Memorie biografiche di Don Giovanni Bosco

 

raccolte dal sacerdote salesiano Giovanni Battista Lemoyne

 

(Giovanni Battista LEMOYNE voll. I-IX, Angelo AMADEI vol. X, Eugenio CERIA voll. XI-XIX, Indice anonimo dei voll. I-VIII e Indice dei voll. I-XIX a cura di Ernesto FOGLIO)

 

Vol. XI, Ed. 1930, 619 p.

 

[Con rosso le parti che non si trovano nell’edizione originale del 1875]

 

 

 

Ai lettori salesiani.

 

                Due sensi di sorpresa si desteranno nell'animo dei lettori alla vista di questo nuovo volume delle Memorie biografiche del Beato Don Bosco: non si sapranno spiegare come il volume undecimo compaia prima del decimo, nè come mai dopo tanto attendere esso sia al confronto dei fratelli maggiori così striminzito. Dirò subito che il volume decimo è in viaggio, nè tarderà troppo ad arrivare; d'altro canto l'undecimo la talmente parte per se stesso, che si può leggere benissimo indipendentemente dall'intermedio. Quanto alla mole, ecco. Se mi fossi spinto con la narrazione oltre l'anno 1875, la materia per necessità di cose sarebbe dovuta essere sì soverchiante, da richiedere un volumone senza precedenti. Allora mi sono detto: - Perchè alla voluminosità sacrificare la comodità? E poi, perchè, anzichè a fare un volume, non sarebbe meglio pensar a fare un libro? - Pazientino dunque i lettori, vadano fino in fondo, e là soltanto giudichino Pro o contro, non subito qui in limine.

                Dopo questo doveroso preambolo è giusto che io renda conto dei criteri che mi hanno guidato nell'ardua fatica: ardua anche, perchè piena di responsabilità dinanzi ai presenti e dinanzi agli avvenire. Io sento ora il peso di tanta responsabilità molto più che non quando il veneratissimo Rettor Maggiore Don Filippo Rinaldi mi chiamò a sobbarcarmici e guardavo solo da lungi il compito che mi veniva affidato.

                Anzitutto ho rinunziato a ogni velleità d'inquadrare la vita del Beato nella cornice dei tempi che furono suoi. Quei tempi non si può ancor dire che siano definitivamente chiusi, dal momento [8] mento che è tuttora in corso lo svolgersi di fatti, in cui Egli ebbe parte. Per ponderare la sua opera e per valutare i suoi influssi nella loro totalità, per guardarne insomma la colossale figura nello sfondo suo adeguato, bisogna che il riguardante si faccia indietro indietro nel futuro, finchè l'angolo visuale sia raggiunto. Mi si consenta di citare un insigne scrittore di cose storiche, il quale dice su per giù al nostro proposito: “Les historiens, qui jugent une époque à distance, la représentent par son caractère le plus general; ils n'en font ressortir que les traits dominants, et, sacrifiant tout le reste, ils tracent des tableaux dont la précision et la simplicité séduisent l'esprit[1]”.

                In secondo luogo procederò cronologicamente alla maniera di Don Lemoyne, il quale non per nulla intitolò il suo lavoro Memorie biografiche, quasi a dirci che la sua narrazione raccoglie e presenta i fatti della vita di Don Bosco passo passo, non solo d'anno in anno, ma quasi giorno per giorno; egli non intese nè punto nè poco a formare compatte sintesi storiche. Da lui mi scosterò soltanto in una cosa: anzichè spezzettare i diversi ordini di fatti e quasi con l'orologio alla mano assegnarne le parti ai singoli momenti, accostando in un medesimo capo particolarità artificiosamente congegnate fra loro, darò al metodo una maggior latitudine, sicchè ogni capo abbia la sua unità e quindi porti un suo titolo preciso. In altri termini io mi proporrò volta a volta uno spazio ben determinato: sarà un anno, sarà più d'un anno, secondochè parrà meglio dalla natura degli avvenimenti, e lì dentro assegnerò a ogni ordine di fatti un giro di narrazione che lo abbracci per intero o ne rappresenti una fase, dirò così, parzialmente completa.

                Questo non significa già che, essendomi io, per esempio, in questo volume, ristretto all'anno 1875, il 10 gennaio del 1876 debba stroncare il racconto delle cose che ebbero il loro epilogo definitivo o la chiusa di un Periodo oltre quella data. Tagli così brutali Non homines, non di, non concessere columnae. [9]

                Non mi sono dunque interdetta qualche puntarella più innanzi, quando il buon senso la consigliasse.

                In terzo luogo mi son fatta una legge di rispettare, tutte le parole vive di Don Bosco, riferendole in modo opportuno e nella forma in cui ci furono trasmesse. Il Rettor Maggiore ha creduto di fare un bel regalo alle Ispettorie Salesiane, donando a ciascuna, ben chiuso in fialette trasparenti, un tantino del cervello di Don Bosco. Orbene le parole da lui dette o scritte sono provvidi ricettacoli di pensieri e di immagini, che l'attività di quel cervello Produsse. Delle due specie di reliquie non si saprebbe definire quale la vinca in pregio.

                Finalmente non perderò di vista a chi e a che debbano queste pagine servire. Esse vanno ai Salesiani, e si sa bene che in famiglia si dicono tante cose che agli estranei o non fanno nè caldo nè freddo o non è punto conveniente di dire. Esse vanno a lettori, la massima parte dei quali aspetta un'esposizione della vita di Don Bosco, la cui lettura non esiga particolari sforzi di mente nè tanto meno specifiche preparazioni di studi: generalmente si vuol sapere che cosa abbia detto o fatto il Beato Fondatore per assimilarsene lo spirito. Perciò è stata mia cura di dir le cose con decoro e con veracità, sì, ma senza preoccupazioni di forma e senza rigidezze di metodo, pago di essere inteso da tutti e non frainteso da nessuno.

                Per non intralciare poi la lettura, ho relegato in appendice una serie di documenti che, sebbene non necessari, giovano però nella massima parte a una più particolareggiata illustrazione del testo. Ivi pure han trovato luogo conveniente quelle poche lettere del Servo di Dio, alle quali il racconto non offriva addentellato alcuno, ma che i nostri lettori amano certamente di conoscere. Questa parte soddisferà coloro che amassero andare più a fondo.

                Mi parrebbe di accingermi men bene alla impostami fatica, se non sciogliessi prima un inno di riconoscenza alla memoria di Don Giovanni Battista Lemoyne e di Don Gioachino Berto, ai quali la Congregazione va debitrice di quasi tutto il materiale [10] documentario salvato nei nostri archivi. Essi, infatti, appassionati ricercatori e gelosi conservatori delle memorie paterne, nulla tralasciarono per assicurarci il possesso di quanto fosse reperibile intorno alla persona e all'attività del Beato Don Bosco.

                Questa prefazione è stata stesa proprio nel faustissimo giorno segnato qui sotto dalla data, perchè solo alla vigilia fu terminato il capo venticinquesimo. La circostanza impreveduta ha procurato anche a me il mio senso di sorpresa. Sia tale coincidenza di lieto augurio, come è certamente per me causa di intima gioia il poter contribuire così pro modulo meo a onorare il caro Beato nella prima sua lesta liturgica.

                Torino, 26 Aprile 1930.

Sac. EUGENIO CERIA

 

 

CAPO I. Nel capo d'anno.

 

                “L’ELENCO generale della Società di San Francesco di Sales” per il 1875 registra i nomi di 64 professi perpetui, 107 professi triennali, 84 ascritti ossia novizi e 32 aspiranti = totale 287, di cui 50 sacerdoti. Questo personale vi compare ripartito in otto Case: Oratorio e Collegio Valsalice di Torino; Collegi di Borgo S. Martino, Lanzo, Varazze e Alassio; Ospizio di S. Pier d'Arena; Casa di Maria Ausiliatrice e Scuole municipali a Mornese. Fra gli aspiranti richiama la nostra attenzione il Servo di Dio Don Luigi Guanella. Il numero dei novizi ha raggiunto una cifra molto notevole: rigogliosa fioritura di un albero, la cui vitalità si annunzia d'anno in anno sempre più lieta di promesse.

                Giacchè abbiamo menzionato Don Guanella e il suo nome ci tornerà alla penna altre volte durante un triennio, conviene che ne facciamo ai nostri lettori la debita presentazione. Egli dovette per tre anni moltiplicare le istanze al Vescovo di Como, se volle ottenere licenza di entrare nella Pia Società; finalmente potè inviare al Beato Don Bosco la sua formale domanda. Don Bosco gli rispose: [12]

 

                               Carissimo D. Luigi,

 

                Il suo posto è pronto. Ella può venire quando vuole. Giunto a Torino, stabiliremo intorno al luogo ed alla casa che più Le converrà. Io Le scrivo in questo senso in seguito alle sue parole; “Se non vado e non sono accolto nel suo Istituto, sono deciso di andare in un altro”.

                Procuri soltanto di non lasciare affari imbrogliati, che possano richiamarlo in patria.

Addio, caro D. Luigi, buon viaggio e Dio ci benedica tutti e mi creda in G. C.

 

                Nizza Marittima, 12 - 12 - 1874.

Aff.mo amico

Sac. GIO. BOSCO.

 

                P.S. Giovedì sarà a Torino

 

                Egli arrivò mentre i superiori uscivano da un'adunanza, in cui era stata decisa l'accettazione delle Missioni d'America. Don Bosco, trovatosi di fronte a lui sull'uscio della camera, gli disse:

                 - Andiamo in America?

                 - Vorrei pur io, rispose Don Guanella, piantare in diocesi una famiglia di figlie [voleva dire di suore] ed un'altra magari di figli, come si è già d'accordo con qualche mio confratello.

                 - Qui abbiamo tutto, riprese Don Bosco. Abbiamo preti, abbiamo anche le suore, ed ella sarà dei nostri per sempre.

                “Io tacqui, scrive Don Guanella in una sua memoria; e per lo spazio di tre anni, finchè rimasi nella Pia Società, fu un contrasto in me. Ma il desiderio d'un impianto proprio la vinse sul mio cuore.

                “Trovandomi con Don Bosco, mi pareva [di sentirmi] imparadisato. Col Divino Aiuto e mercè le preghiere di Don Bosco io mi corressi di difetti, che forse in caso contrario avrei portato alla tomba. Specialmente mi pare di aver guadagnato nello spirito di mortificazione, attenendomi alla regola meglio che per me si poteva”.

                Questa volta l'“Elenco” reca una novità: lo accompagnano cenni biografici dei Confratelli defunti nell'anno antecedente,  [13] Essi erano i sacerdoti Francesco Provera, Giuseppe Cagliero, Domenico Pestarino e il chierico Luigi Ghione. Don Bosco vi premise una sua lettera, che, mentre presentava le quattro necrologie, dicesse ai figli nel capo d'anno la parola del padre[2].

 

                               Ai Confratelli Salesiani,

 

                L'anno 1874, Figliuoli Amatissimi, fu per noi memorabile assai. Sua Santità il Regnante Pio IX dopo averci compartiti grandi favori in data 3 aprile degnavasi di approvare definitivamente l'umile nostra Congregazione. Mentre per altro questo glorioso avvenimento ci colmava tutti di vera gioia venne tosto gravemente amareggiato da una serie di avvenimenti. Di fatto al 13 dello stesso mese Dio chiamava a sè il Sac. Provera, di poi D. Pestarino, indi il chierico Ghione e Don Cagliero Giuseppe, e ciò nello spazio di soli quattro mesi.

                In questi nostri cari Confratelli noi abbiamo perduto quattro operai evangelici, tutti professi perpetui, tutti affezionatissimi alla Congregazione salesiana, osservatori fedeli delle nostre costituzioni, veramente zelanti nel lavorare per la maggior gloria di Dio.

                Non è pertanto a stupire se queste perdite furono amaramente sentite nella nostra società. Ma Dio, che è bontà infinita e che conosce le cose che possono tornare a nostro maggior bene li giudicò già degni di sè. Di loro si può dire che vissero poco, ma operarono molto, come se fossero vissuti tempi lunghi assai: Brevi vivens tempore, expIevit tempora multa. E noi abbiamo fondati motivi di credere che questi confratelli, cessando di lavorare con noi in terra, siano divenuti nostri protettori presso Dio in cielo.

                Si reputa pertanto cosa opportuna darvi un cenno sulla vita di ciascuno, affinchè la loro memoria sia conservata tra noi. Quello che facciamo per essi, coll'aiuto del Signore speriamo che si farà pei confratelli già chiamati alla vita eterna nei tempi passati e per quelli che a Dio piacesse chiamare nell'avvenire.

                Ciò noi faremo per tre ragioni particolari:

                1° Perchè così sogliono fare gli altri ordini religiosi e le altre congregazioni ecclesiastiche. [14]

                2° Affinchè coloro che vissero tra noi, e praticarono esemplarmente le medesime regole, ci siano di eccitamento a farei loro seguaci nel promuovere il bene e fuggire il male.

                3° Affinchè conservandosi i loro nomi e le principali loro azioni, ci ricordiamo più facilmente di innalzare a Dio preghiere pel riposo eterno delle anime loro, se mai non fossero ancora state accolte in seno della misericordia divina.

                Noi certamente non dobbiamo servire il Signore perchè la memoria delle nostre azioni sia conservata presso agli uomini, ma affinchè i nostri nomi, come dice il Salvatore, siano scritti nel libro della vita. Ciò nondimeno questo ci deve avvisare che come le nostre cattive opere possono tornare di scandalo altrui anche dopo la morte, così le buone azioni potranno servire di edificazione. Mentre pertanto leggeremo la breve raccolta di notizie di questi nostri confratelli non cessiamo di innalzare a Dio particolari preghiere per essi e per tutti i Confratelli che dal principio della Congregazione furono chiamati all'altra vita.

                Nel corso poi di quest'anno (1875) dobbiamo dimostrare la nostra incancellabile gratitudine innalzando incessanti suppliche alla Divina Maestà pei bisogni di Santa Chiesa, e specialmente per la conservazione dei giorni preziosi del Sommo Pontefice, nostro insigne Benefattore, da cui noi fummo tante volte ricolmi di segnalati benefici spirituali e temporali. Egli si degnò di dare la definitiva approvazione alla nostre Costituzioni, affinchè noi fossimo esatti nell'osservarle; ci concedette molti favori; procuriamo di mostrarcene degni col servircene a maggior gloria dì Dio e a bene delle anime tutti, o miei cari figliuoli, e pregate per me che vi sarò sempre

In G. C. aff.mo

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Un'altra paterna parola da Don Bosco indirizzata sul principio del nuovo anno ai suoi figli di Lanzo, è giunta fino a noi, grazie alla passione conservatrice di Don Lemoyne, direttore di quel collegio. Risponde egli ad auguri di occasione; ma lo fa con una lunga lettera, dove palpitano insieme bontà di padre e zelo di sacerdote, mirante al vero bene dei cari alunni.

 

                               Ai miei carissimi figliuoli, Direttore, maestri, assistenti, prefetto, catechista, allievi ed altri del collegio di Lanzo.

 

                La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi. Amen.

                Finora, miei amatissimi figliuoli, non ho potuto soddisfare ad un vivo desiderio del mio cuore che era di farvi una visita. Una serie [15] non interrotta di complicate occupazioni, qualche leggero disturbo della sanità mi hanno tal cosa impedito.

                Tuttavia vi voglio dire cosa che voi stenterete a credere più volte al giorno io penso a voi, ed ogni mattino nella S. Messa vi raccomando tutti in modo particolare al Signore. Dal canto vostro date anche non dubbi segni che voi vi ricordate di me. Oh con qual piacere ho letto il vostro indirizzo di buon augurio; con quale piacere ho letto il nome e cognome di ciascun allievo, di ciascuna classe, dal primo all'ultimo del Collegio. Mi sembrava di trovarmi in mezzo di voi, e nel mio cuore ho più volte ripetuto: Evviva ai miei figli di Lanzo!

                Comincio adunque per ringraziarvi tutti, e di tutto cuore, dei Cristiani e figliali auguri che mi fate e prego Dio che li centuplichi sopra di voi e sopra tutti i vostri parenti ed amici. Sì! Dio vi conservi tutti a lunghi anni di vita felice. Volendo poi venire a qualche augurio particolare io vi desidero dal cielo sanità, studio, moralità.

                Sanità. È questo un prezioso dono del cielo. Abbiatene cura. Guardatevi dalle intemperanze, dal sudar troppo, dal troppo stancarvi, dal repentino passaggio dal caldo al freddo. Queste sono le ordinarie sorgenti delle malattie.

                Studio. Siete in collegio per farvi un corredo di cognizioni con cui potervi a suo tempo guadagnare il pane della vita. Qualunque sia la vostra condizione, la vocazione, lo stato vostro futuro, dovete fare in modo, che se vi mancassero tutte le vostre sostanze domestiche e paterne, voi possiate altrimenti essere in grado di guadagnarvi onesto alimento. Non si dica mai di noi che viviamo dei sudori altrui.

                Moralità. Il legame che unisce insieme la sanità e lo studio, il fondamento sopra cui sono essi basati è la moralità. Credetelo, miei cari figli, io vi dico una grande verità: se voi conservate buona condotta morale, voi progredirete nello studio, nella sanità; voi sarete amati dai vostri Superiori, dai vostri compagni, dai parenti, dagli amici, dai patriotti, e, se volete che vel dica, sarete amati e rispettati dagli stessi cattivi. Tutti andranno a gara di avervi seco, lodarvi, beneficarvi. Ma datemi alcuni di quelli esseri che non hanno moralità. Oh che brutta cosa! Saranno pigri e non avranno altro nome se non di somaro: parleranno male e saranno chiamati scandalosi da fuggirsi. Se sono conosciuti in collegio, vengono abborriti da tutti, e si canta il Te Deum nel fortunato giorno che se ne vanno a casa loro. E a casa loro? Disprezzo generale. La famiglia, la patria li detestano, niuno dà loro appoggio, ognuno ne rifugge la società. E per l'anima? Se vivono, sono infelici; in caso di morte, non avendo seminato che male, non potranno raccogliere che frutti funesti.

                Coraggio adunque, o miei cari figli: datevi cura a cercare, studiare, conservare e promuovere i tre grandi tesori: sanità, studio e moralità. [16] Una cosa ancora. Io ascolto la voce che proviene di lontano e grida: O figliuoli, o allievi di Lanzo, veniteci a salvare! Sono le voci di tante anime che aspettano una mano benefica che vada a torli dall'orlo della perdizione e li metta per la via della salvezza. Io vi dico questo perchè parecchi di voi siete chiamati alla carriera sacra, al guadagno delle anime. Fatevi animo; ve ne sono molti che vi attendono. Ricordatevi delle parole di S. Agostino: Animam salvasti, animam tuam praedestinasti.

                Finalmente, o figli, vi raccomando il vostro Direttore. So che esso non è troppo bene in sanità; pregate per lui, consolatelo colla vostra buona condotta, vogliategli bene, usategli confidenza illimitata. Queste cose saranno di grande conforto a lui, di grande vantaggio a voi stessi.

                Mentre vi assicuro che ogni giorno vi raccomando nella Santa Messa, raccomando pure me alle buone vostre preghiere, affinchè non mi accada la disgrazia di predicare per salvare gli altri e poi abbia da perdere la povera anima mia. Ne cum aliis praedicaverim ego reprobus efficiar.

                Dio vi benedica tutti e credetemi in G. C.

                Torino, vigilia dell'Epifania 1875.

Aff.mo amico

Sac. GIO. BOSCO.

 

                NB. Il Signor Direttore è pregato di spiegare quelle cose che per caso non potessero essere bene intese.

 

                Paterne sono anche due letterine personali, che si possono raggruppare qui, scritte in quel tomo a due soci e salvatesi avventuratamente dalla dispersione generale di chi sa quante altre del medesimo tenore. Egli rispondeva come e quando poteva, ma era suo costume di rispondere. Solo per leggere tutta la corrispondenza, ed egli la leggeva tutta, in simili occasioni, ce ne voleva del tempo! Si pensi che nel capo d'anno del '75 la posta gli ammonticchiò sul tavolo 204 lettere.

                La prima dunque di dette lettere, indirizzata a Don Giuseppe Ronchail, prefetto nel collegio di Alassio, ispira una confidenza che viene dal cuore e va al cuore.

                Carissimo mio D. Ronchail,

                Sono contento che dopo emessi i voti perpetui, tu goda maggior pace nel cuore. È segno che Dio ti benedice e che in quello che fai [17] si compiono i divini voleri. Dunque si Deus pro nobis, quis contra nos? Dirai al ch. Vallega che ho ricevuto la sua lettera, lo ringrazio, farò quanto domanda, e gli parlerò poi a voce.

                Ringrazio il Direttore delle cose scritte, dei regali mandati; ne feci molti e ripartiti regali, che per noi sono di grande vantaggio. Fagli coraggio, ma ambidue studiate di avervi cura della sanità; se vi sono difficoltà scrivetemelo, io studierò modo di appianarle.

                Si ricevano pure i fr. 400 dai p. Cappuccini nel senso che mi scrivi.

                Se puoi, va a salutare il Prof. Agnesi e sua sig. sorella, dimanda notizie e di poi fammele sapere.

                Dio ti benedica e prega e prega pel tuo sempre in G. C.

                Torino, 15 - 75.

Aff. amico

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Nella seconda letterina, il buon Padre porge al chierico Erminio Borio, maestro nel collegio di Borgo S. Martino, alcuni salutari consigli, conditi di soavità e grazia.

                Borio mio carissimo,

                La tua lettera mi piacque assai. Con essa mi fai vedere che il tuo cuore è sempre aperto a D. Bosco. Continua così e sarai sempre gaudium meum, corona mea.

                Tu vuoi qualche consiglio; eccotene:

                1° Quando fai correzioni particolari, non mai correggere in presenza altrui.

                2° Nel dare avvisi o consigli procura sempre che l'avvisato parta da te soddisfatto e tuo amico.

                3° Ringrazia sempre chi ti dà avvisi, e ricevi le correzioni da buona parte.

                4° Luceat lux tua coram hominibus, ut videant opera tua bona et glorificent Patrem nostrum, qui in coelis est.

                Amami nel Signore: prega Dio per me e Dio ti benedica e ti faccia santo.

                Torino, 28 - 75.

Aff.mo in G. C.

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Con quest'altra lettera ringrazia la signora Annetta Fava, benefattrice torinese, della strenna inviatagli nel capo d'anno. [18]

 

                               Pregiatissima Signora.

 

                E’ un po' tardi, ma debbo fare il mio dovere e porgere alla sua bontà vivi ringraziamenti. Ho ricevuto la sua bella relazione e la cristiana sua lettera con entro f. 500 che vennero tosto impiegati a favore di questi miei giovanetti, i quali trovansi tuttora nella maggior parte vestiti da estate. Perciò maggior motivo di ringraziarla e di invocare ognora le benedizioni del cielo sopra di Lei e sopra del rispettabile consorte suo.

                Le parole testuali del prof. Avv. Menghini nel comunicarmi la benedizione del S. Padre furono: “Nell'udienza che potei avere in data 12 ottobre (1874) ho chiesta la particolare benedizione per la inferma di cui mi aveva dato incarico. Il S. Padre rispose: - Di buon grado mandò l'apostolica benedizione alla Sig. Anna Fava torinese, inferma, e vi prego di comunicarla da parte mia: pregherò anche per Lei -”.

                Del resto non mancheremo di continuare le nostre comuni e particolari preghiere, affinchè Dio conceda a Lei e all'ottimo di Lei marito sanità stabile e lunghi anni di vita felice, mentre colla più profonda gratitudine ho l'onore di potermi professare

                Della S. V. B.

                Torino, 9 - 75.

Obbl.mo servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Il Beato Don Bosco, che sentiva profondamente la gratitudine verso tutti quanti gli avessero fatto del bene, non dimenticava nessuno nelle ricorrenze del Natale e del capo d'anno; egli, come sappiamo da testimoni oculari, scriveva infinite lettere d'augurio secondo la qualità delle persone. A tali lettere rispondono con premurosa sollecitudine sui primi di gennaio del '75 i cardinali Patrizi e Antonelli e monsignor Vitelleschi.

                Il Cardinal Patrizi, Vicario di Sua Santità a Roma, ricambiati con vera cordialità gli auguri ed espresso il suo compiacimento per il progredire della Società Salesiana con generale soddisfazione dei Vescovi, soggiunge: “Che poi qualcuno tra questi non riguardi con occhio benigno la Società, e faccia opposizioni all'esercizio di qualcuno nel santo ministero, ciò non deve far meraviglia, anzi può dirsi che sia segno che l'opera [19] sia gradita al Signore, che permette sorgano le difficoltà, per fai risaltare nel superarle esser Egli che dispone il tutto per il maggior bene della Società. Si rallegri Ella dunque nella tribolazione e prenda da questa maggior coraggio”.

                In termini non meno cortesi lo ringrazia il cardinale Antonelli, Segretario di Stato, dicendosi “commosso di tante premure a suo riguardo”.

                Ancor più esplicito del cardinal Patrizi si mostra monsignor Vitelleschi, Arcivescovo di Seleucia e Segretario della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, nel portar giudizio sulle opposizioni mosse al Servo di Dio dall'Ordinario diocesano. Al quale proposito il Prelato scrive: “Rilevo dalle sue lettere quanto quella [la Congregazione Salesiana] sia combattuta costà ove è la Casa Madre; ma ove si opera il bene Dio permette nei suoi consigli imperscrutabili che sia segno di contraddizione; sa Ella insegnarmi che non deve uno sgomentarsene; sappia intanto con riserva che la Congregazione ha preparato una lettera a questo medesimo Arcivescovo responsiva ai quesiti che aveva egli fatto relativi alla Congregazione Salesiana, di cui ne sarà data a Lei confidenziale copia per sua norma. Nella di lui venuta a Roma che Ella mi annunzia, io ed altri gli parleremo perchè desista da una opposizione, che ha qualche cosa di sistematico”. Sulla faccenda dei quesiti si tornerà più innanzi.

                A sì autorevoli testimonianze di stima non poteva mancare quella del Cardinal Berardi, legato a Don Bosco da calda affezione. In una lettera del 9 gennaio, della quale ci dovremo poi nuovamente occupare, egli esordiva così: “Grato alle cordiali felicitazioni da Lei direttemi all'occasione delle attuali solenni ricorrenze, Le ne rendo le più vive azioni di grazie, ed in ricambio l'assicuro che prego pur io il Signore, affinchè ricolmi Lei e la benemerita sua Congregazione della più eletta copia di benedizioni. Adempiuto a questo mio stretto dovere, Le significo essermi rincresciuto immensamente l'aver appreso, che il consaputo Prelato non cessa ancora dal tormentarla”. [20]

                Nè il Cardinale si limitò a semplici parole, ma agì anche nel modo e con gli effetti, che vedremo fra non molto.

                Il Beato Don Bosco non si sgomentava per le difficoltà, che gli si profilavano dinanzi fin dal principio del nuovo anno, ma con tutta pace continuava nel suo cammino, confidando pienamente in Dio e appigliandosi a quei partiti, che gli erano dalla sua grande prudenza consigliati.

 

 

CAPO II. Le annue conferenze di S. Francesco.

 

                La fine di gennaio del '75 chiamò a raccolta intorno al Padre comune i più ragguardevoli de' suoi figli. Per una regola, che poi fu abrogata quando ne divenne impossibile l'osservanza, tutti i Direttori nel triduo precedente la festa di San Francesco di Sales si riunivano a particolare convegno nell'Oratorio, e qui da loro si riferiva sull'andamento delle proprie Case, si trattavano affari, si risolvevano dubbi, si ricevevano comunicazioni, il tutto nella massima semplicità e confidenza reciproca e con ogni comodità di conferire con il Beato Padre, sicchè ne riusciva rinsaldato quello spirito di famiglia che il Fondatore si studiava tanto di mantener vivo fra i suoi.

                In tale circostanza si tenevano parecchie conferenze, che erano di due specie: le une private, a cui partecipavano solamente i membri del Capitolo Superiore e tutti i Direttori col Maestro dei novizi; pubbliche le altre e aperte a tutti i confratelli. A queste anzi Don Bosco fece talvolta assistere anche gli alunni di classi superiori, sia perchè si sentissero così maggiormente affezionati alla vita della Casa, sia perchè vi pigliassero conoscenza dei progressi fatti dalla Congregazione nel credito generale e nelle sue espansioni. L'essere ammessi così nell'intimità della vita Salesiana giovò senza dubbio a schiudere o a sviluppare in tanti il buon germe della vocazione religiosa. [22] Quell'anno le conferenze furono sei, cioè tre private e tre pubbliche. Fortunatamente ce ne sono pervenuti i verbali, da cui spigoleremo quel tanto che possa essere oggetto di queste Memorie.

                Membri del Capitolo Superiore erano Don Rua, Don Cagliero, Don Savio, Don Durando, Doti Ghivarello, Don Lazzero; Direttori, Don Bonetti, Don Lemoyne, Don Francesia, Don Cerruti, Don Albera, Don Dalmazzo, Don Costamagna; Maestro dei novizi, Don Barberis. Alle tre private presiedette Don Rua; alle altre il Beato Don Bosco.

                Le prime tre sedute, svoltesi privatamente sotto la presidenza di Don Rua, se n'andarono tutte o in cose d'ordinaria amministrazione e oggi prive d'importanza, o in argomenti importanti sì, ma troppo sommariamente messi a verbale e su cui del resto sarà più opportuno ritornare comodamente in appresso.

                Per la quarta che fu pubblica e si tenne alla presenza di Don Bosco, il segretario bonamente premise di suo questo cappello al verbale: “Il giorno 27 gennaio 1875, antivigilia della festa di S. Francesco di Sales, sarà sempre memorabile nei fasti della nostra Congregazione per le tante cose che avvennero a noi favorevoli e si comunicarono in questa conferenza. Siane lodato il Signore e S. Francesco”. Per dare a queste parole il loro giusto valore, fa d'uopo tener presente che in quei primordi, a meno d'un anno dall'approvazione delle Regole, la coscienza o piena consapevolezza dell'essere proprio era nei Soci ancora sul formarsi; quindi ogni atto o fatto che ridondasse per poco a onore della Congregazione, facilmente li rallegrava, anzi li esaltava fino all'entusiasmo. Don Bosco a sua volta profondo conoscitore del cuor umano, sapeva da tutto trarre partito per suscitare in mezzo ai suoi un ragionevole spirito di corpo, che valesse a rinsaldare ognor più la compagine mercè la sempre maggiore aderenza dei membri.

                Sull'aprirsi della seduta fa capolino per la prima volta la [23] questione dei privilegi, che tanto filo da torcere darà in seguito al Servo di Dio. Ma per bene intendere il linguaggio di Don Bosco, è necessario fare un'altra osservazione. Don Bosco, e chi scrive l'ha udito da testimoni autorevoli, in simili adunanze diceva le cose molto alla buona, come se discorresse del più e del meno, con un candore di naturalezza che somigliava a ingenuità, e ciò nonostante le sue parole venivano ascoltate con il più religioso rispetto e producevano negli animi la più profonda impressione.

                Leggiamo dunque nel verbale: “Si cominciò a parlare della comunicazione dei privilegi, che si desiderava domandare per la nostra Congregazione a Roma. Cominciò il Sig. Don Bosco a farei notare che moltissimi privilegi godono i Regolari, avendone alcuni un intero volume, e non piccolo. Di essi però sono gelosissimi e malgrado che egli ne abbia fatto richiesta da più parti, non trovò per molto tempo chi gliene facesse vedere una copia; aver poi ora quelli degli Oblati e qualche altro. Su di essi si poggerebbe per ottenerne anche per la nostra Congregazione; ma che ora si andava molto più a rilento a concederne; anzi essersi stabilito di non accordarne più per communicationem, che è concedere in massa ad una Congregazione i privilegi che gode già un'altra; tuttavia avrebbe studiato molto questo punto, e sperare di potervi riuscire a bene”.

                Don Bosco lesse quindi una letterina del cardinal Antonelli, giuntagli quel mattino stesso e contenente un vaglia di lire mille che Sua Santità mandava per l'erezione dell'Ospizio di San Pier d'Arena. Dice il verbale: “Si fece notare che il dono era generoso e raro; poichè, quando si tratta di queste opere, volendovi concorrere, il Papa manda al più cinquecento lire. Tuttavia Don Bosco ci fece notare che questo soccorso era stato chiesto al Santo Padre, ma che egli aveva già notificato a chi di ragione, che la detta somma sarebbe tornata alla fonte nel danaro di S. Pietro; non cessare però di essere un gran segno di distinzione e di stima per noi dal Santo Padre”. [24] Gli astanti dovettero restar commossi a questa comunicazione; tant’è vero che si presentarono due proposte: una, di mettere in cornice la lettera e l'altra di pubblicarne il testo nell'Unità Cattolica. Don Bosco assentì, ma vietò che si facesse il suo nome, perchè ciò sarebbe bastato per mettere un “diavoletto” nella stampa cattiva. Difatti certi giornali di quando in quando si sbizzarrivano anche contro di lui. Ne riparleremo.

                Due altre belle notizie Don Bosco diede all'assemblea, entrambe della giornata: l'arrivo delle lettere ufficiali per l'accettazione delle sue proposte riguardo a Buenos Aires, e la consegna di un sospiratissimo regio decreto per l'espropriazione legale di un'area, dove si stava per fabbricare la chiesa di S. Giovanni Evangelista. Anche di ciò si tratterà più innanzi.

                Per due affari, di cui uno peloso e l'altro no, le poche righe del verbale lascerebbero i lettori troppo insoddisfatti; bisognerà tornarci su a miglior agio. Anche su d'una questioncella di diritto canonico possiamo passarci per ora.

                Alla quinta conferenza intervennero anche gli ascritti e gli aspiranti. Essendo i presenti circa centocinquanta, bisognò tenere l'adunanza nella chiesa di S. Francesco di Sales. Secondo il consueto, ogni direttore riferì dinanzi a tutti sullo stato del suo collegio tanto dal lato finanziario che da quello igienico, edilizio, intellettuale, morale e religioso.

                Sorse per primo Don Bonetti, direttore di Borgo S. Martino. Aveva il collegio così zeppo, da non trovarvi più posto nemmeno per un alunno che si volesse accettare. In una casa attigua, costruita appositamente, erano andate ad abitare dodici suore di Maria Ausiliatrice, che custodivano la guardaroba e badavano alla rammendatura della biancheria, con grande vantaggio di tutti. Si minacciava di mettere a riso i terreni dei dintorni; ma l'insalubrità delle risaie comincia solo quando si toglie l'acqua per la falciatura, cioè fra agosto e settembre, nel tempo appunto che i giovani sarebbero a [25] casa in vacanza. Vi si godeva perfetta salute; l'andamento religioso e morale sembrava soddisfacente, come si arguiva dalla grande frequenza ai Sacramenti. Molta allegria nei giovani. Egli attribuiva i notevoli miglioramenti dell'anno in corso alla bontà del personale. Finì raccomandandosi vivamente alle preghiere di tutti.

                Dopo di lui prese la parola Don Lemoyne, direttore di Lanzo. Il numero dei convittori superava già quello degli anni passati e se ne aspettavano ancora parecchi; riteneva che avrebbero sorpassato i duecento. Degno di particolare encomio il piccolo clero, composto in maggioranza dei più grandicelli. Lo stato sanitario essere causa di meraviglia a tutti; non un'indisposizione, non un raffreddore, non la menoma tosse. Doversi questo mirabile effetto in buona parte alle cure del prefetto Don Scappini. Produrre un grandissimo bene la separazione totale dei giovani delle classi superiori da quei delle inferiori. Riconoscere egli che il progresso fatto dovevasi al personale più copioso e saggio, inviatovi dal sig. Don Bosco.

                Don Francesia, direttore di Varazze, lamentò la ristrettezza del locale; poichè oltre a ottanta domande eransi dovute respingere per assoluta mancanza di posti. Mostrarsi dai giovani amor grande al collegio e ai superiori. La ricreazione farsi così viva e animata, da non potersi descrivere; non vedersi mai nessuno fermo e solo, non formarsi gruppi senza che vi fosse in mezzo un chierico. Del personale si dichiarò arcicontento.

                Don Cerruti, direttore di Alassio, fece notare che il liceo aveva una cinquantina di alunni e che anche fra loro c'era una condotta veramente ottima; molti aspirare allo stato ecclesiastico. Il collegio non poterne contenere di più ed essersi dovuto limitare le accettazioni; fabbricarsi allora un edificio che avrebbe offerto possibilità molto maggiori; in pari tempo studiarsi il disegno di un'altra fabbrica sia per accondiscendere a tutte le richieste, sia per accogliervi con [26] sommo vantaggio, come sperava, le Figlie di Maria Ausiliatrice.

                Don Albera, direttore di San Pier d'Arena, si consolava che fosse quasi condotta a fine una fabbrica, la quale avrebbe permesso di raddoppiare il numero degli allievi. Comunicò che per detta fabbrica Sua Santità aveva già mandato altre duemila lire. I giovani essere circa sessanta fra artigiani e studenti, tutti di buona condotta; non potersi proprio desiderare di più; la frequenza ai Sacramenti grandissima. Occuparsi i Confratelli anche molto degli esterni; venirne molti a scuola e moltissimi frequentare l'oratorio festivo con vera soddisfazione generale. La città vedere assai di buon occhio l'Istituto.

                Intorno al collegio di Valsalice, collegio di nobili, diede notizie assai buone il direttore Don Dalmazzo. In primo luogo, essere il numero quasi duplicato da quel che era l'anno antecedente. Il buon esito degli esami, il sapere che ivi si studiava sul serio, un viaggio a Roma con i migliori durante le vacanze e specialmente la benedizione del Santo Padre aver contribuito molto a tale incremento. Un solo timore angustiar l'animo dei parenti: che i Salesiani facessero preti i loro figliuoli. Grave piaga questa nelle famiglie signorili! Ciò per altro tornare ai Salesiani di non poco onore, volendo dire che si era persuasi impartirsi da essi un'educazione veramente cristiana. La sanità ottima. Gli studi andare a gonfie vele, avendovisi quattro professori universitari che insegnavano nel liceo: Allievo, Lanfranchi, Bacchialoni e per la matematica Roda. Quanto a disciplina, religione e moralità progredirsi di anno in anno verso il meglio, dacchè il collegio era passato nelle nostre mani.

                Don Costamagna, riferendo intorno alle Figlie di Maria Ausiliatrice, delle quali era direttore a Mornese, lodò anzitutto lo spirito fervente e perfetto delle Suore; perfino le educande bramare di farsi religiose ed essere così affezionate a quell'educandato, che neppur una sarebbe voluta uscirne. [27] Delle educande però lamentava il piccolo numero, sia per non essere ancora noto l'Istituto, sia per la difficoltà delle comunicazioni, trattandosi d'un paese fuori di mano, senza ferrovia, anzi senz'omnibus che regolarmente conducesse i viandanti. Invece il numero delle Suore e delle aspiranti aumentare continuamente e raggiungere già l'ottantina; il sig. Don Bosco poi veniva attuando un disegno, che avrebbe attirato numerose anche le educande. La sanità ottima.

                Don Rua, dando relazione dell'Oratorio, rilevò negli studenti molta pietà e buon volere; negli artigiani un'alacrità consolante, massime per dir bene le orazioni. Anche tra gli esterni farsi gran bene; esservi quell'anno una particolarità: l'istituzione di scuole serali che attiravano molti giovani grandicelli non solo durante il corso della settimana, ma anche alla domenica. Riguardo ai soci, divenuta obbligatoria per tutti la meditazione, ammirarvisi molta puntualità e diligenza, nonostante la necessità di sforzi per intervenirvi. Farsi questa meditazione dai professi e dagli ascritti separatamente. Essersi anticipato di mezz'ora il levarsi, affinchè se ne avesse tempo, che altrimenti sarebbe stato impossibile trovare per quest'esercizio di pietà lungo la giornata. Gli ascritti inoltre avere studio a parte, scuole e conferenze interamente per loro. Parlò infine del piccolo clero, fiorentissimo; delle diverse compagnie, non meno fiorenti, formate di giovani che appartenevano alle classi più avanzate e che erano segnalati per edificante condotta. Terminò dicendo: “Ringraziamone il Signore. Oremus ad invicem”.

                Le ultime osservazioni di Don Rua sopra i soci e i novizi non rechino meraviglia, quasi che fino allora si fosse tirato avanti senza meditazione e senza regolarità. Prima che fossero approvate le Regole, Don Bosco dirigeva, si può dire, individualmente i suoi figli; di esercizi comuni manteneva fra essi quanto solo giudicasse necessario e opportuno. Ma una volta avvenuta l'approvazione, bisognava entrare nella legalità, procedendosi però anche in questo per gradi; giacchè [28] non pochi, attaccatissimi alla persona di Don Bosco e disposti financo a buttarsi per lui nel fuoco, non possedevano ancora un'idea esatta e completa della vita religiosa: il far passare costoro bruscamente da una tal quale libertà all'osservanza totale avrebbe avuto per effetto di alienarli, inducendoli a impronte risoluzioni. Don Bosco non abbandonò mai interamente la sua vecchia tattica, sperimentata da lui vittoriosa durante il periodo preparatorio, quando i principi della vita religiosa si dovevano inoculare senza farne motto, per non suscitare diffidenze o sospetti dentro e fuori dell'Oratorio, usci in tempi ostili quanto mai a religiosi e a Congregazioni religiose; e la tattica era di affezionare i suoi alla Casa, affezionarli all'Opera, sicchè vi si sentissero in famiglia: il resto sarebbe venuto da sè.

                L'ora tarda impedì a Don Bosco di prendere la parola per dire sullo stato della Congregazione e chiudere; parlò invece il giorno dopo dinanzi allo stesso uditorio. Il verbale ne riassume così il discorso:

                I Signori Direttori han dette tante cose ier sera dei loro Collegi, che noi ne fummo maravigliati. Io voleva anche parlare della Congregazione, affinchè si vedesse a che punto ci troviamo. Non avendolo potuto fare iersera, lo farò oggi. Prima di tutto bisogna che vi comunichi un favore tutto speciale che Sua Santità ha voluto compartirci. Sapete che a San Pier d'Arena si sta fabbricando per accrescere il nostro Ospizio già esistente. Ebbene, conoscendo ciò il Santo Padre e sapendo come non si avevan redditi per ciò, ma si andava avanti con limosine, volle degnarsi di mandare 2000 lire per far proseguir la fabbrica di detto edifizio. Bisogna che glie ne siamo molto grati vedendo che tanto e così paternamente pensa a noi; dobbiamo procurare di mostrarci sempre più degni di tanto Padre, e promulgare fin che possiamo le sue grandezze e le sue prerogative.

                Sono stato a far visita ai Collegi nostri e bisogna che vi dica che sono proprio molto contento delle cose come vanno. Prima di tutto li ho trovati pieni di giovani, in sanità e buoni, come vi dissero i rispettivi Direttori. Ma quel che più mi colpì, si fu il modo con cui si lavora dai membri della Congregazione. Il lavoro è immenso e si lavora proprio di cuore, tanto che un solo individuo fa scuola, è assistente, e assiste in refettorio, in dormitorio, conduce a passeggio e non ha un'ora a sua disposizione. La cosa era al punto che, avendo [29] io da far copiare alcune pagine, non si poteva trovare un individuo in libertà che potesse ciò eseguire. Ma più ancora che il lavoro mi piacque il vedere lo spirito con cui si lavorava. Io debbo proprio dire che non si poteva desiderare di più; mi par proprio messo in atto l'ideale che della congregazione io mi era fatto. Poichè oltre al molto lavoro che si fa, c'è lo spirito dell'ubbidienza e d'indifferenza che accompagna ogni atto. Non si ha paura da un professore o da un prete, qualora ne sia il caso, di prestar mano in cucina od a scopare. Siane lodato Iddio; procuriamo di conservare questo spirito e sforziamoci sempre più per vedere se c'è modo di accrescerlo.

                Ora che la Congregazione sta organizzandosi, c'è bisogno sempre più che ci facciamo animo a sopportare quelle cose che possono essere disgustose sia per la strettezza del locale, sia per le cose che si trovano non adattate. Io spero che non sia lontano il tempo in cui ogni prete, ogni professore possa avere una comoda cameretta, ben più adattata di quelle che ora ci sono; così pure locali separati per gli Ascritti. Potremo avere bei cameroni, arieggiati e sani. Tuttavia per ora sopportiamo con molta pazienza gl'incomodi presenti.

                Altra cosa che desidero è l'introduzione nelle nostre scuole dei classici Cristiani, invece di quelli del Paganesimo. Non potremo farlo tutto in un tratto, ma desidero che per quanto si può si cominci a fare . Io già per me sarei contento se i miei chierici ed i miei preti venissero anche solo a scrivere il latino come lo scriveva un Gerolamo, un Agostino, un Ambrogio, un Leone, e un Sulpizio Severo. Poichè chi vi ha tra gli scolari che possa capire dove stia in sè la bellezza di Cicerone, di Tito Livio? E poi adoperando i primi non s'introdurrebbero nella mente dei giovanetti tante idee strane, inutili e molto pericolose che si trovano sparse ad ogni pagina nei Classici pagani.

                A questo scopo si è già cominciata la stampa di tratti scelti nelle Opere di S. Girolamo e spero quanto prima di poter far uscire anche Sulpizio Severo, poi altri. Potremo forse così mettere un riparo ad un male molto grande de' nostri tempi.

 

                Infine Don Bosco fermò l'attenzione dei presenti sulle Missioni d'America. Il verbale prosegue:

                Ci arrivarono di questi giorni lettere dall'America, colle quali siamo pregati di andare in quei lontani paesi ad evangelizzare quei popoli. Noi avevam poste delle condizioni e queste condizioni si accettarono. Ora si faranno poi delle pratiche speciali per vedere il quid agendum. Intanto due luoghi ci aspettano colà. La Città di Buenos Ayres e la città di S. Nicolàs de los Arroyos, distante il viaggio di una giornata dalla capitale. Già altre volte s'era parlato di Missioni, così per l'America stessa, che per l'Asia, per l'Africa e per [30] l'Oceania. Ma sembra che questa di Buenos Ayres molto più ci convenga, sia per condizioni speciali, sia per la lingua spagnuola molto più facile che non l'inglese in fiore nella maggior parte degli altri luoghi.

                Il verbale qui ci lascia in asso con due “ecc. ecc.”. È facile immaginare la curiosa attenzione, con cui gli uditori in quei primordi della Congregazione seguirono lo svolgersi di questa battuta finale, tanto più che allora per la prima volta il Beato toccava di tale argomento in pubblico. Da Valdocco a Buenos Aires! Ma era cosa da far andare in visibilio!!!

 

 

CAPO III. L'Opera di Maria Ausiliatrice.

 

                L’ANNO 1875 vide l'origine di un'opera nuova, a cui il Beato Don Bosco si accinse mosso da impulso di zelo sacerdotale e da superne illustrazioni.

                Si sa come i tempi corressero avversi alle vocazioni ecclesiastiche. Aberrazioni politiche, scuole laicizzanti, stampa senza freni, vilipendio della Chiesa e de' suoi ministri, disagi economici del clero erano tante cause che avevano contribuito e contribuivano a diradare le file tra gli alunni del Santuario. Per ovviare a sì funesta iattura il Servo di Dio non la perdonava a sacrifizi. Inoltre, vista la piega che prendevano le cose, non si stancava di ripetere che ormai i sacri leviti si dovevano cercare largamente “in mezzo a quelli che maneggiavano la zappa e il martello”[3]. Ma neppur questo poteva bastare; perchè i giovani son sempre giovani, e, nonostante le più solerti cure, quanti di essi, avviati al sacerdozio, si perdono per via! Don Bosco aveva constatato che di essi una minoranza appena raggiungeva la meta.

                Che fare adunque? Il bisogno stringeva: procedendosi di quel passo, la scarsità dei preti avrebbe portato la desolazione nella vigna del Signore. Don Bosco, ancora semplice studente di ginnasio, erasi amorevolmente prestato ad aiutare una buona pasta d'uomo che a dispetto dell'età voleva farsi prete, e che grazie a questa carità era riuscito a entrare in seminario, [32] compiervi gli studi e ricevere gli ordini sacri[4]. Di altre vocazioni tardive Don Bosco si occupò anche in seguito, massime nell'Oratorio, dove ammise a frequentare le classi comuni parecchi individui già maturi, desiderosi di entrare nella carriera ecclesiastica. Ebbe agio così di venir constatando che tali soggetti avevano seria applicazione, fervida pietà ed anche buona disposizione a servire i compagni più giovani[5]. Mentre pertanto pregava il Signore che lo illuminasse intorno al modo di dare molti sacerdoti alla Chiesa, ecco balenargli alla mente il pensiero di raccogliere giovani adulti ben disposti, crear loro un regime speciale e prepararli adeguatamente ad ascendere l'altare.

                Ruminava fra sè e sè il santo disegno, quando sul principio del '75 gli avvenne cosa che fortemente lo spronò all'impresa. Il racconto fattone da lui stesso dinanzi ai membri del Capitolo Superiore fu messo immediatamente in iscritto, e noi lo riprodurremo ad litteram. Don Bosco disse così:

                Un sabbato a sera mi trovavo a confessare in sagrestia ed era distratto. Andava pensando alla scarsità dei preti e delle vocazioni ed al modo di accrescerne il numero. Mi vedeva davanti tanti giovani che venivano a confessarsi, buoni giovani ed innocenti, ma diceva fra me: - Chi sa quanti non riusciranno e quanto tempo ancora ci vuole finchè lo siano coloro che persevereranno; ed il bisogno della Chiesa è pressante.

                Stando molto distratto in questo pensiero pur continuando a confessare, mi sembrò trovarmi in mia camera al tavolino a cui son solito lavorare ed avevo il registro tra mano di tutti coloro che erano in casa. E diceva fra me: - Come va questo? Sono qui che confesso in sacrestia, e sono in camera al tavolino. Che io sogni? No; questo è proprio il registro dei giovani, questo è il mio tavolino a cui sono solito lavorare. - Intanto sentii una voce dietro di me che mi disse: - Vuoi sapere il modo di accrescere e presto il numero dei buoni preti? Osserva quel registro, da esso ricaverai quanto è da farsi.

                Io osservai, poi dissi: - Questi sono i registri dei giovani di quest'anno e degli anni antecedenti, e non c'è altro. - Stavo molto pensieroso, leggeva nomi, pensava, guardava sotto e sopra, se trovava altro, ma nulla. [33]

                Allora dissi tra me: - Sogno io o son desto? Pure sono qui realmente al tavolino, quella voce che ho udito è voce vera. - Ed in un tratto mi volli alzare per vedere chi fosse Colei che mi aveva parlato; e mi alzai realmente. I giovani che si confessavano a me d'intorno, vedendo che mi alzava così in fretta e spaventato, si credettero che mi venisse male; mi sorressero; ed io rassicurandoli che era nulla, continuai a confessare[6].

                Finite le confessioni e venuto in mia camera, guardai sul mio tavolino e vi era realmente il registro dei nomi di tutti coloro che sono in casa, ma non trovai altro. Esaminai quel registro, ma non conobbi come da quello potessi ricavare il modo di avere preti, molti preti e presto. Visitai altri registri che avevo in camera per vedere se da quelli potessi ricavar qualche cosa, ma da essi dapprima non ricavai costrutto di sorta. Domandai altri registri a D. Ghivarello; ma tutto fu inutile. Continuando a pensare sempre su questo e facendo passare i registri antichi per obbedire al comando di quella voce misteriosa, osservai che di tanti giovani che intraprendono gli studi nei nostri collegi per darsi poi alla carriera ecclesiastica, appena 15 su 100, cioè neppure 2 su 10 arrivano a mettere l'abito ecclesiastico, allontanati dal Santuario da affari di famiglia, dagli esami liceali, dal mutamento di volontà che sovente accade nell'anno di rettorica. Invece di coloro che vengono già adulti, quasi tutti, cioè 8 su 10, mettono l'abito ecclesiastico ed a ciò riescono con minor tempo e fatiche.

                Dissi adunque: - Di costoro sono più sicuro e possono fare più presto; è ciò che cercava. Bisognerà che mi occupi molto in modo speciale di loro e che apra dei collegi espressamente per loro, e che cerchi la maniera di coltivarli in modo speciale. - Ora l'effetto farà poi vedere se quanto avvenne è un sogno od una realtà.

                Da quel momento l'idea di aprire collegi, in cui giovanotti non più di primo pelo, chiamati allo stato ecclesiastico, trovassero un corso di studi accelerato e fatto per loro, prese corpo, mutandosi in fermo proposito. Un sogno chiarificatore avuto a Roma il 15 marzo era destinato, pare, a diradargli le ombre durante il cammino. Lo narrò ivi in casa Sigismondi, a tavola, presente il suo compagno di viaggio, il segretario Don Berto, che ce ne ha trasmessa la relazione. Il Servo di Dio parlò così: [34] Questa notte scorsa potei riposar poco. Feci un sogno che mi disturbò molto ed è questo:

                Sembrommi di trovarmi in un giardino vicino ad una pianta di frutta così grosse che facevano meraviglia. Quella pianta ne era molto carica ed erano frutti di tre qualità: Fichi, pesche e pere. Ma ecco che ad un tratto si levò un impetuoso vento e si mise a grandinar forte sulle mie spalle una grossa grandine mista a sassi. Allora cercai di ritirarmi; ma comparve uno che mi disse: - Presto, cogli! - E cercai quindi di un canestro, ma era troppo piccolo, per cui l'altro mi sgridò dicendomi: - Prendine uno più grande. - E lo cambiai: ma appena ebbi colto due o tre di quelle frutta, subito il canestro restò pieno. L'altro allora mi sgridò di nuovo, dicendomi di prendere un canestro più grande ancora: e lo trovai, e l'altro mi soggiunse: - Presto, se no la grandine guasta tutto. - Allora mi posi a cogliere. Ma quale fu la mia meraviglia, allora che colsi alcuni fichi di straordinaria grandezza e mi avvidi che erano marci da una parte. Lo sconosciuto allora si pose a gridare: - Presto, scegli! - Mi misi allora a scegliere i buoni e ne feci tre scompartimenti nel canestro: da una parte misi i fichi, dall'altra le pesche ed in mezzo le pere, ma quelle frutta, quei fichi, quelle pesche, quelle pere avevano una grossezza tale (erano grossi più di due pugni di un uomo), che io non poteva saziarmi di contemplarle, tanto erano grosse e belle. Ed allora lo sconosciuto mi disse: - I fichi sono pei Vescovi, le pere sono per te e le pesche per l'America. - Detto questo, si mise a battere le mani dicendo: Coraggio, bravo, bravo, bene, bravo! E scomparve.

                Io mi sono svegliato e mi restò così impresso questo sogno che non posso più togliermelo dalla mente.

                Non ci consta, che Don Bosco abbia messo subito questo sogno in relazione con l'Opera allora da lui tanto vagheggiata; ma nel corso degli avvenimenti emerse sempre più l'evidenza del rapporto. Buona scelta ci voleva, massime sul principio, affinchè soggetti bacati non mandassero a male ogni cosa. Il canestro grande che contenesse molto, significava l'ampiezza del locale destinato allo scopo; i fichi per i vescovi erano giovani per i loro seminari, le pesche per l'America i missionari salesiani, le pere del mezzo i confratelli per la sede centrale della Congregazione. E la grandine di sassi che gli ammaccavano le spalle? Gravi contrarietà cascategli addosso dall'alto, specialmente da parte di due Ordinari, dei quali si conservano anche lettere mandate a Roma per impedire l'approvazione dell'Opera. [35] Opera fu detta, e non collegio o istituto di Maria Ausiliatrice, perchè, prevedendosi che il massimo contingente si sarebbe reclutato in famiglie povere, bisognava assicurare l'istituzione appoggiandola a un'associazione, i cui membri si obbligassero a concorrere con elemosine o con altri mezzi al mantenimento dei giovani e alle spese occorrenti per i loro studi.

                Nella sua andata a Roma, di cui parleremo più avanti, il Beato espose a Pio IX le proprie intenzioni circa quest'Opera; sul quale tema “ci siamo trattenuti molto”, dirà egli il 14 aprile in un'adunanza di superiori maggiori e di direttori, quando presenterà loro il regolamento stampato pochi giorni innanzi nella tipografia dell'Oratorio. La cosa piacque tanto al Sommo Pontefice, che gli manifestò il desiderio di commendarla solennemente, solo gli raccomandò che la portasse prima a conoscenza di alcuni vescovi per averne l'approvazione, sicchè nel Breve pontificio di collaudazione, si potessero di lì pigliare le mosse. Il Santo Padre volle anche sapere come fossegli venuta quell'idea. Don Bosco tutto gli espose, anche il sogno riferito sopra; dopo dì che il Papa gl'ingiunse di ripeterne il racconto ai superiori della Congregazione. Don Bosco obbedì nella Circostanza or ora accennata.

                Il regolamento, prima che se ne desse lettura nella suddetta assemblea, era già stato da lui spedito a una diecina di vescovi con i chiarimenti opportuni. Sul frontispizio vi stava il titolo: Opera di Maria Ausiliatrice per le vocazioni allo stato ecclesiastico. Vi seguiva il motto evangelico su l'abbondanza della messe e la scarsità degli operai (Luc., X, 2). Il contenuto, dopo un modesto ed efficace preambolo intorno alle ragioni dell'Opera, si divideva in quattro parti: Accettazione (dai 16 ai 30 anni), Mezzi (la pietà dei fedeli), Osservazione (motivo della denominazione e nessun danno ad altre opere già esistenti), Vantaggi spirituali[7]. [36]

                Tale regolamento non era destinato al pubblico; perciò non occorreva il visto della Curia torinese. D'altra parte Don Bosco, sia per tastare il terreno, sia per evitare probabili difficoltà, ne spedì copia soltanto ai vescovi subalpini benevoli, cioè a tutti meno due. Il regolamento uscì poi ai primi di agosto nel 2° numero del Bibliofilo, periodichetto che preluse da lungi al Bollettino Salesiano, ma che per evitare le remore della revisione ecclesiastica torinese, si stampava fuori della diocesi[8].

                Fra il 12 e il 18 aprile Don Bosco ebbe la consolazione di ricevere sette commendatizie, cioè da Albenga, Vigevano, Acqui, Alessandria, Tortona, Casale, Genova, di cui quattro rimesse a lui e tre inviate direttamente a Roma. Senza por tempo in mezzo le spedì al card. Berardi con la seguente lettera:

 

                               Eminenza Rev.ma,

 

                Quando occorse la festa di S. Giuseppe, non ho potuto dare all'E. V. il segno di gratitudine che io desiderava, come tributo unico pel tanto bene che ci fa.

                Dimani è il patrocinio dello stesso Santo, ed io La prego a voler gradire un servizio religioso, fatto secondo la pia di Lei intenzione. Celebreremo la Messa all'altare di Maria Ausiliatrice ed i nostri giovanetti faranno la loro comunione con particolari preghiere. È poco per noi, ma speriamo che Dio compenserà tutto coll'abbondanza delle sue grazie e delle sue benedizioni.

                Un'intenzione particolare sarà fatta per la Sig. Suocera e Madre di V. E.

                Riceverà qui unite le commendatizie del Vescovo di Casale, di Alessandria, di Vigevano, di Albenga: quella di Acqui fu spedita come mi si scrive, direttamente a V. E.

                Ne avrà altre fra due giorni. Vi fu un po' di ritardo, perchè ho dovuto far ogni cosa stampare, affinchè si potesse più facilmente leggere.

                Siccome i due progetti sono distinti l'uno dall'altro, così prego V. E. di supplicare che le indulgenze e la benedizione del S. Padre [37] siano appropriate a ciascun progetto per poterle comunicare secondo le opportunità.

                Entro la settimana spero poterle scrivere di nuovo e così porgerle novella occasione di esercitare la sua carità.

                Che la bontà del Signore la conservi a lunghi anni di vita felice, e chiedendo rispettosamente la sua s. benedizione, ho l'onore di potermi professare, baciandole la sacra porpora

                Della Em. V. Rev.ma

 

                Torino, 18 ap. 75

Obbl.mo Um.mo Servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Nell'attesa che finissero di arrivargli le commendatizie dei vescovi e nell'intento di acquistare subito maggior credito all'Opera e darle così più vigoroso impulso, Don Bosco, per il tramite del card. Berardi e di mons. Vitelleschi, le implorò una benedizione speciale dal Santo Padre[9], benedizione accordatagli dal Papa “col massimo piacere e di tutto cuore”, e comunicatagli anche con vera cordialità dai due Prelati[10]. L'arcivescovo di Seleucia particolarmente si esprimeva così: “Fummo in due ad implorare per Lei quella speciale benedizione del S. Padre che desiderava: il card. Berardi e me; però io fui il primo e quindi la prima benedizione l'abbia per mio mezzo, e di vero cuore gliela trasmetto con i voti più fervidi e sinceri, perchè Iddio benedica le opere tutte della sua Congregazione”.

                Entrambi pure gl'insigni corrispondenti si accordavano nel fargli una raccomandazione. Il primo diceva: “Ponga dunque Ella mano al lavoro per la relativa esecuzione, ma il faccia con tal prudenza e circospezione da evitare qualche ulteriore amarezza da parte del consaputo prelato”. E di rincalzo e senz'ambagi il secondo: “Nel mio nome particolare poi, e per quel vero interesse che prendo pel suo Istituto, accetti una mia insinuazione che è quella di considerare bene se l'opera per le vocazioni allo stato ecclesiastico fosse meglio [38] impiantarla fuori della diocesi di Torino; tutti i precedenti che esistono ancora potrebbero creargli degli imbarazzi, degli ostacoli, e delle opposizioni; già bene Ella m'intende; rifletta dunque coram Domino quid magis expediat. Consideri queste mie parole come una privata mia riflessione e non in altro aspetto”.

                I fatti non tardarono a giustificare le previsioni. Don Bosco, avuta la benedizione del Papa e le commendatizie di 12 vescovi, si credette in diritto di dare pubblicità al suo disegno per mezzo della stampa. A tal fine rimaneggiò il programma già noto, ampliando, precisando meglio, dando notizia della benedizione pontificia e accennando a indulgenze da comunicarsi in seguito[11]; indi si rivolse al revisore ecclesiastico per il non osta, con preghiera di metterne a parte anche l'Ordinario. La risposta si fece aspettare otto giorni, e quale risposta! Doversi egli in affare di tanta importanza dirigere personalmente a Monsignore; sospendesse intanto ogni pubblicazione in proposito, prevedendosi da S. E la necessità d'interrogare i vescovi delle due province ecclesiastiche di Torino e di Vercelli e forse anche di quelle del Genovesato[12].

                Tornatogli vano il tentativo di avere udienza, Don Bosco insistette da capo per lettera, spiegando che l'Opera di Maria Ausiliatrice non costituiva una novità, ma era semplice sviluppo e regolare sistemazione di cosa esistente già nell'Oratorio in forma rudimentale nè contrastante alla condizione fattagli dall'approvazione delle Regole; occorrergli soltanto il permesso di stampa. Nella replica della Curia si ribadì il chiodo di prima, con l'aggiunta che si rileverà dalla lettera seguente:

 

                               Carissimo T. Chiuso,

 

                Ti prego di dire a S. E. Rev.ma nostro Arcivescovo, che finora non ho ancora nè decreto nè rescritto per le indulgenze, in favore della progettata Opera di Maria A. Il S. Padre le ha già concesse, [39] ma desidera che non si comunichi il favore fino a tanto che l'Opera sia cominciata, e si comunichi soltanto a quelli che ci hanno preso parte. Così disse di presenza ed anche per mezzo di Mons. Vitelleschi: ma prima di stampare qualsiasi cosa mi farò stretto dovere di presentarlo a S. E. Rev.ma per qualunque osservazione o modificazione giudicasse opportuna.

                Mi farai vero piacere se farai gradire i miei umili ossequi alla prelodata E. Sua, mentre ti ringrazio e ti saluto nel Signore dicendomi

                Torino, 29 - 7 - 75.

Aff.mo amico

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Mentre durava questo carteggio, l'Ordinario aveva stesa e andava diramando una sua circolare a tutti i vescovi delle province ecclesiastiche di Torino, di Vercelli e di Genova, per indurli a sottoscrivere una protesta da inviare al Santo Padre contro l'Opera di Maria Ausiliatrice. Vi si diceva doversi temere che ne venisse danno ai piccoli Seminari ed anche. al Clero di ciascuna diocesi; invitarsi infatti i fedeli a concorrervi con elemosine ed offerte, sottratte così ai seminari diocesani, ed essere naturale che i migliori giovani di ciascuna diocesi fossero poi allettati alla Congregazione di Don Bosco. Sè non essere alieno dall'approvare il progetto, qualora Don Bosco promettesse di non ricevere giovani inferiori ai 18 anni e di non educarli altrimenti che secondo un metodo da concertarsi con esso Ordinario, e a patto che questi con i due vescovi più anziani della provincia avesse pieno diritto di visitare e ispezionare il nuovo collegio, procurando che vi si ottenesse lo scopo senza danneggiare i seminari.

                Aveva ragione il Vescovo di Susa di rispondergli che questo timore per i seminari veniva escluso dall'articolo 5° del programma, dove si lasciavano liberi gli allievi di rientrare nelle rispettive diocesi, terminato il corso degli studi. Quanto poi al divisamento di sottoporre l'Istituto alla giurisdizione ordinaria, “mi perdoni, Eccellenza, continuava il Vescovo, se ardisco manifestarle i miei dubbi, se nelle eccezionali condizioni in cui si trova il sig. Don Bosco, possa convenire a noi [40] Vescovi di menomamente attentare ai privilegi di esenzione statigli accordati dalla Santa Sede. Per quanto il medesimo possa essersi mostrato proclive ad accettare modificazioni che gli venissero suggerite dall'E. V., io dubito assai ch'egli sia per indursi ad accettarne alcuna per cui venisse alterata la legittima sua esenzione, menomata la sua indipendenza. In tal caso egli si troverebbe ridotto all'alternativa di procedere oltre non ostanti le opposizioni di V. E. ed allora ne scapiterebbe Ella stessa; e frattanto non si andrebbe all'incontro dei pericoli da Lei temuti; oppure il Don Bosco rinuncierebbe affatto all'attuazione di quel suo progetto, ed in tal caso ne scapiterebbe certamente la Chiesa, la quale rimarrebbe priva dei vantaggi che altrimenti ne riceverebbe. Ora quello che deve starci maggiormente a cuore si è appunto il conseguimento di cotesti vantaggi[13]”.

                Ma l'Ordinario non erasi limitato a scrivere la sua circolare; aveva per di più scritto al card. Bizzarri, Prefetto della Congregazione dei Vescovi e Regolari, una lunga lettera, che è pregio dell'opera riferire integralmente.

 

                               Eminenza rev.ma,

 

                Il Signore D. Giovanni Bosco, fondatore e Superiore della Congregazione di S. Francesco di Sales in Torino, ieri mandò alla revisione ecclesiastica uno stampato, contenente il progetto di un Collegio da aprirsi dalla sua Congregazione per tutti i giovani che mostrano inclinazione allo stato ecclesiastico, affine di prepararli agli studi della filosofia e della Teologia, e quindi porli nelle congregazioni religiose o mandarli nelle missioni estere, o rimandarli alle loro diocesi perchè siano aggregati al rispettivo Clero diocesano. Oltre all'invito generale che si intende fare ai giovani di qualunque sia diocesi, si farebbe anche un appello generale ai fedeli di qualunque sia diocesi perchè vengano in aiuto del nuovo Collegio con una tenue limosina per ciascuno. Il Collegio si chiamerebbe Opera di Maria Ausiliatrice, e si dice che è raccomandato e benedetto dal S. Padre. Ora questo Collegio sarebbe o in tutto o in parte la rovina dei piccoli Seminarii diocesani, imperocchè i Vescovi si vedrebbero gran parte delle limosine dei loro diocesani affluire al Collegio di D. Bosco, e si [41] vedrebbero gran numero di giovanetti loro diocesani allettati dai vantaggi pecuniarii che quivi troverebbero, lasciare il piccolo Seminario della propria diocesi per recarsi al Seminario della suddetta Congregazione. Inoltre D. Bosco farebbe in modo di trarre a sè i migliori soggetti, ed i meno idonei sarebbero quelli che ritornerebbero in diocesi.

                Quindi io sono certissimo che i Vescovi delle provincie di Torino, Vercelli e Genova non appena sapranno di questo progetto ne muoveranno lagnanze come di un gran attentato agli interessi più vitali delle loro rispettive diocesi. E in quanto alla mia Diocesi, dichiaro che questo progetto sarebbe esiziale al piccolo Seminario che io con gravi dispendii sto per aprire in Giaveno, città della mia giurisdizione, fra due mesi, e quindi mi trovo nella dura necessità di reclamare e prepararmi all'uso di tutti i mezzi che ho in mano per impedire questa specie di Collegio Cosmopolita che D. Bosco vorrebbe aprire in Torino.

                Certissimamente è opera santissima e necessaria il preparare giovanetti per la carriera ecclesiastica e per le missioni estere, e sotto questo aspetto ella è benedetta e raccomandata dal S. Padre; ma in Piemonte ciascuno dei Vescovi da alcuni anni in qua ha posto mano energica e sapiente a quest'opera, aprendo ciascuno il loro piccolo Seminario, ove la benedizione di Dio si mostra visibile, sicchè fra pochi anni, se qualche nuovo turbine non viene a devastarli, se ne raccoglieranno buoni frutti.

                In Torino poi esiste il Collegio delle Scuole apostoliche fondato e governato già da alcuni anni dal Can. Ortalda, Direttore dell'Opera della Propagazione della Fede, il quale con immenso dispendio faticò e fatica a mantenerlo: e vi ha dentro un centinaio di giovani.

                Vi ha ancora un Collegio dentro il celebre Istituto del Canonico Giuseppe Cottolengo, dove oltre a 60 giovani delle varie diocesi sono mantenuti gratuitamente, e ricevono tale educazione religiosa, morale, letteraria che formano l'ammirazione di chi li conosce e riescono poscia ottimi e specchiatissimi ecclesiastici.

                Quindi il progettato Collegio di D. Bosco in Piemonte sarebbe per una parte inutile, e per l'altra dannoso.

                Perciò io non posso dare il mio assenso a tale Collegio: e siccome non mi consta finora, che il S. Padre abbia sottratto le Istituzioni di D. Bosco dalla giurisdizione vescovile, così mi sembra di avere l'autorità sufficiente per impedirne la erezione.

                Nullameno, standomi a cuore di evitare conflitti e di non fornire materia ai giornali cattivi da sparlare del Clero, prego caldamente Vostra Eminenza, e per essa la S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, a ordinare immediatamente a D. Bosco che desista dal progettato Collegio, fino a che i Vescovi delle provincie ecclesiastiche di Torino, Vercelli e Genova, esaminata la cosa, proferiscano il loro giudizio. [42] Si tratta di cosa gravissima, a cui non provvedendosi immediatamente potrebbero venirne conseguenze deplorabili; prego quindi, sia nell'interesse della mia diocesi, sia in quello delle diocesi de' miei suffraganei, V. Eminenza a ordinare a D. Bosco che sospenda la esecuzione del suo progetto.

                Passo intanto a baciarle il lembo della sacra Porpora e a dichiararmi colla massima osservanza

                Di V. Eminenza Rev.ma

                Torino, 25 luglio 1875.

umil.mo osseq.mo servitore

LORENZO, Arcivescovo di Torino.

 

                Il 7 agosto era la volta dell'Ordinario Eporediese, la cui prolissa requisitoria, indirizzata al medesimo Cardinale, svolgeva animatamente questa tesi catastrofica: “Lo stabilire in Torino un'Opera di Maria Ausiliatrice per le vocazioni dello stato Ecclesiastico (sic) da qualunque luogo d'Italia provengano, sarebbe di grave pregiudizio alla giurisdizione di altri Ordinarii, di gravissimo danno ai piccoli e grandi seminarii, all'opera del riscatto dei chierici dalla leva militare[14] e concorrerebbe a preparare la soppressione di molte diocesi[15]”. La lettera finiva così: “Con vivissima istanza prego V. E. Rev. di voler degnarsi di prendere in considerazione la sincera narrazione dei lamentati mali e danni, presentiti eziandio dal presente Arcivescovo di Torino; di disporre quindi che non abbia effetto quell'opera di Maria Ausiliatrice (che nemmeno l'intitola più Santissima); e di provvedere altresì agli intrigati sconcerti che fanno stupore nei saggi ecclesiastici, ed anche in personaggi secolari che vengono a conoscerli”.

                Intanto l'approssimarsi del nuovo anno scolastico esigeva che si desse alle stampe senza indugio il programma, per diffonderlo in tempo; onde il Beato mandava e rimandava il [43] capo della tipografia a ritirare presso la Curia il sospirato permesso. Tali insistenze non solo non approdavano a nulla, ma attirarono a Don Bosco un forte richiamo, nel quale faceva pure capolino una certa ansietà di conoscere se egli avesse “ricevuto dalla Santa Sede, o da alcuno dei suoi organi, ordine o esortazione di mettersi in accordo coll'Arcivescovo di Torino[16]”.

                Il Servo di Dio rispose a volta di corriere:

 

                               Carissimo Sig. T. Chiuso,

 

                Ti prego di dire a S. E. Rev.ma, Mons. Arcivescovo che io non ho ricevuto alcun ordine nè esortazione dalla S. Sede nè da alcuno de' suoi organi di mettermi d'accordo coll'Arcivescovo di Torino intorno all'opera di Maria A. Se mi fosse anche solo esternato un desiderio a questo riguardo, l'avrei fedelmente eseguito, siccome ho sempre studiato di fare. La ragione è semplicemente questa. L'opera di cui si tratta essendo indirizzata al bene generale della Chiesa, non sembra potermi legare con un Ordinario, cui potrebbe riferirsi talvolta per qualche allievo, talvolta per nissuno.

                Se giudichi puoi anche dire a S. E. che per non più aumentare disturbi a chi vivamente desidero di diminuirli, ho deliberato di fare l'esperimento del noto progetto in altra Diocesi.

                Colla massima stima ho l'onore di professarmi

                Torino, 8 agosto 1875

A ff.mo in G. C.

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Nello stesso giorno egli spedì un'altra lettera a più alto luogo. Dalle misteriose parole surriferite come non intuire che cosa passasse dietro le quinte e che noi già conosciamo? Scrisse dunque al Cardinal Antonelli, Segretario di Stato:

 

                               Eminenza Rev.ma,

 

                Assai volentieri avrei omesso di parlare a V. E. Rev.ma di un affare che certamente aumenta le già troppo grandi sue occupazioni; ma essendo assicurato che venne già deferito al medesimo S. Padre, giudico opportuno di esporre in breve la realtà delle cose, come schiarimento di questa benedetta vertenza, [44] Forse la E. V. Rev.ma ricorderà, almeno in complesso, il progetto notato, descritto nel foglio a parte che ha lo scopo fondamentale di mitigare per quanto si può la trista conseguenza della leva militare sui chierici. Ne feci eziandio parola col S. Padre che mi consigliò dargli tutto per iscritto, come feci; e la S. S. incaricava l'E.mo Card. Berardi a far relazione, che tornò di gradimento al S. Padre. Benedicendo lo scopo lo commendò, esortandomi, e facendomi ancor più tardi esortare, a porlo quanto prima in esecuzione.

                Giunto in Torino l'ho fatto vedere da dodici Vescovi che tutti lo commendarono e lo appoggiarono. Prima di effettuare la stampa fu ogni cosa portata al Revisore ecclesiastico con preghiera di darne pure comunicazione all'Arcivescovo nostro. Questi protrasse la risposta otto giorni, dopo cui rispondeva che in affari di quella importanza voleva consultare i vescovi della provincia di Torino, Genova, Vercelli. Non potendo essere ammesso all'udienza, pregava il segretario a far notare che questa non era cosa nuova, ma una semplice ampliazione ed una regolarità di quanto si fa da molti anni in questa nostra casa: nè interessare alcuna diocesi in particolare, ma il bene della Chiesa in genere, e che essendo cosa commendata e benedetta da tutti quei vescovi che ne ebbero conoscenza e dallo stesso S. Padre, parevami doversi la domanda ridurre ad un permesso di stampa. Tutto invano. M si fece dare la stessa risposta. Nelle circolari scritte ai Vescovi di dette provincie si mettevano in campo varie ragioni per muovere quegli Ordinarii a sottoscrivere una protesta al S. Padre contro a questo progetto. Le ragioni addotte non sono in tutte le stesse; le principali sono: D. Bosco fissa la pensione a fr. 24 mensili, ma riceverà allievi anche con  minore mesata e forse gratuitamente; D. Bosco dice di riceverli soltanto dai 16 ai 30, e poi li riceverà anche più giovani con detrimento dei seminarii. Aggiunge poi che questo progetto sostenendosi colla carità dei fedeli sarebbe dannoso ai Seminari diocesani.

                Credo non occorrano osservazioni.

                Questo progetto è diretto al bene di tutte le diocesi e se i giovanetti si accolgono gratuitamente è maggior vantaggio alle medesime. So che parecchi vescovi hanno risposto che quando una cosa è comandata dal S. Padre non è già caso di opporre, ma di approvare, appoggiare e promuovere; altri risposero che ciascun vescovo in sua diocesi è libero nel suo ministero ed è tenuto di seguire le norme della S. Sede, ma non protestarvi contro. Aggiunge che qualora egli dovesse ammettere quest'opera vorrebbe fosse totalmente da lui dipendente. Al che fu risposto da un vescovo: Il voler mettere condizioni ai vescovi di altra diocesi è invadere la giurisdizione.

                Le cose sono in questo stato. Io ho carta, uomini, stampa preparata e l'autorità ecclesiastica ha fermato tutto. Nè fissa tempo per risolvere; alle mie lettere non risponde, all'udienza non mi  [45] ammette. Ogni ritardo è dannoso; e anche infruttuosa la spesa e la fatica.

                In questo stato di cose io avrei risoluto di troncare ogni difficoltà e cominciar l'opera nella diocesi di qualcuno dei molti Vescovi, che l'hanno commendata e che ne fanno dimanda, offrendo appoggio morale e materiale. È vero che ciò mi porterebbe non leggiero disturbo di personale e di spesa, ma si avrebbe tranquillità.

                Prima però di modificare un progetto benedetto dal S. Padre io fo all'E. V. R.ma umili preghiere di considerare un momento lo stato delle cose, e se mai le piacesse, tenerne parola col S. Padre, quindi farmi scrivere alcune righe per mia norma.

                Fui assicurato che l'E. V. non gode molta salute; mi rincresce assai; noi continueremo a far comuni e private preghiere per la conservazione della preziosa sua sanità a generale vantaggio della Chiesa e in particolare della Congregazione salesiana, che ha sempre avuto nella E. V. un padre benevolo, un insigne benefattore.

                Colla più profonda gratitudine reputo al massimo onore di baciarle la sacra Porpora e di professarmi

                Della E. V. Rev.ma

                Torino, 8 agosto 1875.

Umil.mo on.mo servitore.

Sac. GIO. BOSCO.

 

                La replica dell'Ordinario alla sua del giorno 8 rincarava la dose. Tutte le trattative di Don Bosco con la Curia sembrava che sortissero l'effetto di aggiungere legna al fuoco, sicchè a un certo punto di detta replica Don Bosco postillò in margine: “Guai se si fa ancora un passo![17]”. Il “guai” Vuol dire: “Poveri noi! È insomma un guaio temuto da Don Bosco per sè. Il “passo” è un nuovo tentativo per istrappare il beneplacito arcivescovile.

                Quando vide che da quella parte l'affare dell'approvazione ecclesiastica era confinato in un viottolo cieco, Don Bosco si accordò per la stampa con monsignor Manacorda, Vescovo di Fossano[18]. Se non che un formale divieto gl'interdisse la divulgazione di qualsiasi “invito o appello o programma” nella diocesi torinese, fino a che ci fosse “una carta autentica, [46] nella quale il Sommo Pontefice nella pienezza della sua autorità, derogando a qualunque disposizione del Ius Canonico in contrario, concedesse al sig. Don Bosco riguardo alla detta opera, autorità assoluta indipendente da quella dei vescovi”[19]. Contemporaneamente s'ingiungeva al direttore dell'Unità Cattolica di non stampare più nulla che riguardasse l'Opera.

                Quanto poi al primo esperimento, Don Bosco avrebbe avuto intenzione di farlo in un locale apposito sul lato sinistro della Chiesa; ma per troncare una buona volta indugi e litigi, concertatosi con l'Arcivescovo di Genova, decise di cominciare la sua Opera a San Pier d'Arena, dov'era già l'Ospizio di S. Vincenzo de' Paoli. Secondo il programma, là si dovevano fare le domande. Del che scrivendo a mons. Vitelleschi esclamava: “Avessi un po' seguito il suo consiglio per l'Opera di Maria A. e cominciarla in altra Diocesi, avrei guadagnato un quaterno”[20].

                La calma sovrana del Servo di Dio durante questa fastidiosa vertenza non fu mai vinta; il che parrà tanto più mirabile, se si pensi che tale questione non era sola, ma s'intrecciava con altre ancor più gravi, e il tutto fra una caterva d'affari e di occupazioni bastevoli ad assorbire l'attività d'un uomo dei più intraprendenti. Della quale imperturbabile serenità continua a darci prova la sua corrispondenza epistolare. Ecco la risposta di Don Bosco a una lettera perentoria dell'11 agosto, poc'anzi da noi citata:

 

                               Sempre carissimo Sig. Teologo,

 

                Come ti aveva scritto nella mia lettera del giorno 8 corrente mese, nel vivo desiderio di non solamente dare, ma per quanto è in me diminuire i disturbi al mio Superiore Ecclesiastico, ho pensato di trasferire altrove, se avrà luogo, l'impianto del progetto di preparare giovani grandicelli nella carriera Ecclesiastica. Tale è pure il consiglio datomi da un persona altolocata che ama assai il nostro Arcivescovo ed è anche assai benevola alla nostra povera Congregazione. [47]

                Tu mi accenni a due condizioni[21] che lodevoli in se stesse distruggerebbero intieramente l'autonomia dell'Opera, che cesserebbe di essere generale, ma diverrebbe Diocesana. Altronde io dovrei di nuovo rimandarlo al Papa, che, come già fece, affiderebe il Progetto ad una commissione, dopo la cui relazione si pronuncierebbe se debba concedere le promesse indulgenze. La cosa andrebbe certamente a lungo, tanto, che ho già ricevuto lettera di qualche Vescovo che mi proibisce l'introduzione di tale opera in sua Diocesi, qualora fosse posta sotto la Direzione e l'Amministrazione di altro Diocesano Ordinario. Mi rincresce assai, ma il mio progetto non è stato inteso; sè non fossi costretto a parlare e scrivere sempre per mezzo d'intermediario le cose sarebbonsi certamente meglio intese. Chi volesse un'opera Diocesana è libero all'Ordinario di proporla, ammetterla, modificarla a piacimento; ma qui è cosa generale che ha per iscopo di raccogliere alquanti giovani. Di una Diocesi saranno due o tre, di altra nissuno. Può darsi che della nostra Diocesi passino più anni senza che ce ne sia uno. Opera che tende venire in aiuto degli Ordini Religiosi, delle Missioni ed anche crearne qualcheduno da presentare agli Ordinarii, senza dare ai medesimi alcun disturbo nè materiale nè morale. Tu mi scrivi che non mi sarebbe permesso nè stampa, nè diffusione del Progetto o Programma, nè l'appello alla beneficenza. Finora non si è fatto ciò nei nostri paesi. Io sono sempre stato persuaso tali documenti potessero stamparsi colla sola revisione ecclesiastica, e che tali questue potessero effettuarsi, giacchè non entrano in alcun modo in cose di giurisdizione ecclesiastica. Così ho fatto da 35 anni ad oggi. Tuttavia non pubblicherò niente in Diocesi, e se ne sarà caso dimanderò il voluto permesso, il quale se mi è negato, andrò a questuare altrove. Mi rincresce assai che in tutto quello che si va dicendo di me non si faccia mai parola degli sforzi fatti in passato nel presente per procacciare giovani al Seminario Torinese[22]: [48] di tutto quello che si adoprano di fare i Salesiani nella predicazione, nei Catechismi, e in altro che loro sia possibile; senza che l'Ordinario abbia dovuto sopportare alcun gravame. E adesso che come giubilazione si aspetterebbe speciale appoggio e benevolenza, invece si pone un incaglio grave; incaglio che di tanti Vescovi cui è stato manifestato il Progetto, niuno ha nemmeno ideato di opporre.

                Abbi pazienza, leggi come puoi questa lettera, ed assicurati che io non ho altro scopo che di fare un po' di bene in quell'Opera, che Monsignore Nostro Arcivescovo disse e scrisse più volte: Avere con sè il dito di Dio, e che è una di quelle opere che deve aiutare chi può. Abbimi sempre con perfetta stima

                Torino, 14 - 8 - 75.

Umile servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Alla stessa calma rassegnata s'ispira una memoria diretta il 24 agosto a mons. Vitelleschi. Il Segretario della Congregazione dei Vescovi e Regolari, notificandogli che aveva dovuto dar avviso al Santo Padre dei “reclami dell'Arcivescovo di Torino e del Vescovo d'Ivrea, contro il progetto del nuovo collegio”, osservava da ultimo: Qualche cosa dovrà la Sacra Congregazione rispondere[23]”. Parole che equivalevano a una richiesta di spiegazioni. Don Bosco le mandò da Mornese.

 

                               Eccellenza Rev.ma,

 

                Mi rincresce non poco che si voglia dare all'Opera di Maria Ausiliatrice un senso ed una importanza cui niuno intendeva.

                Eccole un cenno storico. Un giorno lamentava col S. Padre la dura posizione in cui sarebbesi trovato il Clero in faccia alla futura [49] leva militare: ed il discorso si portò sul vantaggio provato intorno alla coltura dei più grandicelli, dei quali erasi già fatto esperimento.

                Il S. Padre ebbe la bontà di incoraggiarmi, ed io ne estesi il progetto, che venne di poi presentato e che si degnò di benedire.

                Qui non trattavasi di aprire nuovo collegio, ma solo di raccogliere tale categoria di allievi in alcuna delle nostre case. Ciò si faceva già in piccolo. Si desiderava farlo un po' più in grande. Affinchè non si avessero lamenti dall'Arcivescovo, si presentò il Programma alla revisione ecclesiastica. L'Arcv.o non rispose, ma tenne otto giorni vagamente sospesa la risposta. In quel tempo scrisse a Roma, indirizzò una Circolare ai Vescovi delle Provincie Ecclesiastiche di Genova, di Vercelli e di Torino e li invitava tutti a firmarsi ad uno scritto come per protestare contro al Progetto presso la S. Sede.

                In generale i vescovi, per quanto mi è noto, scrissero presso a poco tutti in questo senso. “Quando una cosa è benedetta dal S. Padre non è più caso di approvare o disapprovare; ma di adoperarsi perchè i suoi santi pensieri sortano il loro effetto”. Scrisse poi un'altra e poi ancora un'altra circolare in cui metteva le seguenti condizioni: “Gli allievi dovessero essere dai 20 ai 30 anni sotto la dipendenza dell'Arciv.vo di Torino”. Dispiacque questa ultima e più Vescovi mi scrissero severamente di non accettare questa condizione, perchè in questo modo sarebbesi da questo Ordinario comandato in Diocesi altrui.

                Ho provato a scrivere, ma non riceveva che risposte dal suo Segretario che non venivano ad alcuna conclusione; tentai di parlare in persona all'Arcivescovo e malgrado ore ed ore di anticamera mi fu infine risposto che comunicassi i miei pensieri al Suo Segretario; egli non potermi dare un'udienza. Allora incaricai costui di significare al suo principale che io non intendeva di fare cosa nuova, ma soltanto dare maggiore sviluppo a quanto già si faceva; non essere questa opera Diocesana, ma generale, e potersi dare che nemmeno uno di sua diocesi venisse a far parte dei novelli allievi; nè volerli far preti; ma unicamente sciegliere buoni secolari, istruirli nella scienza letteraria, e quando volessero deliberare di loro vocazione lasciarli liberi di ritornare nella propria Diocesi, entrare in religione, o darsi alle missioni straniere. - Quindi gli diedi per iscritto. “Desiderando di diminuire il disturbo al mio Superiore Ecclesiastico, avrei dato cominciamento all'Opera progettata in altra diocesi dove ne era stato richiesto; che perciò credeva ogni timore tolto ed ogni vertenza ultimata”.

                Replicò il Segretario che l'Arcivescovo mi avrebbe impedito la stampa del progetto in sua diocesi, la diffusione del relativo programma, ogni questua etc. etc .....

                Risposi che mi sarei uniformato intieramente a queste ordinazioni.

                Ed ora avrei deliberato di fare esperimento dell'Opera di Maria A. [50] nella casa di Sampierdarena diocesi di Genova, dove ho il pieno gradimento di quell'Arcivescovo.

                Altri Vescovi chiedono che si vada pure ad aprire in loro diocesi e spero che ciò si possa fare negli anni successivi.

                Io credo che in questo modo l'Arcivescovo di Torino non abbia più di che lagnarsi, e se Egli vuole, ponga Egli stesso la mano all'opera, si accordi col Vescovo d'Ivrea, ed io sono ben lieto che essi facciano in loro diocesi, ciò che non giudicano opportuno che altri faccia.

                E così moltiplicati gli sforzi e le braccia, più felice sarà l'esito dell'impresa.

                Se mai V. E. ha qualche consiglio da darmi, io lo riceverò come vero atto di carità; imperciocchè sebbene sia questa un'opera la quale è secondo i divini voleri, l'esecuzione ha bisogno di essere regolata da persone di somma prudenza, quali appunto sarebbero i suggerimenti della E. V.

                Scrivo questa lettera dalla Casa di Maria Ausiliatrice, dove avvi una muta di Esercizi Spirituali, di 150 Signore, dirette dalle monache per quanto riguarda la disciplina e la parte materiale. Queste sono le figlie di Maria, di cui si è già qualche volta parlato, che aumentano assai; hanno già le scuole di un paese, un educandato, due case in altre diocesi. Mornese è Diocesi di Acqui, e il Vescovo Diocesano Mons. Sciandra, ci fa veramente da padre, e ci dirige in ogni cosa.

                Si degni infine di dar benigno compatimento ai replicati disturbi che le cagiono e mi permetta che colla massima gratitudine mi professi

                Della E. V. Rev.ma

                24 Agosto 1875.

Obbl.mo Servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                PS. Per non urtare in alcuna cosa il progetto e programma dell'Opera di Maria Aus. non si stampa nella nostra tipografia, siccome erasi già cominciato, ma si stampa in Fossano col visto e coll'approvazione di quel Vescovo che è il benevolo Mons. Manacorda.

                L'Ordinario però non si quietava. Il 25 agosto in una lettera d'ufficio al card. Bizzarri, esaurito l'argomento di obbligo, balzò nel tema inquietante, diffondendosi a rifare la storia dell'Opera secondo il suo punto di vista. Ma mentr'egli attendeva sempre da Roma una parola in proposito, giunsero a Don Bosco dal card. Antonelli queste righe consolanti: [51]

 

                               Ill.mo Signor D. Bosco,

 

                stata portata la debita attenzione a quanto V. S. Ill.ma mi esponeva col suo foglio del giorno 8 Agosto pp. intorno alla difficoltà di attuare in cotesta città il progetto da Lei concepito dell'Opera di Maria Ausiliatrice per le vocazioni allo stato Ecclesiastico. In presenza di tali difficoltà non si è potuto non ravvisare prudente il partito che Ella intenderebbe di adottare cioè di cominciare l'opera in qualche altra diocesi, ove non le manchi l'assenso e l'appoggio dell'Ordinario.

                Nel dare questa risposta all'indicato di Lei foglio, fo voti pel felice esito della sua intrapresa e con sensi di distinta stima mi confermo

                Di V. S. Ill.ma

                Roma, 4 Settembre 1875.

Servitore

G. C. ANTONELLI.

 

                Il Servo di Dio, amico della pace, operava alla luce del sole; perciò, senz'ombra di risentimento, benchè non vi avesse obbligo, volle comunicare all'Ordinario la sua decisione di stabilire altrove i Figli di Maria e lo fece nella forma rivelataci dalla lettera seguente[24]:

 

                               Eccellenza Rev.ma,

 

                Affine di non cagionare nè dispiaceri nè disturbi a V. E. Rev.ma, ho cominciato in altra diocesi l'Opera di Maria Ausiliatrice.

                Ora desidererei diffondere alcuni programmi anche nell'Archidiocesi di Torino; ma ciò non farò, se non quando ne abbia avuto il dovuto permesso.

                Prego perciò la E. V. a volermi concedere tale favore, purchè non lo giudichi contrario alla maggior gloria di Dio.

                Colla massima venerazione ho l'alto onore di potermi professare

                Della S. V. Rev.ma

                Torino, 29 - 9 - 75.

Obbl.mo Servitore

Sac. GIO. BOSCO. [52]

 

                Non solo scrivendo, ma anche parlando dell'increscioso negozio Don Bosco serbava una calma piena di prudenza e di carità. Il 14 agosto, riferendo al Capitolo Superiore sullo stato della questione, non proferì sillaba più del necessario e sempre con quel tono di bonarietà indulgente che gli era consueto. Verso la fine di Gennaio del '76 disse a Don Barberis: “Ora abbiamo messo fuori l'Opera di Maria Ausiliatrice. Pare che in questo primo anno vi siano alcuni ostacoli e le cose non procedano avanti come si desidererebbe; il numero cioè è un po' ristretto. Ma vedrai che riuscirà certamente bene e col tempo resterà l'unica risorsa dei Vescovi e delle Missioni. Perchè, ora si ha un bel dire: - I tempi sono cattivi ma si spera che in breve cambieranno, verranno tempi migliori e perciò maggior numero di vocazioni! - Questi tempi migliori noi li possiamo desiderare; ma sperare, no. Se è vero che gli effetti sono proporzionati alle cause e che poste le cause devono venire gli effetti, le cose che ora vediamo, sono radici così potenti, così funeste che gli effetti devono riuscire ben amari e ben lunghi, nè vista umana riesce a percepirne i termini. Solo trenta o quarant'anni fa c'erano vari Stati cattolici: uno poteva sperare salute dall'altro; ora più niente, niente. Contuttociò, facciamoci coraggio; la messe è grande; il nostro sassolino al maestoso monumento della vittoria lo porteremo anche noi[25]”.

                I vescovi più illuminati intuivano la santità e l'utilità dell'Opera. Il vescovo di Albenga la proclamava “cosa degna di ogni encomio”; onde caldamente ne incoraggiava l'ideatore a mettere in esecuzione il suo disegno[26]. Il Vescovo di Vigevano vi scorgeva “improntato lo spirito del signor Don Bosco”, in cui egli ammirava “sempre l'uomo di Dio”[27]. Secondo il Vescovo di Acqui, tale Opera avrebbe provveduto “ad un sentito bisogno”; il che egli confermava con un fatto, così: [53]

                “Non più tardi di ieri mi si presentò un parroco esponendomi che nella sua parrocchia vi è un giovane di ventiquattro anni, fuori della leva militare, di molta pietà e di svegliato ingegno, il quale bramerebbe di abbracciare la carriera ecclesiastica; ma ignaro qual è della lingua latina, non può nella inoltrata sua età assoggettarsi nel seminario ai corsi ordinari di latinità ed anche non ne avrebbe i mezzi sufficienti per percorrerli. Certamente a questo giovane garzone ed a molti altri che sottosopra si trovano nelle stesse circostanze, tornerebbe assai opportuno lo stabilimento cui intende Don Bosco”[28]. Il Vescovo di Alessandria “di buon grado” commendava il disegno pregando Dio che con la sua grazia venisse in aiuto per attuarlo[29]. Il Vescovo di Tortona, pur ritenendo “opportuno ed utile assai di raccogliere per tempo i teneri giovanetti nell'asilo del Seminario, per avviarli con maggior sicurezza d'esito al ministero ecclesiastico”, tuttavia giudicava “innegabile” che mediante l'Opera di Maria Ausiliatrice vi si sarebbe aggiunto. “un contingente considerevole, e purtroppo necessario ai nostri giorni, di giovani adulti con maggior attitudine a divenir buoni sacerdoti”[30]. Al dire del Vescovo di Casale, “quell'uomo di Dio che era il sacerdote Don Giovanni Bosco”, aveva compilato un programma dell'Opera “assai bene concepito e tale da potersene sperare preziosissimo frutto[31]”. L'Arcivescovo di Genova ne sperava “grande utilità alla Chiesa”, dato il già tanto scarseggiare del clero[32].

                Questo dei Figli di Maria, come oramai si chiamavano i giovanotti della vocazione tardiva, era un argomento su cui Don Bosco ritornava sempre con piacere. Il 6 febbraio del '76 conversando con parecchi Salesiani, dopo aver deplorato la tirannia della legge sulla leva, così rovinosa per le vocazioni, [54] e detto com'egli vi cercasse un rimedio col raccogliere giovani adulti che o avessero già fatto il servizio militare o ne fossero esenti, proseguì: “Anche in questo vi saranno molti vescovi che, vista la buona prova che facciamo noi di questi adulti, seguiranno il nostro esempio e apriranno case a questo fine[33]. Deo gratias. Noi diamo la spinta e siamo ben contenti che il bene si propaghi, qualunque siano i modi e gli strumenti coi quali si propagherà. Io ho una speranza straordinaria su questi figliuoli di Maria. Io li credo l'unica risorsa della Chiesa in questi tempi.

                - È mirabile davvero, esclamò uno dei presenti, il modo con cui procedono le cose. Don Bosco incomincia, e non si dà mai indietro.

                - A per questo, riprese Don Bosco, che non diamo mai indietro, perchè noi andiamo sempre avanti sul sicuro. Prima d'intraprendere una cosa ci accertiamo che è volontà di Dio che le cose si facciano. Noi incominciamo le opere nostre con la certezza che è Dio che le vuole. Avuta questa certezza, noi andiamo avanti. Parrà che mille difficoltà s'incontrino per via; non importa; Dio lo vuole, e noi stiamo intrepidi in faccia a qualunque ostacolo.

                - Il difficile, disse Don Chiala, sta appunto qui, nell'esser certi che Dio voglia quella tal cosa!

                - Senza vera rivelazione chi può esser certi di ciò? ripetevano tutti gli altri.

                Noi però, continuava Don Bosco senza badare a queste riflessioni, anche fidati illimitatamente nella volontà del Signore e sulla Divina Provvidenza, non andiamo avanti alla cieca. Prima d'intraprendere un lavoro esaminiamo ben bene i mezzi... non reali che non si hanno, perchè allora!... ma su quelli sui quali si può fidare con prudenza. Poi, fatta una parte del lavoro, dico: - Là, fermiamoci un momento. Possiamo [55] seguitare? vi sono speranze? o le cose che si hanno, non servono a darci speranze? - E si va adagio a proseguire. Poi non stiamo lì con le mani in mano, quando una cosa è incominciata; ma gira di qua, gira dì là; scrivi lettere, biglietti, inviti: apri lotterie, fa' sottoscrizioni, si mette in moto mezzo mondo. E tutte queste cose le ho già sempre tutte previste, cominciando un'opera; del resto come fare ad andare avanti? Io confido illimitatamente nella Divina Provvidenza; ma anche la Provvidenza vuol essere aiutata da immensi sforzi nostri”[34].

