle misericordie
Niuno de' giustiziandi ebbe si ferrea tempra
da resistere alle sue parole
in quelle stanze del dolore
Apostolo di G. Cristo recava luce, balsamo, vita
ed un'ultima largizione
suggellandovi in morte quelle d'ogni giorno
era a ragione ed è
acclamato
Angelo consolatore.
IV.
Il suo nome
memoriale di vita nascosta e di zelo prudente
come risuonò
illustre e venerato in Torino e nel Piemonte
resterà
in esempio e benedizione
per anni e lustri nel clero e nel popolo
e gli annali della Chiesa torinese
scriveranno D. Caffasso
tra i più benemeriti confessori e sacerdoti
del secolo XIX. {62 [412]}
Operatus est bonum et rectum et verum in universa cultura ministerii domus Dei. (2. Par. XXXI, 20).
Un solo, o Signori, un solo che in questo momento potrebbe formare la nostra delizia trovandosi tra noi, quello solo non è più. Avvi il sito ove egli passava, il posto ove egli genuflesso pregava, soavi gli altari sopra cui or fa poco tempo offeriva l'Eucaristico sacrifizio, avvi tuttora e degnatelo di uno sguardo, avvi il tribunale di penitenza, ove egli purificava, consolava e confortava le anime nostre, c'è pure questa cattedra di verità d'onde egli con santo zelo spiegava la parola del Signore, ma egli non è più. Questo lugubre apparato, questo maestoso feretro, e più ancora il mesto vostro sembiante mi dicono che il nostro amico tra mortali non è più. {63 [413]}
Ah! D. Caffasso, D. Caffasso, dove siete mai...? Perchè cosi presto ci abbandonaste? Venite almeno per un momento a recarci qualche conforto!
Odo una voce che parmi venire dal cielo; non affannatevi, ci dice, io sono ancora tra voi. Sì, o Signori, D. Caffasso è ancora con noi; è vero che l'anima sua riposa già beata con Dio; ma egli vive, parla, conversa con noi. Vivo con noi nelle sante azioni che mandò ad effetto nei corso della vita mortale; parla con noi per mezzo di tanti figliuoli spirituali, che dopo aver da lui succhiato il latte della prudenza, della sapienza e della pietà sono sparsi in varii paesi, ove insegnano, predicano, propagano la sua dottrina, i suoi consigli, la sua morale. Egli con noi conversa colle sante regole di ben vivere che ci diede colla voce e cogli scritti che ci lasciò dopo morte. Vive tra noi... ed io spero che in questo momento dal Cielo volgerà pure uno sguardo per rimirare questi suoi amici che si sono radunati per dargli un segno di venerazione.
Due pensieri, o Signori, vi mossero a venire oggi in questa chiesa; celebrare una religiosa funzione, e udire il racconto {64 [414]} delle virtuose azioni di questo nostro insigne benefattore, dandomi l'onorevole incarico di tenervi apposito ragionamento. La prima parte, cioè gli esercizi di pietà, gli apparati, i sacri cantici e gli altri riti religiosi riuscirono splendidi. Dovendo io ora fare la parte mia, vi assicuro che mi trovo in grave difficoltà, e non so come ci potrò riuscire. Perciocchè dopo considerate ad una ad una le belle virtù del nostro amico defunto conobbi che ciascheduna di esse dimanderebbe lungo ragionamento. Gli stessi fatti sono così luminosi e compiuti nel loro genere, che col volerli sottoporre a ragionato discorso si riesce piuttosto ad oscurità che ad ornamento de' medesimi. In tale perplessità vennemi in aiuto il detto de' libri santi, cioè che D. Caffasso fu un sacerdote che operò il bene, il retto ed il vero in ogni parte del ministero del Signore. Operatus est bonum et rectum et verum in universa cultura ministerii domus Dei.
Di qui pertanto, o Signori, io prendo a parlarvi, e tenendo fermo che la logica de' fatti vale più che ogni sublime e lavorato ragionamento, lascio da parte le figure, le eleganze che negli elogi funebri soglionsi {65 [415]} usare, e noi limito alla semplice esposizione delle azioni, mercè cui vedremo che il sacerdote Caffasso coll'esercizio della carità cristiana ha fatto tutto quel bene che da un vero ministro di Gesù Cristo possa farsi nel corso della sua vita mortale. Prima però d'incominciare stimo bene di notarvi due cose; primo che nell'esposizione dei fatti, io mi sono tenuto a quanto ho io stesso veduto cogli occhi miei, oppure mi fu riferito da rispettabili persone che vissero con lui; sicchè i testimoni ne sono oculari e degni di fede. In secondo luogo debbo avvisare ohe se uso talvolta espressioni convenienti solamente ai santi dalla Chiesa riconosciuti, io non intendo di prevenire i giudizi di essa; io intendo unicamente di esporre la verità, lasciando al tempo e a Santa Madre Chiesa il profferire quell' infallibile giudizio cui noi tutti di buon grado ci sottomettiamo.
Ma voi, o D. Caffasso, diceste e lasciaste scritto che disceso nel sepolcro desideravate che niuno più avesse a parlare di voi. Volevate che le vostre opere fossero nascoste, per fuggire la gloria e gli applausi mondani; permettete nondimeno che in quest'oggi io faccia dolce violenza alla vostra volontà, {66 [416]} permettete che almeno le principali vostre azioni siano pubblicate; ciò noi facciamo, non per vostra lode, poichè voi aborrite ogni lode mondana, ma per onorare Iddio ne' suoi servi fedeli, per onorare quel Dio per la cui gloria impiegaste le vostre sollecitudini, le vostre sostanze, tutta la vostra vita mortale. Incominciamo.
Il compimento di ogni legge, il complesso delle cristiane virtù, secondo S. Paolo, consiste nella carità. Più l'uomo si perfeziona in questa celeste virtù, più s'innalza verso Dio; e quando è giunto alla pratica compirita dì essa, egli è un perfetto cristiano, è un modello di santità. Plenitudo ergo legis est dilectio. Ad Rom. C XIII, 10.
Questa è quella virtù che informò tutta la vita del sacerdote Caffasso. Ogni parola, ogni pensiero, ogni opera dalla più tenera età sino all'ultimo istante di vita fu un continuo e non mai interrotto esercizio di carità; cioè una costante pratica de' suoi {67 [417]} doveri verso Dio, verso gli uomini, verso se stesso. Portiamoci col pensiero là in Castelauovo d'Asti sua patria fortunata ed osserviamolo. Egli è soltanto all'eta tra gli otto ed i dieci anni, e già con maravigliosa esattezza compie i suoi doveri di scuola. Con quale assiduità egli si reca alla chiesa, prende parte alle sacre funzioni, frequenta i santi sacramenti! Di là cominciano le maraviglie. Egli va ad ascoltare la parola di Dio, di poi va ripetendola a' suoi compagni ed amici. Lavora, ma le sue fatiche sono miste con giaculatorie, con atti di pazienza, con offerte continue del suo cuore a Dio. Anche in quella tenera età trova mezzo di beneficare il suo simile. Il dare un buon consiglio, racconciliare il figlio col padre, il padrone col servo erano frequenti trionfi del giovanetto Caffasso. Quello poi che è sorprendente in quella giovinezza è il modo industrioso da lui trovato per far limosine. Rinunciava ad ogni piacere e divertimento; privavasi non di rado delle cose più lusinghiere ed anche necessarie, metteva in serbo una pagnotella, un frutto, qualche soldo per darlo ai bisognosi, che già formavano la delizia del suo cuore; perchè già aveva imparato a ravvisare in essi la persona del Salvatore. {68 [418]}
Questi maravigliosi semi di virtù non diminuirono, anzi crebbero col crescere degli anni, e nel dodicesimo di sua età essendo andato a proseguire i suoi studi a Chierì non era altrimenti da' suoi compagni chiamato se non col nome di novello S. Luigi. Il Signore vedendo questa tenera pianticella adorna de' fiori delle più elette virtù, lo tolse di mezzo al mondo per piantarlo nel giardino della Chiesa, e farne col tempo un degno ministro, siccome ardentemente desiderava. Quando il giovanetto Caffasso vestì l'abito sacerdotale, i parenti e gli amici ne provavano gran gioia, ed ognuno andava dicendo in cuor suo: questo giovanetto è veramente degno di tale abito di santità; imperciocchè egli camminò con rettitudine, ed operò con giustizia in ogni sua azione; Operatus est bonum et rectum.
Divenuto cherico risolse di farsi santo, ovvero continuò a vivere santamente siccome fino allora aveva fatto. Egli soleva dire che un giovanetto abbracciando lo stato ecclesiastico deve persuadersi di due grandi verità: di essere venduto al signore, e che' per ciò il mondo non ha più nulla a fare con lui; e che quando riceve l'abito sacro deve immaginarsi di riceverlo dallo stesso {69 [419]} Gesù Cristo che in pari tempo gli dica: Tu es lux mundi (Matt. 5, XIV), tu sei divenuto luce del mondo. Guai a te se lasci spegnere questa luce! getti tè stesso nell'oscurità, e costringi gli altri a camminare nelle tenebre. Queste espressioni furono come il piano di regolamento per tutta la sua vita. Tanto in patria quanto in seminario i suoi superiori, gli stessi suoi compagni erano pieni di stupore verso di lui. La prontezza, la diligenza nello studio, la facilita nel capire le difficoltà, l'ubbidienza ai superiori, l'affabilità, la pazienza verso gli uguali e inferiori, la frequenza, il contegno nelle pratiche di pieta parevano un mistero a quanti lo conoscevano. Non sapevano darsi ragione come un cherico di si giovanile età fosse pervenuto a così perfetto grado di virtù. Perciò andavano talvolta esprimendo il loro stupore con dire che nel cherico Caffasso non era passato il peccato originale. Ho stimato bene di darvi questo cenno sulla giovinezza di D. Caffasso, affinchè non rimaniamo sorpresi al racconto dei fatti che noi andremo di lui esponendo. Perciocchè se la vita da lui finora tenuta negli atti, nel parlare, nel trattare, nel camminare è rigorosamente {70 [420]} quale si conviene a chi è chiamato nella sorte del Signore, dobbiamo dire che la vita di lui sacerdotale fu quella di un santo: operatus est bonum in universa cultura ministerii domus Dei.
Parecchi i quali ebbero lunga e piena conoscenza di D. Caffasso furono cortesi dì farne la verbale o scrìtta relazione, e tutti convengono che la sua vita sacerdotale si può appellare piuttosto quella di un angelo che di un uomo. Egli medesimo ci lasciò scritto le deliberazioni prese sul principio del suo sacerdozio. Si portò un giorno a' pie del crocifisso, e, Signore, disse, voi siete la mia eredità: Dominus pars haereditatis meae (Salm. XV, 5). Questa è la scelta che volontariamente ho fatto nel memorando giorno della sacra mia ordinazione. Sì, o mio Dio, voi siete la mia eredità, la mia delizia, la vita del mio cuore in eterno: Deus vita cordis mei et pars mea, Deus in aeternum (Salm. 72, 26). Ma non solo, o Dio, io voglio essere tutto vostro, ma voglio farmi santo, e siccome non so se lunga o breve sarà la mia vita, così, o mio Dio, vi protesto che voglio farmi santo e presto santo. Cerchi pure il mondo le vanità, i piaceri, le grandezze {71 [421]} della terra, io non voglio, non cerco, non desidero che ferrai santo, e sarò il più felice degli uomini facendomi santo, presto santo e gran santo. Questo disse, e mantenne la parola.
In quanto alla santità negativa che consiste nella esenzione della colpa, nell'evitare ogni difetto volontario, abbiamo le più splendide testimonianze. Ho lette le mentovate relazioni, e di più ho interrogato parenti, amici, compagni di scuoia ed altri personaggi, che ebbero lunga conoscenza di lui; ho loro domandato se nella vita di D. Caffasso avessero notato cosa meritevole di rimprovero, o semplicemente degna di essere corretta come difetto. Ma tutti concordano in asserire che ne' quarantanove anni di vita loro non fu mai dato di notare un'azione, un gesto, uno sguardo, una parola od una sola facezia meno dicevole ad un giovane virtuoso, ad un cherico esemplare, ad un santo sacerdote. All'opposto parlando della santità positiva, che consiste nella pratica della virtù, tutti ne parlano con espressioni le più gloriose. Chi lo chiama un novello S. Luigi per innocenza e purità di costumi; altri lo dicono un S. Francesco di Sales per mansuetudine, pazienza {72 [422]} e carità; quegli il dice un S. Vincenzo de' Paoli per la grande carità che egli usò ad ogni sorta di infelici. Avvi poi chi non esita di chiamarlo un S. Carlo Borromeo per la rigidezza della vita e per l'austerità usata con se medesimo. Ma mentre rimangono sorpresi al rigido suo tenor di vita lo chiamano un novello S. Alfonso per dolcezza, accondiscenza e bontà. Mi rincresce assai che la brevità di un discorso m'impedisce di corredare questi pensieri con fatti che in lunga serie mi si parano innanzi. Mi limito soltanto a due de' più importanti, di cui uno è il convitto ecclesiastico di S. Francesco di Assisi, che è quella benefica casa annessa a questa chiesa, che da quarantatre anni è sorgente feconda di grazie e di benedizione per la diocesi di Torino, e possiamo dire per tutto il Piemonte.
Lo scopo di questo convitto è di ammaestrare i novelli sacerdoti nelle materie pratiche del sacro ministero, particolarmente in ciò che riguarda all'amministrazione {73 [423]} del sacramento della penitenza ed alla predicazione della parola di Dio. Il quinquennio di teologia elementare, anche compiuto con diligenza e con regolarità, non basta a formare un dotto, pio e prudente ministro del santuario. È mestieri vederne le conseguenze pratiche; sentire i riflessi; avere certe norme e certe istruzioni che la sola voce di un valente maestro può somministrare con frutto e formare degni ministri del santuario. Ed ecco che l'anno 1817 il teol. Guala, quel grande benefattore del clero, di consenso col superiore ecclesiastico apre ai novelli sacerdoti di qualsiasi diocesi un luogo facile e sicuro per procurarsi tale istruzione. Una difficoltà presentavasi, ed era quella dei mezzi materiali, perciocchè gli alunni per lo più stanchi dalle spese sostenute nelle classi percorse, difficilmente potevano pagarsi una regolare pensione. A questo provvide la industriosa carità del teol. Guala, che, coll'aiuto del governo, con mezzi suoi proprii e di altre caritatevoli persone potè ridurre la pensione a modicità compatibile a chiunque volesse approfittare del convitto.
Erano ornai tre lustri da che il convitto progrediva con frutto copioso, ma il teol. {74 [424]} Guala essendo occupato in molti rami del sacro ministero aveva bisogno di aiuto. Aveva bisogno di un uomo che fosse fornito di zelo, prudenza, scienza tale da poterlo aiutare nell'esercizio del sacro ministero, e nel tempo stesso desse mano a perfezionare l'opera intrapresa. Dio provvido glielo mandò. Fra' suoi alunni un giorno egli vide un sacerdote di aspetto modesto, contegno grave, ma con aria angelica. Da alcune dimande fatte, da alcune risposte date il teol. Guala, grande conoscitore de' veri ecclesiastici, scopri tosto in quell'alunno l'uomo provvidenziale. Ravvisò umiltà profonda, pietà sublime, ingegno non ordinario, innocenza celeste, prudenza consumata. Questo sacerdote, o Signori, era D. Caffasso Giuseppe. Si videro, in poche parole s'intesero. D. Caffasso diviene convittore, e nel teol. Guala non ravvisa piu che il padre, dell'anima sua, un fedele interprete de' divini voleri; e il Guala dal canto suo ripone la sua compiacenza nel suo figliuolo spirituale, in lui trova un vero alunno, un sacerdote fatto secondo il cuore di Dio. D. Caffasso colla scorta di cosi valente guida percorre i varii rami delle scienze, in tutti si rende celebre {75 [425]} e supera di gran lunga l'aspettazione del suo maestro. Egli diviene confessore vigilante, predicatore zelante, attento, oculato prefetto di conferenza morale.
Allorchè D. Caffasso cominciò le conferenze morali ebbe a superare un grave ostacolo; quello cioè del probabilismo e del probabiliorismo. Tale questione agitava lo spirito del clero da lungo tempo.
D. Caffasso si pose a studiare profondamente la dottrina degli uni e degli altri, e colla finezza dell'acuto suo ingegno giunse a trovare un giusto mezzo di conciliazione. Egli conobbe che, lasciando a tutti una certa libertà di opinione, e raccomandando di praticare verso gli altri quella carità e quell'opinione che ciascuno desiderava fosse usata a se stesso, potevasi con vantaggio promuovere il bene delle anime e la gloria di Dio. Rimaneva bensì ancora qualche piccola differenza, ma questa posta sulla bilancia della carità e della prudenza, lasciava piena libertà ai sacri ministri di provvedere al bisogno delle anime.
Oltre allo spirito di conciliazione, vuoisi pure notare in D. Caffasso un modo pronto, preciso, chiaro nel rispondere, a segno che ogni difficoltà nella bocca di lui scompariva {76 [426]} e restava appianata. La qual cosa faceava che ognuno andasse a gara per ascoltarlo, e più erano prolungate le sue conferenze ed i suoi colloquii, più grande era la soddisfattone che ognuno sentiva, provando rincrescimento allorchè la conferenza era terminata.
Tale studio della morale, dell'ascetica e della mistica, congiunta ad un pronto discernimento degli spiriti lo aveva messo in grado di poter in poche parole conoscere e giudicare dell'ingegno, della pietà, della dottrina, delle propensioni e della capacità degli ecclesiastici. Ond'egli sapeva fissare e dire: costui fa un buon paroco; questi un viceparoco; quell'altro un cappellano; un rettore o direttore di un monastero o di quell'altro stabilimento. Cosi ciascuno abbracciando i lavori apostolici compatibili colle proprie forze, ne avveniva felice riuscita di quelli che lo secondavano e la sicurezza di coloro che a lui ricorrevano per essere guidati e consigliati.
Vuoisi qui notare che le conferenze di D. Caffasso non erano solamente uno studio astratto, un lavoro di tavolino, che anzi ogni cosa egli appoggiava sulla pratica. Insegnava il modo di ascoltare con frutto {77 [427]} le confessioni dei fedeli, ma egli stesso passava più ore al confessionale, osservava se la sua morale riusciva fruttuosa; ne notava gli effetti e le conseguènze, e ciò faceva con tale destrezza, o dirò meglio, con tale pietà, scienza e prudenza che non saprebbesi dire se fosse più grande la consolazione ed il frutto in chi l'ascoltava nelle conferenze od in chi aveva la bella sorte di avere in lui una direzione spirituale. Di qui nasceva quella, direi quasi inudita, speditezza nel confessare. Poche parole e talvolta un solo sospiro del penitente bastavano per fargli conoscere lo stato dell'anima. Non parlava molto al confessionale, ma' quel poco era chiaro, esatto, classico e per modo adattato al bisogno, che un lungo ragionamento non avrebbe ottenuto migliore effetto.
Ciò che diciamo intorno all'amministrazione del sacramento della penitenza,' dicasi pure della predicazione. D. Caffasso dà a' suoi convittori regole per ben predicare, ma egli stesso fa prima la prova de' precetti che dà agli altri. Oh! se questo pulpito parlasse, quanto cose ci direbbe delle prediche di D. Caffasso, della chiarezza nel dire, delle emozioni eccitate nel cuore degli {78 [428]} uditori, del frutto copioso da loro riportato. Il suo zelo, il desiderio di guadagnare anime a Dio, l'avrebbero trasportato a predicare, dettare tridui, spirituali esercizi in tutte le parti del mondo, siccome ne era ad ogni momento richiesto. Ma dovette limitare le evangeliche sue fatiche a favore del clero che, come dissi, fu la porzione dalla divina Provvidenza in modo particolare a lui affidata.
Il suo bel modo di predicare faceva che la sua predicazione sempra fosse con massima ansietà ascoltata; bastava spargere la voce che D. Caffasso predicava, che tosto si eccitava una specie di entusiasmo per andarlo ad ascoltare. Le sue parole non parevano più quelle di un uomo, ma di un serafino mandato dal Cielo a manifestare ai sacri ministri la divina volontà.
Quante cose qui dovrei dirvi intorno alle belle spiegazioni fatte sui casi di morale nelle pubbliche e nelle private conferenze, intorno ai preziosi e santi consigli dati ai novelli sacerdoti, ai viceparoci, ai paroci, ed anche ai prelati e ad altre prime dignità della Chiesa che in casi difficili lo richiedevano del suo parere!
Quante cose dovrei pur dirvi del bene {79 [429]} che D. Caffasso fece a giovanetti da lui sostenuti negli studii, a chi provvedendo abiti, a chi pensione, durante il chericato, studiando modo di fornirli a tempo debito del richiesto patrimonio, ed accogliendoli di poi gratuitamente nel convitto. Tutti costoro ora lavorano in varii paesi nella vigna evangelica riportando frutti copiosi ed accrescono gloria al loro benefattore. Che cosa poi dirò de' sacri ministri e de' paroci che per mancanza di mezzi dovevano interrompere opere utili per la gloria di Dio e pel bene delle anime, a cui D. Caffasso venne in soccorso? Tutte queste opere si compierono e tuttora esistono a gloria di nostra santa religione che infonde e inspira così nobili e sublimi sentimenti nel cuore di chi a fondo la conosce e fedelmente la pratica. Se non che le cose, che di passaggio accenno, debbo tacere per parlare di un altro fatto che è de' più luminosi nella vita di D. Caffasso, voglio dire del bene che egli ha operato nelle carceri. {80 [430]}
Questi luoghi di sventura e di sventurati sono i più bisognosi del ministero sacerdotale. Ma la difficoltà di avervi accesso, l'insalubrità de' siti, l'orrore che colà incute ogni oggetto rendono ivi difficile il sacro ministero. Si aggiunga eziandio che oltre al coraggio, esigesi prudenza, pietà e scienza tutta' propria a tale sorta di gente. Quindi ne avviene che molti sacerdoti, per altri titoli commendevoli, soltanto per mancanza di alcune delle qualità sopradette non potrebbero riuscire in questo difficile ministero. Eravi per tanto non piccola defìcenza di sacerdoti che in quel tempo consacrassero le loro fatiche a prò' di quegli infelici[6]. {81 [431]}
Il sacerdote Caffasso vi entra... non lo sgomentano gli uomini di giustizia, non le ferree porte, non gli usci formali con grosse inferiate, e con catenacci; non l'arresta l'oscurità, l'insalubrità, la puzza delle località, neppure dà segno di ribrezzo nel trovarsi in mezzo a numeroso stuolo di carcerati, ciascun de' quali avrebbe incusso terrore ad una schiera di passeggeri ed alla medesima forza armata. Don Caffasso è tra di loro... ma ohimè! Che sente? qua si maledice, là si rissa; colassù si parla osceno; colaggiù si vomitano orribili bestemmie contro a Dio, contro alla B. V. e contro ai santi. Il coraggioso sacerdote in tale frangente prova in cuor suo amaro cordoglio, ma non si perde di animo. Egli alza gli occhi al cielo, fa un sacrifizio a Dio di se stesso, si pone sotto la protezione di Maria SS., che è sicuro rifugio dei peccatori. Appena egli cominciò a trattare e parlare con quel nuovo genere di uditori, D. Caffasso vien tosto ad accorgersi che costoro sono divenuti sciagurati, {82 [432]} anzi abrutiti; ma che la loro sventura derivò piuttosto da mancanza di istruzione religiosa, che da propria malizia. Parla loro di religione ed è ascoltato; si offre di ritornare ed è con piacere atteso. Continua i suoi catechismi, invita ad aiutarlo altri sacerdoti, e specialmente convittori, e in breve riesce a guadagnarsi il cuore di quella gente perduta; s'incominciano le prediche, s'introducono le confessioni, e in breve tempo quelle carceri, che per imprecazioni, bestemmie ed altri vizi brutali sembravano bolgie infernali, si cangiarono in abitazione d'uomini che conoscendo d'essere cristiani cominciano a lodare e servire Iddio Creatore innalzando sacri cantici all'adorabile nome di Gesù.
O forza maravigliosa della santa cattolica religione! O ammirabile D. Caffasso! E che cosa non può fare uno zelante ministro di Gesù Cristo confortato dalla grazia del Signore?