                L'Opera di Maria Ausiliatrice, sebbene tanto bersagliata sul nascere, si deve porre nel novero di quelle che davano a Don Bosco non vaghe probabilità di riuscita, ma “speranze straordinarie”. Lo proclamò egli stesso il 26 settembre del '75 presiedendo certe conferenze autunnali con i primari della Congregazione e poi aggiunse: “Questi giovani adulti e di molto criterio, appena siano preti, renderanno molto frutto; anzi lo rendono già prima d'essere preti, poichè servono a disimpegnar uffizi delicati in casa, assistono, sorvegliano, fanno da maestri elementari. E già vi sono molte domande anche di soldati: fu accettato persino un brigadiere. Tutti i giorni ricevo lettere di Vescovi che commendano l'Opera, e di giovani e di parroci che porgono domande di accettazione”[35].

                Sul principio del nuovo anno scolastico, benchè al nucleo, diremmo così, ufficiale di questi giovani desse ospitalità l'Ospizio di San Pier d'Arena, pure una schiera abbastanza numerosa aveva ancora stanza nell'Oratorio. Gli uni e gli altri però vi frequentavano il ginnasio in compagnia dei ragazzi. Nell'Oratorio i nuovi venuti trovarono un bel gruppo di compagni, che avevano le medesime loro aspirazioni e vi dimoravano già da tempo. Qui Don Bosco nel marzo del '76 introdusse una novità. Scelti i più attempati della seconda e terza ginnasiale, ne formò una scuola a parte, con programma speciale [56] a base di latino e d'italiano, nell'intento di accelerare per essi la fine del corso e prepararli alla vestizione chiericale del prossimo novembre. Questa classe straordinaria fu denominata scuola di fuoco, per l'ardore e l'alacrità con cui vi si procedeva negli studi. Ne aveva dato l'annuncio fino dall'8 febbraio nella consueta " buona notte ".

                Io questa sera voglio raccontarvi, mei cari giovani, una cosa che ho bensì già detta a qualcuno in particolare, ma che generalmente non si sa ancora e che spero avrà da produrre molto del bene. Ora perciò la manifesto a tutti.

                Ecco! Io desidererei di fare una gran retata di pesci: voglio stendere le mie reti e poi tirare a me tutti coloro che si vogliono lasciar prendere. Vedete! Dall'America mi chiedono instantemente dei Missionari; di Missionari sono prive immense regioni. Esse gemono ancora nell'ombra della morte, nelle tenebre dell'idolatria, e tale sventura continua, solamente perchè non vi fu ancora nessun missionario che sia andato ad annunziar loro la vera religione. Qui poi nei nostri paesi si comincia a sentire una grande scarsità di preti; da tutti si dice: - Ma non c'è più nessuno che si faccia prete!

                Questa scarsità di preti nei nostri paesi, e questo sentito bisogno di Missionari, mi hanno deciso a stabilire un corso speciale di studio per coloro che volessero fare più in fretta i loro corsi di ginnasio e poi di filosofia. Io metterei proprio una scuola di fuoco, nella quale si studino solo le cose necessarie, senz'altro imbroglio di accessori e così compiere gli studi molto più in fretta.

                A questa scuola potranno prendere parte quelli che lo desiderassero di 4ª e 3ª ginnasiale ed anche forse qualcuno di 2ª, ma che sia alquanto avanzato in età, cioè sopra i sedici anni. Se costui fosse giovane affatto, avesse per esempio otto anni, non ha bisogno di precipitare i suoi studi: esso ha comodità di fare tutti i suoi studi regolari. Con questa scuola, fatta, come diceva, con gran fuoco, mediante buoni professori, unita colla gran buona volontà vostra io spero che si possa giungere ad un punto di potervi vestire da chierici per la festa di Ognissanti.

                La prima condizione però che si richiede è una gran volontà; poichè, se già rimessa è la volontà ora che gli studi sono lenti, quando siano così accelerati voi non potreste tenerci dietro. Per ciò bisogna che il vostro professore possa fare buona testimonianza della gran voglia che avete di studiare. Non maravigliatevi dicendo: - Come potremo fare tanto in fretta? - Io vedo che mediante le condizioni che ora vi esporrò, mediante buoni professori, buona volontà e poi mediante il vostro ingegno e talento grande, la cosa riuscirà. (Bisbiglio, sorriso universale e il ringalluzzarsi di molti per questo elogio). [57] Ecco ora le altre condizioni, oltre a quelle dell'età e del buon volere, che vi ho accennate. Bisogna che ciascuno si proponga di stare qui o di andare nelle Missioni. Dico stare qui nell'Oratorio o per lo meno che non appartengano alla diocesi di Torino, perchè in questa diocesi per entrare in seminario richiedono l'attestato della fatta 5ª ginnasiale; ed uno che fosse anche assai avanti negli studi, come fu tra noi Gilio l'anno scorso, che all'esame della veste sarebbe stato promosso ed anche tra i primi, solo perchè non ha fatto la 5ª ginnasiale, non potè mettere l'abito da chierico e dovette andare a Giaveno a compire il corso. Credo che nelle altre diocesi non ricerchino nulla di ciò, e se uno è tenuto abile qui tra noi, lo ammettono a vestirsi da chierico. In questo però io non posso prestare nessuna assicurazione e garanzia. Qui in Torino vi è eziandio l'esame su tutto il Catechismo grosso, e qui da nei non si potrebbe studiare, avendo fretta. Bisogna rinunziare ad ogni esame pubblico, o almeno pensarci bene prima di presentarsi, poichè a questi esami è necessario portare tutte le materie richieste dai programmi; e noi per andare più avanti nelle materie principali, come sono il latino e l'italiano, lasceremo altre materie accessorie, le quali anche senza saperle bene, non impediscono di fare sufficienti progressi. Chi perciò desidera di prendere l'esame di licenza ginnasiale, costui non può prender parte a questa scuola speciale che faremo.

                Bisogna che abbia pazienza e rinunziare alle vacanze regolari. Potranno concedersi alcuni giorni di svago, vi saranno gli esercizi di Lanzo nei quali lasceremo da parte i libri per darci alle opere di pietà; ma non di più, poichè si ha questo gran bisogno di fare in fretta. Incominciando ai primi giorni di marzo, come mi sono prefisso, poco più o poco meno per arrivare a novembre vi sono ancora otto mesi ed in otto mesi, studiando accaloratamente, delle cose se ne possono fare. È anche bene che notiate questo. Se si trattasse che voi doveste andare altrove, per esempio nei seminari, ordinariamente nel corso di filosofia non vi è più scuola di letteratura; perciò si resterebbe un poco indietro per questa parte. Ma qui tra noi in tutti due gli anni di filosofia vi è ancora scuola regolare di letteratura italiana e latina; perciò, ancorchè ora si faccia un po' in fretta, vi è tempo e comodità di rifarci poi in filosofia.

                Abbiamo l'esempio d'alcuni nell'anno scorso i quali invero sebbene nella lingua latina ed italiana fossero alquanto indietro, nulladimeno, attendendo e quest'anno e l'anno venturo, speriamo che potranno far profitto e divenir utili a sè, non che agli altri.

                Come vedete, o carissimi, siamo costretti a far così; da ogni parte ci chiamano, in ogni luogo ci attendono e l'America ancor più ansiosa delle altre terre aspetta i nostri aiuti, tanti operai simili al Saverio, intrepidi campioni al pari di lui. Siamo costretti, è vero; ma la necessità diverrà virtù. [58] Fatevi coraggio, miei cari figliuoli: cerchiamo davvero di consecrarci tutti al Signore; ciascun di voi faccia il possibile secondo la sua condizione di promuoverne la gloria, e state certi che il Signore non mancherà dì benedirci. Buona notte.

                Un episodietto dei primi giorni merita di non essere passato sotto silenzio.

                Don Bosco aveva ordinato al direttore delle scuole, come si chiamava in quei tempi l'attuale consigliere scolastico, che nella scuola di fuoco facesse tradurre Cornelio; ma il dabben uomo, visto che i provenienti dalla terza avevano già tradotto tale autore, vi sostituì Cesare e lo fece senza dir nulla a Don Bosco. Ora accadde ciò che era prevedibile: gli altri che venivano dalla seconda, si trovarono nell'impiccio, messi così bruscamente alle prese con i Commentari, sicchè alcuni chiesero il ritorno alla classe regolare.

                Don Bosco, saputa la cosa, ne rimproverò il direttore delle scuole in presenza di altri sacerdoti e con accento piuttosto energico, dicendogli: - Se si fosse fatta l'obbedienza, questo sconcio non sarebbe avvenuto e se all'uso di quel testo si fossero disposti gli animi dei giovani nel modo da me suggerito, la cosa sarebbe riuscita meglio. - Il suo suggerimento era stato che sull'inizio per non isgomentare i più deboli si presentasse loro il passaggio a Cornelio in questi termini: Finora avete tradotto l'Epitome e se ne sono già studiati molti capi; adesso sarà bene fare un passo avanti e andare a Cornelio, come si costuma nel ginnasio. Per altro, uniti a voi ci saranno quei della classe superiore; ma andrete avanti tutti insieme col medesimo autore.

                Il direttore delle scuole tentò di date uno schiarimento, osservando come alcuni avessero già tradotto Cornelio. - Non è questa la questione, interruppe recisamente Don Bosco; la questione è che eravamo intesi così e che l'obbedienza portava a fare così! -

                Nell'imbarazzo che nacque da tale incidente, qualcuno degli astanti cercò di cambiar discorso; ma vi fu chi interloquì [59] dicendo essere molto buoni quei tre giovani che erano usciti dalla scuola di fuoco per rientrare in classe. - Quei tre giovani! esclamò Don Bosco. Per me non fo più nessun conto di essi... Io non mi azzardo più a dar loro nessun consiglio, nessuna direzione. Han dato indietro da un impegno preso... - Ma lo sguardo di Don Bosco andava oltre le sue parole, sembrando voler significare che la responsabilità dei fatti ricadeva in buona parte, se non in tutto, sul consigliere scolastico[36].

                Ecco qui una lezione che ci richiama al Santo Patrono dei Salesiani. Un atto che in materia d'obbedienza non costituiva nemmeno colpa veniale, ma si riduceva a semplice imperfezione, costò a Santa Francesca di Chantal una riprensione così severa e così solenne da parte del suo santo Direttore, che il luogo, dove questi gliela inflisse, è rimasto memorabile e viene ancora oggi additato e guardato con riverenziale timore. L'indulgente San Francesco di Sales misurava le esigenze della sua direzione spirituale alle condizioni delle singole anime da lui guidate per le vie della salute; quindi, con chi era chiamato alla più alta perfezione, egli prendeva norma dal principio evangelico: Cui multum datum est, multum quaeretur ab eo[37]. Così il linguaggio di Don Bosco, che sul momento parve “gravissimo”, non aveva in realtà nulla che contrastasse con l'idea della santità. Dai più anziani, obbligati a maggior virtù, anch’egli esigeva maggior fedeltà nel conformarsi alle sue intenzioni.

                Bisogna però anche aggiungere che nell'Oratorio stesso non tutti la pensavano come Don Bosco sul conto dei Figli di Maria; giacchè scarsa fiducia si nutriva da taluni circa la buona riuscita d'individui dal cervello ormai indurito e per giunta fino a ieri rozzi operai o contadini. Si sa bene che le novità generano diffidenze; d'altro lato Don Bosco non soleva aprire la sua mente nè a tutti, nè tutto a un tratto, ma a se [60] conda delle convenienze e in quanto sperava di essere inteso. Quindi chi per abitudine si rimetteva docilmente alle sue disposizioni, badava a fare com'egli diceva, nella sicurezza che lì stesse il meglio; chi invece non  aveva rinunziato a cercare il pelo nell'uovo, o guardava alla superficie delle cose, trovava spesso da ridire. Nel caso nostro chi avrebbe mai immaginato quanti e quali figliuoli d'Abramo sarebbero stati tratti per opera di Don Bosco fin dalle selci? Si vide poi massimamente nelle Missioni, che tempre d'uomini apostolici abbia date anche la scuola di fuoco.

                Ma Don Bosco, secondo il suo solito, agiva e lasciava dire. Non gli sfuggiva occasione che gli servisse a mettere in valore specialmente quella scuola presa più di mira ed a guadagnarle in casa simpatie e aiuti. Per formare poi dell'Opera intera un corpo compatto e distinto dal resto e ben governato, vi prepose quell'anima santa di Don Guanella, che accettò ben volentieri l'oneroso incarico. Di lì a poco, essendo in procinto di recarsi a Roma e avendo intenzione di presentare al Santo Padre tanti indirizzi quanti erano i ripartimenti dell'Oratorio, volle che figurassero pure i Figli di Maria e disse al direttore che ne stendesse la lettera. Don Guanella redasse questo bel documento, che i lettori ci sapranno grado di aver portato a loro conoscenza.

 

                               Beatissimo Padre!

 

                La Provvidenza, in mano della quale sono le sorti degli uomini, mi chiamò ad essere religioso in questa Congregazione Salesiana, mentre in Savogno, nella Diocesi di Como, esercitava le funzioni di Parroco.

                Io qui godo nell'animo la più grande soddisfazione, e ne ringrazio il Signore. Il tempo trascorre rapidissimo nelle occupazioni affidatemi dalla bontà dei Superiori. I giorni festivi li passo a dirigere un oratorio, di San Luigi, frequentato da circa settecento bravi giovani di questa città. Ma la mia più gran gioia e più grave occupazione è nei giorni feriali la direzione e la scuola tra i figli dell'Opera di Maria Ausiliatrice, quale con tanta bontà venne dalla stessa Beatitudine Vostra e benedetta e favorita.

                Questi figli di Maria sono in tutto sopra cento, e circa quaranta almeno nel futuro Novembre vestiranno l'abito chiericale, perchè [61] quanto a bontà sono i giovani più esemplari, e quanto all'applicazione ammirabili.

                In questo, anche i più discreti sono invincibili[38]. Molti si possono ormai ripromettere di passare i cinque anni di latinità nello studio di dodici mesi, e gli altri in quello di due anni. Sono entusiasmati della persona del carissimo nostro D. Bosco, ammiratori del gran Pontefice dell'Immacolata, e impazienti del ministero delle anime.

                Li benedica tutti, Santissimo Padre, acciocchè, come si spera, si moltiplichino negli anni avvenire, e tutti riescano operai valorosi nella vigna del Signore.

                Benedica a me il Vicario di Gesù Cristo. Ho fra le mani da ultimate un'opera: Guida del popolo cattolico, o, la Dottrina Cristiana in quaranta discorsi spiegata in parabole ed esempi. Mi benedica anche in questo, e più di tutto in quello che il Signore vorrà da me in ogni giorno sino al termine della vita.

                Benedica alla Diocesi di Como, che s'abbia presto un collegio della Congr.ne Sales.na.

                Mi rimane a supplicare la Santità Vostra che a me accordi, ed alla diletta mia madre, ai fratelli, ai consanguinei ed agli affini la Plenaria Indulgenza nell'ultima ora, in cui il Signore chiamerà a sè sia la persona mia, che quella dei sudetti, sino al terzo grado. Noi intanto supplicheremo il Signore che faccia presto apparire giorni di pace e di gioia per l'Augusta Persona di Vostra Santità.

                Supplicheremo che tutti gli uomini riconoscano nel gran Pontefice dell'Immacolata e del Concilio Vaticano, l'Angelo tutelare delle nazioni.

                Infine mi prostro ai piedi di vostra Beatitudine ora e sempre

                1° Aprile 1876.

Figlio ossequient.mo e amant.mo

Sac. LUIGI GUANELLA.

 

                Il Servo di Dio umiliò personalmente questo scritto al Papa, che si degnò leggerlo, commentarlo e apporvi la sua augusta firma, preceduta dalla data (die 16 aprilis 1876) e dalla seguente benedizione: Benedicat vos Deus et dirigat vos in viis suis.

                Il nostro buon Padre ne andò così lieto, che, nonostante i molti affari, non potè indugiare a ragguagliarne Don Guanella: [62]

 

                               D. Luigi carissimo,

 

                Nell'ultima udienza di ieri (15) il Santo Padre con grande bontà si compiacque di leggere fino all'ultima linea la lettera indirizzata al medesimo dai figli di Maria. Di poi si fece a domandare il loro numero, lo studio, le speranze che se ne possono concepire, la loro sanità: se palesano tendenze per le missioni estere ecc. Io ho procurato di appagarlo nel miglior modo possibile: - Ringrazio Dio, Egli disse, di avere disposto che venisse iniziata quest'opera. Dite a quei buoni giovani che io li amo molto nel Signore, che conto sopra di loro per guadagnare anime a Dio. Studio, moralità, disprezzo del mondo deve essere il loro programma. Quanto di cuore li benedico! - Ciò detto prese la penna e scrisse le preziose sue parole in fondo all'indirizzo che i figli di Maria gli avevano mandato. Ha poi concesso loro molte indulgenze che loro indicherò di presenza.

                Intanto, carissimo D. Luigi, lavori di buon grado: la grazia Divina non ci mancherà. Calma, pazienza e coraggio. Molte cose a voce...

                Mi saluti caramente tutti i figli di Maria e scriva anche a D. Albera la speciale benedizione che il Santo Padre manda ai figli di Maria che sono in quella casa. Mi ami in G. C. e mi creda

                Roma, Pasqua 1876.

Affez.mo amico

Sac. GIO. BOSCO.

 

                PS. Mi raccomando di una preghiera e di una comunione, secondo la mia intenzione. Dica lo stesso a D. Barberis pei novizii.

                In pari tempo Don Bosco, per animare le caritatevoli persone, che a tenore del programma cooperavano con lui nell'impresa, umiliò al Papa una supplica, nella quale chiedeva per loro speciali indulgenze[39]. Da Roma gli venne un Breve amplissimo, che avrebbe dovuto seppellire per sempre qualsiasi opposizione.

                Ma non fu così. Un articolo comparso nell'Unità Cattolica del 17 settembre risollevò di botto la questione canonica. Dopo un cenno sullo scopo e la natura dell'Opera di Maria Ausiliatrice, vi si pubblicava questo resoconto: “Il primo esperimento fatto in quest'anno riuscì assai soddisfacente. Per sito opportuno a queste scuole fu scelto l'Ospizio di S. Vincenzo de' Paoli in San Pier d'Arena, dove però potè soltanto [63] raccogliersi un numero limitato, perchè non era ancora terminato l'edifizio a quest'uopo messo in costruzione. Per questo motivo alcuni di essi fecero gli studi in altre case della Congregazione Salesiana. Il risultato di quest'anno fu come segue:

 

                Totale degli allievi………………………N. 100

                Compiono il ginnasio…………………...”      35

                Di essi aspirano allo stato religioso……..”       8

                Aspirano alle Missioni estere…………....”       6

                Ascrivonsi al clero della propria diocesi..”      21”.

 

                Dettovi poi del gradimento espresso dal Papa e dei tesori spirituali dal medesimo largiti, si dava la traduzione italiana del Breve. L'articolo, comunicato al giornale dall'Oratorio, fu mandato pure al Cittadino di Genova, ma con qualche variante e col programma dell'Opera, e fors'anche ad altri fogli cattolici.” Ho bisogno, diceva Don Bosco parlando di tale pubblicità, che anche i nostri preti e direttori vengano a conoscere l'importanza di quest'Opera, perchè finora non la capiscono abbastanza. Io credo che d'ora in avanti sarà la risorsa più grande che i vescovi possano avere, per formarsi preti che non siano loro rubati dalla leva. Ho anche bisogno che si venga a conoscere l'importanza dei Cooperatori Salesiani. Finora pare una cosa da poco; ma io spero che con questo mezzo una buona parte della popolazione italiana diventi Salesiana e ci apra la via a moltissime cose[40]”. Le oblazioni a pro dell'Opera di Maria Ausiliatrice erano appunto una delle tante forme di cooperazione Salesiana, che sarebbero sorte con l'andare del tempo. È ben degno di nota che Don Bosco, discorrendo così familiarmente con Don Barberis di dette pubblicazioni giornalistiche, non facesse la menoma allusione alla tempesta scoppiata allora allora per causa delle medesime. [64]

                Due giorni dopo l'articolo dell'Unità Cattolica, Don Bosco da Lanzo, dove presiedeva agli Esercizi Spirituali dei confratelli, ne aveva spedito un secondo, scrivendo tranquillamente così al Teol. Margotti, direttore del giornale:

 

                               Carissimo Sig. Teologo,

 

                Le trasmetto il 2° articolo sull'Opera di Maria A., veduto da D. Durando.

                Le raccomando la lettera di Cagliero per poterla riprodurre nelle Letture Cattoliche.

                Il S. Padre vuole che accettiamo le scuole di Albano e ne raccomanda altre.

                Oh se avessi mille maestri!

                Dio La conservi e mi creda con gratitudine

                Di V. S. Car.ma

                Lanzo, 19 - 9 - 1876.

Aff.mo in G. G.

Sac. GIO. BOSCO.

 

                A questa letterina il Margotti rispondeva col seguente biglietto:

 

                               D. Bosco Ven.mo e Car.mo,

 

                Ricevo in questo momento la sua lettera ed il secondo articolo: ma ieri ho ricevuto la paternale che le mando. Io non avrei mai più sospettato che D. Bosco mi facesse stampare cose da non pubblicarsi. La colpa è principalmente sua. Finora non ho risposto al Sig. Canonico e forse non risponderò.

                Ella mi rimandi la lettera e mi dica in Domino il suo avviso, ma non ne parli a nessuno. Dobbiamo fare qualunque sacrifizio di amor proprio a riguardo di coloro quos Spiritus Sanctus posuit regere ecclesiam Dei. Sono in fretta ma con tutto l'ossequio e colla più sincera affezione

                Mirabello, 20 settembre 1876

Suo dev.

T. MARGOTTI.

 

                Mi permetta di proibirle che ella si prenda copia della lettera.

                Che prudenza e carità da ambe le parti! Diciamo da parte di Don Bosco con i suoi e del giornalista con Don Bosco. Il [65] “non avrei mai più sospettato” e “la colpa è... sua” non suona biasimo, ma sa di quell'ironia, di cui il grande giornalista era fornito a dovizia. S'intendevano tanto bene fra loro![41]. Sarebbe defraudare i lettori e mutilare la storia il non riprodurre anche la fiera “paternale”.

                               Illustrissimo molto reverendo Signore,

                Monsignor Arcivescovo mi incaricò di avvertire la S. Vostra del dispiacere che ha provato nel leggere nell’Unità Cattolica dell’18 corrente mese N. 216, un articolo sull'Opera di Maria Ausiliatrice scritto a sua totale insaputa. In quell'articolo si pubblica un Breve Pontificio di cui non si è ancora comunicato all'Arcivescovo di Torino, come era di dovere, alcuna copia autentica: si parla di una Associazione di fedeli canonicamente instituita di cui l'Arcivescovo di Torino non conosce per nulla l'istituzione canonica: si pubblicano indulgenze ignorate affatto dallo stesso Arcivescovo, e ciò contro il precetto del Concilio di Trento; insomma si disconosce l'ordine gerarchico della Chiesa, si ledono le prerogative e le incombenze che l'Autorità Arcivescovile ha per diritto Divino ed Ecclesiastico. Già da questo ufficio si erano fatte rimostranze al S. D. Bosco, per avere fatte queste pubblicazioni colla stampa della sua tipografia senza il Visto dell'Autorità Arcivescovile e per tale motivo si era raccomandato a V. S. di non ripetere tali pubblicazioni nel suo giornale: ma nè le rimostranze nè le raccomandazioni valsero a nulla. Questa non è la prima volta, sibbene la terza e la quarta che l'Unità Cattolica si serve della libertà lasciatale e della fiducia posta dall'attuale Arcivescovo per fare pubblicazioni tutt'altro che conformi alla riverenza dovuta da tutti, specialmente dai giornalisti che vogliono davvero essere cattolici, all'autorità arcivescovile della diocesi.

                Non basta fare il bene: questo va fatto bene. Bonum ex integra causa, malum ex quocumque defectu.

                Monsignor Arcivescovo confida che l'Unità Cattolica non gli darà mai più occasione di lagnanza; e quindi non pubblicherà quel programma promesso sulla fine di detto articolo, finchè esso Mons. la assicuri che, in seguito alle informazioni che il Sig. D. Bosco è in obbligo di dare su questa materia, tutto è in regola. Monsignore mi [66] incarica di presentarle i suoi saluti e di rallegrarsi con lei per l'articolo La croce di spine posto nella su accennata.

                Con tutta la considerazione mi dichiaro

                Di V, . S. Ill.ma molto reverenda

                Torino, il 17 settembre 1876.

Devotissimo Servitore

T. Can. CHIUSO Segr.

 

                Le tante apprensioni, esigenze e rimostranze dell'Ordinario intorno alle cose di Don Bosco provenivano in gran parte dal non aver ancora riconosciuto il legittimo privilegio dell'esenzione, a cui faceva rispettosamente appello il Vescovo di Susa, come abbiamo riferito sopra. È vero che l'Opera nella diocesi di Torino esisteva solo di fatto, mentre nel Breve la si riconosceva come già “canonicamente istituita”, con l'aggiunta della formola consueta “come a Noi fu esposto”. Ma prima di tutto l'Ordinario torinese non fece mai questione di Opera, bensì di “Collegio” e collegio “Cosmopolita”[42]; d'altra parte nelle trattative svoltesi direttamente fra Don Bosco e Roma è molto probabile che sia valso come titolo di riconoscimento il positivo beneplacito dell'Arcivescovo di Genova per l'erezione dell'Opera in Sali Pier d'Arena; il direttore Don Paolo Albera, per incarico di Don Bosco vi ricorse a Mons. Magnasco, che approvò l'Opera e diede l'imprimatur alla pubblicazione del programma, stampato nella tipografia dell'Ospizio[43]. Cosicchè i favori spirituali non cadevano nel vuoto, per motivazione surrettizia.

                Il malcontento dell'Ordinario era poi acuito dalla persuasione che con l'Opera di Maria Ausiliatrice Don Bosco tirasse l'acqua soltanto al suo mulino. Infatti quell'anno, predicando nella chiesa dello Spirito Santo in Torino, dopo aver raccomandato l'Opera a favore dei chierici poveri, aveva soggiunto: “È vero che in un angolo di questa città si fanno molti chierici, ma sono mandati ben lontani, e perciò a noi di nessun [67] giovamento”. L'allusione era trasparente, sicchè gli uditori capirono benissimo dove mirasse il colpo; giacchè in Torino solo da Valdocco si spedivano Missionari all'estero.

                Sull'Unità Cattolica uscì la lettera di Don Cagliero dall'America, come sollecitava Don Bosco; ma dell'Opera di Maria Ausiliatrice non si fece più motto. A Don Bosco non sarebbe toccato fare alcun passo presso la Curia, perchè, oltre la notizia confidenziale del Teol.. Margotti, non gli pervenne comunicazione di sorta. Tuttavia indirizzò all'Ordinario questa correttissima lettera:

 

                               Eccellenza Rev.ma,

 

                Il Sig. T. Margotti mi fa dire che egli non stamperà il programma dell'Opera di Maria A. se prima non avrò date le dovute informazioni a V. E. Io volentieri dò a V. E. Rev.ma qualunque schiarimento.

                Questa Opera come V. E. ricorderà, doveva iniziarsi qui in Torino, ma per evitare certe difficoltà fu trasferita in altra diocesi e precisamente in Sampierdarena, diocesi di Genova. Quell'Arcivescovo appoggiò e raccomandò più volte il progetto, benedetto e raccomandato dal Santo Padre.

                Venne sul luogo a benedire la prima pietra del novello edifizio, che è pressochè condotto a termine.

                Riferite le cose al S. Padre, esso fece esaminare il progetto da apposita commissione, e tenuto conto delle commendatizie di più Vescovi, emanò il Breve con cui concedeva le indulgenze dei Terziari Francescani a chi favoriva questa pia impresa.

                Quando pertanto io trasmetteva al T. Margotti le carte sopraccennate intendeva una istituzione Generale e non locale, la cui sede era in Genova e da annunziarsi nella Unità Cattolica come giornale Ufficioso per le cose Ecclesiastiche. In quanto poi alla Revisione Ecclesiastica, io rimetteva tutto alla pratica tenuta da quella direzione pel rimanente del giornale.

                In quanto a me l'anno scorso e quest'anno non ho più nè stampato, nè diramato cosa alcuna, e non lo farò fino a che la E. V., messo il visto al foglio che le presentava al mese di Luglio dell'anno passato, ne abbia autorizzata la stampa.

                Copia del Breve Pontificio, l'avrà veduta nel suddetto Giornale; se mai ne desiderasse copia autentica io la farei subito pervenire a sue mani.

                La prego pertanto umilmente a voler permettere che il secondo articolo dell'Unità Cattolica sia pubblicato, pronto a tutti quegli ordini che la E. V. fosse per dare. [68]

                Colla massima ed ossequiosa venerazione ho l'onore di professarmi

                Della E. V. Rev.ma

                Lanzo, 5 Ottobre 1876.

umile Servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Le nuove oppugnazioni lo sgomentarono così poco, che il 13 ottobre, scrivendo a Don Cagliero, gli diceva: “A Nizza Marittima abbiamo comperato uno stupendo edifizio, dove potremo accogliere 100 artigiani con  altrettanti Figli di Maria”.

                Un incidente domestico, quasi non bastasse la guerriglia di fuori, aggiunse amarezza ad amarezza nell'animo di Don Bosco, mentr'egli accompagnava a Roma i Missionari della seconda spedizione. Lo narriamo qui, sebbene avvenuto alla fine del '76, per non dover più ritornare su quest'argomento.

                Sappiamo già quanto fosse cara a Don Bosco la scuola di fuoco. Ragioni concernenti la vocazione e gli studi degli allievi ed anche il buon andamento della Casa gliela facevano amare. Isolati dai ragazzi, questi anzianotti si potevano coltivar meglio nella loro vocazione; inoltre, non interrompendosi per loro le lezioni durante il periodo estivo, essi venivano sottratti al pericolo delle vacanze, nel corso delle quali, anche a scopo di sollievo, Don Bosco li conduceva a fare gli Esercizi Spirituali con i Salesiani nel collegio di Lanzo; così avevano agio d'intendere meglio la voce del Signore. Quanto agli studi, era già un doppio vantaggio il poter svolgere per essi un programma adattato alla loro condizione e il non esporli a scoraggiamenti inevitabili nelle classi regolari, dove avrebbero sentito troppo la propria inferiorità di fronte ai ragazzi; ma vi era anche la possibilità di appagare il desiderio dei più anziani, che, impazienti di dover andar tanto per le lunghe, chiedevano di accelerare i corsi. In casa finalmente abbisognavasi d'individui da potersi impiegare in uffizi, che non importavano molto lavoro, ma esigevano persone fidate; al che servivano ottimamente soggetti maturi, ben intenzionati e non legati strettamente all'orario comune, come i ragazzi. Ecco alcune [69] ragioni, per cui Don Bosco aveva a cuore tale scuola, nulla risparmiando per vederla a fiorire.

                Ma sappiamo pure che non tutti la vedevano di buon occhio. Il maestro stesso lamentava che gli alunni, distratti in occupazioni eterogenee, non istudiassero abbastanza e non fossero puntuali nè assidui alle lezioni. Non c'era più Don Guanella a prendersene amorosa cura, perchè mandato a dirigere la nuova Casa di Trinità in quel di Mondovì; d'altra parte l'Ospizio di San Pier d'Arena si delineava sempre meglio come la sede nata fatta per i Figli di Maria. Nell'avviare dunque le cose per l'anno scolastico 1876 - 77, durante l'assenza di Don Bosco, si tentò un colpo di mano, reso più agevole dalla remissiva bonarietà del vicedirettore Don Lazzero, che pro bono pacis lasciò correre: la scuola di fuoco venne sciolta e gl'inscritti furono parte mandati a San Pier d'Arena, parte distribuiti nelle classi regolari.

                Don Bosco, avutone sentore a Roma, non aspettò fino al intorno per esprimere il suo rincrescimento. Aveva stabilita lui quella scuola; egli stesso con Don Durando e con qualche altro superiore s'era già inteso per portarla alla sua perfezione, più volte e in più guise aveva dato a divedere quanto ci tenesse a farla andar bene. Il disappunto gli dovette dunque riuscire oltremodo penoso. “È vero, scrisse da Roma, che si fa a San Pier d'Arena; ma almeno una classe sia a Torino, per molte ragioni[44]”. Oltre al già detto, una di queste ragioni sembra essere stata che Don Bosco da quei giovani così stagionati pensava di cavare specialmente bravi Missionari e intendeva plasmarli con le proprie mani. Ciò gli era già riuscito magnificamente con alcuni pochi alla spicciolata; ora si riprometteva maggiori risultati, operando su più larga scala. Son cose che oggi fondatamente si arguiscono da quanto si avverò in appresso, ma che Don Bosco non poteva sciorinare in pubblico. Il fatto sta che l'anno dopo la scuola di fuoco nell'Oratorio risorse. [70]

                E sarebbe stato grave peccato non favorirla. Capitavano a quei tempi nell'Oratorio uomini che, a detta di Don Bosco, si potevano considerare come veri santi, e che erano assai istruiti nelle cose della religione. Costoro finivano con desiderare di essere preti e ne facevano insistente domanda a Don Bosco. “In tre o quattro anni potrebbero tutti essere missionari formati”, diss'egli una sera, in una conversazione intima[45]. Proprio al termine di tale conversazione, mossosi per andare a letto, incontrò due di quei buoni laici.

                 - Ecco, disse accennando all'uno di cognome Lago, ecco un valente missionario; con questa barba imporrebbe perfino allo Scià di Persia. Vuoi che ti mandiamo nell'Oceania?

                 - Per me sono nelle sue mani; partirei fino da questa sera, rispose Lago.

                 - Ebbene, vedremo. Ma, ehi! non con quest'abito; bisognerà che ti mandiamo come prete. Coraggio! Oh! lasciamo che il Signore faccia Lui.

                Quindi rivolse all'altro analoghe parole, tanto che entrambi, andando a riposo, erano fuori di sè dalla contentezza.

                Il Lago, farmacista, aveva dato tutto il suo patrimonio per le Opere salesiane. Fu realmente prete. Lavorò moltissimo nel ministero delle confessioni e fece da segretario impareggiabile e infaticabile di Don Rua fino alla morte.

                Una pleiade di zelanti apostoli, la cui bella rinomanza si perennerà nella storia delle Missioni, uscì ed esce tuttora dalle schiere dei Figli di Maria. “I Figli di Maria, scrive l'insigne storico P. Grisar[46], sono per le Missioni Salesiane apprezzabili operai, perchè di solito dànno ad esse giovani robusti, indurati alla fatica, i quali per seguire la loro vocazione dovettero già sostenere, la maggior parte, gravi sacrifizi”.

 

 

CAPO IV. I Cooperatori Salesiani.

 

                LA figura definitiva del Cooperatore non uscì tutta d'un tratto dalla mente di Don Bosco. Da un abbozzo iniziale del '41, da quando cioè sentì il bisogno di procacciarsi aiuti per i suoi oratori festivi dall'opera e dalla beneficenza di laici ed ecclesiastici, si arriva ai tocchi dell'ultima mano nella triplice redazione del programma durante il triennio del '74, del '75 e del '76. Qui la fisionomia del Cooperatore Salesiano si fissa per sempre. Non sarà inopportuno istituire un rapido esame comparativo dei tre documenti[47], che si completano e si chiariscono a vicenda.

                Anzitutto il titolo. Quello che prima era Unione Cristiana poi Associazione di opere buone finisce con cedere il posto a Cooperatori Salesiani. Altro è unione, altro associazione. L'idea primigenia si vede che fu di stringere in un fascio le forze del bene per contrapporle vittoriosamente alle invadenze del male. Ma in un primo tempo sembra che basti un aggregato largo di persone, le quali s'intendano fra loro nella comune buona volontà di raggiungere il fine; in seguito sottentra un aggruppamento più compatto come di membra formanti un corpo organico. Infatti fra il primo e il secondo momento s'è affacciato un elemento nuovo: un vincolo stabile di unione, costituito dalla Congregazione Salesiana, che, ottenuta la sua piena esistenza giuridica nella Chiesa, legava più strettamente a sè e fra loro i suoi collaboratori. [72] Ciò ha permesso di passar oltre, chiamando questi senz'altro Cooperatori Salesiani, quasi trattandosi di un'organizzazione vera e propria, comparabile effettivamente a un terz'ordine. E sotto tale aspetto furono riguardati dalla Chiesa; i Cooperatori, quando da lei ricevettero l'approvazione canonica.

                Dal titolo puro e semplice passiamo al fine. Il fine, sottinteso nel titolo della prima redazione e vagamente espresso in “Associazione di opere buone” della seconda, viene ristretto, ma non specificato nella terza, dove a “Cooperatori Salesiani” si connette per mezzo di “ossia” il chiarimento: “Un modo pratico per giovare al buon costume ed alla civile società”. Le cautele non erano mai troppe allora, in materia di associazioni, e associazioni religiose; potevano infatti nascere gravi malintesi nell'una e nell'altra sponda: ecco il vero perchè di queste intitolazioni alquanto anodine, che dovevano fino dal frontispizio eliminare ogni sospetto, capace di allarmare i due campi.

                Quale dunque fosse quel “modo pratico” lo dicevano internamente i tre programmi, ma con la variante che, mentre nel primo si assegnava ai Cooperatori per fine precipuo un'attività speciale “in favore della gioventù pericolante”, negli altri due con più larga comprensione vi si designava “l'esercizio della carità verso il prossimo e specialmente verso la gioventù pericolante”. Ben inteso che, cominciando la carità ordinata da noi stessi, agli associati si metteva innanzi per prima cosa la ricerca del loro profitto spirituale.

                Seguivano i mezzi con cui raggiungere il fine, che sostanzialmente nei tre programmi si riducevano a quattro: coltivare la messe della Congregazione Salesiana con promuovere la pietà cristiana nel popolo, con favorire le vocazioni ecclesiastiche, con opporre stampa a stampa, con interessarsi in tutte le guise dei fanciulli pericolanti. Per ogni cosa poi che nello spiegare quest'attività toccasse la religione, era legge un'assoluta dipendenza, oltrechè dal Sommo Pontefice, anche dai vescovi e dai parroci. [73] Salesiani e Cooperatori dovevano considerarsi fra loro come fratelli, richiedendosi liberamente dell'opera reciproca, semprechè si potessero aiutare a promuovere la maggior gloria di Dio e il vantaggio delle anime. L'obbligo che si faceva nel programma primitivo di versare annualmente una lira, non ricompare più nei posteriori; gli è che, a dir vero, le offerte pecuniarie entrano di per sè nell'ordine dei mezzi sopra indicati, in quanto esse servono ad attuarli, sicchè non occorrono prescrizioni tassative in proposito.

                Sorvoleremo sulle disposizioni concernenti il regime interno, d'allora a oggi rimaste pressochè immutate. È un ordinamento per parrocchie e per diocesi che richiama quello assegnato posteriormente all'azione cattolica.

                Un organo ufficiale per i Cooperatori, non ancora menzionato nel primo regolamento e ripetutamente promesso negli altri, non darà inizio alle sue pubblicazioni fino all'agosto del '77.

                In tutti questi programmi non c'è parola di donne. Forsechè Don Bosco non vi pensava? o credeva egli di poter prescindere dalla cooperazione femminile? Nient'affatto. Un giorno, discorrendo familiarmente con Don Barberis, dopo aver detto che, allestite ormai le scuole per i Figli di Maria, attendeva a “un altro affare molto importante, cioè all'Associazione Salesiana”, proseguì: “Da circa due anni ci lavoro attorno. Ora ne formulerò le norme, che prima del finire dell'anno si renderan pubbliche. Ci vorranno due anni a consolidare l'Opera. Intanto ho già fatto un altro progetto, che in questi due anni maturerò e, assicurata l'esistenza dell'Opera dei Cooperatori Salesiani, lo metteremo fuori: sarebbe da fare quasi direi un terz'ordine per le donne, non però aggregate a noi, ma associato alle Figlie di Maria Ausiliatrice[48]”. Se non che, recatosi egli poco dopo a Roma e presentato a Pio IX il programma dei Cooperatori Salesiani, il Papa, visto che di [74] Cooperatrici non vi si parlava, disapprovò expressis verbis tale esclusione. - Le donne, disse, ebbero sempre parte principale nelle opere buone, nella Chiesa stessa, nella conversione dei popoli. Esse sono benefiche e intraprendenti nel sostenere le opere buone anche per inclinazione naturale, più che gli uomini. Escludendole, vi privereste del più grande degli aiuti. - Il Servo di Dio, per il quale ogni desiderio del Papa era comando, metterà da parte il suo modo di vedere e, appena assicurata l'esistenza dei Cooperatori, vi aggregherà le Cooperatrici.

                Prima di ripigliare il filo del racconto, porremo qui due dichiarazioni fatte alquanto posteriormente da Don Bosco, ma utilissime a ben comprendere insieme con la lettera anche lo spirito dell'Opera. In una conferenza pubblica tenuta da lui a Borgo S. Martino il 1° luglio del '80, ribadendo e completando un concetto che si legge nei proemi dei tre programmii, egli parlò così: “Una volta poteva bastare l'unirsi insieme nella preghiera; ma oggidì che sono tanti i mezzi di pervertimento, soprattutto a danno della gioventù di ambo i sessi, è mestieri unirsi nel campo dell'azione e operare[49]”. Sei anni dopo, parlando a sacerdoti ex - allievi convenuti nell'Oratorio per festeggiare il suo onomastico, disse loro: “L'Opera dei Cooperatori Salesiani... si dilaterà in tutti i paesi, si diffonderà in tutta la Cristianità, verrà un tempo in cui il nome di cooperatore vorrà dire vero cristiano... I Cooperatori saranno quelli che aiuteranno a promuovere lo spirito cattolico... Più la Santa Sede sarà bersagliata, più dai Cooperatori sarà esaltata; più la miscredenza in ogni lato va crescendo e più i Cooperatori alzeranno luminosa la fiaccola della loro fede operativa[50]”. Il Papa Pio IX a persona di sua confidenza aveva detto un anno avanti la morte: “I Cooperatori Salesiani sono destinati a fare del gran bene nella Chiesa e alla civile società. L'opera loro... sarà col tempo così apprezzata, [75] che già mi par di vedere non solo famiglie, ma città e paesi interi a farsi Cooperatori Salesiani”[51].

                L'azione cattolica, definita da Pio XI cooperazione di laici alla gerarchia ecclesiastica, non incarna forse l'idea dominante che guidava Don Bosco nel dettare le norme della cooperazione Salesiana?

                Don Bosco nelle sue intraprese non perdeva mai di vista il su remo obiettivo di arricchire le anime con i tesori della grazia celeste. Finchè i suoi benefattori non furono in gran numero, egli si fece un dovere di compiere verso ciascuno quei tratti di riconoscenza che essi meritavano, specialmente assicurandoli delle sue e altrui preghiere e implorando per loro benedizioni e indulgenze individuali dal Sommo Pontefice. Ma, moltiplicatisi quelli col moltiplicarsi delle sue Opere, ciò gli tornava ormai impossibile; onde, costituita l'Associazione, si adoprò perchè le fossero accordati favori spirituali molto abbondanti, che procacciassero ai Soci un ben prezioso compenso del loro zelo e dei loro sacrifizi.

                Il Papa Pio IX lodò per la prima volta e vivae vocis oraculo approvò l'Associazione Salesiana in un'udienza del 22 febbraio '75. Incoraggiato dalla benignità del Pontefice, Don Bosco insieme con il regolamento per l'Opera di Maria Ausiliatrice mandò pure ai vescovi quello per l'Associazione, implorandone le relative commendatizie. Il Vescovo di Tortona, tra gli altri, ne scriveva così a Don Bosco: “L'Associazione Salesiana, che può benissimo considerarsi un terz'ordine della benemerita di Lei Congregazione già definitivamente approvata dalla santa Chiesa, mi sembra pure opportunissima e direi provvidenziale nelle attuali condizioni della società, sia per lo scopo, a cui mira, sia per l'organamento e modo di funzionare che vi sono tracciati, molto giovevoli, a mio avviso, a porre in opera le affettuose esortazioni ripetutamente fatte dal Santo Padre a questo riguardo[52]”, Con la lettera già riferita [76] altrove[53] Don Bosco interpose i buoni uffizi del Card. Berardi per far pervenire alla Santa Sede le sue suppliche, avvalorate dalle commendatizie vescovili.

                Egli non poteva ancora chiedere l'approvazione definitiva, la quale non si suole accordare se non dopo un decreto di collaudazione. Fece quindi umili istanze al Santo Padre, perchè si degnasse concedere le seguenti facoltà: 1° che le grazie e indulgenze accordate ai religiosi interni fossero dal Superiore Generale comunicabili ai benefattori esterni; 2° che il Superiore Generale potesse delegare i direttori delle Case particolari a comunicare i mentovati favori. Nel Breve di concessione, recante la data del 30 luglio 1875[54], Don Bosco ebbe la gioia di leggere che i benefattori della sua Società vi erano considerati “non altrimenti che se fossero Terziarii”. Un gran passo era fatto.

                Ma Don Bosco non si arrestò a mezzo cammino; egli mirava all'approvazione formale da parte della Santa Sede. Perciò il 4 maggio del '76 umiliò al Santo Padre una supplica concepita in questi termini:

 

                               Beatissimo Padre,

 

                Dal giorno che V. S. si è degnata di approvare definitivamente l'Umile CONGREGAZIONE DI S. FRANCESCO DI SALES crebbe notabilmente il numero dei suoi Soci e molto si allargò il campo della messe evangelica loro proposta. Alla vista del crescente bisogno crebbe eziandio il numero dei fervorosi Laici ed Ecclesiastici, che offerirono con sollecitudine la loro cooperazione, ma unanimi si fecero a chiedere una specie di Regolamento, che servisse a conservare l'uniformità nell'operare e assicurare la stabilità di que' sani principii, che solamente si trovano inconcussi nella Nostra Santa Cattolica Religione. Questo Regolamento, Beatissimo Padre, venne formolato col titolo di COOPERATORI SALESIANI, e con esso si ha in animo di invitare quelli, che vivono nel secolo, a venire in aiuto a coltivare quella stessa messe che forma lo scopo della PIA SOCIETÀ SALESIANA.

                La Santità Vostra degnavasi di far esaminare tale progetto, benedirlo e commendarlo. Molti Vescovi furono solleciti di accoglierlo [77] per le rispettive Diocesi, ed ora colle loro Commendatizie inviarono l'umile esponente a supplicare V. S. affinchè con atto di speciale Clemenza si degni aprire il tesoro delle Sante Indulgenze. In questo modo ognuno può essere assicurato che l'Opera degli Oratorii è da V. S. benedetta e commendata, ed ha un conforto da quella Religione cui di buon grado i Cooperatori consacrano le loro fatiche.

                Tutti pertanto supplicano V. S. a voler concedere ai RELIGIOSI SALESIANI e ai loro COOPERATORI:

                1° Indulgenza Plenaria in articolo di morte, purchè facciano sacrifizio delle loro vita a Dio, accettando quel genere di morte che a Lui piacerà inviare;

                2° Le Indulgenze e i Favori Spirituali dei Terziarii di S. Francesco d'Assisi;

                3° Le Indulgenze relative alle Chiese e alle feste di S. Francesco d'Assisi possano lucrarsi nelle feste di S. Francesco di Sales e nelle Chiese della Congregazione Salesiana.

                Pieno di fiducia che V. S. voglia degnarsi di concedere gli implorati favori, chiedo umilmente una speciale Apostolica Benedizione sopra tutti i Cooperatori e sopra tutti i Benefattori della Congregazione, mentre colla massima venerazione e con figliale ossequio mi prostro

                Di V. S.

                Torino, 4 Marzo 1876.

 

Umile figliuolo ed Obbl.mo Supplicante

Sac. GIO. BOSCO.

 

                La risposta fu un Breve del 9 maggio[55], con cui la Santità di Pio IX, “affinchè tale Società prendesse ogni dì maggiore incremento”, concedeva le chieste indulgenze, non più per il tramite del Superiore Generale, ma direttamente alla stessa “Società o Unione dei Cooperatori Salesiani”. Con il qual atto la Santità Sua riconosceva in modo non equivoco l'Associazione.

                Ora bisognava far conoscere la Società, la benedizione pontificia e i favori spirituali; a tal fine il Beato allestì un opuscoletto, del quale diede contezza all'Ordinario, mandandogliene la prima copia incompleta, per la ragione che si vedrà. [78]

 

                               Eccellenza Rev.ma,

                Questa mattina si è terminata la stampa e composizione del libretto Cooperatori Salesiani. È una specie di terziario con cui il S. Padre concede ai nostri benefattori alcuni favori spirituali. Dopo la benedizione del S. Padre fo a V. E. Rev.ma umile preghiera di voler impartire pure la sua benedizione come Arcivescovo della Casa principale, e, se non Le dispiacesse, permettere che dopo il S. Padre sia annoverato la E. V. nel catalogo di questi promotori.

                Le fo queste due proposte per dovere e se Ella aderisce, le avrò come due favori segnalati. Ma in ogni caso La prego di accogliere questo scritto come segno di alta stima e di profonda ammirazione verso alla E. V.

                Mi permetta che mi professi con viva gratitudine

                Di V. E. Rev.ma

 

                Torino, 11 luglio 1876.

Obbl.mo Servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Se non che si riaffaccia qui la questione già sfiorata nel capo antecedente. Questa volta è l'Ordinario stesso a metterla in campo. In una prima notificazione si comunica al Servo di Dio essere Monsignore spiacente che egli abbia pocanzi pubblicato il libro Cooperatori Salesiani senza sottoporlo alla revisione ecclesiastica; inoltre che, abbia ivi pubblicate indulgenze, e pubblicata una Pia Società, della cui istituzione canonica non risulta all'Autorità ecclesiastica di Torino. Monsignore perciò voler sapere come sia andata questa trasgressione di quanto è prescritto dalle leggi diocesane e dallo stesso Concilio di Trento. Gli si faceva pure un forte richiamo per l'uso della banda in chiesa, contro le prescrizioni sinodali e canoniche[56].

                Don Bosco, che visitava allora i collegi della Liguria e non fu di ritorno se non per il 29 del mese, potè rispondere solo il 1° agosto.

 

                               Ill.mo Sig. Canonico Chiuso,

 

                Giunto dalla visita fatta alle case di Liguria, trovo la tua lettera del 16 scaduto luglio, cui, sebbene in ritardo, mi affretto di rispondere.

                L'Opera dei Cooperatori Salesiani non fu pubblicata. La prima [79] copia fu mandata a S. E. Rev.ma Mons. Arcivescovo, copia non ancora tutta stampata, perchè se tu guardi la 38 pagina, la trovi in bianco, e là io divisava fosse stampata la benedizione dell'Arcivescovo nostro, se avesse giudicato di darla, Ciò feci per consiglio di alto personaggio, il quale credeva essere un riguardo speciale, che dopo il nome del S. Padre apparisse quello dell'Arcivescovo di Torino.

                L'Opera dei Cooperatori non è diocesana, ma generale, e in tutto ciò che si riferisce a religione, dipende da Vescovi, da parroci, che in tale parte ne sono arbitri assoluti. Non è possibile trattar con tutti gli Ordinari di tale istituzione; io l'avrei (sic) però di buon grado trattata col nostro Arcivescovo, se non fossi costretto a trattare per persona intermediaria, per cui difficilmente le cose possono farsi intendere nel loro vero senso. L'Opera di Maria Ausiliatrice ne è esempio. È un anno che il programma è alla Revisione ecclesiastica, è un anno che lo stampatore ha le forme composte e compaginate, ma finora, non si ebbe ancora alcuna definitiva risposta.

                Finchè ho potuto aprire il mio cuore a S. E., io non moveva un dito senza il suo dotto, prudente ed accorto parere. Ho dovuto amaramente cessare, quando non ho più avuto libertà di parlare, oppure non era più creduto.

                In quanto alla musica istrumentale non ho veduto alcuna proibizione nel Sinodo; le regole della Chiesa non mi paiono contrarie, giacchè a Roma le più solenni funzioni sogliono farsi colla musica istrumentale, almeno quelle che ho veduto io. Tuttavia in ossequio ai desideri espressi da Mons. Arcivescovo dopo la festa di Maria A. 1875 la musica istrumentale non ha più preso parte in alcuna delle funzioni della chiesa di Maria A. Ultimamente accompagnò la processione di S. Luigi, ma solamente fuori di chiesa e non più.

                Se le cose fossero intese nel loro senso, quanti disturbi sarebbero impediti, e quanti dispiaceri di meno, perchè involontari.

                Tu poi abbimi sempre in G. C.

                Torino, 1 Agosto 1876.

povero scrivente e servitore,

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Il Segretario di S. E. accusò ricevuta e promettendo di esporre a Monsignore il contenuto del foglio subito dopo il suo ritorno da una non lunga assenza, dichiarava sperare che Monsignore, comprendendo il procedimento seguito, ne sarebbe rimasto soddisfatto[57]. Per altro, mentr'era in Liguria, il Beato, non venendo l'approvazione e valendosi di un suo incontestabile diritto, fece stampare programma e regole ad [80] Albenga con licenza di quella Curia, accordata il 26 luglio e con la firma del canonico Folcheri, Vicario Generale. Ne fece fare tosto la traduzione in francese.

                La questione del manualino dei Cooperatori Salesiani pareva sopita; ma quando di lì a due mesi Don Bosco chiese licenza di pubblicare l'ultimo Breve, si riaccese più ardente che mai la questione principale. Se ne ha la prova nella seguente lettera.

 

                               Rev.mo Signor D. Gio. Bosco, Superiore dei Salesiani,

 

                Monsignore Arcivescovo mi dà incarico di rispondere alla lettera di V. S. delli 5 corrente Ottobre con dirle, che esso non può permettere la pubblicazione, a cui quella sua lettera accenna, senza mancare al suo dovere di custode delle leggi canoniche.

                In primo luogo un Rescritto Pontificio contenente indulgenze, prima di essere pubblicato, deve essere presentato all'Ordinario del luogo, affinchè questi ne esamini l'autenticità, e quindi gli apponga il Visto. Perciò il Breve Pontificio, a cui la S. V. allude dovrebbe essere comunicato alla Curia Arcivescovile nel suo originale.

                In secondo luogo il Breve Pontificio è in favore d'un'Associazione di Cooperatori Salesiani, la quale è già canonicamente instituita: Cum, dice il Romano Pontefice, sicut relatum est Nobis, Pia quaedam sodalitas canonice instituta sit. Ora una tale società non può essere stata instituita canonicamente, se non dal Sommo Pontefice, o da un Vescovo per la sua Diocesi, o da un altro, non Vescovo, con speciale autorità del Sommo Pontefice. Nel primo caso si dovrà mostrare alla Curia Arcivescovile di Torino il Rescritto Pontificio di quella erezione canonica: nel 2° caso, si mostri alla stessa Curia la carta di erezione canonica, fatta dal Vescovo che ha instituita quella società, e della facoltà data dal Sommo Pontefice a quel Vescovo, di erigere la società anche per altre Diocesi: nel 3° caso poi si mostri alla Curia la Carta della Facoltà data dal Sommo Pontefice a quel personaggio non Vescovo, di instituire quella società; ed il documento con cui lo stesso personaggio, usando della detta facoltà, instituì la società.

                Fino a che non s'adempiono queste cose, a Monsignore Arcivescovo non è lecito acconsentire alla dimanda di V. S., a cui egli augura ogni benedizione.

                Con tutta la considerazione mi dichiaro

                Di V. S. Rev.ma,

                Torino, li 11 ottobre 1876.

dev.mo umil.mo servitore

R. Can. CHIUSO, Segret. [81]

 

                Don Bosco aveva ben altro per il capo in quei giorni. Un novello stuolo di 24 Missionari era sulle mosse. Questa letterina ci rappresenta al vivo quali preoccupazioni si sovrapponessero allora alle sue occupazioni ordinarie.

                Carissimo Sig. Cavaliere,

                Ricevo notizie con parecchie lettere che mi fissano la partenza de' nostri Missionari pel principio di Novembre p. Ciò mi dà gran pensiero e senza poterla riverire debbo partire domani per tempissimo per pensare, preparare e provvedere. Ma prima della loro partenza ci vedremo certamente e prenderanno i suoi ordini. Dio conceda ogni bene a Lei e a tutta la sua famiglia e preghi per chi si professa in G. C.

                Chieri, 9 ottobre 1876.

                Umiliss. Servitore

Sac. GIO. BOSCO.

Al Chiaris. mo Signore

 

                               Il Sig. Cav. Marco Gonella. - Chieri.

 

                Non solo questo, ma dovette anche, come si vedrà più innanzi, accompagnare i Missionari a Roma, dove l'attendevano negozi di gran rilievo. Dalla Città Eterna scrisse all'Oratorio alcune righe, che ricevono luce dai fatti or ora narrati e insieme li illuminano; righe tanto più preziose, perchè costituiscono l'unico documento che siasi finora rintracciato intorno all'andamento della controversia sui Cooperatori durante la fase risolutiva. L'autografo manca d'intestazione, di data e della firma. Sia ciò da attribuirsi a prudenza o alla fretta, certo è che il foglio dovette far parte di un plico. Il contenuto è di tal natura che in quella forma non poteva esser diretto se non all'alter ego di Don Bosco, a Don Rua; la stessa pagina anzi contiene informazioni molto confidenziali e di carattere delicato, espresse in latino su persone e cose dell'Oratorio. Che provenga da Roma, risulta evidente dal contesto; che si riferisca al noto affare e a questo momento della controversia, sembra anche fuor di dubbio, sol che se ne ponderi il tenore e che lo si metta in relazione con le  [82] circostanze. La grafia è sicurissima. Resta che ne caviamo le conclusioni.

                Ecco il documento: “Lasciamo stagionare la risposta della [= alla] Curia Arciv. di Torino; manda qualcuno che dimandi il Breve, affinchè non si perda; giunto a Torino, se c'è qualche cosa da fare, la faremo, ma s'insista per aver il Breve. Quello dei Cooperatori Salesiani non si farà stampare in Torino e quindi non occorrono quistioni, ma ci diano il Breve. Se poi dimandano con insistenza, dove e chi istituì i Salesiani Cooperatori, dirai che qui a Roma da una persona di autorità grande mi si disse: Quando una Congregazione Romana emana un Breve od un decreto, non suole dare se non le ragioni espresse in questi; e che le autorità locali devono solamente esaminare l'autenticità dell'atto, ma non le ragioni preventive”.

                Dunque il Breve del 9 maggio fu “comunicato alla Curia Arcivescovile nel suo originale”, secondochè si esigeva e com'è ovvio che Don Bosco abbia fatto senza esitare. Per altro la risposta si doveva lasciar “stagionare”, cioè non rifiutare, ma solo differire a tempo opportuno. La frase “quello dei Cooperatori Salesiani sembrerebbe distinguere fra il Breve dei Cooperatori e qualche altro menzionato nel periodo antecedente; ma non è così, perchè il ritornello finale “ma ci diano il Breve”, che ci riporta al primo periodo, fa una cosa sola con “quello dei Cooperatori”. Una distinzione vi si fa, ma un termine è nella mente di Don Bosco e riguarda documenti pontifici da potersi pubblicare dovunque. Viene in sostanza a dire così: - Non si allarmino quei signori, consegnino pure il Breve dei Cooperatori. Noi faremo stampare a Torino gli altri documenti pontifici, ma quello dei Cooperatori no. - Si poteva parlar più chiaro, non c'è dubbio; ma nella premura scorrevano frequenti dalla penna di Don Bosco le imperfezioni formali in scritti privati. Chi sarà poi la “persona di autorità grande”? Il Card. Berardi? il card. Antonelli? mons. Vitelleschi? Poco importa conoscerne il nome. Infine [83] la risposta da dare nell'ipotesi d'insistenze, sarebbe stata lì per lì evasiva, tale da permettere a Don Bosco di giungere a Torino e fare quindi ciò che vi fosse da fare.

                Non isfugga all'accorto lettore l'inversione affatto insolita che salta subito agli occhi in “dove e chi istituì i Salesiani Cooperatori”. È una variazione spontanea, ma non fortuita nè tanto meno prodotta da conscio o inconscio movente stilistico; in quell'istante alla mente di Don Bosco si parava dinanzi la risposta lasciata a stagionare e, come non di rado avviene, influì sulla dicitura, senza che egli se n'avvedesse. La risposta stagionata c'induce a pensare così.

                Di questa risposta noi possediamo la minuta autografa in sette facciate su ordinaria carta da lettera, tempestate di correzioni. Don Bosco intende ivi a dimostrare, che il canonice instituta del Breve ha buon fondamento nella realtà, e che quindi il sicut relatum est Nobis non cela nulla di surrettizio. La più spiccia sarebbe stata senza dubbio di mettersi d'accordo antecedentemente con la Curia; ma con quale speranza di risultato? Si ricordi il “Guai se si fa ancora un passo!”. Don Bosco dunque saltò la barriera ed entrò in diretta relazione con Roma. Il bene da fare non gli permetteva di perder tempo in questioni de lana caprina.

                A sempre meglio intendere l'incalzante attività di Don Bosco e la sua tattica nell'agire, ci sembra qui il luogo di riportare un colloquio da luì avuto con Don Barberis il 31 maggio di quest'anno e da Don Barberis registrato nella sua più volte citata cronachetta. Parlava egli dello spirito che doveva informare la novella Congregazione. Tre note caratteristiche disse appartenere all'indole di essa: grande attività, non mai urtare di fronte gli avversari, e, se non si può lavorar qua, andare là. Indi proseguì: “Noi non ci fermiamo mai, vi è sempre cosa che incalza cosa. Ora parrebbe necessario Consolidarci meglio e non ampliarci tanto; eppure io vedo che dal momento che noi ci fermassimo, la Congregazione comincerebbe a deperire. Nemanco un giorno di sosta! Non è ancor finito [84] un grande affare, che già un altro ci spinge. Non era ancora imbarcato il drappello destinato all'America, che io correva a Nizza per aprire quella nuova Casa. Stavamo ancora in trattative con Nizza, che già la domanda per Bordighera urgeva. Ciò non era ancor compito, che già bisognava affrettarci e pensare di aprire in Torino la Casa per le Figlie di Maria Ausiliatrice. Intanto viene la necessità di dover andare a Roma. Qui, sempre più una cosa incalza l'altra. Non è ancora ultimato il disegno per i Figli di Maria Ausiliatrice, che già si presenta al Santo Padre quello dei Cooperatori Salesiani. Non si ha tempo a concludere questo, che viene a precipizio il pensiero della Patagonia. La Patagonia stessa è incalzata dal magnifico progetto offerto dal card. Franchi e dal Santo Padre del Vicariato nell'India... e poi altri... e poi altri. La povera testa di Don Bosco è oppressa da tante cose e ne soffre terribilmente. Eppure, avanti, avanti! Il consolidamento della Pia Società deve farsi... e vedo che si fa... contemporaneamente... ma senza fermate”.

                Torniamo al documento. Esso riveste agli occhi nostri tanta importanza, che non lo relegheremo nell'appendice, sebbene sia piuttosto lungo. Ci pare vada letto qui per disteso, inquadrato nella narrazione. Scrive Don Bosco nel suo pacato e limpido stile.

 

COOPERATORI SALESIANI.

 

                La storia dei Cooperatori Salesiani rimonta al 1841, quando si cominciò a raccogliere i ragazzi poveri ed abbandonati nella città di Torino. Si raccoglievano in appositi locali e chiese, erano trattenuti in piacevole ed onesta ricreazione, istruiti, avviati a ricevere degnamente i Santi Sacramenti della Cresima, della Confessione e Comunione. Al disimpegno dei molti e svariati uffizi unironsi parecchi signori che coll'opera personale o colla loro beneficenza sostenevano la così detta opera degli Oratori festivi. Essi prendevano il nome dall'uffizio che cuoprivano, ma in generale erano detti benefattori, promotori ed anche cooperatori della Congregazione di S. Francesco di Sales.

                Il superiore di questi Oratori era il Sac. Bosco, che operando in ogni cosa sotto all'immediata direzione ed autorità dell'Arcivescovo,  [85] esercitava il suo ministero ricevendo le opportune facoltà oralmente e per lettera. Ogni volta poi che si presentavano difficoltà, l'ordinario le appianava per mezzo del sac. Bosco.

                Le facoltà di amministrare i santi Sacramenti della Confessione e Comunione, soddisfare al Precetto Pasquale, ammettere i fanciulli alla S. Comunione, predicare, fare tridui, novene, esercizi spirituali, dare la benedizione col SS.mo Sacramento, cantar Messa furono le prime concessioni di Mons. Arciv. Fransoni.

                I così detti promotori e cooperatori Salesiani costituiti come in vera Cong. sotto al titolo di S. Francesco di Sales cominciarono ad ottenere anche dalla S. Sede alcuni favori spirituali con Rescritto 18 aprile 1845 sottoscritto: pro Domino Card. A. del Drago L. Averardi Substitutus.

                Con questo Rescritto erano concesse alcune facoltà al Superiore e fra le altre di comunicare la Benedizione Apostolica e l'indulgenza plenaria a cinquanta promotori da scegliersi ad arbitrio del Direttore.

                In data 11 aprile 1847 Mons. Fransoni approvava la compagnia di S. Luigi fondata nella cong. Sal. con indulgenze concesse da lui e dalla Santa Sede.

                Nel 1850 il Sac. Bosco esponeva a S. S. essere stata legittimamente eretta in quella Città una Congreg. sotto al titolo e protezione di S. Francesco di Sales e si dimandavano più ampi favori agli aggregati ed altri ai non aggregati.

                Tali favori erano concessi con Rescritto 28 sett. 1850 firmato: Dominicus Fioramonti SS.mo D.no N. ab epistol. Latinis.

                La congr. dei Promotori Salesiani essendo così di fatto stabilita in faccia alle autorità ecclesiastiche locali ed anche della S. Sede, atteso la moltitudine di poveri fanciulli che intervenivano, fu necessità di aprire altre scuole, altri Oratori Festivi in altre parti della città. Affinchè poi fosse conservata l'unità di spirito, di disciplina e di comando, e si fondasse stabilmente l'opera degli Oratori, il Superiore ecclesiastico con Decreto o patente 31 marzo 1852 ne stabiliva il Sacerdote Bosco Direttore Capo con tutte le facoltà che fossero a tale uopo necessarie o semplicemente opportune.

                Dopo questa dichiarazione la congregaz. di promotori salesiani si giudicò sempre come canonicamente eretta e le relazioni colla Santa Sede furono sempre praticate dal Superiore di quella.

                Dal 1852 al 1858 furono concessi varii favori e grazie spirituali; ma in quell'anno la congr. fu divisa in due categorie o piuttosto in due famiglie. Coloro che erano liberi di se stessi e ne sentivano vocazione, si raccolsero in vita comune, dimorando nell'edifizio che fu sempre avuto per casa Madre e centro della pia associazione, che il Sommo Pontefice consigliò di chiamare Pia Società di S. Francesco di Sales, con cui è tuttora denominata. Gli altri ovvero gli esterni [86] continuarono a vivere in mezzo al secolo in seno alle proprie famiglie, ma proseguirono a promuovere l'opera degli Oratorii conservando tuttora il nome di unione o congr. di S. Francesco di Sales, di promotori o cooperatori Salesiani; ma sempre dai soci dipendenti, e coi medesimi uniti a lavorare per la povera gioventù.

                Nel 1864 la S. Sede commendava la Pia Società Salesiana e ne costituiva il Superiore. Nell'approvazione di questa avvi la parte che riguarda agli esterni, che furono sempre detti promotori o benefattori, e ultimamente Cooperatori Salesiani.

                Nel 1874 ne approvava definitivamente le Costituzioni, sempre sotto il nome di Pia Società. Ma considerando sempre i membri dell'antica congr. Sales come promotori e cooperatori delle opere che i soci intraprendevano, e a cui essi prestavano aiuto nelle scuole, nelle funzioni religiose, a ricreazione festiva e nelle cose che solevano compiersi in mezzo al secolo, nel 30 luglio 1875 la Sacra Congregazione dei Brevi concedeva al Superiore della Società Salesiana che potesse concedere Indulgentias et gratias spirituales societatis ipsi a S. Sede concessas, a suoi antichi cooperatori, insignibus benefactoribus communicandi perinde ac si tertiarii essent, iis exceptis quae ad vitam communem Pertinent.

                Questi benefattori sono quelli stessi che furono sempre detti promotori o cooperatori e che nelle costituzioni Salesiane antiche hanno un capo a parte e sono detti esterni.

                Pertanto quando per benigna concessione della S. Sede si concedevano novelli e più ampi favori ai cooperatori salesiani e si accennava alla pia Christifidelium Sodalitas, canonice instituta, cuius sodales praesertim pauperum ac derelictorum puerorum curam suscipere sibi proponunt, si riferiva:

                1° A quegli antichi promotori di fatto approvati e riconosciuti per dieci anni come veri cooperatori dell'Opera degli Oratori; formalmente costituita colla patente del 1852, e che continuarono ad essere aggregati viventi nel secolo, quando alcuni di essi cominciarono a far vita comune con regole proprie nel 1858

                2° Questi associati o la Pia Società Salesiana fu sempre la Direttrice di quei benefattori, che secondo le regole loro proposte si prestavano con zelo e carità ad aiutare moralmente e materialmente i Congregati.

                Dopo l'attenta lettura di questo memoriale tornerà più agevole prendere per il loro verso certi termini della supplica, con cui Don Bosco chiedeva indulgenze per i Cooperatori Salesiani e che ebbe per effetto il contestato primo periodo del Breve. Si badi bene come Doli Bosco non presenti ivi  [87] al Santo Padre l'Associazione quasi fosse una novità, ma abbia l'avvertenza di dire che, approvata la Congregazione e allargatosi il campo della sua attività, crebbe eziandio, il numero di coloro, che generosamente offrirono la loro collaborazione. Per crescere bisogna già esistere. Si obietterà che la presentazione del Regolamento sembrerebbe far supporre cosa creata ex novo. Nient'affatto: Don Bosco ci dà la genesi del Regolamento, dicendo che furono i cooperanti stessi, così cresciuti, a chiedere unanimi una specie di Regolamento, che servisse a conservare l’uniformità...e assicurasse la stabilità. Un'altra obbiezione potrebbe sorgere dalla parola progetto, che s'incontra nel secondo capoverso; ma lì il progetto è l'abbozzo del Regolamento sottoposto a esame per l'approvazione, e non un disegno di nuova Società. Ed ecco poche righe più sotto farcisi innanzi come soggetto delle chieste indulgenze un ente che esiste da parecchio, l'Opera degli Oratori, l'antica Opera approvata da Mons. Fransoni, benedetta e ribenedetta da Roma, e perdurata nell'essere suo fino al momento della supplica. Non si riscontra dunque soluzione di continuità fra supplica romana e risposta torinese, quasi che questa fosse un'ingegnosa trovata postuma per correre ai ripari, ma fra l'una e l'altra intercede lo stesso rapporto che fra testo e commento.

                Se la vertenza abbia avuto seguito, non ci è dato nè di asserirlo nè di negarlo, mancandocene le prove. Il fatto è però che l'Associazione proseguì indisturbata l'opera sua in ogni nazione del mondo, visibilmente benedetta da Dio e universalmente accetta agli uomini. Oggi si sa abbastanza che cosa siano e che cosa vogliano i Cooperatori Salesiani; per altro non pochi perdurano nell'errore di credere che essi formino quasi un corpo di ausiliari, i quali, fiancheggiando la Congregazione Salesiana, a questa colleghino strettamente ed esclusivamente la loro cooperazione. Non così la pensava Don Bosco. Un giorno del '76 incontrato a S. Pier d'Arena Don Angelo Rigoli, parroco di Somma Lombardo, tra il serio e il [88] faceto gli definì a questo modo i Cooperatori Salesiani: “Saranno la massoneria cattolica per la loro propria santificazione e per la propaganda d'ogni sorta di bene nelle famiglie e nella Società”. Don Bosco indubbiamente mirò alto e mirò lontano. Gli quadra benissimo l'elogio che la Scrittura fa del sommo sacerdote Simone[58]: Mentre visse, sorresse la casa [di Dio]; e a' suoi giorni fu ristoratore del tempio. Ne’la mente di Don Bosco era germogliato il concetto dell’odierna Azione Cattolica.

 

 

CAPO V. Mediazione dell'Arcivescovo di Vercelli.

 

                Lo storico si trova talora di fronte a compiti abbastanza spinosi. A volte infatti il dir intiera la verità sembra non essere conciliabile con il religioso rispetto che si professa verso autorità di carattere sovreminente; ma viceversa il sacrificarne qualche lembo sarebbe far torto a chi nelle cose narrate ebbe parte cospiscua e vi ha acquistato il diritto alla stima indiscussa dei posteri. Stretto così fra incudine e martello deve chi scrive procedere ben cauto e regolarsi in guisa che la realtà dei fatti, riguardata da lui sine ira et studio, gli esca dalla penna ricostruita quale si attuò nel suo graduale evolversi, mantenendosi egli costantemente nella più serena e riguardosa equità.

                I malintesi con la Curia di Torino, anzichè accennare a chiarirsi e a dissiparsi, minacciavano d'infittire ogni giorno più. Per addentrarci più sicuramente nei meandri dell'affare, di cui ci occuperemo in questo capo, gioverà conoscere bene la faccenda dei quesiti, a cui intendeva riferirsi mons. Vitelleschi nella sua già da noi citata lettera.

                Il 23 settembre del '74 l'Ordinario di Torino aveva presentato alla Santa Sede i cinque seguenti quesiti:

                1° Le Costituzioni della Congregazione fondata da Don Bosco sono definitivamente approvate dalla Santa Sede?

                2° Questa Congregazione è posta nella classe degli Ordini Religiosi? È quindi soggetta immediatamente alla Santa Sede ed esente dalla giurisdizione dei Vescovi?

                3° È tolta al Vescovo la facoltà di visitare le Chiese e le Case di tale Congregazione? [90]

                4° È lecito al Rettore di accettare far vestire e professare, od anche accettare semplicemente come maestri, assistenti, ecc. i chierici della diocesi, senza il previo beneplacito, ed anche col dissenso del vescovo?

                5° È lecito al suddetto ricevere nella Congregazione chierici, cui il Vescovo ha fatto deporre l'abito, perchè li ha giudicati inabili al sacro ministero, e ciò senza il consenso, ed anche col dissenso del vescovo?

                La Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari non pose gran tempo in mezzo a redigere la risposta; ma, preparata che fu, se ne dovette sospendere l'invio “per gli scrupoli” del Cardinale Prefetto; la frase è del card. Berardi[59]. Per avere un'idea della meticolosità, che quel degno prelato portava nell'esercizio della sua alta carica, basti sapere che Don Bosco, mandando a Roma sul principio di maggio Don Bonetti e Don Lemoyne, in un promemoria di suo pugno sul modo di governarsi nell'Eterna Città, intorno alla persona del card. Bizzarri si espresse così: “Molto pio, moltissimo scrupoloso, non accetta regali, [non] vuole nemmeno che si preghi per lui per timore di simonia”.

                La risposta dunque sarebbe rimasta ancora chi sa fino a quando fra gli atti d'ufficio tenuti in sospeso, se il cardinal Berardi, qualificato in detto promemoria come “grande amico della Casa”, non avesse “raddoppiato le sue premure presso coloro ai quali prima aveva ricorso[60]”, affinchè si spedisse finalmente all'Ordinario torinese la lettera. Fu spedita difatti il 13 gennaio. Nel suo contenuto essenziale essa diceva: [91] Con Decreto riportato dalla Udienza di S. Santità, li 3 Aprile 1874, vennero definitivamente approvate le Costituzioni dell'Istituto Salesiano; ciò che non deve Ella ignorare, dappoichè ho motivo a ritenere con sicurezza, che il Superiore Generale del medesimo ne desse allora a V. S. comunicazione. Può Ella facilmente rilevare dal tenore del citato Decreto, di cui unisco copia, nonchè dell'altro a Lei noto, e precedentemente emanato sull'approvazione dell'Istituto stesso, quale sia la condizione al medesimo fatta, riportandosi nell'uno e nell'altro espressamente queste parole: Salva Ordinariorum iurisdictione ad praescriptum Sacrorum Canonum et Apostolicarum Constitutionum. Tale condizione importa in ogni Istituto di voti semplici, e quindi eziandio nel Salesiano, che, trattone il caso in cui fossegli dalla S. Sede concesso alcun privilegio, sono quelli Istituti esenti, ossia non soggetti alla giurisdizione degli Ordinarii soltanto in tutto ciò che è contenuto nelle Costituzioni dalla stessa S. Sede approvate.

                Circa poi il libero ingresso dei Chierici secolari negli Istituti di Voti Semplici, onde con grave iattura della Ecclesiastica disciplina non siano impedite le vocazioni allo stato più perfetto, ha dichiarato questa S. Congregazione, che ai medesimi è estesa la Costituzione del Sommo Pontefice Benedetto XIV Ex quo dilectus, nella quale è pure abbastanza provveduto a qualche caso urgente e straordinario, che reclamasse una contraria disposizione. Discende poi come una legittima conseguenza della or ora citata Costituzione Benedettina ciò che nel Decreto della S. Congregazione Super statu Regularium - Romani Pontifices del 25 Gennaio 1848 viene prescritto, sotto il numero II, che cioè agli Ordinarii non è mai libero di negare le Lettere Testimoniali ai Postulanti l'ingresso in qualunque Ordine anche di Voti Semplici. Non dubitando che vorrà la S. V. attenersi a tutte e singole queste disposizioni, prego Iddio che la feliciti.

 

                Tre giorni dopo il Card. Berardi, mantenendo una promessa fattagli, spedì a Don Bosco, naturalmente “con la più stretta riserva e per sola sua norma”, una copia di questo documento, nella speranza che si sarebbe una buona volta trovato il mezzo “per liberarlo dalla Croce che lo tormentava[61]”.

                Ma prima di procedere oltre dobbiamo dire purtroppo che la risposta di Roma lasciò letteralmente il tempo che trovò. Infatti dal principio alla fine dell'anno le cose non cambiarono punto. Come in gennaio l'Ordinario rifiutò la facoltà di predicare a due sacerdoti Salesiani, di cui uno, Don Milanesio, il futuro Missionario della Patagonia, dirigeva le scuole gratuite degli esterni e l'oratorio festivo di Valdocco, e l'altro, [92] Don Pietro Guidazio, futuro direttore del primo collegio di  Don Bosco in Sicilia a Randazzo, era professore patentato della quarta ginnasiale nell'Oratorio; così in dicembre la rifiutò a Don Giovanni Branda e a Don Angelo Bordone, prefetto il primo e laureato professore il secondo nel collegio di Valsalice. Quali fossero poi le ragioni di tali rifiuti, è rimasto sempre un mistero, perchè non ne fu mai comunicata alcuna. Inoltre, sempre le medesime ripulse ai chierici dell'Oratorio per le sacre ordinazioni; sempre i medesimi dinieghi delle lettere testimoniali a quanti ne facessero domanda per entrare nella Congregazione Salesiana; sempre le medesime negative alle preghiere di andar a funzionare presso i Salesiani. Nè potevasi aspettar di meglio, se, l'Ordinario stesso, replicando il 24 gennaio, aveva creduto di dover rilevare come quegli Eminentissimi non avessero capito i suoi quesiti, con cui dichiarava d'aver voluto render noto che Don Bosco riceveva nelle proprie Case preti della sua diocesi a farvi scuola, a confessare, a restare in Congregazione senza domandargliene licenza.

 

                Qualunque storico che ci tenga a essere coscienzioso, prima di procedere oltre, sente qui il dovere di premunire i suoi lettori da giudizi avventati. Chi dalle relazioni corse fra monsignor Gastaldi e il Beato Don Bosco presumesse di giudicate sommariamente l'Arcivescovo, di Torino, andrebbe lungi dal vero. Monsignor Gastaldi non era tutto qui. Egli infatti lasciò dietro di sè una fama tuttora viva di zelo energico e intraprendente nel governò dell'archidiocesi: torinese. Inoltre certe sue lettere pastorali si leggono anche oggi con utilità e con gusto, perchè nutrite di buona dottrina e scritte con: vigore di stile. Ebbe ammiratori entusiasti e fieri avversari nelle file ,stesse' del clero; nè questo recherà meraviglia â chi ha esperienza, della vita: solo chi non fa non falla,- e poi in questo mondo a contentar tutti non è riuscito mai nessuno. Nel caso di Don Bosco bisogna pur notare che persone conviventi con Monsignore facevano ai danni dell'Oratorio opera di denigrazione quotidiana. Ma sopra ogni altra considerazione sta .il fatto che l'Arcivescovo, tutto preso dagl'interessi del proprio gregge, non arrivò mai a persuadersi, che fosse cosa utile e giusta- favorire un'istituzione, la quale, mirando a larghe e lontane espansioni, gli aveva l'aria di sottrarre all'Archidiocesi tanti mezzi di bene, che gli sarebbe parso molto più ragionevole veder impiegati sul posto. Comunque sia, la divina Provvidenza permise che da tanti guai venissero al Beato Don Bosco innumerevoli occasioni di mostrare l'eroismo delle sue virtù. Del resto è.,noto come i grandi Fondatori siano tutti, chi più chi meno, vissuti in tribolazione per malintesi dello stesso genere.

 

                Il suo stato d'animo si rivelò involontariamente verso quel tempo in una visita all'Ospizio di San Pier d'Arena. Andò a vedere anche i luoghi più segreti. Si direbbe che fosse dominato dal timore che nelle case di Don Bosco si facesse d'ogni erba fascio, non rispettandosi alcuna legge, pur di tirare avanti. Così nell'80, da una parrocchia limitrofa della sua diocesi, comparve improvvisamente nella nuova Casa di S. Benigno Canavese, sita in diocesi d'Ivrea e, recatosi nella cappella, tirò diritto verso l'altar maggiore e vi tastò ben bene sotto la tovaglia, per vedere se la pietra sacra fosse in regola[62]. Ma torniamo a San Pier d'Arena. Osservando ivi sulla volta della vecchia chiesa un affresco, che ne rappresentava [93] il primitivo Patrono San Giovanni Evangelista, scattò e chiese in tono sprezzante: - Avete fatto dipingere Don Bosco là? - L'erronea interpretazione è più che sufficiente a scusare il tono; ma simili equivoci, accompagnati subito da espressioni risentite, nascono senza dubbio da preconcetti molto radicati, che vietano serenità e spassionatezza di giudizio.

 

                Dalla natura dei quesiti prima e poi dai buoni uffizi del card. Berardi comprese Pio IX l'opportunità di un intervento per tentar un rimedio, con cui impedire che le cose andassero di male in peggio. Commise dunque al porporato stesso d'incaricare mons. Fissore, Arcivescovo di Vercelli, “a volersi porre di mezzo, affinchè cessasse una volta la deplorevole divergenza sorta” fra Don Bosco e il suo Ordinario “per affari riguardanti la Congregazione” Salesiana. Il buon porporato obbedì “immediatamente al pontificio comando con l'indirizzare subito” all'Arcivescovo di Vercelli una lettera, della quale “riservatamente”mandava copia a Don Bosco. “Dopo di ciò, scriveva egli, starò in attesa del risultato e, conosciuto questo, vedrò il quid agendum[63]”.

                I termini della summentovata comunicazione a mons. Fissore erano onorevoli per ambe le parti. Qualche divergenza, forse non ignota all'Arcivescovo di Vercelli, esser sorta disgraziatamente fra l'Arcivescovo di Torino e il sig. Don Giovanni Bosco per affari riguardanti la Congregazione Salesiana; dissapori di tal natura tornar sempre disgustosi e per lo più produrre gravi e deplorabili conseguenze. Per rimediarvi averne Sua Eminenza tenuto proposito col Santo Padre; essersi questi degnato indicargli come miglior partito l'interposizione dell'Arcivescovo di Vercelli “fra l'uno e l'altro dei due rispettabili Ecclesiastici; aspettarsi dunque dalla sua saggezza e prudenza la cessazione d'un sì lamentevole stato di cose[64]. [94]

                Monsignor Fissore, per primo atto, si rivolse a Don Bosco (e allo stesso modo deve aver agito contemporaneamente con l'Ordinario), pregandolo che si compiacesse d'indicargli quali fossero i punti di divergenza fra lui e mons. Arcivescovo Reverendissimo riguardo alla sua Congregazione; ma per il momento non facesse parola di tale richiesta; procurasse intanto di ragguagliarnelo “con certa esattezza e minutezza”[65].

                Don Bosco non ebbe nulla da eccepire nè circa la mediazione nè circa la persona del mediatore; anzi nella quarta delle conferenze di gennaio, messi prudentemente a parte della faccenda i primari della Congregazione, si dichiarò lieto che s'intromettesse mons. Fissore, perchè, diceva, “è intimo col nostro Arcivescovo e si potrà finalmente sapere il motivo dell'opposizione che ci fa”.

                All'Arcivescovo di Vercelli Don Bosco a giro di posta rispose con questa lettera:

 

                               Eccellenza Rev.ma,

 

                La E. V. Rev.ma mi chiede quali siano i motivi di divergenza tra la povera Congregazione Salesiana e S. E. Rev.ma Mons. Nostro Arcivescovo, ed appunto di questo ho più volte cercato di poter parlare con Lui medesimo. Le dirò precisamente quello che so. Motivi a me noti nessuno.

                L'Arcivescovo adduce: D. Bosco riceve i chierici espulsi dal Seminario in sua Congregazione. Finora (12 gennaio 1875) non vi è alcuno di tali chierici che faccia parte alcuna delle nostre famiglie.

                D. Bosco fa stampare lettere dell'Arcivescovo senza dirgli niente. Non mi è passato nell'immaginazione. D. Bosco fa dettare esercizi senza permesso. Questi Esercizi furono dettati da circa 30 anni con permesso di tutti i Vescovi antecessori, confermato da Mons. Gastaldi medesimo. Appena fece opposizione a questo, o meglio appena Monsignore scrisse che disapprovava tali esercizi dei Maestri e Professori di Scuola, si è tosto dismessa ogni idea e non si diedero più. Monsignore ripete undequaque queste lagnanze e non altro. Il punto difficile sta che non crede a niuna cosa che D. Bosco dica o scriva, e più volte assicurato di quanto sopra, non ci crede e ripete lo stesso. [95]

                A Roma però si lagnò di altre cose. Gli scandali che danno i Salesiani, egli dice, sono tali che mi fanno temere che abbiano incorso le censure Ecclesiastiche. Ma non dà nè ragioni, nè adduce esempi. In altra lettera biasima l'Organismo di Nostra Congregazione dicendo: Un gran numero usciti da questa Istituzione danno motivo di biasimo presso a diversi Vescovi, e nella sua stessa Diocesi. Adduce l'esempio di D. Pignolo, di un prete di Saluzzo, di sette che furono ai sordomuti, che tennero condotta scandalosa. Più volte ebbi occasione di dire e di scrivere a Lui medesimo, che questi individui non hanno mai appartenuto alla Nostra Congregazione. Tuttavia egli è persuaso del contrario, e quindi disse e scrisse altre volte come sopra.

                L'ho più volte invitato e pregato a voce e per lettera a dirmi quanto desiderava da me, che voleva appagarlo in tutto quello che era possibile. Disse che voleva esaminare i nostri chierici intorno alla Teologia prima di ammetterli alle ordinazioni. Fu compiaciuto. Volle che quaranta giorni prima dell'Ordinazione si presentassero a Lui per essere esaminati intorno al luogo dei loro studi, patria, vocazione, perchè erano entrati in Congregazione. Fu appagato; sebbene ciò mi abbia cagionato non lieve disturbo. Volle che io assicurassi per iscritto che non avrei accettato alcun chierico espulso dal suo Seminario. Fu tosto appagato.

                Tuttavia da tre anni non giudicò più di ammettere alcun nostro chierico alle Ordinazioni, eccetto uno che dopo aver superato molte difficoltà fu ammesso alla Tonsura e ai Minori nel passato Sett. 1874. Si rifiutò di dare le testimoniali ad alcuni chierici che chiesero di venire con noi. Non ammise all'esame di confessione un nostro prete che, oltre al corso del quinquennio Teologico, aveva fatto il Triennio di morale al Convitto. Adduceva per ragione che egli non aveva emessi i voti perpetui. Ma se le regole di tutti gli Ordini religiosi attualmente obbligano ai voti triennali prima dei perpetui? Un prete Parroco di Como fu accettato nella Nostra Congregazione; venuto a saperlo, scrisse tosto una lettera a quell'Ordinario, in cui si diceva: Si prevenga il D. Guanella (ne è il nome) che venendo in questa Archidiocesi non avrebbe ottenuto mai nè il maneat, nè la facoltà di predicare. La Vigilia del Natale venne poi ad una grave deliberazione che, se non la prima nella Chiesa, lo è certamente, per quanto io sappia, nella Diocesi di Torino. La Vigilia del S. N. con un decreto, ricevuto in quel giorno, erano tolte tutte le facoltà, favori e privilegi concessi da' suoi antecessori e da lui medesimo a questa Congregazione e alle Chiese di essa. Eccettuava soltanto la facoltà di preparare alla Cresima e alla Comunione i nostri allievi. In forza di che la Benedizione del SS. Sacramento, le quarant'ore, tridui, novene, viatico, olio santo, esequie, funerali nell'interno delle case, dopo circa 30 anni d'esercizio furono tutte giubilate. Avendo poi giurisdizione speciale dalla S. Sede, finora non si è ancora modificato niente, e così furono risparmiate dicerie e scandali. [96] Questi fatti suppongono gravi motivi, che finora niuno ha potuto sapere. Se mai ella potesse saperli, sarebbe per me un giorno della massima consolazione il poterli immediatamente eliminare, quanto le mie forze e le nostre regole il comportano.

                Se dovessi dire quello ch'io penso, si è che il Demonio previde il bene che Mons. Gastaldi avrebbe potuto continuare a fare alla Nostra Congregazione, seminò zizzania in secreto modo, e riuscì a farla crescere. Disturbo immenso, dicerie da tutte le parti, diminuzione di preti e di confessori tra noi, dispiaceri gravi allo stesso Monsignore che per trent'anni fu il miglior mio confidente.

                Tutto quello che ho sopra esposto è letteralmente appoggiato sopra lettere autentiche, che io Le potrei a suo piacimento presentare.

                Mi compatisca della lunghezza di questa lettera, la legga come può; non posso servirmi di altri a motivo della materia esposta. Mi doni la sua benedizione e in quel che mi vuole si degni comandarmi come ad un suo povero ma

                Torino, 16 - 75.

Obbl.mo Umil.mo Servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Abbiamo ragione di credere che allegato a questa lettera fosse il seguente “Promemoria”, privo di data e di firma, dal card. Richelmy spedito con altri autografi del Servo di Dio alla Sacra Congregazione dei Riti il 10 settembre 1903:

 

PROMEMORIA.

 

                Credo bene unirle un promemoria sulla cagione dei dispiaceri verso Mons. Arcivescovo. A parer mio sono le notizie infondate che taluno al medesimo [fa] pervenire. Noterò solo alcuni fatti:

                1° Si volle persuadere Monsig. che D. Chiapale e D. Pignolo siano stati aggregati a questa congregazione. Nè l'uno [nè] l'altro non ci hanno mai appartenuto.

                2° Parecchi come assistenti o maestri andarono all'Istituto dei Sordomuti e si fecero poco onore, anzi [si] disonorarono. Non entro a giudicare alcuno; ma è certo che quelli non furono mai Salesiani.

                3° Molti usciti da questa cong. diedero gravi disturbi nelle diocesi, dove andarono. Posso assicurare che fino al 1874 niuno di nostra cong. se ne è allontanato. Un solo professo, e fu il cav. Oreglia, ora p. Federico Oreglia, il quale era come Laico e giudicò bene di uscire e ritirarsi coi gesuiti e fare i suoi studi.

                4° Si volle far credere a Monsignore che io stava stampando o aveva stampato lettere particolari di Monsignore stesso, che fece scrivere più lettere. Ciò non mi è mai e poi mai passato per la mente.

                5° Ho scritto un semplice invito pei soliti esercizi spirituali, e  [97] si vuole comunicare a Mons. Arciv. che era una circolare indirizzata a tutti i parroci. Nè io nè altri a mio ordine mandò tali inviti ad alcun parroco.

                6° Ho scritto per persuadere Monsignore che questi esercizi che dovevansi dettare dal 7 al 13 settembre p. non avevano più luogo; ed ecco subito riferire al Medesimo che D. Bosco a dispetto del suo Sup. ecclesiastico aveva iniziati i simulati esercizi e si facevano in Lanzo.

                7° Il Vicario di Lanzo lo assicura, che colà non vi sono altri che quelli della nostra congreg.; ma subito avvi chi si adopera di far credere il contrario all'Arcivescovo; quindi gravissimi disturbi Per chi faceva gli esercizi, e dispiaceri da ambe le parti.

                Potrei riferire lunga serie di simili fatti. Ora chi tira conseguenze da questi fatti, quali cose potrà conchiudere?

                Mi duole all'animo il dover lottare colle altre gravi difficoltà; e sostener gli effetti di queste relazioni.

                Occorrendo dirmi qualche cosa La prego deferire (sic) fino all'altra settimana; giacchè oggi parto in cerca di quattrini, trovandomi totalmente al verde. Sarò fuori 8 giorni.

                Che nulla in casa trapelasse di corde così tese, nessuno l'avrebbe potuto pretendere, tanto più essendosi dovuto da Don Bosco per necessità di cose dare qualche informazione ai membri del Capitolo Superiore e ai direttori nel convegno di san Francesco, non foss'altro perchè sapessero bene in quali rapporti giuridici si trovasse la Congregazione di fronte alle autorità ecclesiastiche locali. Questi superiori poi non si credevano affatto legati, come si dice, dal segreto del santo Ufficio. Si spiega quindi facilmente come talvolta anche in presenza di Don Bosco il discorso cadesse su lo scottante argomento. Un giorno appunto, parlandosi degl'intralci che da quella parte venivano a ostacolare i progressi della Congregazione, Don Bosco, sempre destro nel volgere a buon fine qualsiasi conversazione, disse con l'abituale sua pacatezza: - Fortuna per noi, che andiamo avanti sicuri in nomine Domini. Noi siamo certi che Dio vuole così. Perciò tutte le difficoltà che incontriamo, provengono da questo, che le cose o non sono chiaramente spiegate o non sono bene intese, e c'è qualche equivoco[66]. [98] Il 4 febbraio mons. Fissore venne a Torino, dove sentì prima separatamente Don Bosco e l'Ordinario, indi assistette nel palazzo vescovile a uno scambio d'idee fra loro due; dopo di che ripartì per Vercelli, sperando di aver ottenuto qualche buon esito.

                Intanto, essendo già trascorso quasi un mese dacchè Don Bosco aveva ricevuto le lettere del card. Berardi senza che si fosse più fatto vivo con lui, avvenuti gli abboccamenti suddetti, pensò essere ormai tempo di rompere il silenzio. Mise dunque in carta molto alla buona e inviò al benevolo Porporato la seguente relazione; mirabile per semplicità e serenità, non disgiunte da ragionevole fermezza. La dichiarazione posta in capo alla lettera, quasi a indicarne l'oggetto precipuo e a prevenire subito ogni dubbio che egli si facesse avanti a perorare pro domo sua, fermava senz'altro il suo proposito intorno al punto, che nel dibattito era stato per l'Ordinario il cavallo di battaglia.

 

DICHIARAZIONE DI NON RICEVERE

PIU' NESSUN CHIERICO DEL SEMINARIO,

 

                               Eminenza Reverendissima,

 

                Per non moltiplicare i disturbi inutilmente all'E. V. Rev.ma ho sinora ritardato a darle ragguaglio del nostro affare: ora premessi i più vivi sentimenti di gratitudine per la grande carità che ci usa le darò conto dell'operato. L'Arcivescovo di Vercelli mi scrisse tosto perchè gli dessi un cenno sulle vertenze tra la nostra Congregazione e il nostro Arcivescovo. Lo feci. Poco dopo venne egli stesso in persona e si fece dare minuta spiegazione di ogni cosa; di poi andò dal nostro Arcivescovo, cui espose ogni cosa insistendo a voler palesare i motivi, che lo muovevano ad opprimere in modo così violento una povera e nascente Congregazione. Dopo mi riferì come segue: - Lo feci parlar molto, lo interrogai su tutti i punti, egli asserì costantemente che ha niente contro di voi; la sola cosa di cui si lagnava era che D. Bosco riceva i suoi chierici Torinesi presso di sè senza chiedergli alcun permesso. - Espresse il desiderio di parlarmi e ci andai Giovedì. Dopo un'ora e mezzo di anticamera fui ricevuto; si parlò cortesemente di qualche cosa vaga, ma venuti all'argomento non si potè parlare ed io me ne partiva re infecta, quando giunse l'Arcivescovo di Vercelli, che mi fermò e mi invitò a continuare il trattenimento [99] in sua presenza dicendo: - Ciascuno qui può liberamente parlare.

                D. Bosco. - Non desidero altro che di sapere quali cose spiacciano a Monsignor Nostro Arcivescovo per adoperarmi ad evitarle.

                Mons. Gastaldi. - Io ho niente contro di questa Cong., ma avvi uno scandalo, che non posso tollerare, perchè in essa ricevonsi i chierici del mio seminario, e ciò mette tutto in disordine.

                D. Bosco. - Finora non avvi alcun chierico del seminario di Torino che faccia parte della Nostra Congregazione.

                Mons. Gastaldi. - Sì che ce ne sono; chi dice questo, nega i fatti.

                D. Bosco. - La prego, Monsignore, di volermi credere. Finora (il quattro febbraio 1875) non c’è alcun suo chierico che faccia parte dei Salesiani.

                Mons. Gastaldi. - (Qui saltò in collera; poi disse che io voleva fare il vescovo in sua vece e soggiunse): Se non li accettò in Congregazione, li accettò in sua casa e ciò mi cagiona disturbo.

                D. Bosco.  - Replicai che nelle case della sua diocesi non c'era alcun suo Chierico nè come Salesiano, nè come assistente. Avvene qualcheduno accolto in Alassio, diocesi di Albenga, che fu colà ricevuto per impedire le minacce e gli insulti preparati all'Arcivescovo dai parenti di quell'allievo; ma fu ricevuto come assistente, sebbene egli aspiri alla Congregazione.

                Mons. Gastaldi. - Questo nol posso permettere, non lo posso.

                D. Bosco. - Come ebbi già l'onore di scriverle, pare che le disposizioni della Chiesa, dirette a tutelare la libertà delle vocazioni religiose, diano libertà ai Chierici di ritirarsi in ordini religiosi .....

                Mons. Gastaldi. - Sì... Sì... Ma... Questi non hanno la vocazione religiosa, tennero cattiva condotta.

                D. Bosco. - Quindi non deve tanto rincrescere che tali individui abbandonino il seminario. I superiori loro poi sapranno a quale cosa destinare tali assistenti ecc.

                Mons. Gastaldi. - Io non posso transigere, io voglio una esplicita e formale promessa che nella sua Congregazione e nelle case da essa dipendenti non sarà mai per ricevere alcuno dei miei chierici espulsi dal mio seminario; non solamente in mia Diocesi, ma in ogni sua casa ovunque siano.

                D. Bosco. - Finora tali cose non si sono avverate, perciò non sembra il caso di rinnovare qui tale promessa che va anche a toccare le case nostre, che sono in altrui giurisdizione. Se però questo basta ad appagare la R. V., io Le do promessa formale, che, come ho fatto finora, non riceverò mai alcun chierico espulso dal suo seminario, senza il suo permesso; ma intendo che ciò sia nei limiti prescritti dai sacri canoni in favore dello stato di maggior perfezione, come appunto è la vita religiosa. [100] Tutto piacque, ma non l'ultima eccezione, come quella, diceva, che lascia far quello che piace. L'ho poi pregato a volermi dare ragione delle lettere scritte contro di noi. Negò le lettere e il tenore delle medesime, mentre io ne aveva alcune nello stesso mio portafoglio.