Prima però di partirci dalle carceri giudico bene di farvi parola di un'altra parte parimente sublime del ministero sacerdotale in cui risplendette la carità di D. Caffasso, e questa fu l'assistenza di quegli sventurati che dopo una vita di misfatti vanno {83 [433]} a terminare i loro giorni sopra un patibolo. Sia che fosse virtù, sia che fossero doni speciali dati da Dio, per certo D. Caf-fasso fu un eroe per guadagnare al cielo codesti infelici. Appena cominciavasi a vociferare essere imminente la sentenza capitale per taluno, egli a poco a poco accingevasi a prepararlo, il disponeva alla confessione ed agli altri conforti della religione, e spesso avvenne che giunto il fatale giorno ricevevasi da quell'infelice con indifferenza l'annunzio della morte, essendo egualmente rassegnato di vivere o di morire. Pronunziata la sentenza lo zelante ministro non si allontanava più da loro; l'ultima notte per lo più la passava loro vicino, li incoraggiava, diceva loro la santa messa, li preparava a fare l'ultima loro comunione, dormiva presso di loro, pregava con loro, rideva e piangeva con loro e sarebbe volentieri morto con loro se ciò fosse tornato a bene delle anime loro.
Se ne incontravano taluni che, rifiutando i conforti della religione, bestemmiavano e protestavano di voler morire ostinati. Ma niuno potè mai resistere alla presenza, alle parole, alla carità di D. Caffasso. Egli stesso consolavasi in cuor suo, {84 [434]} e a maggior gloria di Dio andava co' suoi amici dicendo che de' condannati in questa capitale ed altrove da lui assistiti negli ultimi momenti, neppur uno fosse morto senza che avesse lasciato fondata speranza di eterna salvezza.
Altra rarità in D. Caffasso era l'inspirare grande confidenza in chi pareva disperato. Egli aveva il dono di cangiare la disperazione in viva speranza ed infiammato amor di Dio; eppsrciò avvenendo che taluno volesse darsi in preda alla disperazione ed anche uccidersi, dopo aver parlato col santo sacerdote era tutto gioia e solo desiderava di consegnare la vita in mano ai carnefici per farne offerta a Dio in penitenza de' suoi peccati.
Non di rado fu veduto, e lo vide tutta Torino, in sul mattino uscire dalle carceri. E che c'è? C'è un carro fatale, sopra cui è tratto un infelice che va a pagare il fio de' suoi delitti. La campana col lugubre suono dà segno dell'imminente esecuzione. Il condannato è sul carro; avanti a lui il crocifisso, da un canto la scarnata immagine della morte, attorno i caritatevoli confratelli della Misericordia colla faccia velata accrescono il terrore. I carnefici e gli altri uomini di {85 [435]} giustizia in gran numero presenti rendono più tetro l'orribile corteo. Ma come? tutto è terrore e spavento e niuno dice parola di conforto a quell'infelice? Ah! vedete, accanto a lui è un sacerdote che gli terge le lacrime, lo incoraggia, lo consola colla speranza di un bene che non si perderà mai più; egli è D. Caffasso, che col crocifisso in mano va dicendo: questo è un amico che non vi spaventa, nè vi abbandona, sperate in lui e il paradiso è vostro.
Avvenne un giorno che la conversione di un famosa malfattore aveva costato grandi sollecitudini od affanni al nostro D. Caffasso. In vista della bontà e della carità che gli era usata, tutto commosso l'infelice dopo essere entrato in se stesso, dicevagli: o D. Caffasso, D. Caffasso, credete voi che con tante scelleratezze io possa ancora salvare l'anima mia? Non solo io lo credo possibile, rispose, ma lo credo certo: e chi mai potrà togliervi dalle mie mani? Se voi foste già nell'anticamera dell'inferno e vi restasse fuori ancor un capello, ciò mi basterebbe per istrapparvi dalle unghie del demonio e trasportarvi al Paradiso. O se è così, ripigliò l'altro, io muoio volentieri; sia pure questa vita sacrificata a Dio in penitenza delle mie {86 [436]} colpe; e così fa. Lo spirito di fede e di speranza che D. Caffasso infondeva negli altri, faceva, sì che non di rado i pazienti montavano con gioia la scala fatale, e ridendo accoglievano il colpo di morte; a segno che un carnefice ebbe ad esclamare: alla presenza di D. Caffasso la morte non è più morte, ma è una gioia, un conforto, un piacere.
Il coraggio cristiano che D. Caffasso sapeva infondere nei cuori più induriti non era limitato ai soli detenuti. Fossero giusti o peccatori, parlando con D. Caffasso, ognuno sentivasi nascere od accrescere in cuore l'amore di Dio, il desiderio del Paradiso. Io conosco cristiani che non potevano udire a parlar di morte senza tremare. Avendo avuta la buona ventura di fare un colloquio con D. Caffasso, sentirono tosto nascersi in cuore la calma, la tranquillità, in modo che andavano dicendo: io non temo più la morte, anzi bramo che venga presto, purchè in quel momento io possa avere D. Caffasso vicino. Un altro soggiunse che sarebbe stato contento di morire quando che sia, purchè avesse potuto aver D. Caffasso a raccomandargli l'anima. E come poteva essere altrimenti? {87 [437]}
Il cuore di D. Caffasso era come una fornace piena del fuoco di amor divino, di viva fede, di ferma speranza e d'infiammata carità. Perciò una sua parola, uno sguardo, un sorriso, un gesto, la sola sua presenza talora bastavano a calmare la malinconia, far cessare le tentazioni, e produrre nell'animo sante risoluzioni[7].
Vi ho raccontato già molte cose della carità eroica di D. Caffasso, pure non ho ancora toccate le più maravigliose; ascoltatele. Sembra che D. Caffasso sia sempre intento a predicare ai popoli, e D. Caffasso {88 [438]} è continuamente applicato alle conferenze, alla predicazione ed istruzione del clero. Pare che tutta la sua vita sia impiegata a catechizzare ragazzi, assistere carcerati, istruirli, confessarli; ma intanto egli è di continuo in sua camera che dà udienza, o medita, o predica, o confessa. A rimirare il gran numero dogli scritti, che ci lasciò, si crederebbe che la sua vita sia stata impiegata al tavolino; ciò non ostante lo vedo sempre in atto di dare consigli ad ogni condizione di persone, assistere e disimpegnare i suoi più mintiti affari domestici.
D. Caffasso attende indefesso allo studio della storia sacra, della storia ecclesiastica, de' santi padri, della teologia morale, dogmàtica, ascetica, mistica, della predicazione, prepara casi pel concorso delle parochie, dà esami di confessione, e intanto io vengo in questa chiesa, lo veggo genuflesso ora avanti l'altare di Maria che prega, ora prostrato avanti il SS. Sacramento che adora, oppure assiste al confessionale attorniato da lunga schiera di fedeli ansiosi di esporre le angoscie della loro coscienza, ed avere da lui le norme del ben vivere. Non basta, o Signori, ascoltate ancora: andate al santuario della Consolata, e vedete D. Caffasso {89 [439]} in esercizio di divozione; visitate le chiese dove sono le quarant'ore, e là egli pare prostrato disfoga i suoi dolci affetti con l'amato suo Gesù. Mentre egli compie questa moltitudine di azioni, di cui ciascuna sembra dover impiegar la vita di un uomo, ecco aggiugnersene altre. D. Caffasso è angelo di pace che porta concordia in questa famiglia, va a sollevare la miseria in quell'altra.
Là su quella soffitta vi è chi languisce e geme? D. Caffasso lo va a consolare; nel palazzo di quel ricco vi è un infermo che patisce? D. Caffasso lo va a confessare e io contorta. Ci sono moribondi agonizzanti? D. Caffasso sta loro presso al letto per raccomandarne l'anima al Signore. Avrà qualche suo penitente all'ospedale? egli non l'abbandona, lo assiste con maravigliosa puntualità. Avvi colà un peccatore ostinato che rifiuti i sacramenti? D. Caffasso parla, e alla sua parola ogni cuore è vinto, ogni fierezza a lui si piega e si raddolcisce per modo che ognuno pensa ad aggiustare le cose dell'anima propria. Insomma voi vedete D. Caffasso continuamente occupato a bene del ricco che lo richiede, del povero cui porge aiuto, dell'ignorante che istruisce, {90 [440]} dell'afflitto che consola, dell'infermo che assiste, del moribondo che conforta e l'anima ne accompagna fin sulle porte della beata eternità.
Ma... Signori: parlo di un solo o di più ministri di Gesù Cristo? io parlo, uditori, di un uomo solo; ma di un uomo che ha lo spirito del Signore, parlo di quell'eroe che con zelo maraviglioso fa vedere quanto possa la carità di un sacerdote coadiuvato dalla divina grazia. Questo sacerdote può dire di essere in certo modo onnipotente secondo le espressioni di s. Paolo: Omnia possum in eo qui me confortat. Io posso tutto coll'aiuto del Signore (ad Philip. IV. 13).
Sebbene questa maravigliosa quantità di azioni disparate, che D. Caffasso compieva quasi contemporaneamente, siano attribuite ad un prodigio di carità, tuttavia in certo modo si debbono eziandio attribuire ad un'arte, o meglio ad alcuni segreti proprii di D. Caffasso. Tali segreti dimostrano a qual {91 [441]} grado di santità egli fosse pervenuto nell'adempimento de' doveri verso se stesso. Egli desiderava, ma non potè ritenere questi segreti abbastanza celati che non venissero a notizie di chi ammirava le sante sue azioni e specchiavasi nelle sue rare virtù. II primo segreto fu la costante sua tranquillità. Egli aveva familiare il detto di S. Teresa: niente ti turbi. Per ciò con aria sempre ridente, sempre cortese, colla dolcezza propria delle anime sante disimpegnava con energia ogni affare anche prolungato, difficile e seminato talvolta di spinose difficoltà. Ma ciò senza affannarsi, senza che la moltitudine o la gravezza delle cose gli recassero il minimo turbamento.
Questa maravigliosa tranquillità faceva sì che egli potea con calma trattare molti e svariati affari senza turbamento delle facoltà intellettuali.
Il secondo segreto è la lunga pratica degli affari congiunta ad una grande confidenza in Dio. Egli ripeteva spesso le parole del real profeta Davide: (Salm. XVIII, 2.) Dies diei eructat verbum. Ciò che fo quest'oggi servemi di norma a' quanto dovrò fare dimani. Questa massima congiunta alla {92 [442]} sua prudenza, esperienza e al suo lungo studio del cuore umano, gli avevano rese familiari le più elevate questioni. I dubbi, le difficoltà, le dimande più complicate dinanzi a lui scomparivano. Fattagli una questione, comprendevala al solo annunziarla, quindi alzato un istante il suo cuore a Dio rispondeva con prontezza e giustezza tale, che una lunga riflessione non avrebbe fatto pronunziare miglior giudicio.
Il terzo segreto per fare molte cose era l'esatta e costante occupazione del tempo. Nello spazio di 30 e più anni che lo conobbi non mi ricordo di averlo veduto a passare un istante che potesse dirsi ozioso. Terminato un affare, tosto ne intraprendeva un altro. Quante volte fu veduto rimanere cinque ed anche sei ore al confessionale, e poi andare in camera, ove tosto cominciava la solita udienza che durava più ore. Quante volte pure giungere sfinito di forze dal predicare o dal confessare nelle carceri, ed invitato a riposare un momento: la conferenza, egli rispondeva, mi serve di riposo. Quindi con volto allegro recavasi a compiere questa o quell'altra incumbenza. Egli non prendevasi mai trastullo per sollevarsi lo spirito, non una facezia o parola inutile: l'unico {93 [443]} solazzo per lui era il cangiamento di occupazione, quando era oppresso dalle fatiche. Quando, per es., era stanco dal predicare, andava a pregare, quando era stanco di scrivere, recavasi a visitare gli ammalati, o andava a confessare nelle carceri o altrove.
Il quarto segreto' è la sua temperanza, che meglio chiameremo la sua rigida penitenza. Fin da giovanetto fu così sobrio nel mangiare e nel bere, che dopo il cibo egli era in grado d'intraprendere qualsiasi occupazione scientifica o letteraria. Più tardi depose l'uso della piccola colezione del mattino, di poi ommise la cena, e ridusse così il suo alimento ad un solo pasto. Più tardi ancora... ma D. Caffasso, volete voi rovinarvi la sanità, accelerarvi la morte? D. Caffasso ci dà una risposta breve, ma degna della più gloriosa ricordanza: senza una grande sobrietà, egli dice, è impossibile di farci santi. Onde egli senza nulla badare, spinge avanti le sue austerità e porta la quantità de' suoi alimenti ad un sol pasto al giorno, e questo pasto consiste in pane, minestra ed una piccola pietanza, alla quale pietanza, non di rado rinunciava, rimanendo così 24 ore con un {94 [444]} tozzo di pane e con alquanto di minestra. In simile guisa ogni giorno, ogni settimana, ogni mese, e l'anno intiero, per D. Caffasso erano un rigido uno spaventevole digiuno. Ma egli, ad eccezione del momento del cibo, il rimananente del tempo poteva impiegarlo in cose utili pel bene delle anime.
Finalmente. Don Caffasso guadagnò tempo nella parsimonia del riposo. L'unico sollievo che dava lungo il giorno al debole suo corpo erano tre quarti d'ora dopo il suo pranzo, in cui egli, chiuso in camera, per lo più pregava, meditava, o trattenevasi in qualche pratica speciale di pietà. La sera poi era sempre l'ultimo a coricarsi. e al matttino sempre il primo a levarsi. La durata del riposo notturno non eccedeva mai le cinque ore, spesso erano quattro e talvolta soltanto tre. Egli era solito a dire che un uomo di chiesa deve una sola volta svegliarsi lungo la notte. Colle quali parole ci assicura che egli svegliatosi, qualunque ora fosse, tosto alzavasi di letto per pregare, meditare, o compiere qualche altro suo affare.
Talvolta gli fu detto di avere riguardo alla sua sanità e riposare qualche ora di più, ma egli sempre rispondeva: il nostro {95 [445]} riposo sarà in Paradiso. O Paradiso, Paradiso, chi pensa a te non patisce più stanchezza! Altre volte diceva: l'uomo è veramente infelice in questo mondo; la sola cosa che ci potrebbe consolare sarebbe il poter vivere senza mangiare e senza dormire per lavorare unicamente pel Paradiso.
Con questi cinque secreti D. Caffasso trovava modo di compiere molte e svariate cose in breve tempo e portare cosi la carità al più sublime grado di perfezione Plenitudo legis dilectio (Rom. XIII, 10). Queste ed altre cose ho soltanto accennato perchè a farne compiuto racconto, dovrei esporvi lunga serie di fatti che non si addicono alla brevità di un discorso. Quivi però vorrei farvi una dimanda cui tornerebbe gradita una risposta. Nel leggere la vita dei santi, le cui azioni virtuose formano i fasti della Chiesa, avete voi in essi trovato un complesso di azioni così diverse, svariate, ma radunate, praticate da un uomo solo? Io non so quale sia per essere la vostra risposta; dal canto mio posso dirvi che ho trovato molti che risplendettero in modo eroico chi in questa, chi in quell'altra virtù, {96 [446]} ma credo che sia cosa veramente rara trovare chi abbia unito cella stessa persona tanta sapienza, tanta pratica delle cose umane, tanta prudenza, fortezza, temperanza, tanto zelo per le cose che tendono a promuovere la gloria di Dio, e la salute delle anime, quanti noi ravvisiamo nella persona del sacerdote Caffasso. In esso ebbe compimento letterale quanto lo Spirito Santo rivelò ne' sacri libri: egli consumò in breve la sua vita, ma operò come se fosse pervenuto ad una tarda vecchiaia. Consummatus in brevi... explevit tempora multa. (Sap. VI. 13.)
Giunto a questo punto del nostro ragionamento io dovrei cessare di parlare, essendo già assai prolungato il mio dire. Ma siccome so tornarvi di particolar gradimento l'udire qualche cosa sulla preziosa e santa morte di D. Caffasso, cosi io studierò di soddisfarvi, pregandovi solo di volermi prima concedere un momento di respiro. {97 [447]}
D. Caffasso toccava solo il cinquantesimo anno di vita, che è l'età in cui l'uomo potè dall'esperienza essere ammaestrato intorno alle cose del mondo. Sebbene di gracile complessione e vivesse in azion continua, tuttavia questa era per lui ancora buona età che gli lasciava godere sufficiente sanità, scevro d'incomodi. Egli non era quasi mai stato ammalato. È vero che negli ultimi mesi di vita appariva logoro dalle fatiche, stanco dalle penitenze e dai digiuni, nulladimeno non cessava di assumersi lavori apostolici di vario genere. Quand'ecco mutare modo di parlare, di pensare e di operare. Manda a chiamare un sacerdote con cui era stato inteso di dettar gli esercizi spirituali, dicendogli che esso non vi poteva più andare. Chiestane la cagione; non altro risponde se non che: ne saprete di poi il motivo. Si dismette da alcune occupazioni estrance alla casa; gli stessi ammalati, che solca visitare con tanta carità, li affida e li raccomanda ad altri sacerdoti, perchè ne {98 [448]} abbiano cura, ed egli vive quasi sempre chiuso in camera, mette ogni cosa in ordine come se dovesse partire per la eternità.
Intanto sopraggiungono quegli avvenimenti che noi qui tacciamo, ma che contribuirono a privarci di una vita così utile e così preziosa. Molti incomodi lo assalgono. Lo sfinimento di forze, la stanchezza di stomaco, la nausea del mondo, il desiderio del Paradiso accompagnano tutti i suoi passi e sono l'oggetto d'ogni suo pensiero.
Era il sabato del 9 giugno, dell'anno corrente, e D. Caffasso sebbene già di sanità alterata, si porta al confessionale. Con insolito fervore passa quattro ore e mezzo in ascoltare le confessioni e circa alle dieci e mezzo di quel mattino memorando, fuori del solito, quasi turbato, o dirò meglio, con un volto che manifestava essergli accaduto qualche fatto non ordinario, esce, non senza stento, dal confessionale, si porta fino avanti all'altare maggiore. E là che cosa fa? Egli si pone ginocchioni, e con enfasi legge la seguente preghiera da lui composta che teneva scritta nel suo libro ordinario di divozione. Ascoltiamola: {99 [449]} «O dolce mio Gesù, dopo tante grazie che mi avete concesso nel decorso di mia vita, una ancora voglio dimandarvi, ed è che quando l'anima mia parta da questo mondo, non solo non sia condannata all'inferno, ma sia neppure costretta a stare un momento lontana da voi in purgatorio. È vero che io sono debitore verso alla divina vostra giustizia, ma spero di poter pagare ogni mio debito coi meriti infiniti della vostra passione e morte. O Paradiso, città santa del mio Dio, e patria mia fortunata, oh quanto io ti sospiro! O giorno felice! quando io giungerò a te? Paradiso mio, mio caro Paradiso: Deh! vieni presto a consolare le brame di un misero cuore che ti sospira!
Mio Dio, io accetto quel genere di morte che a voi piacerà con tutti quegli affanni con tutte quelle pene e quei dolori che giusta il vostro beneplacito l'accompagneranno. Finalmente io vi prego di accettare la distruzione del mio essere come l'ultimo omaggio che io vengo a rendere alla vostra suprema divina maestà, in soddisfazione delle offese fattevi nel corso della mia vita. {100 [450]}
Oh Maria! ancora questa grazia vi domando: ottenetemi dal vostro figlio che io muoia, ma io muoia con voi e con voi me ne voli al bel Paradiso. Deh! fate, madre pietosa, che, sciolto da questo misero corpo, io vada tosto a trovarvi nel bel Paradiso, per cominciare quella vita che avrà a formare la mia occupazione per tutti i secoli de' secoli.
Requiem aeternam dona mihi, Domine, et lux perpetua luceat mihi. Requiescam in pace.»
Proferite tali parole, che parevano le esequie di un defunto, D. Caffasso rimase come rapito in cielo. Stette buon tratto immobile, dipoi va in sua camera. Il rimanente del sabato, della domenica e del lunedì, ad eccezione del tempo passato al confessionale, rimase sempre chiuso in camera. Il lunedi (11) fa uno sforzo, va per l'ultima volta al confessionale, ma dopo alcune ore è costretto a ritornare in camera per non uscirne mai più. Prima però di coricarsi, ponesi ginocchioni e fa questa affettuosa preghiera degna di un serafino del cielo: «Il dolore (sono parole di Don Caffasso) il dolore che io provo, o Signore. per non avervi amato, il desiderio {101 [451]} che io sento vie più di amarri, mi rendono oltre ogni modo noiosa e pesante questa vita e mi sforzano a pregarvi di abbreviare i miseri miei giorni sulla terra, e perdonarmi il purgatorio nell'altra vita, sicchè io possa presto andarvi a godere nel bel Paradiso.» Più non disse e per non cadere di sfinimento andò al letto.
Il suo male era un'affezione ai polmoni con un corso di sangue allo stomaco. I periti dell'arte fecero quanto il dovere e l'affetto poteva suggerire e per più giorni nutrirono speranza di guarigione. Soltanto D. Caffasso negli stessi primi giorni della malattia confermò i presentimenti di sua morte vicina. Disse più volte che non guarirebbe più. Un domestico doveva recarsi al santuario di S. Ignazio per alcuni preparativi necessarii agli spirituali esercizi che dovevansi cominciare; D. Caffasso il chiamò al letto e gli disse: sospendete la vostra partenza, e non andate a S. Ignazio sinchè non mi abbiate veduto andare in Paradiso.
Un altro domestico, che serviva a tavola, ne' primi giorni della malattia disse al suo padrone: io era incerto se doveva anche mettere la tovaglia al suo posto. Non occorre {102 [452]} più, tosto rispose, il mio posto è già preparato in Paradiso. Per queste e molte altre ragioni non si ha dubbio di asserire che D. Caffasso abbia avuta chiara rivelazione del tempo, del giorno, dell'ora e di altra particolarità della sua morte. Qui ometto di parlare di sua tranquillità, pazienza, rassegnazione, viva fede, le quali virtù furono in lui grandi nel corso della vita, ma in questa malattia giunsero all'eroismo. Medicine, bibite di qualunque gusto, operazioni dolorose e diverse, tutto era da lui accolto con egual piacere. Egli era fermo nel pensiero, che le pene di questa malattia sarebbero state il suo purgatorio, sicchè separandosi l'anima sua rial corpo sarebbe tosto volata al cielo.
Richiesto se avesse qualche commissione a lasciare, qualche cosa a scrivere, qualche ordine a dare: sarebbe bella, rispose ridendo, che avendo sempre predicato agli altri che ogni cristiano deve la sera aggiustare le cose come se quella fosse l'ultima notte della vita, io poi non l'avessi fatto ed avessi aspettato a questo momento ad aggiustare le mie cose temporali? Tutto è aggiustato, tutto aggiustato. Un solo affare debbo ancora trattare, ed è quello che {103 [453]} riguarda al Paradiso, si al Paradiso, che presto avro, presto avrò.
Qui ometto molte cose dette o praticate nel corso della malattia; quali sono il desiderio di rimaner solo per vie meglio trattenersi col suo Dio; ometto le affettuose giaculatorie, che di quando in quando innalzava a Dio, alla SS. Vergine e ad altri Santi, ometto anche le sante disposizioni con cui ricevette gli ultimi sacramenti, l'olio santo, la benedizione papale; le benedizioni date da lui a varii amici e specialmente a' suoi convittori; queste cose tutte sono talmente commoventi, che fecero spargere lacrime a quelli che vi si trovarono presenti, lacrime che noi forse dovremmo rinnovare se i fatti venissero colle debite circostanze separatamente uno per uno raccontati. Queste cose io tralascio e mi porto subito al giorno decimoterzo della sua malattia, il sabato 23 giugno, ultimo della vita mortale di D. Caffasso.
Egli aveva ricevuto in particolare udienza i suoi convittori ed aveva dato loro quei ricordi che un padre morente avrebbe dato a' suoi amati figliuoli. In quel giorno di buon mattino dimanda che si celebri nell'oratorio annesso alla sua camera la {104 [454]} santa messa, e in fine di quella riceve la santa comunione che per lui è il Viatico che lo deve accompagnare alla beata eternità. Ricevuta l'ostia santa dimanda di essere solo per conversare alcuni momenti col suo Dio e con Maria. Mentre voi, o D. Caffasso, vi trattenete a discorrere con Dio, mentre vi si leggono le preghiere dell'agonia e del profìciscere, noi discorreremo un momento di voi medesimo.