                Dimandai pure perchè non aveva ammesso alcun nostro prete all'esame di confessione.

                Mons. Gastaldi. - Perchè ha soltanto i voti triennali.

                D. Bosco. - Ma se la nostra Cong. è stata approvata in questo senso

                Mons. Gastaldi. - Questo è male, non mi piace, e poi la sua Congregazione non fu ancora totalmente approvata. Tuttavia quest'ultimo venga a prendere il suo esame e gli sarà dato.

                D. Bosco. - Perchè impedisce che preti di altre diocesi vengano in nostra Cong.?

                Mons. Gastaldi. - Perchè prima che un prete venga in mia diocesi, voglio sapere chi è.

                D. Bosco. - Ma viene in una congregazione religiosa.

                Mons. Gastaldi. - La quale è in mia diocesi.

                D. Bosco. - Che vuole adunque?

                Mons. Gastaldi. - Che dimandi facoltà di celebrare.

                D. Bosco. - So che i Canoni non comandano questo; so che le altre Congregazioni nol fanno; tuttavia per compiacerla, venendo preti in nostra Cong. dimanderò a V. E. la facoltà di poter celebrar in questa diocesi.

                Qui si dissero parecchie cose che non conviene affidare alla carta, la cui ultima conclusione fu:

                1° Unicamente per compiacere all'Arcivescovo, accettando chierici di questa diocesi in nostra Congregazione, li accetterò in abito borghese e non Ecclesiastico. Pei preti di altre Diocesi, si dimanderà il permesso di celebrare. Finora però non ce ne fu alcuno.

                2° L'arcivescovo promette di accettare all'esame tanto per le ordinazioni quanto per l'esame onde essere abilitati ad ascoltar le confessioni dei fedeli.

                Ci siamo lasciati, di buon accordo, ma tutti e tre assai mortificati per le cose, che si dovettero svelare. Verbalmente Le dirò il resto prima che spiri questo mese, come spero, in Roma. Anche il nostro arcivescovo ci si doveva recare, ma ora mi si dice che abbia rinunciato a questa gita. Mons. Fissore farà la sua relazione, che Ella riceverà. Le noto che la scelta per questo affare non poteva essere migliore. È uno dei più intimi amici del nostro Arcivescovo, conviene in tutto con lui, ed è forse l'unico, che siasi rifiutato l'anno scorso di farei la commendatizia presso al S. Padre. Ma è di coscienza assai dilicata, e sono persuaso che non varierà per niente lo stato delle cose che tra noi passarono. [101] Fino ai sedici sono a Torino, di poi parto alla volta di Roma. Tutti i Salesiani. Le sono obbligatissimi e pregano Dio che La voglia largamente rimeritare, mentre, col cuore pieno della più profonda gratitudine, ho l'onore di professarmi

                Della E. V. Rev.ma

                Torino, 7 febbraio 1875.

Obbl.mo servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Poco dopo la relazione privata di Don Bosco il Cardinale ricevette quella ufficiale dei paciere. Questo scritto veramente non getta nuova luce nè sul fatto nè sull'antefatto. Don Bosco anzi, che lo lesse a Roma, dichiarerà il 15 aprile, durante un cielo di conferenze con il suo personale dirigente, che a lui sembrò non essere “nè zuppa nè... pan molle” anzi noterà che differiva assai da quanto mons. Fissore gli aveva detto prima di vergarlo, e che non conteneva nulla di concreto e molto di astratto e che quest'astratto era piuttosto in suo disfavore, sebbene vi si scorgesse lo sforzo di tenere il piede in due staffe.

                Don Bosco nella medesima circostanza aggiungerà che tuttavia quella relazione non andò nelle mani del Santo Padre, se non postillata. Egli fu a Roma il 18 febbraio. Là il cardinal Berardi, prima di presentarla al Papa, dovette, come in altri Simili casi, fargliela vedere[67] per averne spiegazioni; chiariti così i fatti, dovettero d'accordo apporvi le postille marginali che vi s'incontrano. In queste postille si sente lo stile genuino di Don Bosco. Nondimeno neppur esse contengono per noi cose nuove, sicchè potremmo esimerci dal pubblicare il documento; a ogni modo, chi bramasse leggerlo, cerchi in fondo al volume[68].

                Mons. Fissore, fatto un riepilogo della sua relazione, lo inviò cortesemente a Don Bosco, il quale lo ebbe a Roma e restò colpito al vedere in che rilievo si mettessero anche ivi [102] certe esigenze dell'Ordinario torinese; laonde manifestò subito le sue impressioni al card. Berardi.

 

                               Eminenza Rev.ma,

 

                Dalla lettera scritta a V. E. e da quella scritta a me si vede che l'arcivescovo di Torino vuole che niun suo chierico entri in Congregazione religiosa senza suo permesso e previo suo esame di vocazione. Questo parmi totalmente contrario alle disposizioni della Santa Sede, e alla lettera scritta allo stesso dalla Sacra Cong. dei Vescovi e Regolari. - E poi il volere che nemmeno in altra Diocesi tali chierici possano trovare ricetto, parmi cosa non solo contraria ai sacri Canoni, ma contro alla stessa carità.

                Prendo parte alla grave malattia di sua suocera ed ho scritto un dispaccio a Torino che facciansi particolari preghiere all'altare di Maria Aus. per la E. V., affinchè lungamente ce la conservi pel bene della Chiesa e della nostra povera Congregazione.

                Si degni darmi la Sua S. Benedizione e mi creda con profonda gratitudine

                Della E. V. Rev.ma

                Roma, 28 - 2 - ‘75.

Obbl.mo Umil.mo servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                In mons. Fissore l'ottimismo della prima ora cominciò presto a smorzarsi. Sul principio di marzo, ignoriamo il perchè, egli ebbe la sensazione precisa che le malaugurate differenze, non che finite, stessero per rivivere intorno a una questione, sollevata bensì a Torino, ma tosto lasciata cadere: la questione dei sacerdoti d'altre diocesi, che, venuti per farsi Salesiani, non domandavano alla Curia la facoltà di celebrare. Quantunque non ve ne fosse obbligo di sorta, pure Don Bosco pro bono pacis promise che avrebbe d'allora in poi chiesta sempre tale facoltà; soltanto in questo, come in altro, non si volle vincolare per iscritto, perchè non ne venissero pregiudicati i diritti dell’esenzione. L'Arcivescovo di Vercelli, avuti chi sa quali indizi che l'opera sua pacificatrice fosse in pericolo, pensò di salvarla proponendo il tentativo di un componimento generale affidato a regolare scrittura. Essendogli nota però la recisa opposizione di Don Bosco a fare per iscritto dichiarazioni che compromettessero la sua Congregazione,  [103] lo invitò per lettera, quand'egli trovavasi tuttora in Roma, a riflettervi e a provvedere[69]. Non ci risulta che Don Bosco abbia modificato su questo punto il proprio atteggiamento.

                Su d'un altro punto egli non cambiò la sua linea di condotta: nell'invocare fatti specifici in luogo di accuse generiche. Vi insiste in una nota da lui portata seco in un'udienza pontificia e che di poi andò unita a una lettera dell'Arcivescovo nella posizione. Egli intitolò questo appunto “promemoria sicuro”, espressione prorompentegli dalla sicurezza del fatto suo. Dice il documento: “L'Arcivescovo di Torino fu più volte interpellato verbalmente o per iscritto a declinare una persona o un fatto dei soci Salesiani, cui si possano muovere tali lamenti; ma, [non] ha mai dato risposta alcuna. In altra lettera adduce fatti e nomina persone, che mette a carico dei Salesiani; ma queste persone, chierici, preti e laici, non mai in alcun modo hanno appartenuto alla Congregazione Salesiana, 12 marzo 1875”. I “lamenti” erano quelli vaghi, contenuti nella lettera, a cui questo biglietto era destinato e di cui ignoriamo il tenore, come non conosciamo il tenore dell’altra” ivi pure accennata. Si vede insomma che l'Ordinario scriveva lettere su lettere a Roma contro Don Bosco e la sua Congregazione.

                È ovvio credere che da Roma si esigessero dati positivi. Sembra infatti che fosse determinato da tale richiesta l'invito rivolto dall'Ordinario al Can. Marengo, perchè attestasse con dichiarazione scritta, se egli dicesse o no la verità asserendo: 1° D'avere incaricato lui di raccomandare a Don Bosco che non gli cagionasse più il grave dispiacere di ricevere chierici licenziati dal suo seminario; 2° aver esso Canonico adempito tale incarico; 3° averne avuto da Don Bosco in risposta che egli non poteva corrispondere al suo desiderio, perchè i sacri canoni gli davano il diritto di ricevere simiglianti chierici. [104] Il teol. Marengo dichiarò e sottoscrisse, ma non senza mettere bellamente le cose a posto riguardo al terzo punto, per il quale testificò “di avere dal Rev.mo signor Don Bosco avuto in risposta che avrebbe fatto tutto il possibile per aderire ai desiderii di S. E. Rev.ma, ma che non poteva dar parola ed obbligarsi a non accettare verun chierico licenziato dal seminario arcivescovile, perchè, soggiungeva, questo sarebbe contro un diritto accordato, e di cui gode il mio Istitiito, e non potrei rinunziare a quello senza danneggiare questo, ed io non ho autorità di farlo: ma dato il caso, non riterrò cotale individuo nella casa qui di Torino”. Infine, per non prendere abbaglio, si ponga ben mente alle date. L'invito a rilasciare questa dichiarazione è del 29 marzo 1875; ma il fatto da attestare risale all'aprile o al maggio del 1873, come dice l'Ordinario medesimo nella sua lettera al Canonico.

                Che cosa ci vorrebbe di più per riconoscere fallita la missione dell'Arcivescovo di Vercelli? Eppure non finisce tutto lì. Il 18 aprile ecco un'imposizione nuova: si esige che venga trasmesso alla Curia “il catalogo di tutti i sacerdoti che abitano nelle case” salesiane “dentro la diocesi di Torino” con l'indicazione per ciascuno “se sia professo con voti perpetui o solo professo con voti triennali: oppure sia realmente iscritto nel catalogo dei Novizi: oppure sia aspirante o semplice residente o domiciliato, ed in caso che sia aspirante o solo residente, e sia estradiocesano, se abbia l'Exeat e il Maneat con data non ancora scaduta”. Per la conferma poi delle patenti di confessione, si dica “se ciascuno... sia professo con voti perpetui e dove... abbia ricevuto la facoltà di confessare la prima volta, epperciò abbia subito l'esame”[70].

                Sebbene fosse questo un ingerirsi nelle cose interne della Congregazione e non mancassero lumi a Don Bosco sulla via da seguire, nondimeno per maggior prudenza domandò consiglio al Card. Berardi e al Segretario della Congregazione [105] dei Vescovi e Regolari. Il primo, infermiccio, gli rispose per mano altrui: “Mi duole grandemente il nuovo incidente, di cui Ella mi dà cenno nella gentilissima sua; ma ci vuol pazienza, anche in ciò. Strettamente parlando, cotesto Arcivescovo non avrebbe diritto di richiedere la nota individuale domandatale; ma pro bono pacis sarebbe prudente di secondare un tal desiderio, specialmente per ciò che riguarda i confessori, giacchè in questo vi ha egli diritto”. L'Arcivescovo Vitelleschi la pensava allo stesso modo, suggerendo soltanto di dare le indicazioni richieste, possibilmente, senz'alcuna firma e dichiarando essere indicazioni che da un momento all'altro avrebbero potuto variare, potendosi da oggi a domani trasferire gl'individui, com'era diritto di Don Bosco, qual superiore generale. Don Bosco accondiscese prontamente in tutto al volere dell'Ordinario[71].

                Nemmeno sul punto delle Ordinazioni si stette alle intese. L'Ordinario aveva promesso di ammettervi i chierici Salesiani; ma all'atto pratico non ne volle sapere. La giustificazione del suo procedere non potè per lui essere diversa da quella che ci fornisce la sua replica del 24 maggio alla Sacra Congregazione circa l'affare dei quesiti[72]: non aver egli mai ricevuto, notizia che la Congregazione Salesiana fosse stata definitivamente approvata dalla Santa Sede, nè che il Rettor Maggiore avesse per un decennio la facoltà di dare dimissorie. Dinanzi a sì categoriche affermazioni noi saremmo indotti a supporre nell'Ordinario una doppia dimenticanza; poichè il decreto autentico gli fu a suo tempo presentato personalmente da Don Bosco e poi direttamente comunicato dalla Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari.

                Nella medesima lettera si trascorreva quindi alle solite lagnanze, che nella Congregazione Salesiana si desse ricetto a laici ed ecclesiastici, desiderosi di sottrarsi all'autorità arcivescovile. Quest'ultima era una supposizione gratuita; [106] cacciare poi in mezzo a una strada chicchessia, mal si conciliava con la carità di Don Bosco; nè, a chi avesse mostrato buone disposizioni, si sarebbe potuto negare il permesso di legarsi, se non coi voti perpetui, almeno con i triennali, secondo le Costituzioni approvate dalla Santa Sede.

                Ma sì, come fare a intendersi? Quell'anno si festeggiò con qualche solennità il compiersi del settennio dalla consacrazione della chiesa di Maria Ausiliatrice. Don Bosco pregò Monsignore che vi volesse intervenire e insieme amministrare la Cresima agl'interni dell'Oratorio, sacramento che egli non vi conferiva più da tre anni; e gliene fece tanto più calda istanza perchè vi erano pure alcuni giovanetti, i quali, ricevuti da poco in grembo alla Chiesa cattolica, dovevano abbandonare l'Oratorio e recarsi in Inghilterra, con pericolo di non venir più cresimati. Negative su tutta la linea, financo per l'autorizzazione a invitare un altro vescovo che facesse le sue veci. S'immagini se il triplice rifiuto poteva passare del tutto inosservato e senz'ammirazione non solo dentro, ma anche fuori dell'Oratorio!

                Don Bosco una volta, discorrendo con Don Lemoyne a Trofarello, gli disse che non avrebbe mai creduta possibile una rottura fra sè e mons. Gastaldi, nemmeno se persone prudentissime gli avessero affermata con giuramento questa possibilità, sì stretti rapporti li legavano l'uno all'altro. Oltre a questi motivi personali, egli teneva l'onore dell'Arcivescovo come suo. Conoscendone l'impetuoso naturale, tentò in parecchie occasioni di raffrenarlo, avvisandolo e pregandolo.

                Un giorno, quand'erano ancora in buon'armonia, Don Bosco entrò nel suo gabinetto, mentr'egli vi stava scrivendo.

                 - Oh, Don Bosco, gli disse Monsignore, sono qua che ho per le mani un affare molto serio.

                 - Io credo che tutto ciò che fa l'Arcivescovo, sia cosa sempre seria, rispose Don Bosco.

                 - Ma qui si tratta d'un caso eccezionale. Sto per firmare una carta che riguarda un canonico,  [107]

                 - Sarà per promuoverlo.

                 - Promuoverlo?! Sospensione a divinis!

                 - La prego di voler ponderare prima attentamente la cosa, se proprio è così come Le fu riferita.

                 - La cosa è grave e le informazioni datemi sono esatte.

                 - E si potrebbe sapere chi è questo canonico?

                 - Don Calosso.

                 - Di Chieri?

                 - Precisamente: di Chieri.

                 - Monsignore, pensi che questo Canonico ha una fama di condotta integerrima. Tutta Chieri lo conosce e gli vuol bene. Sarebbe uno scandalo. Ne scapiterebbe l'autorità ecclesiastica.

                 - Eppure, eppure bisogna fare così!! - esclamò l'Arcivescovo risolutamente.

                E così fece. Si trattava di questioni per una cappella. Il canonico era vecchio e testardetto. Quando gli giunse la sospensione, il povero uomo, che non si aspettava un simile colpo, tutto fuori di sè, corse subito da Don Bosco, del quale era stato direttore spirituale nel seminario di Chieri, pregandolo che lo volesse ricoverare in una delle sue case per toglierlo alla confusione, in cui la grave miseria lo aveva gettato. Don Bosco lo mandò ad Alassio. Inde irae.

                È lecito ritenere però che le cose non sarebbero andate tanto innanzi, se persone del suo seguito non avessero soffiato e risoffiato sul fuoco, eccitando e rieccitando l'impulsività dell'Ordinario col rappresentargli le cose sotto falsa luce o col dipingergli a colori fantastici imprudenze commesse da individui dell'Oratorio o in genere i detti e i fatti dei Salesiani[73]. Era umanamente impossibile che nell'Oratorio tutto andasse pel filo della sinopia; inoltre, occhi avvezzi a guardare gl'istituti educativi composti di gioventù scelta o comunque governati a bacchetta, quanto avrebbero trovato da ridire [108] nei metodi dell'Oratorio! Per capire l'Oratorio bisognava viverci; il certo si è che i vecchi Salesiani, non punto rimbambiti, tornavano col pensiero all'Oratorio d'allora come al paradiso dei loro verdi anni. Ma la storia del conflitto è ancora lunga; elementi per un ponderato giudizio se ne verranno ammassando a poco a poco in gran numero.

                Intanto chi ci segue avrà notato l'umile calma, che ad ogni scontro disgustoso assisteva Don Bosco nelle sue deliberazioni. Don Rua, che più di tutti lo avvicinava, non ne udì mai parola che esprimesse mancanza di rispetto o di sommessione; anzi non l'intese mai parlare di questi affari se non con chi fosse assolutamente necessario, lasciandone ignari gli altri, affinchè non concepissero sentimenti meno caritatevoli o meno riverenti verso l'autorità suprema dell'Archidiocesi. Ed anche parlandone, soleva farlo come di una prova, a cui il Signore lo volesse assoggettare[74].

 

                In certi casi sapeva pigliare perfino un fare amabilmente scherzevole. Così un giorno, udendo un salesiano lanciar fuoco e fiamme contro l'Ordinario e dire che egli si sarebbe dovuto mostrare energico e respingerne le vessazioni, Don Bosco lo interruppe, e, accompagnando con i gesti le parole, gli disse: - E che cosa vorresti fare? che cosa? Io ho fatto quanto ho potuto. Ebbene, adesso faremo così. Ci metteremo noi due un bastone sotto il mantello, andremo in episcopio, lo pregheremo di aver pazienza, lo bastoneremo di santa ragione e poi tranquillamente ce ne torneremo a casa. - Erano presenti, molti che stavano attenti al dialogo e poi risero alla finale. In quel modo il Servo di Dio faceva dileguare dagli animi il risentimento.

 

 

CAPO VI. Viaggi a Roma.

 

                INTERESSI spirituali di varia specie chiamavano Don Bosco a Roma verso la metà di febbraio del '75: i suoi disegni sulle Opere di Maria Ausiliatrice e dei Cooperatori Salesiani, le Missioni d'America da lui già accettate e altre dalla Santa Sede propostegli, la comunicazione dei privilegi per la Congregazione e la facoltà di rilasciare le dimissorie assolute per gli Ordinandi. Delle due Opere si è detto abbastanza; delle due cose rimanenti si dirà in capi che verranno dopo. Qui seguiremo Don Bosco nella sua andata, nella sua dimora e nel suo ritorno.

                Le fonti a cui attingere per la narrazione di questo viaggio sono principalmente due: ma una di esse, il diario del suo compagno, sembra fatto apposta per accendere la sete anzichè per estinguerla, con quello stillicidio di date, nomi e cenni; e l'altra, due parlate di Don Bosco stesso tramandateci in verbali di conferenze, ristorano un istante, ma non saziano. Ci avvantaggeremo pure di piccoli sussidi forniti da altre sorgenti indirette.

                Il segretario, così minuzioso nel descrivere la sala dell'udienza papale e la persona stessa del Papa, così pronto a carpire notizie intorno a Don Bosco, perchè mai ci si fa innanzi con una sì desolante povertà d'informazioni su oggetti di maggior rilievo? Crediamo che la ragione vada cercata nella circospezione, con cui Don Bosco Soleva procedere in affari d'importanza, non parlandone mai senza necessità e talora [110] anche toccando solo certi particolari, che servivano a mettere nell'ombra la sua persona.

                Partì da Torino per San Pier d'Arena il 14 febbraio, prima domenica di quaresima. Fin dal principio di gennaio, prevedendo di dover intraprendere nell'anno molti viaggi per eseguire i disegni della Provvidenza, erasi procurato su determinate linee, da lui più frequentate, della rete settentrionale un gratuito libretto di abbonamento ed aveva ottenuto il favore di poter chiedere su altre linee biglietti gratuiti volta per volta. La Direzione Generale delle Ferrovie gli aveva ora anche accordato l'esenzìone dall'imposta governativa di lire 40 per trimestre, alla quale siffatte concessioni normalmente andavano soggette. Nell'anno precedente, durante un trimestre, quella tassa gli aveva importato una spesa maggiore che non avrebbe incontrata, pagando sempre il suo biglietto[75].

                Per via si accorse che, sempre assediato da occupazioni, prima di lasciar Torino erasi scordato di alcune cose; perciò, appena arrivato a Genova, scrisse questa lettera al suo segretario personale e compagno di viaggio Don Gioachino Berto, che doveva tenergli dietro, conducendo nell'Ospizio di San Pier d'Arena un giovane Mantelli[76].

 

                               Carissimo D. Berto,

 

                Ho fatto qualche dimenticanza cui riparerai

                1° Prendendo l'orario della ferrovia e quei libretti francesi che trattano delle scuole Apostoliche.

                2° Martedì passerai dal T. Chiuso o dal Teol. Audagnotto, dicendo: D. Bosco è a Genova e di là per non rifare il viaggio partirebbe alla volta di Roma. Se mai S. E. Mons. Arcivescovo avesse commissione che io potessi fargli, tu mi porteresti qualunque piego od altro.

                Se poi cade bene il discorso, darai cenno dei motivi per cui vado a Roma. La missione della Repubblica Argentina ed un'altra in Australia, di cui devo trattare colla Propaganda Fide. Altra ragione [111] sono due lettere ed un telegramma di una persona benemerita gravemente ammalata.

                Sarà pur bene che tu prenda quelle lettere e la proposta di Buenos Aires e di S. Nicolas.

 

                Vale in Domino et valedic.

Aff.mo in G. G.

Sac. GIO. BOSCO.

 

                PS. Di' così a D. Rua che mi scriva volta per volta il nome di quelli che sono favoriti dalla sorte nel pranzo scolastico ecc.

 

                Apostoliche si denominavano in Francia scuole novellamente istituite dal padre De Foresta, per favorire le vocazioni ecclesiastiche fra il ceto degli umili. La persona ammalata e benemerita potè essere la Madre Galeffi, Presidente a Tor de' Specchi. Si noti l'espediente ingegnoso e riguardoso escogitato da Don Bosco, per impedire che in qualche luogo si giudicasse clandestina la sua andata a Roma, e quindi si lavorasse con la fantasia su motivi reconditi. Si nati ancora come Don Bosco, sebbene assente e assorto in pensieri di cose della massima importanza, tenesse tuttavia d'occhio anche le cose lontane e d'importanza minore. Egli voleva che il suo rappresentante gli mandasse volta per volta dall'Oratorio i nomi dei giovani che, segnalatisi nella settimana per studio e condotta, ottenessero l'ambito premio dì sedere la domenica alla la mensa del Padre.

                Il segretario Don Berto raggiunse Don Bosco due giorni dopo a San Pier d'Arena, donde ripartirono insieme verso mezzanotte del 17 alla volta di Roma.

                Arrivarono alle tre pomeridiane del 18. Li attendeva alla stazione con la carrozza un servo di Tor de' Specchi, il quale condusse i due viaggiatori in via Sistina al numero 104 dallo spedizioniere apostolico Alessandro Sigismondi, presso cui, come già nell'anno antecedente, presero stanza. Là si aveva agio di celebrare in casa. Il Sigismondi conservò con venerazione i paramenti e il calice usati da Don Bosco, finchè dopo la morte del pio signore la famiglia li rimise ai Salesiani di Roma. [112] La pioggia dissuase dall'uscire quella sera; così Don Bosco, che aveva un mondo di cose da fare, preparò comodamente i suoi piani. Noi qui ci dispenseremo dal ripetere cose, che i lettori debbono già conoscere dai volumi precedenti; vogliamo dire quanto alle persone e alle famiglie romane che da tempo erano con Don Bosco in cordiali rapporti, e il perchè e il per come.

                Al mattino del 19 mandò il segretario a riverire mons. Vitelleschi, con cui avrebbe avuto molto da trattare. Questi disse che la propria cognata, dama di esimia pietà, avrebbe veduto volentieri il Servo di Dio. Intanto intrattenne Don Berto, domandandogli della Congregazione e dandogli una notizia: quel giorno stesso dall'Ordinario di Torino era arrivata una lettera, nella quale, messa da banda la questione dei chierici, si lamentava che Don Bosco ricevesse in casa preti suoi senza chiederne a lui licenza. Don Berto potè assicurare il Prelato che nessun prete o chierico dell'Arcivescovo trovavasi da Don Bosco. Si concertò che Don Bosco sarebbe andato in casa Vitelleschi fra le tre e le quattro pomeridiane.

                Don Bosco fu puntuale. Tutta la nobile famiglia lo colmò di cortesie, invitandolo a pranzo per la domenica 21. Non vi si potè entrare in discorsi di cose serie, perchè Monsignore di lì a poco doveva recarsi dal Santo Padre; ma gli diede un appuntamento per la sera dopo.

                Uscito di là, si volse al Foro Traiano e andò a confortare l'avvocato Bertorelli, immerso nell'afflizione per la perdita dell'unico figlio.

                Compiuta quest'opera di carità, il segretario ha cura di notare che sostarono dal barbiere prima di passare dal Cardinal Berardi, col quale Don Bosco si chiuse in colloquio per circa due ore. Il Cardinale gli fu tanto squisitamente cortese, che volle accompagnarlo fin fuori alle scale. Per istrada Don Bosco disse a Don Rerto: - Il Card. Berardi mi ha raccontato che un giorno il Santo Padre gli rivolse queste precise parole: “Sapete chi è che ci ha regalato quel pezzo di Arcivescovo [113] di Torino? - No, Santità. - È Don Bosco, sapete; e adesso lo paga bene!”. - Non fu l'unica volta che Don Bosco, quasi a confusione sua, ricordasse l'innalzamento di mons. Gastaldi dalla sede Vescovile di Saluzzo alla metropolitana di Torino. Aveva egli realmente caldeggiata quella promozione, sperandone valido aiuto per le sue opere, a motivo dell'antica amicizia; ma con tutta umiltà confessava che quel confidare nell'uomo non era piaciuto a Dio.

                Dal medesimo Cardinale venne a sapere un'altra cosa. L'Ordinario torinese aveva scritto due nuove lettere sul conto dei Salesiani, una a lui e l'altra in sedici grandi facciate al Papa. Il Santo Padre, appena letta la sua, l'aveva passata al card. Berardi, ordinandogli che ne rendesse consapevole Don Bosco. Nelle accennate conferenze di aprile Don Bosco fece dar lettura dei due documenti ai primari Superiori; intorno a che il segretario mise a verbale questa impressione: “Si vedeva proprio in questo scritto l'animo agitato di chi scriveva, e, ciò che più rincresce, si arrecavano proprio delle falsità a nostro conto”.

                I giorni 20 e 21 furono consumati in visite. La sera del 21 Don Bosco tenne l'invito dei Vitelleschi.

                Primo suo pensiero, giungendo a Roma, era stato di chiedere un'udienza privata dal Santo Padre. La domanda, fatta pervenire a mons. Ricci, Maestro di Camera, la mattina del 19, ebbe pronta risposta per il 22 alle ore 11.

                Don Bosco, secondo il solito, si presentò con la sua polizza delle cose da dire, espresse con  formole mnemoniche. Dodici erano quegli appunti, di cui i più intelligibili sono oggi il primo: “Ossequio di tutti i Salesiani e loro allievi” e l'ultimo: “Benedizione, indulgenze pei Salesiani, loro allievi e rispettive famiglie”.. Umiliando al Papa i sentimenti di tutti i suoi, per tutti voleva con che poterli accendere sempre più d'amor filiale verso il Vicario di Gesù Cristo.

                L'udienza durò un'ora e un quarto. Scendendo le scale, Don Bosco disse a Don Berto: - Il Papa ce ne ha concesse [114] due belle: l'una, tutti i favori di una Congregazione da scegliersi, e l'altra, le dimissorie ad quemcumque Episcopum. La prima riguarda la comunicazione dei privilegi, e la seconda la concessione delle lettere dimissoriali da parte del Rettor Maggiore agli ordinandi salesiani per qualsiasi vescovo. - La contentezza di Don Bosco per allora non poteva derivare se non dalla buona accoglienza fatta dal Papa al numero undicesimo del suo memoriale: “Affare delle dimissorie e facoltà”. Egli sapeva benissimo per quale trafila bisognasse passare per arrivar ai Decreti; certamente però non  immaginava quanto il giorno della concessione fosse ancora di là da venire.

                Nella stessa udienza egli domandò al Papa, se dovesse, come le altre Congregazioni religiose, chiedere un Cardinale Protettore. Il Papa testualmente gli rispose: - Finchè sarò io in vita sarò sempre vostro Protettore, e della vostra Congregazione.

                Tornato dal Vaticano alla sua dimora di via Sistina, ricevette una visita assai gradita. Il giorno innanzi un sottotenente del genio, che prestava servizio a Roma nel corpo delle Guardie del Re, imbattutosi in lui per le vie della capitale, erasegli avvicinato e gli aveva baciato la mano con vivaci manifestazioni di allegrezza e di rispetto. E Don Bosco:

                 - Mio caro Benvenuto, sei ancora amico di Don Bosco?

                 - Si figuri! Io non ho mai dimenticato nè mai dimenticherò il mio benefattore.

                 - Ma sai che gli amici non possono vivere lontani l'uno dall'altro, ma stanno sempre vicini... e tu sei così lontano da me! Vienmi dunque a trovare!

                Il brillante ufficiale si chiamava Benvenuto Graziano, biellese, già allievo dell'Oratorio. Fortemente colpito dalle parole di Don Bosco, non aveva preso sonno la notte; perciò veniva a dirgli che, se lo accettava, egli era disposto a stare con lui e poscia ad andare dovunque lo mandasse.

Don Bosco, ascoltatolo con benevolenza, gli rispose che, quando potesse e volesse, si recasse pure all'Oratorio; là si [115] sarebbero intesi. Ma ci venisse con la sua bella divisa; chè avrebbe fatto piacere a tutti veder un bravo soldato del Signore nelle loro file.

                Il Graziano mantenne lealmente la parola. Lo ritroveremo in un prossimo volume[77].

                Non i soli affari per cui era venuto, occuparono le sue giornate romane; negozi impensati vi si aggiunsero. Il Papa gli affidò una commissione segreta presso il Guardasigilli Vigliani. Andò al Ministero di Grazia e Giustizia la mattina del 28; ma non potè subito esservi ricevuto: gli bisognò tornare il dì dopo. Che cosa sia passato fra loro, non ci è dato nemmeno di congetturare. In seguito si recò alla Segreteria di Stato e poi mandò al Ministro Don Berto con lettere. Queste sole parole egli disse la sera del 28: - Domani ad un'ora ho un appuntamento col Ministro Vigliani; devo fargli qualche commissione che mi lasciò il Papa. - È probabile che, come antecedentemente, così anche allora, egli abbia trattato della provvista di Chiese in Italia; infatti subito dopo la sua partenza vi furono nomine di Vescovi, susseguite da altre a brevi intervalli nel corso di quell'anno e dell'anno seguente[78].

                Ed ora non ci resta che narrare della seconda udienza. La ebbe il giorno 12 marzo, alle ore undici e mezza. Entrò dal Papa con il suo bravo promemoria fra le dita. Vi leggiamo fra l'altro: “Continui a farci da padre, come ha fatto finora, nelle comunicazioni e concessione delle dimissorie”, e tra parentesi un “sì”, che attesta di bel nuovo le favorevoli disposizioni del Pontefice intorno al doppio argomento che allora più di tutto dominava il pensiero di Don Bosco.

                L'udienza durava da circa tre quarti d'ora, quando, sul punto di accomiatarsi, Don Bosco gustò un istante di intima consolazione. [116]

                 - Santo Padre, disse, partendo io da Roma per recarmi nuovamente in mezzo a' miei figli, vorrei pregarla di dirmi una parola ch'io comunichi loro e che sia adattata per tutti, e quella di cui tutti abbiano maggior bisogno. Ancor io ho una parola da dire a Vostra Santità da parte loro; ma desidero prima di sentire, quanto Ella voglia aver la bontà di comunicarci.

Tutto grazioso il Santo Padre: - Sì, che l'ho una parola, rispose; un ricordo che può far bene a tutti e che io vorrei che cercaste d'inculcare tanto nel cuore dei vostri, sia confratelli sia figliuoli. Raccomandate loro che promettano fedeltà e attaccamento a Cristo e al suo Vicario su questa terra.

                Allora Don Bosco mostrò al Santo Padre il suo brindello degli appunti, l'ultimo dei quali era questo: “Noi promettiamo fedeltà e obbedienza a Sua Santità come Vicario di Gesù Cristo”. Gradevolmente sorpreso a tanta coincidenza di sentimenti e di parole, il Papa esclamò:

                 - Bisogna che riconosciamo una vera ispirazione del Signore o in voi a scrivere o in me a dire così. Segno che queste parole sono veramente da tenersi preziose.

                 - Certo, Santità, il Signore ispirò Voi a darci un ricordo così salutare; poichè io ho gettato così in carta queste due parole con gran fretta, quasi senza pensare alla loro importanza. State certo, Padre Santo, che arrivato a Torino, io non solo notificherò questa cosa a' miei figliuoli, ma procurerò che questi sentimenti siano inculcati molto, allargati e spiegati in prediche e ammonizioni opportune.

                Come promise, così fece. A tutti i direttori nelle conferenze di aprile raccomandò che, tornati ai loro collegi, raccontassero il fatto e poi in ogni occasione vi ribadissero sopra, anzi ne facessero tema di più prediche: per esempio, una sulla felicità di chi sta attaccato a Gesù Cristo, felicità in vita, felicità in morte; poi infelicità di chi non è attaccato a Gesù Cristo, cioè non ha la fede cattolica oppure è in peccato  [117] mortale; poi come non si possa essere attaccato a Gesù Cristo senz'esserlo in pari tempo al suo Vicario, spiegando bene che il Papa è Vicario di Gesù Cristo.

                Finita l'udienza, anche il segretario ebbe l'onore di venir introdotto. Fatto ardito dall'amabilità dell'angelico Pio IX, chiese parecchi favori personali che gli furono concessi.

                Don Bosco stette a Roma venticinque giorni interi. Fra una visita e l'altra a prelati d'ogni grado, fra l'uno e l'altro affare, egli trovò modo di passare da parecchie Case religiose maschili e femminili, come dei Redentoristi, delle Monache di Bocca della Verità e soprattutto delle Nobili Dame di Tor de' Specchi, dove si recò ben otto volte. Da famiglie o personaggi ragguardevoli ricevette inviti a pranzo, incontrandovisi con illustri commensali. Non poteva mancare l'invito del suo sviscerato amico mons. Fratejacci, che s'intravede essersi adoperato molto in favore di lui.

                Questo vero tipo di romano, francone e gioviale, che nella corrispondenza epistolare ne dice di cotte e di crude contro chi avversava il suo Don Bosco, anche parlando non aveva il pelo sulla lingua. Una domenica, verso le quattro pomeridiane, mentre tornava dalla chiesa di sant'Eustachio, di cui era: canonico, incontrato Don Bosco in piazza della Minerva e presolo in disparte: - Venga qui - gli disse, e lo condusse a prendere una tazza di caffè nella vicina bottega della Minerva. Quindi, postosi a sedere, vuotò il sacco, raccontandogli le mene de' suoi avversari di Roma, perchè fosse bene al corrente di quanto vi si faceva e diceva a suo danno. Egli parlava, parlava, e Don Bosco ascoltava, ascoltava; finalmente il Servo di Dio pose termine a quel discorso così: - Veda, Monsignore; Don Bosco si trova nella stessa posizione del celebre capitano di ventura Giovanni delle Bande Nere. Deve guardare prima bene a destra e a sinistra per sapere che cosa risolvere e che cosa fare, e dopo deve dire ai suoi, come diceva quel capitano ai propri soldati: Non andate avanti, ma venitemi dietro.

                L'abituale serenità non lo abbandonava mai. Durante le [118] viecrucis romane il suo segretario, vedendo la sua costanza e pazienza in andare e venire inutilmente e tante volte da certe persone per ottenere qualche favore a bene altrui o della Chiesa, o vedendolo salire sino al quarto piano per avere qualche elemosina, non poteva trattenersi dal dirgli: - Oh, povero Don Bosco! Se si vedesse o si sapesse all'Oratorio, quanto Lei fatichi e sudi per ottenere qualche sussidio o per arrivar a capo di qualche affare, a vantaggio de' suoi figli!... - Ed egli: - Tutto per salvare questa povera anima mia ... Per salvare questa povera anima nostra bisogna essere disposti a tutto... Guarda, io non mi sento più nessun'altra inclinazione, se non a occuparmi, in questi pochi anni che mi rimangono ancora di vita, nel sistemare gli affari della nostra Congregazione. Tolto questo, tutto il rimanente non ha più per me nessuna attrattiva.

                Alla vigilia della partenza, 15 marzo, Don Bosco sentiva che la sua venuta a Roma non era stata inutile. I maggiori negozi, per cui aveva intrapreso il viaggio, potevansi dire ben avviati, come per gli uni si è visto altrove e per gli altri si vedrà più innanzi; per condurli a buon porto era solo questione di tempo e di sapersi barcamenare.

                Ma egli non se n'andava proprio a mani vuote. Oltre a favori individuali, per diverse persone benemerite, portava con sè due Brevi e tre Decreti, e due altri Decreti lasciava in corso di compilazione.

                Nel primo Breve si concedeva a tutti i fedeli che visitassero la chiesa di Maria Ausiliatrice, l'indulgenza plenaria, in un giorno dell'anno da loro scelto e mediante le condizioni consuete. Questa indulgenza tornava opportunissima per i divoti, che sempre più numerosi pellegrinavano al santuario anche da lontano. Il secondo Breve, oltre a includere due delle suddette indulgenze, accordava altri sette favori: 1° Altare privilegiato in ogni chiesa della Congregazione; 2° Indulgenza plenaria per i confratelli defunti, in qualunque altare delle nostre chiese si applicasse per loro là santa Messa; 3° Indulgenza [119] plenaria tre volte alla settimana per qualunque defunto e in qualsiasi altare i sacerdoti Salesiani applicassero il Divin Sacrifizio; 4° Facoltà di benedire con la Croce concedendo indulgenza plenaria nelle Missioni e negli Esercizi spirituali; 5° Remissione di 200 giorni di penitenza ogni volta che un fedele interviene alla predica; 6° Facoltà ai predicatori e confessori di benedire medaglie, corone e crocifissi; 7° Facoltà di erigere la Via Crucis, dove non sono Case dei Francescani.

                Aveva poi ottenuto per tutti i preti della Congregazione il permesso di celebrare in tempo d'Esercizi o di Missioni un'ora avanti l'aurora; l'autorizzazione a cantare nelle nostre chiese due Messe da requiem per settimana, quantunque non fossero per anniversari, purchè ciò non si facesse in doppi di prima e seconda classe, nè in vigilie o ferie privilegiate; la facoltà per ogni direttore di benedire paramenti destinati alla propria Casa. Fra non molto avrebbe inoltre ricevuto per i direttori due licenze: una di commutare ai propri subalterni la recita del Breviario in altra preghiera o buona opera, quando ragionevole motivo lo richiedesse, e l'altra di mandare qualunque dei loro preti a celebrare in case private, solo; che vi si avesse un altare con le qualità richieste e riconosciute dal vescovo; la qual cosa equivaleva ad apportare il privilegio dall'Oratorio privato agli altari a cui i Salesiani dicessero Messa. Queste concessioni, considerate in se stesse, non appariscono oggi di gran portata; ma allora avevano un valore relativo non indifferente, perchè contribuivano a rinsaldare nella Congregazione il sentimento della propria personalità morale e un solidale spirito di corpo.

                Nella sua viva fede e pietà egli godeva pure di recare ai suoi tre preziosi regali da parte del Papa in tre tesori d'indulgenze, e cioè giorni trecento ogni volta che, dovendo compiere qualche opera, fosse predica o studio, fosse scuola diurna o serale, letteraria o musicale, prima e dopo si segnassero; giorni trecento ogni volta che facessero scuola o assistenza; [120] anni tre ogni volta che prendessero parte, corde saltem contrito, alle consuete pratiche religiose del mattino, quand'anche non vi ricevessero la santa comunione.

                Ma soprattutto Don Bosco partì da Roma con la consolazione di poter asserire che la sua Congregazione vi godeva grandissimo favore. Lo dichiarò nelle conferenze di aprile: “Non solo il Santo Padre ci vuol bene e ci favorisce, ma tutti generalmente vedono bene questa Congregazione. A vista bene sia dai buoni che dai cattivi, sia dalle autorità civili che dalle ecclesiastiche e, fatte pochissime eccezioni, tutti ci favoriscono. Dicevo a bello studio che anche i cattivi ci vedono di buon occhio; poichè noi vediamo che coloro stessi, i quali gridano contro gli Ordini religiosi e li vorrebbero soppressi fino all'ultimo, lodano poi noi”.

                Prima che Don Bosco si rimetta in via per Torino, è opportuno offrire qui ai lettori il rimanente del suo epistolario romano, che siamo riusciti a rintracciare.

 

I. A Don Reviglio.

 

                Un biglietto indirizzato al teol. Don Felice Reviglio, che fu il primo alunno di Don Bosco ordinato sacerdote e che in quei giorni doveva prendere possesso della parrocchia di Sant'Agostino a Torino. Nei primi cinque volumi di Don Lemoyne ricorre più volte il suo nome.

 

                               Pel Sig. D. Reviglio.

 

                Non è possibile che mi possa trovare a Torino per la 4ª Domenica di quaresima. Tuttavia fa pure il tuo ingresso, io ti accompagnerò colla preghiera e tu puoi annunziare ai tuoi novelli parrocchiani una speciale apostolica benedizione che il S. Padre Vivae vocis oraculo et espressis verbis concede a te, al clero, e a tutti i fedeli dalla Divina Provvidenza alle tue cure affidati.

                Prega pel tuo povero ma in G. C.

                Roma, 28 - 2 - 1875,

aff.mo amico

Sac. GIO. BOSCO [121]

2. Alla Contessa Callori.

 

                La Contessa Callori di Vignale beneficò sempre generosamente Don Bosco; anzi gli fu come madre, tanto che il Servo di Dio le Soleva chiedere consiglio in molte cose e le scriveva con filiale confidenza. Il “Sig Emanuele”, era il secondogenito della Contessa; di quando in quando Don Bosco aveva cercato di stimolarlo con affettuose letterine a studiare e a crescere virtuoso; contava 22 anni.

 

                               Mia Buona Mamma,

 

                Vengo dal Santo Padre e questa volta ebbi agio a parlare un poco di Lei e della sua famiglia, e il S. Padre si compiacque di parlar di Lei, del sig. Conte Marito, di Casa Medolago e mi diede carico di comunicare a tutti l'apostolica benedizione.

                Ho poi giudicato opportuno di chiedere una speciale benedizione pel Sig. Emanuele e raccomandarlo anche alle preghiere di Lui. Vedremo i buoni effetti.

                Il Tevere questa mattina ha fatto una passeggiata fuori del sentiero ordinario; si estende già sopra varii punti della Città: vedremo fin dove andrà.

                Per la settimana s.[anta] spero di essere a Torino e raccontarle qualche cosa di presenza.

                Il S. Padre poi gode ottima salute, e si dimostra ilare e laborioso, come se tutto fosse a suo posto. È una maraviglia che non ha esempio. La mia sanità va abbastanza bene. Dio le conceda santità e sanità in abbondanza. Preghi per me che le sarò sempre con gratitudine in G. C.

                Roma, 2 - 3 - 75. Via Sistina.

Umile Servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                P.S. D. Berto vuole che le offra i suoi ossequi. L'oggetto proveniente dal Santo Padre l'ho meco e l'avrà a Torino.

 

3. Alla Signora Eurosia Monti.

 

                Fu esimia benefattrice dell'Oratorio, rimasta vedova da poco tempo. Il “Colonnello” era appunto suo marito. Aveva anche perduto di recente l' “ultimo fratello superstite”, cioè [122] il teol. Golzio, già cooperatore del teol. Guala e del beato Cafasso al Convitto, e confessore di Don Bosco dopo la morte di quest'ultimo. Era succeduto al Can. Galletti, divenuto Vescovo di Alba, nella direzione del Convitto stesso.

 

                               Pregiat.ma Sig. Eurosia,

 

                Mentre sono a Roma più volte ho pensato a Lei ed alla solitudine in cui si trova. Oltre di pregare ogni giorno nella S. Messa che Dio la conservi a molti anni di vita felice, ho creduto bene di chiederle una particolare benedizione del S. Padre. Esso ascoltò assai volentieri a parlare di Lei e compianse la morte inaspettata del Sig. Colonnello, e testè ancora dell'ultimo fratello superstite e in fine concluse: Scrivetele da parte mia, ditele che patria migliore ci attende e là avremo il conforto di rivedere i nostri cari. Comunicatele l'apostolica benedizione con una indulgenza plenaria da lucrarsi a suo piacimento; preghi assai pei presenti bisogni di S. Chiesa. Ho voluto scrivere queste cose, perchè sono persuaso le torneranno di gradimento.

                Ho parlato molto di Lei con Mons. Fratejacci che fu pure gravemente ammalato. Egli prese molta parte alla dolorosa perdita del compianto Colonello.

                Prima della Sett. Santa spero di essere a Torino e poterla riverir di presenza. Mentre poi prego Dio che la colmi di sue celesti benedizioni, mi raccomando alla carità delle sue sante preghiere e mi professo con figliale gratitudine

                Della S. V. pregiat.ma

                Roma, 2 marzo 1875.

Obbl.mo Servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

4. A Don Michele Rua.

 

                Don Rua nel governo dell'Oratorio non moveva un dito senza prima sentire Don Bosco; il quale a sua volta anche dall'Eterna Città non trovava troppo piccolo non diciamo l'Oratorio, ma neppure ogni minimo che dell'Oratorio stesso: come per esempio una “cinta dietro casa”, cioè il muro che doveva sostituire la siepe intorno all'orto stendentesi dove oggi nuovissime fabbriche inquadrano il cortile massimo degli artigiani, oltre la cappella Pinardi, casa di Don Bosco per eccellenza essendo allora l'odierno corpo centrale dell'Oratorio,  [123] poi un costruendo “motore ad acqua” che probabilmente non fu mai costruito; la “costruzione a fianco della piazza”, vale a dire le eterne trattative per l'erezione di un fabbricato che sarebbe dovuto sorgere fra la via Cottolengo e la sede presente della Società Editrice Internazionale, dinanzi alla vecchia casa Moretta, ma che, non sappiamo perchè, non sorse[79]; una “perizia di casa Catellino” sul terreno adiacente alla medesima casa Moretta, già cortile del primo oratorio delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Infine paternamente s'interessava nominatim di suoi coadiutori e sacerdoti.

 

                               Car.mo D. Rua,

 

                La neve caduta cagionerà probabilmente grave freddo a Torino; perciò noi differiamo fino a Lunedì la nostra partenza da Roma, tanto più che abbiamo ancora alcune cose in corso. Se ci sono lettere o cose cui si debba dare corso, mandale qui al solito indirizzo.

                Riguardo la cinta dietro casa sarà bene che ce ne parliamo; ma è mestieri raccomandare al Cav. Spezia, che colla solita carità dia corso ai lavori dei motore ad acqua e della costruzione a fianco della piazza. E la perizia di casa Catellino? Ci furono mandati danari ad hoc?

                Saluta tutti nel Signore, segnatamente Audisio e Cottini. Ringrazia il primo della lettera scritta.

                Amami in G. C. Continuate a pregare per me che sarò sempre

                Roma 8 - 3 - 75.

Aff.mo amico

Sac. GIO. BOSCO.

 

                PS. D. Chiala come sta? D. Bologna è cresciuto? Di' a D. Guanella che porterò qualche cosa anche per lui.

 

5. A Don Dalmazzo.

 

                Nella prima metà di ottobre dell'anno antecedente Don Francesco Dalmazzo, direttore del Collegio di Valsalice, per ordine del Beato, condusse a Roma un gruppo di quei nobili convittori. Mons. Vitelleschi ne scrisse al Beato durante il loro soggiorno nell'Eterna Città: “Vidi e conobbi con molto piacere [124] il Direttore di Valsalice ed alcuno dei giovani che erano con Lui: fu un'idea molto felice quella che Ella ebbe di concedergli (sic) per premio la gita a Roma e il porli ai piedi del Santo Padre”. Il Beato, come si vede nella prima parte di questa lettera, continuava a sfruttare in bene dei giovani la sua “idea felice”.

 

                               Carissimo D. Dalmazzo,

 

                Questo tempo non vuole arrestarsi, e perciò, mentre fugge, te ne regalo un briciolo.

                Ho consegnato in proprie mani [al Santo Padre] l’indirizzo col l'obolo entro contenuto. Lo lesse da capo a fondo, ne mostrò grande soddisfazione, richiamò la visita fattagli nello scorso autunno e nè parlò minutamente. Fra le altre cose disse: - Si mostrarono assai buoni quei giovanetti tanto qui in Vaticano quanto per la città di Roma. Parecchi me ne parlarono, e tutti convennero che quei giovanetti avevano una educazione schietta, ma cristiana. - Osservò i nomi di quelli che erano sottoscritti. Quando giunse a De Vecchi, scherzando disse: - Costui è de' miei. - Pose poi a parte l'indirizzo dicendo: - Risponderò in proposito; ma cominciate a ringraziarli da parte mia, comunicate a tutti la mia apostolica benedizione con una speciale indulgenza plenaria da lucrarsi in quel giorno in cui a loro piacimento faranno la santa comunione.

                Lo supplicai allora ad estender questi favori ai parenti dei giovani. - Sì, rispose, alle loro famiglie e parenti fino al terzo grado inclusive. - Questa è parte[80] di Valsalice.

                Io poi ho gradito molto gli auguri tuoi e quelli dei nostri cari ed amati allievi di Valsalice, e vi ringrazio tutti delle preghiere che mi assicurate di fare per me. Io vi assicuro che vi raccomando ogni giorno nella santa Messa, dimandando per ognuno i tre soliti S, che [i] nostri sagaci allievi tosto sanno interpretare: Sanità, Sapienza e Santità.

                Io parto presto da Roma, ma debbo fare molte commissioni per via, sicchè non sarò con voi fino alla Settimana Santa.

                Studierò quanto mi scrivi del cav. Bacchialoni. Riguardo al T. Roda[81], siccome non può presentare il titolo legale per le matematiche, così qualora se ne possa fare a meno, si accetti la sua proposta o meglio minaccia e si lasci libero. [125]

                Delle cose della Congregazione parleremo poi a Torino. Ogni cosa però procede colla massima consolazione.

                Mio caro D. Dalmazzo: messis multa, messis multa! Dì' a' tuoi allievi, che si facciano tutti valenti e santi missionari, ma tali, che uno valga per cento, e allora comincieremo a soddisfare alcune delle innumerabili necessità, da cui siamo circondati.

                La grazia di Nostro Signor Gesù Cristo sia sempre con te, con tua madre, con tutti i nostri Valsalicesi, e sia in modo particolare con me che, raccomandandomi alle preghiere di ognuno, mi professo in G. C.

                Roma, 8 - 3 - 75.

Aff.mo amico

Sac. GIO. BOSCO.

 

6. A Don Rua.

 

                Don Bosco annetteva tanta importanza ai voti settimanali di condotta, che, anche assente da Torino, voleva esserne informato; la qual cosa faceva sì che gli alunni li prendessero molto sul serio. Le formole optime, fere optime, bene, medie equivalevano in cifre a 10, 9, 8, 7[82]

 

                               Car.mo D. Rua,

 

                Lunedì mattina, a Dio piacendo, partiremo da Roma; dopo una giornata ad Orvieto andremo a Firenze, dove tu puoi indirizzare le tue lettere fino a nuovo avviso. - Spero di poter fare con voi la santa Pasqua e la funzione del Lavabo.

                Di' agli studenti e ad altri, cui riguarda, che mi tornò carissimo il regalo fattomi di un optime generale di condotta. Oggi alle 11 vado all'udienza del S. Padre e fra le altre voglio dargli questa notizia e chiedergli una speciale benedizione, che parta dal Capo, valente ch. Cinzano, e vada fino agli ultimi. Il piacere sarà poi raddoppiato, se questo regalo sarà anche rinnovato nella corrente settimana.

                Saluta D. Chiala e digli che ho ricevute sue lettere e seguirò i suoi suggerimenti.

                Mi rincresce di non aver tempo di scrivere una lettera a D. Barberis e a suoi e miei cari allievi; se nol posso prima, procurerò di farli (sic) almeno a Torino.

                Dirai a Mazzetti che ho ricevuto la sua lettera e quella de' suoi allievi. Li ringrazii, e comunichi anche loro la benedizione e l'indulgenza che loro concede il S. Padre. [126] Domenica è S. Matilde, e sarebbe conveniente un dispaccio in questo senso:

                “Matilde Sigismondi - Sistina 104 Roma.

                Onomastico felice. Preghiamo Dio concederle sanità stabile, vita felice RUA

                Lo stesso si faccia a S. Gius. pel giorno del Card. Berardi, ben inteso mutatis mutandis.

                Continuate a pregare per me. Dio ci benedica tutti e credimi in G. C.

                Roma, 12 - 3 - 75.

Aff.mo amico

Sac. GIO. BOSCO.

 

7. A Don G. B. Francesia.

 

                Don Francesia dirigeva allora il collegio di Varazze. La sua memoria vive, fra l'altro, in quei “Due mesi con Don Bosco a Roma” (Torino, Tip. Sal., 1905), dove racconta un mondo di cose interessanti sul viaggio di Don Bosco all'Eterna Città, nel '67, in compagnia dell'autore. La persona, verso cui Don Bosco professa tanta riconoscenza nella lettera, era la signora Susanna Saettone, benefattrice delle più insigni.

 

                               Carissimo D. Francesia,

 

                Prima di partire da Roma voglio darti conto di quanto ho fatto anche per te per i tuoi e miei cari figliuoli.

                Per te in particolare sarà comunicato di presenza ed anche per certificati autentici bollati.

                Pei nostri allievi la compiacenza del S. Padre nell'udire a parlare di loro, una particolare benedizione apostolica con indulgenza plenaria da lucrarsi a piacimento in quel giorno in cui faranno la santa loro comunione. Questa indulgenza e benedizione apostolica viene estesa dal S. Padre a tutti gli allievi e persone (quindi V. Riverenza) del collegio, agli allievi esterni, al sig. prevosto e sua famiglia, ed a tutte le rispettive famiglie di ciascuno. Così furono le parole testuali del Papa.

                Procura adunque di prevenire i tuoi allievi, affinchè diano di ciò comunicazione ai rispettivi parenti.

                M. Fratejacci ti saluta; così pure altri che qui non ricordo. Se puoi vedere la Signora Susanna, le dirai che ho parlato molto di lei al S. Padre e le manda una speciale benedizione. Le cose particolari [127] le comunicherò di presenza a Varazze o ad Albissola. La saluterai da parte mia, le dirai che prego per Lei e che mi raccomando alle sue preghiere.

                Crederei bene, che al mattino del giorno di S. Giuseppe scrivessi un dispaccio presso a poco come segue:

                “Eminentissimo Cardinal Giuseppe Berardi - Roma.

                Superiori, allievi Collegio Varazze pregano Dio concederle sanità, vita felice”.

                Tu vero in omnibus, Francesia, labora, opus fac Evangelistae. Sanctifica et Salvifica le et tuos et dic ut omnes ad Deum preces fundant pro me. Amen.

                Roma, 12 - 3 - 75.

Aff.mo in G. G.

Sac. GIO. BOSCO.

 

                PS. A D. Tomatis: pare che i Carlisti vadano avanti.

 

                PS. Lunedì a Dio piacendo partiremo colla speranza di fare Pasqua all'Oratorio.

 

                Il primo poscritto richiede un po' di commento. Dal'72 al '76 la Spagna fu in preda alla guerra civile fra Carlisti e Alfonsisti. Poichè Don Carlos si presentava paladino del cattolicismo puro contro Don Alfonso d'idee liberali, così aveva dappertutto caldi fautori fra i buoni, dai quali se ne seguivano appassionatamente le vicende. Anche nell'Oratorio v'erano di coloro che s'infervoravano per la sua causa, sicchè intorno a lui si accendevano dispute animate e gli annunzi delle sue sconfitte vi causavano vere desolazioni. Don Guidazio, anima generosa, allorchè giunse la nuova della catastrofe, non ancora disperando, passò l'intera notte in chiesa. Si sapeva che un tempo Don Carlos a Roma era stato più volte a trovare Don Bosco e che, passando per Torino nell'andare a cominciar la guerra, era venuto all'Oratorio per parlare con lui. Proprio nei giorni che Don Bosco si trovava a Roma, doveva partire per Madrid il Nunzio pontificio mons. Simeoni, durando tuttavia la tenzone delle armi nella Spagna settentrionale. I fautori di Don Carlos vedevano nell'invio del Nunzio un colpo mortale per i Carlisti. Don Bosco, che parlò reiteratamente con mons. Simeoni di queste faccende, gli chiese che [128] cosa pensasse di fare a Madrid, e il Prelato gli rispose che avrebbe portato con sè due credenziali del Santo Padre, una intestata a Don Alfonso e l'altra in bianco, per potervi mettere altri nomi e altre cose, qualora non si trovasse più Don Alfonso sul trono e prevalessero i Carlisti o i repubblicani. Il 2 giugno del '75 Don Bosco disse a Don Dalmazzo e a pochi altri, conversando dopo cena: - Io parlava sempre apertamente in favore di Don Carlos; ma vidi proprio che a Roma non si pensava come pensavo io e dovetti andare più circospetto.

 

8. A Don Giovanni Bonetti.

 

                Don Bonetti era direttore del collegio di Borgo S. Martino. Il giovane confratello Para vi faceva da portinaio, attendendo in pari tempo allo studio del latino, per avviarsi al sacerdozio.

 

                               Carissimo D. Bonetti,

 

                Prima di partire da Roma credo farti piacere di scriverti almeno una volta. Ho dunque ricevute le tue lettere, e specialmente quella che mi annunzia la grave perdita del nostro confratello Para. Era un buon giovane: io ci contava pel guadagno delle anime, ma Dio dispose altrimenti. Ora rimane soltanto di pregare per lui e di obbligare i tuoi allievi e miei figli carissimi a divenire altrettanti Para nell'umiltà, nella pietà e segnatamente nella virtù dell'ubbidienza.

                Dirai poi a tutti che ho avuto occasione di parlare venerdì scorso del nostro Collegio di S. Martino al S. Padre. Egli si compiacque di farmi molte domande, tra cui se fra i giovani ve ne sono di quelli che si possano paragonare col Domenico Savio.

                Risposi che alcuni sembrano potersi mettere al paro di Savio Domenico, ma un numero grande sono per la via di venirci e superarlo ancora.

                Rise allora e poi soggiunse: - Dio benedica i Direttori, gli altri Superiori e tutti i convittori; e partecipate loro una speciale indulgenza da lucrarsi in quel giorno che si accosteranno ai Santi Sacramenti.

                Nel congedarmi poi disse:

                 - Addio, caro Bosco, ma non siate mai bosco da bruciare.

                 - Procurerò di non essere tale!  [129] Fa' poi a tutti un cordialissimo saluto da parte mia, e di' loro che dopo Pasqua andrò, a Dio piacendo, a far loro una visita. Avvi poi qualche cosetta speciale per te e te la comunicherò poi a Torino.

                Domani parto alla volta di Torino facendo parecchie tappe. Pregate in modo particolare per me ed abbiatemi sempre in G. C.

                Roma, 15 - 3 - 1875.

Aff.mo amico

Sac. GIO. BOSCO.

 

                NB. Tutti i favori spirituali si devono eziandio comunicare co' miei saluti alle figlie di Maria Ausiliatrice, di cui avrò poi altro a scrivere.

                Ciascuno poi dei Salesiani, dei nostri allievi, delle figlie di Maria Aus. dovrà comunicarli alle proprie famiglie. Tale è l'intenzione di Pio IX.

 

9. A Don Giov. Batt. Lemoyne.

 

                Anche al direttore del collegio di Lanzo e ai suoi confratelli e allievi Don Bosco volle dare un segno di affezione la vigilia della sua partenza da Roma.

 

                               Carissimo D. Lemoyne,

 

                Posso scrivere poco, ma almeno qualche cosa prima di partir da Roma. Adunque dirai ai preti, ai maestri e chierici che vi sono favori speciali che comunicherò di presenza.

                A tutti poi, compresi gli allievi e gli altri abitanti di Lanzo, una speciale benedizione del S. Padre con una indulgenza plenaria per ciascuno e da comunicarsi alle proprie famiglie per quel giorno, in cui si accosteranno alla S. Confessione e Comunione. Il resto di presenza dopo Pasqua. Domani parto a piccole tappe alla volta di Torino.

                Un cordialissimo saluto a tutti i miei cari Salesiani e allievi del Collegio. Pregate per me che in G. C. vi sono

                Roma, 15 - 3 - 1875

Aff.mo amico

Sac. GIO BOSCO.

 

10. All'avv. Nicola Galvagno.

 

                La lettera è indirizzata a Marene, nel circondario di Saluzzo, patria del destinatario. L'avv. Galvagno, morto il [130] 13 novembre 1889, si mantenne per molti anni in affettuosa relazione con Don Bosco, visitandolo ogni volta che veniva a Torino e generosamente soccorrendolo.

 

                               Carissimo Sig. Avvocato,

 

                In una udienza particolare che ho potuto avere da S. S.tà, ebbi agio a mormorare alquanto della S. V., cui frequentemente faccio ricorso quando le mie finanze sono in procinto di fare tracollo. Il Santo Padre ascoltò tutto con piacere e poi mi disse: - Che cosa possiamo regalare a questo buon Signore?

                Io risposi: - Credo che tornerebbe di gradimento a Lui ed alla sua famiglia, se le mandasse una speciale benedizione per lui, sua moglie, e tutta la famiglia, specialmente sopra la tenera figliuolanza, affinchè possano tutti crescere nella sanità e nel santo timor di Dio.

                 - Sì, signore, questo lo concedo ben di cuore.

                 - Dimando ancora un favore straordinario.

                 - Quale?

                 - Che la famiglia Galvagno e i loro parenti fino al terzo grado inclusive potessero lucrare indulgenza plenaria tutta volta che colle debite disposizioni, si accosteranno al Sacramento della Confessione e Comunione, pregando per Vostra Santità.

                 - Rem difficilem postulasti. Tuttavia, non eccedendo la mia autorità, concedo il favore colla condizione che se ne servano frequentemente. Comunicate l'una e l'altra cosa da parte mia.

                Io lo ringraziai ed ora compio il piacevole incarico, pregandola di volere la medesima grazia spirituale comunicare a quei parenti che giudica siano per tenerla nella dovuta stima.

                Nella speranza di poterla poi riverire a Torino, dove io sarò per Pasqua, mi raccomando alla carità delle sue preghiere e mi professo con gratitudine car.ma

                Della V. S.

                Roma, 15 marzo 1875.

Obbl.mo servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Don Bosco ripartì da Roma la mattina del 16 marzo e pernottò a Orvieto, ospite del vescovo mons. Briganti. Durante quel tratto di via, a un certo punto, parve non capire in se stesso per la gioia; aveva certo qualche cosa di piacevole da comunicare. Don Berto lo pregò di svelargli il motivo di tanta sua ilarità. [131]

                 - Gli è, rispose, che questa notte ho sognato di essere in un vasto campo, tutto biondeggiante di messe matura. Vi era un frumento magnifico; le spighe avevano una grossezza meravigliosa. Dentro al campo vidi tante pecorelle che pascevano .....

                 - Non mi vuole più dir altro?

                 - Ora, guardando questi campi, mi par di vedere quel grano presso a maturità.

                Dalla sera del 17 al mattino del 20 stette a Firenze. Di questo suo passaggio rimane un ricordo. Andato a visitare una famiglia Parlatore, vi trovò il padre gravemente infermo. Il Beato seppe con le sue parole infondere negli animi la pace e la speranza e nell'uscire promise preghiere. La signora ai 10 di dicembre, chiedendo venia del ritardo, gli scrisse poi che le sue preghiere avevano ottenuto la perfetta guarigione del marito, il quale stava assai meglio che prima di ammalarsi.

                Da Firenze proseguì per Bologna, accolto amichevolmente in casa Lanzarini. Il signor Lanzarini, salsamentario, era stato accompagnato da Don Guanella all'Oratorio, dove ammalò. Don Bosco gli disse: - Vi manderò il mio medico! - Gli mandò difatti il medico suo e della comunità. Il signor Lanzarini, che amava ricordare questo tratto del Beato, beneficò poi molto l'Oratorio. Don Guanella, narrato questo in una sua relazione, osserva: “Così il santo uomo sapeva prender le persone e volgeva i fatti come esso desiderava”.

                Visitata ivi la marchesa Zambeccari, il 21 passò a Modena, presso il conte Tarabini, e di là il 22 a Milano dall'avv. Comaschi, suo vecchio amico e grande ammiratore[83]. Colà fu un viavai di visitatori; egli pure fece visita a parecchie persone, come alla famiglia del duca Scotti, che lo mandò a prendere con la sua carrozza. [132] Il 24, mercoledì santo, rientrò nell'Oratorio, fra il giubilo universale.

                Ciò che maggiormente aveva dato da fare a Don Bosco nell'Eterna Città, era stata la questione dei privilegi, di cui ci dovremo occupare più a bell'agio. Per attendere più efficacemente alle trattative, sarebbe stato necessario che egli prolungasse la sua dimora a Roma. Vi fu bene chi gliene fece la proposta; ma egli se ne schermì con una ragione che non ammetteva replica: ai suoi giovani “mancavano le pagnotte”. Allora gli si disse che, se non poteva proprio fare altrimenti, lasciasse a Roma qualcuno che conducesse avanti la bisogna. Per intanto promisero di occuparsene il Card. Berardi e mons. Frateiacci; egli tuttavia assicurò che, ad un cenno, sarebbe rivolato a Roma, se non per ultimar l'affare, almeno per fornire schiarimenti.

                Sopperì all'uopo l'andata di Don Lemoyne e di Don Bonetti nella prima metà di maggio. Don Bosco voleva che di tanto in tanto alcuni de' suoi si recassero a Roma, e questo per più d'un fine: per premiare nobilmente col viaggio di Roma i sacrifizi dei più meritevoli; per allargare le idee e illuminare sempre meglio la fede e la pietà dei maggiormente rappresentativi; per infondere e diffondere nella Congregazione lo spirito della romanità, fatto di attaccamento al Papa e alla Chiesa. Che se poi la presenza in Roma di soggetti cospicui aveva anche per effetto di sbugiardare male voci, tendenti a far apparire l'Oratorio come una specie di paradiso delle oche, era pur questo un vantaggio che Don Bosco non aveva alcuna ragione di mettere in non cale. Certo è che nel caso nostro Don Lemoyne e Don Bonetti, per doti d'animo e d'ingegno e per saper stare al mondo, erano uomini da non far sfigurare nè chi li mandava nè la Società a cui appartenevano.

                Scopo primario di tale andata fu di presentar al Papa gli omaggi di Don Bosco e della Società Salesiana, nell'occasione dell'83° natalizio di Pio IX, che cadeva ai 13 di maggio.  [133] La guerra senza quartiere mossa al Papa in Italia[84] e altrove scosse profondamente i cattolici italiani, fra i quali corse la voce di un omaggio filiale al Vicario di Gesù Cristo per quella data memoranda. L'entusiasmo dei buoni toccò il colmo. Anche Don Bosco volle essere presente in Roma nella persona di due fra i più ragguardevoli de' suoi figli. Ne siamo informati dalla lettera seguente.

 

                               Car.mo Don Bonetti,

                Ti senti di andare a Roma con D. Lemoyne per rappresentare la nostra Congregazione nel 13 di questo mese?

                Dimmelo al più presto; e se non ci hai impedimento, io disporrò per la vostra partenza, pel viaggio e dimora.

                Dio ci benedica tutti e credimi in G. C.

                Torino, 10 maggio 1875.

Aff.mo amico

Sac. GIO. BOSCO.

 

                I due rappresentanti erano anche latori di molte sue lettere autografe d'affari o di cortesia per cardinali e monsignori e per il Papa. Egli aveva inoltre avuto cura di far legare magnificamente copie in buon numero di opere scritte da essi due, perchè ne presentassero il Santo Padre, i cardinali e alcuni amici. Li munì infine d'un viatico prezioso. [134] I due romei si dovevano affacciare a un mondo per essi interamente nuovo e assai diverso da quello in cui eransi fino allora aggirati. Roma papale, volere o no, le prime volte tiene in soggezione anche uomini del clero che altrove sono abbastanza navigati; tanto più poi buoni sacerdoti, vissuti sempre in ambienti modesti, come Don Bonetti, o cresciuti bensì in famiglie aristocratiche, ma tenutisi sempre appartati dal gran mondo, come Don Lemoyne. Perciò Don Bosco li provvide di norme ben particolareggiate, scritte di proprio pugno, perchè sapessero come regolarsi con prudenza nelle singole visite e nelle loro relazioni, a cominciare dal Papa e venendo giù giù fino ai signori Sigismondi, in casa dei quali sarebbero andati a dimorare.

                Dopo trascorso oltre mezzo secolo, non si commette più indiscrezione consegnando alla storia questo manipoletto di originalissimi documenti, che rivelano quanto grande fosse in Don Bosco la conoscenza degli uomini, il tatto e la tattica nel maneggiarli e lo spirito di fede anche nei doveri di semplice cortesia. Il nostro compito nel riprodurli si restringe naturalmente a chiarire soltanto i punti che ne abbisognano; il che faremo accompagnando il testo con qualche noterella a piè di pagina.

 

S. Padre.

 

                1° Offerta di libri.

                2° Umili ossequii, inalterabile attaccamento dei Salesiani, dei loro cooperatori, benefattori, secolari ed ecclesiastici e dei giovani circa 7600[85].

                3° Ringraziarlo dei benefici fatti alla nostra Congregazione supplicandolo a continuare a farci da padre. Noi tutti pronti a lavorare per lui, pregare per lui, a morire per quella religione di cui Egli è Capo Supremo.

                4° Benedizione sovra di tutti, ma specialmente sopra i nostri collegi con una plenaria indulgenza agli allievi e loro parenti in un giorno che faranno le loro divozioni. [135]

 

Card. Antonelli.

 

                1° Saluti a D. Agostino suo segretario.

                2° Offerta di libri

                3° Ringraziamento, gratitudine e ossequio; preghiere di continuar la sua protezione specialmente ciò che riguarda N. N.[86]

                4° Assicurarlo di nostre comuni e private preghiere.

 

Card. Berardi.

Via del Gesù suo palazzo.

 

                un grande amico della casa. Si parli molto di quello che facciamo, delle Case, dei giovani, di D. Bosco[87], delle particolari preghiere che facciamo per Lui.

                1° Si offrano libri.

                2° Si domandino notizie di sua madre, sua suocera per cui si è tanto pregato.

                3° Notizie dell'associazione Salesiana e dell'Opera di Maria Ausiliatrice.

                4° Si domandi il permesso di ritornare ad ossequiarlo prima della partenza e si diano tre franchi di mancia ai domestici.

                Mons. Vitelleschi.

                Arcivescovo di Seleucia, Segr. della Congregazione dei Vescovi e Regolari, nelle cui mani sono tutte le cose nostre. Via S. Nicolò de' Cesarini, piazzetta id., casa propria.

                1° Offerta di libri.

                2° Ringraziamenti ecc., ecc.

                3° A nome mio chiedere notizie del Marchese Angelo, dei Marchese Giulio suoi fratelli, Marchesa Clotilde, cognato e famiglia.

                4° Cose della nostra Congregazione; se vi sono difficoltà, se giudica esservi cosa da farsi. Facoltà speciali che furono date in sue mani[88] se fanno corso, se avvi incombenze a compiersi.

                5° Se entra il discorso, si parli di N. N.[89].

                6° Idem dell'Associazione Salesiana e dell'Opera di M. A. [136]

 

Card. Patrizi Vicario, ecc.

(Accanto a S. Luigi de' Francesi).

 

                È uno della Congregazione[90] dell'anno scorso e di quest'anno per le cose nostre; molto pio e molto benevolo, ma ha molto da fare.

                1° Offerta[91].

                2° Ringraziamenti.

                3° Assicurazione di preghiere particolari in tutte le nostre case.

                4° D. Bosco ci incaricò di pregarlo a darci notizie dei suoi nipoti e della Marchesa Genoveffa.

                5° Raccomandare le cose nostre alla tante volte esperimentata protezione paterna.

 

Card. Bizzarri.

(Piazzetta della Chiesa nuova).

 

                Prefetto della congregazione dei Vescovi e Regolari, membro della Commissione per le cose nostre. Molto pio, moltissimo scrupoloso, non accetta regali, vuole nemmeno che si preghi per lui per timore di simonia.

                1° Non offrir libri, ma chiedere notizie di sua sanità; noi conservare gratitudine di lui, raccomandargli la nostra congregazione.

                2° Se parla, ascoltarlo volentieri, se poi dimostra impazienza, ossequiarlo e partirvene.

 

Card. Antonio De Luca.

 

                Piazza Barberini, palazzo del principe, p. I°. Uno della Commissione. Benevolo, pio, generoso, dotto, furbacchione, con cui si può parlare.

                1° Offerta, ringraziamenti, raccomandarci.

                2° Gratitudine e preghiere.

 

Card. Martinelli.

 

                Uno della Commissione, Agostiniano, molto pio, benevolo, ecc.

                Offerire, assicurare preghiere, ringraziare, raccomandarsi, ecc.

 

Mons. Ricci.

 

                Maestro di Camera di S. S. A colui che ammette alle udienze; pio, fu più giorni all'Oratorio. Ossequiare, offerire, pregarlo a voler ritornare nei nostri paesi.

                Ossequiare in modo particolare il suo segretario Rosati Baldini. [137]

 

Card. Consolini.

 

                Umile senza suggezione[92], benefico alla casa. Offerire, ossequiare e raccomandarci alle sue preghiere.

 

Mons. Fratejacci.

 

                Uditore del Cardinal Vicario, Can. Vicario Foraneo, ecc. Dimora di contro al Fontanone di Ponte Sisto.

                Rappresenta D. Bosco nelle pratiche attuali, molto amico, parla moltissimo. Offerire, ossequiare, invitarlo a passare un mese con noi, ecc.

 

Avv. Prof. Menghini.

 

                È sommista[93] ai Vescovi e Regolari; ha tutte le cose nelle sue mani; fu qui l'anno scorso; si mostra assai benevolo alla Cong. nostra. Invitarlo ecc. ma nel partire dare uno scudo di mancia. Se mai invitasse a pranzo, accettare, ma procurate di andare da un confettiere e fargli portare un gattò[94].

 

Alessandro e Matilde

Signori Sigismondi.

 

                Andrete a dimorare a casa loro Via Sistina N. 104, casa propria. Sono ambedue molto pii; ci hanno sempre prodigate cortesie e non vollero mai un soldo. Sono persuasi che tutti i Salesiani siano santi. Pensateci voi.

                La moglie Matilde parla molto, è teologhista, fa molte domande, fa la comunione quotidiana: hanno l'Oratorio privato e vi celebrerete a loro piacimento.

                Quivi raccontatene pure delle grosse dell'Oratorio e vi ascolteranno sempre volentieri. Si domandino notizie del nipote Luigino e della sorella Adelaide Fantoni. [138]

                In generale.

 

                Nelle visite agli alti personaggi rispondete volentieri alle loro domande. Lodate sempre i Romani e le cose di Roma, specialmente l'alto Clero: non però con Mons. Frateiacci[95].

                Per le cose di pratica e di etichetta state a quel che vi dirà il comm. Fontanella.

                Paebete vos ipsos exemplum bonorum operum.

                Guardatevi dal sudare. Avendo fretta di camminare prendete un legno.

                Dovunque troviate persone di nostra relazione, le saluterete da parte mia e direte a tutti che noi preghiamo per loro.

                Andrete anche a vedere la Madre Galeffi, presidente di Torre de' Specchi, cui darete notizie, ecc. Il Sig. Alessandro è ivi cassiere o maggiordomo.

                Sulla busta di lettera che racchiudeva questi avvisi, aveva scritto: - Mons. Frateiacci e l'Avv. Menghini siano caldamente invitati a venire a passare qualche tempo nei nostri paesi. Si vada pure ad ossequiare il Sig. Stefano Colonna[96] via S. Chiara 49 - 3.

 

                All'ampiezza del loro programma non bene rispondeva la ristrettezza del tempo. Per fare le proprie divozioni, per veder Roma, soprattutto per visitare tanti personaggi, dodici giorni, quanti appena li separavano dalla festa di Maria Ausiliatrice, erano un'inezia. Ma giovò loro assai, oltre all'abitudine di non istare con le mani alla cintola l'incontrarvi generali simpatie e quindi facili accessi, più che comunemente non soglia accadere in Roma. Rimasero poi addirittura incantati alla vista della cordiale sollecitudine, con cui i più alti Prelati chiedevan notizie di Don Bosco e della Congregazione.

                Poco i due pellegrini ci han permesso di sapere del tanto che dovettero riferire a Don Bosco. Ci han tramandate però alcune cose interessanti sulla visita al Cardinal Vicario, e sulle udienze pontifice. [139]

                Il cardinal Patrizi li trattò con somma confidenza. Venne a parlare anche delle difficoltà torinesi, conchiudendo: A Doli Bosco che l'ha voluto e se lo tenga, ha detto Pio IX. Del resto sono contento di ciò che accade. Le tribolazioni della vostra Congregazione indicano che essa è opera di Dio. Mi dispiacerebbe se le cose andassero diversamente. Ma tutto passerà! - Il che egli diceva con grande effusione d'affetto.

                Il giorno 14, ottantesimoterzo genetliaco di Pio IX, ebbero già il biglietto per un'udienza pubblica, poco diversa per loro due da un'udienza privata. Vi si presentarono con il cuore in sussulto, come chi sente avvicinarsi uno dei momenti più solenni della sua vita. L'apparire di Pio IX li elettrizzò. “Pio IX, scrive Don Lemoyne, vestito di bianco, con aspetto maestoso e affabile, era una vera immagine della bontà di Gesù”.

                Al momento opportuno, mons. Ricci, Maestro di Camera, li presentò dicendo: - Due preti di Don Bosco, o Santo Padre. - “Il Papa, scrive ancora Don Lemoyne, ci diede un'occhiata che non posso descrivere e venne difilato verso di noi. Alzati gli occhi al cielo e sollevando la testa quanto potè come in atto d'ispirato, tese le braccia e con voce sonora che in mezzo a quel silenzio fu udita da tutti: - La famiglia miracolosa! esclamò. Cresce, cresce? Quanti siete?

                - Beatissimo Padre, risposi io con voce interrotta, noi siamo già quattrocento ed ottomila i nostri giovanetti.

                Il Vicario di Gesù Cristo calcò allora le sue mani sui nostri capi e quindi ce le porse a baciare. Tutti i presenti osservarono che egli tenne sempre lo sguardo fisso in alto. Quindi passò oltre senza più fermarsi dinanzi ad alcuno, e la sua voce più non si udì”.

                Mons. Ricci ottenne loro anche un'udienza privata, sebbene essi dichiarassero che nulla avevano di particolare da dire al Pontefice. Introdotti, subito al loro entrare: - Oh, i miei figliuoli! esclamò Pio IX, ritto in piedi presso lo scrittoio, Come sta Don Bosco? Sta bene?  [140] Inginocchiatisi entrambi, Don Lemoyne gli presentò una lettera di Don Bosco e poi due buste sigillate.

                 - È questo l'obolo di San Pietro dei vostri giovanetti? E voi siete Don Bonetti, direttore di Borgo S. Martino, e voi Don Lemoyne, direttore del collegio di Lanzo?

                 - Sì, Beatissimo Padre; e Le presentiamo i più umili omaggi, gli attestati più sinceri della nostra venerazione e obbedienza a nome di Don Bosco, della Congregazione Salesiana e degli alunni di tutti i nostri collegi. Nello stesso tempo Le domandiamo la Sua apostolica benedizione.

                 - Sì, volentieri; benedico ai dirigenti e a tutti i diretti.

                 - Compresi pure i nostri giovani, sorse a dire Don Bonetti.

                 - E i vostri giovani non sono fra i diretti? osservò sorridendo amabilmente il Pontefice.

                 - È vero: ma per dir loro che furono in modo speciale nominati.

                 - Sì, si, li benedico particolarmente e di cuore.

                 - E ora noi oseremmo chiedere una grazia speciale a Vostra Santità, incoraggiativi da Don Bosco stesso, riprese Don Lemoyne.

                 - E quale?

                 - Un'indulgenza plenaria per tutti coloro che sono nelle nostre Case.

                 - E non è questo l'anno del giubileo?

                 - Sì, Beatissimo Padre; ma si è per avere un ricordo della vostra bontà, e della nostra visita al Vicario di Gesù Cristo.

                 - Ebbene, la concedo: per una volta sola, sapete, per una volta sola! - E così dicendo sollevava il pollice della mano destra.

                Avevano offerto anche al Pontefice le primizie dei loro lavori letterari, che furono graditi con parole d'incoraggiamento. Così finiva l'udienza. Anteposti a centinaia di persone, [141] che chiedevano di essere presentate al Pontefice, Sicchè, se eglino avessero dovuto aspettare il loro turno, non sarebbero bastati altri quindici giorni, compresero quanta stima circondasse a Roma il nome di Don Bosco[97].

                Il 24, solennità di Maria Ausiliatrice, Don Lemoyne cantava la Messa nel Santuario di Valdocco.

 

 

CAPO VII. Definitiva accettazione delle Missioni d'America.

 

                Pio IX, che agl'inizi del suo sacro ministero aveva visitato l'Argentina[98] e conosceva quanto fosse abbondante la messe ivi preparata, ascoltò con piacerei propositi di Don Bosco circa le Missioni a pro di quei paesi, intrattenendosi a lungo sull'argomento. Don Bosco, andato a Roma anche per averne, come sempre, lume, consiglio e approvazione dal Vicario di Gesù Cristo, non appena con la lode e la benedizione ricevette dal Sommo Pontefice ogni migliore incoraggiamento, si accinse con tutta la sua risolutezza ed energia all'impresa, per la cui attuazione aveva già fatto i primi passi.

                Dopo i preliminari esposti nel volume decimo, si erano intavolate trattative più concrete. Così l'antivigilia di San Francesco di Sales arrivarono dall'America le risposte, con cui si accettavano tutte le condizioni messe innanzi da Don Bosco e insieme si sollecitava la partenza dei Salesiani. Le lettere, dirette al console argentino Gazzolo, dovevano essere da lui ufficialmente comunicate.

                Don Bosco volle, che la massima solennità accompagnasse questa comunicazione. Perciò la sera della festa diede ordine che fossero radunati nella sala di studio tutti i giovani dell’Oratorio [143] e tutti i confratelli, e che di fronte a loro stesse eretto un gran palco. Sul palco ascesero e fecero corona a Don Bosco i membri del Capitolo Superiore e i direttori delle Case, convenuti in quei giorni per generali conferenze. Ben pochi sapevano il motivo preciso di quella novità; quindi l'aspettazione era straordinaria. A un cenno di Don Bosco il console Gazzolo, vestito di certa sua uniforme, si avanzò e fra religioso silenzio lesse ad alta voce le lettere argentine. Poi Don Bosco, levatosi in piedi, prese la parola e disse che, per quanto stava da lui, le proposte erano accettate; ma che egli aveva sul momento un'unica riserva da fare, che cioè il Santo Padre vi accordasse il suo pieno consenso; che egli sarebbe andato a Roma per udire dalle sue labbra, se la cosa fosse di suo gradimento; solo nel caso di un diniego da parte del Sommo Pontefice egli avrebbe risposto negativamente alle domande argentine.

                Non si può descrivere l'effetto prodotto da quella scena imponente. Giovani e confratelli andavano in visibilio. Alcuni dei superiori, alla vista di tanta solennità, eransi mostrati ritrosi a prender posto sul palco, per tema che, all'atto pratico, difetto di personale o insufficienza di mezzi mandasse a monte la spedizione; ma alla fine l'entusiasmo infiammò talmente gli animi, che anche gli esitanti si sentirono travolti. Fu una corrente elettrica che si propagò in un baleno dentro e fuori dell'Oratorio. Tosto vi tennero dietro le istruzioni di Don Bosco alle Case, sicchè tutti si persuasero che non erasi voluta inscenare una sterile dimostrazione. Egli diramò questa circolare.

 

                               Ai Soci Salesiani.

 

                Fra le molte proposte che vennero fatte per l'apertura di una missione nei paesi esteri, pare di preferenza di potersi accettare quella della Repubblica Argentina. Quivi, oltre la parte già civilizzata, si hanno estensioni di superficie interminabili abitate dai popoli selvaggi, tra cui lo zelo dei Salesiani colla grazia del Signore può essere esercitato. [144] Per ora cominciamo ad aprire un Ospizio a Buenos Ayres, capitale di questa vasta Repubblica, ed un Collegio con chiesa pubblica a S. Nicolas de los Arroyos non molto distante dalla stessa capitale.

                Or trattandosi di preparare il personale da spedire a fare questo primo esperimento, desidero che la scelta cada sopra soci che vi vadano non per ubbidienza, ma di tutta libera elezione. Quelli pertanto che si sentono propensi di recarsi nelle missioni straniere dovranno:

                1° Fare una domanda per iscritto, in cui palesino il loro buon volere di recarsi in quei paesi come soci della nostra Congregazione.

                2° Dopo si radunerà il Capitolo superiore, che dopo aver invocato i lumi dello Spirito Santo, esaminerà la sanità, la scienza, le forze fisiche e morali di ciascheduno. E saranno scelti unicamente quelli di cui si possa con fondamento giudicare che tale spedizione sia per riuscire vantaggiosa all'anima propria e nel tempo stesso tornare della maggior gloria di Dio.

                3° Fatta la cerna, si raccoglieranno insieme per quello spazio di tempo che sarà necessario ad istruirsi nella lingua e nei costumi dei popoli, cui si ha in animo di portar la parola di vita eterna.

                4° Se qualche grave ragione non farà cangiar divisamento, la partenza è stabilita pel prossimo mese di Ottobre.

                Ringraziamo di tutto cuore la bontà di Dio che in larga copia elargisce ogni giorno novelli favori all'umile nostra congregazione, e procuriamo di rendercene degni coll'esatta osservanza delle nostre costituzioni, specialmente quello che concerne i voti con cui ci siamo consacrati al Signore.

                Ma non cessiamo di innalzare continue preghiere al Divin trono, affinchè possiamo praticare le virtù della pazienza e della mansuetudine. Così sia.

                Credetemi sempre in G. C.

                Torino, 5 Febbraio 1875.

Aff.mo amico.

Sac. GIO. BOSCO.

 

                PS. Il Sig. Direttore legga e spieghi il tenore di questa lettera ai Salesiani che sono in questa casa.

 

                Don Ceccarelli, il parroco di S. Nicolas de los Arroyos, gli aveva riferito un mondo di bene sul conto d'un venerando vegliardo della sua parrocchia, per nome Giuseppe Francesco Benitez, impaziente di vedere i Salesiani nella sua patria[99]. Tre giorni prima di spedire la circolare alle Case Don Bosco gli aveva indirizzata questa bella lettera: [145]

 

                               Eccellenza,

 

                La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi.

                Molte persone della Rep. Argentina e specialmente il Sig. Comm. Giov. Batt. Gazzolo mi hanno parlato assai della grande carità, della sincera affezione di V. E. alla S. Sede e del suo zelo per tutte le cose di religione.

                Dio sia in ogni cosa benedetto e conservi la V. E. a lunghi anni di vita felice pel bene di Nostra Santa Madre Chiesa.

                Il Sig. Dottor Ceccarelli, mio antico amico, mi ha pure in modo particolare proclamata la protezione speciale che si degna di prendere pei Salesiani che fossero destinati per la novella casa di S. Nicolas. Dolce tratto di provvidenza! La E. V. porta il nome di Francesco e prende sotto alla sua paterna protezione la Congregazione di S. Francesco Salesio. Io la ringrazio di tutto cuore e fin da questo momento metto una speciale intenzione per cui ella possa partecipare di tutte le messe, di tutte le preghiere che i religiosi Salesiani saranno per fare in comune oppure in privato. Ogni mattino poi nella S. Messa io farò un memento particolare per la conservazione dei giorni della E. V.

                Siccome la nostra Congregazione si trova in principio ed ha tra mano la fondazione di molte case e Collegi, così noi ci raccomandiamo tutti umilmente alla sua carità per amore di N. S. G. C.

                Dio ci benedica tutti e ci conceda la grazia di poter tutti camminare per la via del bene e trovarci un giorno raccolti insieme col Padre celeste nella patria dei beati. Così sia.

                Raccomando anche me alla carità delle sue sante preghiere e mi professo

                Della E. V.

                Torino, 2 Febbraio 1875.

Obbl.mo Servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Don Bosco non ignorava i sentimenti del Papa, tutt'altro che contrari a un apostolato quale era quello da lui propostosi; la sua saggezza però gli consigliava di non comparire a Roma con delle mere buone intenzioni, ma con qualche cosa di più solido, che ispirasse fiducia nell'esito finale. Ecco perchè non invocò la benedizione del Papa se non dopo aver preparato un po' il terreno lontano, nell'America, e predisposto bene l'ambiente vicino, nella Congregazione. Cosicchè il beneplacito pontificio currentem incitavit.

                A Roma e da Roma fece subitamente due cose. Anzitutto conferì con il card. Franchi, prefetto, e con mons. Simeoni,  [146] segretario di Propaganda, che in un batter d'occhio guadagnò entrambi alla propria causa. Infatti, quand'egli se ne venne via dalla Città Eterna, ivi si compilavano già i due decreti d'uso: uno per l'Ordinario del luogo di missione, allo scopo di comunicargli ufficialmente che i Salesiani si recavano nella sua diocesi con licenza della Santa Sede e muniti di tutti i privilegi e facoltà soliti a concedersi in simili casi; l'altro per il Superiore Generale, a cui si largivano le concessioni necessarie in quelle date circostanze. “I privilegi sono molti, disse Don Bosco nelle conferenze di aprile; per le Missioni non si guarda tanto pel sottile”.

                Da Roma inoltre scrisse in America, chiedendo ulteriori informazioni, sia perchè i Salesiani vi godessero poi piena libertà di azione, sia perchè non si sollevassero in seguito difficoltà, quando vi fossero chierici da ammettere agli ordini sacri. Le risposte giunsero favorevoli. Allora diede l'ultimo suo consenso, notificando insieme d'aver ottenuto il beneplacito del Papa, e l'affare potevasi dir conchiuso. Se non che gravi moti anticlericali, scoppiati in quei giorni, turbarono la capitale dell'Argentina. Nel marzo del '75, una mano di forsennati, dopo un comizio nel teatro Variedades, al grido Abajo los Jesuitas, incendiò il loro collegio del Salvador, uno stabilimento di prim'ordine. Si temeva che la furia settaria non si arrestasse lì; perciò Don Bosco tornò a scrivere per sapere, se quegli avvenimenti potessero impedire o ritardare la partenza dei Missionari. Ma quel contrattempo non si avverò.

                Le cose stavano in questi termini, allorchè la sera del 12 maggio Don Bosco, salito il pulpitino della "buona notte" sotto i portici, esordiva così: “Questa sera, miei cari giovani, lasciamo da banda ogni altro argomento. Io ho da parlarvi di una cosa, della quale da tanto tempo aspettate che vi tenga parola. Vi dirò adunque di Buenos Aires e di S. Nicolas”. - Ah, ah, finalmente! - si gridò da tutte le parti. Indi profondo silenzio e viva aspettazione. Don Bosco proseguì: [147] Molti mi chiedono se non si trattava più di andare in America ed io faccio sapere a costoro che oggi arrivò l'ultima risposta definitiva. Chi Vuol partire si metta all'ordine. La lettera giunta poc'anzi mi dice che l'Alcade di S. Nicolas, carica che presso di noi corrisponderebbe a quella di Sindaco, ricevuto il mio foglio di accettazione, s'inginocchiò per terra, ed alzando gli occhi al cielo ringraziò il Signore come di uno dei più grandi favori da Lui concessi a quella città; poi andò egli stesso a dame avviso a tutte le altre autorità del paese; subito mi rispose essere egli contento di tutte le condizioni apposte e che poneva da quel momento a nostra disposizione il collegio con un terreno atto a pascolare ottomila pecore, con orto, cortili, ecc. Vedete adunque come in quei paesi ci sarà da lavorare per ogni fatta di persone. Ci vogliono predicatori, perchè si hanno chiese pubbliche da funzionare; ci vogliono professori per le scuole; ci vogliono cantanti e suonatori, perchè là si ama tanto la musica; ci vuole chi conduca le pecore al pascolo, le tosi, le munga, faccia il cacio: ci vogliono poi persone per fare tutti gli uffizi di casa. E quel che è più, mei cari figliuoli, si è questo. Poco lungi da S. Nicolas cominciano le stazioni delle tribù selvaggie, le quali però sono d'indole molto buona e molti di essi dimostrano già buona intenzione di abbracciare il Cristianesimo, purchè vada qualcuno a loro insegnarlo. Ma questo missionario ora non si trova e perciò vivono nell'idolatria. Facciamoci adunque coraggio noi, e cerchiamo ogni modo per prepararci ad andare a far del bene in quella terra.

                Intanto fra poco si sceglierà il personale e costoro si metteranno a studiare la lingua spagnuola che è quella parlata nella Repubblica Argentina. Nè è da temersi la distanza di quelle terre; anche le più grandi distanze sono oggigiorno avvicinate dalle macchine a vapore e dai telegrafi.

                Com'è evidente anche da queste parole, l'ideale di Don Bosco mirava all'evangelizzazione degli infedeli; soltanto egli aveva in animo di battere una via diversa da quella tentata in passato. Altri missionari, volendo penetrare difilatamente in mezzo alle tribù selvagge, vi avevano quasi tutti incontrata la morte per mano degl'indigeni. Egli dunque giudicava miglior consiglio stabilire collegi e ospizi in paesi limitrofi, ricevervi anche figli della foresta per conoscere lingua, usi e costumi degli Indi e così avviare a poco a poco relazioni sociali e religiose con essi. Buenos Aires sarebbe il centro di comunicazione e per intanto S. Nicolas costituirebbe già un punto avanzato. [148] Ma gli stava anche molto a cuore la condizione degl'Italiani, che in numero strabocchevole e ognor crescente vivevano dispersi in quella vastissima repubblica. Piovuti laggiù dall'Europa in cerca di fortuna, privi di scuole per i fanciulli, lontani da ogni pratica religiosa un po' per colpa loro, un po' per mancanza di sacerdoti che se ne potessero prendere cura, rischiavano di formarvi tutta una gran massa di popolazione senza fede e senza legge.

                Frattanto gli atti e le parole di Don Bosco sulle Missioni avevano gettato un fermento salutare fra gli allievi e i Soci. Si videro allora moltiplicarsi le vocazioni allo stato ecclesiastico; crebbero anche sensibilmente le domande di ascriversi alla Congregazione, e un ardor nuovo di apostolato s'impadronì di molti che vi erano ascritti.

                Due lettere a Don Ceccarelli sono più eloquenti di qualsiasi nostro discorso a esprimere tutta la sollecitudine paterna di Don Bosco per predisporre le cose in modo, che i suoi figli, mettendo piede su quelle terre lontane, non vi capitassero come stranieri fra stranieri, ma vi giungessero come amici fra amici. Nella prima egli fa, per dir così, la loro presentazione e con delicatezza squisita tocca del passaggio. Quest'ultima mossa non rimase senza effetto; poichè il municipio di S. Nicolas pagò il viaggio per cinque missionari.

 

                               Rev.mo e Car.mo nel Signore,

 

                La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi. Fatto il dovuto conto delle lettere scritte di V. S. Rev.ma e dei preziosi documenti che la Eccellentissima Commissione fondatrice si compiacque indirizzarmi, ho deliberato che i miei figli dessero opera sollecita per partire alla volta della Repubblica Argentina, appena le cose a quest'uopo siano preparate. Ora prego la sua bontà di comunicare ai signori di detta rispettabile commissione elle:

                1° Io li ringrazio di tutto cuore delle benevoli espressioni con cui mi hanno scritto, e che i Salesiani nella loro buona volontà sperano di corrispondere alla giusta loro aspettazione, sia per la direzione del Collegio di S. Nicolas, sia per le scuole serali, che tra noi ottengono tanti buoni risultati. [149]

                2° Per uniformarmi alle Costituzioni della nostra Congregazione modifico alquanto il personale che mi era stato accennato. Saranno cinque sacerdoti tutti maestri approvati e muniti dei loro diplomi nei nostri paesi. Con essi vi andrà un maestro di musica per suonare ed insegnare il canto, il pianoforte, l'organo, ed altri strumenti, tanto nelle chiese se fosse d'uopo, quanto nel collegio e nelle scuole serali.

                Due coadiutori Salesiani di cui uno avrà cura del materiale della chiesa, l'altro dell'alloggio dei collegio. Io desidererei che le persone di servizio fossero tutte della Congregazione Salesiana, a fine di essere viepiù sicuri delle loro azioni: ma quando le cose siano cominciate, Ella me lo scriverà ed allora si potrà provvedere quanto sarà necessario.

                3° Il Sac. Dott. Giovanni Cagliero, Ispettore e Vice - Superiore della Congregazione, guiderà i Salesiani con pieni poteri di trattare e conchiudere qualunque affare possa occorrere colle autorità civili, oppure ecclesiastiche. Installati i Salesiani al rispettivo ufficio, Egli lascierà direttore il prof. Bonetti Giovanni che da molti anni è capo di un collegio di oltre a cento allievi, e già conosciuto per alcune opere da lui pubblicate; quindi D. Cagliero farà ritorno in Europa per essere in grado di corrispondere e provvedere quanto farà mestieri al buon andamento del collegio e di altre case che la divina Provvidenza si degnasse affidarci.

                Siccome poi è il primo viaggio che i Salesiani fanno sopra lungo tratto di mare, così io desidero vivamente che siano accompagnati dal Comm. Gio. Gazzolo Console Argentino a Savona. Esso è persona che ha tutta la nostra fiducia, pratico di vicende di mare, e conoscitore dei paesi e di molte persone, tra cui i nostri dovranno stabilire la loro dimora. I viaggiatori pertanto sono dieci, ed io mi raccomando a questo rispettabile municipio per altrettanti passaggi, di cui tre bastano di seconda classe. Ma se ciò cagionasse difficoltà, io mi assumerei il passaggio di tutti coloro, a cui non si giudicasse di pagarlo. Sono pronto di fare questo ed altri sacrifizi, perchè desidero vivamente che le cose vadano bene specialmente per la moralità e niente manchi di quanto può contribuire a mettere un solido principio all'opera di S. Nicolas.