Mirate, o Signori, quell'uomo agonizzante, e poi ditemi se la sua morte non è quella del giusto, morte che noi chiamiamo veramente preziosa nel cospetto di Dio? Chi teme il Signore nella vita, troverà bene all'ultima ora, e nel giorno che egli morrà sarà benedetto. Timentibus Dominum bene erit in extremis, et in die defunctionis benedicetur (Eccl. I, 25), D. Caffasso è sugli ultimi istanti di vita, ma egli non ha più nulla a desiderare nel mondo. Egli desiderava d'impiegare le sue sostanze a maggior gloria di Dio, e così fece, nel corso della vita non ha speso un soldo per soddisfare un suo gusto, per pigliarsi un divertimento. E quelle sostanze che non furono da lui largite per carità nel corso della vita, dispone che siano {105 [455]} santamente spese dopo la morte, sicchè egli poteva dire al Salvatore: ho dato tutto per vostro amore, vi ho seguito nei patimenti e nelle tribolazioni (Matt. XIX, 27). Reliquimus omnia et secuti sumus te.
Egli desiderava d'impiegare la sua voce, le sue forze, tutta la sua vita, per guadagnare anime al Signore. Questo desiderio è interamente compiuto, giacchè, come abbiamo veduto, in uno spazio di vita eguale al suo non possiamo aspettarci che uomo mortale faccia di più. Sicchè poteva dire con S. Paolo: cursum consummavi, ho compiuto la mia carriera (Tim. IV, 7).
Desiderava di morir prèsto per lasciare un mondo ove cotanto trionfa l'impietà, ed egli compie la sua vita nella bella età di dieci lustri appena, mentre secondo i calcoli umani avrebbe ancora potuto vivere molti anni. Ma egli nel corso di una breve vita erasi già accumulati copiosi tesori pel cielo: consummatus in brevi explevit tempora multa (Sap. IV, 13).
Desiderava e tutti i giorni lo dimandava al Signore di poter ricevere i conforti di nostra santa religione, e ne è abbondantemente esaudito. Egli si è più volte confessato nel corso della malattia, più volte {106 [456]} potè ricevere il suo sacramentato Gesù: ricevette l'olio santo, la benedizione papale, coll'indulgenza plenaria, cosa da lui grandemente desiderata.
Desiderava di patire nel corso della malattia, e così compiere il purgatorio nella vita presente. Dio lo esaudisce con tredici giorni di penosa malattia, in cui soffre oppressione di stomaco; a stento può parlare, e intanto conserva l'uso di sua ragione e di tutti i suoi sensi fino all'ultimo respiro, per offerire al Signore i suoi dolori e meritarsi più bella corona di gloria in cielo. In reliquo reposita est mihi corona iustitiae (2 Tim. IV, 8).
D. Caffasso pregò e chiese più volte alla gran Madre di Dio di morire in giorno dalla Chiesa a Lei dedicato. E noi siamo in giorno di sabato dai cristiani consacrato a Maria, fra l'ottava di Maria consolatrice, che coincide colla vigilia di S. Giovanni che è il patrono principale della pia opera della misericordia per l'assistenza dei condannati al cui bene egli aveva consacrato tante sollecitudini.
Finalmente D. Caffasso desiderava ardentemente di spirare l'anima nelle braccia di Maria. Egli ripeteva le mille volte in vita: {107 [457]} O Maria, cara madre Maria, che bel morire è morire con voi, assistito da voi. Io spero, e ve lo dimando come il più grande dei favori, che voi vanghiate ad assistermi negli ultimi momenti di vita. Oh! allora quando vi vedrò, mi slancerò nelle vostre mani... Ma e che è! Che veggo? D. Caffasso è commosso, egli apre gli occhi, pare voglia parlare, egli alza le mani, il suo corpo sembra sollevato in alto, sarà forse Maria che gli appare? Ah si, Maria è venuta a confortarlo, Maria lo assiste, lo chiama, e D. Caffasso non è più, l'anima sua è da Maria portata al Paradiso.
Va pure, o anima nobile, anima generosa, anima grande, vola pure beata al cielo. Le tue preghiere sono esaudite; Maria, ella stessa volle condurti con sè affinchè tu possa più dappresso ringraziarla e bedirla in eterno. Va pure, o degno ministro di Dio vivente; G. C. già parla per te al suo celeste padre, e dice: io voglio, o padre, che qui accanto a me sia pure questo mio ministro fedele: volo, Pater, ut ubi ego sum, illic sit et minister meus. Ecco egli stesso viene verso di te, apre il labbro suo divino, e con amorevole sorriso ti dice: Oh! ascolta le consolanti parole! {108 [458]} Coraggio, tu fusti mio servo, anzi mio ministro fedele, ora entra nella gloria del tuo Signore, per vivere glorioso e godere in eterno: Intra in gaudium Domini tui (Mat. xxv, 23).
Adoriamo, Signori, i decreti di Dio, che ci privò di un tanto padre delle anime nostre; ma in mezzo alle lacrime ed ai sospiri ringraziamo la divina bontà che abbia sublimato un nostro amico a tanta gloria in cielo.
Prima però che noi partiamo di qui, voi potete, o D. Caffasso, con una parola renderci meno infelici. Deh! volgete uno sguardo sopra questi vostri amici che per darvi un segno di grata ricordanza qui si sono radunati. E poichè non possiamo più avervi per nostra guida sopra la terra, pregate almeno che ci possiamo mantenere fermi nella fede, oggidì così terribilmente combattuta; pregate che possiamo praticare i santi vostri consigli, seguire i vostri esempi, staccare il nostro cuore dalla terra, vivere nella carità. verso il prossimo, nell'amore verso Dio.
Ma fate, oh sì questa grazia ve la dimandiamo di cuore! fate che dopo una vita di buon cristiano, possiamo, prima di morire, {109 [459]} ricevere degnamente i conforti di nostra santa cattolica religione, possiamo in quegli ultimi istanti essere aiutati da Maria, protetti da Maria, difesi da Maria, scompagnati e guidati da Maria al bel Paradiso per godere e benedire con voi Iddio in eterno. Cosi sia.
1. Fate ogni cosa come la farebbe lo stesso Signor Nostro Gesù Cristo.
2. Fare le nostre azioni a quel modo che vorremmo averle fatte quando ce ne sarà dimandato conto al tribunale di Dio.
3. Fare ogni cosa corno se fosse l'ultima di nostra vita.
4. Fare le cose in maniera, come se non se ne avesse a far altra. {110 [460]}
1. La prima domenica di ogni mese sarà il giorno destinato per questo esercizio.
2. Farò precedere a tutto la confessione col sentimento che sia l'ultima di mia vita.
3. Celebrerò la messa collo stesso pensiero, comunicandomi come per viatico.
4. Mi tratterrò alquanto ai piedi del Crocifisso, ricevendo in ispirito l' Olio Santo, e meditando i sentimenti d'un moribondo.
5. Reciterò le preci dell'agonia.
6. Mi figurerò di essere sul punto di spirare stringendo e baciando per l'ultima volta il Crocifisso.
7. Sullo spirare mi figurerò che la Vergine mi ottenga un mese di vita, onde mi disponga meglio alla morte.
8. Passerò il mese con questo pensiero, che sia l'ultimo, e che dal Cielo mi stia osservando come io ne approfitti.
Viva Gesù, Maria, e S. Giuseppe. {111 [461]}
1. Grande Iddio, prostrato avanti di Voi, io accetto e adoro quella sentenza di morte, che avete pronunziato sovra di me. Io sto aspettando che venga l'ultima mia ora, ed in cotesta aspettazione, che può sorprendermi in ogni istante, io mi porto col pensiero nel mio letto di morte, per dare un addio a tutto cotesto mondo, e per fare adesso per allora una chiara e solenne protesta di quei sentimenti ed affetti, con cui intendo terminare la mia mortale carriera, ed entrare nella mia eternità.
2. Ho peccato, lo dico e lo confesso con tutta l'amarezza dell'animo mio. Detesto e riprovo con tutto il mio cuore ogni e qualunque colpa, che abbia commesso nel corso della mia vita. Per ognuna di esse sarei disposto a morire per dare soddisfazione all'offeso mio Dio, e vorrei esser morto mille volte prima d'averlo disgustato. Dimando perdono a Dio ed agli uomini del male che ho fatto, e lo domanderò sino all'ultimo respiro della mia vita, affinchè io possa trovare misericordia ne! giorno del mio giudizio. {112 [462]}
3. Siccome questo miserabile corpo fu la cagione per cui offesi tanto il caro mio Dio; così per sua punizione e castigo ne fo ben di cuore un totale sacrifìcio all'offeso mio Signore. Non solo mi rassegno a discendere nella tomba, ma godo e ringrazio Iddio, che mi abbia dato questo mezzo di pagarne la pena. Fra quelle ceneri, che di me rimarranno nel sepolcro, con quelle ossa, che parleranno per me confesserò sino al giorno estremo della mia risurrezione, che giusto fu il Signore, e giusta la sentenza che mi ha condannato a morire.
4. Ringrazio tutti i miei parenti, compagni ed amici della carità che mi hanno usato nel sopportare i miei difetti, come li ringrazio di tutti i favori e di tutte lo assistenze, che ebbero la bontà di prestarmi. Dimando loro perdono della mala mia corrispondenza e degli scandali loro dati. Li prego a continuarmi la carità delle loro preghiere, e nel separarmi da essi porrò la ferma speranza di rivederli un giorno tutti quanti e di bel nuovo abbracciarli in quel caro Paradiso.
5. Avendo voluto Iddio nella sua imperscrutabile provvidenza che io avessi ad {113 [463]} amministrare e disporre sul mio stato di temporali interessi, io gli domando sinceramente perdono, so non ne avessi fatto quell'uso, che egli aspettava da me. Siccome egli solo ne è il padrone, io rimetto nuovamente ogni cosa nelle sue mani. Le disposizoni che ho fatte o sarei per fare intendo siano tutte alla maggior sua gloria, e frattanto in quel po' di vita, che avrò ancor a rimanermi sulla terra quanto potrò risparmiare de' miei bisogni, è mia ferma e decisa volontà d'impiegarlo totalmente in opere del Signore, disposto pur anche, anzi desideroso di spogliarmene affatto sino da questo punto, qualora Iddio io volesse, o se lo gradisse da me.
6. Venendo al punto principale di queste mie spirituali disposizioni, vale a dire, a quel giorno che sarà l'ultimo per me, rendo le più sincere grazie al mio Dio per aver così disposto di me sopra la terra. Questo giorno, che porrà fine a' miei peccati, e mi strapperò di mezzo a tante colpe, che si commettono nel mondo, io lo saluto, lo desidero, lo benedico. Ringrazio fin d'ora la persona, che verrà a darmene la consolante notizia, e finchè non arrivi, io lo terrò cosi caro al mio cuore, che {114 [464]} non lo cangerei colla giornata più bella di questo mondo.
7. Io affido la mia morte all'amore ed alle cure della mia tenera Madre Maria. Entro il suo cuore io ripongo le ore mie estreme, e gli ultimi miei sospiri. Si, a fianchi e tra le braccia di questa Madre io voglio partir da questo mondo e presentarmi alla mia eternità. Ogni gemito che darò in quel punto, ogni respiro, ogni sguardo intendo sia una voce, che la chiami e la solleciti dal Cielo, sicchè presto la veda, la contempli, l'abbracci e possa morire con Lei. Che se per tratto speciale del suo buon cuore volesse chiamarmi in un giorno a Lei consacrato, sarebbe una consolazione ancor più grande per me poterle presentare l'offerta della mia vita in un tempo, in cui in cielo ed in terra si festeggi il sacro suo nome e le sante sue misericordie.
8. Raccomando in ispecial modo il mio passaggio alla polente intercessione del grande Sposo di Maria, S. Giuseppe, di cui porto indegnamente il nome, all'assistenza dell'Angelo mio Custode. ai due gran santi e particolari mici protettori, S. Ignazio e S. Alfonso de Liguori, agli {115 [465]} Angeli e Santi tutti del Cielo, e a tutte quelle anime, che in Paradiso si ricordassero di me. Io le saluto tutte quante da questa valle di lacrime, ed a ciascuna mi rivolgo, invitandola a pregare per me, e perchè venga presto quel giorno, che abbia la bella sorte di cominciare con loro, e godere di quella festa, che non finirà mai più.
9. Per quello che riguarda il tempo e le circostanze tutte della mia morte, io mi rassegno pienamente ad esempio del mio Divin Redentore a tutto ciò che il celeste Padre avrà disposto di me. Io accetto quel genere di morte, che Iddio nei suoi decreti crederà migliore per me. Per compiere la volontà sua intendo accettare da lui e per lui tutti quagli spasimi e dolori, che sarà in voler suo che io soffra in quel punto. Nel sacrifizio più duro e nelle angoscie più dolorose voglio ed intendo che sempre sia fatta la sua santa volontà.
10. Rendo grazie infinite a quel buon Dio, che per tratto di sua pura e speciale misericordia ha voluto nel mio nascere chiamarmi alla fede e pormi qual figlio, tuttochè immeritevole, nelle braccia della Santa Chiesa. Cattolica. Io rinnovo in oggi {116 [466]} quelle promesse e proteste che un giorno al sacro fonte si fecero per me. Piango e detesto quanto nella mia vita non fu a quelle conforme. Condanno e rigetto tuttociò che ne' miei giorni fosse stato mancante d'ubbidienza o rispetto alla Santa Romana Chiesa. Oggi e per sempre protesto di voler vivere e morire nella più stretta comunione con questa Madre. A Lei affido le mie ceneri, perchè le benedica e le serbi come in custodia sino al giorno del giudizio finale.
11. Desidero e dimando tutti que' Sacramenti e conforti che la religione nostra sacrosanta tiene riservati in quel giorno pei moribondi suoi figli; e quando il Signore chiamerà il sacrificio della mia vita, intendo d'unirlo a quello, che hanno fatto tanti Confessori della fede, ed esolare l'ultimo mio respiro in omaggio e sostegno della nostra fede santissima.
12. Essendo per finire la mia missione sulla terra, io rendo e consegno al mio Dio quella grande vocazione, di cui egli ha voluto onorarmi. Io non ho termini quaggiù per ringraziarlo degnamente ed aspetto l'eternità. Ringrazio con tutto il mio cuore quanti si sono adoperati a questo {117 [467]} fine per me, e alle preghiere di ciascuno mi raccomando, affinchè trovi misericordia in quel gran momento, in cui sarò chiamato a render conto della mia carriera. Io morrò e mi consola il pensiero, che colla mia morte vi sarà di meno un ministro indegno sulla terra, e che un altro sacerdote più zelante e più fervente verrà a compensare la mia freddezza e mancanza.
13. Siccome sono certo per fede, che Iddio nella sua onnipotenza e misericordia può e vuole perdonare a chiunque si pente davvero de' suoi peccati, cosi appoggiato a questa ferma fiducia, che non può fallire, e penetrato dal più vivo dolore delle passate mie colpe, protesto di sperare con tutta fermezza il perdono dello mie mancanze e l'acquisto della mia eterna salute. Qualunque sia l'assalto che in vita od in morte sia per darmi il nemico dell'anima mia, ripeterò sempre che credo nel mio Dio, che spero in Lui, che Egli mi salverà.
14. Ora che i miei giorni sono per finire, e che il tempo sta per mancare e sparire per sempre da me, conosco e comprendo più che in addietro quale fosse il mio {118 [468]} dovere sulla terra, cioè di servire ed amare il caro mio Dio. Finchè avrò vita, piangerò quel tempo che non ho impiegato ad amarlo, e ripeterò continuamente d'ora in avanti: o amare o morire. Quanto sarò per fare o soffrire in questa misera vita, intendo sia una prova d'amore a questo mio Dio, sicchè vivendo io viva solo per amarlo e morendo io muoia per amarlo ancor più.
15. Il dolore che provo, o Signore, per non avervi amato, il desiderio che sento vie più di amarvi, mi rende oltremodo noiosa e pesante questa vita, e mi sforza a pregarvi a voler abbreviare i miei giorni sulla terra, e perdonarmi il purgatorio nell'altra, sicchè presto io possa giungere ad amarvi in Paradiso. Io vi domando questa grazia, o Signore, non già pel timore della pena, che confesso meritare mille volte maggiore, ma pel sincero desiderio d' amarvi molto, di amarvi presto, di amarvi da vicino in quel bel Paradiso. Mi serva, o mio Dio, di purgatorio l'angoscia, che sento per non avervi amato, il pericolo, che io corro di offendervi, e non amarvi più.
I vostri meriti, o caro mio Redentore, l'amore della vostra Madre, il patrocinio {119 [469]} de' Santi, le preghiere dei buoni, le indulgenze di Chiesa Santa, che intendo acquistare principalmante in quel punto, suppliscano per me e mi ottengano il condono di quella pena, che pur troppo mi troverò debitore in punto di morte, talmente che, sciolto dal carcere di questo corpo, e chiusi gli occhi per sempre a questo misero mondo, io parta e voli a quella gloria ad amara il mio Gesù e ad abbracciare la cara mia Madre Maria.
16. Finalmente disceso che sarò nel sepolcro, desidero e prego il Signore a far perire sulla terra la mia memoria, sicchè mai più alcuno abbia a pensare di me, fuori di quelle preghiere che attendo dalla carità dei fedeli. Io accetto in penitenza dei miei peccati tutto quello che dopo la mia morte nel mondo si dirà contro di me, e detesto tutto quel male, che in avvenire si avesse a commettere per mia cagione. Vorrei colla mia morte poter impedire tutti i peccati del mondo. anzi sarei pronto a morire ogni volta che si commetteranno sulla terra. Deh! accetti il Signore cotesto misero sacrifìcio; sicchè morendo io abbia la più dolce della consolazioni, di risparmiare in quel giorno una offesa al mio Signore. {120 [470]}
Questa è la mia ferma e precisa volontà, con cui intendo vivere e morire in ogni e qualunque momento Iddio voglia disporre di me. Io la metto tra mani della mia cara Madre Maria, del mio buon Angelo Custode e dei Santi miei speciali protettori, S. Giuseppe, S. Ignazio e S. Alfonso de Liguori, quall' tutti attendo sul punto di mia morte, e pel viaggio alla mia eternità. Così sia.
Vieni pur morte gradita,
Ma si celi il tuo venire,
Perchè l'ora del morire
Non mi torni a dar la vita.
Non già morte, ma dolce sonno sarà per te, o anima mia, se morendo t' assiste Gesù, se spirando t'abbraccia Maria.
Viva Gesù, viva Maria, tanto in cielo, come in terra, nel tempo e nell'eternità, per sempre. Così sia. {121 [471]}
Voi siete, o Signore, la mia porzione, la mia eredità. Tale fu la scelta che solennemente io feci in quel giorno sempre mai memorando della mia ordinazione: oh! giorno felice, giorno mille volte benedetto, in cui mi toccò sì bella sorte! Tengansi pure gli amanti di questo mondo i loro beni, siano pur grandi quanto essi vogliono; a me, si a me basta il mio Dio. E che roba? che onori? che piaceri? do loro un eterno addio fin da questo momento; io voglio solo, sempre, voglio in tutto il caro mio Gesù. Voi solo voglio che siate adesso e per sempre il Dio del mio cuore, il mio tutto. Deus cordis mei et pars mea, Deus, in aeternum.
Questa è la protesta, che con tutto l'ardore del mio cuore vi presento quest'oggi, o mio Gesù, e che intendo di rinnovarvi ad ogni sguardo, ad ogni mio sospiro {122 [472]} verso di Voi, ed allora principalmente quando mi troverò in pericolo di offendervi, mio Dio, di violarvi questa mia fede. Ah! la morte prima, o Signore, che rubarvi in poco, od in molto questo mio cuore.
Presentate voi, o cara mia madre Maria, questa protesta al vostro Gesù, ed accompagnatela colle vostre preghiere che non hanno mai rifiuto. Oh che speranza, che consolazione per me, se il vostro cuore, la vostra lingua, o cara Madre, parlerà, chiederà in quest'oggi per me.
Accettate, o mio Gesù, una misera offerta, sì, ma presentata da sì pure, da sì sante mani, ed accettatela come pegno del mio attaccamento verso di Voi, nascondetela dentro le vostre piaghe, sigillatela col vostro sangue, e fate che questa sia sempre, e l'ultima mia volontà, principalmente in quel punto, in cui partendo da questo mondo me ne andrò a Voi appunto per rendervi conto delle mie promesse e dei tanti anni del mio sacerdozio, affinchè nel tempo e nell'eternità abbiate sempre ad essere il mio Dio, la mia porzione, la mia eredità.
GIACULATORIA. Deus cordis mei et pars mea, Deus in aeternum. {123 [473]}
Mio caro Gesù, mio cuore, mio tutto, oh! quanto mi si consola il cuore fra i tanti scogli di questo misero mondo, allorchè penso che sono vostro e non più mio. E giacchè sono cosa vostra, voglio interamente abbandonarmi nelle vostre mani, voglio in Voi, come mio buon padre, rimettere tutte le cose mie. Ecco nelle vostre mani, Dio mio, quanto ho a questo mondo; la mia vita, la mia sanità, i miei beni, il mio onore, in una parola tutto me stesso; non guardale al mio comodo, alla mia superbia, alla delicatezza mia, lasciate pure che se ne risenta, e Voi disponete da buon padre, come più richiede a gloria vostra ed il vantaggio dell'anima mia; ma sopratutto a Voi consacro la mia volontà, con Voi, o Signore, non voglio avere volontà alcuna; la volontà vostra voglio che sia la mia. O Dio mio, per quei giorni che mi lascierete su questa terra, io voglio lavorare, voglio con tutto me stesso adoperarmi pel servizio vostro. Voi mi vedete il cuore; io vorrei lavorare non a modo mio, ma secondo la vostra volontà, {124 [474]} fatemi adunque conoscere che cosa volete da me, come e dove la volete, eccomi senza riserva, senza eccezioni ai vostri cenni: loquere, Domine, quia audit servus tuus. Parlate, o Signore, ma parlate in modo che io vi intenda, sicchè possa dire d'ogni mia azione: questa è quella, che vuol Dio da me.
Ma non è ancor questa l'ultima grazia, che io desidero da Voi in questo giorno: conoscere la volontà vostra, grazia di poterla fare sì, ma non mi basta ancora; vorrei farla, ma farla con pura e santa intenzione, farla unicamente per gusto vostro, perchè così a Voi piace.
O caro Gesù, che spina mi sento al cuore, allorchè penso se i miei lavori, le mie fatiche sian poi tutte per Voi, se qualche, altra mira vi sia in vece vostra; ad ogni conto la piango fin d'oggi qui ai vostri piedi, e sempre la piangerò. Oh! che torto, Dio mio, per voi, che danno sarebbe per me: oh! che sarei sciocco, se gettassi così al vento i miei sudori. Ora Gesù mio, vi protesto che nient' altro voglio cercar d'or in avanti che il vostro gusto, il vostro piacere; via da me, via ogni altro fine, che, non siale Voi, mio Dio. Maledetta {125 [475]} sia quell' opera, anzi ogni movimento del mio cuore, che da Voi ed a Voi non sia diretto, sicchè al vostro tribunale io possa rispondere francamente di non aver cercato altro in questi miei giorni, che pura la vostra gloria, il vostro onore, la salute delle vostre anime. Cosi sia.
O Caro Gesù, dolce mio amore, io non ho cuore di partirmi da Voi, senza affidare alla vostra misericordia tante povere anime, che nella qualità mia di sacerdote a vostro ministro in terra, non posso, nè debbo mai dimenticare, e sono tanti infelici peccatori, che pendono sull'orlo dell'inferno, tante persone che gemono nelle agonie di morte, e tante anime che soffrono in purgatorio, ed a queste vi aggiungerò tutte quelle altre, che in questo mondo e nell'altro confidano nelle mie orazioni.
O caro Gesù mio, io le nascondo dentro le vostre piaghe, e per tutte vi fo sentire le mie voci, i miei sospiri, per tutte con quanto ho di cuore chiamo pietà, misericordia. Ricordatevi, Dio, mio che sono {126 [476]} l'immagine vostra, opera delle vostre mani, il prezzo del vostro sangue. Deh! adunque, Gesù mio, aprite il tesoro delle vostre misericordie, e date fin d'oggi questa gloria al cielo, e questo scorno all'inferno. Ritraete dalla via di perdizione tanti sgraziati peccatori che corrono al precipizio, accorrete in aiuto di tanti moribondi, che gemono nelle agonie di morte, liberate dalle fiamme del purgatorio tante anime, che vi sono si care, e fate sentire qualche saggio delle vostre consolazioni a' tanti tribolati di questo mondo; e tra gli altri io vi raccomando specialmente il peccatore più grande ai vostri occhi, quel moribondo che più pericola di dannarsi, quell'anima che si trova più abbandonata in purgatorio, e quella persona che sta più desolata su questa terra.