                5° I Salesiani partirebbero di qui circa la metà del prossimo Novembre e farò notificato il giorno, appena questo si possa con precisione stabilire.

                6° In quanto ai nomi dei religiosi da mettersi sulle bollette dei passaggi, potrebbesi firmare una bolletta sola in capo al Dott. Gio. Cagliero, oppure in capo al Comm. Gio. Gazzolo del valore per quel numero di persone che si giudicherà. Con questo mezzo sarebbe evitata la difficoltà che potrebbe avvenire, se qualcuno non potesse porsi in viaggio all'epoca stabilita. [150]

                7° Comunicare a S. E. Mons. Arc.vo le cose non notate nel modo che Ella giudicherà necessario. A lei poi, o caro e rispettabile Sacerdote del Signore, fo umili e cordialissimi ringraziamenti per la carità che ci usa in questa pia impresa. Se ne verrà, come spero, qualche poco di gloria a Dio, e vantaggio ai giovanetti di S. Nicolas, Ella ne avrà certamente il merito principale. Io sono persuaso che V. S. avrà nei Salesiani dei buoni fratelli, i quali, seguendo i savi di Lei consigli, appagheranno l'aspettazione delle autorità civili e religiose, siccome abbiamo finora fatto nella difficile posizione, in cui versano le cose pubbliche nei nostri paesi.

                Qualunque cosa me la scriva con libertà ed anche prontamente; io poi le scriverò altra lettera quanto prima, per darle minuto ragguaglio delle cose che andiamo preparando per la divisata partenza.

                In fine raccomando me, li miei salesiani e tutti i nostri allievi alla carità delle sante sue preghiere, mentre ho l'onore di potermi professare con gratitudine e stima di V. S. Rev.ma

                Torino, 28 Luglio 1875.

Umile servitore ed amico

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Nella seconda lettera scende a minimi particolari su quanto potrà occorrere a' suoi figli, allorchè si troveranno isolati in quei remoti paesi, volendo sapere tutto per filo e per segno, financo se vi sarà carta di musica. Ci tiene insomma a metterli in grado di far onore alta Congregazione nascente. Mentre poi si occupa di cose della vita ordinaria, ecco sfuggirgli dalla penna una gemma pedagogica, là dove, annunziato l'invio dei regolamenti di alcuni collegi salesiani, dice: “Ma il vero Regolamento sta nell'attitudine di chi insegna”,

 

                               Car.mo Sig. Dott. Ceccarelli,

 

                Ricevuta la sua lettera, d'accordo col Sig. Comm. Gazzolo abbiamo subito fatto risposta per Lei e pel Municipio di S. Nicolas. La nostra partenza sarà non più tardi del 15 Novembre prossimo; ma speriamo che sarà prima. Intanto che noi prepariamo i nostri equipaggi, io debbo chiederle molte cose particolari e:

                1° In quanto agli arredi sacri, vasi sacri, suppellettili della Chiesa saranno costà provveduti o che dobbiamo provvederli noi e portarceli insieme?

                2° Dica lo stesso delle suppellettili di casa, di cucina, di camera di camicie, lenzuola, fazzoletti, tovaglie, asciugamani, etc.

                3° In quanto ai libri e. g. messali, antifonarii, cartelle per la [151] benedizione, per le messe da morto, Breviarii, Catechismi, libri di scuola come sono grammatiche, dizionarii e simili.

                4° Se giunti a S. Nicolas i nostri andranno in Collegio oppure in casa parocchiale; se dobbiamo pensare alle persone di servizio, oppure vi sia già qualche cosa stabilita a questo riguardo.

                5° Se colle scuole del Collegio si intendano anche quelle della città, oppure queste si fanno separate da quelle, se o no ad altri affidate.

                6° Se è necessario che ci provediamo un pianoforte oppure già esiste in collegio.. Della carta di musica, metodi per insegnare l'organo, il pianoforte, il canto Gregoriano.

                7° Le mando i Regolamenti o piuttosto l'Orario di alcune nostre scuole serali di Varazze e di Torino. Ma il vero Regolamento sta nell'attitudine di chi insegna.

                8° Se i nostri preti avranno da prendere parte alla predicazione, al catechismo, alle confessioni dei fedeli, siccome facciamo nelle nostre Chiese.

                9° Se sarà necessario che io scriva preventivamente all'Arc. di Buenos Ayres e in quale senso.

                10° Siccome io sto stampando un libro di pietà per la gioventù in lingua spagnola, come le ho già scritto, e desiderando di uniformarmi quanto è possibile alle usanze di questa Archidiocesi, avrei bisogno che Ella mi mandasse nel più breve tempo possibile un piccolo catechismo pei fanciulli da cui ricaverò le preghiere quotidiane cioè: Vi adoro, Pater, Ave, Credo, Salve, Angele Dei, Decalogo, atti di fede e simili. Così i nostri religiosi si uniformeranno tosto a quanto si suole già praticare in Diocesi.

                In questo tempo bisogna, che Ella si armi di pazienza, mi istruisca e mi aiuti. Io desidero che Ella abbia a fare bella figura, e che niuno possa dire: È una meschinità, Perciocchè essendo impegnato l'onore di una Congregazione nascente, io intendo di niente risparmiare di personale ed anche di spesa, che possa contribuire al buon esito della nostra impresa.

                La prego infine di darmi tutti quei consigli, che Ella giudicherà del caso, e di fare da parte mia i miei umili e rispettosi ossequi ai Signori della Commissione fondatrice, i quali si degnarono di scrivermi con tanta bontà.

                Dio la colmi di sue benedizioni, preghi per me, che con vera gratitudine ho l'onore di professarmi

                Di V. S. Car.ma.

                Torino, 12 ag. 1875.

Umile servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Don Bosco, posta che avesse la mano a un'impresa che stimava voluta da Dio, agiva come dice il proverbio: Aiutati,  [152] che Dio t'aiuta. O meglio, si regolava conforme alla massima di Sant'Ignazio: Nel corso dell'opera, fa 'come se tutto avesse a dipendere da te; a opera compiuta, danne lode a Dio, come se tu non ci fossi entrato per nulla. Quindi applicavasi alla ricerca de' mezzi, picchiando a tutte le porte. Nell'allestire dunque la spedizione non dimenticò il Cardinale Prefetto di Propaganda, ma gli si raccomandò caldamente tanto per aver copia di favori spirituali quanto per ottenerne sussidi d'ordine materiale.

 

                               Eminenza Rev.ma,

 

                Ricorro umilmente all'E. V. perchè si degni farmi da padre e da protettore nell'affare che qui rispettosamente ho l'onore di esporre. Colla benedizione del Santo Padre, previe le pratiche necessarie coll'Arcivescovo di Buenos Ayres e col municipio di S. Nicolas de los Arroyos, la Congregazione Salesiana conchiuse le trattative, secondo le quali deve aprire un Ospizio in quella Capitale, un Collegio a San Nicolas, specialmente in vantaggio delle Missioni, ed assumersi l'amministrazione delle pubbliche scuole con Chiesa a favore di quei cittadini.

                La prima partenza dei Salesiani è fissata per gli ultimi dieci giorni del prossimo Ottobre, in numero di dieci, ed egual numero dovrà partire non molto dopo.

                Essendo questa la prima volta che apriamo case nelle missioni estere, io mi rivolgo all'E. V. Rev.ma supplicandola:

                1° A voler concedere alla Congregazione Salesiana (definitivamente approvata 3 Aprile 1874) tutti quei favori, grazie spirituali e privilegi, che la Santa Sede suole accordare ai religiosi che vanno nelle missioni estere, sia considerati come individui, sia come case religiose quali appunto sono le Salesiane.

                2° Questa Congregazione, benchè si trovi abbastanza provvista del personale necessario, trovandosi tuttavia nel suo principio, è priva affatto di mezzi di fortuna; quindi in grave bisogno, supplica la E. V. a voler fornirci quel sussidio in danaro, in libri specialmente spagnuoli, o ad uso di Chiesa, o scuola, in vasi sacri, paramentali e simili, secondo che la nota sua carità giudica opportuno.

                Il municipio di S. Nicolas somministra il locale pel Collegio e Chiesa, e paga il viaggio per cinque missionarii. Le altre spese preparatorie per lo studio delle lingue, pel corredo personale, per tutto ciò che concerne al viaggio, suppellettile e primo impianto sono tutti a carico dei Salesiani.

                La benevolenza e la singolare carità che mi usò in altre occasioni [153] mi danno fiducia che eziandio al presente si degnerà d'esserci padre e protettore.

                I Salesiani dal canto loro procureranno con vivo zelo di corrispondere ai benefizi ricevuti e ricorderanno con incancellabile gratitudine colui che loro porse mezzi efficaci, con cui poterono recarsi ad esercitare il Vangelico Ministero nella Repubblica Argentina, donde coll'aiuto divino sperano potersi anche estendere in altre parti dell'America.

                Tutti poi di buon cuore pregano Dio che la colmi dei suoi celesti favori e le conceda lunghi anni di vita felice pel bene della Chiesa e della civile Società, mentre a nome di tutti le bacio la Sacra porpora e mi professo colla massima venerazione della E. V. Rev.ma

Obbl.mo Umil.mo Servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                La lettera è del 31 agosto, secondochè si rileva dalla risposta del 14 settembre. La qual risposta fu che egli si rivolgesse al Cardinale Segretario di Stato, dipendendo la Repubblica Argentina dalla Congregazione degli Affari Ecclesiastici straordinari.

                Allo stato dei documenti non ci consta se Don Bosco si sia indirizzato da quella parte. Probabilmente non ne fece nulla. Questa nostra congettura si fonda sulla circostanza che proprio in quei giorni l'affare dei privilegi e delle dimissorie attraversava una fase delicatissima, come vedremo, ed egli non avrà creduto buono il momento per avanzare la domanda.

                Le angustie causategli dalle cose di Roma avevano il loro nesso con le difficoltà di Torino: contemporaneamente le une e le altre gli davano travaglio. Eppure con sovrumana serenità d'animo egli procedeva tranquillo verso lo scopo che si era prefisso di cominciare le Missioni d'America. Anzi, non perdeva nemmeno il suo consueto buon umore, come ci rivela questa lettera al suo grande amico e benefattore Don Michelangelo Chiatellino.

 

                               Caris.mo Sig. D. Chiatellino,

 

                Siccome in tempo delle vacanze non avrà tanto da fare e forse le farà bene passeggiare, così a nome di Maria A. le affido l'impresa dei nostri missionari, che sul finire di Ottobre guidati da D. Cagliero andranno nell'altro mondo o meglio nel nuovo mondo. [154] Ella avrà qui la nota del corredo che loro strettamente occorre ed hanno bisogno che i buoni cattolici offrano la borsa, mentre essi vanno ad offrire la vita fra le tribù selvaggie della Patagonia.

                Faccia adunque così: faccia un giro e tanti sono gli oggetti, altrettanti siano i caritatevoli provveditori che li paghino. Se fa questo mi raccomando al Papa che la faccia Monsignore e forse di più.

                Vedremo, Caritas omnia vincit.

                Noti bene: urge di provvedere ed io non ho ancora nè un filo nè un soldo ad hoc.

                Fra gli altri credo che Ella possa utilmente invitare: D. Chiatellino di Villa Stellone, Mons. Appendino, T. Fascio prevosto, suo Fratello vice parroco, Sig. Assom ex - agente dei Sig. Villa, Sig. Garabello farmacista, Sig. Alloatti, Sig. Marcellino ed altri.

                In Carignano: Mad. Calosso, T. Langero, Mad. Aghemo vedova, il prevosto, D. Febbraro e suo coadiutore di Borgo, D. Chiatellino Michelangelo, D. Robatto parroco di Santena ed altri che Dio le metterà in testa come persone di carità e di buona volontà.

                Se giungesse la Sig. Duchessa, spero che qualche cosa sarà Ella pure per fare. Dio ci benedica. Soffra e faccia tutto per amor del Signore, mentre le sono in G. C.

                Torino, 25 - 9 - 75.

Aff.mo amico

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Il corredo personale per dieci individui e tutto l'occorrente per il sacro ministero, per lo studio, per la scuola, importava spese ingenti, a cui certo l'Oratorio non era in grado di far fronte. Bisognava provvedere calze, calzetti, scarpe, camicie, mantelli, mantelline, pastrani, sottane, suppellettili di camera, arredi di chiesa, paramenta, calici, messali, antifonari, pissidi, libri di lingua spagnuola e francese, testi di teologia, opere predicabili, manuali di ascetica. Don Bosco, sempre molto positivo, compilò un elenco particolareggiato di tutti questi oggetti, specificandone il numero relativo e il costo[100]; indi ne fece moltiplicare le copie e le mise largamente in giro.

                Allora si vide in Torino un'ammirevole gara di carità. L'Istituto delle Figlie dei Militari, l'Istituto del Refugio delle Maddalene, delle Orfane, di S. Anna, di S. Giuseppe, di S. Pietro, [155] quello delle Fedeli Compagne di Gesù, del Buon Pastore, della Cascina, molte famiglie private, lavoravano giorno e notte per apprestare il corredo necessario. Nel medesimo tempo giungevano all'Oratorio pacchi di calze, camice, stole, dalmatiche, piviali, tovaglie, tovagliuoli. In casa i laboratori erano tutti in moto per allestire calzature, indumenti, casse, ferramenta.

                Non avremmo detto tutto, se tacessimo di una particolarità. In mezzo a tanto fervore di preparativi, parecchi ancora vi erano, i quali duravano fatica a persuadersi che la spedizione si sarebbe fatta davvero. Essi guardavano le cose dai tetti in giù, e vedevano Don Cagliero, destinato a guidarla, professore di teologia morale e maestro di musica nell'Oratorio e direttore spirituale delle Figlie di Maria Ausiliatrice; degli altri chi vedevano prefetto in un collegio, chi professore, chi addetto a faccende importanti, e tutti ben difficilmente sostituibili. Il coadiutore Belmonte, per esempio, incaricato di badare agli ospiti, che nell'Oratorio si succedevano quotidianamente, mezz'ora prima della partenza esercitava ancora le sue funzioni, talchè se non gli si fosse ricordato di consegnare le chiavi, se le sarebbe messe in tasca e le avrebbe portate in America. Guai se Don Bosco fosse stato di così corte vedute! Formato il suo disegno davanti a Dio, egli era ben lungi dall'immaginarsi che l'avrebbe condotto a termine senza difficoltà; ma, all'affacciarsi di un ostacolo, non che smarrirsi, subito studiava il modo di superarlo, tenendo per sua norma il suggerimento di santa Teresa: Niente ti turbi.

 

 

CAPO VIII. Conferenze di aprile del '75

 

                NEL tirare su la sua Congregazione Don Bosco ha fatto come il mistico vignaiuolo d'Isaia, secondochè suona il testo della Volgata[101]. Dice il profeta ch'egli cinse di siepe la sua vigna e ne cavò fuori le pietre e vi edificò nel bel mezzo una torre. Don Bosco trasformò a poco a poco il prato di Valdocco in vigna eletta, ben custodita dietro il riparo d'un saggio regolamento; là entro poi si venne scegliendo tra i giovani quei che giudicava più acconci all'attuazione de' suoi disegni, se li lavorò, per così dire, e se li foggiò a modo suo, secondo l'ideale che aveva nella mente, li unì fra loro con saldi legami di comuni interessi spirituali, se li strinse attorno con la forza della più tenace affezione, fintantochè, senza che se n'avvedessero, costituì di loro un corpo ben compatto, ben organizzato, capace di vivere e di svilupparsi e di raggiungere proporzioni gigantesche. La Storia Ecclesiastica non offre esempi di simili fondatori che si siano assembrata per vicos et plateas un'accolta di birichini e ne abbiano con cure assidue formate le pietre basilari dei loro grandi edifizi religiosi; si presentavano uomini già fatti quelli che si ponevano sotto la disciplina dei santi fondatori e senza indugio con essi collaboravano a gettar le basi di provvidenziali istituzioni.

                E si noti ancora che correvano ai tempi di Don Bosco anni difficilissimi per gli Ordini e le Congregazioni religiose, [157] tanto difficili, che non se ne poteva impunemente neppure dir bene; figuriamoci poi a volerne suscitate dei nuovi! Bisognò a Don Bosco muovere davvero con piè di piombo. Del resto, chi poteva nutrir sospetti su quell'accoglienza di ragazzi, che mangiavano il pane di Don Bosco? Diremo di più: Don Bosco era obbligato a stare in guardia di fronte a queglino stessi, ch'ei designava antesignani dell'Opera sua, tali e tanti pregiudizi ingombravano universalmente gli spiriti. Se avesse anzi tempo fatto loro menzione di vita religiosa e di voti, avrebbe visto intorno a sè il deserto. Lo stesso cardinale Cagliero, con la vivacità che gli fu propria fino all'estremo della vita, ci ripeteva che, se a lui prematuramente si fosse parlato di professione religiosa o di Congregazione, egli avrebbe detto: - Stare con Don Bosco, aiutare Don Bosco, sì; ma farmi frate, no, no! - Manodusse quindi i suoi dove volle, con longanime tolleranza e graduale preparazione, sospingendoli in alto mare prima che sapessero di essersi imbarcati. Ecco la ragione principale, per cui uomini eminenti del clero insorgevano scandalizzati, invocando o applicando provvedimenti, dei quali oggi noi misuriamo tutta l'inopportunità e importunità; essi miravano le cose dell'Oratorio dal di fuori e le giudicavano alla stregua dei passato.

                I bravi direttori di collegi, che rivedremo ora far corona a Don Bosco, sono precisamente quei folletti più o meno sbarazzini, che pochi lustri innanzi con le loro irrequietezze ne mettevano a dura prova la pazienza, ma che giorno per giorno trattati con bontà, istruiti, posti in salvo da pestilenziali esempi, imbevuti di pietà spontanea e lieta, amarono d'un amor tenero, forte e perseverante il loro buon Padre e furono suoi per la vita e per la morte.

                Uno dei mezzi usati da Don Bosco per trasfondere ne' suoi eletti i propri sentimenti e consolidare la Congregazione di fresco approvata, era di chiamarli spesso a conferire tutti assieme. In tali adunanze, egli, senz'apparato di sorta, ma trattando più da padre che da superiore, si metteva con essi [158] in intima comunione d'idee e di propositi, affezionandoli ognor più alle sue Opere e valendosi di loro per imprimere sempre maggiore consistenza nella compagine del corpo intero. Poichè oltre a ciò che, per così esprimerci, era all'Ordine del giorno, formava cioè l'oggetto precipuo della convocazione, egli aveva allora agio di sentirli uno a uno in privato, di conoscere da vicino le disposizioni dei singoli, d'incoraggiare, di consigliare; dopo di che essi, quasi ripigliata lena, si rimettevano con ardor nuovo al quotidiano lavoro.

                L'occasione colta da Don Bosco per invitare nuovamente a riunirsi nell'Oratorio i più ragguardevoli rappresentanti della Società fu il suo ritorno da Roma. Non ignorava egli quale effetto dovesse produrre su gli animi loro e il metterli a parte di vitali interessi della Congregazione e il ridir loro personalmente la parola dei Papa.

                Nei tre giorni 14, 15 e 16 aprile sei conferenze si tennero, delle quali cinque private e una pubblica. V'intervennero Don Rua, Don Cagliero, Don Durando, Don Lazzero, Don Ghivarello, Don Bonetti, Don Lemoyne, Don Francesia, Don Cerruti, Don Albera, Don Dalmazzo, Don Barberis, segnatosi per ultimo nel verbale, giacchè fungeva da segretario. Vi mancarono Don Savio e Don Costamagna, trattenuti da precedenti impegni di sacro ministero.

                Nella prima seduta Don Bosco, dopo avere con gran riverenza di espressioni, comunicata la speciale benedizione del Papa ai Superiori della Società ed esposti i motivi del suo viaggio a Roma, presentò ai convenuti lo stato particolare delle cose, abbozzandone come un quadro, di cui illustrò le luci e le ombre. A Roma aveva incontrato vive simpatie in alto e in altissimo luogo, nonostante le sfavorevoli relazioni, che vi fioccavano da Torino. Al qual proposito fece trarre dagli archivi e leggere alcuni documenti riservati, affinchè si vedesse chiaro in che acque si navigava e con quanta prudenza era da procedere anche nel governo delle Case. Dal verbale di questa seduta noi abbiamo già desunte notizie per [159] narrazioni precedenti, e altro vi attingeremo ancora per il capo nono; sicchè ora senza più passeremo avanti.

                Alla seconda conferenza presiedette Don Rua. La lettura d'un verbale delle conferenze di gennaio mise sul tappeto una questione, che oggi fa sol ridere, ma del sorriso buono, con cui si guarda all'infanzia. La stessa osservazione si dovrebbe ripetere più d'una volta anche qui appresso. Bisogna intendere le cose per il loro verso. Don Bosco non fu uomo che presentasse disegni bell'e compiuti da attuarsi in pieno; egli invece poneva umili semi in terreno propizio, assistendone poi con oculatezza il barbicare sotto il suolo e il germogliare all'aperto e il crescere fino alla ramificazione. L'opera sua maggiore, la Congregazione, è nata da un granello come la senapa del Vangelo, nè crebbe prodigiosamente per salti, ma adagio adagio, da poveri inizi e per gradi; nel tempo di cui narriamo la storia, essa irrobustiva il fusto ancor tenero e spiegava timidamente i primi rami, sorretta dal solerte cultore. Chi non vede con diletto e non gusta di sorprendere come in atto il venir su della pianta?

                Si capì dunque allora che ci voleva un segretario del Capitolo Superiore, il quale prendesse nota di tutto, sia per impedire che le deliberazioni cadessero dalla memoria, sia per tramandare ai posteri cose importanti, che altrimenti non avrebbero lasciato traccia. Una specie di segretario veramente c'era, nominato già “da tempo” nella persona di Don Ghivarello; ma era come se non ci fosse, perchè, avendo molto da fare, egli non ci badava, e nessuno vi faceva caso. Allora invece si impose il quesito, se convenisse che Don Ghivarello stesso, rinunziando ad altre occupazioni, attendesse di proposito a questa, o se fosse da eleggervisi un socio più libero di applicarvisi. Opponendosi Don Ghivarello alla prima soluzione e per l'impossibilità di alleggerire il suo lavoro e per certo suo difetto di memoria, fu ventilata l'idea di chiamare a quell'ufficio un cotal confratello; ma non ardirono pronunziarsi in merito, perchè, si disse, Don Bosco aveva scelto Don [160] Ghivarello e a Don Ghivarello toccava di rimanere. Fu dunque deciso di rimettere l'affare nelle mani di Don Bosco.

                Dopo questo preambolo, fu data lettura di favori spirituali a noi già noti; indi si passò all'Ordine del giorno, preparato da Don Bosco stesso e distinto in tre parti: 1° non cambiare personale; 2° il teatro non disturbasse l'orario della Casa; 3° non far spese accessorie. Sui primi due punti si manifestò tale disparità di vedute, che non si veniva a capo di concigliarle; onde nacque il dubbio che non s'intendesse bene dai presenti la portata degli articoli. Perciò, dopo avervi discusso su parecchio, deliberarono di riparlarne con Don Bosco.

                Restava la terza cosa. Ma in che senso bisognava prendere quelle “spese accessorie”? Nuove fabbriche, no, perchè era già legge che nessun direttore mettesse mano a fabbricare senza il consenso del Capitolo Superiore. Dunque, modificazioni accidentali nelle fabbriche. Ebbene, ogni direttore si disse pronto dal canto suo ad astenersene, come del resto generalmente già si usava.

                La chiusa si aggirò sull'opportunità di autorizzare una spesa in fatto d'indumenti estivi. Nel Piemonte durante i mesi caldi gli ecclesiastici portavano per lo più un ferraiolino molto economico. Era il caso di seguire una nuova corrente, permettendo ai preti d'indossare un pastrano leggiero? Religiosi, sacerdoti secolari, vescovi facevano ormai così; e poi quel soprabito permetteva di prolungare l'uso di vesti già alquanto logore o scolorite, “che per lo più abbiamo”, nota il verbale. Non si osò decidere, ma si amò meglio, per la terza volta, attendere la decisione da Don Bosco.

                Nella terza conferenza ritroviamo Don Bosco. La già narrata mediazione dell'Arcivescovo di Vercelli e parecchi Decreti di facoltà e d'indulgenze che del pari già conosciamo, occuparono la prima parte del tempo; il resto fu impiegato nel dilucidare i due punti lasciati in sospeso dalla seduta anteriore.  [161] Interpellarono prima Don Bosco sul “Non cambiar personale”. Se egli intendeva del non traslocare nessuno arbitrariamente da Casa a Casa, non constava che ciò si fosse giammai fatto; se poi voleva dire che non si mutassero occupazioni ai confratelli nei singoli collegi, senza previa licenza del Capitolo Superiore, sembrava questa una misura atta a creare imbarazzi, occorrendo spesso di far passare lì per lì un individuo da un'assistenza a un'altra, da uno a un altro insegnamento.

                Don Bosco rispose così: “Si tratta qui di una misura preventiva più che repressiva. Di regola generale, bisogna che le cose si mantengano come sono. Vedete: su questo particolare io mi sono consigliato con il padre Franco, il quale mi disse che tra loro Gesuiti non si fanno mutamenti, se prima non c’è il consenso dei superiori maggiori. E realmente è una cosa questa che arreca due grandi beni: toglie di mezzo ogni odiosità che potrebbe nascere contro il superiore locale, e fa che il suddito si mostri più pronto e resti più contento. Credetemi: io vorrei far penetrare quest'abitudine in tutte le Case. Sì, vi trovo qualche difficoltà; ma se ogni direttore, prima di dare un ordine un po' importante, scrivesse ai superiori e così l'ordine venisse da Torino, ecco che ciò contribuirebbe assaissimo al buon andamento delle Case particolari. Lo stesso dicasi delle negative. Se ogni volta, invece di negare un permesso, si dicesse: - Va bene, ecco, scriverò al Capitolo Superiore, perchè veda il da farsi, e dopo te ne riferirò - con questo si risparmierebbe al confratello il dispiacere che facilmente nasce da un diniego, quando si possa supporre che il direttore, dicendo di no, abbia agito per capriccio. Nei trasferimenti ciò si vede ancora meglio. Vorrete, per esempio, mandare un soggetto dalla vostra Casa a un'altra. Se fate da voi il trasloco, gli mettete nell'animo l'odioso sospetto che vogliate sbarazzarvi di lui, perchè non conviene più che egli stia dov'è. Se invece scrivete al Capitolo Superiore ed esso chiama quell'individuo per collocarlo altrove, ecco [162] che sono evitati molti inconvenienti. Facendo in questo modo, vi sarebbe più soggezione e meno malumori”.

                Di parola in parola il discorso si portò su disordini che avvenivano riguardo alla corrispondenza. Qui Don Bosco fece una raccomandazione e diede due norme. Raccomandò che si lasciasse libertà piena e assoluta di scrivere al superiore generale; al qual proposito ricordò che in certi Ordini religiosi è comminata perfino la scomunica al superiore locale che impedisse di scrivere o si arrogasse di leggere tali lettere siano esse missive o responsive; anzi espresse il suo desiderio che si esortasse a scrivergli con frequenza. Le norme riguardavano tutta l'altra corrispondenza epistolare. Ogni socio consegnasse al direttore dissuggellate le lettere da spedire e parimente dissuggellate il direttore consegnasse ai soci quelle in arrivo; nondimeno si usasse l'avvertenza di non mandarle per mano altrui, ma dal direttore personalmente si consegnassero a chi fossero indirizzate. “Questo però, soggiunse egli, non s'intenda in modo così assoluto e universale, da credere che al superiore ne incomba l'obbligo per ogni caso. Resti solo ben assodato e riconosciuto aver il direttore facoltà di farlo ed essere conveniente che lo faccia in via ordinaria. Messo fuori di controversia questo punto, ecco evitati dispiaceri, ogni volta che il direttore stimasse di esercitare tale diritto”.

                Don Dalmazzo, che aveva tirato fuori la questione delle lettere, volle rilevare pure l'inconveniente delle uscite di casa. - Si presentano a me, osservò, e mi dicono: Ho bisogno di uscire. Ma per lo più tacciono il motivo, e vanno dove vogliono e a fare quel che loro piace. - Si uscisse e si lasciasse uscire il meno possibile, perchè c’è sempre pericolo; si uscisse accompagnati, come dicono le Regole, nè si assegnasse tutte le volte il medesimo compagno. Questa fu la conclusione. Ma si obiettò Come trovare nella maggior parte dei casi il compagno di uscita, essendovi tanta scarsezza di personale? - “Meglio ancora! intervenne Don Bosco. Essendo così difficile trovare [163] il compagno, non si lascerà uscire se non nei casi di necessità. Il non saper chi dare per compagno autorizzerà senz'altro a rispondere: - Per adesso non puoi uscire -”. Qualcuno per altro osservò d'aver visto a Roma il padre Perrone e il padre Curci andare per città in compagnia di fratelli coadiutori tagliati abbastanza alla grossa. Certo così era più facile trovare il compagno. Tuttavia, tanto per la corrispondenza quanto per l'uscire accompagnati, parve cosa più prudente soprassedere all'esecuzione, per salvare i direttori dalla taccia di commettere arbitrii. “Fra poco, disse Don Bosco, io scriverò una lettera circolare a tutte le Case, richiamando l'attenzione dei direttori su questi due punti del Regolamento. In tal modo la cosa verrà contemporaneamente a notizia di tutti, e i direttori locali non saranno fatti segno a critiche, quasi che agissero così di loro testa. Più altre cose vi sarebbero ancora da riformare e da attuare; ma ciò si farà col crescere del personale. C'è, per esempio, la contabilità. Fortunatamente (e lo disse sorridendo) voi siete tutti fior di galantuomini, e invece di portar via, portate in Congregazione quello che avete. Ma chi sa quante migliaia di lire potreste sottrarre prima di venire scoperti, essendo così senza controlli?! Col tempo si rende necessario che nella contabilità vi sia precisione, se si vogliono prevenire inconvenienti per il futuro”.

                Restava la questione del teatro. A che cosa mirava Don Bosco, raccomandando che il teatro non disturbasse l'orario della Casa? Che la levata non si dovesse ritardare il giorno dopo per causa del teatro? Quanto al rimanente, come fare a non modificar l'orario? Senza dubbio l'ora della cena andava anticipata, e l'ora del riposo differita. “Io invece, prese a dire Don Bosco, sarei di parere che l'ora della cena non si anticipasse, anzi che si cenasse dopo il teatro; si ovvierebbe così al gravissimo inconveniente, che gli attori facciano poi da soli una seconda cena dopo la recita”.

                Si osservò che un tempo si faceva precisamente così, ma [164] che poi si smise a causa d'inconvenienti; d'altra parte essere tutti i direttori d'accordo nell'asserire che dal cenare dopo verrebbero disordini maggiori. Infatti, col metodo vigente, si dicevano le orazioni nella sala stessa del teatro e quindi si andava subito a dormire, sicchè tutto era finito; se invece si fosse dovuto cenare dopo, ci sarebbe voluta poi la ricreazione dopo cena, il che avrebbe causato guai molto più gravi. Inoltre, durante il teatro, tener, occupati cucinieri e refettorieri sembrava poco opportuno. “Eppure, ripigliò Don Bosco, bisogna che ad ogni costo si eviti quella cena separata dei comici. Vi capitano sempre disordini; basterebbe che se ne conoscesse qualcuno avvenuto nell'ultima recita, perchè voi foste tutti unanimi nel non permetterla. Piuttosto si faccia il teatro in giovedì e in pieno giorno”.

                Ma neanche così gl'inconvenienti parvero eliminati. Gli artigiani, per esempio, dover sospendere il lavoro per andare alla rappresentazione; e poi? In secondo luogo, dove solevano assistere allo spettacolo i personaggi più ragguardevoli del luogo, non essere quello per loro il tempo più adatto a intervenire. “Allora, suggerì Don Bosco, io trovo una via sola di uscita: nei giorni di teatro si mangi alla francese. Un déjeuné verso le 11, e il pranzo verso le 5, al quale prenderebbero parte anche i comici. Dopo pranzo, un'ora di ricreazione; alle 6½ teatro: due ore e mezza di divertimento bastano, e alle 9 è tutto finito, senza che vi sia bisogno di cena per i comici. Così subito dopo il teatro si dicono le preghiere e si va a dormire. E Poichè il teatro per solito si fa nei giorni delle solennità maggiori, ecco che è possibile prima delle 5 eseguire le funzioni di chiesa”.

                A ogni modo egli volle che si tenesse la cosa in ponte. Abituato a prender norma dall'esperienza prima di fissare le sue regole raccomandò che si cominciasse a far la prova in qualche collegio; si sarebbe così potuto vedere se e quali inconvenienti si verificassero. Qualora tutto andasse bene, si sarebbe appresso fatto dappertutto nello stesso modo. [165] Don Rua presiedette la quarta conferenza. La concessione di esami straordinari per conseguire l'abilitazione all'insegnamento nelle scuole tecniche e ginnasiali durava ancora un anno. Urgeva far sì che in ogni collegio, quanti si sentissero in grado di sostenere tali esami, fossero incoraggiati a presentarvisi. Ma si preparassero a dovere, esortò Don Durando, perchè col far cattiva figura non si offendesse il buon nome delle Case. I direttori perciò trovassero modo di lasciar liberi un paio di mesi prima i candidati, affinchè si radunassero nell'Oratorio per avervi una scuola speciale. Non convenire per il ginnasio superiore o inferiore presentarsi a Torino, essendo ivi i membri della Commissione esaminatrice troppo mal prevenuti, per essi veder un prete e respingerlo essere tutt'uno. Si andrebbe dunque a Venezia, a Bologna o altrove. Conosciuto il numero degli esaminandi, si sarebbe provveduto alla scelta della sede. Le domande si spedissero a lui Don Durando, che le avrebbe trasmesse a chi di ragione. Con la fine di maggio spirava il tempo utile per presentarle.

                Quanto agli esami per il conseguimento della patente di maestro elementare, c'era uno di quegli imbrogli, che non di rado si ripetevano sotto varie forme in passato. Una circolare del Ministero richiedeva l'iscrizione di tutti a una scuola normale, ma accordava la facoltà di presentarsi agli esami anche senza tale iscrizione, quando il privatista potesse attestare d'aver fatto un anno di tirocinio nell'insegnamento; viceversa un'altra circolare dello stesso Ministero non riconosceva alcun valore a tirocini non preceduti dai debiti esami. Insomma di tirocinio non era il caso di tener conto. Veramente Don Rua sembrava più propenso a che nessuno si presentasse. Non la pensava così Don Cerruti, il quale propose che patenti se ne pigliassero, ma poche alla volta e senza fare tanto chiasso, come in anni precedenti. Chiunque se la sentisse, vi si preparasse. Così fu stabilito. Prima tali esami si davano a Novara; allora non si poteva più andare là, perchè quella scuola era solo pareggiata, mentre le ultime disposizioni ministeriali [166] esigevano che i privatisti si presentassero esclusivamente nelle scuole regie. Venne dunque designata per sede la regia scuola normale di Pinerolo.

                Esaurito quest'argomento, alcuni direttori chiesero che si ponesse rimedio a un'irregolarità. Confratelli di passaggio in una Casa, se ne uscivano, e pranzavano financo fuori senza dir nulla al direttore locale. Ma su ciò non occorrevano provvedimenti nuovi; bastava che si eseguisse una decisione anteriore, per la quale ogni socio, trovandosi in una Casa di non sua ordinaria residenza, si ponesse subito sotto l'obbedienza del direttore di quella Casa, nè uscisse o facesse alcunchè contrario alle Regole senza domandarne il permesso.

                L'amore della regolarità consigliò invece di prendere un provvedimento nuovo per i viaggi non autorizzati. Il moltiplicarsi dei soci rendeva sempre più frequenti i viaggi e quindi anche i passaggi per le Case. Vi sarebbe sempre il debito permesso per tali fermate? nessuno mai vi avrebbe prolungato “con inganno” la sua dimora? e che avrebbe potuto dire il direttore locale, ignorando il vero scopo del viaggio, la sua durata e il relativo itinerario? Ogni direttore dunque, allorchè un suo suddito dovesse passare per qualche altra Casa, lo munisse di una lettera d'accompagnamento, dove fosse indicato il perchè, il quanto, il dove, tutto quello insomma che giovasse al direttore estraneo di conoscere. Cotal lettera fosse suggellata, ma portasse sulla busta il bollo del collegio di provenienza; così i portinai avrebbero potuto senz'altro impedire l'ingresso a simulatori che mentissero il nome di Salesiani. E i direttori lacerassero immediatamente la busta, affinchè altri per avventura non ne facesse indebito uso.

                Sempre lo stesso amore della regolarità fece prendere in esame il caso di chi, viaggiando o stando presso i parenti, si permettesse diversioni o gite non prima contemplate. Taluno nelle vacanze ultime non erasi spinto fino al Gran San Bernardo? Nulla si sancì di definitivo; solo parve opportuno che in ogni collegio si avvertissero i confratelli di non fare così; [167] ma, chi fosse partito per un luogo, andasse in quel luogo e non altrove; e chi si trovasse presso i genitori, prima d'intraprendere viaggi o cose d'importanza, scrivesse ai Superiori.

                La quinta conferenza fu pubblica. Tutti i soci dell'Oratorio, professi, ascritti e aspiranti, in numero di 150, si raccolsero nella chiesa di S. Francesco a udire la parola di Don Bosco. Quant'egli disse venne raccolto e inserito nel verbale. Esordì naturalmente con la benedizione del Papa; indi narrò la coincidenza fra il suggerimento di Pio IX e la nota scritta da lui Don Bosco circa la fedeltà e l'obbedienza al Vicario di Gesù Cristo; poi annunziò le indulgenze generali portate da Roma: tutte cose già da noi riferite nel capo sesto. Finalmente proseguì:

                Noto poi in modo speciale come non solo il Santo Padre ci vuol bene e ci favorisce, ma tutti generalmente vedono bene questa Congregazione. È vista bene sia dai buoni che dai cattivi, sia dalle autorità civili che ecclesiastiche, e, fatte pochissime eccezioni, tutti ci favoriscono. Diceva a bello studio che anche i cattivi ci vedono di buon occhio; poichè noi vediamo che coloro stessi che gridano contro gli Ordini religiosi e li vorrebbero soppressi fino all'ultimo, lodano poi noi.

                E d'oggi stesso vi racconterò quest'episodio. Oggi stesso mi sentii a salutare da una persona grande e grossa, che aveva in mano due giornalacci pessimi. Io non lo conosceva più; ei si fece conoscere essere uno dei più antichi giovani della Casa dicendomi che conservava tanta buona memoria di me e dell'Oratorio. Domandatogli come mai avesse quei due giornali cattivi in mano, m'accorsi che vi scriveva esso stesso e che teneva opinioni assolutamente opposte a quelle imparate qui. Entrai a parlargli un poco per volta se avesse già fatto Pasqua e capii che da più anni non frequentava più le chiese. Allora mi avanzai più e più nel discorso e gli chiesi come mai, con la vita che teneva, con gli scritti che stampava, potesse avere buona memoria di noi. E mi rispose che se tanto scriveva contro i preti, frati e prelati, si era perchè vedeva realmente tanti disordini, cose da far schifo; che ben conosceva noi; e che anche i suoi compagni e colleghi (della stessa risma) ci vedevano bene, perchè si fa del bene, non si entra in politica, non si sta in ozio.

                 - Come può essere che voi diciate bene di noi? poichè mi sembra che pochi giorni fa si scrisse un articolo infame riguardante un prete sul vostro giornale. [168]

                 - Dai frutti si conosce l'albero, signor Don Bosco; di altri scrissi così, perchè così avvenne: ma vedendo i frutti ch'ella ed i suoi producono, noi non possiamo che dir bene di loro.

                E faceva già il nostro panegirico, quand'io ripresi il discorso della Pasqua, e che vedesse anche una volta i suoi difetti, senza giudicare coloro, di cui non è costituito giudice. Ci lasciammo non senza buone speranze. Questo dico solo per farvi conoscere che anche i cattivi sanno apprezzare, quando si lavora veramente senza interesse e si lavora molto; e noi siamo tenuti come tali; procuriamo di non essere diversi dal concetto che si ha di noi. Animiamoci a vicenda.

                Venendo poi a parlarvi più direttamente dello stato della nostra Congregazione, bisogna che vi premetta alcune osservazioni.

                Quando si vuol fondare una Congregazione religiosa, bisogna passare per tre stadii. In prima il Santo Padre costituisce un Superiore. Con ciò resta approvata la Congregazione preventivamente, e si dà facoltà a questo Superiore costituito di farsi dei Soci, i quali possano cominciare ad emettere voti. Questa è la prima approvazione, il primo stadio, il quale per noi in radice cominciò nel 1841, che fu proprio l'anno in cui Don Bosco prese ad aprir Oratorii ed a cercarsi dei compagni che lo aiutassero, in ciò sorretto dall'Arcivescovo di Torino, senza però che per allora avesse scopo prefisso. Ma questo primo stadio non ebbe il suo vigore naturale che nel 1858, anno in cui Don Bosco andò a Roma per la prima volta e parlò col Santo Padre d'istituire una Congregazione. Il suo pieno sviluppo, questo primo e più difficile stadio l'ebbe nel 1864, in cui il S. Padre lodò l'Istituto e diè permesso di fare voti anche perpetui e regolari.

                Il secondo stadio comincia quando il Santo Padre e le Congregazioni di Roma approvano definitivamente la Congregazione in sè come buona e diretta a far del bene, ma non si approvano ancora particolareggiatamente le regole che si possono ancor cambiare dai Superiori per adattarle sempre meglio allo spirito che la Società va prendendo; e questa approvazione per noi ebbe luogo col Decreto Pontificio del 19 febbraio 1869, nella quale circostanza si diè pur il privilegio ad decennium di dar le lettere dimissorie per gli ordinandi ad quemcumque episcopum. Per ultimo, passato questo stadio, si esaminano e si discutono nelle Congregazioni di Cardinali le singole Regole e si approvano le Regole o Costituzioni come atte, se osservate, a produrre la prosperità e felicità dell'Istituto; e da quel momento non si può più cambiar nulla delle Regole così approvate senza che intervenga l'approvazione del Capitolo Generale e della Santa Sede. Questa è l'ultima e definitiva approvazione che si dà ad una Congregazione, e per noi quest'atto solenne si compì l'anno scorso 3 aprile 1874.

                Ciò posto, essendo così approvate definitivamente la Congregazione e le Costituzioni, mancano ancora a noi quei privilegi che sono necessari perchè una congregazione ecclesiastica possa sussistere [169] prosperamente e produrre del gran bene nei prossimi. Ed io quest'anno fui a Roma appositamente per questo. Molti privilegi son già ottenuti come sopra vi notificai; molti son già passati al Santo Padre, e sebbene noi non ne abbiamo ancora i rescritti, è certo che arriveranno quanto prima. Altri sono in corso. Ed anche vi son pratiche ben avviate e già avanzate per ottenere un corpo intiero di privilegi, a guisa delle altre congregazioni.

                Venendo ora a dirvi dell'interno della Congregazione, debbo notificarvi con grande mia soddisfazione che va molto bene, sia perchè cresce ogni giorno il numero dei Soci e nuove domande vengono fatte ogni giorno; sia anche perchè va formandosi molto bene lo spirito dei Congregati.

                Animiamoci adunque tutti e specialmente per due cose. Per primo, cerchiamo di lavorar molto per far molto bene. Dicano poi altri ciò che vogliono. Credetemelo, contentar proprio tutti non si può; è proprio impossibile. Posso dirvi che questo fu sempre il mio impegno precipuo di non mai discontentar alcuno; ma mi avveggo sempre più che il contentar tutti è impossibile. Lavoriamo perciò alacremente, facciamo quel che possiamo e facciamolo tutto; d'altronde lasciamo dire; non curiamoci di quanto altri possa dire di noi. Noi diciamo sempre bene di tutti.

                La seconda cosa in cui vorrei che c'impegnassimo tanto si è nel togliere le mormorazioni anche tra noi. C'è qualcuno che abbia qualche cosa a dire? Ne parli coi superiori. Si cercherà ogni modo di togliere motivi di malumore; ma nessuno mai stia a lamentarsi di nulla. Specialmente sosteniamoci gli uni gli altri sempre, sia tra noi che con altri, sia interni che esterni. Questo contribuirà grandemente all'incremento ed al bene della Congregazione.

                Ancora raccomando grandemente a tutti la cura della propria sanità. Io son d'accordo che quando uno non sta bene, si abbia tutte le cure possibili e gli siano somministrate tutte le cose che possono essergli vantaggiose. Questo raccomando in modo speciale ai Direttori, che non lascino mancar mai nulla agli ammalati; anzi vedano che le fatiche non siano eccedenti. Io preferisco che si lasci piuttosto qualche cosa da fare che affaticar di troppo un individuo. Facciamoci coraggio; chi può far più, faccia di più e lo faccia volentieri; chi può far meno, sia tenuto in conto come gli altri e si abbia riguardo alla sua complessione o malferma salute.

                D'altro, che cosa volete che io vi dica? (Qui la sua voce si abbassò assai. Era già prima molto esile e sembrava quasi che non Potesse Parlare per la stanchezza; ma ora si pose come a Piangere e a mostrarsi commosso sempre più). Non mi resta che a pregarvi d'aver sempre la bontà di sopportarmi come avete fatto finora e di raccomandarmi al Signore. Sopportiamoci a vicenda gli uni gli altri e questo sia un gran ricordo che valga per tutta la nostra vita. [170] Ancor una cosa e finisco. Uniamoci d'accordo nell'eseguir bene le pratiche di pietà della nostra Congregazione e specialmente ciò che riguarda l'esercizio della Buona Morte, l'ultimo giorno d'ogni mese. Per quanto si può, si lascino tutte le occupazioni estranee in detto giorno, e ciascuno si applichi proprio in cose spettanti alla salute eterna dell'anima sua. Io spero molto in questo esercizio benfatto; perchè, se ciascuno ogni mese impiega un giorno ad aggiustare in modo regolare tutte le cose sue, costui, venga la morte quando vuole e nel modo che vuole, non avrà a temere la morte improvvisa. Non solo in detto giorno si faccia una confessione con maggior diligenza ed una più fervorosa Comunione, ma anche si dia sesto alle cose che riguardano gli studi e specialmente alle cose materiali; che se la morte ci sorprendesse, allora noi, potremmo dire: Non ho più da pensare a nient'altro che a morire nel bacio del Signore.

                Che Iddio vi benedica, miei cari figliuoli.

                Anche per l'ultima tornata i convenuti si riunirono intorno a Don Bosco nella sua cameretta. Fattasi, secondo il consueto, l'invocazione allo Spirito Santo, Don Rua, rendendosi interprete del comune desiderio, chiese come stessero le trattative d'America; Don Bosco di buon grado riferì quanto aveva concluso a Roma e con quei dell'Argentina; tutte cose già da noi esposte nel capo settimo.

                Dopo l'America, l'Italia. Qui si erano avute richieste per collegi da più parti. C'era Bassano; ma vi ci volevano troppe spese per il riattamento del fabbricato offerto e per l'arredamento. C'era Cremona, dove il vescovo stesso invitava e non ci sarebbe stato forse da spendere molto. C'era pure Crema; sembrava per altro preferibile Como, che presentava convenienze speciali. A Milano poi non sarebbe mancato nulla, se non fosse che mons. Calabiana prevedeva un pericolo: andandovi i Salesiani, si sarebbe fatto rumore e quindi temeva che i collegi ivi esistenti ne avessero a risentir danno. Proprio la stessa cosa che per Rho: qui sembrava già tutto bell'e concluso, quando fece capolino la medesima paura. Del rimanente, Don Bosco aveva in questo genere di affari un pensiero suo. In tutta la Lombardia le autorità scolastiche avversavano e osteggiavano i preti, ed egli, che non voleva pregiudicar [171] l'avvenire, ci teneva a stare in buoni rapporti con tali autorità. Se pertanto i Provveditori agli studi gli si dichiaravano contrari, avrebbe per allora rinunziato alla Lombardia. “Ora, soggiunse, non abbiamo gran bisogno di estenderci, ma piuttosto di rassodarci; quindi, se non vi sono speciali ragioni di convenienza, noi ci rivolgiamo altrove”. Purtroppo in quegli anni a far da Provveditori nella Lombardia si erano mandati “pessimi Piemontesi”, come asserì Don Durando, i quali al più al più non avrebbero date grosse molestie ai Salesiani, ma sostenuti non li avrebbero giammai. Ebbene, ripigliò Don Bosco, “se essi non sono disposti ad agire verso di noi con tutta la larghezza permessa dalle leggi, io non accetterò”.

                Don Rua allora eccepì che, essendovi già collegi a sufficienza negli antichi Stati Sardi, sarebbe parso conveniente aprirne anche fuori. Don Bosco prontamente rispose che a Ceccano, il card. Berardi desiderava molto un collegio; ma che fino a quel punto non si era combinato nulla. Perciò pensava di abbandonarne l'idea, tanto più che importava assai avviar bene l'Opera di Maria Ausiliatrice, e soprattutto faceva d'uopo conservar personale per l'America.

                Dal di fuori, al di dentro. Parecchi soci erano nelle condizioni volute per ricevere gli ordini sacri; ma avevano solamente i voti triennali. Trovandosi essi nella possibilità di procurarsi il patrimonio ecclesiastico, conveniva farli ordinare con questo titolo, anzichè aspettare che facessero i voti perpetui per ricevere così le ordinazioni titulo mensae communis? Diversamente, sarebbe lecito ammetterli alla professione perpetua, avanti che spirasse il termine dei voti triennali, fatti per la prima volta?

                Apertasi la discussione, si giunse all'epilogo seguente. Ad primum: potendosi avere i patrimoni, si procurasse di averli, sia perchè vi sarebbe un introito per la casa versante in strettezze, sia perchè l'ordinando avrebbe maggior piacere di poter fare assegnamento per ogni eventualità sopra un reddito [172] fisso; tanto più che i genitori, avendone i mezzi, fanno volentieri per i loro figli questo atto di benevolenza. Ciò si diceva per i professi perpetui. Riguardo ai professi triennali, non se ne ammettessero facilmente agli ordini col patrimonio; essere infatti troppo grave tentazione per un giovane prete il potersene andare, quando volesse, perchè aveva la sua Messa e la sua rendita: bastare a tal effetto un qualsiasi urto coi superiori. Finalmente non si facesse balenare la possibilità di prender Messa anche coi soli voti triennali, pur di essere forniti del patrimonio; tornare ciò di vero danno alla Congregazione, poichè certuni vi sarebbero entrati unicamente per istrappare la Messa e poi uscirsene; diventare costoro fra noi un vero flagello, perchè soggetti privi di vocazione e d'ordinario già scartati dai loro vescovi.

                Ad secundum, circa l'ammissione ai voti perpetui prima d'aver fatti o terminati i triennali, Don Bosco disse: “Vi sono ragioni per ammettere ai voti perpetui anche appena finito il noviziato. La concessione dei voti triennali prima dei perpetui è un doppio privilegio: privilegio in favore del socio, il quale può riserbarsi maggior tempo per conoscere bene la Congregazione ed esaminare la propria vocazione; privilegio in favore della Congregazione, affinchè possa meglio conoscere gl'individui prima di riceverli definitivamente nel suo seno. Ora, essendo questi privilegi concessi in favore dei due, se entrambi di comune accordo vi vogliono rinunziare, possono farlo. Dunque è lecito ammettere ai voti perpetui e può fare i voti perpetui anche chi non abbia fatti o non abbia compiuti i voti triennali”.

                Veramente Don Bosco avrebbe avuto diritto di appellarsi senz'altro alle facoltà concessegli da Pio IX vivae vocis oraculo. Il provvido Pontefice gliele aveva accordate amplissime, perchè in ogni caso egli potesse agire speditamente; nella stessa guisa largheggiò più tardi con lui Leone XIII, fintantochè, venuti i sospirati privilegi, quelle diventarono superflue e furono nel Breve espressamente revocate. Ma la prudenza [173] esigeva che di sì straordinarie concessioni si parlasse il meno possibile.

                Sorvoliamo su coserelle del momento. L'ultima parola di Don Bosco fu che i direttori salutassero tanto i soci tutti da sua parte; comunicassero loro le buone accoglienze avute dal Papa, le belle cose fatte a Roma, la benedizione pontificia per i singoli; massimamente poi si dessero molte buone nuove della Congregazione in casa e fuori, poichè, com'egli osservò, specialmente in collegi così distanti si desiderava assai di sapere come andassero in Torino le cose della Congregazione. Da ultimo pose fine all'adunanza con queste parole: “Fate saluti particolari da parte mia ai preti e ai soci: fate vedere in che buona opinione io li tenga: poichè, credetemi, ciò fa molto effetto: anche i preti amano di sapere, se son tenuti in considerazione e ricordati dai superiori. Procurate anche voi di far vedere proprio che li avete in considerazione e che pensate molto a loro. Questo servirà a stringere fra noi grandemente il nodo della fraterna carità, sicchè facciamo sempre più un cuor solo e un'anima sola”.

 

 

CAPO IX[102]. Privilegi e dimissiorie. La prima fase delle trattative.

 

                IL primo accenno ai privilegi si udì in pubblico durante le conferenze di gennaio, allorchè Don Bosco manifestò il proposito di farne domanda a Roma, pur non n ascondendosi la difficoltà di ottenerli[103]; poscia nelle conferenze di aprile ne spiegò sommariamente il concetto e diede notizia di quanto erasi fatto nel frattempo a tale scopo. Sull'origine e la natura dei privilegi e sui primi passi per il concedimento dei medesimi noi daremo qui un breve ragguaglio, ricalcando la nostra esposizione sul verbale della prima seduta[104].

                Già ab antico, fin da quando il monachismo si propagò in Occidente dopo S. Benedetto, alle famiglie monastiche, affinchè potessero prosperare interiormente e far del bene anche agli altri, i Papi accordarono privilegi e grazie. Con l'andar del tempo, all'apparire di ogni nuovo Ordine religioso, gli si concedevano di solito ad instar o per assimilazione, come si disse da poi, gli stessi privilegi conceduti già a quei primi, con l'aggiunta di altri, che parevano richiesti dai bisogni dei tempi e dalle mutate circostanze, cosicchè a poco a poco il numero dei privilegi crebbe a dismisura e i Decreti [175] dei Pontefici o della Curia romana restavano spesso lettera morta, avendo sempre i religiosi, in tutte le questioni, i loro privilegi da opporre.

                Sul finire del secolo XV si cessò d'istituire Ordini regolari, ma si vollero invece religiosi che non solo avessero per iscopo precipuo di attendere alla lode di Dio e alla propria perfezione dentro i chiostri, con clausura e ufficio corale, ma che potessero anche uscire in pubblico e prendere larga parte nei ministeri ecclesiastici e non fossero quindi vincolati da clausura nè obbligati a spendere il più della giornata nel coro. Cominciarono allora le Congregazioni ecclesiastiche, la prima delle quali fu quella dei Teatini; poi vennero Gesuiti, Somaschi, Scolopi e tante altre nuove famiglie religiose diverse dagli Ordini regolari sia per quanto si è detto, sia per avere solo voti semplici.

                Fra voti solenni e semplici corrono queste due differenze, che i solenni son fatti alla Chiesa, i semplici ai superiori della Congregazione; i solenni non si possono sciogliere se non dalla Chiesa, e si sciolgono assai più di rado, mentre i semplici possono venir sciolti dai superiori della Congregazione e senza tante formalità.

                Arrivate dunque le cose al punto, che agli Ordini regolari i privilegi erano cresciuti eccessivamente, Roma decise che non se ne comunicassero più alle Congregazioni ecclesiastiche. Tuttavia pian piano la Chiesa vide che così i nuovi religiosi ad ogni piè sospinto nel fare il bene incappavano in pastoie, le quali non permettevano loro di procedere speditamente a promuovere la maggior gloria di Dio; laonde cominciò a concedere alcuni privilegi, poi alcuni altri, poi altri ancora; di modo che, facendosi ognor più manifesto che le novelle Congregazioni ecclesiastiche operavano nella Chiesa tanto bene quanto i vetusti Ordini regolari e che, svolgendosi la loro attività massimamente fuori delle proprie Case, vi occorrevano privilegi anche maggiori, si finì con l'accordare alle Congregazioni ecclesiastiche nè più nè meno di quanto erasi [176] accordato agli Ordini regolari; anzi, una volta pigliato quel dirizzone, si aggiunsero privilegi a privilegi senza limite.

                Di questo passo si andò avanti fino al principio del pontificato di Pio IX, comunicandosi di mano in mano i passati privilegi anche alle Congregazioni nascenti, ultima delle quali fu la Rosminiana. Pio IX rinnovò la disposizione che non si concedessero più privilegi in massa; soltanto si stabilì che, al sorgere di qualche nuova Istituzione, il fondatore facesse domanda di quei privilegi, dei quali credesse d'aver bisogno. Or ecco perchè Don Bosco andò a Roma nel febbraio del '75 per avviare le pratiche a fine di ottenere la comunicazione dei privilegi, come costumavasi un tempo, e insieme la facoltà delle dimissorie ad quemcumque Episcopum.

                Fu questo l'argomento, di cui ragionò a lungo col Segretario della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari mons. Vitelleschi, appena messo piede in Roma. Nessuno meglio di lui avrebbe potuto dargli le opportune istruzioni sul modo di regolarsi a tal riguardo. L'Arcivescovo di Seleucia gli domandò di quali privilegi avesse bisogno. - Di molti, rispose, sia per il buon andamento interno della Congregazione, sia per i buoni rapporti con le autorità ecclesiastiche locali. - Ciò detto, gliene presentò un elenco di circa ottanta.

                Tastò quindi il terreno per sapere se vi fosse qualche probabilità di ottenere per assimilationem i privilegi goduti dalle altre Congregazioni. Il Prelato gli rispose:

                 - Il Santo Padre ha ogni autorità; egli può benissimo derogare a una legge fatta da lui stesso. Glie ne faccia parola.

                 - Monsignore, disse allora Don Bosco, mostrandogli un bel volumone, io presento al Santo Padre questo libro, che contiene i privilegi dei Redentoristi e lo prego di darmi l'assimilazione.

                 - Per carità, fece Monsignore, non lo lasci vedere al Santo Padre, perchè dinanzi a tante concessioni rimarrebbe spaventato e non solo non le comunicherebbe a Lei, ma le torrebbe anche ad altri.  [177] Don Bosco capì che occorreva molto tatto. Presentatosi dunque al Santo Padre condusse bel bello il discorso sull'argomento, dimostrandogli l'imperioso bisogno che aveva di ottenere i privilegi che competevano agli altri Ordini. Il Papa rispose:

                 - Ebbene, fatene la domanda.

                 - Ma, Santo Padre, c’è una difficoltà sola: da circa trent'anni è stato deciso di non concederli più in massa per assimilazione.

                 - Fate come han fatto le altre Congregazioni approvate da Noi.

                 - Ma il difficile sta qui, Santo Padre, che il povero Don Bosco è il primo a trovarsi in quest'imbroglio. I privilegi furono concessi così l'ultima volta all'Istituto della Carità dal Vostro Predecessore Gregorio XVI, il 30 dicembre 1838.

                 - E allora?

                 - Vostra Santità ha ogni potere. Chi sa, se credesse di fare ancora un'eccezione?

                 - E io la farò. Fatene domanda alle Congregazioni dei Cardinali. Essi esamineranno tutto, discuteranno e poi mi riferiranno, e vedremo che cosa sarà da fare. Per parte mia, sono pronto a fare ancora questa eccezione.

                Don Bosco rese grazie al Papa per così insigne atto di benevolenza; ma per lui era un affar serio: bisognava ricominciare le cose da capo. Egli doveva in pochi giorni compiere un lavoro, che normalmente avrebbe richiesto mesi e mesi. Gli mancava perfino un dizionario latino per consultarlo su qualche parola. Nondimeno ci si mise di buona voglia. Studiò la storia dei privilegi; raggracimolò citazioni di bolle, nomi di Papi, sentenze di canonisti; riunì un corpo di privilegi, intorno ai quali gli convenne rintracciare e quando e da chi e a chi fossero stati concessi; gli toccò insomma compulsare largamente il diritto canonico, lavorando, com'egli disse più tardi, “alla disperata”. [178] Frutto di sì febbrili indagini furono due suppliche in latino al Papa e una memoria, alla quale in seguito diede pure forma di supplica ai Cardinali che diremo. Le due suppliche riguardavano una le lettere dimissoriali ad quemcumque Episcopum, e l'altra la comunicazione dei privilegi conceduti già alle altre Congregazioni ecclesiastiche. Alla prima supplica andava unita un'istanza di mons. Vitelleschi nel medesimo senso. Rettamente la domanda delle dimissorie fu presentata a parte, giacchè tale indulto non può mai essere compreso nella comunicazione dei privilegi, massime trattandosi di Congregazioni con voti semplici, ma si accorda sempre con specifica o diretta concessione, anzichè in virtù di comunicati privilegi. Noi pubblichiamo i tre documenti in calce al volume[105].

                Le due suppliche al Papa ebbero per effetto immediato la nomina di una Straordinaria Commissione Cardinalizia pro voto. Con biglietto firmato dal Segretario della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari ne venne data partecipazione ufficiale a Don Bosco nei termini seguenti: Ex audientia SS. die 26 Februarii 1875 SS.mus porrectas preces examini demittere dignatus est Em.mi Patrizi, De Luca, Bizzarri, Martinelli pro voto emittendo. Segr. Archiepiscopus Seleuciensis, Vitelleschi. Erano dunque i medesimi Cardinali eletti l'anno innanzi per l'esame delle Costituzioni; ad essi indirizzò Don Bosco la memoria anzidetta. Noi ce ne occuperemo qui brevemente, anche perchè ivi le motivazioni sono addotte con ampiezza maggiore di svolgimento che non nelle suppliche al Papa, dove necessità di cose voleva che vi si accennasse appena per sommi capi.

                Si divide questa memoria in due parti, nella prima delle quali si discorre dei privilegi e nella seconda delle dimissorie assolute. Omesse le disquisizioni canonistiche, limitiamoci a spigolare quanto riguarda personalmente Don Bosco, sia nel suo pensiero che nelle sue Istituzioni. [179]

                Il proemio generale esalta nobilmente l'atto papale del concedere alle Congregazioni sì segnalati favori. “I Privilegi e le Grazie spirituali concesse agli Ordini religiosi e alle Congregazioni Ecclesiastiche possono considerarsi come altrettante cordicelle, con cui tali Istituzioni restano legate colla S. Sede; perciocchè Essa sola potendoli concedere, restringere ed anche rivocare a piacimento secondo il bisogno e la convenienza, ne segue un vivo e continuo pensiero di gratitudine dei beneficati verso il loro insigne benefattore”.

                Venuto in seguito al punto di chiedere la comunicazione con una qualche Congregazione, esprime la sua preferenza e ne dichiara i motivi. “- Si pregherebbe a scegliere di preferenza quella dei Redentoristi, o quella dei Preti della Missione, le cui Costituzioni e scopo possono dirsi identiche (sic) colle Salesiane. Dai Brevi di concessione che qui unitamente si accennano, appaiono le ragioni che mossero i Pontefici ad accordare ai Redentoristi tali Comunicazioni. I motivi speciali per cui si fa tale preghiera anche per la Congregazione Salesiana, sono:

                1° Essendo essa affatto destituita di mezzi materiali, abbisogna di molta indulgenza e di molti aiuti spirituali, affinchè possa conseguire il suo fine.

                2° Questa Congregazione ebbe principio e si andò consolidando in tempi burrascosi in cui tuttora ci troviamo, ed in cui si vorrebbero soppresse ed annientate tutte le Istituzioni Ecclesiastiche; tuttavia potè crescere, aprire case in varie Diocesi ed anche nelle Missioni estere. In questa calamità di tempi, diversità di paesi, in questa distanza grande degli uni dagli altri i Soci, Salesiani hanno bisogno di una maniera compiuta di Governo con Privilegi già conosciuti ed in generale praticati da altre Pie Congregazioni.

                3° La tristezza dei tempi fa che le autorità civili vedano di mal occhio il frequente ricorso alla Santa Sede. Essendo venuto a notizia dell'Autorità Governativa che la Santa Sede aveva concessi alcuni favori, pretese contro ogni diritto ed [180] in modo minaccioso che fossero portati i Decreti e i Rescritti per sottoporli al così detto Regio Exequatur. Fu forza di accondiscendere; ma intanto non fu mai possibile nè di ottenere l'Exequatur nè di riavere quelli originali[106].

                4° L'umile esponente poi desidera questo favore per impiegare quel po' di vita, che a Dio piacerà concedergli, nel regolare le varie case e uniformare tutti quelli che ne hanno la direzione a servirsi dei privilegi colla massima parsimonia e prudenza; e solamente nei casi in cui chiara appaia la maggior gloria di Dio e il vantaggio delle anime”.

                Intorno alla comunicazione dei privilegi si movevano allora da alcuni canonisti tre difficoltà; si diceva infatti che essa: 1° può dare origini a questioni; 2° turbare la pace e l'armonia con gli Ordinari; 3° attribuire a certi Istituti privilegi che ad essi non convengono. Don Bosco vi risponde partitamente.

                “1° Al primo. Se queste concessioni fossero nuove, potrebbero essere cagione di questioni; ma i privilegi che si vanno comunicando dagli uni agli altri da oltre a trecento anni; che furono costantemente studiati,  interpretati e praticati in modo uniforme e secondo lo spirito della Santa Sede, sembrano doversi dire piuttosto un vincolo di unione, di uniformità e quindi escludere ogni motivo di questioni.

                2° Al secondo: nemmeno pare turbar la pace cogli Ordinari, perciocchè in pratica i Vescovi e i Parrochi conoscono già i privilegi degli Istituti approvati dalla Chiesa, e nei nostri paesi cagionerebbe meraviglia il vedere che un Istituto goda maggiori o minori favori degli altri. Anzi i privilegi essendo atti che altamente onorano la Suprema Autorità del Pontefice e fanno palese il pieno suo gradimento verso di una Istituzione, farebbe supporre che una. Congregazione non sia definitivamente approvata, finchè [181] dalla Santa Sede non è graziata dei medesimi privilegi che godono le altre.

                Un dotto e rispettabile Ordinario non si potè finora indurre a credere, la nostra Congregazione essere definitivamente approvata, perchè non gli consta che goda i privilegi dei Ministri degli infermi, dei Preti della Missione, degli Oblati di Maria.

                3° Al terzo: nemmeno sembra potersi dire che con tale comunicazione ai novelli Istituti si concedano favori non opportuni. Imperciocchè in tali concessioni si intendono sempre le clausole: Dummodo Institutis eorum conveniant ac regulari observantiae non sint contraria. Si aggiunga ancora che tali favori potendosi esclusivamente concedere dalla S. Sede, Essa li può liberamente modificare ed anche rivocare ogni volta scorgesse tornare di maggior bene a coloro cui furono concessi”.

                Per le dimissorie assolute la motivazione è assai più spiccia, riducendosi a rilevare il fatto della “varietà delle Diocesi in cui esistono case della Congregazione Salesiana; gli Ospizi, i Collegi per le Missioni della Repubblica Argentina, e di altri (sic) di cui trattasi di aprire in Australia ed in Hong - Kongh nella Cina, la qual cosa spesso richiede che alcuni chierici siano con premura ed extra tempus presentati alle Sacre Ordinazioni”. Al che si aggiunge il bisogno urgente di “appianare il grave incaglio di un Ordinario nella cui Diocesi esistono più Collegi ed Ospizi della Congregazione, e che da tre anni rifiuta le ordinazioni ai chierici Salesiani”.

                Don Bosco termina con una preghiera e con una dichiarazione. “Quanto ho fin qui esposto sulla comunicazione dei privilegi e sulla facoltà delle dimissorie, venne fatto per dare qualche ragione della supplicazione umiliata agli Eminentissimi Cardinali; ma io lascio a parte tutte le ragioni e mi fo soltanto a pregare le Eminenze loro a voler esclusivamente ponderare quello che nella loro alta saviezza ed illuminata sapienza, giudicheranno tornare alla maggior gloria di Dio e [182] vantaggioso ad una Congregazione che può dirsi nascente e che ha bisogno di aiuto materiale e morale, di consiglio e di direzione.

                Io pertanto mi professo preventivamente soddisfatto di qualunque loro deliberazione, e tutti i Salesiami procureranno di mostrare la loro gratitudine, invocando ogni giorno le benedizioni del Cielo sopra le LL. EE. Rev.me, affinchè Dio lungamente le conservi a gloria della Chiesa e pel bene della Società Salesiana, che Le considererà sempre come Padri Benevoli ed insigni Benefattori”.

                Prima di venir via da Roma, Don Bosco si recò a visitare i Cardinali della Commissione, che tutti gli sembrarono benevoli verso la Congregazione Salesiana, avendo avuto da ognuno la parola rassicurante che, siccome il Santo Padre lo desiderava, non ci sarebbero stati impedimenti. Infatti con la semplice accettazione delle suppliche il Papa aveva manifestato la sua volontà incline alla grazia.

                A Roma Don Bosco lasciò quale suo agente d'affari l'avvocato Don Carlo Menghini, il già noto sommista presso la Congregazione dei Vescovi e Regolari, assistito pure dall'ottimo mons. Fratejacci, che godeva grande stima e poteva influire utilmente sull'animo di qualche Cardinale della Commissione.

                Era da pochi giorni ritornato a Torino, quando gli pervenne da parte della Commissione cardinalizia una nota, nella quale a titolo di schiarimento gli si ponevano due quesiti: 1° Se la Pia Società avesse fatto qualche progresso dopo la definitiva approvazione delle sue Costituzioni il 3 aprile 1874; 2° Quali difficoltà si fossero incontrate nel chiedere specificatamente, cioè nella misura del bisogno e non in globo, gl'invocati privilegi. Don Bosco vi diede risposta il 12 aprile con due succinte dichiarazioni, nella prima delle quali enumerava i progressi compiuti dal 3 aprile 1874 al 3 aprile 1875, e nella seconda esponeva le difficoltà occorsegli nel domandare eventualmente i singoli privilegi. [183]

 

Schiarimento.

 

                Quest'anno si può dire impiegato a consolidare l'osservanza delle Costituzioni, specialmente tradurre in pratica le modificazioni introdotte nella definitiva approvazione di esse. Il Noviziato venne letteralmente diretto ed uniformato a quanto era stato prescritto o consigliato dai benemeriti Em.mi Cardinali di quella autorevole Congregazione. I religiosi poi crebbero notabilmente: il solo numero dei novizi oltrepassa i cento e porgono belle speranze di felice riuscita. Le varie case esistenti accrebbero assai la messe primitiva e perciò si dovette anche aumentare il personale quivi già stabilito. Le opere nuove affidate ai Salesiani, oltre a quelle notate nel riassunto dell'anno passato, sono le seguenti:

                1° L'amministrazione delle pubbliche scuole di Mornese, che è paese della Diocesi di Acqui.

                2° Amministrazione delle pubbliche scuole di Borgo S. Martino presso Casale Monferrato.

                3° Nuova casa delle Figlie di Maria Ausiliatrice, le quali d'accordo coll'Ordinario Diocesano presero la cura della biancheria e vestiario del piccolo Seminario eretto nel mentovato Borgo di S. Martino.

                4° Ospizio con chiesa pubblica a Buenos Aires nella Repubblica Argentina in America.

                5° Un collegio con pubblica chiesa per le Missioni a S. Nicolas, città assai popolata, non molto distante dalle tribù selvagge tuttora esistenti al Sud di quelle vaste regioni. Venti socii Salesiani si stanno preparando collo studio delle lingue e dei costumi di quei paesi per recarsi colà al prossimo mese di ottobre.

                6° Costruzione di una Chiesa dedicata a S. Giovanni Evangelista, di un Ospizio per poveri fanciulli, locali per pubbliche scuole e giardino di ricreazione festiva. P, in Torino presso al tempio dei protestanti in una estensione di oltre a trentamila abitanti, tra cui non avvi chiesa di sorta pel culto Cattolico.

                In tutte le case della Congregazione gli allievi ed i ricoverati sono in aumento, e dappertutto si lavora per fabbricare od ampliare locali, per accogliere maggior numero di giovanetti che ad ogni momento fanno richiesta di essere accolti.

                Co' Parroci e co' Vescovi siamo in ottima relazione, a segno che possiamo chiamarli tutti protettori nostri e benevoli in tutto quanto è compatibile colla loro autorità. Si deve soltanto eccettuare un Ordinario col quale si spera pure di poter riacquistare la buona armonia, appena egli si risolva a manifestare i motivi che lo inducono a mostrarsi contrario. Taluno ha parimenti domandato se di frequente vi siano Salesiani che lascino la Congregazione e cagionino [184] disturbi nelle loro Diocesi. Posso rispondere che finora pochissimi uscirono durante il tempo di prova, ma non si conta neppur un Salesiano definitivamente aggregato che di poi sia uscito; quindi non si può accennare alcuno che abbia cagionato disturbo in qualche Diocesi.

                È bensì talvolta avvenuto che giovani, non della Congregazione, ma semplicemente accolti ed istruiti nelle nostre case, non abbiano corrisposto a chi giudicò di ascriverli nel suo clero; ma noi non possiamo essere responsabili nè della vocazione nè della riuscita degli allievi, quando, usciti dai nostri Ospizii o Collegi, fanno ritorno alle rispettive famiglie o vanno in altri collegi o in qualche Seminario Diocesano.

                Pel rimanente mi rimetto a quanto fu già esposto l'anno scorso nella posizione per la definitiva approvazione delle Costituzioni.

 

Schiarimento.

 

                L'anno scorso dacchè Sua Santità si degnava di approvare le nostre Costituzioni, fui consigliato a domandare non la Comunicazione, ma in modo specificativo i Privilegi, facoltà e grazie spirituali necessarie, affinchè una Congregazione Ecclesiastica possa conservare la propria autonomia e conseguire il suo fine che è di promuovere la maggior gloria di Dio. In pratica ho trovato molte difficoltà.

                1° Non sapendosi preventivamente le cose che possano occorrere, devesi attendere il caso del bisogno, e perciò qualche inconveniente prima di conoscerle, e quando si conoscono riferirle al Superiore affinchè supplichi per l'opportuna facoltà. La qual cosa se può farsi per una casa determinata, riesce assai difficile in una Congregazione che conta già diciotto case o chiese aperte in diverse Diocesi.

                2° Non conoscendosi poi le Congregazioni, cui devonsi indirizzare le domande, per lo più passa un tempo assai notabile prima di ricevere la desiderata risposta.

                L'anno scorso umiliai alcune domande di cose che mi parevano necessarie; ma dopo il carteggio di un anno dovetti recarmi a Roma per farmi assistere da persona pratica dei varii uffizi, cui ognuno devesi indirizzare.

                3° Con difficoltà si ottengono le cose richieste; ho fatto domanda alla Sacra Penitenzieria di facoltà di cui in generale godono tutte le Congregazioni Ecclesiastiche e si giudicò bene di negarle tutte in altre Congregazioni si concedettero alcune facoltà utili, ma se ne rifiutarono altre che sembrano di vera necessità, come sono la facoltà di ritenere e leggere libri proibiti, dare la benedizione papale in articolo di morte ai proprii Congregati. In altre congregazioni poi si modificarono le domande in guisa che il favore concesso non conseguiva più lo scopo. Per esempio, fu chiesta la facoltà di poter celebrare [185] la S. Messa un'ora prima dell'aurora e un'ora dopo il mezzodì Si concedette, ma solo pel tempo di Missioni; mentre il bisogno può succedere ad ogni giorno.

                4° Oltre alle difficoltà sopranotate avvi anche quella della spesa che si deve sostenere nelle poste, nelle tasse, negli uffizi e nelle agenzie. Per esempio, un solo Breve importava oltre a mille franchi; è vero però che la Carità grande dell'Em.mo Cardinale Prefetto di quella Sacra Congregazione, che ci ha più volte beneficati, ridusse la somma a soli 120 franchi: somma tenue, è vero, ma che resta tuttora rilevante per una Congregazione che affatto destituita di mezzi materiali, si sostiene della sola Provvidenza cotidiana e deve aver cura di oltre a settemila fanciulli, quattrocento soci, tenere aperte al Divin culto diciotto chiese e provvedere a quanto è necessario a questo fine.

                Ciò posto io rinnovo l'umile preghiera della Comunicazione dei favori e dei privilegi che godono le altre Congregazioni Ecclesiastiche cui mercè si provvede a quanto occorre nelle varie case e chiese già aperte e per quelle che dovranno aprirsi quanto prima.

                Torino, 12 aprile 1875.

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Le cose dunque minacciavano già di andare per le lunghe, e per le lunghe andarono molto più di quanto Don Bosco si sarebbe potuto immaginare. Infatti mancava ora l'uno ora l'altro dei quattro Cardinali: così il Card. Bizzarri stette assente da Roma quasi tutto maggio e parte di giugno; il card. De Luca, circa tre settimane di luglio; a volte affari di Congregazioni, delle quali essi erano membri, ne trattenevano alcuno; poi sopraggiunse il colmo dell'estate, nel qual periodo, scriveva l'avv. Menghini, “proporre certe questioni in via straordinaria rende strani gli Eminentissimi giudici”. Pertanto, una settimana dietro l'altra, si doveva arrivare fino a settembre inoltrato.

                Eppure a Don Bosco urgeva di presentare alle sacre ordinazioni undici professi perpetui, che sarebbe stato follia sperare di veder ordinati a Torino. Perciò il 16 luglio si rivolse “alla inesauribile carità e clemenza” del Santo Padre, supplicandolo che si degnasse concedere per quei soci salesiani la facoltà di “ricevere a quocumque catholico Episcopo [186] extra tempus gli ordini minori e maggiori”. In favore di quattro supplicava anche per la dispensa sopra l'età[107].

                A rincalzo della sua umile domanda egli presentava rispettosamente alla considerazione del Pontefice tre motivi: “Con questa segnalata concessione la Santità Vostra fa un grande benefizio alla Congregazione Salesiana, che nel prossimo autunno dovendo aprire un Collegio ed una Missione nella Repubblica Argentina è [= ha] mestieri d'inviare colà un numero assai notabile di professi, la cui maggior parte devono essere Sacerdoti. Si avrebbe pure maggior numero di Sacerdoti da inviare ad esercitare il Sacro Ministero ora in Chiese pubbliche ora in Chiese private, secondo le varie richieste. Si procaccerebbe eziandio un potente aiuto alla Congregazione Salesiana, che ad ogni momento vede crescersi la Messe e perciò trovasi in maggior bisogno di Evangelici Operai.”

                Il Papa rimise l'affare alla Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, il cui segretario con lettera del 2 agosto annunziò a Don Bosco, avere il Santo Padre accordato “in parte” il chiesto favore; commettesse quindi allo spedizioniere Sigismondi di ritirare il rescritto, dal cui tenore avrebbe veduto “l'intenzione e le condizioni delle grazie”. Don Bosco, riconoscentissimo, si affrettò a ringraziare Sua Eccellenza[108]: “Ho ricevuto la Sua lettera e La ringrazio di tutto cuore per la bontà con cui mi tratta; ne serberemo viva gratitudine; procurerò di eseguire le condizioni poste nel favore concesso; desidero soltanto che non mi si metta sotto gli auspizi del nostro Arcivescovo”. [187]

                Ma la lettura del rescritto gli causò un'amarissima sorpresa: la sua preghiera era stata esaudita in minima misura. Vi si disponeva infatti che egli, valendosi della facoltà già concessagli per un decennio di rilasciare a' suoi le dimissorie, potesse, una volta tanto, presentare ai loro rispettivi vescovi d'origine cinque soli degli undici supplicanti. Non basta: nell'indulto nessuna menzione dell'extra tempora. Non basta ancora: una seconda lettera di mons. Vitelleschi, facendo seguito alla prima, avvertiva non essersi inteso con quello di accordare dispense d'età[109].

                Don Bosco era in un bell'imbarazzo! Pensò di rimediarvi, rimandando a mons. Vitelleschi il rescritto, nella ferma fiducia che vi si volesse tornar sopra per riformarlo. Indarno! Il Segretario della Congregazione replicò essere quell'indulto quanto con non poca fatica aveva potuto ottenere; ritornarglielo quindi tale quale; non averne forse Don Bosco intesa la portata. Dopo di che proseguiva[110]: “Piuttosto che concedergli (sic) quella facoltà, voleva il S. Padre che scrivessi all'Arcivescovo di Torino, perchè accettasse le di Lei dimissorie. Io mi permisi di fargli osservare che avremmo fatto un buco nell'acqua. Allora Sua Santità acconsentì che a cinque soltanto de' suoi proposti, e da scegliersi da Lei, si concedesse ch'Ella li facesse ordinare dai rispettivi loro Vescovi d'origine, essendosi considerato dal suo esposto che tutti, meno due, erano d'altre diocesi e non di Torino. Se non ho ottenuto l'extra tempora è stato perchè non lo ha dimandato nelle preci[111]; se non ha avuto la dispensa dall'età, è stato perchè il S. Padre non ha accordato alli undici, ma solo a cinque le grazie, e poteva essere che Ella scegliesse, tra gli undici, cinque che non ne avessero bisogno. Si riterrà dunque il rescritto che gli (sic) ritorno, altrimenti non ne può fare uso: [188] s'Ella mi dice che sceglierà tra i cinque da far ordinare, quelli che hanno bisogno di domanda d'età, me ne avverta, che implorerò questa domanda, che gli (sic) potrò fare avere con l'altra dell'extra tempora... Ella per gli altri dia le dimissorie all'Arcivescovo di Torino”. Proprio in quei giorni al Santo Padre erano pervenuti i reclami degli Ordinari di Torino e d'Ivrea contro l'Opera di Maria Ausiliatrice. A Roma, come apparirà evidente dal seguito di questo capo, si temeva d'inasprire il dissidio e di compromettere l'autorità vescovile.

                Che poteva fare Don Bosco? Aver pazienza e contentarsi di quel tanto. E così fece. Si affrettò dunque a inviare due suppliche, nelle quali implorava per tre[112] l'apostolica dispensa sul difetto di età canonica e per i cinque prescelti[113] l'apostolico indulto dell'extra tempora. Per l'una e l'altra grazia il 27 agosto Sanctitas Sua benigno annuit.

                Nello stesso mese si tenne dai membri della Commissione cardinalizia una Congregazione preparatoria, in cui fu letta la relazione a mo' di supplica, presentata da Don Bosco. La storia della concessione dei privilegi per communicationem ivi limpidamente abbozzata destò un senso di meraviglia. Leggeva mons. Bianchi, non guari favorevole alle cose dei. Salesiani; uomo, per altro, retto e alieno da spirito di parte. I Cardinali, persuasi che lo scritto fosse opera dell'avv. Ménghini, interrompevano di quando in quando la lettura con segni e parole di viva approvazione. Mons. Bianchi tirava innanzi imperturbabile. Finito che ebbe, sentendo levarsi un coro di lodi, chiese:

                 - Trovano bello, Eminentissimi, questo lavoro!

                 - Magnifico! risposero.

                 - E chi credono che ne sia l'autore?

                 - L'avv. Menghini. Ci si vede il suo ingegno.

                 - Ebbene questo lavoro l'ha fatto Don Bosco.

                Restarono di stucco a tanta conoscenza del diritto canonico. [189]

                Ritenevano il lavoro preparato da Menghini e scritto da Bianchi. Alle assicurazioni di quest'ultimo, ammutolirono alquanto mortificati degli sperticati elogi, che rincresceva loro d'averne fatti, quasi ne fosse rimasta pregiudicata la causa.

                Per la discussione, che non veniva mai, relatore doveva essere mons. Vitelleschi. Egli fin da principio aveva affidato al sommista Menghini l'incarico di comporgli la consultazione. Si sogliono designare con questo nome le disamine di questioni, su cui le Congregazioni romane sono chiamate a dare il loro voto consultivo. Vengono stese da appositi ufficiali secondo le istruzioni che ricevono dai Prefetti o dai Segretari e, messe in istampa, si distribuiscono agl'interessati. Il buon avvocato non fece da semplice estensore d'ufficio; ma, avendo sposata con vero entusiasmo la causa di Don Bosco, per il quale nutriva affettuosa venerazione, la studiò a fondo, radunò copiosi materiali e la compilò con la massima cura. Essa riuscì di gradimento a Don Bosco (I). Diamovi un rapido sguardo, affinchè e dal già detto e da quanto siamo per dire, coloro che leggono si formino un concetto esatto e chiaro di tutta la grossa questione.

                La consultazione esordisce con questo opportuno rilievo di fatto: “È veramente prodigioso che la S. Sede, agitata da luttuosa tempesta, mentre da un lato soffre la soppressione di rispettabili Ordini Religiosi, dall'altro canto si occupi con animo invitto a costituire pietose Società e Congregazioni, che, a guisa di una sussidiaria milizia, ne suppliscono la missione benefica, dove quelli non possono giungere”. Segue un cenno storico della Pia Società Salesiana, dove con maestria sono messe in luce le difficoltà accampate dall'Ordinario torinese, specie per il riconoscimento dell'esenzione canonica e per l'ammissione agli ordini sacri. Apertasi con ciò la via, il Relatore viene al punto, intorno a cui la consultazione si aggira, [190] enunziandolo in questi termini: “Il Fondatore, in vista di tali collisioni, come anche perchè il suo Istituto godesse di quei privilegi che già furono concessi a molte Congregazioni, cui certamente non è inferiore per prodigiosi fatti operati a vantaggio della Religione e della Società civile, nel giro di trentaquattro anni, sul principio di quest'anno trasmise due suppliche”. Sono le suppliche umiliate al Papa per ottenere le dimissorie assolute e la comunicazione dei privilegi. Espostone il contenuto, la consultazione entra nel vivo dell'argomento.

                L'investigazione procede con dottrina e chiarezza. Nella prima parte, che tratta delle dimissorie, premesse le teorie che delineano la storia di questo privilegio, si pone il quesito, se “sarà spediente di annuire alla particolare domanda fatta dal sacerdote Don Bosco, Fondatore di un benemerito Istituto”. Sembrerebbe non doversi tanto facilmente concedere per tre motivi: 1° perchè questa è una grazia concessa di rado; 2° perchè, essendone privi gli Ordini Regolari, come il Relatore ha dimostrato, i quali Ordini pure hanno secolari e onorevoli tradizioni, sarebbe forse precoce concederla ad una Congregazione di quasi recente data, già in possesso, quantunque per un decennio, del rescritto sulle dimissorie ad Episcopum Dioecesanum; 3° perchè la prassi della Sacra Congregazione si addimostra piuttosto rigorosa nell'accordarla.

                Ma vi si oppone: “Ciò nondimeno la rarità di questi privilegi potrebbe avere un solido fondamento nello straordinario sviluppo e prodigioso incremento che la Società Salesiana, nata in questi calamitosi tempi, ha acquistato e tutti i giorni va acquistando a beneficio della religione e della umanità. Il beneficare con istraordinari privilegi e grazie singolari meriti ed insigni fatti s'appartiene al Sommo Pontefice in forza di sovrani e regali diritti”. E la consultazione si fa a dimostrare essersi praticato a questo modo più e più volte, anche in altri tempi. Anzi, e qui bisogna plaudire all'abilità [191] dell'Estensore, si cita il Tomassini, il quale “deriva l'elargizione di alcune particolari esenzioni da rigorose esigenze, capricci e peggiori cose... che ne furono causa impulsiva”. Dopo di che prosegue: “Perciò non sembra da trascurarsi la ragione addotta dal sacerdote Bosco sul soverchio rigore dell'Arcivescovo di Torino nell'ordinare i Salesiani.”.

                Nella parte seconda Sulla comunicazione dei privilegi, accennatosi alla doppia forma di concessione, una absoluta, plena et perfecta e l'altra imperfecta et relativa, si osserva: “A scanso di qualunque interpretazione che nel dubbio farebbe rivivere l'ordinaria giurisdizione del Vescovo Diocesano, Don Bosco dimanda ferventemente in genere la partecipazione dei privilegi già elargiti alle altre Congregazioni e nominatamente a quella del SS.mo Redentore”. Quindi, addotti esempi di simili comunicazioni anche in data non antica, si continua: “Animato Don Bosco da questi esempi di non lontana epoca, adduce nelle sue manoscritte memorie varii riflessi”. Nel riferire poi i quattro motivi, che noi ben conosciamo l'Estensore eloquentemente dice: “Se una navicella ha bisogno di pochi remi, non si deve dire lo stesso relativamente ad un vasto bastimento che ha bisogno di molto equipaggio, d'una gran forza motrice e di altri validi sostegni per seguire più speditamente il cammino, quali sarebbero appunto i privilegi, relativamente ad una Società definitivamente approvata”.

                Ma dopo il pro veniva il contro. Tre ostacoli sembravano opporsi alla concessione invocata; 1° La comunicazione dei privilegi da molto tempo non era stata più concessa; se adunque si doveva umiliare al Santo Padre un voto consultivo su tale pendenza, pareva che questo dovesse essere conforme alla prassi, trattandosi di materie disciplinari. 2° Tra le regole della Cancelleria apostolica, approvate da Pio VI, due ve n'erano, da cui si vedeva essere la mente che consimili privilegi si dovessero concedere specifice et nominatim, e ciò molto più nelle Congregazioni di voti semplici, non aventi il privilegio [192] di appartenere agli Ordini regolari. Tanto hanno, quanto ad esse viene tassativamente concesso. Soltanto i Regolari godono di una più larga esenzione dalla giurisdizione vescovile, quantunque anch'essi, giusta la Costituzione Inscrutabili di Gregorio XV, siano in sette articoli soggetti alla giurisdizione ordinaria o delegata dei vescovi. 3° Moltissimi erano i privilegi concessi agli Ordini e alle successive Congregazioni e tutta questa moltitudine di privilegi veniva compresa globalmente nella comunicazione; ora il buon senso pareva suggerire che potevano sempre insorgere dubbi, se questo o quel l'indulto, se questa o quella grazia potesse convenire all'Istituto di Don Bosco, che, quantunque solennemente lodato e approvato, pure offriva il carattere di una Società sui generis, ed insorgendo dubbi, ecco prevalere l'ordinaria giurisdizione del vescovo. Poteva quindi sembrar più prudente premunirsi da futuri contrasti, prevenendo il male prima che nascesse.

                Il Relatore, facendosi a rispondere, lasciò da banda i princìpi generali e ritenne miglior partito esaminare se nel caso concorressero le cause per muovere il Sommo Pontefice alla petizione rimessa al giudizio della particolare Commissione Cardinalizia. Egli essere il supremo e indipendente dispensatore di tali grazie e privilegi; spettare perciò alle Eminenze Loro giudicare se fosse espediente tale concessione in vista delle circostanze, dei luoghi, tempi e persone, avuto specialmente riguardo alla fondazione di fresca data, benchè un Istituto qualunque in breve periodo di canonica esistenza possa aver operato quello che altri non hanno compiuto in moltissimi anni.

                E qui cadevano in taglio i due schiarimenti di aprile. La consultazione se ne vale nell'interesse del supplicante. Noi non ci ripeteremo; ma poichè riguardo ai progressi della Pia Società il relatore era in possesso di nuovi elementi che ne mostravano il graduale sviluppo e ve li aggiunse, non ne defrauderemo i nostri lettori,  [193]

                1° Molti Salesiani si segnalarono con opere letterarie, storiche ed anche con libri di testo che furono stampati e che si usano nei pubblici stabilimenti. Fra le opere storiche sono assai lodate le recenti: L'Evangelista di Vittemberga e la Riforma Protestante in Germania pel sac. G. B. Lemoyne, direttore del Collegio di Lanzo, non che la Vita di Cristoforo Colombo [del medesimo][114]. Circa venti Soci sono morti in fama di singolare virtù, e di ciascuno venne scritta speciale biografia.

                2° Per utilità della religione furono composte, calcografate o stampate, molte opere musicali per facilitare lo studio dell'organo e del canto fermo.

                3° Esiste nella Società una libreria e tipografia, dove lavorano continuamente quattro macchine col motore a vapore e sono applicati centotrenta individui. Per questo è stato sorprendente lo spaccio di Letture Cattoliche, che contano 23 anni di pubblicazione, benedette dal S. Padre, che si degnò raccomandarle con apposita circolare, scritta dall'Em.mo Signor Card. Vicario; quindi non  fa meraviglia, se del solo libro intitolato Il Giovane Provveduto furono spacciati in pochi anni non meno di un milione di esemplari.

                4° Si rilevano varie opere in costruzione: A) Una notabile ampliazione dell'edifizio in Alassio, per cui il numero degli allievi può essere elevato da 200 a 400. B) In S. Pier d'Arena si sta amplificando l'abitato in guisa che il numero presente dei ricoverati può essere triplicato. C) Nel prossimo ottobre si apriranno tre case per le Religiose delle Figlie di Maria Ausiliatrice ad Alassio, a Lanzo, ed in Valdocco dove da 30 anni esisteva una casa d'immoralità; con grande dispendio fu testè acquistata per stabilirvi le Figlie Ausiliatrici, che quanto prima si prenderanno cura di molte povere fanciulle di quel contado, dove non esiste alcun mezzo per la loro morale e religiosa educazione. D) Finalmente l'Opera di Maria Ausiliatrice, il cui scopo si è di raccogliere giovani grandicelli dai 16 ai 30 anni, di bontà conosciuta, per far loro percorrere gli studi e avviarli allo stato ecclesiastico; ed il numero di questi nel prossimo anno scolastico sorpasserà il centinaio.

                La dotta e cauta elucubrazione termina così: “Tali rilievi, congiunti con quanto fu già esposto nella passata consultazione sopra l'approvazione delle Costituzioni, somministrano gli elementi perchè le LL, EE.ze Rev.me nella ben conosciuta maturità di senno e pari prudenza di cui sono adorni, si degnino rispondere ai seguenti [194]

 

DUBBI.

 

                I. Se e come convenga concedere le lettere dimissoriali ad quemcumque Catholicum Episcopum e l'extra tempora in favore della Società Salesiana nel caso?

                II. Se, come e di quali Privilegi s'abbia a concedere la comunicazione a favore della stessa Società nel caso?”.

                Vivo desiderio di Don Bosco era che la pratica dei privilegi fosse terminata almeno prima delle ferie autunnali, perchè s'avvicinava il tempo della partenza dei Missionari per l'America[115]. Il prolungarsi però della dilazione non fu inutile, sia perchè l'avv. Menghini e mons. Fratejacci, anche lui “impegnatissimo” nella cosa, poterono di concerto elaborare meglio la consultazione, sia perchè Don Bosco ebbe agio di meglio conoscere l'animo dei giudici mercè il carteggio di quei due suoi esperti e solerti amici.

                Il Card. Patrizi, Vicario, propenso sempre a favorire Don Bosco, volentieri presiedeva quella particolare Congregazione; egli si mostrava bene animato, ma disse pure che si sarebbe rimesso al voto dei colleghi. Il Card. De Luca, uomo risoluto, non pativa certo di scrupoli come qualche altro dell'eminente Consesso; la sua presenza si stimava giovevolissima alla causa di Don Bosco. Il Card. Martinelli con una cordialissima lettera del 9 luglio a Don Bosco lo ringraziava della visita fattagli da Don Lemoyne e da Don Bonetti e dell'omaggio di “alcuni loro opuscoli”. A Don Bosco in particolare diceva: “A questo proposito rammento pure il dovere, che ho già da molto tempo con la S. V., di ringraziarla cioè della graziosa operetta intitolata Maria Ausiliatrice, che Ella per un tratto di sua gentilezza si compiacque inviarmi. Dal modo prodigioso con cui è sorta cotesta chiesa, veramente può dedursi a ragione che Maria aedificavit sibi domum”. [195]

                Questi tre Cardinali tuttavia non erano i più influenti; l'influenza maggiore la esercitava il card. Bizzarri, sul quale sua volta influiva mons. Vitelleschi. E Prefetto dei Vescovi Regolari ne' suoi scritti di diritto canonico, ragionando della comunicazione dei privilegi, batteva molto sull'in praesens difficillime conceditur; non poteva dire nullimode, perchè la grazia dipendeva dal sovrano volere del Papa, ma la sua tendenza vi traspariva evidente. All'estensore Menghini, che necessariamente lo consultava, suggeriva difficoltà, che dal bravo avvocato, come si scorge nella consultazione, vennero temperate con osservazioni piene di riguardo e di delicatezza. Questi dice financo d'aver fatto la consultazione “sotto l'incubo del Cardinal Prefetto, il quale avrebbe anche voluto quello che egli non doveva eseguire per coscienza e per giustizia”. C'immaginiamo facilmente il buon volere del Menghini alle prese con i famosi scrupoli del Cardinale.

                Aggiungeremo ancora che, in agosto, Prefetto e Segretario diedero chiaramente a divedere di ritener impossibile la comunicazione in globo; più tardi, il Cardinale stesso inclinava a concedere un numero determinato di privilegi, ma tutti no, mentre per le dimissorie assolute si dichiarava recisamente contrario.

                Sotto l'impressione di un colloquio con mons. Vitelleschi l'avv. Menghini nello stesso mese propose a Don Bosco, ma “come figlio al suo Padre”, che in via subordinata si chiedessero “almeno alcuni capi principali, puta le Dimissoriali etiam ad Episcopum originis, l'esenzione dalla visita ed altri speciali privilegi e grazie spirituali”, che a lui piacesse di indicare; però si rimetteva del tutto alla sua saviezza e prudenza. Qui gioverebbe conoscere che cosa rispondesse Don Bosco; ma in difetto d'altri documenti, è lecito ricostruire sostanzialmente la sua risposta dalla replica del Menghini: “Anch'io sono persuaso che bisogna giungere ad uno stato fermo, stabile e non precario, mendicando come tapini piccole grazie che giovano più agli agenti e poco ai petenti... Le grandi [196] operazioni non si devono eseguire per metà ed è purtroppo vero quel detto: Benefacta male collata maleficia existima...

                Ella scriva e prenda tutte le misure, come un provvido ed esperto generale d'armata. Si assicuri che l'opposizione purtroppo ci è”.

                Di mons. Vitelleschi Don Bosco riteneva che non fosse contrario; ma egli ignorava ancora, che nel commettere al Menghini di stendere la consultazione, il Segretario dei Vescovi e Regolari gli aveva detto: “La domanda di Don Bosco è una stranezza; componga un semplice foglietto per darvi sfogo”. Cioè, faccia una molto sommaria relazione, tanto per dar corso alla domanda.

                Il giorno della discussione si approssimava. Don Bosco, preoccupato della piega che il negozio sembrava prendere, seguì un consiglio datogli dal Menghini: intervenne direttamente presso la Commissione per raccomandare la propria causa. Scrisse dunque ai singoli Cardinali ed a mons. Vitelleschi una lettera del tenore seguente:

 

                               Eminenza Reverendissima,

 

                Se per buona ventura mi trovassi a Roma in questi giorni mi studierei di compiere un grave mio dovere col recarmi di presenza a far atto di ossequio alla E. V. Rev.ma e raccomandare alla sua bontà la Congregazione Salesiana, intorno a cui Ella è invitata a proferire giudizio della massima importanza, quale si è la comunicazione dei Privilegi che generalmente godono gli altri istituti religiosi approvati dalla Chiesa. Mi permetta che io possa valermi di questo umile scritto.

                La E. V. mi si mostrò padre benevolo ed insigne benefattore all'epoca dell'approvazione; ora si degni di continuarmi la sua benevolenza, affinchè questa umile Congregazione possa conseguire l'insigne favore della Comunicazione dei privilegi. Due grandi vantaggi deriverebbero da questa concessione:

                1° La Congregazione Salesiana sarebbe posta al livello delle altre in faccia alle autorità Ecclesiastiche.

                2° Nel prossimo ottobre i Salesiani dovendo recarsi nella Repubblica Argentina per aprire un collegio a favore delle Missioni, ed a richiesta di quell'Ordinario essendo convenuto di prendere l'amministrazione delle pubbliche scuole e di una pubblica Chiesa in S. Nicolas de los Arroyos, tornerebbe della massima utilità che eziandio i nostri religiosi godessero i privilegi e le grazie spirituali degli ordini religiosi [197] e delle Congregazioni Ecclesiastiche, esistenti in quel vastissimo regno.

                Con questo mezzo verrebbe parimenti tolto il motivo di opposizione che fa l'Ordinario di questa Torinese Archidiocesi, il quale non si persuade che la Società Salesiana sia definitivamente approvata perchè non gli consta che ella goda i privilegi delle altre Congregazioni.

                Rimetto però ogni cosa nell'alta ed illuminata sapienza della E. V. assicurandola che tanto per la carità usata, quanto per quella che speriamo si degni ancora di usarci, i Salesiani oltre all'incancellabile gratitudine, inalzeranno ogni giorno speciali preghiere per la preziosa conservazione dei giorni suoi tutti pieni di celesti benedizioni.

                Mentre poi in tutte le case Salesiane si fanno preghiere e digiuni perchè Dio le inspiri quanto sarà di sua maggior gloria, ho l'alto onore di potermi inchinare e baciare la sacra porpora colla massima venerazione.

                Della S. V. Rev.ma

                Torino, 11 Settembre 1875.

Obbl.mo servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                La discussione, fissata per il 9 settembre, fu per sopraggiunto impedimento rinviata al 16. Quel che si fa o si dice in tali adunanze, difficilmente può essere oggetto di storia, circondate com'esse sono da doveroso segreto. Indiscrezioni se ne possono commettere, se ne commettono anzi; ma resta sempre più o meno incerto qual valore si debba loro attribuire. In ogni modo non è dignitoso per lo storico raccattare notizie di origine così impura.

                Proprio quel giovedì 16 settembre mons. Vitelleschi chiudeva le sue funzioni di Segretario dei Vescovi e Regolari, perchè elevato alla Sacra Porpora, e le chiudeva appunto con la relazione sull'affare di Don Bosco. Veramente già da due giorni aveva consegnato tutte le carte d'ufficio al sostituto; ma volle ritenere la sola posizione di Don Bosco; per questo partecipò al Congresso della Commissione Cardinalizia.

                La seduta, aperta alle nove, si sciolse a mezzodì. Che cosa vi si era deciso? Ufficialmente non se ne poteva saper nulla; il giudizio consultativo della Commissione doveva essere comunicato in una prossima udienza al Papa, a cui spettava [198] pronunziare l'ultima parola. Se non che per il giorno dopo, stante il Concistoro per aprire la bocca ai nuovi Cardinali, l'udienza si prevedeva impossibile; sicchè si sarebbe dovuta aspettare fino alla settimana appresso la sentenza definitiva, e allora la relazione, non più il card. Vitelleschi, ma l'avrebbe fatta o il nuovo eligendo Segretario o il sostituto. “Se era qui il card. Berardi!”, esclamava in una lettera mons. Fratejacci, che ragionevolmente si riprometteva da lui un'azione efficace presso il Pontefice; il Cardinale però si trovava fuori di Roma. “Ma non pertanto, soggiungeva il buon Monsignore, è qui sempre Dio e Maria nostra buona Madre Ausiliatrice, che come in altri bisogni e circostanze, così ora persuaderà al Santo Padre il da farsi, alla maggior gloria del Signore ed incremento del suo nuovo Istituto, a tutti caro e accetto”. Indi, profferendo i suoi servigi, proseguiva: “Qualunque cosa io possa fare per Lei, già lo sa, io sono sempre in parata, sempre in fazione. Ella ordini, e sarà tutto fatto di gran cuore, e col più vivo piacere”.

                Ma avvenne l'imprevisto e l'imprevidibile. Il neoporporato, che dopo il Concistoro sarebbe stato fuor del caso di occuparsi della faccenda, si assunse l'incarico di portare la sera stessa del 16 il risultato della Commissione al Santo Padre, “in via straordinaria”, nota monsignor Fratejacci, cioè, com'egli spiega, “non aspettato il corso consueto delle udienze[116]”. La mattina seguente, all'avv. Menghini che lo interrogava sull'esito della Congregazione, egli rispose: “Certo, quando Don Bosco lo saprà, non ne resterà molto contento!”.

                E vediamo finalmente quest'esito. Al primo dubbio circa le lettere dimissoriali fu risposto: Negative et ad mentem. La mente era che si comunicasse a mons. Arcivescovo di Torino la domanda presentata dal Rettore Generale della Società Salesiana di poter concedere le lettere dimissoriali ad quemcumque Episcopum e l'extra tempora, e il rifiuto dato dalla [199] Congregazione a tali privilegi, tanto più che egli godeva l'indulto decennale datogli il 3 agosto 1874, nel cui esercizio si esortava per altro mons. Arcivescovo ad attenersi alla concessione fatta e così non rendere necessario che la Sacra Congregazione provvedesse altrimenti, perchè egli potesse di quell'indulto fruire. Al secondo dubbio circa la comunicazione dei privilegi la risposta fu: Communicationem, prout petitur, non expedire. Si stabiliva però di supplicare il Santo Padre, perchè si degnasse dichiarare le Case della Pia Società Salesiana, in cui vivessero regolarmente almeno sei soci, esenti dalla giurisdizione e dalla visita degli Ordinari in tutto che concernesse la disciplina interna e l'amministrazione, salva sempre la giurisdizione degli Ordinari quanto alle chiese, all'amministrazione dei sacramenti e alle cose riguardanti il ministero sacro.

                Il buon Menghini, quando lesse che il rescritto si doveva contemporaneamente spedire all'Ordinario torinese, non credeva ai propri occhi. Per altro, scrivendone a Don Bosco, osservava: “Io non voglio accendere questioni. Ella nella sua prudenza conosce il quid agendum”. Egli non ignorava nemmeno che cosa più di tutto in quel frangente valesse a confortare Don Bosco: la non diminuita benevolenza del Papa. Perciò, avuta dal Santo Padre udienza per ringraziarlo della propria elezione a canonico dell'insigne collegiata di Sant'Eustachio, passò di proposito a parlargli di Don Bosco, e avvertì che il Papa ascoltava con soddisfazione quanto gli veniva dicendo. Di questo si affrettò a informare Don Bosco stesso.

                Per vero dire, Don Bosco, secondo il suo costume, sofferse l'amara disdetta con ammirabile rassegnazione e pacatezza d'animo[117]. Ma rassegnarsi non vuol dire darsi per vinto.

                Qui, lo storico desideroso di scoprire la causa del fatto, non ha se non una via per venirne a capo. Supporre che uomini così eminenti in oggetto di tanto rilievo agissero per passione [200] o comunque per motivi non confessabili, sarebbe infliggere loro un'ingiuria gratuita. Fatta dunque la debita parte alla mentalità di curiali, attaccati per ufficio alla prassi e alieni per abito dal fare buon viso a novità in materie gravi, lo spettro di una scissura fra l'Ordinario torinese e la Santa Sede dovette sopraffare l'animo dei giudici e di rimbalzo mettere in apprensione anche il Santo Padre[118]. L'opposizione ostile e ferma di Torino dava ragionevolmente a temere che la collisione con Don Bosco degenerasse in serio conflitto con Roma, e ciò in momenti nei quali si sentiva troppo la necessità della più salda unione di tutto l'Episcopato con il Capo della Chiesa. Qui sta il nocciolo della questione.

                Si compieva appena un mese dall'epilogo di questi fatti e dalla sua promozione alla Porpora, che il card. Vitelleschi non era più. Una violenta febbre tifoidea nel giro di pochi giorni l'aveva spento. “Che fatto, che meditazione!”, esclamava fuor di sè mons. Fratejacci. Nella sua fervida immaginazione egli ci vide addirittura il dito di Dio[119].

                Il Beato nell'aprile del '76 trovò la nobile famiglia del Cardinale ancora tutta costernata per una morte così repentina e, come dicevano, misteriosa. L'11 aprile del medesimo anno il cardinal Martinelli disse che le difficoltà erano venute da mons. Vitelleschi; ma si può ritenere per fermo che questi non agì in tal modo per animo ostile a Don Bosco. La causa prima dell'insuccesso va cercata lontano da Roma.

 

 

CAPO X. Vita dell'Oratorio nel '75.

 

                LA vita dell'Oratorio nel 1875 ci somministrerà materia a intrattenere i nostri lettori per due non brevi capi. Ci guarderemo bene dal ricascare a dir sempre lo stesso. Senza portar legna alla foresta, ci limiteremo a cogliere le sole novità più salienti di questo periodo nell'andamento consueto delle cose, non che i nuovi detti e i nuovi fatti di Don Bosco, aventi relazione col nostro tema. Per imprimere un qualche ordine all'esposizione, noi, movendo dal concetto che l'Oratorio era una grande famiglia, diremo prima del Padre, poi della Casa, quindi dei figli e in ultimo di taluni atteggiamenti e rapporti, meritevoli di attenzione. Fonti ordinarie saranno cronachette, verbali, relazioni, lettere, che si custodiscono nei nostri archivi.

 

1° IL “PATER FAMILIAS”.

 

                L'Oratorio, residenza abituale di Don Bosco, e Casa Madre della testè nata Congregazione, doveva non solo essere un ambiente che facesse onore al Padre nell'estimazione del mondo, ma offrire anche in sè una forma di vita Salesiana, su cui si modellassero con sicurezza le altre Case. Perciò il suo andamento Don Bosco voleva che dipendesse dal suo comando e dal suo consiglio. Non già che nella pratica egli legasse le mani ai superiori subalterni, sulle cui spalle gravava pondus diei et aestus: lasciava anzi ad essi molta libertà [202] d'azione; ma sempre nell'ambito delle regole da lui poste e nel senso delle direttive da lui dettate. Questa sua ingerenza diretta nel gran mare dell'Oratorio derivava anche da una necessità di fatto; poichè i preti della Casa erano tutti giovani. Cosicchè la vita della famiglia di Don Bosco s'imperniava nella sua persona.

                Che questa sia realtà e non fantasia, le prove non fanno difetto nell'anno, che è oggetto del nostro studio.

                Lo dimostrano anzitutto la costituzione del Capitolo locale e il suo modo normale di agire. Don Bosco vi figura come direttore, ma non più solo, bensì coadiuvato da un vicedirettore che è Don Rua. Nè si creda che Don Bosco fosse direttore ad honorem, e che il suo aiutante avesse nome di vicedirettore, ma nel fatto fungesse da direttore. I verbali delle sedute, così limpidi nella loro laconicità, ci rappresentano Don Rua che presiede, Don Rua che propone, Don Rua che prende gli accordi con gli altri membri; ma ben si vede che in cima a' suoi pensieri sta la preoccupazione d'interpretar a dovere la mente di Don Bosco: infatti, ogni volta che s'affacci un'idea innovatrice, la deliberazione è sempre subordinata a quanto dirà Don Bosco.

                Vien da sè che un tal Capitolo non si scostasse un ette da quella linea di condotta, che Don Bosco fece sua legge e che si formula con una parola sola: prevenire. Così per esempio, le cose vi sono sottoposte a minuto esame in antecedenza e le ricorrenze di maggior rilievo sono studiate anche un mese prima sì da poter presagire in tempo le probabili eventualità e anticiparvi adeguate provvidenze. Al quale scopo si solevano anche rileggere le deliberazioni degli anni anteriori con le relative annotazioni post eventum; poichè Don Bosco insegnava a raccogliere e a fissare sulla carta i dati dell'esperienza per farne tesoro e valersene in circostanze analoghe.

                È di questo tempo un episodio molto istruttivo[120]. Verso [203] il '75 erasi cominciato a permettere che per la festa di Maria Ausiliatrice la gente fino a notte avanzata restasse in chiesa e vi circolasse nelle adiacenze. Ciò diede luogo a inconvenienti, alcuni della casa, per esempio, sottrattisi alla vigilanza dei superiori, si nascosero una volta nei sotterranei a far gozzoviglie. Per questi fatti, certi capitolari persistevano a volere che si abolisse quella veglia, la quale pure favoriva la pietà dei divoti, massime forestieri. Quando l'opposizione giunse all'orecchio di Don Bosco, egli lasciò dire e poi osservò: - È avvenuto così e così. Ma di chi la colpa? Di voi, che non avete sorvegliato abbastanza. Adesso non si sopprima il bene per impedire il male; piuttosto un altr'anno ci si pensi in tempo e si piglino tutte le precauzioni, perchè i lamentati inconvenienti non si ripetano più.

                Personalmente, Don Bosco trattava di proposito gli affari e i casi giornalieri dell'Oratorio dopo cena. Sullo scorcio delle sue laboriose giornate, presa la parca refezione vespertina con la comunità, durante la mezz'ora che intercedeva fra il levar delle mense e le orazioni della sera, egli sentiva, chiamava, dava ordini..

                Una cronachetta ce lo ritrae al vivo nell'atto di compiere tale ufficio. La sera dell'otto luglio, sfollato che fu il refettorio, fe' cenno a Don Chiala, catechista degli artigiani, che si fermasse, e con lui s'intese sulla stampa di alcuni fascicoli delle Letture Cattoliche. Subito dopo, Don Lazzero, prefetto della Casa, venne a parlargli di provvedimenti da prendere per il buon ordine degli artigiani. Non aveva ancora finito lui, che Don Barberis, maestro dei novizi, si fece avanti a riferirgli come il Capitolo della Casa fosse stato unanime nel proporre che ai chierici si procurassero vacanze allegre, sicchè non saltasse loro il ticchio di andare in famiglia; e lì a ventilare disegni di luogo, di tempo, di durata, di modalità, finchè: - Va tutto bene, conchiuse Don Bosco; ma quella tal Casa contiene appena una quindicina d'individui, Per altro è adatta. Vi si facciano i preparativi [204] necessari. - Ed ecco sopraggiungere Don Durando, consigliere scolastico generale, e dire:

                 - Il professor Rocchia vorrebbe far stampare da noi, lasciandocene la proprietà, quel suo libro, del quale credo che Le abbia scritto.

                 - È un libro scolastico?

                 - È un repertorio di frasi latine. Sembra che non ci sia male.

                 - Ma avrà poco spaccio.

                 - Anche gli Scolopi lo useranno nelle loro scuole e contribuiranno a diffonderlo.

                 - Parla con Barale (il direttore della libreria) e intendetevela. Io però sarei di parere che si stampasse a conto dell'autore.

                Poi si presenta Don Guanella a esporre la sua idea di un libro sulla propagazione della Fede per le Letture Cattoliche, e ne traccia lo schema. Quindi Don Milanesio, direttore dell'oratorio festivo e delle scuole esterne, messosi al fianco di Don Bosco, che si moveva per uscire, lo accompagna su per le scale, pregandolo di voler approvare una nuova scuola serale a pro degli esterni e spiegando come, secondo lui, la si potrebbe fare. Con indirizzi così continui, concreti e sicuri, mentre si formavano gli uomini dell'avvenire, accadeva che le molteplici attività dell'Oratorio si svolgessero senza complicazioni.

                Come di presenza, a viva voce, così per corrispondenza, quand'era lontano. Tre lettere di Don Bosco, scritte a brevi intervalli nel novembre da Sampierdarena, da Alassio e da Nizza, ne documentano la sempre vigile attenzione sulle cose dell'Oratorio. Meglio che lettere, si direbbero elenchi di ordini, d'istruzioni e d'informazioni al “carissimo D. Rua”, suo vicereggente. Vi si toccano ben trenta oggetti, disparatissimi. Trasferimenti di giovani dall'Oratorio ad altri collegi salesiani; passaggio di un tale da studente a calzolaio; certificato da rilasciare a un partente; vestizioni chiericali; disbrigo di [205] negozi riguardanti beni immobili; comuni operazioni di banca; contratti per compie o vendite; ammissioni al noviziato. Don Rua vorrebbe destinare un certo posto ai ragazzi delle scuole esterne, ma egli lo ritiene troppo lontano; “se però, soggiunge scherzando, a Vostra Riverenza sembra bene così, si faccia”. Comunicazioni da fare a soci o per cose personali, espresse in termini che i soli interessati capiscono, o per cose da attuare nella loro sfera di attività; le scuole di fuoco, sacre ordinazioni e relative dispense; mutui già contratti o da contrarre. Disapprova che si muri un tramezzo dentro un lungo camerone. Avverte: “Se hai i 500 franchi per l'avvocato Comaschi, si facciano tenere. Altrimenti si scriva, se non lo disturba la dilazione di qualche settimana. Ad ogni modo scrivimi e studieremo di provvedere”. Non gli manca la preoccupazione per il silenzio di Don Rua, da cui attende urgente risposta “se l'Arcivescovo abbia acconsentito alla domanda delle ordinazioni per Albano e Perrot”. Finalmente gli dice che disponga “di poter andare a Mornese la domenica dopo la Concezione per fare il da farsi”. Di fatti in una minuscola cronachina Don Lazzero dice appunto che l'11 dicembre Don Rua predicò a Mornese.

                I commenti si rimettono all'intelligenza dei lettori. A noi premeva solo di far toccare con mano come da Don Bosco partisse e a Don Bosco mettesse capo tutto il lavorio dell'Oratorio, nelle cose tanto di straordinaria che di ordinaria amministrazione. Risponderemo solo a un possibile dubbio. Don Bosco si assentò parecchie volte nel '75; non si sarà allora avverato il proverbio che, quando non c’è la gatta, i sorci ballano? La cronachetta di Don Barberis al 7 giugno ci fornisce la risposta, fissata là per noi, durante un'assenza di Don Bosco. Vi si constata questo: “L'Oratorio è così organizzato, che quasi nessuno si accorge della sua assenza da Torino”.

                È stato scritto che Don Bosco più che una dottrina, ha lasciato dietro di sè uno spirito, che dovesse spirare in mezzo [206] a' suoi figli e farli vivere[121]. Precisamente questo spirito egli si dava pensiero che aleggiasse nel suo Oratorio; proprio con l'intendimento di precludere l'adito a infiltrazioni estranee che ne alterassero la genuina essenza, egli accentrava tutto in se stesso, non già facendo tutto da sè, ma nulla permettendo di fare senza di sè. Regime fermo, regime necessario, ma sempre paterno, i cui effetti ci sono descritti così da monsignor De Gaudenzi, Vescovo di Vigevano[122]: “Chi visita l'Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino ed i varii stabilimenti eretti o governati dal sig. D. Bosco coadiuvato dai suoi sacerdoti, vi sente tosto un non so che di pio, che non è dato sì facilmente di sentire in altri Istituti; pare che negli Istituti di Don Bosco si respiri proprio il buon odore di Gesù Cristo

 

2° LA CASA E L'ECONOMIA DOMESTICA.

 

                Nei Collegi si fabbricava gagliardamente. Don Bosco suggeriva i disegni, egli li esaminava a minuto e, finchè da lui non fossero stati definitivamente approvati, nessuno si accingeva all'esecuzione. Ciò tanto più, se si trattasse dell'Oratorio, Abbiamo già visto come da Roma s'interessasse d'un povero muricciuolo di cinta. E qui ci sembra buono anticipare un fatto. Nel '76, lui assente, Don Rua autorizzò la riapertura di una finestra, già murata da tempo, presso il campanile della chiesa di S. Francesco. Al ritorno, avvertita l'innovazione, disse con certa fermezza al vicedirettore: - Sì, sì, adesso che comanda Don Bosco, fate pure come volete voi; ma un giorno, quando sarete voi a comandare, anche gli altri faran come vorranno loro. - Il povero Don Rua, sul quale ricadevano le responsabilità del governo, annichilito, si fece [207] piccino piccino, proferendo umilissime parole di scusa e protestandogli tutta la propria devozione; ma Don Bosco non modificò verbo[123]. Altro esempio dell'importanza che i Santi diedero sempre al rinnegamento della propria volontà.

                Il 1875 non segna considerevoli novità edilizie nel caseggiato dell'Oratorio. Furono arrotondati i limiti territoriali mediante la compera di un'area e di una entrostante casa da un signor Antonio Catellino, che ne aveva fatto l'acquisto parte dal sacerdote Moretta, parte dal seminario. Chi volesse orientarsi, non ha che da rammentare la tante volte menzionata casa Moretta nei volumi di Don Lemoyne.

                Le opere e le modificazioni edilizie eseguite nel corso di quest'anno si raggrupparono quasi tutte nei pressi della porteria. Una costruzione sola s'intraprese ex novo: l'edificio che dal palazzo sulla porteria si stende lungo la via Cottolengo. Questo fabbricato chiuse il primo cortile interno dell'Oratorio destinato agli artigiani e ospitò per molti anni nel piano di sopra i legatori e nel piano terreno la libreria e il magazzino generale detto delle somministranze.

                Le modificazioni furono di poca entità. L'apertura che dall'atrio del passaggio carraio immette nei sotterranei di Maria Ausiliatrice; il portone d'ingresso al posto della porta provvisoria; di là dal limitare il peso; a sinistra di chi guarda la porteria, una bussola, la cui epigrafe marmorea in latino e in italiano rivolge ancora a quanti varcano la soglia la raccomandazione evangelica di dare ai poverelli ciò che loro sopravanza; finalmente la nicchietta per la campanella, la cui voce argentina fece udire per oltre mezzo secolo i segnali dell'orario giornaliero a tutti gli abitanti dell'Oratorio[124].

                Lontano dalla porteria un lavoro solo è degno di menzione: il porticato che corre intorno all'abside di Maria Ausiliatrice e [208] che piegando ad angolo retto si protende fino alla casa, in modo da offrire un passaggio coperto per andare di qui alla chiesa e viceversa. Le colonne cilindriche, da cui il portico è sorretto, sono monoliti di granito, sodo in eterno contro tutti gl'insulti dei ragazzi.

                A tutta la gestione finanziaria di questa grande Casa toccava a Don Bosco provvedere. Entrate fisse non si avevano. Le pensioni dei giovani, fattone un calcolo complessivo, fruttavano sì e no centesimi venti al giorno per testa. Per un quarto dei ragazzi gravavano sul bilancio della Casa anche le spese personali. Nè i giovani costituivano l'intera popolazione dell'Oratorio; oltre all'alto e al basso personale, c'erano i Figli di Maria, generalmente poveri, e i chierici, che nulla o ben poco pagavano. Dei laboratori soltanto la tipografia e i falegnami erano attivi; ma i loro introiti non arrivavano a coprire le passività degli altri. La libreria fruttava alquanto, ma in scarsa misura, perchè a scopo di bene Don Bosco voleva assolutamente che i prezzi fossero minimi. I collegi rimettevano, è vero, a Don Bosco i loro risparmi; ma questi non raggiungevano cifre elevate davvero, perchè assai modeste erano le rette. Infatti Don Bosco, in una delle tre lettere citate poc'anzi, sul finire dei primo trimestre, a Don Rua, che aspettava un po' di manna, scriveva da Alassio: “Ad Alassio, Varazze, Sampierdarena le finanze segnano 0”.

                I momenti critici erano tre: al sabato, al termine delle quindicine, alla fine dei semestri. Ogni sabato bisognava pagare la settimana agli operai esterni dei laboratori; ma poichè il più delle volte i denari in cassa non bastavano o mancavano affatto, Don Bosco andava a pranzo, ospite gradito, presso qualche benefattore, rientrando con la somma occorrente. Un gran guaio si aggiungeva, quando c'erano in casa (e c'erano spesso) i muratori, il cui capomastro veniva a riscuotere la quindicina scaduta; allora egli andava addirittura alla questua, picchiando di porta in porta, finchè non avesse raggranellato il necessario. Per simili bisogne non soleva incaricare nessuno. [209] Allo spirare poi dei semestri, dovendosi pareggiar le partite coi fornitori, le preoccupazioni crescevano; ma egli non si turbava. L'esperienza di lunghi anni l'aveva abituato a pazientare, ben sicuro che al momento buono il soccorso provvidenziale non sarebbe mancato. Vedersi destituito di mezzi e confidare maggiormente in Dio erano per lui tutt'uno.

                Quante e quali fossero le strettezze dell'Oratorio, se n'avvedeva colui che lo sostituiva nella direzione, allorchè il buon Padre si assentava. Finchè era in casa, o i benefattori venivano a cercare lui o egli andava in cerca dei benefattori; ma, quando non c'era, Don Rua; si trovava nelle peste.

                Abbiamo accennato a pranzi presso benefattori; prima di continuare spieghiamoci, giacchè ne abbiamo l'occasione. Vi andava dunque per aver limosine; ma dietro a quello scopo ne teneva gelosamente nascosto un altro, che non perdeva mai di vista: far del bene a quelle persone e a quelle famiglie. Pur senz'aver l'aria di esercitare una missione, vi riusciva col contegno edificante, con la sobrietà e modestia, con le buone parole e gli ottimi discorsi, che aveva l'arte d'introdurre piacevolmente, senza dar ombra a chicchessia, ma sollevando gli spiriti. Ben conscio essere l'avarizia una cancrena che rode i ricchi, nè esservi predica atta a estirparla, li induceva a fare l'elemosina e ve li induceva, com'egli era solito dire, per procurar loro un grandissimo bene, senza che eglino se n'accorgessero. A tempo e luogo per altro proclamava francamente l'obbligo di dare ai poveri il superfluo.

                Bussava a quattrini anche per lettera. Sono graziose queste due alla buona contessa Callori, una per chiedere e l'altra per ringraziare.

 

                               Mia Buona Mamma,

 

                Martedì prossimo a sera spero di essere a Vignale e passare tutto il mercoledì in santa pace fino al giovedì. Ma che vuole mai? Questo figlio si trova al verde ed ha bisogno di quattrini; e parlo nemmeno [210] di soldi, per dirle che mi contento anche di pochissimo. Conosco il suo buon cuore e quando non può io rifuggo dal dimandare.

                Dio La faccia felice nel tempo e nella eternità. Amen.

                Preghi pel povero, ma in G. C.

                3 - 10 - '75

Aff.mo servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                               Mia Buona Mamma,

 

                Compio un mio dovere col ringraziarla tanto tanto della ospitalità, della cortesia e della carità fatta a questo povero questuante. La Contessa Bricherasio emula della virtù di V. S. mi diede il 5° e così l'opera dei graniti[125] è terminata, ma non è terminata la mia gratitudine, nè saranno terminate le benedizioni del cielo che invocheremo ogni giorno sopra di Lei e sopra la sua famiglia.

                La Contessa Corsi, i Conti e Contessa Balbo gradirono assai i loro saluti e mi danno incarico di rinnovarli da parte loro, tanto a Lei quanto al Sig. Conte Casimiro e C.ssa Vittoria e sig. C.te Federico. La Signorina Maria soffre tuttora mal di denti? Se Dio mi esaudisce, dovrebbe essere guarita; ho pregato per Lei.

                Domani parto alla volta di Cunico. Lunedì (17) spero essere a Torino per occuparmi esclusivamente dei missionarii Argentini.

                Dio la benedica, Signora Contessa, e Le dia la rassegnazione ai suoi santi voleri in terra, ma le tenga assicurato un posto in cielo.

                Preghi per questo povero, che le sarà sempre in G. C.

                Nizza Monferrato, 11 - 10 - '75.

Umile servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Anche nel '75 moltiplicò le consuete istanze a enti pubblici per averne sussidi o agevolezze di varia maniera. Le lettere scritte da lui a tal fine sono a volte preziosi gioielli per compitezza e semplicità di forma e per i sentimenti che le adornano. Questa, per esempio, al Sindaco di Torino è piena di garbo e buona grazia.

 

                               Ill.mo Signore,

 

                Il Sottoscritto già da molti anni tiene aperte parecchie classi elementari per l'Istruzione della gioventù più povera della città di Torino. Sonvi le scuole diurne e le serali ed anche le scuole autunnali. [211] Il numero complessivo degli allievi ascende a circa un migliaio e va ognora crescendo.

                In tale condizione di cose trovasi in bisogno di essere provvisto di banchi, sia per supplire quelli che si resero inservibili per lungo uso, sia per provvedere al numero ognora crescente degli allievi. Trovandosi quanto mai ristretto di mezzi pecuniarii, ricorre rispettosamente alla ben nota bontà della S. V. affinchè voglia degnarsi di concedergli alcuni di quei banchi già usitati nelle scuole municipali i quali si trovassero a disposizione dell'onorevolissimo Municipio di questa città.

                Fiducioso di essere favorito, ne rende anticipatamente le più vive grazie, pregandole dal cielo ogni bene, mentre si reputa ad onore di professarsi colla più distinta stima

                Di V. S. Ill.ma

                Torino, 1875.

Obbl.mo servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Notevole pure è la seguente supplica indirizzata al Presidente del Consiglio Provinciale.

 

                               Ill.mo Sig. Presidente,

 

                Nelle gravi strettezze in cui versano i giovanetti ricoverati in questa casa detta Oratorio Salesiano, mi fo animo di fare eziandio ricorso alla S. V. Ill.ma per ottenere qualche caritatevole sussidio.

                I ricoverati in questo Ospizio sono oltre ad 850, di cui circa quattrocento appartengono alla provincia di Torino. Se non fossero ricoverati, questi ragazzi sarebbero esposti a non leggeri pericoli di finire male per se stessi con disturbo delle pubbliche autorità e dei cittadini. Noto anche come un numero notabile di questi fanciulli furono dalle Autorità municipali o governative inviati a questo istituto.

                Riponendo tutta la mia fiducia nella esperimentata di Lei bontà e supplicandola de' suoi efficaci buoni uffici presso al Consiglio Provinciale, ho l'onore di potermi professare con gratitudine profonda

                Della S. V. Ill.ma

                Torino, 8 gennaio 1875.

Obbl.mo Servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Le stesse imperfezioni di lingua e di stile producono un'impressione di confidente sincerità che piace. [212] Omettendo altri documenti consimili per la Direzione delle Ferrovie, per il Gran Maestro dell'Ordine di Malta o per Ministeri, non possiamo disinteressarci di tre accidenti che più o meno ne dissestarono le finanze, causandogli in pari tempo non lievi nè brevi disturbi.

                L'avvocato Luigi Succi, proprietario d'un pastificio a vapore in Torino, uomo conosciutissimo per le sue virtù cristiane e per le sue beneficenze, pregò Don Bosco di prestargli la sua firma in un'operazione al Banco per ritirare 40.000 lire. Sapendolo ricco di censo e avendone ricevuti benefizi, egli vi si arrese. Tre giorni dopo il Succi morì, la cambiale scadde e Don Bosco mandò ad avvisare gli eredi. “Eravamo a cena, depone il card. Cagliero nei processi, quando entra Don Rua e dice a Don Bosco che gli eredi non salino nè vogliono sapere di cambiali. Io sedeva al fianco di Don Bosco. Egli stava mangiando la minestra e vidi che tra un cucchiaio e l'altro [si noti che era il mese di gennaio, e il refettorio non aveva riscaldamento], gli cadevano dalla fronte nel piatto gocce di sudore, ma senz'affanno e senza interrompere la sua modesta refezione”. Allora dunque non ci fu verso di far intendere ragioni, ma gli bisognò pagare. Solo dopo circa dieci anni riebbe quasi intera la somma assicurata con l'avallo della sua firma.

                Un'altra opera di carità gli costò cara, se non proprio in contanti, certo in dannose molestie. Un tal Giuseppe Rua torinese aveva congegnato un apparecchio, con cui elevare l'ostensorio sul giardinetto dell'altare e poi abbassarlo sulla mensa, facendo contemporaneamente scendere e poi risalire la croce; si evitavano così gl'inconvenienti e i pericoli della scaletta in uso. Parve quello un mezzo più agevole e sicuro per l'esposizione del Santissimo. Parroci e vescovi gli avevano fatto buon viso. Don Bosco l'adoperava nelle sue chiese. L'approvazione di Roma avrebbe dischiuso all'inventore una fonte di lucro. Per favorirlo Don Bosco inviò i disegni alla Sacra Congregazione dei Riti, raccomandando la cosa. Ma la [213] Congregazione non approvò il ritrovato nè voleva restituire i disegni, tale essendo la prassi. Finalmente si fece un'eccezione con Don Bosco per liberarlo da gravi molestie. Il Rua, vista la rovina della sua industria, che senza quel ricorso avrebbe continuato a essergli profittevole, incolpandone Don Bosco gli mosse lite: pretendeva che dal tribunale il Servo di Dio venisse obbligato a sborsargli una grossa indennità. Per buona sorte il magistrato fu di tutt'altro avviso.

                Anche la terza molestia ebbe origine dalla carità. Rammentino i lettori la questua sui generis escogitata da Don Bosco nell'inverno fra il '72 e il '73. Fu quello un inverno memorando a causa delle pubbliche ristrettezze. Don Bosco, per procacciare mezzi di sussistenza, invitò con una circolare spedita in busta chiusa un numero stragrande di benefattori ad acquistare biglietti da lire dieci caduno, ma per titolo di elemosina, mettendo a premio per sorteggio un bel quadro, pregevole riproduzione della raffaellesca Madonna di Foligno. Ora in quell'operato la pubblica autorità credette di ravvisare una violazione del precetto legislativo che proibiva lotterie pubbliche e lo chiamò in giudizio. Non valse che nel suo interrogatorio egli dicesse che con la lotteria “non si era eccitato il desiderio di speculazione e di guadagno, ma fatto appello alla carità cittadina, promettendo un tenue ricordo in attestato di riconoscenza”. La causa, trascinatasi molto in lungo, si chiuse solo nel '75 con una sentenza della Corte d'Appello, che condannava “il sacerdote cavaliere Don Giovanni Bosco” a una forte pena pecuniaria per contravvenzione alla legge sulle lotterie pubbliche[126]. Tuttavia nella sentenza [214] stessa che così duramente lo colpiva, fra i considerando si leggono queste proposizioni: “non poter dubitarsi che il fine propostosi dal cav. sac. Don Bosco era quanto mai lodevole ...; che lo stesso fine, cui con quella lotteria tendeva, era degno d'encomio ...; che però la buona fede non valeva ad esimerlo dalla pena, bastando il fatto materiale a stabilire la contravvenzione”. Ci sembra però inesplicabile quel che segue: “Ma siccome avrebbe potuto trascendersi il fine che egli con ciò intese...”. Dunque la motivazione si fondava sopra una mera possibilità? Lasciamo ai giuristi di giudicare.

                Il magistrato pertanto sembrava indicare apertamente com'egli, dalla inesorabilità della legge astretto a punire, trovasse nell'intima sua coscienza la pena ripugnante alla intrinseca lodevolezza del fatto imputato. Questa considerazione incoraggiò Don Bosco ad un ultimo passo: ricorse al Re Vittorio Emanuele II, implorando in virtù della grazia sovrana il condono a favore non della propria persona, ma dei giovinetti, ai quali aveva l'incarico di provvedere e sui quali soltanto sarebbero ricadute le dolorose conseguenze della condanna. Il ricorso fu fatto per il tramite dell'avvocato Vincenzo Demaria.

                Il Sovrano benignamente annuì, accordando la grazia. Il decreto di condonazione pervenne a Don Bosco in un momento proprio opportuno, nel giorno cioè della partenza dei primi suoi Missionari per l'America.

                Elevandoci col pensiero a guardar le cose dall'alto, diremo che nel regno della carità si avvera portentosamente il proverbio che chi ben fa ben trova. Agli uomini della carità che nulla possiedono, ma prodigano se stessi per il bene altrui, si dà ogni credito: nei loro riguardi la promessa e la fede vale quanto le maggiori garanzie. È la storia di Don Bosco. L'impresario Carlo Buzzetti edificava allora la chiesa dell'Immacolata in Torino. La Commissione che raccoglieva i fondi necessari, composta di nobili cittadini, gli doveva la somma di trenta mila lire e, per pagarla, aspettava che venissero i [215] denari. Ma l'impresario si rifiutò a proseguire i lavori, finchè o lo pagassero o gli prestassero garanzia. Queglino per animarlo a continuare gli osservarono che per Don Bosco egli anticipava bene qualunque somma! - Per Don Bosco sì, rispose; il suo nome vale qualunque garanzia; io sono sempre certo che la Provvidenza gli manderà i mezzi di pagare: dopo tanti anni che lavoro per lui, non ne ho il menomo dubbio. Degli altri non sono egualmente sicuro. Proprio così: la Chiesa di Maria Ausiliatrice mi fu pagata fino all'ultimo centesimo!

 

3° I FIGLI

 

                Nel dialetto piemontese per dir giovane si dice figlio. Di questi figli Don Bosco ne aveva nell'Oratorio da sette a otto centinaia. Non ci stavan comodi, ma ci stavano. Si bipartivano in artigiani e studenti. I Figli di Maria, distinti nelle loro tre classi, formavano un corpo a sè; intorno ad essi non abbiamo qui più nulla da aggiungere.

                Parrà strano che fino al '75 non esistesse un programma stampato sulle condizioni per l'accettazione dei giovani; eppure è così: s'andava proprio alla patriarcale. La bozza pervenutaci[127] è impreziosita da due righe autografe di Don Bosco. Fra i certificati richiesti per gli studenti, fosse dimenticanza o altro, mancava quello di buona condotta rilasciato dal parroco. Don Bosco all'articolo 5° aggiunge sulla bozza: “di scuola, e di buona condotta dal parroco. Quest'ultimo certificato è assolutamente necessario”.

                Il '75 segna un buon passo avanti nell'andamento dei laboratori, che s'incamminavano sempre più a diventare vere Scuole professionali. La scuola per gli artigiani, che finiva con l'anno scolastico degli studenti, fu proseguita anche dopo. Questa scuola, limitata precedentemente alle ultime ore della sera, si prese a fare anche di mattino, appena terminata la [216] Messa, a cui gli artigiani assistevano da soli, come oggi, subito dopo la levata.

                Oltre all'avviamento didattico, se ne migliorò pure lo stato disciplinare. Così si provvide a isolarli completamente dagli esterni col non lasciar più che entrassero in casa giovani espulsi da poco tempo; e poichè alcuni di questi tali erano musici e in certe occasioni venivano chiamati a sonare, fu ingiunto al maestro della banda che non ne invitasse mai più. Fino allora agli artigiani erasi permesso di tenere bauli nelle camere, cosa che poteva celare pericoli; ai bauli vennero sostituite cassette aperte. Intorno al loro cortile scomparvero tutti i nascondigli su o giù per le scale dalla parte tanto della chiesa che della nuova casa di via Cottolengo. Infine si ebbe la nomina di un catechista, che si occupasse esclusivamente degli artigiani col titolo di direttore degli artigiani.

                Degno di nota è che Don Bosco non vedeva bene che gli artigiani cambiassero mestiere, ritenendo che da ciò provenisse loro gran danno. Perciò il 30 maggio ammonì chi di ragione che tali cambiamenti non si permettessero. “Bisogna proprio, disse, che chi viene per una determinata cosa faccia quella e non altra. Quanti cambiamenti si sono già fatti! E quasi tutti riuscirono male”.

                Riguardo agli studenti, per non ammannire cose che sappiano di rifritto, restringiamoci a registrare poche particolarità del '75, riferentisi alle scuole e agli studi dell'Oratorio, intercalandovi alcune idee pedagogiche di Don Bosco.

                Il fatto speciale più meritevole di essere segnalato è un'appendice provvisoria e ardimentosa alle scuole interne, ispirata a Don Bosco dal suo zelo inesauribile per il bene della gioventù. Un bel giorno, a pochi passi da Maria Ausiliatrice, una scuola elementare gratuita dei protestanti aperse le sue aule ai giovinetti del vicinato. I denari profusi a bizzeffe purtroppo accalappiavano la povera gente. Era una sfida e Don Bosco la raccolse. Da donare egli non aveva gran che: qualche regaluccio a quelli che la domenica frequentavano [217] l'oratorio festivo, e nulla più. Ma gl'interni pregavano e facevano molte comunioni, perchè egli riuscisse a strappare da mani insidiose le anime dei piccoli. Aperse dunque anche lui nell'Oratorio una scuola somigliante per esterni, affidandone la direzione a Don Milanesio. Questi vi dedicò tutto se stesso, apportando nell'opera quegli spiriti missionari, di cui diede più tardi luminose prove nella Patagonia. L'effetto fu che le scuole protestantiche a poco a poco si spopolarono, finchè tra l'aprile e il maggio del'75 rimasero completamente deserte: tutti i piccoli insidiati gremivano ormai le scuole di Don Bosco, e gli emissari dell'eresia chiusero bottega e se ne tornarono con le pive nel sacco là donde con tanta petulanza erano venuti.

                Cessato il pericolo, Don Bosco non lasciò in asso i nuovi figliuoli; anzi fece ancor meglio. Per il nuovo anno scolastico ’75 - '76 quelle scuole esterne furono trasferite in sede più comoda, nella casa Catellino acquistata di fresco; cosicchè, se essa non potè venire adibita per i Figli di Maria, ai quali Don Bosco l'aveva destinata, rese quest'altro servigio non meno provvidenziale.

                Neppure nel ginnasio degli interni Don Bosco chiudeva la porta agli esterni. E crescere della popolazione nel nascente quartiere di Valdocco faceva ognor più sentire il bisogno di scuole secondarie non troppo lontane; Don Bosco per alcuni anni vi sopperì, tollerando quella mescolanza. Ma egli non si contentava che agli esterni s'impartisse l'insegnamento: nel mese di gennaio stabilì che anch'essi prendessero parte con i loro condiscepoli alle funzioni religiose nella chiesa di Maria Ausiliatrice e volle che non si facesse “nessuna eccezione per nessun motivo”.

                Don Bosco sorvegliava le sue scuole e tendeva l'orecchio alle voci che correvano fra gli scolari sul conto dei loro insegnanti. Appunto per osservazioni udite e riscontrate vere un giorno paternamente disse a taluni de' suoi, e noi riassumeremo il suo dire dagli appunti di Don Barberis: “Generalmente [218] i professori tendono a compiacersi degli allievi, che primeggiano per studio e per ingegno e spiegando mirano solo ad essi. Quando i primi della classe hanno capito bene, sono pienamente soddisfatti e così proseguono sino alla fine dell'anno. Invece con chi è corto di mente o poco avanti nello studio, si adirano e finiscono con lasciarli in un cantone senza più curarsi di loro.

                Io invece sono di parere affatto opposto. Credo che sia dovere di ogni professore tener d'occhio i più meschini della classe; interrogarli più spesso degli altri, per loro fermarsi più a lungo nelle spiegazioni e ripetere, ripetere, finchè non abbiano capito, adattare i compiti e le lezioni alla loro capacità. Se l'insegnante tiene un metodo contrario a questo, non fa scuola agli scolari, ma ad alcuni degli scolari.

                Per occupare convenientemente gli alunni d'ingegno più svegliato, si assegnino compiti e lezioni di supererogazione, premiandoli con punti di diligenza. Piuttostochè trascurare i più tardi, si dispensino da cose accessorie; ma le materie principali si adattino interamente a loro.

                Vorrei inoltre che le spiegazioni fossero attaccate al testo, spiegandone bene le parole. Andare nelle regioni elevate mi sembra un battere l'aria.

                E sono anche di parere che s'interroghi molto e molto, e, se possibile, non si lasci passar giorno senza interrogare tutti. Da ciò si trarrebbero vantaggi incalcolabili. Invece sento che qualche professore entra in classe, interroga uno o due, e poi senz'altro fa la sua spiegazione. Questo metodo non lo vorrei nemmanco nell'Università. Interrogare, interrogare molto, interrogare moltissimo; quanto più si fanno parlare gli scolari, tanto più il profitto aumenta.

                E non si critichino i testi. Ci vuol poco a metterli in discredito dinanzi ai giovani; perduta poi che questi ne abbiano la stima, non li studiano più. Si può aggiungere quel che manca, dettandolo; ma critiche, no, mai”.

                Si studiava dunque o non si studiava nell'Oratorio? Antica [219] fama diceva di sì. Se non che nell'agosto del '75 l'Ordinario torinese scrisse a Roma queste righe dopo gli esami della vestizione chiericale datisi in seminario: “Nove giovanetti vi vennero dalle scuole di Don Bosco: quattro furono rimandati, perchè sforniti di buona condotta; gli altri cinque, benchè ammessi, sono debolissimi negli studi, e nessuno ebbe pieni voti”[128]. Vuol dire voti sufficienti in tutte quante le materie.

                Sembra che Monsignore non fosse bene informato. Osserveremo anzitutto che quei “giovanetti” avevano un'età che andava dai 16 a 21 anni, come risulta dai registri. Inoltre i registri del seminario ci fanno sapere che, provenienti dall'Oratorio di Don Bosco, si presentarono in quell'agosto non già nove, ma sette candidati, dei quali tre furono ammessi, due rimandati al '76 e due respinti. Due degli ammessi avevano fatto la quinta ginnasiale, uno anzi portava il diploma della licenza. Tutti gli altri cinque erano della quarta. Per amor di verità dobbiamo aggiungere che i registri dell'Oratorio ce ne danno ancora uno come presentatosi all'esame in seminario, anch'esso della quarta; ma in quegli altri registri figura come alunno della quinta presso la scuola privata di un tal prof. Ferrero. Egli, dunque, aveva preferito compiere così privatamente il ginnasio, durante le vacanze. Ebbe l'ammissione.

                Intorno a quest'ultimo dobbiamo aggiungere qualche altra notizia. Di famiglia chierese, ma nato a Torino, amantissimo delle cose di pietà e fornito di grande ingegno, aspirava al sacerdozio. Sua madre, volendo a ogni costo preservarlo dai pericoli delle pubbliche scuole, ottenne di mandarlo a frequentare il ginnasio dell'Oratorio come esterno. Don Bosco lo aveva molto caro. Dopo le prime quattro classi, egli vestì l'abito chiericale nell'autunno del '75; ma rimase nel seminario un anno solo, perchè chiamato a vita più perfetta. [220] Egli fu il padre Giuseppe Chiaudano, predecessore del padre Rosa nella direzione della Civiltà Cattolica.

                Se vi furono impedimenti derivati dalla condotta, è chiaro che dovettero valere per i soli due respinti. Ma non è probabile che vi fossero, perchè nei medesimi registri si nota che quei due avevano i loro certificati in regola; d'altra parte basta dare un'occhiata ai voti finali dell'esame chiericale e alle votazioni ordinarie dell'Oratorio, perchè salti subito agli occhi la loro deficienza intellettuale: questa dunque, e non la condotta, ne determinò l'esclusione. Quanto agli altri si comprende facilmente come da alunni della quarta in una prova di maturità ginnasiale non si avesse il diritto di pretendere medie elevate.

                Ma che nell'Oratorio si studiasse, abbiamo carta che canta, e sono i registri d'esame dei R. C Ginnasio “Monviso”, ora “Massimo d'Azeglio”. Ne risulta quanto segue. Nell'anno 1875 si presentarono ivi dall'Oratorio quindici candidati alla licenza ginnasiale, di cui quattordici furono licenziati. Non ci siamo permesso di estendere le nostre indagini fino al punto da poter formulare un giudizio comparativo generale; ma nulla ci vieta d'istituire un confronto almeno fra tutti i candidati privatisti. Essi furono 87, di cui 59 licenziati. Nella graduatoria di questi ultimi gli alunni dell'Oratorio vanno così distribuiti: 2°, 3° (due), 4°, 5° (tre), 7° (due), 9° (due), 11°, 14°, 17°. Il primo dei privatisti riportò una votazione superiore anche a quelle di tutti i pubblicisti: si chiamava Antonio Ronco e proveniva dal Collegio Salesiano di Alassio[129].

                Abbiamo guardato pure ai due anni successivi. Nel '76 si presentarono 17 e furono licenziati 16; nel '77 candidati 32, licenziati 30, di cui due con particolare attestato di lode. [221]

 

4° DISCIPLINA E PIETÀ.

 

                Le due cose nella Casa di Don Bosco si davano amichevolmente la mano. Il vecchio e buon coadiutore Enria verso il '75 vide e udì alcuni signori, che, trasecolati allo spettacolo di tanti giovani nella sala di studio silenziosi e intenti ai loro doveri, dissero a Don Bosco che li accompagnava a visitare la Casa:

                 - Per mantenere così la disciplina ci vorrà un bel numero di assistenti!

                 - Osservino, rispose Don Bosco; ve n'è uno solo.

                 - Ma allora chi sa che rigore si userà!

                 - Oh, no, non ci sono rigori.

                 - Ma che cosa c’è allora?

                 - Vedano; ciò che rende questi giovani buoni e studiosi non è il timore dei castighi, ma il timore di Dio e la frequenza dei Santi Sacramenti. Ecco ciò che fa fare miracoli alla gioventù.

                Questo meravigliarsi era naturalissimo. Sembrava a tanti inesplicabile che nell'Oratorio non succedessero certi disordini che si contavano di altri collegi, dove spesso non si riusciva a tenere in freno i ragazzi. Ma gli estranei non conoscevano i segreti dell'Oratorio. Un giorno, sul principio di giugno del '75, Don Bosco ne enumerò sette. Eccoli in breve:

                1° I giovani erano poveri, mantenuti gratuitamente o a pensione assai ridotta. Ben sapendo che i cattivi si mandavano via e che gli espulsi non avevano più ove dar del capo, stavano bene in guardia per non farne delle grosse.

                2° Vi era grandissima frequenza ai Sacramenti; onde s'imparava a operare per principio di coscienza e non per paura di castighi.

                3° Tutto il personale (superiori, maestri, assistenti, cuochi) apparteneva alla Congregazione, senza promiscuità perciò di “esseri eterogenei”. [222]

                4° Vi si facevano molte speciali conferenzine, a cui volentieri partecipavano i giovani migliori, che, non costretti, vi trovavano un pascolo adattato per loro.

                5° I superiori davano molta confidenza e amavano stare in mezzo ai giovani, ma sempre in modo da scansare le soverchie familiarità.

                6° Mezzo potente di persuasione al bene era quel rivolgere ai giovani due parole confidenziali ogni sera dopo le orazioni. Li si tagliava la radice ai disordini, prima ancora che nascessero.

                7° Allegria, canto, musica e libertà grande nei divertimenti.

                L'ottimismo però di Don Bosco non lo accecava nè gli faceva venire le traveggole: la realtà che lo circondava, non isfuggiva al suo sguardo indagatore. Egli vedeva in genere la difficoltà di condurre avanti veramente bene una Casa tanto complessa, che da un momento all'altro avrebbe potuto diventare una babele; vedeva poi in ispecie e non si dissimulava i mancamenti che di quando in quando vi si commettevano. Ma se in casi eccezionali non ometteva di ricorrere a rimedi estremi, egli possedeva in sommo grado l'arte di prevenire.

                Ecco, per esempio, un rimedio preventivo, semplice ed efficace che salta agli occhi di chi sfoglia i registri delle pensioni. Rarissimi sono i giovani nuovi, per i quali vi stia scritto: “Gratis in tutto”. Sotto una cifra che va da un minimo di 5 lire mensili a un massimo di 24, leggiamo quasi sempre: “Per il primo trimestre; dopo...”. Il “dopo” nel secondo trimestre è in ragione diretta delle possibilità dei parenti o dei benefattori; quindi ora “gratis in tutto”, ora “sole provviste”, ora riduzione varia. Ebbene questo sistema produceva salutarissimi effetti. I nuovi venuti, nella speranza del benefizio, stavano attenti a fare il loro dovere; i genitori o chi per essi, che non di rado si toglievano il pane dalla bocca per mettere insieme la sommetta mensile, premevano sul ragazzo, perchè [223] si comportasse in guisa da meritare la grazia. Frattanto in tre mesi di sforzi e di regolarità i novellini si abituavano all'ordine, allo studio e alla pietà, la qual cosa diventava in seguito la loro salvezza.

                Ma che gran preservativo era poi la bontà di Don Bosco verso i giovani! In chiunque della Casa egli s'imbattesse, il suo animo paterno gli dettava sempre un'affettuosa parola; il che contribuiva a produrre serenità di ambiente e desiderio di piacergli. Vediamo alcuni di simili incontri, dei quali è cenno nelle memorie di quest'anno.

                Un giorno nell'uscire si volse al portiere e gli disse: - Ho letto la tua lettera e ne terrò gran conto. Sta' sicuro che Don Bosco pensa molto a te e, se conosce cosa che ti possa giovare, la fa sempre assai volentieri. - Un'altra volta, rientrando, nel passar vicino al giovane Deppert che in quel momento accudiva alla porteria, gli disse posandogli la mano sul capo: - Voglio che fra breve tu deponga quest'abito e vesta quello di chierico. Tu hai posta la fiducia in Don Bosco, e Don Bosco non ti lascerà mai indietro. Egli pensa molto a te e cerca la maniera di renderti felice in questo mondo e nell'altro. - Il Deppert divenne infatti un degno sacerdote Salesiano.

                A un chierico Trivero che aveva presentato la domanda di andare alle Missioni disse in tono festevole: - Ecco qui il nostro campione! Voglio che ne facciamo un piccolo San Francesco Saverio. Io ti tengo in gran conto; faccio molto assegnamento su di te. Siamo sempre amici, non è vero? Lascia fare. Purchè tu mi aiuti... e poi... e poi... vedrai. Il chierico morì santamente a S. Benigno nel '79.

                Ad un. gruppetto di giovani che nel cortile, mentr'egli lo attraversava, gli si erano accostati per baciargli la mano, tralasciando di sbocconcellare la loro pagnottella: - Fate, fate la colazione; non dimenticatela mai. Giocate, correte, ricreatevi, io ne sono contento. Guardate solo di non farvi male e di star buoni.

                Visitava i giovani ammalati fermandosi a bell'agio nella [224] infermeria presso il letto dei singoli e anche ponendosi a sedere e a parlare della scuola, della casa, dei parenti, del parroco. Don Vacchina, oggi missionario nell'America e allora giovanetto nell'Oratorio, scrive che nel '75, essendo infermo, Don Bosco s'intrattenne a discorrere con lui, come se null'altro avesse da fare; gli diceva di un altare che avrebbe fatto mettere là, perchè tutte le mattine si celebrasse Messa, e trattava con lui del luogo più adatto.

                Il medesimo Vacchina, uscito che fu dall'infermeria, andava attorno debole e pallido, quando Don Bosco, incontratolo nel cortile, e chiestogli del suo stato, gli disse: - Fa' del moto, passeggia; non qui però, ma fuori, all'aria libera. Passava in quell'istante il chierico Giordatto futuro direttore della Casa di Loreto, e Don Bosco gli disse: - Avvisa il prefetto, e per due settimane conduci questo giovane un'ora e anche più a passeggio nei dintorni di Torino. -

                L'aureola di bontà che gli splendeva in fronte, esercitava un fascino irresistibile sui giovani. Bastava ch'ei comparisse in cortile, perchè tosto al primo vederlo fosse un corrergli attorno per baciargli la mano e stare vicino a lui, ed egli a parlare, a ridere, a scherzare, volgendo qua e là lo sguardo benigno e accostando l'orecchio a chi mostrasse di aver segreti da confidargli. I giovani insomma lo amavano e godevano di attestargli il loro amore. - Don Bosco per noi era tutto - dice Don Nai. Ben si appose il vescovo argentino mons. Alberti, togliendo a dimostrare nel suo discorso per le feste della beatificazione che Don Bosco educatore ebbe del pedagogo il puro necessario, del carabiniere niente, del padre tutto.

                Soprannaturale mezzo preventivo era finalmente la pietà. Nessuna pressione morale a frequentare i Sacramenti; anzi, i superiori si sarebbe detto che non ci badavano nemmeno. La cronaca del '75 nota: “Una cinquantina fanno la Comunione quotidiana o quasi; circa duecento oltre la domenica, una volta lungo la settimana; trecento e più tutte le settimane; [225] rarissimi quelli che si comunicano una volta al mese. Questi tali, se continuano così, sono poi quelli che si fermano poco nell'Oratorio, ma o se ne vanno o sono mandati via”. Allora tutto questo era nuovo e inusitato nelle case di educazione.

                L'anno 1875 ci viene segnalato per il fiorire delle Compagnie, focolari di pietà e coefficienti di buon ordine. Ve ne erano sei. La più numerosa, quella di San Luigi, comprendeva quasi la metà dei giovani, che avevano le loro conferenze una volta al mese. La Compagnia del Santissimo Sacramento, molto fervorosa, si componeva di cento giovani, scelti fra i migliori, di cui buon numero apparteneva alla quinta ginnasiale. Il Piccolo Clero si formava con gli ottimi della Compagnia precedente, che erano anche i primi nelle classi, sommando a una sessantina; essi tenevano speciali adunanze nelle maggiori solennità. Alla Compagnia dell'Immacolata Concezione appartenevano i sceltissimi fra i scelti: pochi e maturi. Questi non palesavano a nessuno ciò che si faceva nelle conferenze. Oltre all'esemplarità della condotta e all'onorare fervidamente Maria Santissima, avevano per fine specifico di prendere sotto la loro protezione i giovani più discoli dell'Oratorio. A ogni socio si assegnava la cura di qualcuno, perchè gli andasse insieme, lo facesse giocare e lo animasse al bene. Tutti i giovedì poi nella conferenza regolamentare ognuno riferiva sul proprio cliente; quindi il moderatore della Compagnia impartiva istruzioni generali per il buon andamento della Casa. La quinta, la Conferenza di San Vincenzo, riserbata agli adulti che attendevano a occupazioni domestiche, aveva per iscopo di fare il catechismo ai giovinetti nell'oratorio festivo; erano una trentina e si adunavano la domenica a sera. Gli artigiani avevano poi una compagnia di San Giuseppe, fatta esclusivamente per loro.

                Ancora una parola sul Piccolo Clero e un'altra sopra certi peculiari effetti di queste compagnie.

                I chierichetti di Maria Ausiliatrice sapevano egregiamente le cerimonie, e le eseguivano con edificante esattezza e gravità,  [226] conforme all'ideale di Don Bosco, che mirava con questo mezzo a onorare Dio, a imprimere in tutti un alto concetto del divin culto ed a favorire nei giovani lo sviluppo della vocazione ecclesiastica. Don Rua, nei verbali autografi già citati, interpreta motto bene il pensiero di Don Bosco, scrivendo in appendice al resoconto di una seduta del 21 marzo queste bellissime parole: “La carità, la buona grazia nel disporre quanto occorre pel servizio religioso, la gravità, la compostezza e una sincera divozione durante le sacre funzioni saranno come incenso odoroso al cospetto di Dio e formeranno l'edificazione dei fedeli”.

                Da tutto questo sistema di Compagnie derivavano due vantaggi di somma importanza, ma senza che gl'inscritti se n'avvedessero. Uno era l'entrare in intima relazione coi superiori. Siccome inoltre vigeva la consuetudine che col crescere dell'età si passasse da una Compagnia di minor grado a una Compagnia di grado più elevato, senza che si cessasse di appartenere alla precedente, ecco un secondo effetto: il progredire di molti nella virtù. Per questa via Don Bosco insensibilmente condusse fino alle soglie della Congregazione i giovani di più elette speranze, i quali, entrando nel noviziato, non cascavano di botto in un mondo nuovo, nella vi arrivavano predisposti e preparati dal tirocinio delle Compagnie, che nel loro ordinamento rispecchiavano le regole e lo spirito della Pia Società, sicchè la proposta di salire a maggior perfezione non destava sorpresa.

 

5° LA FESTA DEI, PADRE.

 

                Nella vita dell'Oratorio, avvenimento di capitale importanza era l'onomastico di Don Bosco: una festa preparata alla lunga, ansiosamente attesa, apportatrice di allegria, feconda di preziosi frutti. Trionfava in essa l'espressione dell'amor filiale.

                Dal 7 giugno Don Bosco visitava i collegi di Sampierdarena, Varazze e Alassio. Don Rua, la sera del 21, annunziandone [227] il ritorno per il dì appresso, menzionò il simbolico mazzo di fiori solito a offrirglisi nella vigilia, ma per avere il destro di rammentare a tutti, che una bella Comunione generale nel mattino della festa sarebbe stata il miglior mazzolino che si potesse presentare al festeggiato.

                Il buon Padre giunse, mentre i giovani uscivano in fila per andare in refettorio. Vederlo spuntare dalla porteria e volare in massa verso di lui, gridando: - Viva Don Bosco! - fu un punto solo. Dopo le orazioni egli ascese sulla cattedra della "buona notte" e parlò così.

                Eccomi di nuovo in mezzo a voi, miei cari figliuoli. Sono partito senza neppure domandarvi il permesso nè salutarvi. Un'altra volta non partirò più senza dirvelo. Sono stato in questi giorni a far visita ai collegi di Alassio, Varazze, Sampierdarena e Borgo S. Martino. Ho trovato tutte le cose bene: una quantità sterminata di giovani che poco più, poco meno sono dell'età vostra, hanno i vostri costumi ed anche sono buoni come voi. Erano tutti ansiosi di sapere vostre notizie ed io le dava loro e sempre molto buone. In questo, secondo il mio solito, non solo diceva le cose come realmente sono, ma diceva anche quello che io desidererei che fossero. Essi si mostravano contenti e ora si sforzano di fare altrettanto.

                Ma in questo momento un pensiero mi conturba. Bisogna che io vi dica che se fui molto contento della maggior parte di voi, non lo sono però di tutti. Vi fu un piccolo numero che veramente si diportò male. Io aveva già incominciata una lettera indirizzata a D. Rua, dicendogli che prendesse misure severe con questi tali. Non ebbi tempo a finirla e non l'ho mandata. Ora starò un po' a vedere se questi tali si metteranno intieramente all'ordine; poichè, in caso contrario, io sarei costretto a fare ciò che pur troppo ho già dovuto fare con altri, allontanarli cioè dalla casa.

                Passiamo ad altro. Facciamo tutti bene e d'accordo queste feste di S. Giovanni, di S. Luigi e di S. Pietro e ne saremo contenti...

                Fin dalla vigilia l'allegria dominava sovrana nell'Oratorio. La pioggia obbligò ad abbandonare il cortile, dove tutto era preparato per l'accademia. Fu ornata invece la gran sala dello studio. Al posto della cattedra sorgeva il trono di Don Bosco; lo fiancheggiavano numerose sedie per forestieri e superiori. A destra presero posto i cantori sopra un palco [228] improvvisato, a sinistra gli studenti, e in faccia gli artigiani.

                Don Bosco, dopo aver confessato parecchie ore, vi fece l'ingresso verso le 10 fra un subbisso di applausi e salutato da un inno di Don Lemoyne, che fu subito eseguito in musica su note di Don Cagliero. Anche l'anno innanzi Don Lemoyne aveva letto la sua poesia, buscandosi però un'osservazione da parte di un lettore. Ce lo dice Don Rua ne' suoi verbali autografi dei Capitoli oratoriani sotto il 21 giugno 1874, con la postilla seguente: “Questi la fece assai bene, ma fu notata di un po' d'esagerazione dall'Arcivescovo”. Se in quei versi il dente della critica si arrestò lì, ebbe il poeta ogni ragione di andare in solluchero.

                All'inno seguirono declamazioni e letture, e infine l'offerta dei doni. Erano oggetti di chiesa. Furono acquistati con i soldini dei giovani, che, poveretti, mostrarono il loro buon cuore mettendo insieme lire 200, Cioè 113 gli artigiani e 87 gli studenti. Il trattenimento durò appena un'oretta. Don Bosco parlò per ultimo. Espresso il gran contento che provava e ringraziati tutti, proseguì:

                I più han letto in poesia, ed ai poeti è lecita l'esagerazione. Le cose che si dissero non mi convenivano; tuttavia fan vedere il vostro buon cuore e per questa parte accetto le vostre lodi. La maggior parte dei lettori finiva dicendo: - Non avendo altro da offrirle, le offro il cuore e prometto per l'avvenire di contentare Don Bosco con la mia condotta. - Oh, sì, questo è che io desidero. Non vi chieggo altro, se non che mi lasciate padrone del vostro cuore, affinchè possiamo ornarlo di tante virtù e presentarlo così a S. Giovanni, perchè l'offra a Dio. Io, e già ve lo dissi altre volte, la vita l'ho consecrata tutta per voi; e ciò che dico di me lo dico di tutti i vostri Superiori che mi aiutano a salvare le anime vostre; come anche è inteso che quello che dite di me (che io faccio, che io m'impegno, che io mi sacrifico) intendete dirlo non di me in particolare, ma di tutti coloro che con me si affaticano pel vostro bene. Intanto io vi assicuro che tutto quello che ho potuto fare per voi l'ho sempre fatto: non posso promettervi di fare ancora di più, ma vi prometto che continuerò a lavorare per la gioventù, finchè il Signore vorrà conservarmi in vita. [229] Il 24 spuntò sereno. Generale la Comunione; vivissimo il giubilo dei giovani nell'uscir di chiesa. Don Bosco, che aveva confessato tutta la mattina, disse Messa verso le 10. Quando egli si avviò al refettorio per prendere un po' di ristoro e la comunità rientrava in chiesa per la Messa solenne, ecco arrivare la banda musicale esterna, seguita da moltissimi uomini, con i quali si avanzarono gli ex - allievi, recando anch'essi i loro doni.

                La banda si componeva anch'essa di ex - allievi. Il medesimo Don Bosco li aveva esortati a formare così un buon corpo musicale per dar a Torino una banda cristiana. Anche un regolamento egli aveva compilato per loro: non accettare nella società se non allievi dell'Oratorio, ma tener lontani gli espulsi; frequentare i Sacramenti; non andar a sonare in teatri; prestarsi volentieri a sacre funzioni; aiutarsi a vicenda. L'idea di Don Bosco in pochi mesi divenne un fatto compiuto: trenta giovinotti fra i migliori elementi, che fossero usciti dall'Oratorio, eransi costituiti in società di musicanti.

                L'appello per la filiale dimostrazione era partito naturalmente da Gastini. Mercè le loro modeste oblazioni fu acquistato e offerto a nome anche degli assenti un bel ostensorio a raggi, alto circa un metro. Non mancarono poesie e prose, nè le amenità di Gastini. Don Bosco, fatti i più cordiali ringraziamenti, li invitò a pranzo. Altri regali gli pervennero; ma più d'ogni altro dono lo consolarono le lettere, riboccanti di tenerezza, di riconoscenza e di generosi sensi.

                Solenni e divote riuscirono le funzioni sacre. Verso sera diede Don Bosco la benedizione col Santissimo Sacramento; il qual atto rallegrò tutti, poichè soltanto due o tre volte all'anno egli lo compieva, nè mai cantava Messa se non nella notte di Natale. Ai vespri solenni non presiedette più dal 1850 in poi.

                Al tramonto il cielo velato si sciolse nuovamente in pioggia, sicchè per la seconda dimostrazione bisognò tornare nello studio. La prima accademiola Soleva essere cosa di famiglia; [230] ma alla sera della festa intervenivano molti invitati. I nobili convittori di Valsalice, finito che fu il canto dell'inno, presentarono a Don Bosco un magnifico lampadario. Vennero pure circa duecento ragazzi dell'oratorio festivo, che lessero un indirizzo e offersero il loro mazzo di fiori. Don Bosco rese grazie vivissime ai presenti; indi espose i motivi della contentezza che allora gl'inondava il cuore.

                Voi mi avete espresse belle cose tra ieri e questa sera. Oh potessi io estendere a molte altre migliaia di giovani abbandonati i benefizi e le cure che a voi si compartono! Il pensiero che tanti giovani sono derelitti, senza padre, senza amici, senza consiglieri, privi di ogni cosa necessaria alla vita materiale e alla vita morale, che nessuno pensa a loro, mi pare che deve anche in voi far nascere pensieri di gratitudine verso la Divina Provvidenza e la volontà di servirvi in bene dei favori che Essa vi comparte. Per carità, corrispondete. Se sapeste quanti pericoli corrono coloro che sono nel mondo, e quanti si lasciano lusingare dalle sue apparenze. Eppure guardate. Di necessario non c’è altro che salvarsi l'anima. Oh questo pensiero com'è importante! Molti di voi mi auguravano tanti anni di vita. No, miei cari. È un errore il desiderare di vivere tanto. Siamo nelle mani della Divina Provvidenza. Quello che importa si è che, o si viva molto, o si viva poco, s'impieghi bene la vita che Dio ci dona; ma impiegarla proprio tutta a suo onore e gloria. Del resto poi il più e il meno lasciamolo nelle mani, di Dio e che egli disponga di noi come meglio gli piace.

                A questo punto, scandendo bene le parole, conchiuse: “Con la ritiratezza, la mortificazione e il zelo per la gloria di Dio, S. Giovanni Battista si fece il più gran Santo del paradiso”.

                Vi fu ancora il dì dopo un'appendice alla festa. Nel pomeriggio del 25 arrivarono centocinquanta giovanetti dell'oratorio di S. Luigi, guidati dal loro maestro Macagno coadiutore e da Don Abrate, che, tenendo colà un ginnasio privato, aveva unito agli oratoriani parecchi suoi alunni vicini a dar l'esame della vestizione chiericale. Venivano a porgere i loro auguri. Don Bosco li ricevette nella biblioteca. Fece le presentazioni Don Guanella, Direttore di quell'oratorio festivo. Il buon Padre ascoltò amorevole e poi disse: [231] Io vi ringrazio di questi bei mazzetti di fiori che mi avete portati e delle cose dettemi nelle vostre poesie e lettere. Sono contento molto di quanto avete fatto. È però tutta bontà di coloro che vi guidano, poichè ad essi e non a me dovete i sentimenti di riconoscenza e di gratitudine manifestati. Sono essi che si occupano di voi: io per voi non fo niente. Ringraziate D. Luigi Guanella, D. Abrate, il sig. maestro Macagno.

                Ciò che io vi posso raccomandare è questo. Andate sempre e volentieri ogni domenica all'oratorio, sia al mattino che alla sera. Conducetevi anche dei compagni. Veramente il locale che ora serve di oratorio è piuttosto un bugigattolo che una cappella; ma spero che quanto prima avrete un locale molto più adatto, più vasto, più comodo, e divertimenti migliori e in maggiore quantità. Io sono contento che vi divertiate, che giochiate, che siate allegri; è questo un metodo per farvi santi come S. Luigi, purchè procuriate di non commettere peccati. Se poi avrete qualche speciale bisogno, indirizzatevi a D. Luigi. Egli me ne parlerà ed io per certo accetterò qui in casa molto più volentieri quelli che frequentano gli oratori e tengono buona condotta, che non qualunque altro. Ora ditemi un po': quando, a quale età bisogna cominciare a farsi buoni?

                 - Da piccini! rispose una voce. E un'altra: Fin dalla più tenera età.

                Bene, miei cari, continuò D. Bosco; fin dalla più tenera età. Che cosa sarebbe stato di S. Luigi se avesse voluto aspettare a farsi buono in età avanzata? Non avrebbe avuto tempo. Se avesse un po' detto: - Quando avrò - 25 anni, mi metterò sulla buona strada - sarebbe morto senza poter eseguire il suo disegno. Cominciate dunque subito a farvi buoni. S. Luigi a quattro anni si può dire che si era già consacrato tutto al Signore. Voi avete già tutti più di quattro anni. Coraggio adunque; siate allegri, obbedienti ed il Signore vi benedirà.

                Vi raccomando tra le altre cose di propagare la compagnia di San Luigi nell'Oratorio: si facciano iscrivere molti e si osservino le regole.

                Spero di vedervi altre volte; o voi verrete qui a trovar me, ed io sarò sempre contento quando verrete; o verrò io qualche volta a trovare voi. Bisogna poi che si scelga qualche festa, in cui tutti facciate la vostra Confessione e la Comunione, s'intende chi è promosso; ed io procurerò che in quel giorno non manchi una buona pagnotta da colazione con una bella fetta di salame per accompagnarla.

                Statemi dunque allegri, ricordatevi anche di pregare per me e siate sempre riconoscenti ai vostri benefattori.

                Pregato di benedirli, accondiscese; poscia, allegri e contenti, i giovanetti ripresero la via delle loto case, accompagnati dai maestri. [232] Seicento lettere de' suoi giovani gli piovvero in camera durante quei giorni. Non contenevano esse puramente auguri e felicitazioni, ma domande di consigli sulla vocazione, desideri da appagare, dubbi da sciogliere, regolamenti di vita; le dovette leggere, dovette anche un po' alla volta mostrare di averle lette, rispondendo or all'uno or all'altro, secondo i casi.

 

6° “BUONE NOTTI”.

 

                Le "buone notti" di Don Bosco illuminano la vita nell'Oratorio agli occhi nostri, come già la informarono allorchè furono pronunziate. Attraverso le pochissime tramandate a noi per iscritto ci si discoprono oggi alcuni lati di quella vita quotidiana, che neppure una cronaca sarebbe riuscita a fissare; intorno poi alle feste domestiche ci apprendono un insieme di particolarità, che non sapremmo dove meglio collocare altrove nel corso di questa storia. Noi le disporremo cronologicamente, illustrandone, ove occorra, il contenuto con brevi osservazioni.

 

                18 aprile. Patrocinio di S. Giuseppe; modo di onorare i Santi.

                Oggi, miei cari, abbiamo celebrato il Patrocinio di S. Giuseppe ed ho da dirlo con vera soddisfazione: sono contento! Contento di tutti voi, e contento massimamente, perchè veggo molti e molti, non solo attenti, ma diligenti in tutti i loro doveri; in chiesa e fuori, in refettorio, dormitorio, studio e scuola. A costoro attesto tutta la mia soddisfazione, perchè mi recano veramente piacere.

                Ma per altro, se ho da dire una parola di lode ai buoni, non è meno vero che me ne rimanga un'altra di rimprovero per coloro che non sono cattivi, ma, come si suol dire, nè freddi nè caldi (i quali però avvicinandosi l'estate speriamo che accresceranno il fervore), quelli cioè che sanno essere cosa buona andare in chiesa, cosa buona il pregare, lo stare attenti ai proprii doveri: lo sanno e lo dicono, ma per essi altro è il sapere e altro il fare, perchè loro sembra di trovarsi in mezzo ad un ostacolo gravissimo che impedisca l'operare; e questo è realmente la loro indifferenza.

                A questo proposito mi occorse pochi giorni sono un episodio ridicolo. Uno di costoro in compagnia d'altri venne in sagrestia a fine di confessarsi. Ma cosa singolare! Era venuto per confessarsi e [233] ad ogni tratto si ritirava un pochino per dare luogo ai compagni che erano venuti con vero fine di aprire il loro cuore e purgarsi dalle loro colpe. Infine veniva il suo turno e poichè vi erano più pochi giovani, era necessario che si avanzasse. Voi direte che egli si sia avvicinato ed abbia fatta la sua confessione. È uno scherzo il vostro, perchè il mio penitente invita il compagno vicino ad andare prima di lui. L'amico gli risponde:

                 - Va' tu.

                 - Va' tu, gli dice l'altro sottovoce.

                 - No, va' tu! gli ripete l'amico.

                 - Piglialo tu il posto - riprende quello stordito.

                E così dicendo si ritraeva indietro per dar luogo agli altri. Un momento appresso si sente il rumore, prodotto dal cesto del pane nell'atto che lo deponevano e, gambe aiutatemi, mi scivola via come un daino.

                Eh! che volontà di confessarsi! Quanto ho detto però sia tra parentesi, che io la tengo per una ragazzata; ma con ciò, ripigliando il filo del discorso, volevo dirvi che costoro sanno che è bene l'essere buono, ma però non vogliono mai mettersi di proposito a far bene. E ne sapete il motivo? Ecco: si credono taluni che per essere buoni, basti conoscere le cose: così per essere divoti di S. Giuseppe, basti saperne la vita od alcuni tratti. Vedete errore! Miei cari, non è così, ma ci vuol qualche cosa di più. Bisogna conoscere e praticare le cose buone per esser buoni. Così, ad esempio, è bello saper che è cosa buona stare in chiesa a pregare: ma di più si deve pregare e pregar bene; è bello sapere che è cosa buona l'andare a confessarsi e andarvi: ma andarci di vero proposito pel bene dell'anima. Nemmeno basta la divozione di affetti e preghiere lì per aria, ma ci vogliono ferme risoluzioni e poi emendamento. Così si onorano i santi. Credetelo; l'errore contrario è pur troppo comune ed è error grande.

                Finisco. Volete essere veri divoti di S. Giuseppe? Fate di essere i veri imitatori delle sue virtù e in fin di vita vi troverete contenti. Buona notte.

                Le due parlate che seguono, si aggirano intorno agli esercizi spirituali degli studenti. Li predicarono Don Costamagna per le istruzioni e Don Dalmazzo per le meditazioni. Don Bosco li dice entrambi “della Casa”, sebbene uno dirigesse le Suore a Mornese e l'altro il Collegio di Valsalice; i Salesiani anche residenti altrove si sentivano sempre e sempre erano considerati come strettamente uniti con la famiglia, che faceva corona a Don Bosco nell'Oratorio e da cui Don Bosco li aveva spiccati. [234]

 

                23 aprile. Modo di far bene gli esercizi spirituali; pensare alla vocazione. - Stassera, o miei cari figliuoli, dobbiamo fare un dialogo tra me e voi: - Volete essere amici di D. Bosco?

                Tutti: - Sì, Sì!

                 - Bene: e come buoni amici di D. Bosco siete disposti a fare ciò che egli vi vuol dire?

                Tutti: - Sì, Sì!

                 - Bene: e se egli adunque vi dicesse di far bene questi esercizi, li fareste bene?

                Tutti: - SI, Sì!

                Oh, tutto va bene! Con questa vostra buona volontà io spero che faremo grandi cose. Gli esercizi, o miei cari, sono opere di somma importanza e di un'utilità immensa. È ben vero che tutti siete già virtuosi e santi; ma per questo, o miei cari, non dovete illudervi che non siano gli esercizi utilissimi anche ai buoni; perchè questo è sempre un nuovo conforto, un nuovo, aiuto che rinfranca sempre più, che rinforza lo spirito già affievolito. Tutti hanno bisogno d'una rivista alla loro coscienza, di un ristoro alla fiacchezza. Vi dice espressamente l'Apostolo: Qui sanctus est, sanctificetur adhuc, qui iustus est, iustificetur adhuc: chi è buono e virtuoso, si avanzi maggiormente in bontà ed in virtù; chi è santo, aneli a maggior santità e si faccia più santo. Oltre a ciò io sono solito in queste circostanze di raccomandare tutti gli anni ai giovani, e raccomandar molto, di pensare alla propria vocazione e massime a quelli che si trovano sul finir del loro ginnasio. È questa, o miei cari, una cosa che vi deve assai interessare; poichè dall'avere o dal non avere posto mente in quale stato Iddio ci abbia chiamati, moltissime volte può dipendere una vita felice qui in terra (comunque sia questa felicità) e l'eterna salute anche nell'altra. A quest'uopo, o miei cari, è di grande momento una confessione generale, o di tutta la vita per chi non l'avesse mai fatta, o dal tempo che trascorse dall'ultima confessione generale fino al giorno d'oggi. Chi volesse confessarsi dai predicatori, avrà comodità; ma è un consiglio, o miei cari figliuoli, che io dò e che danno anche i Santi, che ciascuno dovendo trattare d'una cosa di tanta importanza, quale è quella di conoscere la chiamata del Signore, deliberi intorno a ciò col suo confessore ordinario. Questi, conoscendo già la condotta da noi tenuta per l'addietro ed inoltre essendo munito dei lumi che il Signore gli suole mandare in siffatte circostanze, più facilmente e più sicuramente potrà discernere fra le altre la via tracciata da Dio. E mentre dico questo, non intendo già che uno si confessi al suo confessore ordinario e poi sopraffatto dalla paura o dalla vergogna taccia qualche peccato. No, miei cari; chè allora io, mutando consiglio direi loro che cangino tutte le volte confessore, piuttostochè avvenga, anche una volta sola, che uno tema e taccia quel grave peccato. [235] Dunque, o miei figliuoli, in questa bella occasione degli esercizi spirituali, pensate seriamente alla vostra vocazione e voi in ispecie che vi trovate già in corsi avanzati di studi. È questo il tempo più propizio in cui il Signore è solito comunicare i suoi lumi e le sue grazie. O miei cari! Dico volentieri queste cose, perchè nonostante che si avvisi che ciascheduno pensi al passo futuro, pure c’è sempre qualche spensierato che non curandosi ora punto degli esercizi, lascia passare il tempo; quando poi viene il momento di deliberare, si trova imbrogliato e non sa che cosa abbia da fare: va dal confessore e gli dimanda della sua vocazione. - Ma poverino, gli dice il confessore, e non hai già tutto deciso agli esercizi spirituali?

                 - Mi sono dimenticato, risponde. - Qual consiglio potrà dare il confessore a queste teste vuote? Ed allora, vedete, è il tempo che crescono le incertezze, gli imbrogli. Il giovane si appiglierà naturalmente a qualche partito, ma sempre dubbioso di questo suo nuovo stato. Adunque, cari miei flglìuoli, se volete essere veramente gli amici di D. Bosco, datevi attorno in questi esercizi e praticate quanto vi ho detto, sicuri di trarne un gran vantaggio per l'anima vostra. Buona sera.

 

                25 aprile. Lodi ai buoni, che fanno bene gli esercizi; avvertimento ai non buoni, che nel farli bene hanno il mezzo per non essere allontanati dalla Casa. - Godo assai di vedervi sul principio tanto esatti nel praticare il silenzio, che è certo uno dei principali requisiti per fare debitamente e con frutto gli spirituali esercizi e che nello stesso tempo palesa la buona volontà che avete di rendervi virtuosi. Siete già tali, ed invero, pensandoci un poco, mi paiono questi esercizi affatto inutili, se non per tutti, per molti almeno di voi. Perchè, debbo dirlo con grande mio piacere: vi è una gran parte di voi che mi consola davvero e che mi contenta: diligenti in tutto, quando si tratta di studiate, di pregare, o di adempiere qualche altro dovere.

                Dico una gran parte, perchè mentre da un canto sono incoraggiato e rallegrato dalla buona condotta degli uni, per contrario da un altro lato sono amareggiato da Certuni, i quali non vogliono saperne nè di studiare, nè di pregare, nè di stare alle regole. E sì che il numero di costoro non è del tutto piccolo, potendosene contare uno sopra trenta circa. Si è parlato di costoro sul serio ed erasi quasi deliberato di mandarli alle proprie case; ma l'occasione di questi spirituali esercizi ha fatto sospendere ogni decisione dispiacente, facendo sperare a taluno dei superiori che essi in questi giorni siano per mutare tenore di vita e praticare quindi innanzi con impegno la virtù. Perciò coloro che possono essere messi in questo numero, vedano chiaramente in quale alternativa siano posti; o di mutare maniera di vivere o di essere costretti a fare fagotto. Raccomando [236] perciò loro che vogliano trarre partito dalle pratiche di questi giorni e si facciano buoni.

                A quelli poi che sono buoni non mi resta che incoraggiarli sempre più a perseverare e ad avanzarsi verso la perfezione a grandi passi. Sia per gli uni sia per gli altri non manca cosa alcuna perchè possano ottenere il loro intento. Abbiamo due predicatori della casa, i quali crebbero anch'essi fra di noi, conoscono l'Oratorio ed i bisogni dei giovani coi quali hanno sempre a conversare e a predicare, due predicatori che vi vogliono molto bene e che non cercano se non il vostro interesse. Perciò da questo lato non ci resta nulla a desiderare. A voi solo spetta che dalle loro fatiche ricaviate quel frutto che essi unitamente con tutti gli altri superiori intendono di largirvi abbondantemente. Raddoppiate il vostro buon volere e il Signore certamente non mancherà di coronarlo di tutti i suoi beni. Buona notte.

                Come già nel Convitto Ecclesiastico Don Cafasso, così Don Bosco nell'Oratorio era confessore ordinario; e come Don Bosco nell'Oratorio, così facevano i direttori nei loro collegi. Tale stato di cose durò fino al 1900. Orbene, una di quelle sere degli esercizi, a Don Costamagna che lo portò sull'argomento, Don Bosco espresse così il suo pensiero circa l'opportunità o meno che un direttore ascoltasse le confessioni dei giovani anche nel corso degli esercizi spirituali: “Lasciate che Don Bosco faccia qualche eccezione e che anche nel tempo degli esercizi confessi i giovani; ma generalmente non è bene che allora i direttori confessino. Dico in via ordinaria; giacchè può darsi il caso che un giovane sincero col suo direttore voglia da lui confessarsi, perchè, essendone ben conosciuto, si sbriga in poche parole, mentre ad altri dovrebbe dare mille spiegazioni. Io sarei di questo parere. Si avvisi che i predicatori confessano, che si vada pure liberamente da loro, che in tempo d'esercizi è lecito, anzi conveniente cambiar confessore. Se qualcuno poi volesse confessarsi dal direttore, questi lo chiami e vada a confessarlo in sua camera, ossia in luogo un po' incomodo o di suggezione per i giovani, affinchè da lui non vadano se non coloro che hanno veramente questa intenzione e non altri fini”.

                I giovani si confessavano tanto volentieri da Don Bosco [237] che l'ultima sera degli esercizi egli si alzò molto tardi dal confessionale e così stanco da non poterne più; tanto stanco, che contro l'usato pregò i rimanenti di tornare la mattina dopo.

                A cena esilarò i commensali raccontando la storia di una robiola, portata in tavola.

                Da pochi giorni era tornato all'Oratorio un alunno della terza ginnasiale, recatosi in famiglia per causa di malattia. Salito a salutare Don Bosco, gli disse che i suoi genitori assolutamente non potevano più pagare nè i debiti arretrati nè la pensione corrente. - L'unica cosa, soggiunse, che abbiano potuto fare per compensarla in qualche modo, si fu di mandarle queste sei robiole. - E lo disse con molta grazia e disinvoltura, secondochè osservò Don Bosco, il quale sapeva pure com'egli fosse il primo della sua classe e molto buono.

                 - Altro dunque i tuoi parenti non potrebbero proprio fare? incalzò Don Bosco.

                 - Nulla, nulla! Quello che potrei ancora darle io, è di farle la mia confessione generale.

                Rise Don Bosco, credendo che il fanciullo scherzasse. Invece il giorno dopo egli andò tutto serio a fare veramente la sua confessione generale. Don Bosco notò per ultimo che una formetta di quel formaggio brianzino valeva cinquanta centesimi.

                In seguito venne a dire della pazienza di molti giovani nello stare inginocchiati, immobili, senz'appoggiarsi anche due o tre ore, aspettando il loro turno e talora, dopo aver aspettato tanto, lasciando anche passare prima altri. - Per fare così ci vuole proprio una gran virtù - conchiuse Don Bosco.

                Seguono due "buone notti", che furono date nella prima metà del mese di Maria e in due sere consecutive; esse si integrano a vicenda. Nella seconda Don Bosco usò il metodo dialogato, a cui ricorreva, quando volesse pelar l'oca senza farla gridare. Ogni dì più cresceva il numero degli aspiranti [238] allo stato ecclesiastico, che provenivano da famiglie poverissime; se non ci si badava seriamente, quanti si sarebbero fatti preti per fini umani e non per vero zelo delle anime! Don Bosco naturalmente riteneva essere meglio per la Chiesa avere un prete di meno che uno scandalo di più. Bisognava inoltre richiamare l'attenzione sulla Pia Società. Insomma l'argomento era delicato. Ecco il perchè del secondo discorsetto a dialogo; un dialogo però non improvvisato, ma concertato prima a quattr’occhi.

 

                10 maggio. Disinteresse nella vocazione sacerdotale; sicurezza dei deboli nelle Congregazioni religiose. - Siamo nel bel mese di Maria e di più nella novena dello Spirito Santo. Io vorrei che aveste tutti grande impegno a far bene questo mese e questa novena e perciò metteste un'intenzione speciale. Pregate che lo Spirito Santo in questi giorni vi illumini e vi faccia conoscere che cosa il Signore voglia da voi. Pensate tutti alla vostra vocazione e vi pensino in modo particolare coloro che sono più avanzati negli studi. Tenete a mente essere della massima importanza questo punto della vostra vita. Io desidererei che in questa novena o in quella che immediatamente seguirà in onore di Maria Ausiliatrice, chi si deve decidere, risolvesse definitivamente. Ma nessuno intraprenda lo stato ecclesiastico, se non vi è chiamato da Dio: e nessuno s’incapricci di altro stato, se la voce del Signore lo chiamasse al servizio della sua Chiesa.

                Qui però bisogna che vi manifesti un gravissimo errore radicato nei genitori e nei figliuoli, errore, che forse voi già avrete udito ripetere da persone di qualche autorità. - Fatti prete, si dice; così avrai una buona posizione in società e potrai aiutare i tuoi genitori. - Carissimi giovani! Non sia mai che alcuno di voi abbracci lo stato ecclesiastico per aiutare i suoi genitori. Se volete ciò fare, prendete un'altra carriera e così guadagnate pur danari quanti bastano. Chi si fa sacerdote, deve solamente operare per guadagnare anime a Dio.

                Ancora un'obiezione vi voglio sciogliere a questo riguardo, che mi fu già fatta da parroci e da altre persone ragguardevoli. Dicono costoro: - Come va che D. Bosco suggerisce ad alcuni de' suoi giovani che si facciano preti, purchè abbiano intenzione di ritirarsi in qualche Congregazione religiosa; e invece, se questi giovani dimostrano l'intenzione di stare in mezzo al mondo, suggerisce loro di non abbracciare lo stato ecclesiastico? - La ragione, miei cari giovani, è questa: vi sono molti, i quali, se stanno ritirati, praticano la virtù e adempiono con diligenza i doveri di religione; se invece si trovano [239] anche per brevi istanti nel secolo, non sono più capaci di contenersi fra i tanti pericoli che vi s'incontrano e non fanno buona riuscita. Perciò quando io vedo un giovane, il quale, finchè si trova ricoverato nell'Oratorio o in altro collegio, conduce vita esemplare e poi va a casa in vacanza e cade in molti peccati e ripiglia le opere che faceva prima che venisse nell'Oratorio; e quindi ritorna dalle vacanze, e vedo che si mette di nuovo sul serio ad adempiere bene i suoi doveri ed essere assiduo alle pratiche di pietà e, restituitosi a casa un'altra volta, si hanno da lamentare di bel nuovo gravi cadute, oh, io allora richiesto da questo giovane di dargli consiglio sulla sua vocazione, gli rispondo assolutamente: - Se tu hai intenzione di andare nel mondo come prete, parroco, vice - parroco, assolutamente non entrare nella via del santuario, che questa sarebbe la via della tua rovina e chi sa di quante altre anime. Che se però ti senti inclinato, con fini retti, a farti prete, allora, se tu ti risolvi a condur vita ritirata in qualche Congregazione religiosa e regolare, volentieri ti consiglio e permetto di farti sacerdote.

                E questo, credetelo, è ciò che diede già a me molti dispiaceri, poichè alcuni mi dicono: - Don Bosco ha suggerito al tale di indossare l'abito ecclesiastico e poi si dovette cacciarlo dal Seminario; ha consigliato al tal altro di farsi prete ed ora si vede che conduce vita tutt'altro che esemplare. - Ma questi critici non sanno come io avessi assicurati quei tali, che avrebbero potuto mantenersi buoni chierici e buoni preti, ma solo qualora avessero fatta vita ritirata. Essi domandavano in qual senso, ed io in quel senso rispondeva.

                Io credo che se voi, miei cari figliuoli, terrete a mente questi miei avvisi, non avrete nessun umano riguardo nella scelta della vocazione; e che colui che è chiamato allo stato ecclesiastico lo abbraccerà, e chi non è chiamato, ne rimarrà indietro. Così voi sarete sicuri della strada per cui vi metterete, e sicuri della vostra stessa salvezza.

                Raccomandatevi dunque allo Spirito Santo ed alla Beata Vergine, che vi illumini e vi aiuti.

 

                11 maggio. Di nuovo del disinteresse nelle vocazioni ecclesiastiche. Si risolvono tre obiezioni.

                DON BARBERIS (dopochè Don Bosco ebbe dette alcune parole d'introduzione). Domanderei la parola.

                DON BOSCO. Sentiamo che cosa vuoi dire.

                DON BARBERIS. Ogni fatica deve avere il suo premio; quindi è ben giusto che quel prete che lavora possa guadagnare.

                DON BOSCO. È vero quanto tu dici, e per ciò io non intendo che, chi lavora nel ministero, abbia poi a digiunare tutto il giorno. Chi lavora deve eziandio mangiare ed avere tutto ciò che è necessario per vivere. San Paolo lo dichiara espressamente. Qui altari servit,  [240] de altari vivat. Ma, oltre il vitto, i guadagni del prete vogliono essere le anime e nulla più. Si è sempre veduto che, chi cerca gli interessi temporali, ben difficilmente converte molte anime o pensa alla salute eterna di quelle che gli vengono affidate. Invece mostrami un prete al tutto disinteressato che non pensi a far denari, ovvero a provveder la sua famiglia e vedrai quanto bene, quante conversioni egli farà. È per questo che S. Paolo, e notalo bene, non vuole che il prete s'immischi in negozi secolari, non implicat se negotiis saecularibus. Nemmanco deve pensare a compre, a vendite, a capitali sulle banche; nulla di tutto questo.

                DON BARBERIS. Mi permetterà, sig. Don Bosco, che avanzi ancora una parola. È cosa certa che il prete deve specialmente pensare alla salute delle anime. Tuttavia nei comandamenti della legge di Dio si comanda: Onora il padre e la madre. La parola onorare significa anche soccorrere. Se tutti adunque devono andare a gara nel soccorrere i genitori, tanto più il prete.

                DON BOSCO. Io sono contento che si onori e perciò si soccorra il padre e la madre, quando sono in bisogno. Ma se tu hai questo fine nel farti prete, lascia la carriera ecclesiastica e datti a qualche arte o mestiere, datti al commercio o ad altra impresa che a te sia più conveniente: ma non farti prete. Dal momento che tu ti fai prete, divengono tuoi parenti tutti coloro che hanno un'anima da salvare e tu devi pensare a loro e non ad altro. Il Divin Salvatore ci volle dare questo esempio in modo proprio splendido; poichè, mentre cercava di far del bene alle turbe, avendogli alcuno detto: - Tua madre è fuori che ti cerca - egli rispose: - Chi è mia madre? In verità vi dico che quanti ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica, sono mio padre, mia madre, miei fratelli! - E Gesù benedetto andò ancora più avanti. Arrivò a dire: - Colui che non odia suo padre, sua madre, i suoi fratelli e le sue sorelle, non può essere mio discepolo. - Dimodochè tieni bene a mente, che la santità dello stato ecclesiastico importa l'assoluto distacco dalle cose del mondo. I Teologi poi sono tutti d'accordo nell'asserire questo: Bona clericorum sunt patrimonia pauperum: i beni dei chierici, e qui la parola chierico vuol dire prete, sono patrimoni dei poveri.

                DON BARBERIS. Mi sembra che non ci sia altro a ridire. Io la pensava in tutto come lei; ho parlato solo perchè desiderava qualche risposta precisa e categorica per coloro che su di ciò m'interrogassero. Mi permetta tuttavia che faccia ancora un'osservazione che oggi stesso venne fatta a me. Ci sono persone molto autorevoli, di grande studio ed anche ecclesiastici, che su questo punto non sembrano così stretti di maniche; anzi dissero: - Fatti pur prete che potrai fare così e così; guadagnare, comperare, farti un capitale. -

                DON BOSCO. Lo so che ve ne sono di costoro, e pur troppo non pochi; e altri non solo lo dicono, ma lo fanno. Io non vado a investigare [241] le opere di costoro. Essi ciò faranno in buona fede, o sarà stato loro rivelato un qualche altro Vangelo diverso da quello che io conosco. Fatto sta che il Signore parlò come io ti esposi; così S. Paolo; così i santi Padri che commentarono le sacre carte. (E continuando con alcuni riflessi, finì con augurare ai giovanii la buona notte. N. d. Cr.).

                Due parlate dopo le orazioni della sera durante la novena di Maria Ausiliatrice. La prima contiene un'allusione al sogno, che si leggerà nel paragrafo seguente. L'accenno faceto ai “quattrini” prelude ivi all'ordine categorico, che ancor più facetamente sarà dato due sere appresso. Nelle feste si permetteva ai giovani di spendere sul loro peculietto individuale, ma nella misura determinata dal prefetto e solo in cose esposte alla vendita dall'Oratorio e non in moneta sonante, ma con marche o buoni ad hoc. Poichè in tali occasioni si allestivano banchi da rinfreschi e da fiera, e vi si vendevano specialmente libri a prezzi molto ridotti.

 

                18 maggio. Chiedere alla Madonna sanità e castità. - Ecco che è già cominciata e persino un po' inoltrata la novena di Maria Ausiliatrice. Bisogna adunque che prepariate quattrini per la festa; ed il cuore per ricevere molte grazie da Maria Vergine. Tra le grazie che ciascuno di voi ha da chiedere alla Madonna Santissima in questa novella, vi dirò che tutti chiediate specialmente queste due. La prima è che la Vergine Ausiliatrice vi dia la sanità necessaria per continuare i vostri studi, onde potervi preparar bene agli esami, perchè, volere o non volere, essi s'avvicinano; e per quei che vanno a prendete esami fuori, vi sono appena più due mesi. È adunque tempo di pensarci.

                Ma la grazia principale che io vorrei che tutti domandassero e che è fonte di tutte le altre grazie, si è questa. Domandate tutti, tutti, di poter conservare la bella virtù della modestia. Questa è la virtù più accetta al cuore di Maria Vergine. Se c’è questa, vi è tutto. Se questa manca, non c’è nulla. Noi possiamo proprio dire di questa virtù che sia la fonte di tutte le altre: venerunt omnia bona pariter cum illa. Basti dirvi che chi la possiede vola sotto il manto di Maria Vergine: chi fu ferito, cioè la perdette, ma poi la ricuperò e cerca ogni modo di conservarla, corre; chi non la custodisce abbastanza, appena cammina; chi non l'ha, è trascinato.

                Chiedetela questa grazia e sforzatevi grandemente per ottenerla. Coloro che non perdettero la bella virtù della modestia, seguono [242] l'agnello dovunque vada e cantano un cantico che nessun altro può imparare. Ma essendo virtù tanto fragile, bisogna pregare la Beata Vergine con vive e replicate istanze e fuggire tutte le occasioni che possono farla perdere, come sarebbero certi compagni meno buoni, certe parole non buone o dette o cercate nei dizionari. Per carità, fuggite ogni occasione. E praticate tutti i mezzi che possono aiutarvi conservare così inestimabile tesoro, come la comunione frequente fatta proprio bene, la divozione fervente alla Beata Vergine, le visite in chiesa, e cose simili. Oh, io spero che voi lo farete e ve ne troverete tanto contenti; chè ogni nostro dire sulla felicità che ci aspetta, è ora un nulla.

 

                20 maggio. Spiegazione delle parole evangeliche. “Chi non odia suo padre e sua madre, non è degno di me”. - Si è deciso, miei cari giovani, come si faceva negli anni scorsi, che la moneta corrente in queste feste di Maria Ausiliatrice sia moneta coniata nella banca nazionale dell'Oratorio di S. Francesco di Sales. Non avran corso le monete di altri Stati. Questo provvedimento, come ve ne siete già accorti tante volte, è per evitare grandi disordini, che ne avverrebbero in caso contrario.

                DON BARBERIS (chiesta e ottenuta la parola).Io, se permettesse, sig. Don Bosco, vorrei ancora farle qualche interrogazione riguardo alle cose dette altra volta sulla vocazione.