O caro Gesù, Voi che dalle pietre stesse vi gloriaste di poter suscitare veri figli di Abramo, cavate in quest'oggi dal peccatore più grande uno dei vostri più amanti fedeli. Voi, che prometteste di mai non abbandonarci in questo nostro esilio, deh! non ritiratevi, non abbandonate chi lottando cogli assalti dell'inferno sta vicino a perire. Voi, che per aprirci le porte del cielo, vi {127 [477]} assoggettaste a tante pene, a tanti dolori, apritelo per pietà ora ad un'anima, che dal più profondo del purgatorio lo sta sospirando. Voi, che fate sapere che amate coloro stessi, che tribolate in questo mondo, ah! mitigate con qualche dolcezza le amarezze di tante anime.
O Signore, vorrei poter dare il sangue e la vita, come lo deste Voi, per tante povere anime; ma giacchè tal cosa non mi è concessa, almeno questa vita voglio consegnare nelle vostre mani, e tutto quello che sarò per fare o patire in questa misera vita, tutto ve lo offro, e lo consacro a loro prò. Ma che valgono gli omaggi e le offerte di un' anima si pigra e tiepida qual è la mia? io ricorro ai vostri meriti, Gesù mio, e vi offro per loro conforto ed aiuto la vostra passione, il vostro sangue, la vostra morte. Gesù mìo, Voi che con una parola al vostro Padre convertiste tanti duri ed ostinati peccatori che revertebantur percutientes pectora sua, deh! indirizzatele per la seconda volta da quel tabernacolo, che tanto sarà bastante a renderli da peccatori, quali sono, altrettanti vostri devoti e seguaci. Che gloria sarà la vostra, o mio Gesù, nel giorno dell'universale {128 [478]} giudìzio, allorquando si vedrà che la vostra misericordia seppe, trionfare di tanti cuori duri ed ostinati? Che lode da tutti gli angeli e santi? Che scorno, che rabbia per l'inferno, e che ringraziamenti da tante anime così salvate dalia perdizione!
O eterno Padre, voi che appunto per la salvezza de' peccatori mandaste dal cielo in terra il vostro unigenito figlio, date uno sguardo dal cielo sovra tanti miserabili, applicate a prò loro una goccia del prezioso vostro sangue, che per essi sparse appunto il vostro Gesù. E perchè non abbiate a negarlo, io ve la chiamo per i meriti stessi del vostro figlio. Respice, vi dirò, respice in faciem Christi tui. Ecco quel capo inclinato, quelle mani distese, quel cuore aperto, tutto grida, tutto chiama pietà, misericordia.
O Maria, a Voi mi rivolgo ed a Voi, dirò con S. Anselmo, tocca il salvare tanti poveri vostri figli, che sono in procinto di perdersi, liberare tante anime che sospirano di vedervi dal fondo del purgatorio, e confortare tanti tribolati, che confidano nel vostro aiuto; ed a chi altro mai toccherà l'aiutarli, più che a Voi, che loro {129 [479]} siete madre? Mostratevi adunque, vi dirò con Chiesa Santa, mostratevi di esser madre: monstra te esse matrem; mostratevi madre coll'ottener loro quella grazia, che voi conoscete più necessaria; una sola vostra parola, o Maria, presso il vostro figlio Gesù sarà bastante a rassicurare il cuore di tanti afflitti, rapire tante prede all'inferno, popolare di tanti cittadini il cielo, e di altrettanti vostri devoti la terra. Fatelo, o Maria, per quell'amore di madre, che vi regna in cuore, che tutta di voi sarà la gloria e del vostro figlio Gesu, per tutti i secoli dei secoli: così spero, cosi sia.
O Gesù mio, caro e dolce pegno del mio cuore, mio condottiere, mia guida, io vengo in quest'oggi da Voi per pregare, per domandarvi la più grande delie virtù, la più confacente ai vostri desiderii, qual è la santa umiltà.
O Gesù mio, un sì bel nome mi innamora, ma un tal nome insieme mi spaventa. La vostra vita in questa terra si può dire che fu una continua scuola d'umiltà; {130 [480]} umiltà insegnaste sino dalla culla, umiltà deste a vedere nella bottega di Nazaret, umiltà predicaste per l'intero corso di vostra vita, e non contento di predicarla colle opere e colla voce, tutti ci invitaste alla sequela, a seguitarne i vostri esempi con quelle belle parole: discite a me, quia mitis sum et humilis corde. Questo invito, che già faceste nel corso di vostra vita mortale, lo rinnovate continuamente da quel tabernacolo, e lo rinnovate in quest'oggi a me: Disce a me, fili, quia mitis sum et humilis corde; eh! che scuola, mio Dio, che lezione! È questa la mia confusione, il mio spavento; Voi così umile, io cosi altero e superbo, Voi così sprezzante gli applausi dì questo mondo, ed io ne sono così ansioso, Voi così paziente e tollerante ne' disprezzi, ed io così sensibile ed intollerante. Eh caro Gesù mio, io temo e mi spavento, e lo conoscete voi. Quando penso a quell'ora, in cui mi chiederete conto della mia umiltà, che dirò, O Signore, che vi risponderò? Intendo, che valga per me in quel punto, e plachi la vostra giustizia la domanda che vi fo in questo giorno. Datemi, o Signore, quella umiltà, che richiede lo stato mio, e che {131 [481]} Voi esigerete da me al vostro tribunale. Altre volte vi ho chiesto la grazia di farmi un sacerdote santo, un sacerdote puro, fervoroso, zelante, ma in quest'oggi vi prego, vi supplico a farmi un sacerdote umile. E che mi gioveranno le altre grazie, se non mi accorderete questa; che sarò mai, se non sarò umile? Io vi dirò: se mi volete santo, fatemi umile, se mi desiderate ancor più santo, fatemi ancor più umile. Eh! che bella grazia sarebbe questa per me, o Signore, ve la chiedo e vorrei avere mille cuori, mille lingue per domandarvela sempre; datemi adunque umiltà ed umiltà profonda, ma umiltà di cuore, umiltà sincera; datemela per amore del vostro sacerdozio, per bene delle vostre anime. Ma fino a quando, o Signore, dovrete vedere ai vostri altari, fra' vostri ministeri, che spirano tutti umiltà, un sacerdote superbo, vano, ambizioso. Cangiatemi, Dio mio, questa mente, mutatemi questo cuore e rendetelo quale si confaccia ad un vero vostro ministro. Che se questo misera cuore si manterrà ostinato, fatelo umile per forza; fate che io trovi la mia confusione ove cercassi la mia gloria; il dispregio quando volessi gli applausi {132 [482]} degli uomini. O Signore, se mi fate questa grazia, sarà la più grande che io aspetto da voi, e di cui solo in Paradiso potrò abbastanza ringraziarvene, perchè se sarò umile, sarò tutto, se non lo sono, sarò niente.
O Maria, io non saprei a chi meglio appoggiare, a chi più sicuramente raccomandare questa mia domanda, che a Voi, al vostro buon cuore; piegate, Voi, o cara Madre, per me, e perorate la causa mia. che ninna cosa può essere più degna di Voi, nè più utile per me. Santi tutti miei protettori, S. Ignazio, S. Alfonso, che foste tutti modelli di umiltà, pregate, intercedete per me.
Fili, ama nesciri, et pro nihilo reputati.
Amori miei dolcissimi, Gesù e Maria, sono qua in quest'oggi ai piedi vostri a piangere gli anni miei passati. Oh tempo perduto! Oh anni scialacquati, in cui non ho amato il mio Gesù, non ho amato la mia cara madre Maria. Troppo tardi, o Signore. vi dirò col dolente Agostino, si, troppo tardi vi ho conosciuto, o bontà {133 [483]} sempre antica e sempre nuova: sero te amavi, sero te cognovi, bonitas tam antiqua, et semper nova. Ma... beato me, che ho tempo, o Signore, a piangere il mio fallo in questo mondo; me felice, che ancor mi resta qualche giorno a consacrarvi. Eccovi, Signore, l'offerta che mi resta a farvi; è vero che ho perduto tanti anni lontano da Voi, ma prendete almeno quei pochi giorni, che saranno ancora in piacer vostro d'accordarmi. Suscipe, Domine, residuum annorum meorum; voglio che siano vostri e tutti vostri; sono già vostri per natura, perchè siete Voi che me li date, ma saranno ancora vostri per volontà mia, a Voi li cedo, a Voi li dono, li consacro, e nient'altro voglio sapere d'or in avanti che Voi, Gesù mio, Voi, mia cara e dolce madre Maria. Oh!... potessi pur dire una volta d'esser vostro, tutto vostro, e niente mio; l'amor vostro solo io domando col vostro innamorato Ignazio; amorem lui solum cum gratia tua mihi dones. Se questo mi concedete, sarò abbastanza felice, sarò abbastanza contento: dives sum satis. Che se mi volete più felice, più contento ancora, datemi più amore, un amore più grande, un amor più sincero, più tenero. {134 [484]}
Ma non mi basta ancora questo, o Signore, è troppo scarso il mio amore, è troppo ristretto il mio cuore, per amarvi come Voi meritate, vorrei poter accendere dei vostro amore i cuori di quanti vi sono in questa terra. Oh! quanto pochi vi amano, mio Dìo, quanti vorrei che vi amassero, è questa l'altra grazia che io vi domando, che io zeli cioè il vostro onore, procuri di dilatare la vostra gloria, ma sinceramente, ma con tutto l'impegno mio.
O Signore, vi si fanno tante offese ai nostri giorni, si oltraggia cotanto il vostro onore, ed io avrò cuore di starmene tranquillo e quieto? no, mio Dio, sarebbe questo un torto troppo grande alla bontà vostra, allo stato mio. Signore, io son pronto ad ogni cosa per la salute delle vostre anime, e quando anche avesse a costarmi la vita, che sarebbe mai questo in paragone di quanto voi meritate? Sarà questa la mia occupazione d'or in avanti: perorare qui ai piedi vostri, alla vostra presenza, la causa di tante anime, che corrono al precipizio, ed industriarmi in ogni modo a guadagnarvi qualche anima, qualche cuore, almeno per risparmiarvi qualche offesa; oh!... beato me, se nel giorno {135 [485]} della mia morte, se al vostro tribunale potrò additarvi qualche anima da me salvata. Benedite voi, o Signore, da quel tabernacolo questa mia volontà; confermatela, aumentatela, accompagnate colla vostra grazia le mie fatiche, infiammate le mie parole, sicchè possa in voi e per voi, operare degnamente nella vostra vigna, e ricevere in sul fine de' giorni miei la mercede dei buoni operai. Questa grazia io chiedo non solo a me, ma a tutti i vostri ministri qui in terra, fate che in questi tempi di peccato in cui ci troviamo, siano come tanti argini ai vizi, che inondano, e che d'accordo cerchiamo non le cose nostre, i nostri comodi, i vantaggi nostri, ma cerchiano soltanto la pura vostra gloria, il vostro puro onore, sicchè un giorno accompagnali da un gran corteggio d'anime da noi salvate possiamo trovarci in compagnia vostra in Paradiso. Così sia. O amare, o morire, Signore.
S. Franc. di Sales.
O dolcissimi miei cuori di Gesù e di Maria, apritemi in quest'oggi i tesoti delle {136 [486]} vostre misericordie, io comincio dal chiedervi una grazia, che caldamente io desidero, ed è, che io non me ne parta da questo mondo senza prima esser munito dei Ss. Sacramenti, fornito di quella ultima papale benedizione, che forma una delle mie più grandi speranze, ed insieme confortato con tutti quegli aiuti, che la religione nostra sacrosanta tiene preparati in quel punto estremo.
Inoltre perdonatemi, o cara Madre, se troppo grande è il mio ardire, la colpa non è mia, voi stessa ne siete la cagione: tanti segnalati benefizi che ho da voi ricevuti, tanti altri favori, che faceste a mille peccatori, mi spingono tant'oltre, e mi danno confidenza a domandare. Se meno Voi aveste fatto, meno io domanderei, ma poichè l'impegno vostro fu sempre di farvi vedere grande, come veramente lo siete, io credo di secondare le vostre mire, ed esaltare la vostra liberalità, la vostra potenza Dell'avanzar di tanto le mie domande.
Adunque, o Madre, avvicinandosi gli ultimi miei giorni, in quelle ore per me sì tremende, in quei momenti di tanto pericolo, venite Voi dal cielo, o cara Madre, {137 [487]} col vostro figlio Gesù a consolarmi, ad assistermi, ad aiutarmi. Oh Maria! che sorte sarebbe questa per me, se in quelle mie angustie vi vedessi a comparire attorno al mio letto di morte! la grazia è grande, lo so, e grande è la mia indegnità, ma più grande di tutto è la vostra misericordia. Deh! non defraudatemi, cara madre, di questa aspettazione, che forma e formerà in quegli ultimi miei momenti tutta la mia speranza; e per viepiù muovervi ed eccitarvi a concedermi un tal favore, intendo che ciascuna delle mie lagrime, tutti i miei sospiri e gemiti che in quel punto mi opprimeranno, siano tante voci, che vi chiamino per me dal ciclo.