                DON BOSCO. Di' pure!

                DON BARBERIS. Mi pare che l'altra volta abbia esposte senza spiegazione quelle parole dei Santo Vangelo: Se alcuno non odia il padre o la madre, non è degno di me. Molte domande mi furono fatte a questo riguardo, ed io risposi che queste parole non vanno prese così in generale, ma che si riferiscono al caso, nel quale la volontà dei genitori si opponesse direttamente alla volontà di Dio, già indubitatamente manifestata; come ad esempio di un pagano che si volesse far cristiano, o un protestante cattolico, e i genitori si opponessero; o si avesse dichiarata vocazione allo stato ecclesiastico, e i genitori non lo permettessero: allora piuttosto che andar contro alla volontà di Dio, si devono, in certo modo, odiare i genitori, cioè non obbedirli, ma seguire la chiamata del Signore.

                DON BOSCO. Questo va bene, è vero; ma aggiungo: non solo in simili casi si deve superare l'amore della carne e del sangue, ma ogni altra volta e in ogni altro caso, quando ciò sia richiesto dalla maggior gloria di Dio. E si noti bene non essere Don Bosco che dice questo, come qualcuno di voi follemente asserì. E simile cosa asserirono alcuni genitori: - Don Bosco ha detto questo! Perchè va a dire questo ai giovani? - Ascoltatemi! Non sono io che lo dico, è il nostro Divin Salvatore. E il perchè di questi miei discorsi si è il sembrarmi essi di molta importanza e di grande necessità. Si è perchè [243] desidero di spiegare la, parola di Gesù Cristo. Si notino le circostanze, nelle quali Egli pronunciò queste parole. Si trovava in mezzo alle turbe e predicava. Venne sua Madre Maria con alcuni suoi cugini e parenti, che in ebraico venivano chiamati fratelli. Cercano di parlargli. I più vicini al Divin Salvatore lo avvisano: Tua madre e i tuoi fratelli sono fuori che ti cercano. E Gesù risponde: Chi è mia madre? chi sono i miei fratelli? Mia madre e mio fratello è chi ascolta la parola di Dio (S. LUCA, 14, 26). E altrove: Chi viene a me e non odia suo padre e sua madre, non è degno di me (S. MATTEO, 10, 35).

                Io venni a separare il padre dal figlio e la madre dalla figlia Nemici dell'uomo sono i suoi domestici.

                Da tutto ciò non risulta, che ciò che torna a maggior gloria di Dio, esige un simile distacco? Adunque non Don Bosco lo dice, ma è Dio che lo dice.

                Del resto non dimenticate mai che Dio sa largamente ricompensare i sacrifizi che si fanno per obbedire alla sua santa volontà.

                In fin dei conti, nel caso nostro, notate bene, chi abbraccia lo stato religioso sembra che non si curi per nulla de' suoi genitori: eppure egli potrà sempre dare un consiglio che varrà più che tanto oro; può più comodamente pregare per loro ed è la preghiera causa di tutte le felicità anche temporali. Quante volte vengono fortune ai genitori e non si sa donde e son le preghiere dei figli che le ottennero! Quanti affari prosperati, liti vinte, discordie pacificate, e sono le preghiere che apportarono questi beni. E questi non sono altrettanti aiuti che si possono prestare ai parenti, aiuti più grandi di quel poco denaro che si potrebbe somministrar loro? E poi, e poi, credete che il Signore che premia un bicchier d'acqua dato in suo nome, non voglia premiare quel sacrificio che essi fanno e che tanto costa al loro cuore? (La parlata è così tronca nel manoscritto).

                Fin dopo la festa di Maria Ausiliatrice non abbiamo altre parlate. In quel giorno si distribuirono ai fedeli moltissime Comunioni. Straordinario fu il concorso della gente che voleva la benedizione di Maria Ausiliatrice da Don Bosco. All'ora della Messa solenne, non arrestandosi mai l'affollarsi delle persone, egli congedò la moltitudine con una benedizione generale.

                Salito alla sua stanza, trovò nell'anticamera un gruppo di ragguardevoli signore, venute espressamente da Milano per assistere alla festa. Con tutta semplicità dinanzi a loro trasse dalle saccocce più di cinquanta offerte in biglietti di [244] banca o in ornamenti di valore, presentategli in quel mattino per grazie ricevute.

                Raccontò pure un fatto che aveva dello straordinario. Quattro giorni prima era in fin di vita il conte Vialardi; andatogli a visitarlo, vide che si trattava di portargli il Viatico. Allora lo esortò a confidare in Maria Ausiliatrice, assicurandolo che sarebbe vissuto ancora; venisse poi nel dì della festa a fare la santa Comunione in Maria Ausiliatrice. Nella famiglia nessuno volle prestar fede alla possibilità della cosa. Invece quella mattina il conte era venuto, aveva fatto la sua Comunione, e Don Bosco mostrava la limosina da lui consegnatagli in onore di Maria Ausiliatrice.

                Nel presbiterio di Maria Ausiliatrice si ammirava un ampio tappeto, lavoro e dono di nobili signore fiorentine, che nel mezzo dell'orlo anteriore avevano ricamato questa iscrizione: Mariae Auxiliatrici in suam suorumque tutelam Matronae Florentinae anno MLDCCCLXXV. Torna a onore delle oblatrici la lettera riboccante di riconoscenza, che Don Bosco scrisse loro a mo' di dichiarazione. Non sappiamo il perchè della forma di questo scritto, nè la causa del ritardo a inviarlo[130].

                A maggior gloria di Dio ed onore dell'Immacolata Vergine Maria potente aiuto dei Cristiani, ed a perpetua ricordanza dello spirito religioso delle Matrone Fiorentine dichiaro quanto segue:

                Una scelta di nobili Signore Fiorentine, mosse da spirito di carità e di divozione verso l'augusta Regina del cielo, dopo di aver cooperato con generosi sussidi alla costruzione del tempio dedicato a Maria Aus. in Torino, volendo aggiungere un segno pubblico e stabile della sincera loro venerazione a questa celeste benefattrice diedero opera ad un elegante tappeto, come sta più sopra descritto.

                Compiuto il lavoro nel 15 maggio 1875 lo spedivano a sua destinazione in Torino. Io per tanto colla massima gratitudine ricevo il [245] dono prezioso con formale promessa che alle donatrici sarà riservata la proprietà in perpetuo, contento io di poterlo usare a decoro del tempio del Signore e ad onore di Colei, che la Chiesa proclama potente Aiuto dei Cristiani.

                Oltre poi all'incancellabile gratitudine ho tosto procurato che le prelodate Signore, che colle offerte e col lavoro delle loro mani concorsero a compire questo tratto di zelo e di carità, siano registrate fra le insigni benefattrici che ogni giorno saranno in modo speciale ricordate nelle comuni e private preghiere che mattino e sera vengano a Dio innalzate all'altare dedicato alla Vergine Ausiliatrice in questo sacro edifizio, invocando le celesti benedizioni sopra di loro e sopra le loro famiglie.

                Dichiaro in fine che queste obbligazioni si estenderanno a me e dopo di me ai miei eredi in perpetuo, mentre coll'animo riconoscente mi sottoscrivo

                Torino., 10 ottobre 1875.

Obbl.mo servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Durante l'intera novena, quante lettere gli giunsero, attestanti fatti prodigiosi! Per la solennità vi si pellegrinò da Genova, Savona, Ovada, Chioggia, Bologna, Firenze, Roma. Alla predica gli uditori occuparono altari, scale, confessionali. I cortili, la piazza, le strade attigue rigurgitarono di folla. Non si ebbe notizia d'alcun disordine.

                Le continue udienze estenuarono Don Bosco. Vi furono persone, che non si mossero da Torino, fino a tanto che egli non le potè ricevere. I suoi figli lo vedevano sempre calmo e affettuoso, come nei tempi ordinari.

 

                27 maggio. Parole di don Bosco nel giorno del “Corpus Domini”.

                Oggi è una delle più grandi solennità che celebri la S. Chiesa. Il Corpus Domini! Vorrei che tutti voi faceste qualche promessa al Signore in riconoscenza del gran dono che ci fece, dandoci se stesso per cibo dell'anima nostra. Due cose vorrei che prometteste:

                1° Farete delle frequenti, ma buone comunioni.

                2° Procurerete di ornare il vostro cuore di belle virtù, allontanando ogni vizio, perchè Gesù possa venire a trovarvi e ad abitare volentieri in voi. - E continuò spiegando con molto calore questi due punti. [246]

 

                28 maggio. Far bene le sei Domeniche di San Luigi; chiedere al Santo la virtù della modestia; invito particolare ai cattivelli. Posdomani, miei cari giovani, cominciano le sei Domeniche in onore di S. Luigi. Vi è indulgenza plenaria ogni volta a chi, confessato e comunicato, fa alcune preghiere secondo l'intenzione del Sommo Pontefice. Affinchè vi sia regolarità in queste divozioni in onore di S. Luigi, si seguiranno le pratiche degli anni scorsi, cioè si leggerà in pubblica chiesa quanto nel Giovane provveduto si trova a tale riguardo. Solo faccio notare che quelle pratiche e quelle preghiere non è necessario farle nel modo che sono stampate. Chi trovasse più comodo o conveniente fare altre pratiche, può farle; come sarebbe chi recitasse le allegrezze di Maria Vergine, chi il suo piccolo uffizio, chi i salmi penitenziali; costoro possono egualmente lucrare l'Indulgenza plenaria. Le preghiere che sono nel libro non sono che direttive per l'uniformità quando si fanno in pubblico. Se non avviene qualche causa che faccia mutare ciò che si è stabilito, si farà la festa Domenica 27 giugno.

                Animiamoci a far veramente bene queste Domeniche. Siccome S. Luigi è speciale protettore della virtù della modestia, così consacriamo a lui in particolar modo questa virtù e adoperiamoci molto molto per conservarla illibata. Abbiamo celebrato da poco tempo la festa di Maria Ausiliatrice e si sono prese a questo fine molte buone risoluzioni; dunque facciamoci sempre più coraggio per offrire intatto al Signore il nostro giglio.

                Ma mentre la maggior parte di voi è tanto animata pel bene, non ci sia quella frazione, piccola sì, ma che pur troppo fa del male, la quale stia indifferente e continui a proferire i cattivi discorsi. Alcuni son lì lì nella bilancia; si tollera, si tollera per lasciarli finire l'anno scolastico e non mandarli a casa con tanto loro disonore o per non metterli in mezzo ad una strada. Ma sapete che in questi casi la mia coscienza non può tollerare oltre il limite. Se si viene a conoscere che si fanno cattivi discorsi o cose contrarie alla virtù della modestia, non si tollera più; io sono costretto ad allontanar costoro dall'Oratorio, perchè non appestino gli altri. Seguano questi pochi gli esempi dei più e incomincino anch'essi una volta a regolarsi veramente bene. Date questa consolazione al cuore del povero D. Bosco, che non sia costretto suo malgrado a respingere da sè alcuno di voi. Date eziandio questa consolazione a S. Luigi e così sarete anche più contenti voi. Più contenti in vita, più contenti in morte; poichè sarete chiamati a parte della beatitudine che gode S. Luigi in premio delle sue virtù.

                La sera del 30 maggio si principiarono gli esercizi spirituali per gli artigiani. Don Bosco andò a parlai loro separatamente dopo le orazioni. [247]

 

                30 maggio. Esorta gli artigiani a far bene gli esercizi. Delle uscite senza licenza. A che cosa pensare durante gli esercizi, partite da aggiustare. - Sono molto contento di potervi vedere qualche volta separatamente e sono contento per più motivi. Il primo perchè godo sempre nel vedere i miei cari figliuoli. Poi nel veder voi artigiani in modo speciale e ancor più nel vedervi in questa circostanza, in cui incominciate gli spirituali esercizi.

                So che siete contenti e che la maggior parte di voi ha proprio volontà di farli bene, e questo mi dà un vero piacere. Si ha una bella occasione per farei santi: non si lasci passare. Sono però costretto a dire ciò solo della maggior parte di voi, perchè veramente ci son di coloro che non ne vorrebbero sapere e se potessero non li farebbero. Poveretti! Non conoscono il gran bene che è il fare gli esercizi. Costoro però bisogna che stiano attenti, poichè qualcuno converrà forse che lo consegniamo alla porta, prima che siano finiti gli esercizi. Di altri poi si aspetta, se faranno un radicale cambiamento; perchè del resto bisognerà che siano cacciati poco dopo. Alcuni vogliono proprio seminar la zizzania e non c’è verso che lascino quei discorsi, quelle opere diaboliche. Mi rincresce che fino a stassera si ebbero mancanze da lamentare e che qualcuno sia uscito di casa senza permesso. Forse in altri luoghi a costoro non si lascerebbe più passare in casa neppur la notte, e ben se lo meriterebbero. Ma non voglio per ora che veniamo a questo punto. Questi tali pensino che hanno fatto un'azione ben cattiva!

                Ecco intanto tre punti che sono da considerarsi bene in questi esercizi. Si deve considerare il passato, il presente, l'avvenire. Per ciò che riguarda il passato, ci sarà chi avrà ancora da rivedere o aggiustare la sua coscienza: non si lasci passar l'occasione, si faccia ora. Pel presente ci sono delle ferme risoluzioni da prendere e vedere di metterci con sicurtà in grazia di Dio. Per l'avvenire c’è da pensare alla vita che si dovrà tenere e prendere i mezzi necessari per arrivare là dove ci saremo prefisso.

                Diceva che molto dovevamo pensare alle cose passate. Riandare un po' le confessioni, poichè, credetemi: 1° Per lo più ci sono delle cose dimenticate, che poi si lasciarono andare, a cui non si pensò più. 2° Ci sono delle cose cui non si pensò ancora, credendo che non fossero gran male e che pure sono vere offese del Signore e bisogna richiamarle a memoria, pentirvene e confessarvene. Ad esempio: Vi sarà chi non guardava tanto pel sottile a molte cose che fin da fanciullo fece contro la modestia. Altri rubarono, ma poco per volta e dicono: - Questo non è peccato mortale. - Si ruba, ad esempio, qualche marca di caffè, si rompe qualche vetro, o si guasta qualche cosa e si dice: Nessuno mi ha visto - e non si consegna. Ma vi ha visto Iddio! questo un danno arrecato! Un altro poi guasta dei lavori, o li fa di nascosto per sè. E così andiamo avanti; se si può [248] rubacchiare qualche cosa in cucina o nell'orto, si fa e si dice: - Son tutte piccole cose. - Ma se una goccia posta in un bicchiere quasi non si vede, aggiungendo goccia a goccia il bicchiere si riempie e facendo danno a questo modo sempre alla medesima persona, il peccato si fa grave e c’è bisogno assoluto di pentirsene e di confessarlo. Altra cosa, che per lo più non si pensa a confessare, è lo scandalo dato. Si veda bene che chi ha dato scandalo ad un altro colla sua cattiva azione, il peccato non è ben confessato dicendo solamente: Ho fatto la tale azione; - ma bisogna anche confessare di aver dato scandalo. Purtroppo vi sono eziandio cose taciute da taluni apposta nelle confessioni passate. Qui non c’è via di mezzo; bisogna fare un bucato generale per mettere a posto tutto.

                Lungo gli esercizi vi sarà tempo per questi importantissimi affari. Si aggiustino bene tutte le cose, e ciascuno di noi un giorno sarà molto contento, giacchè è certo che per più di uno saranno questi gli ultimi esercizi. E non c’è bisogno di fare il profeta per asserir questo. Tutti gli anni avviene così. C'è sempre qualcuno che nel corso dell'anno muore e non potrà farli un'altra: volta. Ciascuno si animi dunque a farli bene ed io vi assicuro non potersi dire quanto contento arrecherà in punto di morte l'averli fatti bene. D'altronde anche coloro che vivranno, state certi che non saranno mai malcontenti d'averli fatti bene. L'aver la coscienza bene aggiustata è la cosa che nella vita procura maggior consolazione. Chi ha la pace della coscienza ha tutto: invece chi non l'ha, quale felicità potrà mai godere su questa terra?

                Servitevi tutti, o miei cari, di questa grande occasione per fare del bene alle anime vostre.

                Chi è già buono, tenda a farsi più buono; chi ha già delle virtù, faccia ogni sforzo per ornare il suo cuore ancora di altre virtù. Chi poi ha bisogno di mutamento di vita, si faccia coraggio, si metta con fermo proponimento all'opera, perseveri nel bene e si troverà poi ben contento in punto di morte.

                Mentre Don Bosco scopriva certi altarini, Don Barberis, che stava in mezzo ai giovani, sentì dire a due dei più adulti: - Non credevamo mai più che Don Bosco sapesse già che siamo usciti! Chi sa come abbia potuto saperlo? Poveri noi!

                Sì ingrate sorprese non toccavano raramente ai colpevoli. Si pensava che neppur l'aria sapesse; invece Don Bosco sapeva tutto.

                Anche questa volta, l'ultima sera degli esercizi, Don Bosco cenò molto tardi per via delle confessioni. Uno dei predicatori,  [249] Don Dalmazzo, che pure aveva confessato assai, esclamò: - Oggi, giornata piena!

                Don Bosco gli rispose: - Io sono contento che specialmente durante gli esercizi molti giovani pongano grande fiducia nei predicatori e vadano da loro volentieri. Sì, va bene che vi accorrano molti. Io ne ho confessati quanti ho potuto. Vennero, molti da me ieri mattina, ieri sera, stamattina, stassera. Un numero grande andò via per non aspettar troppo il proprio turno. Non si poteva desiderare di meglio. Sembra che questi esercizi abbiano fatto gran frutto.

                Ai 4 di giugno cadeva il primo venerdì dopo l'ottava dei Corpus Domini. Don Bosco la sera antecedente annunziò la festa del Sacro Cuore di Gesù.

 

                3 giugno. Che cosa sia il culto del Sacro Cuore di Gesù.

                Domani, miei cari figliuoli, la Chiesa celebra la festa del Sacro Cuore di Gesù. Bisogna che anche noi con grande impegno procuriamo di onorarlo. È vero che la solennità esterna la trasporteremo a Domenica; ma domani incominciamo a far festa nel nostro cuore, a pregare in modo speciale, a far comunioni fervorose. Domenica poi ci sarà musica e le altre cerimonie del culto esterno, che rendono tanto belle e maestose le feste cristiane.

                Qualcheduno di voi vorrà sapere che cosa sia questa festa e perchè si onori specialmente il Sacro Cuore di Gesù. Vi dirò che questa festa non è altro che onorare con una speciale rimembranza l'amore che Gesù portò agli uomini. Oh l'amore grandissimo, infinito che Gesù ci portò nella sua incarnazione e nascita, nella sua vita e predicazione, e particolarmente nella sua passione e morte! Siccome poi sede dell'amore è il cuore, così si venera il Sacro Cuore, come oggetto che serviva di fornace a questo smisurato amore. Questo culto al Sacratissimo Cuor di Gesù, cioè all'amore che Gesù ci dimostrò, fu di tutti i tempi e sempre; ma non sempre vi fu una festa appositamente stabilita per venerarlo. Come sia comparso Gesù alla Beata Margherita una festa le abbia manifestato i grandi beni che verranno agli uomini onorando di culto speciale il suo amabilissimo cuore, e come se ne sia perciò stabilita la festa, lo sentirete nella predica di Domenica a sera.

                Ora facciamoci coraggio ed ognuno faccia del suo meglio per corrispondere a tanto amore che Gesù ci ha portato.

                Ai 16 dello stesso mese coincidevano due date di somma importanza: ricorreva il centenario della rivelazione fatta dal [250] Sacro Cuore di Gesù a Santa Margherita Alacoque e si compiva il venticinquesimo anno del Pontificato di Pio IX; onde si scelse quel giorno per fare l'esercizio della buona morte, sebbene fosse trascorso breve tempo dagli esercizi spirituali. I giovani si accostarono alla sacra mensa; quindi un po' più di ricreazione raddoppiò l'allegria. Verso sera tutto l'Oratorio si unì alla Chiesa universale nell'atto di consacrazione al Sacro Cuore. Prima Don Rua spiegò dal pulpito il significato e il valore di quell'omaggio; dopo di che lesse la formula, che i giovani ripetevano ad alta voce. La benedizione fu preceduta da un solenne Te Deum di ringraziamento a Dio per aver largito alla Chiesa un tanto Pontefice. Mancavano però due gruppetti di cantori recatisi per la medesima solennità a S. Benigno Canavese ed a S. Francesco d'Assisi in Torino. In quest'ultima chiesa i cantori dell'Oratorio avevano preso parte anche al triduo, fatto fare ivi dal Circolo della Gioventù Cattolica Torinese, che nelle dimostrazioni pubbliche in onore del Papa era sempre alla testa.

 

                6 giugno. Esortazione all'amore fraterno. - Oggi abbiamo passata la seconda domenica di San Luigi. Mi starebbe molto a cuore che tutti ci animassimo ad onorar bene questo santo e a consacrargli in modo speciale il mese di giugno: si cercasse specialmente d'imitarlo nella divozione, colla quale pregava, faceva le visite al SS. Sacramento, si accostava alla Comunione. Un'altra sua virtù vorrei eziandio che si cercasse d'imitare: che ciascuno si sforzasse dal canto suo di praticare la carità fraterna; che in suo onore si lasciassero cadere tutte quelle maldicenze contro i compagni, cessassero quegli astii. Alcune volte il vicino o ci calpesta il piede o inciampando urta nella nostra persona senza farlo apposta; eppure quel tale ha subito una parola piccante ed alcune volte è pronto a restituire il calcio, il pugno. No! Si badi a quello che più volte ci disse il Divin Redentore: Mandatum novum do vobis, ut diligatis invicem sicut dilexi vos... In hoc cognoscent, quod discipuli mei estis, si diligatis invicem. Ecco un comandamento grande, un comandamento nuovo ci diede il Signore: non già che prima nella salita Scrittura si insegnasse diversamente, ma diversamente si operava, e gli Ebrei avevano introdotto, anche come dottrina, la massima di fare il bene solo a coloro che fanno del bene a noi; ed a coloro che ci fanno del male, potersi liberamente fare del male, con questa restrizione però [251] che il male fatto al prossimo non fosse maggiore di quello che abbiamo da lui ricevuto.

                Noi procuriamo di non operare così stoltamente; abbracciamolo questo mandatum novum e vogliatevi sempre molto bene. Se uno può fare un piacere ad un altro, lo faccia; e se non lo può fare, pazienza, ma l'altro si dimostri contento egualmente. Sapete che gran bene avverrà, se questo si mette in pratica a onore di S. Luigi? Che tutti potremo chiamarci suoi divoti e imitatori in vita, avremo una caparra di essere da lui protetti in morte e dopo una santa morte il Signore ci farà partecipi di quel gran bene che egli gode in paradiso.

 

                7 luglio Si raccoglie ciò che si è seminato. - Domani, giovedì, uscendo a passeggio vedrete che si taglia il grano. I contadini ne fanno manipoli, i quali, legati a fasci, prendono nome di covoni. Questo mi fa ricordare ciò che noi leggiamo le tante volte nella sacra Scrittura: Quae seminaverit homo, haec et melet, che cioè l'uomo mieterà di ciò che ha seminato. Ditemi un po': se questi contadini che, tutti contenti, mietono ora il grano, e si rallegrano e gioiscono, non avessero fatta la fatica di seminare e di coltivare bene il campo e adacquarlo a tempo debito, potrebbero ora gioire nel raccolto? No per certo, poichè per raccogliere bisogna seminare. Così sarà di voi, mei cari giovani; se ora seminerete, avrete poi il contento di fare un bel raccolto a tempo debito. Ma chi vuole scansar la fatica del seminare, quando sarà venuto il tempo del raccolto, morrà di fame.

                E state attenti a questo testo dello Spirito Santo: Quae seminaverit homo, haec et metet. Il raccolto è della natura della seminagione. Se si semina grano, si raccoglie grano; se meliga, meliga; se si semina orzo, si raccoglie orzo; se avena, avena; se loglio o zizzania, si raccoglie loglio o zizzania. Se voi volete che il raccolto sia buono, di cose utili, seminate cose buone ed utili; ma ricordatevi che, sebbene costi un po' di fatica il seminare, ciò non è nulla in confronto della gioia che si avrà nel raccolto. Il contadino in ciò è per noi di un esempio mirabile.

                Ancora una cosa. Affinchè la semente prosperi bene e dia frutto, va seminata a suo tempo; il grano d'autunno, la meliga di primavera, e via di seguito. Se non si semina a suo tempo, il raccolto va fallito. Ora qual è la stagione, in cui si deve seminare per l'uomo? Me lo dica un po' il tale. (Chiamò per nome uno dei giovani che era il più discolo della Casa).

                 - La primavera della vita, cioè la gioventù.

                 - E chi in gioventù non semina?

                 - Non raccoglie in vecchiaia.

                 - E che cosa è che bisogna seminare?

                 - Buone opere. [252]

                 - E chi semina zizzania?

                 - Raccoglierà spine in vecchiaia.

                 - Bene, bene; tienlo ben a mente quello che hai detto e si tenga bene a mente da tutti; poichè ne hai bisogno tu e ne han bisogno tutti!

                La sacra Scrittura sempre su questo versetto dice poi ancora: E chi semina vento, raccoglierà burrasca e tempesta. Il vento è simbolo delle passioni; chi si lascia già adesso dominare da piccole passioni, queste sono come altrettanti semi che se non si estirpano, cresceranno grossi, e sì che, ve lo assicuro io, diverranno come tempesta e burrasca nel vostro cuore. Non lasciate, per carità, che nessuna passione si radichi in voi; poichè guai! in vecchiaia voi sareste in continua burrasca. Tenete a mente che tutte le grandi passioni che dominano gli uomini e fanno commettere loro azioni tanto cattive e scellerate, non furono sempre così grandi e violente. Vi fu un tempo che erano piccole; ma crebbero a poco a poco. Quando un giovane ha già le sue passioncelle e non cerca per nulla di vincersi, ma dice: - Oh! sono cose da poco - io tremo, perchè dico: È vero che adesso non sono ancora grandi, è un'erba appena spuntata; ma lasciatela a suo posto e crescerà: il lioncino innocuo si farà leone feroce, e l'orsicino quasi direi grazioso si farà un terribile orso, e la piccola tigre che quasi ti pare carezzevole, diverrà il più feroce degli animali.

                Questo che vi dissi è vero per tutte le passioni; ma ciò che io più raccomando si è di sradicare dal cuore ogni cosa che sia contro la bella virtù della modestia. Fosse pur cosa da nulla, non si usa mai abbastanza riguardo per custodire questa bella virtù, ed il vizio contrario è così cattivo seme, che guai se si lascia germogliare! Sia sempre S. Luigi vostro modello e vostro esempio. Non lasciate mai che nessun pensiero cattivo s'impossessi di voi; poi ritenutezza negli sguardi, nei tratti, nelle parole, in tutto.

                Specialmente poi raccomando che si esaminino bene coloro che ora sono per decidersi sulla loro vocazione. È il punto più importante della vita. Nessuno decida sbadatamente: ciascuno si consulti con qualcuno che possa veramente dargli un buon consiglio. Tutti gli anni vi sono alcuni che fanno sbadatamente questo gran passo, e poi piangono e se ne pentono; ma molte volte non sono più in tempo. Voi pensateci bene e l'esempio degli altri vi serva di ammaestramento. Buona notte.

 

                9 luglio. Esorta a osservare il silenzio secondo la regola.

                Nella visita che testè feci ai nostri Collegi, trovai che vi è una regola dappertutto osservata esattamente, intorno alla quale già si diedero qui mille volte avvisi, e vedo che non si eseguisce. Starò un poco a osservare, darò ancora un avviso e questo sarà per la millesima [253] ed una volta e vedremo se questo ultimo Sarà quello che basti ad ottenere. Io desidero proprio che si faccia silenzio andando dalla Chiesa allo studio, e dallo studio in Chiesa. Così eziandio alla sera dopo le orazioni; e questo silenzio non si interrompa fin dopo la messa del giorno seguente.

                Vedendo che questa regola si eseguisce in tutti gli altri nostri Collegi e qui nell'Oratorio no, andava pensando se negli altri Collegi i giovani fossero più buoni di quelli che si trovano qui; e rispondeva a me stesso che là ce ne sono anche molti dei buoni, ma che tanti dei nostri giovani dell'Oratorio sorpassano e si lasciano di gran lunga indietro nella buona condotta i migliori di altri siti. Eppure l'altra volta che diedi questo avviso, l'effetto desiderato non durò che pochi giorni e poi vidi nuovamente che le file si rompevano andando e uscendo di chiesa, che uno saltava di qua e l'altro di là; poi uno schiamazzo, e qualche volta anche dopo le orazioni, da disgradarne un esercito di rivendugliole. Ora starò a vedere. Non voglio imporre con minacce o castighi; ma lascio alla coscienza di ciascuno il mettere diligentemente in pratica questo avviso. Sappiate che continuando con tale ordine è un vero piacere che fate a D. Bosco. Ma non fatelo solo per questo motivo; fatelo per piacere al Signore ed alla Beata Vergine.

                Oh quante piccole occasioni abbiamo di acquistarci dei meriti! Se noi sappiamo diportarci da persone giudiziose, oh quanto cumulo di premi ci procureremo! Siate poi persuasi che, se si insiste sull'osservanza di certe regole che paiono da poco, ciò si fa solamente per vostro maggior bene. Senza che voi ve ne accorgiate, eseguendo tutti questi avvisi, che in fin dei conti costano poi un piccolo sacrifizio, vi troverete avanzati nella virtù e più ricchi di meriti.

 

                28 luglio. Beato l'uomo che obbedisce a Dio fin dall'adolescenza. Nel visitare una scuola io promisi un premio a quell'alunno che avesse saputo dirmi per iscritto, qual cosa renda più felice l'uomo in questa vita. Chi mi disse le ricchezze, chi l'aver un bell'ingegno, chi la virtù, chi la fede, chi la speranza, chi la carità; ma nessuno diede nel segno. Io allora portai questo paragone. Qual cosa rende felice un puledro? L'essere presto addestrato in quell'ufficio, che dovrà compiere nel corso della sua vita. Ebbene ora riferite il paragone all'uomo. Allora uno scolaro si ricordò d'aver letto nei libri di divozione questa sentenza: Beatus homo, cum portaverit iugum ab adolescentia sua; che vuol dire: Beato l'uomo che fin dalla Sua adolescenza avrà incominciato ad osservare i comandamenti di Dio. Quel giovane scrisse questo versicolo in un suo biglietto e me lo diede. Io lo lessi a tutta la scuola e poi dissi: - Guardate dunque, adesso che siete giovani, di osservare i comandamenti di Dio e sarete beati in questa e nell'altra vita. - Lo stesso dico a voi; fate questo e vedrete quanto sia soave servire il Signore. Buona notte. [254] Una parlata del 10 agosto ha di mira specialmente gli alunni della quinta ginnasiale, quattordici dei quali avevano finito o stavano per finire gli esami di licenza presso il Regio Ginnasio “Monviso”. Alcune delle “buone notti” furono solo riassunte da coloro che le raccolsero.

 

                10 agosto. La vocazione. Ritiratezza e frequenza ai Sacramenti nelle vacanze. - 1 giovani di questo ginnasio che ora hanno subito l'esame, ovvero continuano a subirlo, sono in piena libertà di prendere quella carriera che loro meglio aggrada. Molti sceglieranno lo stato ecclesiastico e di questi chi ha maggior propensione per andare in Seminario, e chi di stare qui. Ma per ognuno sarebbe bene, anzi necessario, che prima di partire per le vacanze decidesse e partecipasse ai Superiori quello che ha in animo di fare l'anno venturo. Così, se vogliono star qui, potranno al ritorno essere subito accettati senza bisogno di altro, dopo però di essere stati a Lanzo a fare gli esercizi spirituali; e per quelli che volessero andare in Seminario, se io lo so, potrò scrivere al proprio Vescovo, e quando andranno là, saranno già preceduti da buone raccomandazioni e potranno subito essere accettati per quel che sono e senza un lungo esame sulla vocazione. E perchè non ne patisca la vocazione e la buona regola di un giovane, che cosa dovrebbe egli fare durante le vacanze? Ecco: essendo io Chierico nel seminario di Chieri, quando venne il Teol. Borel a predicare gli esercizi spirituali, vedendo in lui tanta bontà ed affabilità, mi feci ardito di chiedergli questa stessa cosa. Ed egli, senza pur pensarvi un istante mi rispose: - Sta' ritirato, frequenta i santi Sacramenti e specialmente, la Comunione. - Lo stesso consiglio io dò a voi. Se volete conservarvi buoni e non soffocare la vocazione, osservate: Ritiratezza e frequenza ai santi Sacramenti. Buona notte.

 

                3 agosto. Annunzia ai giovani la festa di san Domenico.

                Domani si fa la festa di S. Domenico. A questo Santo Maria Santissima insegnò il modo di dire il santo Rosario ed egli per il primo lo recitò. Aggiunse poi alla Salve Regina quelle parole: Dignare me laudare te, Virgo sacrata; da mihi virtutem contra hostes tuos. Io non mi fermerò a contarvi la vita di questo Santo nè dei favori che gli compartì fa Madonna; solo mi limiterò a raccomandarvi che recitiate il Rosario con divozione e che non lasciate mai passar giorno senza recitarlo, specialmente quando si dice in comune, sia per onorare Maria Vergine e S. Domenico sia per guadagnare le indulgenze che a questa orazione sono annesse, e sia ancora per ottenere da Maria Santissima quelle grazie, di cui abbisogniamo. [255] Il pensiero della morte informa le tre “buone notti” che vengono ora. I licenziati, appena finiti i loro esami, andavano a casa, donde rivenivano all'Oratorio nella festa della Natività di Maria Santissima per la premiazione. La loro partenza e il tempo dell'anno non potevano non rallentare un poco negli uni il fervore, in altri la disciplina. Ciò spiega forse l'opportunità di questi reiterati richiami ai novissimi.

 

                8 agosto. Modo di far bene la novena dell'Assunta. - Siamo nella novena di Maria Assunta in cielo. Non si fa pubblicamente nella casa nessun esercizio particolare di pietà in questa occasione, ma esortiamo ognuno ad esercitarsi privatamente in qualche opera di pietà, massime nella frequenza della Santa Comunione. Si potrebbero ancora fare delle mortificazioncelle negli occhi, nella lingua ed anche nella gola. Si fa poi questa festa dell'Assunta, perchè tutti preghiamo Maria ad ottenerci un transito felice, simile a quello che essa ha fatto, il quale più che morte si deve chiamare placido sonno. Io vi auguro a tutti una simile morte.

 

                9 agosto Costanza nel bene per essere tranquilli in punto di morte. - Una signora si raccomanda alle preghiere della Casa. Si farà un triduo per lei e si desidera che anche per lei domenica vengano offerte le preghiere e le Comunioni degli ottimi giovani dell'Oratorio.

                Quest'oggi fui a visitare una signora molto ricca, che si trova gravemente inferma. Servi, parenti, amici erano tutti in faccende. Non si trattava che di medici, di medicine e di consulti ed intanto la povera inferma era vicina a presentarsi al tribunale di Dio. Si è confessata e dopo tuttavia si mostrava inquieta e non poteva adattarsi al pensiero della morte e di dover abbandonare le ricchezze. Oh vanità delle cose mondane! Ed io pensava tra me: I miei giovani sono molto più felici dei ricchi e dei potenti di questo mondo, poichè essi affrontano la morte allegri, anzi desiderosi di liberarsi dal corpo, per andare a godere il Signore, come si è veduto di quelli che morirono qui in Casa; mentre i ricchi, anche non veramente cattivi, non possono non temere la morte vicina. E quelli che oggi fanno le loro divozioni e domani si ubbriacano, digiunano al sabato e poi mangiano carni al venerdì, e via via di questo passo, un poco del Signore, un poco del demonio, non possono essere da Dio benedetti e tremano all'appressarsi dell'ultima ora.

                Ma noi viviamo sempre nel santo timor di Dio e al fine della vita affronteremo intrepidi le agonie della morte. [256] 10 agosto. Rimorsi dei peccatori in punto di morte e propositi vani. - Una persona da uno dei nostri Collegi si recò a casa chiamata dai suoi per la malattia del padre; arrivato, lo trovò già morto. Ora noi che preghiamo sempre per tutti quelli che si raccomandano alle nostre preghiere, tanto più dobbiamo pregare per questo defunto, il quale è padre di un sacerdote della nostra Congregazione, che fa molto del bene alle anime.

                Ora continuerò un poco l'argomento di ieri sera, argomento di somma importanza, come quello che tratta della morte. Se si sbaglia, è tutto perduto; poichè si muore una volta sola.

                È di gran tormento ai moribondi l'aver goduto durante la vita, pensando alla sanità data loro da Dio e come fu male impiegata, pensando che Dio diede loro le mani ed essi le adoperarono a commettere furti ed a fare altri peccati. Dio loro diede la lingua e a che cosa se ne servirono? A mormorare, e forse anche a bestemmiare Iddio e a fare discorsi cattivi. Dio diede loro gli occhi ed essi se ne servirono a leggere cattivi libri, a guardare cose indecenti. Dio li fornì, supponiamo, di sostanze, e quale uso ne fecero? Per la superbia della loro vita, per darsi liberamente a secondare i capricci di una vita senza regola, ad opprimere il debole, ad essere duri coi poveretti. Ah, che tormento sarebbe questo ricordo!

                Ma io non voglio dilungarmi in queste cose, che spero non facciano per noi. Vedete adunque come chi ha goduto in vita sarà tormentato non solamente in punto di morte, ma ancora nelle gravi malattie, in cui vi sia pericolo di vita. Ed allora si lamentano: - Oh se avessi fatto questo! Oh se avessi fatto quello! - E se guariscono, ritornano a fare la stessa vita di prima, dimenticando i proponimenti fatti. Miserabili! In punto di morte si deve avere operato e non volere operare.

                Noi adunque non aspettiamo in quegli ultimi momenti a darci al Signore, ma subito adesso; e Domenica, festa dell'Assunzione di Maria Santissima, ognuno di noi possa dire in cuor suo: Se avessi da morire in questo istante, io morrei contento e con ferma speranza di andare in Cielo.

 

6° UN SOGNO.

 

                Nel '76, Don Giuseppe Vespignani, nuovo ancora dell'Oratorio, si al rischiò a interrogare Don Bosco sopra i suoi sogni, domandandogli con filiale confidenza che cosa se ne dovesse pensare. Don Bosco gli diede una risposta generica, ma sufficiente, dicendo che nelle sue condizioni, senza mezzi, senza personale, sarebbe stato impossibile lavorare a pro [257] della gioventù, se Maria Ausiliatrice non fosse venuta in soccorso con lumi speciali e con copiosi aiuti non solo materiali, ma anche spirituali[131]. Lumi speciali e speciali aiuti della Madonna sono dunque da considerarsi i suoi sogni. Nella vita dell'Oratorio i sogni di Don Bosco esercitarono un'azione, che lo storico non può trascurare; vi si sarebbero detti ormai un'istituzione domestica. Si perpetuava il ricordo e l'impressione di quelli del passato e se ne aspettavano sempre di nuovi. L'annunzio di un sogno metteva in orgasmo piccoli e grandi; il racconto era ascoltato con avidità; i buoni effetti non si facevano lungamente aspettare.

                Nella "buona notte" del 30 aprile Don Bosco, esortando a far bene il mese di maggio, dopo aver raccomandato a questo scopo maggior diligenza nell'adempimento dei propri doveri e la scelta di qualche divota pratica in onore di Maria, soggiunse che aveva un sogno da raccontare; ma che, non essendovi più tempo per l'ora tarda, l'avrebbe narrato la domenica seguente, 2 maggio.

                I giovani non istavano più nella pelle. Ad acuirne l'aspettazione sopravvenne un ritardo di altri due giorni, per essere Don Bosco impedito. Finalmente, alla sera del 4 maggio, il comune desiderio potè essere appagato. Dopo le orazioni Don Bosco dalla solita cattedra parlò così:

                Eccomi a mantenere la mia promessa. Voi sapete che i sogni si fanno dormendo. Avvicinandosi adunque il tempo degli esercizi spirituali, io pensava al modo col quale i miei giovani li avrebbero fatti, e che cosa dovessi lor suggerire per ricavarne frutto. Andai a letto con questo pensiero la notte della domenica 25 aprile, vigilia degli esercizi. Appena coricato, presi sonno e mi sembrò di trovarmi tutto solo in una estesissima valle: di qua e di là vi era un'alta collina. In fondo alla valle da una parte il terreno si alzava e quivi splendeva una luce chiara, dall'altra parte l'orizzonte era semioscuro.

                Stando io a contemplare questa pianura, vidi venire verso di me Buzzetti con Gastini, i quali mi dissero: - Don Bosco, monti a cavallo; presto, presto! [258] Ed io: - Voi mi volete burlare: sapete che da molto tempo io non sono più andato a cavallo! - I due giovani insistevano; ma io mi schermiva ripetendo: - Non voglio andare a cavallo, sono andato una volta e sono caduto. - Buzzetti e Gastini sempre con maggior premura mi facevano pressa, dicendo:

                - Monti a cavallo, e presto, chè non abbiamo tempo da perdere.

                 - Ma insomma, quando poi sia a cavallo, dove volete condurmi?

                 - Vedrà, faccia presto, monti.

                 - Ma dove si trova questo cavallo? Io qui non vedo nessun cavallo.

                 - Eccolo là! - gridò Gastini, additandomi un lato di quella valle. Io mi voltai da quella parte e infatti vidi un bellissimo e brioso cavallo. Aveva alte e grosse le gambe, folta la criniera e lucentissimo il pelo.

                 - Ebbene, risposi, poichè volete che io monti a cavallo, monterò; ma guardate bene che se mi fate cadere...

                 - Stia sicuro, risposero; ci siamo noi con lei pronti ad ogni evento.

                 - E se mi rompo il collo, dissi a Buzzetti, tu dovrai mettermelo a posto.

                Buzzetti si pose a ridere. - Non è più tempo di ridere! - brontolò Gastini. Così ci avvicinarono al cavallo. Salii sulla groppa con molta fatica, mentr'essi mi aiutavano: ma, finalmente, eccomi in arcione. Come mi sembrò alto allora quel cavallo! Mi pareva di trovarmi come sopra un poggio elevato, dal quale io dominava tutta la valle fino alle ultime sue estremità.

                Quand'ecco il mio cavallo mettersi in moto, e qui nuova stranezza: parevami di essere nella mia camera e domandai a me medesimo: - Dove siamo? - E vedeva entrare per trovarmi preti, chierici ed altre persone tutti spaventati, tutti affannati.

                Dopo un buon cammino il cavallo si fermò. Allora vidi venire verso di me tutti i preti dell'Oratorio con molti chierici, i quali circondarono il mio cavallo. Fra costoro vidi Don Rua, Don Cagliero, Don Bologna. Come furono arrivati, si posero fermi, in piedi, a contemplare un tanto cavallo, sul quale io sedeva: ma nessuno parlava. Io li vedeva tutti con un aspetto melanconico, che significava un turbamento, di cui non avevo mai visto l'eguale. Chiamai a me Don Bologna e gli dissi: - Don Bologna, tu che sei alla porteria, sai dirmi che cosa di nuovo ci sia in casa? Perchè vedo in tutti un turbamento così grande?

                Ed egli a me: - Io non so dove mi sia... che cosa mi faccia... Sono imbrogliato... Venne gente, parlarono, uscirono; c’è alla porteria un guazzabuglio di andare e venire, che io non ne capisco più niente.

                 - Oh possibile, io andava ripetendo fra me stesso, che quest'oggi abbia da succedere qualche cosa di straordinario? [259] Allora qualcheduno portò e mi porse una tromba, dicendomi di tenerla che mi sarebbe servita. Io domandai:

                 - Dove siamo qui?

                 - Soffi nella tromba!

                Soffiai nella tromba, e ne uscì questa voce: Siamo nel Paese della prova.

                Quindi si vide discendere giù dalla collina una quantità di giovani tale, che credo fossero un cento e più mila. Nessuno parlava. Tutti, armati di una forca, si avanzavano a gran passi verso la valle. Fra questi vidi tutti i giovani dell'Oratorio e degli altri collegi nostri, e moltissimi che io neppur conosceva. In quel mentre da una parte della valle incominciò a oscurarsi il cielo per modo tale, che pareva notte, e comparve un immenso numero di animali, che parevano leoni, parevano tigri. Questi mostri feroci, grossi di corpo, con gambe robuste e collo lungo, avevano la testa piuttosto piccola. Il loro muso metteva spavento: con gli occhi rossi quasi fuori delle occhiaie, si slanciarono contro i giovani, i quali, vedendosi assaliti da quegli animali, si posero in difesa. Avevano in mano una forca a due punte e presentavano quella forca a quei mostri, alzandola e abbassandola secondo l'assalto dei medesimi.

                I mostri, non potendo vincere al primo impeto, mordevano i ferri della forca, si rompevano i denti e sparivano. C'erano di quelli che avevano la forca con una sola punta, e questi rimanevano feriti; altri l'avevano col manico rotto, altri col manico tarlato, ed altri, presuntuosi, si gettavano contro quegli animali senz'arma e rimanevano vittime, e rimasero uccisi, e non pochi. Molti l'avean col manico nuovo e con due punte.

                Intanto il mio cavallo da principio fu pure circondato da una quantità sterminata di serpenti. Ma esso con salti e calci a destra ed a sinistra li schiacciava e li allontanava, mentre s'innalzò ad una grande altezza ed andava sempre crescendo.

                Ho domandato a qualcheduno che cosa significassero quelle forche colle due punte. Mi si portò una forca e vidi scritto sopra una delle due punte: Confessione; e sopra l'altra: Comunione.

                 - Ma che cosa significano quelle due punte?

                 - Soffi nella tromba.

                Soffiai e ne uscì questa voce: Confessione e Comunione ben fatte.

                Soffiai di nuovo e ne uscì questa voce: Manico rotto: Confessioni e Comunioni mal fatte. Manico tarlato: Confessioni difettose.

                Finito questo primo assalto, feci a cavallo un giro pel campo di battaglia e vidi molti feriti e molti morti.

                Alcuni osservai che giacevano per terra morti, ma strangolati, col collo gonfio in modo deforme: altri colla faccia deformata in modo orribile, ed altri morti di fame, sebbene avessero lì vicino un piatto di bei confetti. Quelli strangolati son coloro, che, avendo avuta la [260] disgrazia di commettere sin da piccoli qualche peccato, non se ne confessarono mai; quelli deformi nella faccia erano i golosi; quelli morti di fame, coloro che vanno a confessarsi, ma non mettono in pratica gli avvisi e gli ammonimenti del Confessore.

                Vicino a ciascuno di quelli che avevano il manico tarlato, stava scritta una parola. Chi aveva scritto Superbia, chi Accidia, chi Immodestia, ecc. Devesi ancora notare che i giovani, mentre camminavano, passavano sopra uno strato di rose e ne godevano; ma fatti pochi passi, mandando un grido, cadevano morti o rimanevano feriti, poichè sotto le rose c'erano le spine. Altri però, calpestando quelle rose con coraggio, vi camminavano sopra, animandosi a vicenda, e rimanevano vincitori.

                Ma di nuovo si oscurò il cielo e in un momento comparve una quantità di quegli animali o mostri superiore alla prima volta, ma tutto ciò in meno di tre o quattro minuti secondi, ed anche il mio cavallo ne fu circondato. I mostri crebbero a dismisura, per modo che anch'io cominciai ad avere paura; e mi sembrava già di esser graffiato dalle loro zampe. Senonchè in buon punto si portò anche a me una forca; allora presi io pure a combattere, e quei mostri furono messi in fuga. Tutti scomparvero, perchè vinti al primo assalto, scomparivano.

                Allora soffiai nella tromba e rimbombò per la valle questa voce: Vittoria, Vittoria.

                 - Ma come? dissi io, abbiamo riportato vittoria? Eppure vi sono tanti feriti ed anche morti!

                Allora, soffiando nella tromba, si sentì questa voce: Tempo ai vinti. Poi il cielo di oscuro che era, diventò sereno, si vide un arcobaleno od un'iride così bella, con tanti colori, che non si può descrivere. Era così largo, come se si appoggiasse a Superga e facendo un arco andasse a poggiare sul Moncenisio. Devo ancor notare che i vincitori avevano sulla testa corone così brillanti, con tanti e tali colori, che era una meraviglia a vederli; e poi la loro faccia risplendeva d'una bellezza meravigliosa. Verso il fondo, da una parte della valle e di mezzo all'arcobaleno, si vide una specie di Orchestra, in cui si vedeva gente piena di giubilo e con tante bellezze che non posso neppure immaginare. Una nobilissima Signora vestita regalmente si fece alla sponda di quel balcone gridando: - Figli miei, venite, ricoveratevi sotto il mio manto. - In quel mentre si distese un larghissimo manto e tutti i giovani presero a corrervi sotto; solamente che alcuni volavano ed avevano scritto sulla fronte: Innocenza; altri camminavano a piedi ed altri si strascinavano: ed anch'io mi misi a correre ed in quell'istantaneo movimento, che durò non più di un mezzo minuto secondo, dissi tra me: - O questo deve finire, o, se continua ancora un poco, moriremo tutti. - Detto questo, mentre correva, mi svegliai. [261] Per il motivo che dirà, ritornò sull'argomento il 6 maggio, festa dell'Ascensione. Fatti perciò riunire studenti e artigiani a dir le preghiere della sera, così parlò:

                L'altra sera non ho potuto dir tutto a cagione d'un forestiero che era presente. Queste cose stiano fra noi, non si scrivano nè a parenti nè ad amici. Io con voi dico tutto, anche i miei peccati: quella valle, quel paese di prova è questo mondo. Il semioscuro è, il luogo di perdizione; le due colline i Comandamenti della legge di Dio e della Santa Chiesa; quei serpenti i Demoni; quei mostri le cattive tentazioni: quel cavallo mi sembra che significhi il cavallo che percosse Eliodoro, ed è la confidenza in Dio; quelli che passavano sulle rose e cadevano morti, sono quelli che si danno ai piaceri di questo mondo, che arrecano morte all'anima. Quelli che calpestavano le rose, sono quelli che disprezzano i piaceri del mondo e riescono vincitori. Quelli che volavano sotto il manto, sono gli innocenti.

                Ora coloro che desiderassero di sapere la loro arma, se fossero o no vincitori, morti o feriti, un poco per volta io lo dirò. Sebbene non conoscessi tutti quei giovani, tuttavia quelli che si trovano all'Oratorio, li conobbi. E gli altri che forse dovranno venire, se li vedessi, mi ricorderei benissimo della fisonomia,

                Il segretario Don Berto, che stese la narrazione, scrive che molte cose non le ricorda più, ma che Don Bosco espose e spiegò più diffusamente. La mattina del 7 gli domandò nella sua camera:

                 - Come fa Ella a ricordarsi di tutti i giovani che vide in sogno e dire a ciascuno lo stato in cui si trovava, specificando così bene i difetti di ognuno?

                 - Eh! Con l'Otis Botis Pia Tutis. - Una delle risposte che egli dava, quando voleva eludere domande imbarazzanti.

                Anche a Don Barberis entrato a parlargli di ciò, Don Bosco rispose tutto serio: - C'è ben qualche cosa più che un sogno! - Ma troncò il discorso, passando ad altro.

                Don Berto finisce la sua relazione con queste parole: “Anch'io che scrivo queste cose, volli dimandare la parte mia; n'ebbi risposta così precisa, che piansi e dissi: - Se fosse [262] venuto un angelo dal cielo, non poteva colpir meglio nel segno -”.

                Una seconda volta il sogno offerse il tema della "buona notte", e fu il 4 giugno. Gli uditori assistettero allora a questo dialoghetto fra Don Barberis e Don Bosco.

                DON BARBERIS. Se mi permette, Sig. Don Bosco, stassera io vorrei fare alcune domande. Nelle sere scorse, essendovi dei forestieri, non osai fare ciò. Desidererei qualche spiegazione sull'ultimo sogno.

                DON BOSCO. Di' pure. È vero che già è passato molto tempo dal giorno che feci quella narrazione; ma non importa.

                DON BARBERIS. Sulla fine del sogno ha raccontato che alcuni volavano sotto il manto di Maria, molti correvano, altri andavano lenti, e alcuni camminavano nel fango, restavano tutti imbrattati e per lo più non arrivavano fino sotto al manto. Ci ha già detto che coloro che volavano erano gl'innocenti; è facile capire chi siano quelli che andavano in fretta; ma costoro che restavano impantanati chi raffiguravano?

                DON BOSCO. Coloro che restavano così impantanati, che per lo più non arrivavano sotto il manto della Madonna, sono coloro che sono attaccati ai beni di questa terra. Avendo un cuore egoista, non pensano che a se stessi; da per se stessi s'infangano, e non sono più capaci di prendere uno slancio per le cose del cielo. Vedono che Maria Vergine li chiama, vorrebbero andare, fanno qualche passo, ma il fango li attira. E così avviene sempre. Il Signore dice: Dove è il tuo tesoro, ivi è il tuo cuore. Coloro che non si sollevano ai tesori della grazia, mettono il loro cuore nelle cose della terra, e non pensano che a godersela, a farsi ricchi, a prosperare i negozi e ad acquistar fama. E per il Paradiso nulla.

                DON BARBERIS. Vi è un'altra cosa che Ella, Sig. Don Bosco, non ha raccontata, quando ci parlò del sogno, ma che la disse ad alcuno in particolare e vorrei che ce la spiegasse. E? questa. Qualcuno le domandò del suo stato, se correva o andava adagio, o se era andato già sotto il manto di Maria: se aveva l'arma rotta o tarlata. Ed Ella rispose che non l'ha potuto veder bene, poichè una nube s'interponeva tra il giovane e Lei.

                DON BOSCO. Tu sei teologo e lo devi sapere. Ecco. Veramente vi erano vari giovani, non però in numero molto grande, che io non poteva veder bene. Osservava, conosceva il giovane, ma non poteva veder altro. E, costoro, miei cari figliuoli, sono quelli che si tengono chiusi ai Superiori, non palesano il loro cuore, non sono sinceri. Se vedono un superiore di qua, piuttosto che incontrarsi con lui, volgono il passo di là. Di costoro alcuno venne a domandarmi come lo [263] vidi; ma che cosa volete che io rispondessi? Poteva dire: Tu non hai confidenza nei Superiori, tu non apri loro il tuo cuore. Eppure, tenetelo tutti bene a mente, una cosa che vi può fare più del bene si è questa: aprirvi coi vostri Superiori, aver molta confidenza in loro ed essere schiettamente sinceri.

                DON BARBERIS. Ancora una cosa vorrei domandarle, ma temo; ho paura che mi dica che sono troppo curioso.

                DON BOSCO. E chi non lo sa che sei curioso? (Risata universale). Tuttavia bada che c’è una sorta di curiosità che è buona. Quando un giovanetto domanda sempre questo o quello per istruirsi a chi lo può sapere, costui fa bene. Invece ve ne ha dì quelli che stan sempre lì come tanti farfu[132]. Non domandano mai nulla. Per costoro questo non è buon segno.

                DON BARBERIS. Oh allora io non sarò di quelli. L'interrogazione che da molto tempo desiderava di farle, si è questa. In quel celebre sogno vide solo le cose passate dei giovani o vide anche l'avvenire, ciò che ciascuno farà, a che cosa ciascuno riuscirà?

                DON BOSCO. Ecco: non vidi solo le cose passate: ho anche visto l'avvenire, che sta in faccia ai giovani. Ogni giovane aveva avanti a sè più strade, anche strette e spinose, alcune delle quali erano eziandio cosperse di punte di chiodi acute. Ma queste strade erano pure cosperse di grazie del Signore. Andavano a finire in un giardino amenissimo, dove era ogni sorta di delizie.

                DON BARBERIS. Ciò vuol dire che saprà indicare qual è la strada che deve percorrere ciascuno, cioè quale è la propria vocazione di ognuno di noi, come andremo a finire, per qual via ci metteremo.

                DON BOSCO. In riguardo al dire per qual via ciascuno si metterà e come andrà a finire, non è il caso. Dire ad un giovane: - Tu camminerai per la via dell'empietà - non è cosa che faccia del bene; solo riempie di spavento. Ciò che posso dire si è questo: che se il tale si mette per tal via, egli è sicuro di essersi messo sulla via del cielo, per quella cioè a cui è chiamato: e chi non segue la tal via, costui non è per la via diritta. Alcune vie sono strette, ciottolose, spinose; ma fatevi coraggio, miei cari figliuoli; con le spine c’è anche la grazia di Dio; e poi tanto bene ci aspetta al termine del cammino, che dimenticheremo presto le punture.

                Quello poi che io voglio che teniate a memoria si è, che questo fu un sogno, a cui nessuno è obbligato di credere. Osservo, è vero, che tutti quelli che mi domandano spiegazioni, prendono tutti in buona parte l'avviso; tuttavia fate come diceva S. Paolo: Probate spiritus et quod bonum est tenete. Un'altra cosa che non vorrei che dimenticaste si è di ricordarvi nelle vostre orazioni del povero Don Bosco, affinchè non avvenga di me come dice S. Paolo: Cum aliis [264] predicaverim, ego reprobus efficiar, che predicando a voi, io abbia poi ad andar dannato. Io cerco di avvisar voi, penso a voi, suggerisco consigli, ma temo di fare come la chioccia. Essa va cercando grilli, vermicelli, sementi ed altro cibo, ma tutto per i pollastrini, e se non ha qualche abbondante cibo preparato apposta per lei, muore anche di fame. Raccomandatemi adunque al Signore, affinchè ciò non mi avvenga, ma che io riesca ad ornare il mio cuore di molte virtù, sicchè possa piacere a Dio e possiamo poi tutti insieme andarlo a godere e glorificare in paradiso. Buona notte.

 

 

CAPO XI. Ancora la vita dell'Oratorio nel '75.

 

                ARTIGIANI e studenti non costituivano tutta la famiglia dell'Oratorio. Nell'Oratorio, sotto il regime paterno di Don Bosco, vivevano pure ascritti e professi in buon numero. Vedere come Don Bosco amalgamasse tanti elementi così disparati, sarà oggetto dì quest'altro capo sulla vita dell'Oratorio. Ma il capo riuscirebbe monco, se non dicessimo prima degli aspiranti, figli in massima parte dell'Oratorio.

 

I° ASPIRANTI.

 

                A giudizio dell'Ordinario torinese, Don Bosco si sarebbe vantato di fornire alla diocesi giovani disposti allo stato chiericale, mentre in realtà traeva a sè in grande quantità giovanetti di tutte le diocesi e poi “con la mestola” scerneva e si pigliava il meglio, rimandando i meno idonei alle diocesi di origine[133]. Come quadrasse ciò con quanto si blaterava intorno all'inettitudine dei soggetti salesiani, indovinala grillo. Il fatto era che a Don Bosco nell'Oratorio si offrivano provvidenziali occasioni di buone conquiste ed egli non se le lasciava scappare.

                La vigilia dell'Immacolata, nella solita mezz'ora d'intimità con alcuni pochi de' suoi dopo la cena, egli manifestò un proprio convincimento, il quale, a chi, guardando indietro, [266] rievoca il ricordo degli antichi Salesiani, spiega come l'Oratorio abbia dato tanti membri alla Pia Società. Disse: “Su cinquecento studenti che si trovano nell'Oratorio, più di quattrocento e forse quattrocentocinquanta sono disposti presentemente a vestire l'abito di chierico e tengono tale condotta da poter essere consigliati a vestirlo. Certo, di questi, col progredire degli studi e specialmente nel tempo delle vacanze, una parte si perderà; tuttavia il numero sarà sempre grande ed altri si aggiungeranno. Vedendo poi tutti come qui nell'Oratorio vi sia larghissimo campo a fare del bene e piacendo loro la nostra vita, molti di questi giovani sentiranno propensione a fermarsi in casa”. E poichè lo spirito dell'Oratorio, grazie ai direttori plasmati ivi da Don Bosco, si propagava nelle nuove Case, egli potè soggiungere: “Nel visitare di recente gli altri collegi ho visto una spiccata tendenza per la vita ecclesiastica e religiosa; tanti me ne parlarono ex Professo, benchè i più avessero ancora la casa e le vacanze nelle ossa e sebbene io non li ricercassi per nulla di questo, non essendo adesso il momento opportuno”.

                Il tempo buono era invece, quando si facevano gli esercizi spirituali fra l'aprile e il maggio; da allora alla fine dell'anno scolastico egli diceva che bisognava consigliare, dirigere, spingere, aiutare. In quel periodo i giovani prendevano le decisioni e andavano da sè a consigliarsi, senza che occorressero sforzi per eccitarli.

                Sotto questo punto di vista com'erano cambiate le cose nell'Oratorio! Allorchè la Congregazione contava poche decine di membri e lo spirito era in via di formarsi e si agiva piuttosto in segreto, Don Bosco di vocazione parlava, per dir così, sottovoce, temendo di spaventare. Invitando qualcuno, si guardava bene dal lasciar trapelare l'idea che si trattasse di Ordine religioso. Se egli avesse parlato chiaro, “saremmo fuggiti tutti”, disse quella sera uno de' suoi figli più affezionati, Don Giulio Barberis. Suscitava aspiranti, valendosi di espressioni come queste: “Vuoi bene a Don Bosco?... [267] Vuoi fare il chiericato nell'Oratorio?... Hai voglia col tempo di aiutare Don Bosco, lavorando con lui?... Oh, quanto c’è da fare! Fossero pur molti i preti e i chierici che si fermassero in Casa, ci sarebbe lavoro per tutti”. Generalmente gli anziani rimasero adescati a questo modo, in un modo cioè spontaneo e affettuoso; Don Bosco aveva da Dio la grazia di coltivar in loro con grande amabilità questo sentimento, senza ombra di ciò che oggi si chiamerebbe violenza morale. Don Barberis, quando venne il suo giorno, si presenta a Don Bosco e candidamente gli dice:

                 - I miei genitori mi cercano un posto in seminario. Io che cosa debbo scrivere?

                 - Scrivi che, riconoscente a Don Bosco, desidereresti fermarti con lui, per vedere se potessi, da chierico, aiutarlo nei tanti lavori che sono in Casa, di assistenza, di scuola e d'altro.

                “Ed io veramente, scrive Don Barberis in quest'anno, allora non ne capiva, non ne sapeva, non ne desiderava di più”.

                Ma nel '75 ci si capiva già, e di molto; il pericolo di spaventare poteva ancora sussistere, ma per qualche raro individuo soltanto. Da luglio a settembre Don Bosco si assentava il meno possibile, perchè gli alunni della quinta ginnasiale erano prossimi a partire per le loro ultime vacanze. Per lo più aspettavano a decidersi nell'ultimo mese sulla vocazione; dal trovarsi o no Don Bosco in Torino, facilmente dipendeva per alcuni lo stato di tutta la vita.

                I lettori saranno vogliosi di vedere Don Bosco all'opera. Ebbene, la storia di uno è la storia di cento. Don Vacchina, che abbiamo incontrato poc'anzi, faceva nel '75 la quinta ginnasiale. In uno degli ultimi esercizi della buona morte ruminava fra sè e sè la sua decisione e non sapeva che pesci pigliare. Altre volte Don Bosco gli aveva detto: - Studia, prega, poi decideremo. - Ma i giorni passavano, e quel poi non veniva mai. Quella mattina adunque fra i moltissimi [268] assiepati intorno a Don Bosco per confessarsi Vacchina era il primo e ci s'era preparato bene. Ma Don Bosco lo fece aspettare ultimo. Andati via tutti, lo benedisse, dalla sinistra dove si trovava lo fece passare a destra e ne udì la confessione. Terminata l'accusa, il giovane ruppe il ghiaccio e chiese di quella benedetta decisione. N'ebbe per consiglio di farsi prete ma non nel mondo.

                 - Allora, se non vi è difficoltà, disse, io sto volentieri con Lei qui nella Casa.

                 - Io, rispose Don Bosco, ne sono ben contento. Vedi: ti ho sempre voluto bene, ti sono sempre stato amico, sebbene non te l'abbia dimostrato. Studia, prega, da' buon esempio...

                “Altro mi disse ancora, scrive Don Vacchina, con tanta carità, che piansi, feci la comunione da solo alle nove e dimenticai il pane e il sospirato salame”. Si sa bene che Don Bosco, dopo l'anima, pensava al corpo nell'esercizio della buona morte; tutto l'uomo doveva essere contento nei giorni di grazia.

                Don Bosco, pur bisognoso di accrescere il numero dei soci, non ispalancava le porte agli aspiranti, perchè entrassero oves et boves. In una seduta del Capitolo Superiore, tenutasi il 7 novembre, furono esaminate nove domande di aspiranti, delle quali otto sole vennero accolte. Per il nono, sebbene fosse già studente secolare di filosofia nell'Oratorio, si deliberò di sottometterlo a prove un po' serie, da cui conoscere quale spirito lo movesse; si volle perciò che fosse tolto, come si diceva allora, dalla filosofia temporaneamente, senza però far sapere a lui che ciò era ad tempus, e gli si assegnassero servizi domestici.

                Don Bosco accoppiava alla bontà la prudenza: in Congregazione non accettava nessuno, se prima non lo conosceva bene di scienza propria. Nel '75 si notò che per l'ammissione degli aspiranti al noviziato egli andava sempre più a rilento, massime se gli aspiranti desideravano di vestire l'abito ecclesiastico. “Costoro, diss'egli in una conferenza di capitolari [269] delle varie Case durante gli esercizi autunnali, non si debbono accettare, se non diedero segno di una moralità a tutta prova o se non si lasciarono conoscere abbastanza bene e non ebbero confidenza grande nei superiori. Per i laici su questo secondo punto si può essere un po' più larghi, ma per i chierici no. Riguardo al primo punto è da notare che non basta la buona volontà, non bastano i propositi del momento; questo basterà per l'assoluzione, ma non basta per assicurare che in seguito non cadranno di nuovo. Perciò, se non diedero durante un lungo tempo segni straordinari di perseveranza, non bisogna fidarci; ordinariamente ricadono”.

                Ai primari superiori che secondavano studiosamente gli sforzi di Don Bosco nell'avviare le cose verso una sempre più perfetta regolarità, si affacciò nel '75 il dubbio, se vi fosse obbligo di chiedere agli Ordinari le lettere testimoniali prima di ammettere aspiranti come chierici al noviziato, a tenore del decreto emanato dalla Santa Sede nel 1848. Fino allora non ci si era badato per due motivi. Anzitutto i giovani aspiranti stavano fin da fanciulli in Case Salesiane, sicchè i vescovi, ignari affatto della loro condotta e condizione, non se ne sarebbero potuti ragguagliare se non assumendo informazioni presso i Salesiani medesimi, i quali da sei, otto, dieci anni li avevano sott'occhio. D'altro canto, Don Bosco, avendo rappresentato il caso a Pio IX, ne aveva ottenuta vivae vocis oraculo risposta favorevole. E nulla consigliava la fretta nell'abbandonare quella linea di condotta; poichè non solamente Torino, ma anche Ivrea era un osso duro, e un contingente notevole di aspiranti apparteneva proprio a entrambe queste diocesi. Faceva opinare per la conformità alla legge lo spauracchio, che in eventuali contingenze la Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari non avrebbe mai fatto verun caso dell'accampare facoltà oralmente concesse dal Papa. Non sarebbe dunque stato meglio per lo meno invocare dalla Santa Sede un rescritto e nel frattempo rivolgersi ai vescovi per le testimoniali ogni volta che giungessero domande da soggetti [270] non educati nelle Case salesiane? Don Bosco stette per il quieta non movere: egli fra breve sarebbesi recato a Roma e là avrebbe accomodato tutto; intanto si continuasse a usufruire dell'esenzione, come per l'innanzi.

                Un provvedimento invece che noti soffriva indugio era la designazione degli esaminatori generali e provinciali, voluti dal suddetto decreto per l'ammissione al noviziato. Anche qui si fece come si potè. Pio IX, che era a giorno delle difficoltà fra cui si dibatteva la Congregazione in quei primordi, non aveva dato su certe cose carta bianca a Don Bosco? Si provvide adunque così: i membri del Capitolo Superiore avrebbero tenuto il luogo degli esaminatori generali, e i Capitoli particolari delle Case avrebbero fatto le parti degli esaminatori provinciali. Nell'Oratorio però esaminatori provinciali sarebbero stati soltanto i membri del locale Capitolo, che non appartenessero al Capitolo Superiore, cioè sette su dieci. Queste funzioni furono esercitate per la prima volta a Lanzo durante gli esercizi spirituali, che ivi si fecero dal 9 al 16 settembre, quando tutti i confratelli formanti i Capitoli delle singole Case vennero convocati da Don Bosco per procedere all'esame delle domande di postulanti, che aspiravano al noviziato o alla professione. Vi furono ammessi diciotto ai voti perpetui; “in Congregazione, nota la cronaca, [era] la prima volta che vedeasi un numero così grande di accettati in una sola seduta”.

                Nel mese di novembre vestirono l'abito chiericale quarantotto ascritti, cifra non mai raggiunta precedentemente. Don Bosco ne sperava ancora di più per l'anno prossimo, essendovi molti giovani di quinta e di quarta ginnasiale, che ne avevano già fatto domanda o dimostrato vivo desiderio. Quello poi che maggiormente lo consolava era lo scorgere come i chierici si andassero rassodando nello spirito. Negli anni passati si doveva far deporre l'abito a parecchi; altri, fermatisi un po' di tempo per convenienza nell'Oratorio, finivano con l'andarsene in seminario. Ma fra i novellamente [271] vestiti gli pareva che di simile gente non ci fosse nessuno o quasi nessuno.

                Non è a dire quanto gongolasse di gioia il maestro dei novizi. Nulla di più opportuno per farei un'idea dei sentimenti d'allora che riprodurre testualmente l'espressione degli entusiasmi di quell'anima candida. Il 7 dicembre, ragionando con Don Bosco dei nuovi chierici in presenza di altri prese ad esclamare: “Quattro anni fa, eravamo tutti meravigliati, dicendo: - Oh! quest'anno diciotto chierici nuovi! Diciotto è un bel numero! Qui nell'Oratorio non furono mai tanti. L'anno dopo crebbe questo numero, l'anno appresso ancora dì più, e l'anno scorso si credette un vero portento, perchè i chierici nuovi ascendevano a trenta e si gridava da tutti: Non si vide mai tanto nell'Oratorio! - Ora sono quarantotto, e vi è speranza che un altr'anno il numero dei chierici riesca molto maggiore”. Uno dei presenti che doveva essere amico della matematica e scienze affini, rincalzò: - Le cose procedono con progressione geometrica o meglio in ragione del quadrato della distanza. - Tutti fecero coro con chi inneggiando proruppe nel biblico: A Domino factum est istud et est mirabile in oculis nostris.

 

2° ASCRITTI.

 

                In quell'anno il noviziato venne sospinto molto innanzi sulla via della normalità. A questo esordio ogni lettore non edotto delle circostanze inarca probabilmente le ciglia. Eppure, se oggi la Congregazione è quello che è, si deve al fatto che allora si contentò dì essere quello che potè. A Don Bosco ce ne volle pazienza per crearsi l'ambiente propizio! Ci fu tempo, in cui la parola novizi avrebbe urtato i nervi ai grandi e terrificato i piccoli. Solo nel '74 Don Bosco sì arrischiò a usarla; nel '75 poi la si udiva correre sulle labbra degli ascritti medesimi che ormai senza paura si chiamavano fra loro con tal nome. [272] È importante più che non si creda il prospettare bene questo periodo della nostra storia: compito tanto più facile, perchè lo possiamo riassumere con le parole stesse di Don Bosco. Udiamo com'egli descriva e commenti le fortunose vicende degli anni antecedenti.

                 - Quanti disordini esteriori avvenivano in quel tempo! Specie di lotte fra i chierici in dispute letterarie o teologiche, al tutto fuor di tempo e fuori di modo; disturbi continui e gravi nello studio, quando non vi erano i giovani; molti al mattino stavano a letto; alcuni non andavano a scuola senza dir nulla ai superiori; non si faceva la lettura spirituale, non la meditazione, non gli esercizi di pietà fuori che coi giovani. Ora invece, oh, quante cose si cambiarono un poco per volta e si andarono stabilendo e rassodando!

                 - Eppure io vedeva tutti quei disordini e lasciava che si tirasse avanti come si poteva. Se avessi voluto togliere tutti i disordini in una volta, avrei dovuto chiudere l'Oratorio e mandar via tutti i giovani, perchè i chierici non si sarebbero adattati a un serio regolamento, e se ne sarebbero andati, tutti. E io vedeva che di quei chierici anche divagati molti lavoravano volentieri, erano di buon cuore, di moralità a tutta prova, e, passato quel fervore di gioventù, mi avrebbero poi aiutato molto. E debbo dire che vari dei preti della Congregazione, che erano di quel numero, adesso sono fra coloro che lavorano di più, che hanno miglior spirito ecclesiastico, mentre allora sarebbero certamente andati via dalla Casa piuttosto che assoggettarsi a certe regole restrittive.

                È da notarsi però che quelli erano tempi diversi; allora la Congregazione non si sarebbe potuta fondare secondo le norme consuete. Io era solo; io far scuola di giorno, io scuola serale, io scrivere libri, predicare, assistere, dirigere, andare in cerca di quattrini; e se per far andare tutto a perfezione mi fossi ridotto in una cerchia piccola, non avrei conchiuso nulla, e l'Oratorio oggi consisterebbe in una specie di collegio con una cinquantina o al più un centinaio di giovanetti.  [273] Nell'opera di normalizzazione la pietà rappresentava la pietra basilare dell'edifizio religioso, e nella pietà due pratiche sono di capitale importanza: gli annui esercizi spirituali e la quotidiana meditazione. Dal '75 gli ascritti ebbero i loro esercizi separatamente dai professi durante le ferie autunnali, sicchè la predicazione e tutto il resto rispondeva ai bisogni loro propri. Facevano poi la meditazione ogni mattina durante la prima mezz'ora dopo la levata, da soli, su libri opportunamente scelti. A parte, facevano pure la lettura spirituale nel pomeriggio. Tanto più efficacemente s'infonde nei novizi lo spirito di pietà quanto maggiore sia la loro segregazione dagli altri che convivono in casa; perciò furono isolati anche nel dormitorio e nel cortile: per la ricreazione il luogo loro assegnato era accanto alla chiesa di Maria Ausiliatrice dal lato ovest. Alla santa Messa e alle funzioni assistevano dall'abside, senza mescolanza di estranei.

                I novizi non ismettevano gli studi. Secondo la frase del tempo, entravano in filosofia, cominciavano cioè a svolgere il programma del liceo, con accentuata prevalenza della filosofia. Alle lezioni cessarono di assistere nel '75 alunni secolari. Il cresciuto numero fece maggiormente sentire le disparità di attitudini; onde si ventilò allora, per attuarla poco dopo, l'idea di formare due sezioni, una di vero liceo per preparare i futuri professori e l'altra con la filosofia e poi delle restanti materie il puro necessario, come costumavasi in seminario. Con tutto ciò il maestro dei novizi avvertiva l'opportunità di alleggerire nel noviziato l'applicazione agli studi letterari e scientifici, affinchè vi fosse maggior agio di applicare la mente alle cose dello spirito. Anche qui Don Bosco agiva secondo le eccezionali facoltà accordategli da Pio IX; anzi in virtù di esse egli si credeva autorizzato a impiegare anche novizi in assistenze e insegnamenti. Don Barberis, imbevuto dello spirito del Fondatore, attendeva a loro con vigile zelo, conferendo spessissimo con Don Bosco, che sempre lo ascoltava con bontà e gli era largo dei suoi lumi. [274] A quali criteri s'ispirava Don Bosco nell'ammettere i novizi alla professione? C'erano, ben inteso, le regole; ma gioverebbe non poco vedere con che spirito le applicasse caso per caso. Facciamo tesoro delle scarse notizie di quest'anno giunte fino a noi.

                La sera del 10 dicembre Don Bosco convocò nella sua camera i membri dei Capitolo Superiore, invitandovi il maestro degli ascritti, per trattare di ammissioni ai voti perpetui e triennali. Ebbene la cronaca nota espressamente che fu tenuto indietro chi aveva dato segni di amare la bottiglia, e che Don Bosco dichiarò doversi procedere con gran rigore su questo punto. - Nè si dica, soggiunse, che furono avvisati e che riconobbero d'aver fatto male e che hanno promesso molto risolutamente di non lasciarsi più vincere dall'attività dei bere; questo dolore basta bensì per poter dare l'assoluzione sacramentale, ma non serve a darci la menoma guarentigia per l'avvenire. Al loro mai più che dicono promettendo, bisogna sottintendere: fino a tanto che non se ne presenti l'occasione.

                E confermò l'asserzione con un esempio. Un suo compagno di scuola aveva il disgraziato vizio del bere. Avvisato, prometteva mari e monti. Una volta disse a Doti Bosco: - Sta' certo, Don Bosco, che non mi avverrà mai più di alzare il gomito. Sono risoluto, risolutissimo, avessi anche a morirne. Anzi, da questo istante ho fatto il proposito di non bere più vi no in vita mia. - Ma ci vuol altro! La mattina seguente Don Bosco ne ascoltava la Messa dal coro e all'abluzione sentì che diceva al serviente: - Giù, giù! non metti mica roba tua, balòs (birbante)! - Don Bosco, parendogli che il poveretto avesse buona volontà, gli fece rilevare l'indecenza di quell'atto. Promise egli; ma di lì a qualche giorno Don Bosco vide che lo portavano a casa sopra una carrettella briaco fradicio.

                Appresso Don Bosco pose un quesito e lo risolse da pari suo. - Quando uno è così, che sarà della sua moralità? Vorrei [275] che si facesse una prova: si dia quest'oggi anche solo un bicchiere di vin buono a tutti i giovani dell'Oratorio e domani si faccia fare un buon esame di coscienza: si vedrà quel che successe! I giovani non ne sognano nemmeno la causa, non san nulla del che e del come; ma molti pensieri cattivi, molte tentazioni e, credo di poterlo dire con sicurezza, molte cadute in peccato ne furono la conseguenza.

                A questo punto Don Rua, fece presente che nel decorso anno scolastico alcuni professori, anche davvero buoni, avevano la loro bottiglia in camera. Don Bosco rispose: - Questo non dovrebbe accadere. Mah!... Si può loro condonare per ora, dal momento che essi non ne conoscono il pericolo: posto però che non si creda opportuno di venire subito a un taglio reciso. Ma è cosa da pensarci seriamente per l'avvenire.

                Diamo un balzo indietro. Nella prima settimana di luglio Don Barberis, accompagnando fuori di casa Don Bosco, profittò dell'occasione per parlargli di alcuni che non sembravano fatti per essere Salesiani. Uno di costoro spargeva fra i compagni che era risoluto di tornarsene a casa sua. Procura che se ne vada presto, fece subito Don Bosco. Digli da mia parte che in qualunque giorno voglia partire, io lo lascio in libertà; tuttavia, finchè si ferma con noi, metta un lucchetto alla bocca e non faccia più parola di questo coi compagni, perchè in caso contrario io sarò costretto a prendere misure severe. I Gesuiti, quando sanno che uno non vuole più far parte del loro Ordine, non lo lasciano più stare in casa neppure un giorno, nè quel tale può più parlare con alcuno della Compagnia per nessun motivo. Ed hanno ragione. Se comincia a dire che vuole andar via, è naturale che venga dagli altri interrogato del perchè. Il vero perchè della poca voglia di far bene, della poca mortificazione, della mancanza di virtù non si dice mai; si contano pretesti: perchè non mi piace questo, perchè vorrei quello, perchè quell'altro non è ben disposto verso di me, e simili. Comunicandosi dall'uno [276] all'altro questi suoi lamenti, ne viene infine un gran male; poichè tanti si disanimano, e si propaga il malcontento e la mormorazione.

                Vi era però una cosa da osservare. Quell'ascritto aveva in casa scandali gravissimi, per i quali la coscienza non gli avrebbe permesso di coabitare coi genitori. - Questo lo so, riprese Don Bosco, e mi rincresce grandemente; ma che cosa possiamo noi farci! Non conviene che stia in mezzo agli altri a seminare il malcontento. Tanto più che scrisse già a me l'altro giorno, che egli rimarrebbe in Congregazione, ma vorrebbe che gli fosse concesso questo, che gli venisse permesso quello; in una parola, quasi vorrebbe mettere condizioni per fermarsi con noi. Io invece, quando uno salta fuori con delle condizioni, credo bene di farla subito finita con lui. Questi tali giungono a stimarsi persone necessarie e, quando si sia condisceso a una condizione posta da essi, ne hanno subito pronta un'altra. A chi vuole patteggiare, si dica schietto: Vedi, se tu vuoi restare con noi nel modo che fanno tutti gli altri, le cose van bene; del resto, in qualunque giorno ti piaccia provare altrove o andare in casa de' tuoi genitori, fallo pure, chè noi te ne lasciamo piena libertà. Allora colui si accorge che noi non abbiamo nessun interesse per trattenerlo e che facciamo ogni cosa puramente per Dio; quindi si risolve ancora più presto di mettere il cuore in pace e abbandona qualsiasi pretesa.

                Un'altra circostanza vi era ancora. Il novizio, pur non avendo in animo di fermarsi come Salesiano, sarebbe stato disposto a rimanere per compiere gli studi, facendo nello stesso tempo qualche scuola e prestando assistenza ai giovani. - Non conviene, non conviene, insistette Don Bosco. Stare con gli altri, aver l'aria di far parte della famiglia e non farne parte, non mi sembra conveniente. Ma c’è di peggio. Nella lettera, di cui ti ho parlato, egli dava in insolenze contro Don Rua, il che fa vedere come non sia per nulla obbediente e che ascolta soltanto i suggerimenti dell'interesse: vero spirito [277] di subordinazione non pare che ne abbia. Tu procura che si sbrighi a cercarsi un posto, poichè temo che qui non ci faccia più nulla di bene.

                Il chierico sarebbe andato volentieri in seminario. Don Barberis credeva di potervelo incoraggiare, rilasciandogli le commendatizie; tanto più che Don Bosco gli aveva consigliato di vestire l'abito. - Io, spiegò Don Bosco, gli suggerii di mettere la veste, perchè l'anno scorso egli si era dichiarato pronto a entrare in Congregazione. Vivendo fra noi, lungi dai pericoli del mondo, con regole proprio fatte per lui, in mezzo a tanti buoni esempi, avrebbe potuto fare del bene a sè e agli altri; ma io non gli suggerirei mai e poi mai che si faccia prete stando nel secolo. Anzi mi ha già parlato egli stesso di questo, e io gli dissi che non era assolutamente il caso per lui di farsi prete, rimanendo in mezzo al mondo. Egli non ha virtù sufficienti per questo. Fra noi anche con una virtù mediocre si sarebbe facilmente rassodato, riuscendo un buonissimo prete; fuori, in mezzo agli altrui scandali, invece di rassodarsi nella virtù, ne scapiterebbe tutti i giorni.

                Esaurito quest'argomento, si trattò di un altro ascritto che desiderava di rimanere in Congregazione, ma che non sembrava conveniente ritenere più a lungo. Esteriormente egli sembrava buono, e buono era fors'anche in realtà; ma si mostrava chiuso, non si lasciava abbastanza vedere dai superiori, non aveva guari confidenza con essi. Don Bosco per questi soli motivi giudicò che non facesse per la Congregazione.

                Un terzo ascritto si presentò in quel torno direttamente a Don Bosco e gli disse: - Io mi sono fatto ascrivere alla Congregazione senza conoscerne lo spirito. Io ignorava che fosse una Congregazione religiosa. Ora che dalle conferenze ne apprendo lo scopo, non ho più intenzione di andare avanti; massime che, essendo morto qualcuno de' miei parenti, non c’è più chi pensi a un mio fratello. Io andrei a casa per entrare poi in seminario. [278]

                 - Tu, mio caro, gli rispose Don Bosco, sei liberissimo di fare come credi; da questo istante io lascio che tu abbracci il partito che vuoi. Solamente bada bene che il dire di esserti fatto ascrivere senza conoscere il passo che facevi, è una parola mal detta; poichè questo sarebbe un darti dello sciocco da te stesso. Durante gli esercizi di Lanzo hai sentito leggere le regole, hai udite le conferenze che le spiegavano, e non hai capito nulla? Poi sarebbe un dare dello sciocco a Don Bosco, quasi che egli accetti a occhi chiusi, contro tutti i canoni, un giovane al noviziato, prima d'avergli fatto conoscere le cose come stanno.

                Il chierico non seppe che rispondere. Tuttavia, risoluto com'era di andarsene, partì pochi giorni dopo.

                In altra circostanza il Beato diede al maestro degli ascritti due norme pratiche per la buona formazione de' suoi. Ve n'era uno che non si diportava guari bene; si mostrava però divoto, accostandosi regolarmente e anche più spesso che la Regola non richiedeva, alla santa Comunione. Il Beato disse a Don Barberis: - La sola frequenza ai Sacramenti non è indizio di bontà. Vi sono di quelli che, sebbene non facciano sacrilegi, vanno però con molta tiepidezza a ricevere la Comunione; anzi la loro mollezza non lascia che capiscano tutta l'importanza del Sacramento a cui si accostano. Chi non va alla Comunione col cuore vuoto di affetti mondani e non si getta generosamente nelle braccia di Gesù, non produce i frutti, che si sa teologicamente essere effetto della santa Comunione.

                Un altro ascritto, un po' per astio e un po' per puntiglio, voleva essere dispensato da certi studi letterari. Don Barberis gli aveva risposto con un no assoluto; ma quel caparbio insisteva egualmente per ottenere. Nel riferirne al Beato il Maestro disse che era un giovane d'ingegno non comune e di carattere fermo e capace di molta virtù, quando, calmato il bollore dell'indole, si mettesse a far bene; domandava perciò se fosse opportuno, senza mostrar di cedere, chiudere un occhio,  [279] lasciando fare e cercando di coprire e aggiustare le cose alla meglio.

                 - No, rispose il Beato; procedi pure con le dolci, non dirgli parola da irritato, dàgli pure a divedere che non fai gran caso della sua pertinacia e che l'attribuisci a leggerezza giovanile; ma tieni fermo sul punto di volere che faccia quanto gli hai detto di fare. Su questo non transigere; altrimenti, quando saranno professi, bisognerà trattarli coi guanti, e lasciarli liberi nei loro capricci o mandarli via.

                Abbiamo una conversazione del Beato intorno al modo di portar giudizio sopra gli ascritti e di trattarli, che sarà letta volentieri in extenso. La tenne il 17 febbraio 1876 con Don Barberis, che, non contento di farne tesoro per sè, l'ha voluta serbare anche per noi nella sua umile cronaca. Don Bosco parlò così: - Di alcuni ascritti si danno buone notizie, ma si vedono instabili nelle loro volontà. Vanno avanti anche per vari mesi, ma poi mutano. In quei mesi sono tutti fuoco e fiamma e chi non li conosce a fondo, si forma sul loro conto grandi speranze. Ma dopo cominciano a dar giù, passa il fervore, e si vede che era cosa effimera: infatti cambiano proposito ed escono anche dalla Congregazione. Invece altri vanno molto adagio a farsi inscrivere nella Società, fanno progressi nel bene quasi invisibili, ma si osserva che da anni progredirono sempre e mai diedero un passo indietro. Costoro da chi li conosce poco, sono tenuti come tiepidi nel bene o per lo meno come mediocri. Però chi li conosce bene e da lungo tempo, fonda su loro le più grandi speranze. Costoro vanno adagio a fare un passo; ma fatto che l'abbiano, non danno indietro. Prendono adagio una risoluzione, ma presa che sia, nessuno è più capace di smuoverli e si è certi di vederli continuamente progredire nella virtù. Si faccia adunque gran conto d'un giovane, quando è costante nel bene, quantunque non paia tanto ardente e infervorato in esso.

                Don Barberis gli fece notare come certi ascritti allora si regolassero bene, mentre negli anni antecedenti, essendo [280] semplici alunni, non davano segni di fervore, sicchè erano fatte molte difficoltà prima di ammetterli al noviziato. Don Bosco rispose: - Di questi bisogna osservare una cosa. Per lo più sono poveri affatto, sicchè fuori della Congregazione mancherebbero persino del necessario. Qui non manca loro nulla, anzi per loro la nostra mensa è molto buona. Poi il non incontrare qui nessuna contrarietà, l'essere ben trattati, il non sapere ove dare del capo fuori, fa sì che restino molto contenti della Congregazione. A poco a poco intanto si rassodano nella virtù e abbracciano poi la nostra vita per vero principio religioso. Anche di questo mezzo è bene che ci serviamo. Quanti ora fanno benissimo in casa e da prima vi entrarono proprio solo perchè non avrebbero saputo dove andare altrove per vivere onoratamente! È di somma importanza che questi tali siano trattati bene, cioè che non manchi loro nulla del necessario; poichè in questa loro età instabile basta l'essere scontentati in qualche cosa per prendere la risoluzione di andarsene! Saranno poi essi stessi malcontenti del passo fatto; ma saran fuori e tutto sarà finito. Se fossero in età avanzata, direi: Se si offendono per poco e se ne v anno, vadano pure; non sono soggetti che con l'andare del tempo possano arrecare vantaggio alla Congregazione. Ma trattandosi di giovanetti, non si deve dire così. Si vedono giovani buonissimi, ma che, allucinati da qualche loro passioncella, da parenti, da amici, da interessi, da immaginazione esaltata, prendono deliberazioni premature. Se costoro si fermano in Congregazione, dopo qualche tempo, passati quei capricci, faranno del bene grandissimo a sè e agli altri.

                Don Barberis gli riferì come il prefetto avesse scritto ai genitori di qualcuno degli ascritti che pagassero gli arretrati, non della pensione, perchè erano mantenuti gratuitamente, ma delle spese, minacciando che, se non veniva soddisfatto, avrebbe mandato a casa il chierico. Esser venuto qualche zio prete, protestando di non voler pagare, se il chierico si fermava in Congregazione e volerselo condur via [281] per menarlo in seminario. Il Beato gli ordinò di dire al prefetto che non scrivesse mai così risolutamente ai genitori degli ascritti, perchè certuni non pagavano a bella posta per riavere i figli. Inteso poi che quel tal chierico erasi mostrato risolutissimo di vivere e morire in Congregazione, gli fece dire da parte sua che stesse tranquillo, perchè per sola mancanza di mezzi finanziari non si era mandato mai via nessuno.

                Gli stava a cuore la sanità degli ascritti. Un mese dopo questo colloquio, avendogli Don Barberis parlato di alcuni alquanto malaticci, il Beato gli rispose: - Ebbene, bisognerà che dopo Pasqua, tutti i giovedì, si conducano i giovani ascritti a fare una passeggiata di buon mattino a villa Monti, posta sulla collina di Superga ad un terzo della salita. È in mezzo a boschetti, e la padrona la lascia a nostra disposizione. Potrebbero passare là tutta la giornata e verso sera tornarsene all'Oratorio. Credo che ciò, oltre a giovar molto alla loro sanità, recherebbe anche altri vantaggi: li renderebbe contenti, allontanerebbe da loro pensieri di altro genere, li farebbe sempre più affezionati alla Congregazione.

                Di lì a pochi giorni il medesimo Don Barberis gli chiese se dovesse lasciar andare un ascritto a casa sua, perchè aveva il nonno gravemente infermo. Il Servo di Dio gli espresse così il suo pensiero: - Credo bene di sì. Quando la malattia dei parenti è così grave e questi chiamano i figli, ordinariamente si deve concedere la licenza. Se venissero a morire e noi non avessimo lasciato andare il figlio o il nipote o il fratello, sembrerebbe la nostra una crudeltà. I giovani poi terrebbero nel cuore per tutta la vita il dispiacere di non aver visti i loro cari, prima che morissero.

                Quindi Don Barberis gli rivolse un'altra domanda. Aveva un ascritto tiepido nelle cose di pietà, pigro e disobbediente. Che cosa bisognava fame? - Prendilo in disparte, suggerì il Beato, parlagli chiaro, digli che getti via da sè quella poltroneria [282] e stia in tutto e per tutto alle regole, se vuol davvero appartenere alla Congregazione. Altrimenti si decida e ritorni presso i suoi genitori di propria volontà; perchè, se continuasse con tale condotta, correrebbe rischio di essere ignominiosamente cacciato dall'Oratorio.

                A Don Bosco rincresceva allontanare da sè giovani che mostravano desiderio di fermarsi in Congregazione; ma non s'illudeva. Visto che taluno dava indizi di mala riuscita o segni di poca moralità, era inesorabile. Sui novizi egli faceva questo conto: su ottanta se ne perdono dieci nell'anno di prova; altri dieci nel corso del voti triennali; restano sessanta veramente buoni. Prima del '76 veramente le defezioni erano state in maggior numero; ma con la maggior regolarità la cifra diminuì.

                Mancavano appena due mesi al termine dell'anno di noviziato, quando l'8 settembre volò al cielo un angelo di ascritto, per nome Defendente Barberis. Il parroco di Cassinelle, in diocesi d'Acqui, l'aveva raccomandato a Don Bosco scrivendo: “Forse nel paese non c’è nessuno della sua età e condizione che lo superi in virtù”. Nell'Oratorio amò lo studio, amò le pratiche di pietà, anelava a essere sacerdote per adoperarsi presto alla salute delle anime. Aspirante, fu posto a fare da portinaio nell'oratorio esterno; ogni ufficio assegnatogli adempieva con zelo e prudenza. Chierico novizio, faceva con mirabile efficacia il catechismo ai giovani dell'oratorio festivo e si comunicava quasi quotidianamente con tale fervore da edificare tutti i suoi compagni; puntuale nell'obbedienza, esatto nei doveri, parco e mortificato nel mangiare e nel bere, ascoltava con avidità le cose antiche dell'Oratorio e le fatiche sostenute da Don Bosco per fondarlo. Lo attraeva il pensiero di un avvenire operoso a bene del prossimo nella Congregazione Salesiana. Ma purtroppo i suoi giorni erano contati. Gli si usarono tutte le cure. Ammirabile nella sua pazienza, si affliggeva temendo di cagionare aggravio all'Oratorio. Consigliato dal medico a provare l'aria nativa, si recò [283] presso i genitori, che molto lo desideravano. Passò all'eternità, edificando tutti con la sua rassegnazione alla volontà di Dio. Aveva vent'anni di età. Il ricordo de' suoi esempi infervorò al bene i suoi compagni di noviziato.

 

3° PROFESSI.

 

                I professi erano coadiutori, chierici studenti di filosofia e teologia, e preti.

                Nell'Oratorio i coadiutori professi, ventitrè sul principiare dell'anno, crebbero a ventisette dopo le vacanze. Ci piacerebbe conoscere come se la passassero con Don Bosco; ma il '75 ha su questo punto penuria di notizie. Faremo dunque come in tempo di penuria: ci attaccheremo alle magre informazioni pervenuteci, pur di cavarne qualche sugo.

                Il maestro Dogliani cinquantacinque anni fa aveva emesso da poco tempo la professione triennale. Don Bosco, che nel trattare con i suoi non faceva distinzioni fra vesti talari e giacche borghesi, un giorno se lo tolse a compagno, andando a Caselle. Accortosi che mancava pochissimo alla partenza del treno, gli disse:

                 - Corri, Dogliani, precedimi alla stazione e prendi i biglietti.

                 - Di prima o di seconda classe?

                 - La terza, la terza sempre.

                Sopraggiunto Don Bosco, salgono insieme nei carrozzoni di terza classe. Gl'impiegati ferroviari, che riconobbero Don Bosco, lo costrinsero a passare in prima col compagno. Quando vi si furono accomodati, Don Bosco disse sorridendo a Dogliani: - Vedi? Se avessimo preso i biglietti di seconda classe, ci avrebbero lasciati stare in seconda. Abbiamo prese le terze, e ci hanno fatto venire in prima.

                Dogliani viaggiò un'altra volta con Don Bosco, e come ricorda ancora il brutto momento in cui s'accorse di avergli perduta la valigia! Don Bosco, vedendolo tutto mortificato [284] e inteso il perchè: - Niente ti turbi! disse. M rincresce solo per certe carte... - Non finì la proposizione, che arrivò trafelato un uomo, dicendo: - Ecco la sua valigia. - Dogliani respirò.

                Povero maestro Dogliani! Sperimentò la bontà paterna di Don Bosco verso i coadiutori in circostanze un po' differenti. Una sera il buon Padre, finì di confessare dopochè da un pezzo la comunità aveva cenato. Sedutosi a tavola, Dogliani, che alternava le lezioni di musica con i servizi dei refettorio, ordinò la cena per lui. Il cuciniere mandò un piatto di riso stracotto e freddo. Il giovane coadiutore si stizzì e disse: - Ma è per Don Bosco! - E il suo collega dalla cucina: - Oh, Don Bosco è uno come tutti gli altri. - Una giornata di cucina, e di quella cucina spiega, se non giustifica un tale linguaggio. Poi il famoso Gaia era un buon uomo, nonostante il suo carattere rubesto. Dogliani, umiliato, presentò a Don Bosco quella roba, e si tirò indietro. Ma il chierico Cassinis, il futuro missionario, non si rattenne e gli riferì le insane parole. Il Beato non corrugò la fronte, non battè ciglio, neppur tacque sdegnoso, ma disse con aria tranquilla e tono pacato: - Ha ragione Gaia; è vero - [134].

                Quest'altra però fu tutta colpa del refettoriere, alquanto distratto forse dalla musica. Un giorno che aveva a mensa alcuni convitati, Don Bosco vide sudicia la tovaglia. Un po' indispettito, ne rimproverò Dogliani. Era una mancanza di rispetto agli ospiti. Per Dogliani fu uno strazio. Verso sera scrisse una lettera a Don Bosco, dicendogli fra l'altro essere quella la prima volta che aveva visto Don Bosco quasi adirato. Don Bosco si umiliò a leggere la lettera in Capitolo; indi per confortare il buon coadiutore, imbattutosi in lui, lo fermò, lo prese per mano e gli disse, facendo sua la famigerata espressione: - Non sai che Don Bosco è un uomo come tutti gli altri? [285] Tale costumava Don Bosco mostrarsi in ogni occasione con i suoi coadiutori. Qui, in questo modo di trattarli, stette il suo gran segreto per informare a soda vita religiosa uomini che nell'esteriorità della persona e nella qualità delle occupazioni non differivano punto da secolari della medesima condizione ed età. Don Giuseppe Vespignani, che non ne aveva mai veduti, rimase fortemente colpito nel '75 ad Alassio dalla loro sincera pietà in chiesa, dove compivano in comune le pratiche divote e cantavano i divini uffici con i collegiali. Il direttore Don Cerruti gli disse: - Questi coadiutori a volte, veda, ci confondono con la loro vita virtuosa, sicchè noi sacerdoti abbiamo quasi da arrossire dinanzi agli esempi edificanti che ci danno - [135].

                La confidenza che Don Bosco ispirava loro, glieli rendeva a poco a poco malleabili e pronti a tutto. Ma la confidenza bisogna sapersela cattivare. Nel '77 chiese e ottenne di partire per l'America il coadiutore Bernardo Musso, che fu colà maestro di calzoleria per cinquant'anni. Orbene egli custodiva quale preziosa reliquia una letterina di Don Bosco, che vale un perù. Il Servo di Dio gliel'aveva scritta nel '74 e da Roma, e a lui ancora semplice artigiano. Certo nel giovane aveva scorta la stoffa di un suo coadiutore.

 

                               Mio caro Bernardo Musso,

 

                Io ora ho molto bisogno di essere aiutato dalle tue preghiere e dei tuoi compagni. Cercami dunque tra i tuoi amici tutti quelli che desiderano di aiutarmi e conducili ogni giorno all'altare di Gesù Sacramentato per raccomandargli i miei bisogni. Quando io tornerò a Torino, mi presenterai quelli che ti hanno accompagnato in quelle visite ed io darò a tutti un bel ricordo.

Tuo aff.mo amico

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Nel '75 passarono all'eternità due confratelli, Antonio Lantieri e Giacomo Para, uno coadiutore e l'altro tale solamente [286] di fatto, degni entrambi di essere qui ricordati, perchè rappresentano ai nostri occhi quale fosse la formazione religiosa che si riceveva in quei tempi all'ombra dell'Oratorio.

                Il Lanteri morì nell'agosto a Realdo di Briga Marittima. Faceva il pastore. Amava la chiesa, i Sacramenti, la Madonna e le pie letture. Un giorno, rincorrendo una pecorella sbandata, si sentì all'improvviso mancare la terra sotto i piedi e precipitò giù per un burrone. Ebbe appena tempo di esclamare: Gesù e Maria, aiutatemi! - In quella gli parve che un lampo balenasse a' suoi occhi: si trovò in fondo senza la menoma lesione. Balzato in piedi e misurata con lo sguardo l'altezza spaventosa da cui era caduto, levando le mani al cielo, disse: - O Gesù, o Maria, consacro d'ora innanzi al vostro servizio questa vita, che voi mi avete conservata. - Durante l'inverno doveva abbandonare la sua cara solitudine e recarsi presso centri dove lo nauseavano i discorsi contro la religione e il buon costume; per questo deliberò di ritirarsi in qualche Congregazione religiosa. Venne all'Oratorio nel settembre del '71. Avrebbe desiderato di studiare; ma aveva salute molto cagionevole. Applicato a lavori domestici, obbedì. Due mesi dopo, avendo fatta buona prova, fu mandato nella Casa di Marassi, trasportata poi a Sampierdarena. Qui ebbe la cura della chiesa. La pietà, la pace del cuore che gli traspariva dagli occhi, la diligenza in ripulire e ornare la casa di Dio, la carità e il bel garbo nel trattare le persone, gli attirarono l'ammirazione generale. Compiè così il noviziato e fece i voti triennali. Il tempo della preghiera non gli sembrava mai abbastanza lungo. Trascorso un anno, gravi sintomi di debolezza destarono inquietudine per la sua vita. Si credette che l'aria di Piemonte gli fosse più favorevole. Rimandato all'Oratorio, vi fece da sagrestano a Maria Ausiliatrice. Se non che il male assopito si risvegliò con l'inverno. I medici consigliarono l'aria nativa; ma egli pensava unicamente a fare una buona morte. In casa sua osservò con grande fedeltà le Regole della [287] Congregazione riguardanti le pratiche di pietà. Si mantenne calmo e sereno fino all'ultimo respiro. Era nato nel '41

                Il Para era più giovane, essendo nato a Sampeire nel '50. In paese, frequentando la scuola comunale, reagì contro la mala abitudine di cantare canzonacce per le strade e per le campagne; il mezzo fu d'insegnare, col permesso del maestro, alcune lodi sacre a un gruppo di condiscepoli. Lavorava la terra, pregava volentieri e si comunicava sovente. Le strettezze domestiche non gli permettevano di andare agli studi per farsi prete. Sui vent'anni, mortagli la madre (il padre non l'aveva più), avendo udito parlare dell'Oratorio, chiese per mezzo del parroco di esservi accettato. Don Bosco, trovatolo molto buono, lo aggregò agli studenti. Nel '73 lo ammise fra gli ascritti, e, caso eccezionalissimo, gli concedette di fare la professione religiosa, sebbene non avesse ancora compiuto il corso di latinità. Al riaprirsi delle scuole, abbisognandosi in Borgo S. Martino di un buon portinaio, vi fu mandato Para. Gl'increbbe assai doversi staccare da Don Bosco; ma obbedì. Ivi attese allo studio di quarta ginnasiale sotto uno speciale maestro. Scosso nella salute e avvezzo ai disagi, tacque, continuando nel cuor dell'inverno a levarsi alle cinque. Il 22 febbraio, andato, secondo il solito, a ritirare la corrispondenza, disse all'uffiziale della posta:

                 - Di qui a due giorni altri verranno a prendere le lettere.

                 - E perchè?

                 - Perchè io non ci sarò più.

                Quella sera si mise a letto. Le cose precipitarono. La mattina del 25, confidato al confratello assistente un bel sogno, affermò con sicurezza che presto presto avrebbe lasciato il mondo. Confessato e comunicato, pregò il direttore che, dando a Don Bosco l'annunzio della sua morte, lo ringraziasse del favore fattogli, preferendolo a tanti suoi compagni nell'ammetterlo pochi mesi prima alla professione religiosa. Poi soggiunse: - Io penso che Don Bosco sapesse che io doveva presto morire; altrimenti non mi avrebbe fatto una grazia [288] così grande. - Di lì a due ore spirò, baciando amorosamente il Crocifisso.

                Venendo ora a parlare dei chierici, diremo quanto il Beato curasse in loro la formazione religiosa, intellettuale ed ecclesiastica.

                La regolarità della vita religiosa fra i chierici studenti procedeva di pari passo con quella degli ascritti. Nelle conferenze di aprile Don Albera, interpretando il desiderio comune, fece voti che presto si distribuisse a tutti il testo delle Regole in italiano. Don Bosco non avrebbe indugiato tanto a far cosa sì ovvia; ma rubava alle sue occupazioni ogni resticciuolo di tempo per preparare quelle preziose pagine dell'Introduzione, che hanno per iscopo di chiarir bene quale sia lo spirito, di cui le Regole sono informate, pagine che furono licenziate per la stampa il 15 agosto 1875. Frattanto egli si studiava di far penetrare questo spirito nel cuore dei giovani chierici, valendosi di tutti i mezzi che la sua paterna sollecitudine gli suggeriva.

                Ai superiori che per ufficio stavano più a contatto con lui, non isfuggivano le sue industrie nel ravviare i chierici che si mostrassero un po' liberi e insofferenti della regola. Vi si metteva attorno con tale prudenza, che, scrive Don Barberis, l'individuo, pur sentendosi conquiso, non si avvedeva neppure del perchè Don Bosco lo circondasse di tanta benevolenza.

                La necessità lo obbligava talvolta a spiccarsi dal fianco quei cari figliuoli e mandarli a portar aiuto nelle Case; ma li seguiva con vigilante carità. Ne abbiamo una bella prova in un'amabile letterina scritta al chierico Nai, inviato di fresco a Borgo S. Martino.

                Prima però giova conoscere i precedenti. Il Nai nell'anno di quarta ginnasiale si sentì domandare a bruciapelo da Don Bosco:

                 - Vuoi fare un contratto con Don Bosco?

                 - Quale?

                 - Un'altra settimana te lo dirò.  [289] Venuto il giorno della confessione settimanale, il ragazzo, confessandosi, interrogò Don Bosco:

                 - Qual è il contratto che vuol fare?

                 - Ti piacerebbe stare sempre con Don Bosco?

                 - Molto!

                 - Ebbene fa' così: va' da Don Rua, e gli dirai che ti ha mandato Don Bosco.

                Don Rua per tutta risposta affabilmente gli disse di trovarsi il giovedì appresso, alla tal ora, nella chiesa di S. Francesco. Il Nai vi fu puntuale. Trovò là un gruppetto di compagni scelti, coi quali ascoltò le cose che Don Rua disse dello stare con Don Bosco. Nè andò guari che in un'altra confessione Don Bosco gli parlò così: - In questo momento mi sta presente tutto il tuo avvenire. - E gliene squarciò il velo. Oggi a settantacinque anni d'età Don Nai afferma, e sarebbe disposto a confermarlo con giuramento, che la predizione si è avverata per filo e per segno.

                Chierichetto adunque da poco vestito, quando venne il giorno di fare i voti, fu sorpreso da esitanze, di cui per l'addietro non aveva mai avuto sentore. Apertosene col Padre dell'anima sua, questi gli rispose:

 

                               Carissimo Nai,

 

                I grilli saltano in terra e sopra la terra e i voti che intendi di fare volano al trono di Dio; perciò i primi non possono per niente turbare i secondi. Perciò temi niente e va avanti. Occorrendo osservazioni, ci parleremo fra non molto.

                Dio ti benedica, age viriliter, ut coroneris feliciter. Prega pel tuo in G. C. sempre

                Torino, Solennità di Maria A. 1875

A ff.mo amico

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Piace sorprendere il Servo di Dio nella vita vissuta dell'Oratorio in mezzo a' suoi chierici. In una relazione, stesa immediatamente dopo il fatto, ci si para davanti quasi una istantanea fissata su lastra fotografica da un chierico. [290] Dopo cena si forma un piccolo crocchio di chierici, che discorrono tranquillamente fra loro. Ecco arrivare Don Bosco in compagnia di alcuni altri. Quei del crocchio si muovono, gli si mettono attorno, gli baciano la mano. Egli si ferma, rivolge alcune parole amorevoli e facete a ognuno, indi a tutti dice:

                 - Voi, o chierici, siete la mia corona!

                 - Purchè, rispose uno, non siamo la sua spina.

                Ed egli ridendo e accennando a Don Barberis che gli stava vicino, ribattè:, - Se mai fosse così, eccomi qui al fianco il gloria Patris filius sapiens!

                Poi riprese a lanciare frizzi gentili, finchè venne a dire: - Nella notte passata ho fatto un sogno. Mi sembrava, anzi ero certo, che si portasse il Viatico a un infermo. Ansioso di sapere chi fosse, ne chiesi notizia a un mio vicino, ma costui non mi rispose. Gli ridomandai chi agonizzasse; ma l'altro, sempre silenzioso, mi fece una smorfia. Eppure, dissi fra me, voglio saperlo! Detto fatto: mi metto in cammino e seguo il Viatico. Giungo alla casa, i sacerdoti entrano, e io dietro; ma alla porta della stanza faccio per andar dentro e non ci riesco. Più volte mi sforzai di spingermi fino al morente; impossibile! Ah, dissi allora, questo è un sogno! In quella mi svegliai e ripetei: È proprio un sogno.

                Cambiando poscia argomento, Don Bosco manifestò la sua contentezza, perchè nell'Oratorio non vi fosse nessuno ammalato. Allora uno di quei chierici gli venne fuori con la domanda se fosse vero che dalla buona conservazione dei denti dipendesse la longevità. Egli rispose che, generalmente parlando, la cosa può essere vera; ma l'importante essere che la morte di un individuo non sia scritta nei libri eterni per un determinato tempo: chè in tal caso nulla ce la potrebbe far evitare. Contribuire però in sommo grado alla longevità la buona morale, che ci dà le regole di ben vivere e c'insegna ad amare la virtù, la temperanza e molte altre cose utilissime alla conservazione del corpo. - Al qual proposito, continuò,  [291] ho avuto notizia che è morto da pochi giorni un giovane robustissimo e di ottime speranze; invece vive, sebbene sempre malaticcio e, quasi direi, tisico, il suo fratello. Vedete dunque come a nulla valgano sanità e robustezza, se nei libri eterni è deciso che quello o quell'altro debba morire,

                Qui il discorso fu interrotto dall'arrivo di un altro prete, Don Luigi Rocca, e dalla campana. “Noi, baciategli ripetutamente le mani, ce ne andammo”, scrive il relatore. Il qual relatore è il chierico che diede occasione alle funeree riflessioni finali. Si chiamava Cesare Peloso, ed è sintomatico che il pensiero di prendere appunti su quella interessante conversazione venisse proprio a lui, che doveva morire non molto dopo.

                Per la buona formazione intellettuale il Servo di Dio annetteva somma importanza allo studio della filosofia. Si teneva al corrente di quanto si facesse in quella scuola tanto dai discepoli che dagl'insegnanti. Diceva a questi ultimi: I professori abbiano pazienza, cerchino di abbassarsi molto, si abbassino fino alla capacità degli alunni; non pretendano di fare continue e sublimi dissertazioni: non dissertare bisogna, ma spiegare alla lettera il trattato.

                Il principale professore di filosofia doveva essere poco soddisfatto della sua scolaresca. Uomo serio, piuttosto severo, di forte ingegno, di fortissima tempra, non la trovava forse totalmente di suo gusto. È probabile che un bel giorno abbia esposte per iscritto a Don Bosco le proprie doglianze, e che questa sia stata la preziosa risposta del santo educatore:

 

                               Carissimo Bertello,

 

                Io andrò facendo quello che posso per risvegliare amore allo studio tra' tuoi allievi; ma tu fa anche quanto puoi per cooperarvi.

                1° Considerali come tuoi fratelli; amorevolezza, compatimento, riguardo, ecco le chiavi del loro cuore.

                2° Farli soltanto studiare quello che possono e non più. Far leggere e capire il testo del libro senza digressioni.

                3° Interrogarli molto sovente, invitarli ad esporre, a leggere, a leggere, ad esporre. [292]

                4° Sempre incoraggiare, non mai umiliare; lodare quanto si può senza mai disprezzare, a meno di dar segno di dispiacere quando è per castigo.

                Prova mettere ciò in pratica, e poi fammi la risposta. Io pregherò per te e pei tuoi e credimi in G. C.

                Torino, 9 - 4'75.

Aff mo amico

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Il Beato doveva pensare per tempo a prepararsi professori titolati; perciò soleva mandare chierici a dar gli esami di licenza ginnasiale e liceale. Un giorno su questo delicato argomento indicò quale bisognava che fosse il criterio da seguirsi e disse[136]: - Bisogna che noi osserviamo per quali chierici possa tornar utile alla Congregazione che diano o non diano questi esami. Non si deve aver riguardo all'individuo, se ne abbia molta o poca voglia; anzi nemanco si deve tener conto, se questi esami siano per tornar utili o nocivi al chierico: ma si osservi solamente se ne possa venire vantaggio o danno alla Congregazione. Io non voglio che spingiamo tanto avanti questo principio, come si fa altrove: ma teniamo sempre come regola generale nel prendere le nostre deliberazioni di aver in mira il bene della Congregazione e non dell'individuo. Un'altra cosa da non mai perdere di vista è che si scelgano solo quelli, che abbiano buona capacità, diano speranza di far carriera e siano giovani. Agli altri o meno dotati o d'età avanzata si facciano compiere gli studi con maggior prontezza, esonerandoli da materie secondarie, acciocchè possano esercitare presto il sacro ministero. Abbiamo anche bisogno di molti che si occupino di assistenza, di prefettura e di altro nelle case.

                Per formar bene i suoi chierici allo spirito ecclesiastico egli affidava la scuola di teologia a bravi sacerdoti di Torino, quale il valoroso canonico Marengo, che di buon grado si sobbarcavano a rendergli un sì segnalato servigio. L'esemplarità [293] poi della sua vita sacerdotale e i suoi pratici insegnamenti sull'esercizio del sacro ministero facevano il resto.

                Don Giuseppe Vespignani fu testimonio di questa scena. Un giorno, dopo pranzo, davanti alla porta del refettorio, là dove oggi è stata rimessa più che a nuovo la famosa cappella Pinardi, egli discorreva familiarmente con Don Bosco, quando si appressa Don Barberis e porge al Servo di Dio una lista di ordinandi. Don Bosco la scorre e fa un atto di sorpresa. Vi mancavano i nomi di alcuni, che pure erano agli ultimi anni di teologia e tenevano ottima condotta. Don Barberis molto rispettosamente osservò: - È vero, sono preparati; ma essi fanno scuola e, se ricevessero ora il suddiaconato, la recita del Breviario farebbe loro perdere troppo tempo, mentre debbono...

                Il Beato non gli lasciò finire la proposizione, ma con calore prese a dirgli: - Ma che dici? Far perdere tempo la recita del Breviario? Anzi, ne fa guadagnare. I chierici, recitandolo, compiono l'ufficio divino di pregare con tutta la Chiesa; vi s'istruiscono con la parola ispirata della Sacra Scrittura, con le lezioni dei Santi Padri, con le vite e gli esempi dei Santi; pregano con i salmi e i cantici del popolo di Dio e con gli inni liturgici. Il Breviario procurerà a questi chierici più cognizioni che non tanti libri e maestri e li ispirerà nell'insegnare ai loro allievi la scienza di Dio e dell'anima. Dunque facciamo capir bene ai nostri chierici, quanto sia importante l'ordine del Suddiaconato, e il gran mezzo che avranno nel Breviario per la loro istruzione religiosa e per la loro santificazione. Vedrai che ne ricaveranno profitto sotto ogni rispetto. - Quindi, rivolgendosi a Don Vespignani, che ascoltava edificato e ammirato un così spontaneo e fervido elogio del Breviario, conchiuse a modo d'interrogazione: - Non è vero che questo è il più bel tesoro del chierico, quand'è in sacris?

                Sul capo dei chierici pendeva temibile la leva militare, che minacciava di mandar a monte le migliori speranze. I vescovi d'Italia ne gemevano. Don Bosco aveva ogni anno [294] la sua diecina di chierici esposti a quel pericolo. Per istrapparli ai rischi della caserma egli non lasciava nulla d'intentato: suggerire espedienti, visitare persone d'influenza, raccogliere elemosine per il riscatto. Questo biglietto alla signora Teresa Vallauri, torinese, benefattrice dell'Oratorio, ha tutta l'aria di riferirsi a un caso del genere.

 

                               Benemerita Sig. Teresa,

 

                Le ritorno l'ombrello con vivi ringraziamenti. Il curante del mio Chierico è il Capitano Chiaves, buon cristiano che dimora Via S. Domenico 34.

                La ringrazio assai assai di tutta la carità che fa a me, a questa nascente congreg., la quale appunto perchè è nel suo principio, abbisogna di tutto e di tutti.

                Dio la benedica e preghi per me che le sono in G. C.

                Casa, 3 - 7 - '75.

Umile servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Le cose peggiorarono sempre più; poichè il 18 aprile la Camera dei Deputati approvò una legge, con cui si aboliva ogni immunità a favore dei chierici. L'articolo secondo era così concepito: “A datare dal luglio 1876 è tolta la facoltà di far passaggio dalla prima alla seconda categoria mediante il pagamento di una somma”. La approvarono anche i Senatori e il Re la sanzionò il 7 giugno. A buon conto, in grazia di Don Bosco, neppure un chierico dell'Oratorio, fino al '75, andò sotto le armi.

                Il luglio portò una gradita novità nel mondo dei chierici: le vacanze fuori dell'Oratorio. La caritatevole signora Eurosia Monti possedeva sulle colline di Superga un'amena villetta, che mise a disposizione di Don Bosco per questo scopo. Essendo però l'edifizio capace soltanto di quindici persone, Don Bosco provvide che i chierici vi si succedessero a gruppi di quattordici ogni due settimane. Diede anche le opportune istruzioni, molto precise ed esatte, che Don Barberis, incaricato [295] dell'esecuzione, pose fedelmente in iscritto. Sono le seguenti:

                1° Procurare di contentar molto i massari, domandar loro di quali cose possiamo servirci e di quali no; avvisarli dove possiamo andare e dove no; dir loro fin da principio che, arrecandosi qualche guasto o consumandosi qualche cosa oltre lo stabilito, ne tengano conto e ce lo dicano, perchè noi intendiamo di pagare quanto occorre. E rifletteva D. Bosco: - Se incominciano ad essere malcontenti i massari, fanno poi di noi una nera pittura alla padrona e sebbene questa non stia sulle minutezze, tuttavia certe relazioni potrebbero recarci danno.

                2° Andare a trovare il parroco e fargli tanti saluti da parte di D. Bosco. Metterci in buona relazione col cav. Arnaldi e D. Tomatis che hanno le loro villeggiature attigue a quella della sig. Monti; dire loro che D. Bosco li saluta e li tiene sempre presenti nelle sue preghiere.

                3° Preparare una lettera di ringraziamento alla signora Monti, che ora sta a Biella: dirle che si sta godendo alle sue spalle; che non potendo rimunerarla altrimenti, si rivolgeranno al Signore per lei le preghiere e le, comunioni; ripeterle che a compiere l'allegria de' suoi ospiti, manca solo la presenza di mamma Eurosia; assicurarla che si prega specialmente pel riposo eterno del colonnello, suo marito, morto pochi mesi fa.

                4° Non dimenticare qualche occupazione: - Io desidererei, diceva D. Bosco, che ci fosse un po' di scuola, nella quale i più deboli nella lingua latina potessero fare qualche progresso: ma cose semplici, facili, senza lunghe spiegazioni e solamente osservazioni grammaticali. Esercitarli a leggere bene. Non sembra vero come tomi difficile il leggere in pubblico con senso e a tono: per molti riesce malagevolissimo pronunziar le doppie, per altri la zeta. L'o poi si pronuncia come fosse u. Anche una cosa che sembra da nulla, ed è di somma importanza, si è l'insegnare a scrivere una bella lettera. Vi sono di quelli che hanno ingegno, han fatto progresso in seri studi, saranno già preti o medici o avvocati, e, se hanno da scrivere una letterina a modo, si trovano imbrogliati; si lasciano scappare errori d'ortografia, sgrammaticature, sbagliano nei titoli, nel posto ove metter la data e la sottoscrizione. Per insegnare queste cose mi sembra molto opportuno il tempo delle vacanze; poichè sono studi, che non riescono troppo gravosi, e arrecano un'utilità pratica grandissima. Si potrebbe anche dare qualche lezione di francese a coloro che hanno fatto molto progresso negli studi lungo l'anno.

                 - In quanto a quelli che sono debolucci nel latino, ci vuole pazienza. Per lo più sono quelli che vorrebbero meno scuole, oppure si credono di saperne quanto gli altri e non si degnano por mente [296] a quelle regole che essi chiamano piccolezze; e cercano cose più sublimi, e finiscono con non imparare nè l'una cosa nè l'altra.

                 - L'anno scorso accadde che un maestro, messo appositamente per costoro, di tanto in tanto non potesse fare scuola, perchè ora con una scusa ora con un'altra si assentavano: motivo principale la poca voglia. Tuttavia mi par bene che si faccia così, affinchè per parte nostra si procuri di dare maggior istruzione a coloro che ne hanno bisogno.

                5° Stabilire un orario. Pratiche di pietà: alle 6 messa e meditazione. Alle 10 un'ora di scuola e dopo breve lettura spirituale. Dalle 3 e mezza pom. fin verso le 5 studio libero. Alle 5 visita al SS. Sacramento, domandando il permesso a Villa Arnaldi, ove si conserva in quella cappella. Il rimanente del giorno sia pur ricreazione e tutte le sere passeggio fino alle 7 e mezza; appena arrivati a casa, la cena. Alle 9 orazioni e riposo.

                Non ancora pago di queste provvidenze, volle parlare di vacanze a tutti i chierici riuniti insieme. Perciò la sera del 6 luglio, essendosi terminati da un giorno gli esami finali, li adunò a conferenza. L'argomento delle ferie gli offerse pure bellamente l'addentellato per dire cose che giovassero a ravvivare nei chierici l'affetto alla Congregazione ed a premunirli contro i pericoli degli ozi estivi.

                Si sono finiti con soddisfazione generale gli esami sia di teologia che di filosofia. Ora cominciano le vacanze. Io so che motti di voi altri siete assai stanchi e abbisognate di vacanze ed ho cercato ogni modo, perchè queste si possano fare con soddisfazione universale. Alcuni hanno ancora delle occupazioni e non possono cominciarle subito; per costoro si faranno un po' più tardi; altri comincieranno fin da domani. Di questo mi raccomando, che le vacanze sieno di riposo; ma nello stesso tempo sieno anche occupate, sicchè, ricreandosi il corpo, non abbia a perderne lo spirito. È già combinato a questo riguardo un orario sia per quelli che le passano qui, sia per quelli che vanno a Villa Monti, affinchè ci sia molta ricreazione ed anche occupazione.

                Bisogna pure che pensiamo per il personale d'America. Ora la cosa è accettata e bisogna che si cominci una scuola di Spagnuolo e che si faccia la cena del personale; poichè, secondo che si è stabilito, la partenza sarebbe per Ottobre o al più tardi nella prima metà di Novembre. Abbiamo ricevute lettere di là che esprimono proprio il desiderio accesissimo, con cui ci aspettano, ed il bisogno che ce n'è. Il Collegio è già costrutto e lo mettono subito a nostra [297] disposizione. Vi è anche una chiesa pubblica da officiare, le scuole della città sarebbero tutte in mano nostra. Anche è necessario che si stabiliscano ripetizioni speciali d'Italiano, di Francese ed anche d'Inglese. Gli abitanti sono buoni per loro natura, attaccati alle cose di religione: solo mancano d'istruzione e non hanno preti che li istruiscano. S. Nicolas, che è la città dove noi andremo, ha circa 50 mila abitanti, tutti cattolici, e non ha che tre preti. Che cosa sono tre preti in una città, come sarebbe tra noi Alessandria, per l'amministrare i Sacramenti, far le sepolture, portar il Viatico, dir messa, confessare, predicare, far catechismi? Bisogna poi ancora che sappiate come non molto distante da S. Nicolas, comincino le regioni abitate dai selvaggi indigeni, che in quel luogo sono molti. Questi già vedono bene la religione cristiana, domandano di essere istruiti; ma non c’è nessuno che si possa occupare di loro e si lasciano vivere e morire fuori della religione cattolica, senza che vengano a conoscere chi è Dio. Sono questi bisogni pressanti che ci fecero accettare per ora il Collegio ed in seguito spero che potremo anche occuparci dei selvaggi, istruirli, educarli, farli cristiani.

                In questi giorni scorsi, come ora abbastanza conoscete, siamo stati visitati dal Cardinal Berardi. È un gran segno di bontà, miei cari figliuoli, che ci diede sua Eminenza. È venuto espressamente da Genova a Torino per venire all'Oratorio; e poi il vedere la benevolenza che ci dimostrò, la contentezza che aveva nell'osservare i nostri giovani, il modo ammirativo con cui parlava di loro, è proprio cosa da intenerire. Anche m'intenerì il vedere l'affezione che il S. Padre ci porta; poichè tra le altre cose il Cardinale ci diceva anche: - Il S. Padre m'incaricò espressamente di salutarvi e di comunicare sia a voi che ai vostri giovani la sua benedizione; poi m'incaricò anche di dirvi questo e quello. - Sembra che noi abbiamo ad essere non so che per formare le sollecitudini di così gran Papa.

                Ora poi, venendo nuovamente alle nostre vacanze, bisogna che io vi avvisi di un gran pericolo che si incontra. Poichè, oh quanti ne vidi io a perder la vocazione lungo le vacanze! È, questa la perdita più grande, la più gran rovina che vi possa capitare. E pur troppo avviene, specialmente quando si va a casa dei propri parenti. Si comincia qui a parlare dei bisogni, là dell'interesse; poi vengono i congiunti e non si parla che di compera, di vendita, di mercato e di fiera. Il povero chierico, sempre tra quei discorsi, che cosa potrà ricavar di bene? Per non dire di ben altri discorsi, molte volte immorali, che non si possono impedire: di risse tra fratelli e fratelli, a cui quasi forzatamente bisogna prendere parte; poi il padre già vecchio che non sa contar altro che le miserie di famiglia, con il bisogno che qualcuno l'aiuti, che il prete lo potrà poi fare e simili. S. Bernardo fu costretto a non andar più mai a casa dei genitori. Ce lo dice esso. - Una sol volta vi andai; ma nel ritorno al convento io non feci che [298] piangere e per più mesi mi stavano nel cuore le lagrime e i bisogni di mio padre e come io avrei potuto aiutarlo, finchè il Signore nella sua bontà mi liberò da questa tentazione. - Se così avvenne a S. Bernardo, quanti non rovinò nella vocazione questo pensiero d'aiutare i genitori?

                Una cosa poi che credo bene sia rischiarata in questo momento riguardo alla vocazione si è quanto concerne la vocazione dubbia. Lascerò di parlare dei segni della vocazione, di quando uno l'ha o non l'ha; solo vorrei rispondere a chi dicesse: - Io mi farei ben religioso; ma chi sa se io sarò poi chiamato? Io mi fermo qui, ma chi sa se il Signore mi vorrà proprio qui e non mi chiami piuttosto là?

                1° Dal momento che voi avete avuto il desiderio, la voglia di entrare in Congregazione è già segno che il Signore, avendo posto questo desiderio, questa voglia in voi, vuole che voi la seguiate.

                2° Dal momento che questo desiderio in voi ci fu da parte del Signore, voi non dovete rigettarlo senza manifesta volontà di Dio espressa in contrario, la quale deve esser riconosciuta dal Direttore Spirituale.

                Alcuno dirà: - Chi sa se il Signore non mi chiami ad una vita più dura e più austera che questa? - Per la maggior parte dei casi, e quasi per tutti i casi, questo è un inganno. Se il Signore t'ha data l'ispirazione di entrare in una congregazione, in cui tu vedevi che potevi far del bene, il desiderar altro è volersi allontanare dal luogo dove il Signore ti pose. Il demonio cerca di farti uscir di qui per una vita più austera; quando tu sia là, ti farà dire: - Ma chi sa se io potrò resistere? - Oppure: - Vedo che la mia sanità va declinando: chi sa se il Signore richieda da me questo? - Il demonio è principe di discordia e di sommovimento e ci perseguiterà sempre e, ovunque andiamo, ci metterà avanti le sue tentazioni. E poi, e poi... Tu esci di qui per condurre una vita più austera; ora esci; ma chi ti dice che l'abbraccerai poi questa vita più austera? Uscì uno dalla nostra Congregazione dicendo che la nostra vita è un po' rilassata, che egli voleva condur vita più rigida, perciò più perfetta, Uscito, dopo alcuni giorni decise di non entrar più in nessuna religione, ma di far vita austera nel mondo: in poco si rilassò; poi abbandonò le pratiche di pietà. Io l'incontrai che son pochi giorni e, domandandogli delle sue nuove, entrai subito a parlargli di cose dell'anima. Mi rispose: - Oh Don Bosco, non mi parli di questo!

                 - E perchè?

                 - Perchè io non bado più a queste cose; mi si aprirono gli occhi...

                 - Come mai?

                 - Eli sì! fui per abbastanza tempo abbindolato da ubbie che non han nome.

                 - Ma, caro mio, e a confessarti non vai più?

                 - Che confessione! [299]

                 - Ma e il salvarti l'anima, di cui una volta eri così zelante che non ti bastavano i rigori della nostra Congregazione e cercavi di più? Facendo così, il paradiso è perduto per te; l'inferno ti si preparerebbe.

                 - Basta, non mi parli più di questo; io non ci credo più a queste bazzecole.

                Miei cari, io ebbi un bel dire; non ci fu verso che potessi fargli penetrare una parola fino al cuore. Se il Signore non lo cambia con un vero miracolo di grazia, egli è bell'e perduto.

                Dicono poi altri: - Noi staremmo ben volentieri; ma... - Che ma? - Ma il superiore mi odia... non si mostra contento di me... ma io non sono buono a far gl'interessi della Congregazione. Io non ho abbastanza virtù. I superiori mi odiano. - Ma che pensate voi? Coloro che han sacrificata la loro vita per il bene vostro; coloro che il Signore ha stabilito sopra di voi, coloro che sarebbero pronti a dare il sangue per salvarvi, qualora si desse l'occasione, essi vi odieranno? Credetelo, questo per ora tra noi è impossibile che avvenga. E poi, e poi! Siete entrati in congregazione per trovar tutto di vostro gusto, per ricever carezze? Bisogna che sappiate a suo tempo sopportare anche il disprezzo per amor del Signore. Forsechè un superiore non può mostrarti all'esterno poca stima per corregger la tua troppa sensibilità o per provare la tua fortezza? Credetemi, questo è un laccio antico del demonio, che fa sempre parer così, e di vero non c’è quasi mai nulla.

                Non si mostra contento di te? E tu vedi se questo avviene per colpa tua, perchè non fai quel che potresti e dovresti fare, oppure se tu fai il possibile. Nel primo caso tu sei tenuto ad emendarti, la colpa è tua; vuoi che il superiore sia contento di te, mentre non lo meriti? Nel secondo caso pensa che tu non lavori per piacere agli uomini, ma per piacere a Dio. In generale poi, credetemelo, anche qui la parte più grossa l'ha l'immaginazione. Perchè il superiore non dà segni speciali di aggradimento, o non sta lì a far carezze, si dice subito che non è contento. Con fanciullini si farà così; con quei che son già d'età maggiore, non c’è questo bisogno e chi è ragionevole deve contentarsi dei segni ordinari di soddisfazione.

                 - Io non son buono a far gl'interessi della Congregazione, non so guadagnarmi il vitto, ad assistere non son capace, a far scuola tanto meno, a lavorare non ho forze. Sarò d'aggravio alla Congregazione.

                Sapete chi è d'aggravio alla Congregazione? Sono quelli che, quantunque abili, non sono obbedienti. Bisogna che il superiore cerchi le parole più dolci per comandargli, altrimenti sa già o di non essere obbedito affatto o di essere obbedito di mala voglia. Sono coloro che non amano la povertà e si vanno lamentando ora del cibo, ora della bevanda o della camera. Sono coloro che non osservano fino allo scrupolo la virtù d'ella castità, senza la quale può un solo essere cagione di rovina alla Congregazione intiera. Se voi siete di [300] virtù e fate il possibile per far bene, non sarete mai d'aggravio alla Congregazione. E poi, se i superiori vedono la vostra inabilità, non vi ricevono; dal momento che vi accettarono, è segno che vi credettero abili, e questo giudizio va lasciato a loro, non a voi,

                 - Il superiore mi credeva di maggior virtù, invece io vedo proprio che non ho le virtù necessarie per lo stato religioso. - Se tu non hai virtù sufficiente per vivere nello stato religioso, dove sono allontanati i pericoli, tanti aiuti, molta la preghiera, e perciò la grazia del Signore, potrai tu vivere bene da salvarti dove tanti sono i pericoli dei luoghi e dei compagni, dove non potrai quasi più attendere alla preghiera, tutto occupato nel guadagnarti il vitto? E poi, la questione della virtù è assolutamente tutta nelle mani del Direttore Spirituale. Tu sforzati di fare il possibile, e poi non temere; se la tua virtù non è sufficiente, sarai avvisato, e o non più ammesso o cacciato. Se i superiori non ti dicono nulla, tu puoi andare avanti senza timore.

                 - Ma, può dir qualcuno, sembra che l'uscir di Congregazione e dannarsi sia la stessa cosa; invece mi pare che anche nel mondo si può vivere da buon cristiano; e vi son di quelli che, usciti, conducono una vita migliore e più regolata dì quando erano in Congregazione.

                Rispondo: è vero che, assolutamente parlando, anche fuori di Congregazione si può vivere da buon cristiano; e può anche salvarsi uno che esca dalla Congregazione; ma se voi altri mi vorreste credere, io vi direi schiettamente che questo è più vero speculativamente parlando che venendo ai casi pratici. In realtà io son di parere che molto pochi di quei che escono da una Congregazione a cui erano affigliati, possano salvarsi. Primo, perchè se entrarono in una Congregazione, sempre, si può dire, ne ebbero la vocazione, e, avendola perduta per propria colpa, difficilmente potranno rimettersi sulla buona strada. Poi, chi lascia un posto che sa buono e vede che è ben per lui il fermarsi, costui è segno che non è mosso dal puro amor del Signore, ma da interesse proprio.

                Ora, venendo a conchiudere qualche cosa di pratico, se io dovessi dare un consiglio a costoro che si sentono dubbiosi nella vocazione, il mio consiglio sarebbe questo. Non si prendano risoluzioni senza essersi ben consigliati. Le altre decisioni prese sarebbero immature. E a chi domandar consiglio? Io credo che nessuno possa consigliar meglio che il Direttore della propria coscienza. Si noti solo questo: di non fare come molti, i quali domandano consiglio, poi, se il consigli o è come piace a loro, secondo la deliberazione già presa, beffe quidem, se non è tale, non piace loro e non lo seguono. Il Signore, stabilendo i superiori e direttori, dava loro lumi e autorità. Ai sudditi poi diceva: Subiacete eis, quasi rationem reddituris pro animabus vestris. La parola del Direttore va ascoltata come voce di Dio e chi vi resiste, a Dio stesso deve temere di resistere. Ascoltate poi tutti l'altro avviso che è di S. Paolo: Manete in [301] vocatione, qua vocati estis; poichè chi, a guisa di banderuola, ora desidera questo, ora vorrebbe quello, poi gli pare meglio esser qua e quindi che farebbe più bene esser là; costui per lo più non saprà moderarsi in nessun luogo e farà male dovunque. Prendete adunque come a voi dette quelle parole in riguardo ai vostri superiori: Qui vos audit, me audit. Non fate nulla senza l'avviso o contro il parere del superiore.

                Così facendo vi troverete sempre contenti, sarete sicuri di camminar bene, e non avrete a render conto al tribunale di Dio della vocazione non eseguita.

                In quei chierici riposavano le speranze di Don Bosco; ma, guardati a distanza, essi turbavano i sonni. Nell'ultimo giorno dell'anno civile piombò nell'Oratorio un bolide. Era un blocco di osservazioni, in cui alla durezza del contenuto non erasi risparmiata nemmeno, come suol essere di prammatica in documenti simili, la rudezza della forma.

                Questa Congregazione ha diritto di ricevere nel suo seno coloro che ne fanno domanda, ma non può riceverli prima che questi abbiano presentate le carte testimoniali del loro Ordinario (Constit., X). Se l'Ordinario nega tali testimoniali e la Congregazione pensa che il rifiuto non sia giusto, ricorra alla S. Congregazione Romana, ma non si faccia giudice in propria causa.

                Essa non ha diritto di tenere un Collegio di giovani con veste clericale senza il permesso del Vescovo, nel cui distretto diocesano il collegio è aperto.

                Anche in questo collegio essa non ha diritto di porre l'abito chiericale a un giovane qualunque in modo che questi possa portarlo fuori del collegio senza il permesso del Vescovo, alla cui diocesi il giovane appartiene. Quindi l'avere breve tempo fa vestito da chierico un giovane di Vinovo senza permesso dell'Arcivescovo di Torino fu cosa anormale in se stessa, e nelle sue circostanze fu cosa gravemente contraria alla dipendenza che devesi al Vescovo diocesano.

                La scissura che è tra l'autorità Ecclesiastica di Torino e la Congregazione è stata aperta e si mantiene da questo, avendo essa cominciato e persistito a ricevere vestiti da chierici nelle sue case individui licenziati dal Seminario Metropolitano, non solo senza alcun permesso, ma contro l'esplicito dissenso dell'autorità Ecclesiastica. Lo che fu un sovvertire l'ordine gerarchico e la buona disciplina del Seminario e quindi, per conseguenza necessaria, un ferire il cuore dell'Arcivescovo in una delle parti più sensibili. [302] Si mantenne tale scissura e si mantiene ancora mancando, sia nelle lettere, sia nei colloqui, della dovuta riverenza al carattere ed al l'Autorità Arcivescovile, come avvenne l'altra sera [29 dicembre 1875]; e poi contentandosi di riparare a tale mancanza, cominciando con un dubitativo o condizionale se; posto il quale certamente si può domandare di qualunque peccato perdono, anche da chi sia immune da qualunque difetto.

                La Congregazione si tenga negli stretti limiti delle leggi canoniche, osservi a puntino le sue costituzioni, non si dimentichi della riverenza che deve all'Arcivescovo nè faccia, nè attenti di fare alcuna cosa contro la sua giurisdizione, come pur troppo avvenne più d'una volta; nè manchi verso di esso e della diocesi ai suoi doveri di giustizia; verso di questo e verso qualunque sia e in ogni occasione dia l'esempio di umiltà, che forma la prima virtù delle Congregazioni religiose; e le cose prenderanno quell'aspetto che debbono secondo le buone regole della giustizia cristiana.

                Don Bosco dettò senza indugio la risposta, ma formulandola in persona di Don Rua. Qui concetto ed espressione hanno la morbidezza della carità, che patiens est, benigna est, non aemulatur, non agit Perperam[137].

 

                               Ecc. Rev.ma,

 

                Sono in dovere di fare i più cordiali ringraziamenti per le osservazioni scritte il 31 u. s. dicembre le quali confermano l'idea concepita fra noi, cioè che la sola mancanza di schiarimenti fosse la vera cagione di malcontento all'E. V. per parte della Congregazione Salesiana. Ho fondato motivo a credere che, dato il vero aspetto alle cose e palesato il nostro buon volere, debbano eziandio svanire le difficoltà o non esistenti o non volute. Come prefetto della Congregazione, io sono sempre stato a giorno di ogni cosa e perciò, se me lo permette, esporrò il mio modo di vedere, sottoponendo poi il tutto alla illuminata sua Saviezza.

                “La Congregazione Salesiana, Ella dice, non può ricevere alcuno senza che prima presenti le lettere testimoniali del suo ordinario”. Ciò per noi non cagiona difficoltà, perciocchè l'abbiamo per nostra regola (capo XI) ed ogni primo giorno dell'anno leggiamo in presenza di tutti i salesiani il decreto Romani Pontifices del 25 Gennaio 1848 emanato della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, in cui sono date le norme: da tenersi in tale materia: anzi abbiamo pur sempre l'occhio sopra alle molte risposte date in dilucidazione dei dubbi insorti e dei fatti quesiti. [303]

                “La Congregazione Salesiana non ha diritto di tenere un collegio di giovani con veste da chierico senza il permesso dell'Ordinario”

                Credo che noi non abbiamo mai contestato questo diritto e nè in questa nè in altra Diocesi esiste alcun nostro collegio ove i giovani vadano vestiti con veste chericale.

                “L'avere breve tempo fa vestito da: chierico un giovane di Vinovo senza permesso dell'Ordinario fu cosa gravemente contraria alla dipendenza che devesi al Vescovo diocesano”.

                Se in ciò si è mancato in qualche cosa, la colpa è tutta mia: e questa però spero non mi sarà imputata dal Signore, essendo stata commessa per pura inavvertenza. Quel giovane fu da me ricevuto come secolare e con raccomandazione di un pio e zelante ecclesiastico. Se venne vestito da chierico, fu in seguito a sua domanda di essere ammesso nella nostra Congregazione, servendomi delle facoltà avute per ammetterlo, con qualche altro, alla vestizione chericale.

                Ella stessa ebbe la bontà di dirci più volte che non oppone difficoltà di sorta che giovani vengano come secolari da noi e che di poi siano ascritti alla nostra Congregazione. È però opportuno le noti, come col decreto, di approvazione definitiva della Congregazione Salesiana (1 marzo 1869) fu concessa facoltà di dare le dimissorie a quei giovani che venuti nelle nostre case prima dei quattordici anni, a suo tempo domandassero di far parte della stessa Congregazione. Quando poi (3 aprile 1874) furono approvate le stesse Costituzioni, questa facoltà fu estesa anche a quelli di maggiore età. Se fu preventivamente concessa la facoltà delle dimissorie a quei che sono ospitati in nostra casa, non occorre più altro permesso per l'accettazione in Congregazione. Così rispose più volte Mons. Vitelleschi di felice memoria, dopo aver parlato con chi ne era mestieri.

                “La Congregazione Salesiana riceve individui licenziati dal Seminario Diocesano senza permesso dell'Ordinario”.

                La R. V. conosce meglio di me che un Ordinario Diocesano non può impedire che i suoi preti o chierici vadano ad iscriversi in una Congregazione Ecclesiastica e che da poco tempo (13 Gennaio 1875) la S. Cong. dei Vescovi e Regolari dichiarò la cosa medesima, come giova credere sia stato eziandio comunicato all'E. V.

                Ma nei calamitosi tempi in cui viviamo, non si è punto badato al diritto, ma unicamente al bene delle anime. Appena Ella dimostrò esserle spiacevole tale cosa, niuno fu più accettato. Due furono nominati da V. E. in una occasione di colloquio, e sono i chierici Mundina e Macono, accolti momentaneamente in una lontana nostra casa. Nello spazio di poche settimane ne vennero ambedue allontanati.

                “Nelle lettere e nei colloquii si manca della dovuta riverenza all'Arcivescovo ecc.”.

                Eccellenza, non io solo ma tutti i Salesiani desiderano di conoscere [304] quali sieno le lettere o le parole usate che possano reputarsi irriverenti all'Arcivescovo e ciò desiderano conoscere per detestarle, farne emenda e riparazione nel modo più formale.

                Abbiamo frequenti relazioni con oltre quaranta Vescovi e tutti ci fanno da padre e da veri benefattori e, ci permetta il dirlo, con nessuno altro ci studiamo tanto di misurare le parole e gli scritti per evitare qualunque minima cosa che possa cagionare dispiacere. Sarei veramente ansioso sapere i particolari di tali asserzioni per unico motivo di poterli scongiurare in avvenire.

                “La Congregazione si tenga negli stretti limiti delle leggi canoniche, ecc.”.

                La prego di nuovo, Monsignore, di permettermi una preghiera. La nostra Congregazione è nascente, e nasce in tempi procellosi: quindi ha bisogno di tutto e di tutti con quella massima indulgenza che è compatibile coll'autorità degli Ordinarii; perciò non dimandiamo il rigor delle leggi canoniche, ma somma carità e clemenza nell'applicazione delle medesime. In questo senso i religiosi Salesiani hanno sempre lavorato e tutt'ora in numero di 200 lavorano nella diocesi di Torino non per paura delle leggi che li obblighino o per interesse materiale, ma unicamente mossi dalla necessità in cui si trova la Chiesa di operai che lavorino nel campo evangelico. Ciò nondimeno io sono autorizzato da tutti i miei Confratelli Salesiani ad assicurarla che qualunque cosa ci venisse da V. E. avvertita pro o contro alle leggi canoniche, adopreremo la maggior diligenza nell'evitare o praticare quanto fosse del caso.

                La prego ancora di permettermi che le noti alcune cose che hanno grandemente costernati ed umiliati i poveri Salesiani,

                Primieramente fu il decreto in data 17 Novembre 1874 con cui la E. V. giudicò bene di togliere i privilegi e favori che i suoi antecessori, ed Ella stessa, avevano concesso alla nostra istituzione nello spazio di 35 anni. Fatto questo che ne avrà pochi somiglianti nella storia; dare la patente limitata e togliere la facoltà di assolvere dalle colpe riservate al nostro Superiore che, senza mai farne domanda, fu al medesimo benevolmente concessa.

                La risposta negativa data alle preghiere di venire ad onorare con qualche funzione il settenario della festa della consacrazione della Chiesa di Maria Ausiliatrice, di voler venire a dare la cresima ai nostri giovanetti: ad entrambe le cose rispose negativamente; e neppure volle permettere che potessimo invitare altro Vescovo ad intervenire.

                Al principio di quest'anno fu rifiutata la facoltà di predicare a due nostri sacerdoti di cui uno è direttore delle scuole degli esterni e dell'Oratorio Festivo di S. Francesco di Sales.

                Tutte queste gravi misure suppongono certamente gravi motivi, che a noi non fu mai dato poter conoscere. [305] Malgrado queste cose il nostro Superiore, su cui vanno a ricadere tali misure, non si è mai udito a dire, scrivere, o in altro modo promuovere cosa non decorosa pel suo Superiore Ecclesiastico. All'opposto io posso assicurare l'E. V. che esso fu invitato a sottoscrivere cose contro V. E. che furono di fatto inviate a Roma, ed egli si rifiutò sdegnosamente.

                Potè sapere che il collaboratore di un pessimo giornale aveva una serie di articoli preparati e prezzolati contro di V. E. Egli si risolse ricoverare un figlio di quel miserabile e dargli una somma di danaro a condizione che gli venissero consegnati quegli scritti infami, nè mai più si desse ai medesimi alcuna pubblicità. Si ottenne l'intento.

                Soltanto nel passato ottobre (1875) taluni credendo alla voce, che faceva D. Bosco avverso all'Arcivescovo, gli presentarono un'infame biografia di V. E. con una vistosa somma di danaro, perchè ne procurasse la stampa. D. Bosco si fece lasciare il manoscritto per esaminarlo; oltrepassava le mille pagine, ma conosciutone il contenuto, ridusse ogni foglio in minuti pezzi che consegnò alle fiamme. Questo fatto ebbe gravi conseguenze, il cui peso è tuttora sentito da D. Bosco; ma egli è sempre contento, quando con sacrifici di qualunque genere può riuscire a cose che possano tutelare l'onore del suo Arcivescovo, che egli ha sempre amato e rispettato.

                Mi accorgo di essere stato troppo lungo, ma Ella mi vorrà perdonare questo sfogo del mio cuore per assicurarla che i Salesiani non hanno mai diminuito nè stima nè venerazione verso della E. V. nè quando era semplice canonico in questa città, nè quando era Vescovo di Saluzzo, nè quando la Divina Provvidenza dispose che divenisse nostro Arcivescovo.

                Sarà sempre un grande onore per me ogni volta che mi potrò professare colla massima gratitudine

                Dell'Ecc. V. Rev.ma

Obbl.mo servitore

D. MICHELE RUA.

 

                Fra le carte di Pio IX a Roma esiste l'originale delle suddette Osservazioni, con cinque postille marginali di mano del Beato. 1ª Alla fine del primo capoverso: “Disse più volte che tocca a lui dare l'esame di vocazione, quando taluno volesse venire in congreg.”. 2ª Alla fine del secondo: “Non abbiamo niuno di tali Collegi”, 3ª Alla fine del primo periodo nel terzo capoverso: “Non vestiamo se non quelli che intendono di far parte della nostra Congregazione” 4ª Alla fine del quarto capoverso: “La S. C. dei VV. e RR. ha già risposto [306] allo stesso assicur[ando] che non può impedire ecc. Tuttavia in nostra Congregazione non abbiamo avuto nè presentemente abbiamo alcuno espulso dal Seminario diocesano”. 5ª Dopo “colloqui” nel primo periodo del quinto capoverso: “Fa maraviglia che non abbia mai nominato nè lettere nè parole di questo genere”. In ultimo: “NB. Le cinque postille furono fatte dal Sac. Gio. Bosco, 16 gennaio 1876”. Il colloquio del 29 dicembre è quello, di cui parliamo più innanzi, nel capo XXII, e la riparazione sarebbe nella lettera di Don Rua ivi riferita.

                Ci resta a dire dei professi sacerdoti. A guardare sul catalogo, i preti nell'Oratorio non abbondavano; se poi si bada al da fare che vi era, come non rimanere di stucco a contarne tanto pochi? Ci spieghiamo così le lagnanze di Don Cagliero per sì grande scarsità. Assistiamo a una botta e risposta fra la vivacità del futuro Cardinale e la calma inalterabile dell'Uomo di Dio. Il dialogo avvenne, al solito, dopo cena, il 4 luglio. Cominciò Don Cagliero a risentirsi che con tanto da lavorare scarseggiassero tanto i preti. Don Bosco gli rispose:

                 - Consòlati. Se le cose vanno bene, faremo ordinare undici nuovi preti in meno di tre mesi.

                 - Bene, bene; anche troppi, per essere tutti in una volta. Ma io non sono più nuovo nella Congregazione. Tutti gli anni si fanno dei preti, e tutti gli anni ci troviamo in maggiore scarsità. Si ordina un prete, e cresce il lavoro per due. Se ne ordinano due nell'Oratorio, ed Ella ne manda tre in altri collegi. Adesso, è vero, se ne ordinano undici; ma intanto si apre casa in America e si apre un altro Ospizio per cominciare l'Opera di Maria Ausiliatrice. E poi di quegli undici, chi per un motivo chi per un altro, quattro, sei e anche otto si vedranno ritardate le ordinazioni, e buona notte: noi staremo al buio più di prima.

                 - No, no. A meno che da Roma non ci concedano gli extra tempus che ho domandati; ma ciò non deve supporsi, perchè finora ci fu sempre concesso tutto quello che abbiamo [307] domandato. Appena arrivati gli extra tempus, la prima domenica i minori, la seconda il suddiaconato, la terza il diaconato, la quarta la Messa.

                 - E costoro terranno il posto di altri; ma ci vorranno altri a tenere il posto di costoro.

                 - Oh, finchè ci sarà Oratorio, temo che sarà sempre così; un lavoro ne incalza un altro, il secondo è incalzato dal terzo; e quando uno non avrà due lavori per le mani, n e avrà tre; e così ci terremo allegri.

                 - Basta, basta! Ora, chi ci ha da pensare, ci pensi; io scappo in America e proveremo un po' se là le cose cambiano.

                Erano presenti solo tre altri sacerdoti, che non si scandalizzavano punto della franchezza di Don Cagliero, dovuta alla sua grande familiarità con Don Bosco. In America egli andrà, ma non da fuggiasco. Gli undici ordinandi ci sono già noti. Nonostante tutte le contrarietà, il catalogo del '76 ce ne dà otto preti, due diaconi e uno suddiacono.

                Finchè Dio ci darà vita per condurre innanzi queste Memorie Biografiche, faremo si che nulla vada perduto delle sagge direttive largite da Don Bosco a' suoi sacerdoti nell'esercizio del sacro Ministero. Quale tesoro ci troveremmo accumulato davanti, se il tempo non ce ne fosse stato troppo avaro! Intanto raccogliamo le briciole.

                Fra i pochissimi professi entrati in Congregazione già sacerdoti spiccava singolarmente Don Guanella. A lui, direttore dell'Oratorio di S. Luigi, Don Bosco diede un giorno queste norme pratiche di predicazione: - Se Vuol piacere e far del bene predicando ai fanciulli, bisogna che porti esempi, parabole, similitudini; ma ciò che più importa si è che queste, vengano sviluppate bene in tutte le loro particolarità fino alle minime circostanze. Allora i giovani vi prendono interesse e attendono con ansia come vada a finire il racconto. -

                Altra norma per la predicazione ai giovanetti diede a Don Costamagna nel '75. Leggiamola quale egli stesso già [308] Vescovo la espose[138]: “Dovendo io predicare gli esercizi spirituali ai nostri collegi di Torino, Varazze, e altrove, mi chiamò a sè e dissemi: - Insta molto sulla fuga dei discorsi cattivi e sul danno che producono. Racconta pure che Don Bosco ha letto di grandi libri, ha sentito tante e tante prediche, e di tutto questo ben poco si ricorda; ma di una parola cattiva che un compagno cattivo gli disse all'età di sette anni, non si scordò mai; che il demonio si prende il brutto incarico di fargliela risonare sovente all'orecchio. Eppure ha già sessant'anni -”.

                Nel medesimo anno, quando fu a Sampierdarena per la partenza dei Missionari, parlò a Don Albera della direzione spirituale dei giovani. Tornavano insieme in carrozza all'Ospizio, dopo essere stati a pranzo a Staglieno in casa del signor Angelo Borgo; il Beato, trovandosi solo con quel direttore, rimasto alquanto in silenzio, esclamò: - Quanto è difficile far del bene alle anime! Adesso che ho sessant'anni mi accorgo ancora delle difficoltà che s'incontrano nel confessare i giovanetti. Eppure Don Bosco qualche lume l'ha ricevuto.

                Il Beato Don Bosco, che lanciava nelle occupazioni soggetti forniti assai più di buon volere che non di buona preparazione, persuaso che la funzione avrebbe svegliato e sviluppato l'attitudine, in cose poi del sacro ministero andava con piè di piombo, mostrandosi esigente più che altri non crederebbe. Un giovane prete, ordinato nell'agosto del '75 e destinato al collegio di Valsalice, essendo adorno di eccellenti doti oratorie, predicava molto. Un giorno chiese a Don Dalmazzo, suo direttore:

                 - Sento che il tale predica molto.

                 - Sì Don Bosco, rispose Don Dalmazzo.

                 - E predica bene?

                 - Fa furore. [309]

                 - Ma la sua predicazione è tale, che rechi frutto di salvezza alle anime?

                 - Non saprei definire; ma ha moltissimi uditori, e restano entusiasmati.

                 - Io domando se la sua predicazione produce conversioni!

                 - Questo non lo so. Ha molta rettorica, immaginazione, bella voce, forse un po' troppo studiato...

                 - Ebbene, per alcuni anni gli proibirai di predicare.

                Usava poi a tempo e luogo con i sacerdoti certi tratti, che rubavano i cuori. Così a Don Lemoyne, direttore del collegio di Lanzo, disse una volta in questo medesimo anno, aprendo lo scrigno:

                 - Prendi, prendi pure denari.

                 - Ma io non ne ho bisogno.

                 - Ma è per non dover dipendere dal prefetto, quando te ne bisognasse, e per essere libero in certi casi e senza controllo.

                Don Lemoyne gli baciò la mano, commosso.

                A Don Barberis, che una sera lo accompagnava in camera, disse paternamente:

                 - Sarai sempre il grande amico di Don Bosco.

                 - Oh, spero di sì.

                 - Il baculus senectutis meae.

                 - Se posso in qualche modo aiutarla, lo farò ben volentieri.

                 - Voi compirete l'opera, che io incomincio; io abbozzo, voi stenderete i colori.

                 - Purchè non guastiamo quello che Don Bosco fa!

                 - Oh no! Ecco: adesso io faccio la brutta copia della Congregazione e lascerò a coloro che mi vengono dopo di fare poi la bella. Ora c’è il germe: te ne avvedi tu stesso che, da quando sei venuto nell’Oratorio, tante cose già si sono migliorate sia nell'andamento materiale che nell'ordine e nella regolarità... [310]

                 - Che cosa è nel mondo il nostro Oratorio qui di Valdocco? gli disse un'altra volta, e con queste sue parole chiuderemo due capi già lunghi. Che cosa è l'Oratorio? Un atomo. Eppure ci dà tanto da fare, e da questo cantuccio si pensa a mandar gente di qua e di là. Oh, potenza della mente umana! Oh bontà di Dio!

                Oh, santità grande dell'uomo di Dio! esclameremo noi a nostra volta. Don Carlo Ghivarello, in quel tempo consigliere del Capitolo Superiore, uomo di poche parole, studiosissimo di meccanica e freddo verificatore non solamente su macchine morte, ma anche su uomini vivi - un altro dei tipi singolari formati da Don Bosco - si mise in capo di osservare con oculatezza il Beato Padre per vedere, se mai gli riuscisse di scorgere ne' suoi atti ordinari e comuni, nelle sue parole, nei suoi discorsi alcun che di meno conveniente. La durò per un mese intero a spiarne le mosse; ma, come dichiarò a Don Nai dopo la morte del Servo di Dio, nulla, assolutamente nulla gli fu dato di sorprendere in lui che si potesse chiamare difetto. Da tante virtù la piccolezza dell'Oratorio traeva quella intima e sana vigoria, che dà impulso a opere magnanime, alimenta la costanza nel bene arduo e dilata i cuori alle aspirazioni verso alte e nobili cose.

 

 

CAPO XII. Udienze, ospitalità, visitatori.

 

                SIAMO sempre in tema di vita dell'Oratorio, sebbene il titolo esplicitamente non lo dica. Cercatori di udienze, ospiti e visitanti apportavano dal di fuori note passeggiere di varietà nel ritmo usuale della regolarità quotidiana; giacchè, quantunque Don Bosco fosse il centro di attrazione, pure or più or meno la sensazione di questi viavai arrivava anche alla periferia. Vediamo che cosa ci fu di nuovo nel '75 anche da questo lato.

                Può sempre, chiunque lo voglia, rileggere nelle Memorie Biografiche al capo terzo del volume settimo l'eroismo di virtù da Don Bosco raggiunto, massime durante i suoi ultimi trent'anni, con l'improba fatica delle udienze. La cronaca del 26 maggio 1875 ci trasmette l'eco lontana di una conversazione, in cui affiorò anche quest'argomento. Don Bosco sedeva a mensa fra una corona d'invitati; ma non istava bene. La stanchezza lasciatagli dalla festa di Maria Ausiliatrice ne prostrava tuttora le forze; è probabile che non avesse il solito brio e che vedesse la convenienza di darne una spiegazione ai commensali. Egli avrebbe parlato così: “Quel che più mi rompe, sono le continue udienze. Tutti vogliono parlarmi, e parlarmi a lungo, e il povero Don Bosco non ne può più. Ora qualcuno mi domanda almeno una mezz'ore per lui. Ora un altro dice: - M fermerò a Torino tanto che basti per poterle parlare liberamente. - Io rispondo: - Ma se ora non posso! Veda quanta gente. - L'altro soggiunge: - Non [312] importa; mi fermerò, aspetterò, e il tempo si troverà. - Insomma si ha un bel dire, un bel fare; ma un uomo val solo e sempre per un uomo”.

                Gli si dava la caccia dovunque si sperasse di poterlo avvicinare. Questa specie d'indiscrezione, della quale in simili casi nessuno si fa scrupolo, causò un incidente la sera del 10 giugno. Don Bosco aveva finito tardi di confessare gli artigiani e tardi andò a cena. Si aggiravano per il cortile due sante signore bolognesi, direttrici di un ospedale, venute a Torino per la festa di Maria Ausiliatrice e per parlare con Don Bosco. Udito che allora egli stava in refettorio, andarono là difilato a trovarlo.

                 - A quest'ora esse qui? esclamò Don Bosco, appena le vide comparire,

                 - Ci siamo fatto coraggio di venire avanti per tentare la prova di parlarle un momento.

                 - E non sanno che a quest'ora fra noi è clausura?

                 - Veramente non lo sapevamo, e se non è contento, noi ci ritireremo, osservò una.

                 - D'altra parte, continuò l'altra, è Don Rua che ci ha introdotte.

                 - Basta; io non le spingo via, ma pensino esse alla pena incurrenda per la clausura violata.

                Si trovavano presenti circa dieci persone, sicchè le due signore rimasero ancor più mortificate. Non crediamo che Don Bosco avesse seriamente intenzione di comminare pene canoniche, sebbene il cronista commenti:

                “Le sue parole non avevano niente di brusco, ma non erano accompagnate dal suo solito risolino”. Mai fino a quella sera donne avevano messo piede là dentro nè in tempo di cena nè dopo. Chi conosce l'estrema riserbatezza di Don Bosco, intende benissimo che la cosa non poteva terminare in un modo sostanzialmente diverso.

                Non dipartiamoci da questo giugno. In tal mese chi visse nell'Oratorio, vide come la casa di Don Bosco fosse ancora [313] sempre la casa dell'ospitalità. Don Bosco non sapeva chiuderne le porte a nessuno. Le due signore bolognesi avevano fatto il viaggio accompagnate dal signor Lanzarini, che nel marzo aveva ospitato in casa sua a Bologna Don Bosco ritornante da Roma e che allora ne ricevette a sua volta l'ospitalità per oltre un mese. Contemporaneamente soggiornavano nell'Oratorio individui di parecchie nazionalità e religioni; un ebreo convertito da poco al cristianesimo; un inglese cattolico sui venticinque anni, desideroso d'imparare il latino per farsi prete; un chierico maltese; un protestante svedese ancor giovanetto, che si preparava a ricevere il battesimo; un francese, che da molti anni incurante di doveri religiosi, imbattutosi in Don Bosco e da lui confessatosi, voleva restar sempre nell'Oratorio. Vi si trattennero alquanti giorni tre preti forestieri: uno siciliano; l'altro, canonico di Alassio, venuto a trovare un ragazzo infermo, suo parente; il terzo, un parroco che vi fece qualche dimora. Vi pernottarono dieci sacerdoti, che andavano in pellegrinaggio a Paray le Monial. Vi si fermò anche venti giorni un prete di  Modena, che doveva conseguire la laurea in teologia. Di siffatta popolazione avventizia nessuno si meravigliava, perchè oramai l'Oratorio si era incamminato a diventar un porto di mare.

                Col prete modenese Don Bosco fece a mensa una conversazione, che ha avuto la sua notorietà presso scrittori e pubblicisti. Parlandosi della massoneria, egli disse: “Cavour, che qui in Piemonte fu uno dei capi della massoneria, teneva Don Bosco come uno de' suoi amici e mi disse francamente, così più volte fece, non volermi dare udienza, se non andavo pranzo da lui; e che, quando avessi bisogno di qualche favore, alla sua mensa vi sarebbe stato sempre un posto per me, e che quivi si parlerebbe con maggior comodità. E una volta che per un affare urgente mi era presentato al suo ufficio, non mi ricevette in quel momento, ma mi fece fermare, perchè pranzassi con lui. Allora mi concedeva quanto io gli domandava”. Soggiunse pure che l'anno innanzi il ministro Vigliani [314] pareva un suo compagno, tale era la confidenza con cui lo trattava; e che così diportavasi Rattazzi verso di lui.

                Talora la sua benignità e facilità in accogliere ospiti gli fruttò qualche fastidioso. Un Don Teodoro Boverio, prete della diocesi di Casale, albergò, non sapremmo per quanto tempo, nell'Oratorio. Egli non aveva mancato al suo dovere di chiedere all'autorità diocesana la licenza di celebrare ivi la santa Messa. Spirato il termine della concessione, rimandò il Celebret alla Curia, affinchè, a tenore delle ordinanze sinodali, la licenza gli venisse rinnovata; ma, dovendo partire da Torino, non si curò di andar a ritirare il foglio. Ed ecco un'energica intimazione dell'Ordinario, con un monito sul passato, e una minaccia per l'avvenire, se tanto Don Bosco che il prete estradiocesano non si mettessero in regola entro lo spazio di tre giorni. Don Bosco s'ingegnò tosto di rintracciare l'interessato; e venutone a capo, scrisse questa rispettosa lettera:

 

                               Eccellenza Rev.ma,

 

                Dopo essermi procurate le necessarie notizie intorno al Sacerdote Teodoro Boverio mi fo dovere di comunicarle quanto segue:

                Il Sacerdote Teodoro Boverio venne per breve tempo a dimorare in questa casa, celebrando la S. Messa nella Chiesa di Maria Ausiliatrice. A motivo della sua malferma salute egli andò a Genova per mettersi in cura medica ed è tuttora in un Ospedale di S. Pier d'Arena.

                Questo per norma dell'E. V., mentre colla massima venerazione ho l'alto onore di potermi professare

                Della E. V Rev.ma

                Torino, 13 agosto 1875

Umile servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Affluivano inoltre all'Oratorio personaggi cospicui per conoscere Don Bosco e per osservare da vicino la sua Opera. Si ha memoria di visite fattevi in quest'anno da missionari e da vescovi. Nel mese di maggio visita l'Oratorio un missionario dell'Asia, di cui la cronaca non ci ha conservato il nome; [315] essa però ci fa sapere che egli invogliò molti ad andare nelle missioni, narrando di una provincia, nella quale per otto milioni di abitanti, vi erano appena il vescovo e otto sacerdoti, uno per ogni milione di anime. In ottobre vi fu l'Arcivescovo di Calcutta, che, parlato a lungo con Don Bosco, diede la benedizione col Santissimo Sacramento. In novembre venne il Vescovo d'Acerenza, che volle vedere scuole e laboratori, mostrandosi al partire sbalordito di quanto aveva osservato. Nel luglio oltre al Vescovo di Susa, sempre molto benevolo a Don Bosco, era stato all'Oratorio mons. Parocchi, Vescovo di Pavia, gradendovi anche l'alloggio. Su quest'ultima visita, che ebbe più tardi una ripercussione durante il processo apostolico, dobbiamo soffermarci un tantino.

                L'antico avvocato fiscale della Curia arcivescovile torinese, canonico Colomiatti, che, affastellando cose su cose, intralciò l'andamento della causa di Don Bosco, depone che nel 1900 il Parocchi, Cardinale Vicario, gli disse queste parole: “Mi sovvengo che era Vescovo ancora di Pavia e recatomi a vederlo, egli [Don Bosco] mi disse se veniva a lui per consiglio. Ciò mi urtò, perchè, se più giovane di lui, tuttavia era vescovo, ossia avevo la grazia della pienezza del sacerdozio, e poi doveva io dire ciò, non lui a me”. Chiunque sappia quanto grande fosse non diremo l'umiltà, ma l'accortezza di Don Bosco nel parlare e nel trattare, sorride al sentirglisi attribuire uno sproposito così piramidale, Qui, una delle due: o il canonico ha travisato le parole del cardinale o il vescovo prese allora Roma per Toma. Che il paladino della vecchia Curia quando giudicava di Don Bosco, vedesse tutto sotto il colore de' suoi occhiali od anche cercasse di fare vedere bianco per nero è stato dimostrato a esuberanza da Don Cossu[139] e da altri: noi non condanniamo le intenzioni, ma il fatto non si sfatta, dicono in certi paesi. Del resto, Son cose [316] che capitano nelle difese a oltranza; lo cantava già il poeta romano, mettendo sull'avviso certi avvocati: Causa patrocinio non. bona peior erit[140].

                Se poi così non fosse, ci spiace per il vescovo, ma dobbiamo proprio dire che la sua impressione gli fece fraintendere le parole di Don Bosco. Con persone anche altolocate che lo ammettevano nella loro confidenza, Don Bosco usava rispetto, sì, ma pigliava un fare bonario e semplice, che ne rivelava l'animo schietto e schivo d'artifizi. Ricevendo la visita di un prelato, che egli riguardava come intimo, lungi dal mettersi in sussiego, avrà, secondo il solito, adoperato frasi scherzevoli e confidenti, da cui si sarebbe guardato bene, se la sua abituale perspicacia gli avesse fatto scorgere nell'interlocutore un senso così scontroso della propria dignità da non tollerare che altri motteggiasse in sua presenza. Supporre che Don Bosco fosse capace di atteggiarsi a consigliere di vescovi è ignorare l'abbicì della sua psicologia.

                Il 5 luglio fu giornata albo signanda lapillo nella cronografia delle visite: quella data restò memoranda anche per la maniera drammatica, con cui Don Bosco dispose che il fatto sì svolgesse.

                Durante il pranzo compare nel refettorio dei giovani un superiore, fa cenno al lettore di sospendere la lettura e con aria di mistero avvisa: a un dato segno avviarsi ai dormitori e là indossare i vestiti migliori, lavarsi bene, pettinarsi bene, lucidar bene le scarpe... perchè... viene a far loro visita un gran personaggio. Si mostrino educati, tengano il cappello in mano, facciano silenzio a tempo e luogo. I musici, alle due, vadano a provare un inno d'occasione.

                Immaginarsi la curiosità generale! Appena usciti, correvano intorno a preti e a chierici, tempestandoli di domande; ma preti e chierici ne sapevano tanto quanto i giovani. Allora è quando si tira a indovinare. - È il principe Amedeo... [317] Sarà il principe Umberto ... No, dev'essere Don Carlos, che va dal Papa e passa di qui ... O piuttosto il generale Lizzaraga, inviato a Roma da Don Carlos e ora di ritorno nella Spagna. - Un chierico udì fra superiori del Capitolo mormorare “cardinale”. - Ah! fece ridendo, è un monsignore che porta a Don Bosco il cappello cardinalizio. - Intanto nella scuola di banda i sonatori sulle cartine di un noto inno, al posto di “Viva Don Bosco”, lessero “Viva Giuseppe, Giuseppe viva”. Era un altro dato acquisito alla storia. Poco stante se ne aggiungeva un terzo: il visitatore veniva da Roma; e lì a riandar nomi di Cardinali, per trovarne uno che si chiamasse Giuseppe.

                Il misterioso signore sarebbe arrivato alle quattro, e le quattro si avvicinavano. Il programma del ricevimento era questo: tutti i giovani a scuola o al lavoro; la banda presso il portone; Don Bosco sotto i portici del refettorio; visita ai laboratori; nel frattempo gli studenti scenderebbero, si disporrebbero in circolo sotto il porticato, ivi si eseguirebbe l'inno e si sonerebbero pezzi scelti. Ma all'atto pratico Don Bosco dovrà modificare alcuni numeri.

                Il segreto durava impenetrabile; l'unico particolare nuovo era che trattavasi di un insigne benefattore.

                Ed ecco alle quattro meno un quarto affacciarsi dalla porteria un dopo l'altro quattro signori; uno di essi alto di statura, già avanzato negli anni, ma aitante della persona, sembrava il grande aspettato: vestiva color nero caffè e portava cilindro in capo. I musicanti non erano ancora all'Ordine; ma Don Sala che trovavasi in porteria, conosceva il visitatore. Si vola a dar l'annunzio a Don Bosco: il signore gli fu condotto direttamente in camera con il suo seguito.

                Di lì a pochi minuti Don Bosco, passando per la biblioteca, condusse i suoi ospiti a visitare lo studio e qualche dormitorio e, dato uno sguardo al giardino dietro la casa, si scese sotto i portici, dove la banda die' fiato agli strumenti. Dopo una sonata si visitarono tutti i laboratori. [318] Don Bosco, prima che il forestiero arrivasse, aveva fatto avvertire quelli che, essendo stati a Roma, lo conoscevano, di star cheti, di non dir nulla, di non dare neppur segno di speciale rispetto; ma l'incognito corse pericolo di essere tradito. In libreria Don Berto offri allo sconosciuto una Messa di Don Cagliero dedicata al cardinal Giuseppe Berardi; al che uno del seguito parve dicesse: - Oh! è dedicata a Lei. Due librai vicini sentirono e divulgarono il sospetto. In tipografia due giovanetti romani, appena lo videro: - Oh! il cardinal Berardi - esclamarono meravigliati.

                Al suo riapparire sotto i portici gli studenti vi si trovarono schierati in doppia fila, e fra una salva d'applausi intonarono l'inno. Sedette con gli altri tre. Canti e suoni durarono mezz'ora. Negl'intervalli Don Bosco rivolgeva qualche parola al suo ospite, per dargli spiegazioni sui giovani e per concertar il modo di visitare in fretta Torino.

                Sul finire del trattenimento il visitatore, alzatosi e toltosi il cappello, salutò graziosamente i giovani e si avviò verso la porteria. Il rispetto e la venerazione che egli dimostrava per Don Bosco, riempì tutti di meraviglia e di compiacenza. Volle averlo alla sua destra; a qualche suo tentativo di cambiar posto, gli disse: - In questo comando io; stia alla mia destra. - All'uscita, salì per primo in vettura e visto che Don Bosco girava dietro per entrare dall'altro sportello e mettersi dal lato sinistro, lo fece rigirare ed entrare dalla medesima parte, per cui egli era salito, e sederglisi a destra. Don Bosco avrebbe preferito stare a capo scoperto; ma si dovette coprire.

                Tutti i giovani battevano le mani circondandone la carrozza. Ivi sorpresero Don Cagliero e poi Don Berto che gli baciavano la mano, mentre egli li benediceva. Allora il sospetto, già entrato in molti circa l'essere suo, divenne quasi certezza. Noi prescindiamo pure dal “quasi”.

                La carrozza partì e, procedendo adagio, fece un lungo giro per la città, secondo l'itinerario fissato con Don Bosco, che mostrò a Sua Eminenza e illustrò i più importanti monumenti. [319] La meta fu Valsalice. Piacque straordinariamente al Cardinale il luogo, l'edifizio e l'accoglienza dei giovani. Disse a Don Bosco: - Qui si vede il collegio signorile, ben tenuto, adatto alla qualità dei convittori. A Valdocco si vedeva pulitezza, proprietà, non ricchezza, non eleganza; anche là, tutto conforme alla condizione degli alunni. Se qui il luogo fosse meno signorile, stenterebbero le famiglie ad affidarvi i figli; se là vi fosse di più, non si vedrebbe la Casa di beneficenza. Tutto, tutto ben appropriato.

                Disceso da Valsalice, rientrò in Torino per il ponte di ferro sul Po e gli fu indicato il sito, dove sarebbe sorta la chiesa di S. Giovanni Evangelista. Don Bosco gli narrò la serie delle vicende, a cui diede origine l'acquisto del terreno. Verso le otto il Cardinale scese all’Hotel d'Europe e Don Bosco ritornò all'Oratorio, dove alcuni preti lo aspettavano, bramosi di sapere com'egli avesse passata quella sera. Don Bosco li contentò a cena.

                Il Cardinale, e questo nessun altro lo sapeva, trovavasi in Torino fin dal giorno innanzi. Don Bosco, andatolo a visitare, l'aveva condotto a vedere il Campo Santo. Nel descrivere ai suoi preti quella visita, egli disse:

                 - Veduti molti monumenti, ammirati i marmi, i lavori, la pulitezza, i viali dei cipressi, per divagarlo alquanto gli raccontai la storia di madama Griffa, che voi sapete già.

                 - No, non la sappiamo, esclamarono i preti.

                 - Non sono molti anni che madama Griffa, essendo gravemente inferma, veniva confortata dal suo marito, famoso medico di Corte, a rassegnarsi al gran passaggio. Ma essa tuttavia mostrava rincrescimento di dover morire. Chiestole che cosa fosse che maggiormente le recava inquietudine, rispose al marito: “Non è il morire che mi rincresca, lo sa bene Iddio; no, non è il morire. Mi angustia il pensare che sarò gettata là nel cimitero alle intemperie senza che nessuno mi possa riparare dal sole, dalla pioggia e dalla neve. Mi si ponesse almeno sopra la tomba un parapioggia! Ma nemmeno [320] questo mi sarà concesso”. Se era quello solo, il marito le promise di far mettere sulla tomba un gran parapioggia di ferro, che la riparasse da ogni intemperia. “Se è così, sono contenta!”, disse la moglie. Morì, e il marito mantenne la parola, ed io condussi Sua Eminenza a vedere il famoso parapioggia, che ancora sta là al suo posto.

                Mentre Don Bosco intratteneva così quei preti, Don Rua dopo le orazioni diceva ai giovani: - Voi, miei cari giovani, desiderate tutti di sapere chi sia quel personaggio che oggi ci ha fatto visita. Uno domanda se è il Papa, altri se è il cardinal Berardi, altri se è Don Carlos. Chi sia, ve lo dirò in poche parole. È un personaggio che vuole molto bene al signor Don Bosco e all'Oratorio, ma che desidera conservare l'incognito, cioè non vuole che si sappia chi esso sia. Verrà forse il tempo, che lo saprete.

                Questa parlata indusse a nuove supposizioni; ma i più erano persuasi che fosse il cardinal Berardi.

                Sua Eminenza trascorse ancora una giornata a Torino. Venutovi solo per parlare con Don Bosco, mantenne il più stretto incognito, ricusando di fare o di ricevere visite; non vide nemmeno l'Arcivescovo. Per altro scambiò poche parole con lo strenuo giornalista cattolico teologo Margotti, direttore dell'Unità Cattolica. Tutte e tre le mattine celebrò nella cattedrale; l'imponenza dell'aspetto e la sostenutezza del contegno con cui domandò di celebrare, chiuse la bocca a chi voleva far precedere le solite formalità, sicchè gli fu recata senz'altro una veste talare.

                Dei tre che accompagnavano il Cardinale, due gli erano nipoti, e il più giovane, ed anche più vispo, era proprio quello prodigiosamente guarito nel '69 dopo la benedizione di Don Bosco.

                Il Beato tenne compagnia al Cardinale la mattina intera, conducendolo a vedere l'armeria reale, l'orto botanico, il giardino del Re con le belve feroci; il palazzo reale e la cappella della Santissima Sindone, ed anche la biblioteca dell'Università; qui il celebre orientalista professor Gorresio, col quale [321] Don Bosco aveva molta familiarità, mostrò all'eminente visitatore quanto di meglio vi si custodiva in miniature e codici.

                Tornato a casa per il pranzo, Don Bosco nel pomeriggio fu nuovamente a ossequiarlo e a prendere commiato. Il Cardinale si dichiarò contento e soddisfatto d'aver visitata Torino, e a lui in particolare disse: - Ora scriverò a S. Santità. Arrivato a Roma, saprò ben io parlare a suo riguardo.

                Nella "buona notte " Don Bosco parlò così a tutti i giovani:

                Ora che il personaggio, il quale ebbe ieri la bontà di visitarci, è partito, non è il caso che io vi mantenga il mistero. Alcuni di voi già lo sanno, che era sua Eminenza il Cardinale Berardi, persona tanto benemerita dell'Oratorio e che si occupò già molto molto per noi a Roma. Mi ha incaricato di farvi tanti saluti, di ringraziarvi da parte sua delle accoglienze che gli avete fatte, e dirvi che egli fu contento grandemente di tutti. Avrebbe voluto parlarvi prima di andar via; ma se vi parlava sorgeva la necessità che egli scoprisse chi era, ed egli, ciò non volendo, lasciò a me l'incarico di salutarvi. Mi disse che quando sarà a Roma vuol parlare molto di voi coi Santo Padre. Già fin d'ora scriverà una lettera a Pio IX per manifestargli le vostre buone accoglienze, poichè egli non va subito a Roma; ma, quando vi andrà, farà i suoi buoni uffizi per noi presso il Santo Padre. Mi disse ancora che, abbisognandoci qualche cosa da lui, osassimo pure rivolgerglici con piena confidenza, sia per le cose che riguardano a ciaschedun allievo in particolare, sia per le cose generali della Congregazione; che egli si sarebbe fatto un impegno speciale per eseguirle. Vedete quanta degnazione in un personaggio così eminente! Venire a Torino proprio solo per veder D. Bosco e l'Oratorio, di cui già tanto aveva sentito parlare; non voler darsi a conoscere a nessun altro, nè avere altra compagnia fuori di quella di D. Bosco i

                Partendo lasciò anche di ringraziarvi delle preghiere che avete già fatte per lui; mi lasciò d'incoraggiarvi nella continuazione di queste preghiere, non solo per lui, ma eziandio per i tanti bisogni che ha la Chiesa, specialmente in questi giorni. Egli poi per parte sua non si dimenticherà giammai di noi e ci raccomanderà al Signore, affinchè possiamo poi nuovamente far festa tutti insieme nel paradiso. Buona notte.

                Due sere dopo, dando la "buona notte" ai soli artigiani, riparlò della visita cardinalizia, in apparenza per dire qualche [322] cosa che li riguardava più direttamente, ma in realtà per avere lo spunto a imprimere nelle loro menti un salutare pensiero.

                Non è più il caso che vi racconti chi fosse quel personaggio che venne a farei visita ier l'altro. Sapete già che è sua Em. il Card. Berardi. Egli si dimostrò molto contento della musica, sia del canto, sia del suono, e della visita dei laboratori; e mi lasciò l'incarico di ringraziarvi. Vedete quanta bontà! A venuto apposta da Genova a Torino solo per vedere D. Bosco e l'Oratorio. Io l'ho condotto a visitare le rarità principali di Torino, di cui si mostrò tanto contento. Tra gli altri luoghi siamo stati al Campo Santo e ne ammirò l'ordine, i lavori, i monumenti, i marmi. Ma quante memorie risveglia mai al cristiano il Campo Santo! Vedere là, radunati ricchi e poveri, giovani e vecchi, e dotti ed ignoranti! Là è la città di tutti. È inesorabile la morte! Tutti dobbiamo sottostare alla falce di quella bruttaccia. Non ci pensate mai, giovani cari? Oh questo pensiero si renda pure tra noi familiare; pensiamo e molto a quel terribile punto della morte e tenetelo bene a mente, che colui il quale vuol passare bene il suo ultimo istante in questo mondo, bisogna che viva bene. Un proverbio latino, che anche voi capite benissimo, dice così: Qualis vita, finis ita: quale sarà la vita, tale sarà la morte. Se la morte ci avvisasse prima almeno di venirci sopra! Ma no: per lo più viene improvvisa o repentina; e se non siamo preparati a morir bene, che cosa sarà di noi? Quanti giacciono ora nel Campo Santo, che desideravano di convertirsi, di pensare più tardi a farsi buoni e intanto venne la morte non furono più a tempo! Sapete che cosa è che sprona la morte spingersi furiosa contro di noi? Ce lo dice la Sacra Scrittura. Vedete un cavallo quando cammina per la via. Se va adagio quel cavallo, il cavaliere che ha fretta, che cosa fa? Dà due buone spronate al cavallo, ed esso corre che pare il vento. Lo sprone che ci fa saltare con furia la morte addosso è il peccato. Stimulus autem mortis peccatum est. Volete che la morte venga presto? .....

                Fra l'una e l'altra buona notte Don Bosco aveva toccato della singolare importanza di tale visita nella conferenza ai chierici sulle vacanze, come abbiamo veduto. Insomma, tutto ci autorizza a opinare che fu un incontro voluto per gravi motivi, benchè finora ci manchino documenti sicuri per precisarne la portata.

                Una visita che possiamo ben chiamare storica, è quella fatta al Servo di Dio nel giorno dell’Assunta. Durante la [323] novena predicava con monsignor Andrea Scotton gli esercizi spirituali al clero di Casal Monferrato il canonico Giuseppe Sarto. Quel vescovo monsignor Ferré invogliò i due predicatori a passare per Torino e a visitarvi Don Bosco. Vennero nell'Oratorio la mattina della festa: Don Bosco lì invitò a pranzo. Si faceva in quel giorno, e fu la prima volta, un po' di allegria per commemorare il natalizio del Beato. Egli stesso credette sempre di essere nato il 15 agosto; soltanto dopo la sua morte l'errore comune fu corretto dall'atto di nascita. Finito dunque il modesto desinare e usciti dal refettorio, il canonico tolse bellamente commiato dal Servo di Dio, e, per dirla in lingua povera, si tirò dietro il collega a rifocillarsi in un albergo della città. Anche da Papa egli ricordava con ammirazione, quanto mortificata gli fosse parsa allora la mensa di Don Bosco.

                Pio X ricordava pure un esempio della docilità, con cui i giovani dell'Oratorio a una parola di Don Bosco scattavano, passando immediatamente dal suo dire al loro fare. - Vuol vedere come obbediscono i miei giovani? - gli disse il Beato. Ne chiamò uno, gli diede una bottiglia. - E ora, gli fece, apri le dita! - Le aprì quegli sull'istante, e la bottiglia cadde in terra. Rise il canonico, risero i testimoni; ma il giovane guardava tranquillamente Don Bosco, attendendo un suo cenno.

 

 

CAPO XIII. Qua e là per i collegi.

 

                QUA e là per i collegi andremo noi, con o senza Don Bosco in persona; vi faremo incetta di notizie, che ne arricchiscano, foss'anche di poco, la biografia.

                Con i collegi egli si teneva in continua corrispondenza epistolare; di ogni minuzia era informato e tutto dirigeva in modo da conservarvi l'unità di spirito. Vi faceva per lo meno due visite all'anno. Vi era ansiosamente aspettato. Là confessava i giovani, che con vero entusiasmo correvano a palesargli lo stato dell'anima loro; ascoltava uno a uno tutti i Salesiani separatamente, ogni sera dava la "buona notte" alla comunità; teneva speciali conferenze ai confratelli radunati. Partendo, lasciava dietro di sè un'aura dì grande serenità e pace.

                Il 1875 minacciava di essere anno di guerra contro i collegi salesiani della Liguria. Quel direttore Don Francesia ne era stato preavvertito dall'onorevole Boselli, che gli scrisse: “La tempesta ora si addensa su Varazze; ma andrà a cadere anche su di Alassio”. Sembra che da ultimo non si volesse risparmiare nemmeno Sampierdarena. Ma l'uomo propone e Dio dispone.

                La prima avvisaglia partì dalla regia Prefettura di Genova. Il prefetto Colucci negò l'approvazione alle scuole tecniche, com'erano stabilite nel collegio di Varazze; rifiutò pure di accettare come insegnanti i maestri che da cinque anni l'autorità scolastica riconosceva idonei. Il direttore ne [325] informò tosto l'onorevole deputato, che gli rispose promettendogli il suo appoggio.

                Oltre all'azione del deputato lontano, tornò vantaggiosa l'opera di un valent'uomo vicino. Il Colucci, risoluto a non retrocedere, annoverava fra i suoi confidenti l'avvocato Maurizio, lustro del foro genovese, amico di Garibaldi e amicissimo di Don Bosco. Il prefetto ne aveva gran bisogno, massime sul principio della sua amministrazione: un consigliere più esperto egli non avrebbe potuto trovare a Genova, e poi la familiarità con un liberale così ben visto dal Governo e realmente di molto merito, gli concigliava credito. Ora questi, conosciutene le intenzioni, gli disse chiaro e tondo: - Signor prefetto, si faccia amico Don Bosco, se vuole far carriera; altrimenti Don Bosco la schiaccerà. - Parole che vennero subito riferite a Don Francesia dal marchese Invrea.

                Ma il prefetto non tenne conto di quel monito. Contro le usanze de' suoi predecessori, egli andava in persona a visitare e ispezionare i municipi, intascandosi la diaria di trasferta, che era di lire trenta. Ed ecco giungere a Varazze l'avviso ufficiale del suo arrivo per l'ispezione del municipio e del collegio. Era proprio il giorno della Natività di San Giovanni Battista, sicchè Don Francesia non potè recarsi a Torino per la festa di Don Bosco, dovendolo aspettare.

                Arrivò alle quattro di sera, si presentò al sindaco, diede un'occhiata ai libri dell'Amministrazione comunale e, vedendo stanziate somme per obblighi di Messe, per feste religiose e luminarie in onore dei Santi Patroni, disse al sindaco nello stile del tempo e con una punta di sarcasmo: - Ci sono altri Santi in paradiso, per cui si debbono spendere i denari. Il Sindaco, ricco signore, gli rispose freddamente: - Le nostre feste le paghiamo con i nostri denari.

                Quella sera il Colucci tornò a Genova così deciso di rivenire dopo due giorni a Varazze, per la visita del collegio e delle scuole, che rimise a quella volta di far firmar e al sindaco [326] l'atto della sua trasferta. Ma Varazze non lo rivide più. Appena fu rientrato nel suo gabinetto, gli cascò una tegola sulla testa; l'ordine ministeriale del suo immediato trasferimento a Catania. Esonerato più tardi dalla carica e nominato senatore, gli toccò una disdetta maggiore: il Senato non approvò la nomina e lo respinse dal suo seno, che fu il primo caso forse di tale repulsa. Dobbiamo però aggiungere a onor del vero che a Catania egli mise molt'acqua nel suo vino anticlericale; tant’è vero che favorì in ogni modo l'apertura del primo collegio di Don Bosco in Sicilia a Randazzo.

                Ma anche dopo la sua partenza, perdurava, nella regia Prefettura di Genova una sorda ostilità contro le istituzioni di Don Bosco, la quale cessò per l'intervento di Garibaldi. Venuto a Genova e accortosi di quel malanimo, il generale volle saperne il motivo; poscia esclamò: - Ma lasciatelo un po' stare tranquillo Don Bosco. È un prete che fa del bene. - Che Don Bosco avesse un tal difensore, fu causa di non poca meraviglia fra la gente del Governo. Del fatto si ebbe notizia da una persona, che in quel momento stava ai fianchi del generale

                E poichè ci troviamo nella Liguria, diremo ancora che lo stesso Garibaldi passando l'estate sulla spiaggia di Alassio a Villa Gotica, parlò benevolmente con un alunno di quel collegio, condottogli dinanzi da Donna Francesca[141]. Del giovane costei era stata balia o fantesca che sia, e vista passare una camerata e riconosciutolo, l'aveva chiamato in casa. Garibaldi gli fece buon viso e gli disse:

                 - Dunque tu sei del collegio di Don Bosco?

                 - Sissignore.

                 - E ti vuoi far prete?

                 - Io non so ancora che cosa farò.

                 - E in collegio si parla male di me?

                 - Io non ho mai sentito nessuno a parlar male di lei [327]

                - Va' dunque con i tuoi compagni, studia e sii obbediente ai tuoi superiori.

                La simpatia di Garibaldi per Don Bosco non sembra che fosse cosa effimera. Nel 1880, quando si recò a Milano e vi fu ricevuto in trionfo, qualcuno lo richiese, perchè non venisse anche a Torino. Ed egli:

                 - A Torino non ci vado

                 - E perchè?

                 - Perchè c’è Don Bosco.

                In altra occasione disse: - Quello sì che è un bravo prete e un vero sacerdote di Dio, amante dell'umanità. Fa del bene alla gioventù, ed è il solo nell'Italia. - Era un po' troppo veramente! Quelle parole ferivano tanti ottimi sacerdoti, che in Italia si sacrificavano a vantaggio del prossimo. A ogni modo è lecito prendere atto che, una volta tanto, l'implacabile nemico dei preti seppe anche dir bene di un prete, che era prete in tutto il senso della parola.

                In una delle visite fatte al collegio di Varazze, che fu ai primi di giugno, Don Bosco vi pescò una vocazione. L'episodio ci è raccontato in lungo e in largo da un documento, del quale non ispiaccia ai lettori che riferiamo in succinto il contenuto.

                Il giovane Francesco Ghigliotto vi frequentava da esterno la quinta ginnasiale. Nel '69 leggendo vite di Santi, aveva pregato il Signore che facesse incontrare anche a lui un Santo per poterlo seguire. Sei anni dopo Dio esaudiva il suo voto.

                Giunto Don Bosco a Varazze, il professore della quinta, che era Don Tomatis, avvertì i suoi alunni che, se alcuno di loro avesse desiderato parlare con lui e domandargli consiglio, andasse pure. Uscirono parecchi dalla scuola, Ghigliotto fra gli altri. Questi però non osava presentarsi, perchè non lo conosceva ancora. Un compagno, vistolo esitante, lo spinse dentro e gli chiuse dietro la porta. Ghigliotto, sbalordito, si trovò là di fronte a Don Bosco, e non apriva bocca.

                 - Ebbene, che cosa vuoi? chiese Don Bosco. [328]

                 - Mah! ... Sono di quinta ginnasiale. Sono venuto per chiedere un consiglio.

                 - Bene! .. Tu ti dài a me, e io ti dò al Signore.

                Ghigliotto rimase turbato a quelle parole. Allora Don Bosco lo invitò a sedere sul sofà accanto a sè e, preso in mano il taccuino, gli domandò: - Dimmi il tuo nome. Ghigliotto si spaventò ancora di più e impallidì. Qual mistero si nascondeva là sotto?

                E Don Bosco sorridendo: - Non temere; dimmi il tuo nome. - Glielo disse. Don Bosco lo notò nel taccuino e poi soggiunse: - Guarda, fra due mesi mi scriverai poi una lettera a Torino, e vieni a passare otto giorni con me all'Oratorio. Se ti piacerà stare, starai; se no, te ne ritorni a casa tua. Del resto, fa' come vuoi: se non mi vuoi scrivere, non mi scrivi, e tutto è finito.

                Nei due mesi che ci vollero ancora per la licenza ginnasiale, il Ghigliotto aveva sempre in mente la lettera da scrivere a Doti Bosco. Difatti la scrisse; poi chiese ai parenti che lo lasciassero andare otto giorni a Torino. Andò e non tornò. Dopo un paio di mesi, il padre, stanco di battagliare per lettera, minacciò di ricorrere al prefetto della provincia e di farlo ricondurre per mezzo dei carabinieri.

                Il giovane indossava già l'abito chiericale. Il padre non ne sapeva nulla; ma alla madre tutto era stato manifestato prima della partenza. La pia donna, pianto un po', gli aveva detto: - Sai com'è tuo padre. Non farlo inquietare. Non dir nulla a nessuno. Pensa soltanto a fare la volontà di Dio.

                Ghigliotto, ricevuta la minacciosa lettera, la portò a Don Bosco nel refettorio, gli manifestò i suoi timori e chiese che cosa fare o che cosa rispondere. E Don Bosco: - Guarda, ora ti dico io come devi rispondere.

                “Carissimi genitori, chi sta bene non si muove. Io qui sto bene, i miei superiori mi vogliono bene, posso studiare: lasciatemi dunque stare”. E poi ci metterai altro, tutto quello che vuoi. - Così fece; e per sei mesi non ebbe risposta e rimase tranquillo. [329] Alla fine dell'anno scolastico fu chiamato a casa per la morte del nonno. Rinacquero i suoi timori. Don Bosco gli disse: - Guarda, sta' tranquillo. Dirai che Don Bosco non intende far danno a nessuna famiglia, anzi desidera far loro del bene; e che, se la famiglia avesse bisogno di te, egli è pronto a mandarti a casa.

                Il chierico, partì, udì le difficoltà, fece intendere come allora non avessero bisogno di lui e che per l'avvenire lasciassero fare al Signore. I genitori, sentito quale fosse il pensiero di Don Bosco, si rassegnarono. Al prevosto di Varazze che aveva cercato di persuaderlo a entrare in seminano, rispose: - Piuttosto che essere prete secolare, farei il negoziante. Non mi ci sento alcuna propensione. - La buona madre, morendo, esclamò: - Fate quello che volete per me in funerali e Messe; io sono contenta di avere un figlio prete, che pregherà per me.

                Don Ghigliotto non si potè mai levare dal capo l'idea che Don Bosco nell'affare della sua vocazione fosse stato illuminato dal Cielo.

                Nel collegio di Varazze Don Bosco diede un'altra capatina subito dopo l'imbarco dei Missionari. Abbiamo tre lettere, scritte allora di là nel medesimo giorno, lettere che rispondono a tre aspetti del suo spirito multiforme; poichè vi si scorge l'uomo d'affari, l'uomo della cortesia, l'uomo della riconoscenza.

                Della prima possiamo ben dire: tante righe, tante faccende. E poi, moto perpetuo. I “Mariani” sono i Figli di Maria, che restavano nell'Oratorio. Le “nostre ausiliatrici” sono le suore; quali fossero i lavori da spingere innanzi per esse, si vedrà.

 

                               Car.mo D. Rua,

 

                Non ho più ricevuto alcuna lettera da casa dopo mia partenza. Avrei bisogno di averle, specialmente se provenienti da Roma.

                Per tua norma dimani 19 vado ad Albenga; passerò la notte ad Alassio. Il mattino seguente 20 partirò alla volta di Nizza, dove per [330] 6 giorni puoi indirizzarmi le lettere. Dopo il giorno o meglio pel giorno 26 a Ventimiglia.

                Dal 27 al 30 di nuovo ad Alassio, quindi a S. Pierdarena o dove ti dirò.

                Ti metto qui una nota [di chierici] che paiono essere ponderandi per le ordinazioni.

                Bisogna pensar ai Mariani, e studiare un mezzo anche con sacrifizio di torli dal lavoro per consacrarli totalmente allo studio. Promuovi i lavori per le nostre ausiliatrici.

                Le Ordinazioni presso all'Arciv. di Torino incontrano difficoltà? I1 mutuo di Chieri si è affettuato?

                Dimanda un poco a D. Cibrario se andrebbe anche solo ad aprire la casa di Bordighera, dove ci vuole un prete sic.

                Le accettazioni pei figli di M. A. sono fissate al giorno 9 del prossimo dicembre in S. Pierdarena.

                Sarà conveniente inviare colà quelli che non hanno impegni nella casa di Torino?

                Dio ci benedica tutti et valedic.

                Varazze, 18 - 11 - '75.

Aff.mo in G: C.

Sac. GIO. BOSCO.

 

                La seconda lettera è indirizzata al conte Eugenio De Maistre, a Borgo Canalense. Dei Missionari, di Nizza e di Bordighera, diremo fra non molto.

 

                               Car.mo Sig. Conte Eugenio,

 

                Quest'anno non ho potuto trovarmi per la festa di S. Eugenio, ma non ho dimenticato debolmente di pregare in quel giorno per Lei e per tutta la sua famiglia, cosa che ogni giorno facciamo nelle comuni preghiere delle case nostre

                Le faccende dei nostri Missionari mi hanno occupato undequaque. Oltre a quello che avrà saputo dai giornali Le dico, che li ho accompagnati a bordo del battello Savoia, dove li vidi ben alloggiati sia per coricarsi sia per la mensa. Avevano un altare a loro disposizione con un buon pianoforte. D. Cagliero si mise a suonare, e i suoi compagni intonavano la lode: “Lodate Maria”.