Oh Maria! questa grazia vi chiedo pel vostro Gesù, che tanto amaste, per tutti quei dolori, che soffriste ai piè della croce per me; ma ve la chiedo principalmente appoggiato. a quell' ultima raccomandazione, che vi fece di me dalla croce il vostro moribondo Gesù. Ricordatevi, o Maria, di quel momento felice, in coi il vostro figlio in sua vece vi consegnò me per figlio: mulier, ecce filius tuus; e mi diede voi per madre: fili, ecce mater tua. O Madre, cara mia madre, non ascoltate {138 [488]} più la voce mia, ma bensì le voci, e dirò quasi, le preghiere del vostro caro Gesù. Quegli sguardi amorosi, che moribondo vi gettava dalla croce, erano tante voci, con cui vi parlava al cuore per me, o vi ripeteva e v' inculcava ad avermi per figlio: mulier, ecce filius tuus. Perdonate, o cara madre, se tanto insisto in questa mia domanda; non è per parte vostra, che io tema, ma bensì il pericolo grande, in cui senza di voi io mi trovo di dannarmi, di perdervi e di perdervi eternamente. Oh Maria! che pensiero doloroso, è mai questo per me, perdere voi che mi siete sì cara, sì tenera madre, perdere il vostro e mio diletto Gesù; e dove andrò, e che farò lontano da voi, o dolcissimi cuori di Gesù e di Maria? Ah!... mille inferni, sì, che più ne merito, ma non la perdita vostra, la perdita del vostro caro Gesù; deh! consolate, o cara madre i timori, gli spaventi di un povero vostro figlio, che in questa valle di lagrime non ha dopo Gesù miglior conforto, più sicuro appoggio che Voi, che gli siete madre. E se coll'aiuto vostro io giungerò in Paradiso, come spero, non temete o madre, mi voglio slanciare nelle vostre braccia, {139 [489]} prostrarmi ai vostri piedi, e là voglio benedirvi, lodarvi e cantare in eterno le vostre misericordie, le misericordie del vostro Gesù: misericordias Domini, misericordias Mariae in aeternum cantabo.
S. Giuseppe, particolare mio protettore e degno sposo di una vergine si grande; Voi che spiraste sì dolcemente tra le braccia di Gesù e di Maria, presentate, vi prego, questa mia supplica alla vostra cara sposa Maria ed al vostro diletto Gesù, parlate a pro mio, ed in loro compagnia venite ancor voi a rasserenare le mie agonie nel punto di mia morte.
Gesù, Giuseppe e Maria, vi dono col mio cuore l'anima mia.
Gesù, Giuseppe e Maria, assistetemi nell'ultima agonia.
Gesù, Giuseppe e Maria, spiri in pace con voi l'anima mia.
O dolce mio Gesù, dopo tante grazie che vi ho domandato nel decorso di questa settimana, io vengo quest'oggi a chiedervi l'ultima, che aspetto da Voi. Voi avete detto, che qualunque cosa avessimo {140 [490]} noi domandato a nome vostro all' eterno Padre, non ce l' avrebbe negata. Appoggiato e fermo in questa vostra promessa, che non può fallire, mi presento al trono di vostra divina Maestà a domandarvi una grazia, che eccede, lo so, ogni mio merito, ma non eccede però la vostra potenza, la vostra misericordia. Verrà un giorno, e forse presto, che partirò da questo mondo, e mi presenterò al vostro divin tribunale; spero che per vostra misericordia non mi condannerete all' inferno. Ma ohimè! chi sa quanto tempo avrò a stare in purgatorio a penare, a sospirare la faccia vostra, la vostra benefica visione. O Signora, troppo tardi ho cominciato ad amarvi in questo mondo da ritardare ancora il mio amore in Paradiso; vorrei giungervi presto per compensarvi là giunto di tanti anni miseramente perduti dietro la vanità dì questo mondo. Deh! Gesù mio, per compimento di tante altre misericordie, che mi avete già fatto, usatemi ancor questa di liberarmi da quelle pene, o con voi condurmi in quella gloria.
O Paradiso, città santa del mio Dio, e patria mia fortunata, oh! quanto ti sospiro, oh! felice quel giorno, che metterà {141 [491]} fine a tante croci, a tanti guai, a tanti pericoli di questo mondo, o Paradiso mio, Paradiso mio caro, deh! vieni presto, e consola le brame d'un misero cuor, che ti sospira.
Signore, voi avete detto, che insieme con voi volevate il vostro ministro: ubi sum ego, illic et minister meus erit; fate adunque che alla partenza mia da questo mondo il mio luogo abbia ad essere con Voi in Paradiso. So bene, o caro Gesù. che voi parlavate d'un ministro vostro fedele e santo, qual io certamente non sono, ma giacchè Voi per bontà vostra mi chiamaste nel numero de' vostri ministri, compite ora l'opera con' farmi un ministro secondo il cuor vostro, un ministro santo, quale Voi il volete. Che se ad un gran peccatore, quale io sono, vi vuole gran penitenza, ed i miei debiti con voi contratti sono molti e grandi, io vi offro uno sconto, una soddisfazione ancor maggiore, e sono i meriti vostri, che tutti vi presento e i meriti della SS. vostra Madre, con quelli di tutti i beati, che vi amano in Paradiso. E perchè io possa più copiosamente parteciparne, intendo d'acquistare tutte le indulgenze, che la benignità di {142 [492]} Chiesa Santa nostra madre accorda in vita ed in morte a' suoi fedeli. A questo aggiungo quel poco, che sarà in piacer vostro, mio Dio, che io soffra in questa vita mortale, gli affanni, i dolori, le controversie d'ogni genere che accompagneranno questo mio pellegrinaggio, e per questo principalmente accetto la mia morte con tutte quelle circostanze, che giusta la volontà vostra l'accompagneranno. Finalmente vi prego d'accettare la distruzione del mio corpo, con la quale intendo dì rendere l'ultimo mio omaggio alla vostra divina Maestà e l'ultima soddisfazione alla offesa vostra divina giustizia. O Maria, a voi sono debitore di tante grazie e favori, in conseguenza vi debbo infiniti ringraziamenti; ma finchè mi trovo in questa valle di lagrime, finchè sarò lontano da Voi, non ho modo di potervi debitamente ringraziare. In Paradiso, sì in Paradiso, spero che saprò e potrò rendervi le grazie, che meritate, e più presto giungerò, più presto canterò le vostre misericordie. O Maria, ancor questa grazia ottenetemi, che io muoia con Voi, e con Voi me ne voli al bel Paradiso: troppo duro mi sarebbe, o cara madre, se avessi in purgatorio {143 [493]} a sospirare il vostro volto con quello del vostro benedetto Gesù, mi serva di purgatorio questa valle di lagrime, che non ha la bella sorte di vagheggiarvi, amori miei dolcissimi, ma, sciolto da questo carcere, fate, o Madre, che non abbia a vedermi differita questa mia desiderata sorte, ma insieme con Voi e col vostro Gesù cominci quella vita, che dovrà formare la mia occupazione per tutti i secoli de' secoli. Perorate, o cara madre, la causa mia, ed io non cesserò finchè avrò vita, di esaltare e dilatare il vostro nome, e magnificare la vostra misericordia; cosi spero, così sia.
Requiem aeternam dona mihi, Domine, et lux aeterna luceat mihi.
Requiescam in pace.
Con approvazione della Revisione Ecclesiastica. {144 [494]} {145 [495]} {146 [496]}
[1] Sulla facciata della Chiesa.
Il modello di vita sacerdotale
del clero maestro per eccellenza
il padre dei poveri
il consigliere dei dubbiosi
il consolatore degli infermi
degli agonizzanti conforto
il sollievo dei carcerati
la salute dei condannali al patibolo
l'amico di tutti
il grande benefattore dell'umanità
il sacerdote GIUSEPPE CAFFASSO
morì
all'età di soli anni 49
23 giugno 1860
ma consoliamoci
egli volò al cielo
e sarà nostro protettore
Sulla porta laterale che mette nel coitile
JOSEPHO CAFFASSO
sacerdoti egregio integerrimo
optime de nobis merito
qui fato immature concessit
iuvenes parentatum
ædem ingredimini maesti
grati animi ergo
[2] A piedi del feretro
Vere
sal terræ
vere
lux mundi
fuit
Math. v. 13.
A destra
Quia ad iustitiam
erudivit multos
fulgebit quasi stella
in perpetuas æternitates
Dan. XII, 3.
A sinistra
Labia Josephi custodiere
scientiam
et legem requirebant
ex ore ejus
Malach. II, 7.
Al capo
Corona senum fìlii cius
et gloria filiorum
pater eorum
Prov. XXVII, 5.
[3] È bene qui notare che in quel giorno D. Caffasso confessò fino a notte molto avanzata, e non essendogli stati aperti i fermagli e gli usci della carcere, era sul punto di dover dormire coi carcerati. Ma ad una cert'ora della notte entrano i birri ed i custodi armati di fucili, pistole e di sciabole; e si mettono a fare la solita visita, tenendo lumi sulle estremità di alcune lunghe bacchette di ferro. Andavano qua e là osservando se per caso apparissero rotture sui muri, o nel pavimento, e se non fossero a temersi trame o disordini tra i carcerati. Al vedere uno sconosciuto si mettono tutti a gridare: chi va là. E senza attendere risposta lo intorniano e lo minacciano dicendo: che cosa fate, che cosa volete fare qui, chi siete, ove volete andare? D. Caffasso voleva parlare, ma non gli fu possibile, perciocchè i birri tutti ad una voce gridano: si fermi, si fermi! e ci dica chi è.
- Sono D. Caffasso.
- D. Caffasso...! Come.. a quest'ora... perchè non andare via per tempo; noi non possiamo più lasciarvi uscire senza farne relazione al direttore delle carceri.
- A me non importa; fate pure la relazione a chi volete, ma badate bene a voi, perciocchè all'avvicinarsi della notte voi dovevate venire a vedere e fare uscire quelli che erano estranei alle carceri. Era questo il vostro dovere, e siete in colpa per non averlo fatto.
Allora tutti si tacquero e prendendo D. Caffasso alle buone e pregandolo a non pubblicare quanto era avvenuto, gli aprirono la porta, e per cattivarsene la benevolenza, l'accompagnarono sino a casa sua.
[4] Io conosco molti che per la povera loro condizione, o pei gravi disastri avvenuti in famiglia non potevano percorrere carriera alcuna. Ora di costoro parecchi sono paroci, viceparoci, maestri di scuola. Alcuni sono notai, avvocati, medici, farmacisti, causidici. Altri sono agenti di campagna, padroni di bottega, negozianti e commercianti, e mentre costoro lamentano in D. Caffasso la perdita di un tenero padre, rendono gloria alla verità dicendo: D. Caffasso fu nostro benefattore, egli ci aiutò nel vestirci, ci aiutò a pagare la pensione, a subire gli esami. Egli ci consigliò, ci raccomandò, ci sostenne spiritualmente e corporalmente. A lui dobbiamo il nostro onore, il nostro studio, il nostro impiego, il pane che mangiamo.
[5] Veggansi in fine le iscrizioni A B.
[6] In quel tempo lavoravano con zelo e con buon successo nelle carceri, il sacerdote D. Mattis di felice memoria, e il T. Borsarelli, canonico della Metrop. di S. Giovanni. Quasi contemporaneamente a Don Caffasso, cominciò pure il T. Borrelli Gio., rettore del rifugio. Egli lavorò e tuttodì lavora con maravigliosa sollecitudine, predicando, catechizzando, confessando in que' luoghi, in tutti quei ritagli di tempo, che le gravi ordinarie sue occupazioni gli permettono.
[7] La presenza di D. Caffasso inspirava coraggio e confidenza non solo nelle cose di spirito, ma eziandio nelle cose temporali. Talvolta, afferma un sacerdote, era io così stanco che a stento poteva trarre il respiro. Ma se mi avveniva di poter dire alcune parole a D. Caffasso sentivami tosto rinascere coraggio nell'animo e ravvivamento di forze nel corpo, a segno che uscendo di sua camera era in grado di intraprendere con lena le mie ordinarie e talvolta gravose occupazioni.