                Ciò cagionò meraviglia e tutti si diedero a ripetere e a rispondere con altre strofe, L'equipaggio era di circa settecento persone; tutti corsero là meravigliati, ma in silenzio e con rispetto. Allora D. Cagliero indirizzò il suo discorso alla moltitudine indicando che aveva consacrato il loro viaggio, la loro missione in America. Sapendo che in mezzo ai molti americani vi erano parecchi francesi, così dopo [331] aver predicato in lingua spagnuola raccontò un esempio in francese. Finito di parlare parecchi dimandarono se potevano confessarsi e si presero tutti i necessari appuntamenti.

                Car.mo Sig. Eugenio, ho veduto col fatto che la nostra S. Religione predicata con chiarezza e franchezza è rispettata e ben accolta dagli stessi non credenti.

                I nostri Missionari partirono Domenica alle 2 pom. Al Lunedì scrissero da Marsiglia, accennano al loro buon viaggio senza che alcuno abbia sofferto. Ieri partirono da Barcellona e a Dio piacendo faranno la festa dell'Immacolata a Buenos Ayres.

                Ora io continuo per la Riviera di Nizza con tre nostri preti per aprire una casa in quella città ed un'altra in mezzo ai protestanti che fanno molto guasto a Bordigliera.

                Nella prossima primavera sarà un'altra spedizione di undici Missionari in aiuto dei primi. Ad Ottobre 1876 partiranno eziandio trenta delle nostre monache richieste dal governo argentino. Avrei voluto scrivere alla Sig. Duchessa, ma per non farla stancare nella mia brutta scrittura, prego Lei a darle nostre notizie, come pure, per favore, al Sig. D. Chiatellino.

                Umili ossequi a tutti, Dio li conservi tutti nella sua santa grazia e mi creda in G. C.

                Varazze, 18 - 11 - 1875.

Umile servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                La terza a Don Chiatellino, maestro in Borgo Canalense, dev'essere messa in rapporto con una del precedente giugno, nella quale Don Bosco in termini faceti lo stimolava a cercargli offerte per i Missionari. Sta bene premetterla qui.

 

                               Car.mo D. Chiatellino,

 

                Sono stato a visitare la case di Liguria e non so più niente di Borgo. Abbia dunque la bontà di dirmi se la Sig. Duchessa è ancora a Borgo, oppure è già partita pei bagni come soleva fare negli anni passati. Desidererei di fare costì una passeggiata. Ella poi, caro D. Chiatellino, perchè ci ha in questo modo abbandonati? Ella risponderà: - Per preparare un taschetto di marenghini e portarlo a D. Bosco. - Bene. Venga pure che sono opportuni.

                Dio ci benedica tutti e preghi per questo poverello che le sarà sempre in G. C.

                Torino, 30 - '75,

Aff mo amico

Sac. GIO. BOSCO. [332]

 

                Il buon sacerdote non ricevette con indifferenza l'invito; ecco infatti come Don Bosco gliene rendesse grazie da Varazze.

 

                               Car.mo D. Chiatellino,

 

                A suo tempo ho ricevuto le offerte che mi ha inviato pei nostri missionari. Ho pregato il conte Eugenio a volerne dare [notizie] a lei ed alla Sig. Duchessa. Tutto va bene, e le notizie finora ricevute vanno assai bene.

                Ella ringrazi tutti quelli che ci hanno beneficati e si assicuri che i Missionari con tutte le nostre case non mancheranno di invocare ogni giorno le benedizioni del cielo sopra di loro e sopra le loro famiglie. - Amen.

                Varazze, 18 - 11 - '75.

Aff.mo in G. C.

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Nella Liguria l'ospizio di Sampierdarena si sviluppava fra difficoltà finanziarie, che non si potevano superare se non per mezzo della carità. Don Bosco, a cui stava sommamente a cuore che quell'opera di beneficenza allargasse al possibile la sua sfera d'attività, lanciò calorosi appelli dovunque sperava di trovare aiuti. Così al Direttore Generale delle Ferrovie scrisse questa supplica, che si diparte da ogni formalismo solito a riscontrarsi in lettere di tal genere, tanto essa è dettata alla buona e, si direbbe, col cuore alla mano.

 

                               Ill.mo Signor Direttore Generale,

 

                Collo scopo di accogliere maggior numero di poveri fanciulli che ogni giorno chiedono di essere accolti nell'Ospizio di S. Vincenzo, che tre anni or sono si aprì sotto la direzione del Sac. Albera Paolo in Sampierdarena, si è dato principio per ampliarlo per così renderlo capace di circa duecento cinquanta allievi. I lavori progrediscono ed ora occorrerebbe un trasporto di circa settanta tonnellate di pietre lavorate dalla stazione ferroviaria di Gozzano a quella di Sampierdarena. Per questo trasporto fo umile preghiera a V. S. Ill.ma affinchè si degni concederlo gratuito o almeno con quella maggior riduzione che nella sua carità giudicherà opportuna per una impresa che si compie tutta a forza di beneficenza privata.

                Non s'intende vantare alcun merito presso a codesta benemerita direzione; noto soltanto che la Chiesa annessa a questo Istituto torna [333] di grande comodità al personale e alle famiglie degli impiegati in questa stazione che è vicina assai.

                Va meglio ancora per i loro figli che ivi intervengono alla scuola e di cui parecchi sono eziandio accolti e mantenuti nel medesimo Ospizio. Forse può anche facilitare il favore il riflettere che i vagoni nel ritorno da quella stazione a Genova spesso sono senza carico di sorta.

                Questi giovanetti unitamente allo scrivente non mancheranno di invocare ogni giorno le benedizioni del cielo sopra di Lei, benemerito Sig. Direttore, e sopra tutti quelli che fanno parte dell'amministrazione e direzione delle ferrovie dell'alta Italia.

                Con gratitudine mi professo

                Di V. S. Ill.ma

                Torino, 22 aprile 1875.

Obbl.mo servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Non abbiamo trovato documenti, che ci ragguaglino dell'esito. Abbiamo invece la prova, che non fu sordo il Papa. Fra le carte di Don Bosco vi è anzitutto questo brano di minuta.

 

                               Beatissimo Padre,

 

                Sono tre anni da che, Beatissimo Padre, in Sampierdarena, città della Diocesi di Genova, d'accordo coll'Arcivescovo si comperava una Chiesa con edifizio annesso, per impedire che l'una e l'altra fossero destinati ad uso profano. Venne ivi aperto un Ospizio per poveri ed abbandonati fanciulli, mentre un sufficiente numero di Sacerdoti Salesiani prese l'amministrazione della Chiesa a benefizio del pubblico.

                In brevissimo tempo l'Ospizio fu occupato da 80 fanciulli, mentre un numero di gran lunga maggiore dimanda ricovero invano per mancanza di luogo. A fine di provvedere a tanta necessità ho comperato un vicino terreno, dove ora si è già cominciato un novello edifizio capace di oltre a duecento ragazzi.

                Tutta questa impresa è appoggiata alla Divina Provvidenza, e con questo pensiero mi son fatto animo di ricorrere eziandio a V. S. supplicandola:

                1°A degnarsi d'impartire l'Apostolica benedizione a tutti quei fedeli che colle oblazioni concorreranno a terminare quest'opera che è tutta diretta a bene spirituale e materiale della classe più pericolante della civile società; 2° In pari tempo a volere concorrere con  quella oblazione che le permetterà la carità del paterno suo cuore.

                So che V. S: trovasi parimenti nelle strettezze, ma La prego a considerare un momento che i poveri fanciulli ..... [334] Il Santo Padre, a mezzo del card. Antonelli lodò “grandemente la bella e santa impresa” e “pregando il Signore di benedirla” volle anche da parte sua concorrervi con  la elargizione di duemila lire. L'esempio del Papa, reso noto dall'Unità Cattolica, mosse altri a fare il medesimo. Così il duca Tommaso Scotti da Milano gl'inviò pure il suo obolo. L'Ospizio, intitolato al Santo della carità, dovette alla carità la sua esistenza e nell'esercizio della carità verso la gioventù continua le sue gloriose tradizioni.

                Del novello edificio fu posta la prima pietra il 14 febbraio 1875. Monsignor Magnasco, Arcivescovo di Genova, grande amico e benefattore di Don Bosco e de' suoi figli, la benedisse solennemente alla presenza di numeroso popolo. Nel verbale, letto dinanzi a tutti e chiuso nella pietra angolare, il Beato aveva fatto inserire queste notevoli parole: “Si hanno tutti i motivi di sperare che questa opera sarà da Dio benedetta e condotta felicemente a fine, avendola benedetta il suo Vicario in terra”. Difatti non passarono due anni, che l'edifizio era condotto a termine, dando ricetto a duecento poveri giovani ed accogliendo oltre i laboratori già esistenti dei falegnami, sarti e calzolai, anche quelli dei legatori, fabbri e tipografi; nè gl'incrementi si arrestarono, ma negli anni successivi si attese ancora ad ampliare e a perfezionare, senza che mai siasi fatto appello indarno alla carità dei benefattori.

                Dalle Case della Liguria avviciniamoci di nuovo alla Casa Madre. Nei collegi dei Piemonte pochi fatti richiamano la nostra attenzione: tutto si riduce a un incidente di Valsalice e a qualche cosuccia di Lanzo.

                A Valsalice si festeggiò con la pompa consueta il santo Patrono della gioventù. Fra i convittori vi erano parecchi giovanetti da cresimare. Che bell'occasione la festa di San Luigi per una cerimonia così importante! I superiori pregarono l'Ordinario che li onorasse della sua presenza, almeno per compiervi il sacro rito; ma visto che egli non poteva intervenire,  [335] anche perchè stava fuori di Torino, gli fecero reiterate istanze che si degnasse accordare ad un altro vescovo le facoltà necessarie per l'amministrazione di quel sacramento, proponendogli all'uopo il Vescovo di Susa. Finalmente si ottenne quanto si desiderava. Il Vescovo di Susa venne, pontificò, cresimò, contentò tutti e partì contentissimo; ma nessuno seppe a Valsalice che il diavolo ci aveva messo la coda, regalando a Don Bosco un'amarezza di più.

                Era ovvio che i superiori del collegio prima di proporre all'Ordinario la designazione del Vescovo di Susa, interpellassero il Vescovo stesso, se avrebbe accondisceso al loro desiderio, e che, avutane risposta favorevole, ne facessero parola a monsignor Arcivescovo. Ma questi, a quanto sembra, non la intese così, Infatti, dove sarebbero state sufficienti poche righe, si pigliò il disturbo di scrivere al Vescovo di Susa un letterone, dove, impiegati due lunghi e studiati periodi per dire ciò che formava l'oggetto della comunicazione ufficiale, girava poi a Don Bosco questo contentino: “Non posso però passare sotto silenzio la mancanza di prudenza e riverenza di cui sono colpevoli questi superiori, avendo essi ricorso a V. E. perchè venisse a compiere funzioni nel loro Collegio senza prima accertarsi del mio consenso, siccome prescrivono i Canoni della Chiesa e lo richiede apertamente il mio Sinodo del 1873. Purtroppo, Monsignore, ho da deplorare il poco rispetto che mi si porta in questa Congregazione novella, incominciando dal suo fondatore e Rettore Capo; e se V. S., recandosi là, potrà colle sue preghiere a Dio, a Maria ed ai Santi, ed anche con qualche sua parola procurare che l'autorità e dignità dell'Arcivescovo di Torino ottenga nella Congregazione di D. Bosco tutto il rispetto che le è dovuto, Ella farà un grande servizio a questa archidiocesi[142]”, Quanto è sempre vero che ad un animo mal prevenuto le cose anche più semplici si complicano automaticamente, ingenerando [336] suspicioni, che portano l'uomo lontano le mille miglia dalla realtà!

                Don Bosco amava tutti i suoi collegi; ma per il collegio di Lanzo sembrava nutrire una predilezione speciale. Lo udremo tosto da lui medesimo. Noteremo prima quanto studio si ponesse in quei primordi a consolidare la regolarità e l'uniformità di vita dentro e fuori dell'Oratorio. Una visita d'ufficio compiuta da Don Rua a Lanzo nella sua qualità di prefetto generale ha dato origine a questo documento, che non sappiamo resistere alla voglia di riprodurre. Vi aveva pure ricevuti gli esami di teologia dai chierici. La scuola serale, di cui si parla nel numero 60, era una ripetizione vespertina, in uso all'Oratorio. Si avrà occasione di parlarne nel volume seguente.

 

                               Caro Direttore,

 

                Vi comunico le impressioni avute nella mia visita al vostro collegio. Vi assicuro che sono partito assai soddisfatto, sia degli esami, sia del contegno de' chierici, sia de' diportamenti dei giovani. Voglia il Signore continuare a benedirvi e farvi crescere di bene in meglio. Tuttavia qualche cosa ho osservato che ha bisogno di modificazioni.

                1° Ho trovato tovaglie su qualche altare non troppo decenti.

                2° Seppi che non si dice ne' giorni feriali la messa per gli allievi esterni, e sarebbe pur tanto conveniente che si dicesse, come si fa qui, a Varazze, ad Alassio ecc.

                3° Non si fa quasi mai scuola di ceremonie nè ai chierici, nè al piccolo clero, nè ai giovani. Converrà insistere presso chi di ragione perchè si faccia regolarmente; e se chi ne ha incarico non può far tutto, gli si dia qualche aiutante.

                4° Anche il catechismo nelle classi Ginnasiali è poco insegnato; eppure è il ramo di scienza più importante.

                5° Non s'insegna il canto gregoriano, che pure è tanto desiderato ed inculcato dal nostro buon padre D. Bosco.

                6° La scuola serale non è più sul gusto di quelle che desidera D. Bosco, il quale ama che tutti vi prendano parte. Se si vuol fare prima di cena, come si combinò nelle conferenze autunnali, conviene differire la cena di una mezz'ora o tre quarti d'ora, portandola alle otto od otto e un quarto. Questa scuola serale fatta per tutti presenterebbe pure comodità per insegnare le orazioni a chi non le sa, per insegnare a servir messa, di che non tutti costì sono capaci per preparare alla la comunione ecc. [337]

                7° Vi scorsi bisogno di regolar bene e con gradazione le varie compagnie di S. Luigi, del SS. Sacramento, del Clero ecc.

                8° I coadiutori avrebbero bisogno di essere sovente visitati dopo le orazioni per sentirsi indirizzare qualche parola direttamente a loro.

                8 bis Sarà pur conveniente fare più spesso la scuola ai chierici, specialmente quella di filosofia, se è possibile.

                9° Sarà forse molto utile che i chierici, come abbiam detto nella conferenza, si radunino almeno una volta al giorno, gli uni per la meditazione, gli altri per la lettura spirituale sotto la guida di un sacerdote.

                10° Sarà necessario di ridurre tutte le celle dei chierici alla misura di soli m. 0, 60 oltre il letto, mediante le spranghe per le cortine sulla foggia di parecchie, le quali già sono costì.

                11° O La lettura a tavola è troppo trascurata; conviene che insegniamo il modo di usufruire del tempo, utilizzando anche quello che si impiega nel cibarci.

                12° Nelle scuole trovai il vuoto delle prove mensili, ed in alcune mancavano perfino le decurie. Ogni mese devonsi registrare i voti parziali di ogni scuola nella decuria generale, che deve tenersi dal Direttore o dal Prefetto.

                13° Sarebbe a desiderarsi nei giovani maggior impegno pel loro profitto scolastico.

                14° Mancano varii registri, di cui vedrò di provvedervi. Caro Direttore, molte di queste cose dipendono dai tuoi subalterni; tuttavia converrà che tu ti tenga al corrente di tutte, e che pur tu dia il moto a tutti. Tu sei la testa, il Prefetto è il braccio; tutti due siete occhi ed orecchi per tutto vedere e tutto udire.

                Il Signore vi benedica largamente insieme col

                10 - 3 - '75

Vostro Aff.mo D. RUA

Pref. della Congreg. di S. F. S

 

                Sentiamo ora Don Bosco a parlare del collegio di Lanzo. Ciò fu in una sua " buona notte” del 22 dicembre ai giovani dell'Oratorio.

                Vengo, o miei cari figliuoli, da visitare il caro mio collegio di Lanzo. Là vi sono anche molti giovani, i quali unitamente al loro Direttore D. Lemoyne ed a tutti i superiori m'incaricarono di augurarvi, le buone feste natalizie, unitamente a mille altre felicità e favori; ed io ho fatto la parte vostra contraccambiando in pubblico i saluti e gli auguri dei nostri Lanzesi con quelli dei Torinesi. E si stabilì che essi, quando la ferrovia da Cirié a Lanzo sarà ultimata,  [338] il che si spera fra breve, verranno a farvi una visita dal mattino alla sera in un convoglio speciale. E noi pure restituiremo loro una tal visita; ci metteremo in via di buon mattino e ce ne staremo là tutto il giorno, ritornandocene però alla sera al nostro caro soggiorno dell'Oratorio. Là a Lanzo non fa tanto freddo, come alcuni pensano. È vero che vi sono giornate, in cui questo signorino vi domina assai bene; ma vi è il vantaggio che, se il giorno è sereno, si gode il sole per tutta la giornata, mentr'egli qui non si degna di lasciarsi vedere, passeggiando sempre sulla nebbia.

                A Lanzo io m'intrattenni a parlare coi giovani che sono buoni, per due giorni, ed ora eccomi qui, tutto a voi consacrato, dispostissimo ai comandi vostri circa i bisogni spirituali in questi due ultimi giorni della novena, per poter poi fare nell'augusta sera del santo Natale una bella e generale comunione.

                Come credo vi avranno già detto, ricevemmo lettere dei nostri Missionarii dal Capo Verde ed essendo esse assai lunghe per leggerle in pubblico, nè potendo farle passare a ciascuno di voi, nè essendo cosa facile decifrarle, così si decise di farle stampare. In tal modo ciascuno potrà leggerle a suo bell'agio e mandarle a casa sua se così gli aggrada.

                Io finisco col pregarvi di preparare bene l'anima vostra alla venuta del Signore, a scoprirne i più segreti nascondigli e purificarla col santo lavacro della Confessione al tribunale di Penitenza. Pensate ora solamente a questo, per poter fare quindi una buona e santa Comunione. Buona notte.

                Se in ogni collegio, sull'esempio delle altre Congregazioni religiose, si fosse avuto cura di redigere la cronaca domestica, quante cose belle ed utili che si dileguarono dalla memoria, sarebbero lette con piacere in questo capo, riuscito necessariamente troppo breve alla nostra legittima curiosità ed anche un po' sconnesso a motivo delle lacune nelle fonti!

 

 

CAPO XIV. Conferenze autunnali.

 

                I primi passi della Congregazione canonicamente costituita, con le sue Regole approvate, con la sua gerarchia in buon assetto, c'interessano grandemente, perchè segnano l'indirizzo della tradizione Salesiana. Quello che allora si faceva sotto gli occhi del Beato Don Bosco e non senza la sua espressa o tacita approvazione è oggi per i posteri un prezioso termine di confronto a ben giudicare dello spirito, con cui la lettera delle Costituzioni viene applicata alla vita pratica. Ecco la ragione precipua che ci consiglia a non lasciar nella penna niente di quanto sappiamo intorno a quei tempi remoti.

                Si è già avuto occasione di vedere come il nostro Beato nelle adunanze generali dei superiori si tenesse talvolta dietro le quinte, delegandovi a presiederle Don Rua e lasciando che vi si trattassero liberamente gli affari della Pia Società, ma riserbando a sè di approvare o no, secondo i casi, le deliberazioni prese. Ottimo metodo per addestrare al governo: lo vedremo da lui seguito anche nelle conferenze autunnali, cui intendiamo dedicare il presente capo. È già la terza di siffatte convocazioni nel corso di un anno; Speriamo che non tornerà discaro ai lettori assistervi ancora una volta. Ci varremo soprattutto d'una specie di verbali stesi dal cronista.

                Le sedute si tennero a Lanzo fra il 18 e il 26 settembre [340] durante un secondo corso di esercizi spirituali[143]. I direttori, non che i membri del Capitolo Superiore, furono avvisati di trovarsi lassù tre giorni prima degli esercizi, per aver tempo di sbrigare in antecedenza le cose più distraenti. Conosciamo già abbastanza gl'intervenuti, dei quali non occorre ripetere i nomi. Due al giorno erano le sedute, una mattutina e l'altra serale. Non si smisero le due adunanze neppure nel tempo degli esercizi, cominciati il 20 a sera; solo furono abbreviate: duravano dalle 11 a mezzodì e dalle 4, 30 alle 5, 30. Il cronista ha voluto fare questa confidenza: “Fra le quattro prediche, le altre funzioni dì chiesa e le conferenze si giungeva alla notte molto stanchi, ma contenti tutti d'aver lavorato in nomine Domini”.

                I lavori procedettero per buon tratto sotto la presidenza di Don Rua. Vi si diede principio con una serie di nomine a parecchi uffici importanti.

                Bisognava designare il direttore per l'America. Don Bonetti pareva il più indicato; ma è noto come Don Bosco rispettasse i sentimenti di famiglia: i genitori di Don Bonetti, ormai vecchi, avrebbero sofferto troppo per quella partenza. Si ventilarono i nomi di Don Fagnano e di Don Ronchail: fu deciso di proporre a Don Bosco quest'ultimo.

                L'economo generale Don Angelo Savio, la cui presenza era indispensabile ad Alassio nella direzione di lavori che sarebbero durati a lungo, non poteva più disimpegnare la sua carica; perciò parve bene di sostituirlo. Dei tre confratelli maggiormente adatti, cioè Don Chiala, Don Bodrato e Don Fagnano, fu convenuto di proporre a Don Bosco il secondo.

                Don Rua, oltrechè prefetto generale, era anche vicedirettore dell'Oratorio, due uffici che s'imbarazzavano a vicenda; [341] ogni giorno più si sentiva la necessità che egli fosse libero di attendere al bene comune di tutta la Congregazione. Laonde, posti sulla rosa Don Chiala e Don Lazzero, sembrò essere Don Lazzero il più qualificato a prendere le redini dell'Oratorio, se così piacesse a Don Bosco.

                Don Cagliero, come vedremo, doveva accompagnare i Missionari nell'America; ma egli era catechista della Congregazione. Chi l'avrebbe surrogato in quell'ufficio? A giudizio dei convenuti, nessuno meglio di Don Bonetti; ma si conchiuse essere più opportuno lasciare che Don Bosco esaminasse il partito da preferire.

                Finalmente venne in discussione una proposta un po' nuova. - I collegi si moltiplicano, dovettero dire quegli zelanti figli di Don Bosco; ma unica e identica bisogna glie ne sia dappertutto l'impronta. Le variazioni d'indirizzo più facilmente si fanno strada pei via degli studi, che debbono essere conformi ai programmi governativi, sì, ma senza che ne derivi nocumento allo sviluppo delle vocazioni ecclesiastiche. - Ecco donde forse originò l'idea di creare un “provveditore agli studi”che avesse l'incarico di sorvegliarne l'andamento in tutti i collegi, visitandoli qualche volta lungo l'anno. Benchè allora Don Bosco fosse tutto, il concetto di visite ai collegi da parte di superiori del Capitolo non iscoppiò come una bomba; non abbiamo già incontrato il prefetto generale in visita a Lanzo? In questa mossa noi sentiamo pulsare la sana maturità dei figli, che si fanno spontaneamente a condividere col Padre le cure del governo. Comunque sia, la proposta arrideva ai presenti; tanto più che c'era nell'Oratorio Don Guidazio, capacissimo di sottentrare a Don Durando nella direzione delle scuole, se mai questi avesse dovuto addossarsi la nuova responsabilità. Tale discussione preludeva alle specifiche attribuzioni, assegnate poi a quel consigliere del Capitolo, che, sopraintendendo alle cose scolastiche di tutta la Società, avrebbe avuto nel linguaggio corrente la qualifica di consigliere scolastico generale. Il qual argomento diede [342] appiglio a un intermezzo, alla revisione cioè di alcuni titoli che si usavano comunemente. Nella Casa avesse nome di direttore soltanto il capo di essa; non più dunque direttore spirituale, ma catechista; non più direttore delle scuole, ma ispettore delle scuole. Tutte cose, per altro, in cui l'ultima parola spettava a Don Bosco.

                Esaurita la parte del programma riguardante le alte cariche, venne la volta dei prefetti da collocarsi nei collegi e poi del personale insegnante. Si principiò dall'Oratorio per le scuole di teologia, filosofia e ginnasio. Nel corso teologico, durante l'anno scolastico 1875 - 76[144], insegnarono, oltre i teologi esterni Molinari e Ascanio Savio, i nostri Don Barberis, Don Bertello e Don Paglia; in quello filosofico, Don Monateri, Don Cipriano, Don Barberis, Don Paglia e Don Guanella. Non pare che per insegnanti ci si, stesse a disagio. Stabilito il personale dell'Oratorio, si provvide a Borgo S. Martino, a Lanzo, ad Alassio e a Varazze.

                Il Beato Padre non si fece vedere se non il 20 sul finire della seconda seduta, che durò dalle 2, 30 alle 6. Presa visione delle cose deliberate, se ne rallegrò vivamente; quanto a nomine, approvò l'elezione di Don Lazzero a vicedirettore dell'Oratorio e di Don Bodrato a economo generale. Riguardo a quest'ultimo si noti che l'elezione spettava di pien diritto al Rettor Maggiore, essendo essa puramente suppletiva, fino al tempo dell'elezione ordinaria.

                Don Rua, sempre fedele interprete e spesso umile portavoce del Beato, occupò interamente la seduta antimeridiana del 23, ragionando di proposte, raccomandazioni e osservazioni, che nella sostanza non hanno perduto il sapore delle cose opportune. Il suo dire si divise in due parti, nella prima delle quali egli toccò due punti, su cui il Beato aveva espresso già ripetutamente il suo pensiero, e nella seconda illustrò cinque osservanze volute dalla regolarità della vita religiosa. [343]

                In primo luogo il Beato Padre e in conferenze durante l'anno e in fine dei precedenti esercizi aveva insistentemente raccomandato di fare l'esercizio della buona morte, di farlo ogni mese, di farlo secondo le Regole. L'osservanza di questo dovere lasciava dunque a desiderare; bisognava rimediarvi. Non sarebbe stato utile stabilire una norma fissa per tutti? Sorsero due questioni, una sul giorno e l'altra sull'astensione da ogni cura temporale. Impossibile fissare per tutti l'ultimo giorno del mese; impossibile per la maggior parte segregarsi totalmente dalle occupazioni. I congregati s'accordarono nel proposito di tentare un esperimento suggerito da Don Rua; ogni confratello di una Casa si scegliesse ad libitum un giorno del mese e notificasse la scelta al superiore, il quale designerebbe un monitore, consegnandogli la nota dei giorni e incaricandolo di avvertire i singoli alla vigilia. In tal giorno poi il confratello si togliesse al possibile da ogni occupazione temporale. Uno, per esempio, aveva la scuola da fare? Facesse solamente la scuola senza studiare altro, senza correggere, e nel tempo libero attendesse alle pratiche di pietà prescritte dalla Regola. I novizi però avrebbero fatto di più, consacrando ogni primo giorno del mese quasi per intero a pie pratiche.

                In secondo luogo, più volte durante l'anno il Beato Padre erasi mostrato malcontento a causa di spese straordinarie fatte da certi collegi senza il suo consenso. Qui uno degli astanti prospettò un caso possibile ad avverarsi, vale a dire che Don Bosco desse il consenso, ma fondato sopra un malinteso; egli cioè intendesse la proposta in un senso, mentre il proponente la intendeva in un altro e così metteva mano all'opera, persuaso di fare la volontà di Don Bosco. In verità non ci voleva molto a prevenire siffatto inconveniente: prima che si facessero spese di qualche rilievo, se ne chiedesse per iscritto l'autorizzazione al Capitolo Superiore. A opera compiuta nascevano contestazioni? C'era un documento per dimostrare che non erasi fatto nè più nè meno del consentito. [344] Ma quali spese si dovevano considerare come straordinarie? Tutte le spese non strettamente necessarie al vitto, al vestito e alla scuola, massime quelle impiegate in lavori murari, quali l'aprire o il chiudere porte, l'abbattere o l'alzare tramezzi, senza licenza di Don Bosco. Se ne scrivesse d'allora in poi a Don Rua, che si sarebbe affrettato a rispondere. Ottenuto poi un permesso generale, il direttore sciogliesse le particolari difficoltà emergenti consultando il suo Capitolo. Don Bosco permetteva, ad esempio, l'apertura di nuove scuole; ebbene per la provvista di banchi, tavolini, lavagne e simili decidere col proprio Capitolo.

                Terminata così la prima parte, Don Rua entrò in altro campo, formulando e spiegando cinque raccomandazioni, che si riassumono a questo modo:

                1° Essere desiderabile maggiore obbedienza alle Regole e alle ordinazioni dei superiori; nel che i soci procurassero di essere modelli agli altri. In una Congregazione, aveva detto il padre Bruno, Filippino, che dettava gli esercizi, tutti i disordini non cominciano mai dai principianti, ma dai più provetti.

                2° Doversi dai soci dare buon esempio agli altri nel troncare ogni faccenda al suono del campanello, affinchè i subalterni li imitassero in tale precisione.

                3° Al mattino, all'ora della levata, mostrare prontezza nell'alzarsi, cosicchè non si avesse mai a dire di qualcuno che per negligenza lasciava il letto più tardi.

                4° Alla sera, dopo le orazioni, non far più rumore, non star più a chiacchierare qua e là, ma ciascuno si ritirasse subito nella propria cella. Ciò facesse ogni socio per sè e procurasse che venisse osservato dagli altri, o chierici o preti.

                5° In ultimo ricordare sempre la cosa di maggiore importanza, che era obbedire a Don Bosco nei particolari comandi, senza rimostranze o malumori. Avveniva di quando in quando che nonostante il riguardo e il riserbo usato da Don Bosco nel dire le cose ai soci, vi fosse qualcuno che non si arrendeva [345] a' suoi desideri. “Da ciò, asserì Don Rua, egli ebbe già gravi dispiaceri”. “Non dico, prosegui, che non si possano fare osservazioni e proporre difficoltà; questo si può fare; ma se poi non sono tenute per buone, non fare i testardi; e prontamente e umilmente assoggettarsi, dimostrando di fare non solo come vuole lui, ma anche, secondochè dice la nostra Regola, laeto vultu, dando cioè segni di contentezza nell'obbedirgli”.

                Nella seduta pomeridiana si trattò di ammissioni ai voti. Il Beato Don Bosco presiedeva. Egli si mostrò assai largo nell'ammettere ai voti perpetui; il che rispondeva a una norma da lui già espressa in più circostanze.

                 - Per me, Soleva dire, quasi non trovo diversità fra i voti perpetui e i triennali, potendosi da me dispensare anche i perpetui, qualora l'individuo non faccia più per la Congregazione.

                Qui uno dei presenti osservò che, sebbene ciò fosse vero, tuttavia gli sembrava non doversi far conoscere tanto apertamente questa facoltà del superiore, affinchè non avvenisse il caso di abusi nelle professioni perpetue.

                 - Oh, rispose il Beato, per il momento mi pare che non possano derivare inconvenienti da questa manifestazione; anzi mi pare quasi bene che si sparga simile notizia, perchè nessuno si lasci abbattere dal pensiero della perpetuità dei voti, per timore che sopraggiungano difficoltà insormontabili, e quindi si perda la quiete. D'altra parte, per sciogliere uno dai voti, ci vuole una causa grave; se non si trattasse che di capricci, non si verrebbe mai a questo punto. Ma qualora questa causa ci sia, mi sembra che non debba fare del male il sapersi che può dar luogo a dispensa.

                In queste parole noi troviamo il bandolo per risolvere una difficoltà, che a tutta prima ci si affaccia da altre parole del Beato. Il coadiutore Graziano, che era quel tal ufficiale ex - allievo da noi incontrato già a Roma, quando si avvicinava il giorno dei voti, fu assalito da dubbi e da timori per l'avvenire,  [346] che lo facevano rimanere perplesso e irresoluto. Il Beato ne troncò le esitazioni dicendogli: - I voti, come si fanno, così si possono anche disfare. - Tanto intese Don Vespignani dal coadiutore medesimo.

                Sedici furono ammessi ai voti perpetui e diciannove ai triennali. Ciò fatto, il Beato parlò dei rendiconti, ai quali ogni direttore aveva obbligo di chiamare i suoi confratelli. V'insistette molto e disse: - È questa la chiave principale per il buon andamento delle Case. Generalmente in questi rendiconti i confratelli aprono il proprio cuore, dicono tutto ciò che loro dà pena e, se c’è qualche disordine, lo palesano. È poi un mezzo efficacissimo per fare correzioni, anche severe, se n'è il caso, senza recare offesa. Per lo più, fare le correzioni appena è avvenuto un fallo è cosa pericolosa. L'individuo è riscaldato da quel pensiero, non prenderà in buona parte la correzione e parrà anche che noi la facciamo per un po' di passione. Invece, quand'è fatta pacatamente, in quel senso amoroso come si usa nei rendiconti, i colpevoli vedono chiaramente il male che hanno commesso; vedono il dovere del superiore di porre sotto i loro occhi i difetti, nei quali sono caduti, perchè se ne emendino, e traggono profitto dalla correzione. -

                Dopo la relazione su questa conferenza, il verbale registra un piccolo incidente. Il chierico Agostino Anzini, ammesso ai voti, non li aveva più voluti fare; ma poi ne ridomandò con insistenza la grazia al Beato, che lo rimise a Don Rua. Questi lo inviò ai singoli membri del Capitolo Superiore, che non potevano più radunarsi, e al maestro degli ascritti, per replicare le sue suppliche. Vista la buona volontà ch'egli dimostrava, fu ammesso alla professione triennale. Il povero chierico però, travagliato da emottisi, dovette nel '79 ritornare all'aria del nativo Canton Ticino. Riuscì un ottimo sacerdote e zelante parroco, sebbene abbia avuto sempre una salute molto cagionevole. Volle a costo di non lievi sacrifizi indennizzare Don Bosco delle spese fatte per lui in circa [347] sette anni. Aveva 450 abbonati alle Letture Cattoliche. Morì nel 1921.

                Anche alle due sedute del 24 settembre presiedette il Beato Don Bosco. Ecco, ridotti a tredici capi, gli argomenti toccati nella conferenza mattutina:

                1° Mancavano dalla biblioteca dell'Oratorio libri presi a prestito nei collegi e non più restituiti. Chi ne avesse, li restituisse; avutine in prestito, si rimettessero al loro posto, appena usati; non se ne portassero mai via senza licenza di Don Bosco e prima di darne avviso al bibliotecario. Al qual proposito osserveremo che fino dai primordi il Beato si era venuto formando proprio vicino alla sua stanza una biblioteca, da lui continuamente arricchita di nuove opere o donate o ricevute in eredità o altrimenti acquistate. Con tanta penuria di locali, non ebbe difficoltà di assegnarle un ambiente abbastanza ampio. Vi teneva poi un bibliotecario prete, responsabile dell'ordine e della pulizia e della buona conservazione; ma la vigilava anche personalmente, tanto gli stava a cuore che mani profane non vi portassero scompigli o vi perpetrassero sottrazioni.

                2° Dei libri stampati nell'Oratorio se ne mandassero due copie ad ogni Casa, una per la biblioteca e l'altra per uso comune dei soci, addebitandone l'importo alle singole Case.

                3° Quando un confratello stesse più giorni o più settimane in un collegio che non fosse il suo, o per sanità o per qualunque altro motivo, il direttore di quel collegio, partendo quel socio, scrivesse a Don Rua o al direttore locale dell'individuo, secondo le circostanze, riferendo sulla condotta ivi da lui tenuta e specialmente se fosse accaduto alcunchè di notevole.

                4° I direttori locali non avere facoltà di lasciar andare i soci subalterni in vacanza; ma se ne domandasse licenza al Capitolo Superiore. Questa norma levava d'imbarazzo i direttori, che difficilmente avrebbero potuto dare dinieghi senza suscitare malcontenti e gelosie. Venendo invece la decisione [348] dal Capitolo Superiore e non sapendosi a chi attribuire una negativa, ciascuno vi si sarebbe acquietato con facilità.

                5° Non essere conveniente che i sacerdoti novelli andassero a celebrare qualcuna delle prime Messe ai loro paesi, troppe essendo in simili circostanze le distrazioni, che tolgono a un neosacerdote la divozione nel celebrare quelle Messe, che dovrebbero essere le più divote. Richiedendolo la convenienza, vi si sarebbe potuto andare più tardi.

                6° Non si accettassero inviti a servire nelle funzioni o a celebrare fuori, se i preti e i chierici disponibili non avessero le qualità necessarie per far onore alla Casa e quindi alla Congregazione.

                7° Ogni direttore invigilasse o facesse invigilare al catechista sulla maniera tenuta dai suoi preti nel dir Messa; si procurasse l'esattezza nelle cerimonie, evitando la troppa brevità o la troppa lunghezza.

                8° Giovare grandemente a questo fine fare come in quasi tutti gli Ordini religiosi, cioè servirsi qualche volta la Messa l'un l'altro, massime nel tempo degli esercizi spirituali; nel qual tempo raccomandare a ogni sacerdote di rivedere le rubriche.

                9° In ogni collegio si facesse regolarmente tutte le settimane una lezione di cerimonie sacre.

                10° I direttori prendessero a cuore la scuola di teologia, non omettendola mai. Procurassero che i soci destinati ai loro collegi si trovassero al loro posto, appena finiti gli esercizi, avvertendoli che, avendone allora il tempo, si preparassero per l'esame da darsi ai Santi.

                11° Uniformità negli studi teologici. In ogni Casa si studiassero anno per anno i medesimi trattati, e non se ne cambiasse l'ordine fissato dal Capitolo. Così un chierico, mutando collegio, non si sarebbe trovato in impicci.

                12° Avveniva allora con frequenza che si desse la Messa a chi non aveva ancora compiuto lo studio della teologia. Ogni direttore badasse che tali sacerdoti non erano dispensati [349] dai restanti esami; perciò si lasciasse loro il tempo necessario per studiare e, preparati che fossero su qualche trattato, li facessero presentare all'esame. Nella maggior parte dei casi convenire che andassero anch'essi regolarmente alla scuola di teologia, dando poi l'esame insieme con gli altri.

                13° Essendosi notata la grande convenienza che durante gli esercizi tutti dicessero la Messa in collegio, fu ordinata la costruzione di due nuovi altari in legno per quel tempo.

                Alla sera, ripresa la seduta sotto la presidenza del Beato Don Bosco, Don Rua diede lettura delle disposizioni prese circa il personale. Il cronista ci ha fatto questo rilievo: “Don Bosco si mostrava ammirabile nella sua perspicacia a osservare subito ciò che avrebbe prodotto disordine e nella sua umiltà ad accettare quelle modificazioni che gli altri reputavano necessarie”. Contro il parere dei Capitolo, volle Don Fagnano a direttore della nuova Casa d'America, e non Don Ronchail, che destinava ad altro.

                Furono poi presi tre provvedimenti di natura didattica, uno per l'Oratorio e due per Valsalice. Nell'Oratorio per coloro che a motivo dell'età avanzata abbreviavano il ginnasio, si stabilì che la ripetizione di filosofia consistesse nel far tradurre il trattato in italiano, unendovi le osservazioni indispensabili per l'intelligenza della terminologia. In quanto al collegio di Valsalice venne stabilito: 1° Che non si prendessero professori esterni sia per l'ingente spesa, sia per un po' di noncuranza loro circa il profitto degli alunni, sia per i pericoli morali causati da divergenze d'idee, di spirito e d'interessi. 2° Che si semplificasse il liceo con l'unire due corsi in uno, per impiegarvi minor numero di professori; nel primo anno, per esempio, si studiasse da tutti la storia medievale e la logica, e nel secondo la storia moderna e l'etica.

                Finalmente il Beato manifestò la sua volontà che non solo nell'Oratorio, ma in tutti i collegi i chierici avessero un dirigente proprio, del quale sentivasi gran bisogno. Tale [350] ufficio nelle Case particolari appartenesse al catechista, e ciascun direttore annunziasse ai propri chierici questa deliberazione.

                La mattina del 25 se n'andò tutta nella cerimonia della professione religiosa, che si fece con solennità. Alla sera la conferenza, presieduta dal Beato, procedette all'accettazione degli ascritti. Alcuni criteri da lui manifestati o applicati meritano la nostra considerazione. Perchè un aspirante fosse ammesso in Congregazione come chierico, disse richiedersi nel superiore conoscenza esatta del soggetto e nel soggetto la prova di molta confidenza verso il superiore; quanto poi a moralità, essere necessario che egli fosse irreprensibile. Certuni indecisi, che facevano dipendere la loro risoluzione dal volere dei genitori, vennero dal Servo di Dio consigliati a non entrare in Congregazione, benchè fossero buoni e dessero speranza di buona riuscita. A certi altri che reputava leggieri e che temeva poco adatti alla Congregazione, specialmente se poveri, mise per condizione che pagassero le spese solite a esigersi da chi entra in qualunque noviziato, mentre dalla maggior parte degli ascritti non si richiedeva nulla in tale circostanza. Disse: - Si prenda poi in seguito quello che possono dare; chi non può dar nulla, come per lo più avviene, non dia nulla e non gli si facciano ulteriori insistenze. Ma dall'impegno che essi mettono per cercar di ottenere questa somma dai loro genitori, molte volte si può conoscere benissimo le intenzioni di un individuo. -

                Ed eccoci all'ultimo giorno. Nell'adunanza del mattino Don Rua per ordine del Beato lesse una lettera dell'avvocato Michel, che invitava i Salesiani a Nizza Marittima per farvi come a Torino. Dopo la partenza de Missionari il Servo di Dio sarebbe andato sul luogo per conchiudere qualche cosa. Poi parlò degli oratori festivi. Essere della massima importanza che presso tutti i nostri collegi si aprissero oratori festivi; fino allora non aversene che a Torino e a Sampierdarena. Manca il personale obbiettò qualcuno. Manca [351] pure il locale - rincalzò qualche altro. Don Bosco ribadì: - Solo in questo modo si può fare un bene radicale alla popolazione di un paese. Se non si possono tenere i ragazzi per le ricreazioni, si obblighino almeno i giovani esterni chè frequentano le nostre scuole a venire alla Messa in collegio tutte le domeniche e feste di precetto. Si procuri inoltre che s'accostino ai santi Sacramenti della Confessione e Comunione una volta al mese.

                Il conte Gazelli di Rossana offriva una sua cappella dedicata a S. Francesco di Sales presso Valsalice, affinchè vi si facesse l'oratorio festivo; il Beato gli fece rispondere che s'informasse se l'Arcivescovo avrebbe approvato e che i Salesiani si sarebbero obbligati a continuarvi l'oratorio qualora fossero costretti a sloggiare da Valsalice. Ma non se ne fece nulla. Chiuse la seduta facendo voti, che presto potessero tutti i membri del Capitolo Superiore emanciparsi dalla direzione speciale dell'Oratorio, e così pure che i Direttori delle Case particolari potessero rimettere ai subalterni la gestione diretta delle cose di minor importanza, riserbando a sè soltanto l'alta soprintendenza della Casa e la cura spirituale dei soci. - Il da farsi, disse, va continuamente aumentando e, se non badiamo, resteremo oppressi sotto il peso di tante cure. Tutti aderirono a quanto egli aveva proposto.

                Nel pomeriggio il Beato fece un'ampia esposizione d'idee. Immaginiamoci di essere là a udirlo. Egli parlò press'a poco in questi termini:

                1° Si stampino quelle lettere che negli Ordini religiosi sogliono chiamarsi lettere d'obbedienza. Esse debbono essere presentate dai confratelli ai direttori delle Case, alle quali sono mandati dal proprio superiore. Prima di tale consegna un socio non comunichi con gli altri. Appena entrato nella Casa, si ponga sotto l'ubbidienza di quel direttore e dipenda da lui interamente.

                2° Finite le conferenze generali d'autunno, si stamperanno i nomi e gli uffizi principali dei membri destinati alle [352] singole Case. Forse per quest'anno non sarà ancora possibile farlo; ma rimanga ciò stabilito per l'anno venturo. Così pure si stampi una formula di lettera da darsi a ciascun individuo, in cui gli sia significata la sua destinazione.

                3° In tutti i collegi si tenga da conto la carta usata. I fogli scritti da una sola parte si destinino a servire per le bozze delle nostre tipografie; i mezzi fogli interamente bianchi si cuciscano in quadernetti per scrivere memorie o per fare ricevute; la cartaccia d'imballaggio sì conservi per le spedizioni; la carta che è tutta scritta, si venda alle cartiere. Sarà non piccola economia il far così; saranno migliaia di lire risparmiate.

                4° In tutti i collegi si tengano in specialissima considerazione i professi perpetui, siano essi chierici o coadiutori. Si usi loro grande confidenza; loro si affidino, benchè meno abili di altre persone che a noi non appartengono, le cose più delicate e confidenziali della Società. Si dica anche loro o si faccia in modo che s'accorgano darsi ad essi il tale incarico piuttosto che ad altri per la ragione che sono professi perpetui, cioè fratelli intrinseci e indivisibili.

                5° Ogni Casa ponga grande studio nel prepararsi il personale, di cui abbisogna. Nello stato presente delle cose nostre è certo che per alcuni anni non si potrà mandare un personale pienamente atto agli uffizi cui è destinato; ma dev'essere studio specialissimo dei direttori il cercare di formarselo tale, stando attenti in che cosa sbagliano, dando norme opportune e opportuni avvisi, spendendo anche molto tempo in sì necessaria occupazione. Così potremo avere quei sostegni che si desiderano.

                6° Lo stesso dicasi dei coadiutori e delle persone di Casa, che si mandano da Torino. Ognuno sia persuaso, che dall'Oratorio mandiamo sempre ciò che di meglio si può avere disponibile. Molte volte però non si hanno persone all'uopo, e quindi si cerchi di addestrarli nel lavoro che si è ad essi affidato. Questa sia la cura tutta speciale dei prefetti: li radunino di [353] quando in quando per dar loro le norme opportune, si osservi bene che non trascurino i Sacramenti, e così a poco a poco li ridurremo a quel punto che vogliamo, per ritrarne preziosi servigi.

                7° Si procuri inoltre di non mandar via le persone per mancanze che non siano proprio di grave entità. Se assolutamente non servono al fine, per il quale furono mandate, si rimandino a Torino, dando loro una lettera di accompagnamento. Se le mancanze furono veramente gravi, si rimandino senz'altro al loro paese. Rinviarli a Torino è un raddoppiare i crucci a noi, non senza che debba sopportarne altri lo stesso collegio che li allontana. Ma anche in questi casi si scriva all'Oratorio la causa dell'espulsione, affinchè, se l'individuo si presentasse per essere di bel nuovo accettato, il superiore sia al corrente di tutto.

                8° Sosteniamoci molto l'un l'altro. Compaia grande nelle Case l'accordo fra i superiori. Guai, quando si potesse dire dai subalterni: - I superiori non sono in buona armonia fra di loro; uno vuole e l'altro non vuole; uno appoggia, l'altro combatte la stessa cosa. - Sosteniamoci sempre a vicenda in faccia ai subalterni. Si usino anche mezzi termini, per far vedere che vogliamo tutti la stessa cosa, anche quando un subalterno si fosse già accorto del disparere. Sosteniamoci pure col lodarci l'un l'altro, dimostrando la grande stima che ci portiamo scambievolmente. Ogni collegio sostenga sempre moralmente le altre Case; si parli sempre degli altri collegi, dando loro lode come fra i migliori e i meglio ordinati. Ciascun collegio particolare poi sostenga a spada tratta la riputazione della Casa Madre, sia fra le persone estranee, sia fra quelli che vivono entro le sue mura, prestando e facendo prestare ossequio alle deliberazioni e alle ordinanze che da quella venissero.

                9° Cosa della massima importanza per le nostre Case è cercare ogni mezzo per ottenere, promuovere, propagare, assicurare la moralità. Finchè in faccia al pubblico, senza [354] eccezione, esse avranno questa buona fama, affluiranno sempre i giovani, noi saremo tenuti come educatori eccellenti, e i nostri collegi fioriranno in ogni maniera. Dal momento che mancasse questo, mancherebbe tutto. Non già procurare di render fiorente la moralità per il solo fine di avere la fiducia delle famiglie: noi il nostro fine l'abbiamo più sublime: ma anche di questa fiducia, di questa benevolenza noi abbiamo bisogno, e perciò in ogni modo procuriamo di ottenerla. Norme per ottenere che vi sia e si propaghi questa moralità, specialmente per i soci della Congregazione, sono le seguenti:

                10° Si facciano le consuete conferenze, due al mese: nell'una si dia lettura e spiegazione delle Regole; nell'altra si tratti qualche punto morale. Queste conferenze non si omettano mai. Se il direttore qualche volta non la potesse fare, vi si supplisca almeno con una lettura spirituale: ma almeno questo poco ci sia sempre.

                11° Si osservino bene le Regole della Congregazione. La loro osservanza ci condurrà sicuramente ad ottenere il nostro scopo.

                12° Ciò che poi ritengo come la chiave di ogni ordine e di ogni moralità, il mezzo con cui il direttore può avere in mano la chiave di tutto, si è che si ricevano puntualmente i rendiconti mensili. Non si lascino mai per qualsiasi motivo e si facciano posatamente e con impegno. Ogni Direttore si ricordi di domandare sempre questi due punti: - Primo, nel tuo ufficio trovi qualche cosa che ti sia proprio contrario e che possa impedire la tua perseveranza nella vocazione? Secondo, a te consta qualche cosa che possa farsi o impedirsi per togliere qualche disordine o qualche scandalo in Casa? - Per lo più i confratelli parlano e scoprono cose, alle quali noi non penseremmo mai e che essi molte volte credono che noi le sappiamo già o che le teniamo in poco conto. Solo stamane, da pochissime parole che mi disse un confratello da me interrogato, assicuro che mi si apersero gli occhi su di una [355] cosa importantissima, tolta la quale, sarà chiusa una fonte di disordini e di scandali, che talora avvengono in Casa, e non si può capire donde abbiano origine.

                Quando dai rendiconti si conosce qualche cosa di male o fonte di disordine in alcuno dei confratelli, se ne tenga nota e, venendo il turno di quel tale, si facciano interrogazioni allusive, o si domandi apertamente questo o quello, secondo i casi. Si pone così riparo ad inconvenienti anche gravi senza che nessuno resti offeso, e si avvisano individui di certi difetti, che talora senza che essi se n'accorgano, recano disordini o danni o scandali.

                Nei rendiconti però si badi attentamente a non entrare in cose di coscienza. Queste devono essere al tutto separate; il rendiconto si aggiri su cose esterne, perchè noi del rendiconto abbiamo bisogno di servirci in ogni caso, mentre, se si entra in cose di coscienza, ci troveremo poi imbrogliati, confondendo rendiconto e confessione.

                13° Con questi rendiconti e con ogni altro mezzo, gioverà immensamente a ottenere la moralità l'impedire in modo assoluto quelle merendole che fanno in compagnia i giovani e i chierici, ovvero giovani, chierici e maestri insieme. Questo bisogna a tutti i costi proibirlo e impedirlo. Nei giovani eccita il desiderio di rubare e li mette in vere tentazioni; fa venir loro la voglia di scrivere a casa per aver ghiottonerie, li invita a nascondersi e a cercare luoghi appartati, ed anche ai chierici e maestri è di vera occasione per condursi giovani in camera: tutte cose di grande pericolo.

                14° Nessuno dei preti o professori si faccia servire dai giovani a portar acqua, lucidare le scarpe e simili; ma ciascuno faccia le cose sue da sè, perchè io vedo che in Casa già si tende all'agiatezza e per poco che si trascuri questo riserbo, si verrà subito a cose deplorevoli e ordinariamente a perdere lo spirito della Congregazione.

                15° Gioverà anche molto a ottenere la moralità tener sempre le camerate chiuse. Non vi si entri che alla sera, andando [356] a riposo; e, se è necessario, un momentino, ma proprio un brevissimo istante, al tempo della colazione.

                16° Principalmente poi gioverà l'evitare ogni amicizia particolare. Si metta in pratica quel detto di S. Gerolamo: Aut nullos aut omnes pariter dilige. I direttori invigilino su questo.

                17° Evitare comecchessia di mettersi le mani addosso; non mai andare a braccetto. Per lo più questo riesce pericoloso, sebbene molte volte non vi appaia niente di male; ma ora nel chierico, ora nel giovane, ora in entrambi, ora in chi vede, può, se non altro, ingenerare cattivi pensieri, fantasie, immaginazioni.

                18° Venendo ad altre cose, io credo opportuno che in ogni Casa, fuori del direttore, non vi sia alcun altro associato a giornali di qualsiasi genere. I direttori però si associno solamente ai buoni; ed anche questi non  siano mai indirizzati al collegio, al direttore, alla direzione, in modo da indicare un vero abbonamento ufficiale del collegio; ma ad un nome qualunque del collegio stesso: sarà il nome del portinaio, del cuciniere o simile, Per quanto si può, non si entri mai in discorsi politici, nè si leggano giornali in presenza dei giovani.

                19° È da notarsi che finora l'obbedienza fu piuttosto personale che religiosa. Evitiamo questo grande inconveniente. Non si obbedisca mai, perchè è il tale che comanda ma per motivi di ordine superiore, perchè è Dio che comanda: comandi poi per mezzo di chi vuole.

                Cominciamo a praticare noi questa virtù religiosa e poi adagio adagio cerchiamo d'inculcarla a tutti. Finchè non saremo arrivati a questo punto, avremo ottenuto poco. Non si facciano le cose perchè ci piace farle o perchè piace la persona che comanda o per il modo col quale sono comandate; ma si facciano, e volentieri, solo perchè sono comandate. Questo principio si ripeta nelle conferenze, nelle prediche, nelle confessioni ed in ogni altro modo possibile.

                20° Una cosa, a cui dobbiamo mirare in quest'anno e [357] d'ora in avanti, si è di unificare la direzione generale della Congregazione, e perciò togliere al Capitolo Superiore le cure dell'Oratorio. Finora ci sono io e le cose, finchè ci sono, potrebbero andare avanti così. Io vi conosco pienamente ed ho piena confidenza in voi e vedo che voi avete piena confidenza in me. Ma ora dobbiamo stabilire le cose su base ordinaria, come se io non ci fossi, e dare norme per quelli che verranno dopo di voi. Si procuri adunque che di tutte le cose sia informato il Capitolo Superiore e neppure s'introduca il minimo miglioramento nella contabilità o in altro senza farne speciale parola a Torino.

                E ora diamo fine a queste conferenze con benedire proprio di cuore la bontà del Signore e di Maria Ausiliatrice per tutto ciò che vediamo avvenire in Congregazione. Gli uomini non possono darsi ragione di queste cose: le altre Congregazioni cadono, la nostra cresce favolosamente; gli altri collegi non hanno giovani, fra noi non c’è mai locale sufficiente per contenerli tutti. Un confratello non è ancora capace di fare A, che gli si deve subito far fare B: si trova subito il posto, dove collocarlo, e proprio il suo posto.

                Mi par di vedere i nuovi che entrano in Congregazione, tutti pieni di vigore e di volontà, spingere in su, in su gli altri, e questi spingerne altri; per quelli dei gradi superiori nascer sempre nuove cose e nuovi impegni, ed essi impazienti di avere uno che li surroghi per lasciargli il posto che adesso occupano, e spingersi a imprese di maggior rilievo.

                Sì, ringraziamone il Signore, poichè vediamo che la Congregazione cresce; e, quel che più importa, cresce di confratelli, i quali si vanno formando sempre migliori, tutti i giorni acquistano più spirito religioso e maggior capacità, sia fra i chierici sia fra i coadiutori. Questa è una prova che c’è la mano di Pio che ci guida.

                Si fecero sacrifizi enormi, è vero; ecco che comincia a vedersi come riescono le sementi sparse e che i sacrifizi furono ben ricompensati. Ora poi l'Opera di Maria Ausiliatrice mi [358] dà speranze straordinarie. Questi giovani adulti e di molto criterio, appena siano preti, renderanno molto frutto; anzi lo rendono già prima d'essere preti, poichè servono a disimpegnare uffizi delicati in Casa, assistono, sorvegliano, fanno da maestri elementari. E già vi sono molte domande anche di soldati: fu accettato persino un brigadiere. Tutti i giorni ricevo lettere di vescovi, che commendano l'opera e di giovani e di parroci che fanno domande di accettazione.

                Benediciamo dunque sempre il Signore e procuriamo noi, posti alla testa delle cose, che la Congregazione non abbia a soffrire detrimento per causa nostra.

 

 

CAPO XV. Le Figlie di Maria Ausiliatrice.

 

                LA modesta Casa di Mornese, vivaio dell'incipiente Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, accoglieva fra le sue mura uno stuolo di anime elette, la cui vita era povertà, pietà e lavoro. La Madre Mazzarello con l'efficacia dell'esempio infervorava postulanti, novizie e professe nella pratica di tutte le virtù religiose, avendo in conto di legge qualsiasi minimo cenno le venisse da parte del Beato Fondatore. Sul posto, la direzione spirituale era in buone mani. Una cronistoria documentata, che abbiamo qui dinanzi, appartenente all'archivio centrale dell'Istituto, ritrae così il direttore:

                “Don Costamagna non trascura nulla. Attivo, con una vita esuberante e bisognoso d'espandersi, e sbalzato da un collegio maschile alla direzione di Suore piene d'ogni buon volere, ma impratiche di molte cose, si getta in tutto: esercizi di pietà, scuole, igiene, galateo”.

                La povertà vi regnava sovrana e nelle forme più austere. Edifica e commuove il leggere a quali sacrifizi le buone Figlie non si rassegnavano già, ma volenterose si sottoponevano per amore di questa virtù. Il Beato però stimava di doverne moderare gli ardori; quindi scrisse alla Madre di vedere, se per la sanità delle Suore non fosse da largheggiare un po' più nel vitto, cominciando da quella magra colazione asciutta, la quale avrebbe finito con debilitare troppo gli stomachi. La Madre, sempre desiderosa di assecondare le intenzioni del [360] Beato, ma paventando in pari tempo che si aprisse la via a deleterie esigenze, per le quali sarebbe potuto venire l'affievolimento dello spirito, ricorse ad un piccolo stratagemma. Scrisse per il Beato una lettera, in cui, protestandogli obbedienza, esprimeva i suoi timori; indi passò da ogni singola Suora, movendo a ciascuna questa domanda: - Tu sei contenta della colazione? Non ne soffri? Non sentiresti la necessità che ci fosse qualche cosa di meglio, un po' di latte, per esempio? - Dalla prima all'ultima, con la sincerità abituale in quella vita di famiglia, le Suore optarono per lo statu quo rispetto alla refezione del mattino e confermarono il proprio sentimento apponendo la firma sopra un foglio che la Madre, avutane la risposta, presentava loro. Lettera e foglio furono spediti al Beato. Questi rispose piacergli grandemente il buon volere delle Suore; ma essere egli propenso al dare caffè e latte a colazione. “Se Don Bosco lo volesse, esclamò nella sua semplicità la Madre, noi saremmo anche disposte a prendere un pollo”.

                Nelle pratiche di pietà niente si modificava senza il consenso del Beato. Una sua parola bastava, perchè si pigliasse o si lasciasse qualche divoto esercizio. Così le Suore davano molta importanza alla commemorazione dei dolori o delle allegrezze di Maria Santissima in certe ore del giorno, perchè Don Bosco nell'assegnare a tale pratica quei dati momenti della giornata aveva avuto l'intenzione di farle coincidere con le ore canoniche, sicchè le Figlie di Maria Ausiliatrice potessero unire la loro preghiera alla preghiera della Chiesa.

                La venerazione che portavano al Beato Fondatore, ne faceva riguardar loro i figli come fratelli. Nel '75 vi fu accettata una sorella di Don Tamietti; orbene la cronistoria ci esce in questo commento: “Bello questo giungere a Mornese le parenti dei Figli di Don Bosco! Non sarà un segno più chiaro ancora, che la Madonna considera le due Istituzioni come una cosa sola, e che i due rami sono ugualmente cari al Cielo?”.

                In quell'anno fu fissata definitivamente la foggia dell'abito. [361] La buona Madre aveva fatto passare le Suore per diverse esperienze. Prima esse portarono in capo un grosso cuffione nero. Il loro direttore generale Don Cagliero, quando le vide così acconciate, sorrise con un fare che voleva dire: - Staremo a vedere se attacca! - In seguito il copricapo diventò bianco, ma coperto da velo nero. - Un po' meglio! - esclamò allora Don Cagliero. Poi c'era l'abito color caffè. Sotto l'azione del sole e per effetto dei lavori manuali, bisognava vedere che cosa diveniva quel povero indumento! Un cencio di nessun colore, tanto che il medesimo Don Cagliero, sbrigliando il suo umor faceto, disse una volta al Beato: - Oh, Don Bosco, se quelle Suore dovessero mai essere brutte dentro come Son brutte fuori, poveri noi! La maggior parte delle religiose a Torino vanno vestite di nero. - Si potrebbe provare anche questo - fece Don Bosco. Si provò difatti in una prossima vestizione: dodici postulanti, dopochè sfilarono, biancovestite, rientrarono vestite di nero. A quel colpo di scena si levò un bisbiglio generale di sorpresa e di approvazione.

                La Madre tuttavia non si sarebbe mai azzardata a introdurre l'innovazione senza parlarne al Fondatore. Gliene riferì dunque. N'ebbe in risposta: - Spero di venire per gli esercizi; allora decideremo. Intanto verrà Don Rua, perchè non conosce quasi ancora le Suore, ed è prefetto generale! Così vedrà anche lui.

                Don Rua andò, accolto con i segni della massima deferenza. Come prefetto generale, s'interessò dell'andamento materiale, osservando con minuziosa attenzione i registri pagina per pagina e rendendosi conto di tutta la gestione economica. Dopochè col suo occhio di linee ebbe tutto scrutato, suggerì opportune direttive. Richiesto anche del suo sacro ministero, vi sì prestò di buon grado, confessando e predicando.

                Durante la sua permanenza, giunse a Mornese il direttore di Sampierdarena Don Albera, accompagnato da Don Guanella, che aveva mandato colà da Sondrio un bel gruppo di [362] postulanti. Si era in giugno, e “i due pii sacerdoti”, come si esprime il nostro documento, si alternavano a fare meditazioni sul Cuore di Gesù, a dare la benedizione e nel sermoncino della sera dopo le preghiere.

                Finalmente vennero gli esercizi spirituali, cominciati il 21 agosto. Li predicarono Don Cagliero e un Padre Carmelitano. Nella storia dell'Istituto quegli esercizi segnarono un notevole progresso verso la perfetta regolarità della vita religiosa, come ora diremo.

                Il Beato si trovò presente negli ultimi giorni. Confessò, conferì, e poi diede una grande notizia. - La Regola manoscritta, disse, non ne parla ancora, ma è nell'intenzione della Chiesa che le Suore, dopo un triennio o due di buona prova, si leghino a Dio con i voti in perpetuo; ed essendo ora passato il primo triennio per le prime professe, alla fine di questi esercizi, con la funzione di vestizione e professione, vi saranno altresì voti perpetui per quelle che lo desiderano e che le superiore stimeranno di poter contentare; le altre potranno rinnovare i voti, se pure qualcuna... - La reticenza era abbastanza eloquente. Egli sapeva quanto si passava in Casa: qualche testolina in mezzo alle altre non mancava: è così dappertutto.

                Le Suore triennali andarono a domandargli di essere ammesse ai voti perpetui. Ma egli, espresso il suo parere, conchiudeva invariabilmente: - Bisogna che sentiate la vostra Madre Superiora. - Don Bosco, esercitando la sua alta direzione, non si sostituiva alle ordinarie superiore nel regime interno dell'Istituto.

                Il 28 agosto solenne vestizione di quindici postulanti, benedette dal Beato, a cui prestavano assistenza il Padre Carmelitano, Don Cagliero e Don Costamagna. Anche questa volta l'abito era nero.

                Una delle vestiende, Maddalena Martini, già nota al Beato, aveva avuto dal buon Padre preziosi incoraggiamenti in questa bellissima lettera, che essa custodì sempre come una reliquia: [363]

 

                               Diletta Figlia in Gesù Cristo,

 

                La vostra andata in Mornese ha dato tale schiaffo al mondo, che egli mandò il nemico delle anime nostre ad inquietarvi. Ma voi ascoltate la voce di Dio, che vi chiama a salvarvi per una via facile e piana, e disprezzate ogni contrario suggerimento. Anzi siate contenta dei disturbi, delle inquietudini che provate, perchè la via della croce è quella che vi conduce a Dio. Al contrario, se voi foste stata subito allegra e contenta, vi sarebbe a temere qualche inganno del maligno nemico. Dunque ritenete:

                1° Non si va alla gloria, se non con grande fatica.

                2° Non siamo soli, ma Gesù è con noi, e S. Paolo dice che con l'aiuto di Dio diventiamo onnipotenti.

                3° Chi abbandona patria, parenti e amici e segue il divin Maestro, ha assicurato un tesoro in Cielo, che niuno gli potrà rapire.

                4° Il gran premio preparato in Cielo deve animarci a tollerare qualunque pena sopra la terra.

                Fatevi dunque animo, Gesù è con voi. Quando avete delle spille mettetele con quelle della corona di Gesù.

                Io vi raccomando a Dio nella S. Messa; voi pregate per me, che sono sempre in Gesù Cristo vostro

Umilissimo servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Alla vestizione seguirono le professioni temporanee di quattordici Suore e quelle perpetue di otto. Le nostre Memorie cronologiche dicono: “Madre Mazzarello è felice. Da molti anni ella si è data a Dio con voto perpetuo; ma il proclamarlo così alla comunità pare che faccia più stretto il nodo, più sacro il legame, più perfetta la dedizione di sè”.

                Terminata la cara cerimonia, il Beato suggellò la funzione e gli esercizi con un suo discorso. Parlò del gran dono della pace, concludendo che per essere in pace con Dio e col prossimo bisognava prima essere in pace con se stessi; e per riuscirvi esortò a non aspettare un dato giorno o un dato momento di maggiore agitazione o di maggiore bisogno per chiedere un consiglio, dare un avvertimento, manifestare una pena: ma le superiore verso le suddite, queste verso le superiore e le sorelle fra di loro si dicessero volta per volta le cose con rispetto, calma e serenità. [364] Agli esercizi erano intervenute anche le Suore di Borgo S. Martino. Una di esse aveva una bella cosa da contare di Don Bosco. Il Beato, recatosi a quel collegio per la festa di S. Luigi, aveva detto la Messa per le Suore e prima di partire era stato a salutarle. Quella povera Figlia aveva tanto bisogno di parlargli, ma non le fu mai possibile. Don Bosco, al vedersela dinanzi, le lesse nello sguardo l'angosciosa pena interiore, e senza dirle nulla, con solo paternamente mirarla, la guarì. - Al solo sguardo di Don Bosco ogni nube si dissipò, dichiarava la Suora, e mi scese in cuore la calma.

                Prima di lasciare Mornese, il Beato, fatta radunare tutta la comunità, disse parergli giunto il tempo di raccomandare l'osservanza esatta della clausura. - Fino adesso siamo andati veramente alla buona in fatto di clausura, perchè eravate più una famiglia che una comunità in tutta forma, e si doveva pensare a muratori, eccetera, eccetera. Ma ora è tempo che ci mettiamo in regola anche per questo. E poi con tutta la gioventù che avete in Casa, e quella di più che avrete presto, bisogna che la porta esterna rimanga chiusa sempre e che vi sia una Suora incaricata delle chiavi e di ricevere le persone esterne che vengono per parlare.

                 - Nei monasteri di clausura non entra nessuno senza uno straordinario bisogno e permesso. Quando va il confessore per qualche malata, precede una Suora, sonando il campanello, e, mentre la malata si confessa, quella di tanto in tanto dà qualche tocco di campanello per far sentire che è presente. Fra voi non si tratta di dover far questo, perchè non siete obbligate da clausura monacale; voi dovete essere sempre a contatto della gioventù, e spesso spesso anche degli esterni. Però è bene che nelle stanze riservate alle Suore, come dicono le vostre Costituzioni, non siano introdotte persone estranee senza vera necessità e senza una Suora che le accompagni.

                 - Nessuna esca mai da sola, per nessun motivo, e nessuna [365] si fermi fuori quando si fa notte; e, sonata l'Ave Maria della sera, non si riceva più nessuno in casa.

                 - Quelle di voi che sono state a Borgo S. Martino, hanno visto che, per mandare quanto occorre dalla cucina al refettorio dei superiori e dei ragazzi, ed anche dalla stanza delle guardarobe agl'incaricati della distribuzione, vi è la così detta ruota, in maniera che la Suora può soddisfare tutti senza bisogno nè di vedere nè di esser veduta.

                 - A Mornese per ora la ruota per il servizio vostro ai sacerdoti non c’è, benchè anche qui col tempo bisognerà forse metterla; e intanto bisognerà stare attente a osservare in questo pure la clausura, che significa appunto chiusura, separazione.

                 - Le vostre Regole dicono pure che le Suore non frequenteranno le case dei signori parroci nè di altri sacerdoti, nè vi presteranno servizi. Non siete ancora in questo caso; ma quando arrivasse... facciamo, facciamo come è scritto nelle Regole: la Regola è la voce di Dio.

                Non disapprovò l'introdotto abito nero. Ragioni di economia non permettevano di darlo subito a tutte; ond'egli disse: - Sì, fateli pur neri di mano in mano che potete senza troppo disagio di spesa. Le Suore, che non sono sempre a contatto con gli esterni, possono consumare il loro abito caffè. Dobbiamo volere, sì, l'uguaglianza dell'abito; ma qui si tratta di aver a fare i conti con la signora Povertà. Poi, piano piano, sarete tutte dello stesso colore. Va bene?

                Il Beato partì con Don Cagliero e Don Costamagna alla volta di Ovada. Là convenivano nove vescovi per le feste centenarie di S. Paolo della Croce; egli fece loro e da loro ricevette visite. L'occasione di poter conferire con tanti vescovi sui bisogni delle sue Opere dovette essere l'unico motivo che gli consigliò quell'andata. Infatti in una di quelle lettere, che durante le sue assenze era solito mandare a Don Rua con elenchi di ordini, d'informazioni e d'istruzioni, diceva: “Per parlare coi vescovi, con cui ho affari, vado ad Ovada”. La [366] lettera non è datata, ma fu scritta certamente da Mornese in questo tempo. Condusse con sè anche il direttore di Mornese, perchè lo aiutasse nella revisione delle Regole dell'Istituto, a fine di presentarle al Vescovo di Acqui per l'approvazione. Furono ospiti di Don Tito Borgatta dal 29 al 31 agosto.

                Finite le sue pratiche in chiesa, il buon Padre si ritirava in casa, dove Don Costamagna gli leggeva quelle Regole articolo per articolo, ed egli a correggere, ampliare, aggiungere, e poi a far rileggere, e poi a ritoccare, finchè non vi vedeva ben incarnato il suo concetto. Ne uscirono così quasi interamente trasformate.

                Grazie a quel lavora dei Fondatore le Costituzioni furono trovate meritevoli dell'approvazione vescovile, che venne accordata nel gennaio del '76. Don Costamagna nel commentare il decreto ricordò alle Suore una parola del Beato. Io vi posso assicurare, aveva egli detto loro, che l'Istituto avrà un grande avvenire, ma se voi vi manterrete semplici, povere e mortificate.

                L'inopinata partenza di Don Cagliero per l'America costernò le buone Suore, tanto più che a Mornese la notizia giunse quando già il direttore generale era salpato da Genova: la ristrettezza del tempo non gli aveva permesso nemmeno di salutarle. Dice la cronistoria: “La Madre è quella che ne sente più d'ogni altra la pena; essa che più di tutte ha esperimentato l'efficacia dell'appoggio morale di lui, essa sulla quale pesa la scabrosità del momento”. Il Beato però aveva provveduto. Infatti il 10 novembre le visitò Don Rua, che ascoltò le Suore e s'informò di tutto: si capì subito che egli suppliva il direttore generale lontano.

                Don Rua vi capitava proprio in buon punto. Il Fondatore aveva mandato a Mornese una, per dirla col nostro documento, “veneranda signorina di 63 anni”. Il buon Padre non le rifiutò di provare, anche per far piacere al di lei fratello, professore nella Regia Università e suo amico. Ma a quell'età essa non [367] era più riducibile. Peggio ancora: si tirava dietro qualche testa piccola. Le superiore pazientarono fin oltre i limiti del credibile. Finalmente la Madre, impensierita, andò a consultare Don Bosco, tornandone con la sua parola, che sonava così: - Quelle che io mando a Mornese, le mando per obbedire, non per comandare. - A obbedire pare che colei non si rassegnasse; perciò Don Rua la ricondusse a Torino.

                Prima che ci allontaniamo dal caro nido di Mornese, vogliamo riferire un brano di lettera scritta da monsignor Costamagna e capitataci sott'occhio in mezzo ad altre carte. Il vescovo Salesiano dice così!: “Quando io mi trovava a Mornese a dirigere la Casa della Fondazione, venne Don Bosco a visitar le Suore, e, vedendo che tutte lo attorniavano per baciargli la mano, cominciò, come si dice, a masticare, a dimenar il capo in segno di non completa approvazione; e, poi, rivoltosi a me, che mi trovava presente, disse forte, in modo da essere inteso da tutti: - Adesso si bacia la mano a Don Bosco; più tardi si vorrà fare lo stesso con tutti gli altri, e ne potranno venire delle spiacevoli conseguenze -”..

                Noi vedremo i ristretti orizzonti di Mornese allargarsi d'anno in anno a perdita d'occhio; ma su qualunque plaga e sotto qualunque cielo le Figlie di Maria Ausiliatrice si avanzino, vi saranno ognora trasportate dallo spirito che, auspice il Beato Don Bosco e grazie alle eroiche virtù di Madre Mazzarello, aleggiò là dove fu la culla dell'Istituto.

                Per le Figlie di Maria Ausiliatrice il Beato preparava un posto presso l'Oratorio. Battagliò da gennaio a luglio per la conquista del luogo. Si trattava infatti di sloggiarne il demonio. Il grido d'allarme è in questa circolare da lui mandata ai Cooperatori.

                Di rimpetto all'Oratorio di S. Francesco di Sales; da oltre 25 anni devesi tollerare una casa d'immoralità, con quanti disturbi e pericoli pei giovanetti interni ed esterni ognuno il può immaginare. Ciò fu d'impedimento finora di incominciar i lavori davanti la Chiesa di Maria Ausiliatrice. [368] La Divina Provvidenza finalmente dispose che il proprietario di quell'edifizio pel mal esito de' suoi affari fosse costretto di porlo in vendita.

                Per impedire che altri lo comperi col medesimo scopo perverso, venne incaricata terza persona a fare un Compromesso in forza di cui il sottoscritto può fare l'atto di compera a fr. 55 mila.

                La casa essendo di cattiva costruzione e di cattiva posizione è mestieri demolirla dalle fondamenta. Il terreno però è opportunissimo a regolarizzare il piano della Piazza di Maria Ausiliatrice.

                I materiali poi servirebbero alla costruzione degli edifizii che intorno alla medesima si dovrebbero quanto prima cominciare.

                Ora si tratta di mettere insieme la somma sopramentovata: a tale bisogno si ricorre a quelli che colle loro sostanze possono concorrere ad impedire l'offesa del Signore e salvare delle anime.

Torino, 20 gennaio 1875.

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Abbiamo sotto la medesima data un saggio delle lettere, con cui accompagnava la sua dichiarazione di guerra, allorchè la inviasse a persone influenti e facoltose. Scriveva alla Nobildonna torinese Angelina Dupraz:

 

                               Benemerita Signora,

 

                Nei casi gravi son solito di fare ricorso alla sua carità che non mi venne mai meno. Ora trattasi di una impresa ardita, distruggere dalle fondamenta una casa di satanasso, come vedrà dal foglietto, che le unisco. Finora non ho ancora un soldo. Spero che la sua offerta sarà la prima. Se può, certamente sarà ricompensata dal Signore quando si presenterà a lui [che le dirà]: Hai salvato anime, hai salvata la tua.

                Comunque ella sia per concorrere, io non mancherò di pregare ogni giorno per Lei e per l'ottimo Commendatore di Lei marito, affinchè Dio li conservi ambidue a lunghi anni di vita felice, mentre mi raccomando alle loro sante preghiere e mi professo con profonda gratitudine

                Di Casa, 20, 1875.

Obbl.mo servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Soltanto il 21 luglio potè cantare vittoria. Ne diede subito il lieto annunzio alla contessa Callori, con accenti che sembrano lo squillo del trionfo. [369]

 

                               Mia buona Mamma,

 

                D. Milanesio mi ha dato sue notizie che mi tornarono molto gradite, perchè annunciano qualche miglioramento della sua preziosa sanità. Questo dimandiamo da molto tempo all'altare di Maria A. e continueremo fino a tantochè Ella mi dica: La mia antica salute è felicemente ritornata. Fiat, Fiat.

                Oggi finalmente si è fatto il contratto della famosa casa. Il Demonio, ha fatto tutti i suoi sforzi.

                Racconterò tutti gli orridi, ma curiosi episodii di questo acquisto. Qui le noto solo che con pazienza, disturbo e sacrifizio finalmente ogni cosa è terminata e il demonio si è rotto un corno.

                Mia Buona Mamma! Che Dio La benedica e La conservi a vedere il frutto della sua carità e mentre Le professo la più sentita gratitudine per quanto fa per me, prego, ma di tutto cuore, che Maria le tenga preparata degna mercede nel tempo e nella beata eternità. Amen.

                Le sono in G. C.

                Torino, S. Maria M., 21 luglio, 1875.

Umìl.mo figliaccio

Ed obbl.mo servitore

Sac. GIO. BOSCO

 

                Ma chiudere la casa infame non era che la prima parte dell'impresa; bisognava dopo aprirne ivi stesso un'altra, che fosse Casa di benedizione. Si affrettò quindi a sollecitare dall'Autorità diocesana i necessari poteri.

 

                               Eccellenza Rev.ma,

 

                Il Sac. Gio. Bosco espone rispettosamente all'Ecc. V. Rev.ma che le povere ragazze del quartiere di Valdocco non avendo nè luogo nè comodità di frequentare le scuole, nemmeno intervenire alle funzioni religiose, versano in grave pericolo della moralità. A fine di provvedere per quanto si può a questo urgente bisogno avrebbe preparato un locale che pare conveniente per un Oratorio femminile in cui quelle ragazze possano radunarsi nei giorni feriali per la scuola e nei festivi per le sacre funzioni, specialmente pel catechismo.

                Il locale stabilito per chiesa dista circa cento metri dalla chiesa dedicata a Maria Ausiliatrice, in piano terreno, coll'adito pubblico e congiunto all'edifizio destinato per l'abitazione di alcune religiose, che di buon grado verrebbero a prendere cura di quelle pericolanti fanciulle. [370] Supplica perciò la E. V. R. a voler delegare la persona che meglio giudicherà, affinchè venga a visitare il mentovato Oratorio, e, trovate le cose secondo le prescrizioni di S. Chiesa, benedirlo e così poter ivi celebrare i divini misteri.

                Che della grazia

Umile esponente

Sac. GIO. BOSCO.

 

                La risposta si fece aspettare fino al 31 ottobre. La copia che noi abbiamo della missiva qui sopra riprodotta è senza data; ma otto giorni dopochè la risposta venne, cioè il 7 novembre, riferendone al Capitolo Superiore, il Beato disse che “già da un po' di tempo” egli aveva scritto. Comunque sia di ciò, nell'attesa egli, era tornato alla carica, unendo alla lettera anche le Regole di Mornese. Qui pure noi dobbiamo contentarci di una copia non datata.

                Il Sac. Gio. Bosco nel vivo desiderio di provvedere al bisogno che si fa gravemente sentire per l'abbandono in cui si trovano le ragazze povere di Valdocco avrebbe divisato di stabilire una scuola di beneficenza e di affidarne la direzione alle Religiose dette Figlie di Maria Ausiliatrice la cui casa principale è in Mornese diocesi di Acqui.

                A tal uopo domanda il beneplacito di V. E. R., le manda copia delle loro regole e dei documenti relativi con preghiera di voler deputare il Sac. Michele Rua per confessore ordinario e il Sac. Bodrato Giovanni nei casi che quello fosse assente o per altra ragione non potesse compiere quell'ufficio.

                Che della grazia

Umile supplicante

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Nella suddetta risposta l'Ordinario accluse una carta, in cui presentava al Beato sei condizioni da sottoscrivere[145], con quest'avvertenza: “Se Ella il giudica conveniente, vi ponga la sua sottoscrizione con la data e la mandi all'Arcivescovado”.

                Una delle condizioni era imbarazzante. Le Suore, abitando presso la chiesa di Maria Ausiliatrice, non avrebbero potuto [371] avere cappella in Casa; per confessarsi e per le funzioni andassero nella chiesa. Ma essendo la chiesa pubblica e molto frequentata e servendo essa già per i giovani, come mai le Suore vi avrebbero potuto compiere bene le loro pratiche religiose? Quindi Don Bosco replicò, mettendo in rilievo l'inconveniente. L'Ordinario gli fece rispondere non aver egli difficoltà a concedere la cappella, purchè le Suore aprissero un oratorio festivo per le ragazze. E questo appunto voleva il Servo di Dio; sicchè si trovarono perfettamente d'accordo[146].

                Ottenuto il sospirato consenso, Don Bosco prontamente ordinò che si adattasse per le Suore il locale acquistato. Là accanto avevano la scuola gli esterni e i Figli di Maria, come si è detto altrove; ma c'era modo di segregarle. “Locale bruttissimo” però, lo confessò il Beato stesso ai superiori del Capitolo; ma, soggiunse, “capace di contenere molte persone”. Tuttavia si consolò dicendo: “Intanto il Signore provvederà per cose migliori”. Se e come il Signore vi abbia provvisto, lo vedrebbero oggi perfino gli orbi.

                Se al Beato ci volle tempo per diventare padrone del campo, non ce ne volle meno a Don Rua per mettere in ordine la casa. Riparleremo, a Dio piacendo, di questa fondazione unitamente con altre, ideate nel '75, ma attuate nel '76.

 

 

CAPO XVI. La partenza dei Missionari.

 

                IN marzo il Beato un giorno, dopo essere rimasto un po' di tempo soprappensiero e silenzioso, disse a Don Cagliero, che gli stava al fianco Vorrei mandare qualcuno dei nostri preti più antichi ad accompagnare i Missionari in America e che si fermasse là un tre mesi con loro, finchè non siano ben collocati. Abbandonarli subito soli senza un appoggio, un consigliere col quale abbiano confidenza, mi sembra cosa un po' dura. Non mi regge il cuore a pensarci.

                Don Cagliero rispose: - Se Don Bosco non trovasse alcuno, al quale affidare quest'incarico, e se mi credesse atto a tale ufficio, io sono pronto.

                 - Va bene, - concluse il Servo di Dio.

                I mesi passavano, senza che il Beato facesse più motto di questo suo divisamento; ma, avvicinandosi la data della partenza, un giorno all'improvviso disse a Don Cagliero:

                 - In quanto all'andare in America, sei sempre dello stesso pensiero? L'hai detto forse per burla che saresti andato?

                 - Lei sa bene, che con Don Bosco non burlo mai! rispose Don Cagliero.

                 - Va bene. Preparati, È tempo.

                Don Cagliero in quel medesimo istante corse a dare ordini per i preparativi, sicchè in pochi giorni, lavorando febbrilmente, li condusse a termine. Allora si fece chiaro nella mente [373] del Beato che si appressava l'avveramento della sua persuasione dover essere Don Cagliero elevato alla dignità episcopale.

                Don Cagliero, conseguita a pieni voti la laurea in teologia presso la Regia Università, insegnava la morale nell'Oratorio, dirigeva parecchi Istituti religiosi in città, era il maestro di musica dei giovani, aveva mano nelle faccende più delicate della Casa; nessuno avrebbe mai supposto che egli se ne potesse staccare, anche per poco. Se fosse partito Don Bonetti, non sarebbe stato necessario che altri accompagnasse la spedizione; ma fra i prescelti mancava l'uomo, che per incamminare le cose liberasse il Beato da ogni dubbio e timore.

                Dopo Don Cagliero veniva Don Giuseppe Fagnano, destinato a dirigere il collegio di S. Nicolàs de los Arroyos. Nato a Rocchetta Tanaro nel '44, era sul buono dell'età, uomo di gran cuore e intrepido, professore di lettere nel ginnasio superiore e prefetto prima a Lanzo, poi a Varazze. Un semplice desiderio espressogli dal Beato gli bastò per dare l'addio a tutto, sormontando gravi difficoltà.

                Don Valentino Cassinis, da Varengo nel Monferrato, maestro elementare, tanto fece che indusse a rassegnazione la propria madre. Lasciava gran desiderio di sè fra i giovani artigiani, di cui aveva la cura. Al solo pensiero di abbandonare l'Oratorio, dov'era vissuto tredici anni, non poteva frenare le lacrime; tuttavia confessò al Beato, che partiva contento, perchè sicuro di compiere la volontà di Dio, manifestatagli in quella del superiore.

                Altri tre preti erano Don Domenico Tomatis, professore di lettere nel ginnasio, nativo di Trinità in quel di Mondovì; Don Giovanni Battista Baccìno da Giusvalla nel circondario di Savona, maestro elementare; Don Giacomo Allavena, nato a Ventimiglia, maestro elementare.

                Compivano il gruppo quattro coadiutori, che troviamo per l'occasione denominati catechisti, in quel senso che ha questa parola nel linguaggio missionario. Essi erano Bartolomeo [374] Scavini, maestro falegname; Vincenzo Gioia, cuoco e maestro calzolaio; Bartolomeo Molinari, maestro di musica vocale e strumentale; Stefano Belmonte, musico e attendente all'economia domestica.

                Durante le ferie estive il Beato radunò questi suoi cari figliuoli nel collegio di Varazze, affinchè, sotto la guida del commendator Gazzolo, attendessero allo studio dello spagnuolo. Obbligatisi a parlar sempre quella lingua, riuscirono in breve a esprimersi abbastanza bene e correntemente.

                Uno vi era però, Don Cassinis, che in settembre non aveva ancora ricevuto il presbiterato. Tentare di farlo ordinare a Torino sarebbe stata fatica inutile. Perciò il Servo di Dio si rivolse a mons. De Gaudenzi, Vescovo di Vigevano al quale lo legava antica amicizia, e lo pregò di ordinargli presto con il Cassinis altri quattro diaconi: Erminio Borio, Giuseppe Leveratto, Carlo Farina e Antonio Riccardi. Monsignore annuì; ma pose una condizione: che il Beato assistesse in persona alla sacra cerimonia, dov'egli l'avrebbe compiuta. Il Servo di Dio rispose di sì.

                Gli ordinandi furono invitati a recarsi nella villa del seminario di Vigevano presso Cava Manara, per fare ivi i loro esercizi spirituali. La sacra ordinazione doveva tenersi nella parrocchia di Sannazzaro dei Burgundi e nella solennità del Santissimo Rosario. Il Vescovo vi aveva indetto per allora la visita pastorale. Nella popolazione regnava del malumore contro il parroco; ecco perchè il Vescovo vi desiderò la presenza del Beato.

                Colà pertanto la vigilia della festa si recò da Vigevano mons. De Gaudenzi, accompagnato da tre canonici. La sera stessa vi andarono gli ordinandi. Col treno delle otto arrivò pure Don Bosco da Torino, incontrato alla stazione da' suoi figli e da alcuni del clero locale. Don Borio ricorda che la gente, non conoscendo il Beato, guardava con visibile meraviglia, com'egli fosse accolto da' suoi con tanto affetto e venerazione. [375] Lo accompagnarono passo passo per il non breve tratto fino alla casa parrocchiale, dove il primo a incontrarlo sulla porta fu il padre del parroco, il quale gli diede il benvenuto e largamente si profferse per ogni suo bisogno. Il Beato sorridendo gli disse:

                 - Tutto questo va bene; ma quel che fa bisogno a me non me lo date.

                 - Ma sì, Don Bosco, non ha che da dirlo e sarà servito.

                 - No, no, quel che occorre a me, non me lo date. Io ho bisogno... di denaro! Il brav'uomo, quasi mortificato, rimase là senza parola.

                Avvertito dell'arrivo del Beato, il vescovo lasciò la chiesa, dove stava confessando. Incontratisi nel cortile della casa parrocchiale, si abbracciarono entrambi con effusione; quindi Monsignore in tono scherzevole gli disse: - Ora, se Vuol guadagnare la cena, venga ad aiutarmi a confessare.

                 - Ben volentieri - rispose il Beato. Fu condotto ad un confessionale, l'unico che fosse libero, nel posto della chiesa più disagiato. Vi confessò lungo tempo, fin quando si venne a prenderlo per mano e a trarlo fuori per condurlo in canonica a cenare.

                L'indomani mattina si rimise a confessare anche durante l'ordinazione, sospendendo solo nel momento solenne di andare anche lui a imporre le mani. Più tardi, mentre il vescovo era occupato nella cresima, egli in casa benedisse infermi e, pregatone, andò a benedire anche a domicilio. Nel pomeriggio, dopo la processione, tenne il discorso ad un uditorio affollatissimo; il vescovo ed i canonici, per ascoltarlo meglio, si fecero portare i sedili fuori della balaustra, collocandosi proprio di fronte al pulpito. La predica durò un'ora e tre quarti. Eppure, cosa incredibile ma vera, affermano alcuni del paese che, quando finì, la gente diceva che era troppo presto. Sulle prime però dovette faticare non poco, per dominare con la sua voce argentina il brusio della moltitudine in quel vasto tempio. [376] La mattina del lunedì visitò nel vicino paese di Mezzana Bigli la pia famiglia del sig. Villa, agente di Casa Confalonieri. Nel 1906 il salesiano Don Abbondio Anzini, predicando il quaresimale a Sannazzaro, vi trovò ancora vivo il ricordo del Servo di Dio.

                Ricondotti a Torino i novelli sacerdoti, si diede a ultimare i preparativi per la partenza dei Missionari. Sebbene il tempo incalzasse, volle procurar loro la consolazione di ricevere la benedizione dal Vicario di Gesù Cristo. Partirono per Roma il 29 ottobre, accompagnati anche dal commendator Gazzolo.

                A Roma, il 31 ottobre, furono ricevuti dal Cardinal Antonelli, che si mostrò di bontà squisita e rivolse loro parole di somma benevolenza. Nella festa poi dei Santi ebbero l'onore di un'udienza speciale dal Santo Padre. Sua Santità si degnò di ammettere alla sua presenza il commendator Gazzolo e Don Cagliero, il quale gli espresse la viva gratitudine dei Salesiani per i grandi benefizi fatti dal Papa alla nascente Congregazione e gli disse dell'affetto che tutti i figli di Don Bosco nutrivano verso la sua augusta Persona. Il Papa ascoltò con paterna compiacenza; quindi, accordate le grazie e i favori, che Don Cagliero aveva chiesti, affrettò il passo verso la sala, dov'era aspettato dal drappello dei Salesiani, mostrando una certa ansietà di vederli.

                Appena entrato, con amabilità ineffabile: - Ecco, disse, un povero vecchio, e dove sono i miei piccoli Missionari?... Voi dunque siete i figli di Don Bosco e andate in terre lontane a predicare il Vangelo. Bene! E dove andrete? - Nella Repubblica Argentina. - Là voi avrete un vasto campo per fare gran bene. Spero che vi sarete ben accolti, perchè le Autorità sono buone. Voi sarete vasi pieni di buona semente; anzi, certo, lo siete, avendovi scelti i vostri superiori a questa Missione. Spanderete dunque in mezzo a quei popoli le vostre virtù e farete molto bene. Desidero che vi moltiplichiate perchè grande è il bisogno, copiosissima è la messe fra le tribù selvagge.  [377] Poscia rivolse a ciascuno benevole parole. Avvicinatosi ai singoli coadiutori, che si distinguevano dagli altri per l'abito da secolare, li interrogò uno a uno del loro mestiere, diede a tutti la mano a baciare e tutti infine affettuosamente benedisse. Quei buoni confratelli uscirono dall'udienza elettrizzati e disposti ad andare in capo al mondo e a dare anche la vita per la fede.

                Prima che partissero, il Card. Antonelli munì Don Cagliero di un proprio autografo, con cui raccomandava la novella Missione a S. E. monsignor Federico Aneyros, Arcivescovo di Buenos Aires. Diversi favori e privilegi vennero pure concessi ai singoli sacerdoti, fra cui quello di poter confessare e celebrare in qualsiasi luogo, anche sul piroscafo. Il benevolo card. Franchi, Prefetto di Propaganda, con apposito decreto pontificio dichiarò Missionari apostolici tutti i sacerdoti della spedizione[147]. Anche Sua Santità, a dimostrare il suo alto gradimento, diresse a Don Bosco questo Breve, che diamo qui nella versione italiana[148]. Il testo di tali documenti pervenne al Beato nella seconda metà di novembre; ma ne diamo notizia qui, perchè la loro preparazione è di questo tempo.

 

PIO PAPA IX.

 

                Diletto figlio, salute e apostolica benedizione.

                Negli ultimi giorni del mese di ottobre abbiamo ricevuto con piacere le tue lettere ed abbiamo abbracciato con benevolenza paterna i Missionari che Ci raccomandavi e che ci furono presentati col diletto figlio G. B. Gazzolo. Dalla loro presenza è dalle loro parole si accrebbe in Noi la fiducia che già avevamo, che le loro fatiche in quei lontani paesi, ove sono avviati, saranno fruttuose e salutari ai fedeli. Lodammo perciò il loro zelo e, augurando ad essi la divina assistenza, li abbiamo benedetti. Riuscirono pure a Noi di consolazione le notizie che Ci comunicavi sul progresso e sullo sviluppo dell'Opera di Maria Ausiliatrice, da cui coi tempo, mercè l'aiuto di Dio, speriamo che si raccoglieranno ottimi frutti di salute. Intanto ti assicuriamo di nuovo i sentimenti della patema Nostra benevolenza [378] e, auspice della grazia celeste, di gran cuore impartiamo la benedizione Apostolica a te e a tutta la Congregazione, cui presiedi.

                Dato a Roma, presso S. Pietro, addì 17 novembre 1875, del Nostro Pontificato anno trigesimo.

                Pio P. P. IX.

 

                               Al diletto figlio

                               Giovanni Bosco Sacerdote. - Torino.

 

                I Missionari furono di ritorno il 4 novembre, a tarda notte. Prima che essi partissero per Roma, il Beato, mentre pensava al Papa, non aveva dimenticato il suo Arcivescovo. A lui infatti si rivolse, pregandolo di voler dare loro la solenne benedizione nella cerimonia della partenza. L'Arcivescovo gli fece scrivere la vigilia dei Santi[149]: “Riguardo ai suoi religiosi, che la S. V. sta per mandare alla Repubblica Argentina, S. E. Rev.ma sarà ben lieto di benedirli in forma solennissima e pubblica, se essi domani, solennità di Ognissanti, si presenteranno nella Basilica Metropolitana al termine della Messa Pontificale, appena data la benedizione papale. Questo è il modo che si tiene con gli alunni delle Scuole Apostoliche del can. Ortalda, quando alcuno di quelli è mandato in missione estera”. Il Beato rispose che i Missionari non potevano intervenire al Duomo, perchè erano andati a Roma dal Santo Padre. L'Ordinario di nuovo gli fece scrivere[150]: “S. E. Rev.ma m'incarica di scriverle che se i suoi giovani, che partono per la Repubblica Argentina, desiderano, oltre a quella del Sommo Pontefice, anche la benedizione di Monsignor Arcivescovo, vengano all'Arcivescovado il giorno 7 od 8 del corr. mese verso le 9 antim.; imperocchè nei giorni seguenti S. E. sarebbe assente da Torino”. Il Beato fu costretto a replicare[151]: “Ti prego di ringraziare S. E. da parte mia e da parte dei nostri Missionari per la bontà che si degna loro usare. [379]

                Rincresce solamente che alcuni sono ancora dispersi per preparare alcune carte e non saranno tutti qui fino a mercoledì[152]. I sette però che dimorano all'Oratorio con Don Cagliero si recheranno ben volentieri dimani mattina a baciare la Mano a Mons. Arcivescovo e ricevere la sua santa benedizione prima della loro partenza”. Nella chiusa di questa lettera il Beato augura al teologo che Dio gli “conceda ogni bene” e lo invita a pregare “pel povero” suo Don Bosco.

                Era sua intenzione che la cerimonia della partenza rivestisse la maggior solennità possibile; poichè, essendo cosa affatto nuova in Torino e diramandosi inviti a stampa, si prevedeva un concorso straordinario di gente. - Avrei avuto desiderio, diss'egli in Capitolo il 7 novembre, d'invitare qualche prelato; ma ciò forse farebbe troppo montar sulle furie il nostro Arcivescovo. Invece pregheremo il parroco, che è persona ufficiale a ciò stabilita; poi s'invita come amico personale nostro e specialmente di Don Cagliero che deve partire.

                A questo punto nella mente di un attento lettore insorgono vari dubbi. Primo: la frase “farebbe troppo montar sulle furie” è grave, riferita all'Arcivescovo, ma più grave ancora sulle labbra di Don Bosco. Che le sue parole non siano state fedelmente raccolte? Le raccolse Don Barberis, il quale per l'indole sua dolcissima e per la sua profonda riverenza a Don Bosco, era proclive a smorzare piuttosto che a caricare le tinte. Qual segreto movente psicologico lo fece dunque prorompere in sì energica espressione? Secondo: la lettera in cui il segretario arcivescovile dice che Monsignore “sarà ben lieto” di benedire i Missionari nella Cattedrale, non accenna menomamente a precedente lettera scritta da Don Bosco per quest'oggetto; anzi tale comunicazione è introdotta come di straforo nella comunicazione riguardante le Suore e da noi già citata. Ci fu dunque in antecedenza una comunicazione [380] orale; ma allora perchè non fu data anche oralmente la risposta? Terzo: Don Bosco, quando voleva invitare l'Ordinario per qualche funzione, non lo faceva per iscritto, ma incaricava un superiore del Capitolo di recarsi da lui in persona a pregarnelo. Ora, per un avvenimento così clamoroso quale sarebbe stata la solenne partenza dei Missionari, è possibile che Don Bosco non abbia, in forma adeguata all'importanza del fatto, dato partecipazione di tutto all'Arcivescovo? E allora?

                Ripensando a questo capo composto già da parecchio, anche noi ondeggiavamo nelle medesime incertezze, quando siamo venuti in possesso di un grave documento autografo, che, a parer nostro, è perentorio.

 

                               Eccellenza Rev.ma,

 

                Ieri la E. V. Rev.ma giudicò di dirmi tutto quello che Le sembrò opportuno senza nemmeno lasciarmi proferire una parola in discolpa o in rettificazione di quanto imputavami. Mi rincrebbe più per la R. V. che per me. Aveva in animo di notificarle cose che avrebbero giovato efficacemente a diminuirle, forse a liberarla da serii dispiaceri.

                Con tutto il rispetto dovuto alla dignità arcivescovile, di cui V. E. è investita, credo poterle dire che se fu Vescovo di Saluzzo e poi Arcivescovo di Torino, se furono appianate le gravi difficoltà, che si opponevano, ciò, e V. E. lo sa, è dovuto alle proposte e sollecitudini del povero D. Bosco, che adesso non se gli permette nemmeno più di parlare e si manda via come Ella sa.

                Io credeva di potere, anzi [d'aver il] dovere di parlare; adesso io credo di esserne intieramente esonerato.

                Mi scusi dei dispiaceri cagionati e mi creda sempre colla massima venerazione quale sono sempre stato e non mancherò mai di essere

                Della E. V. Rev.ma

                Torino, 28 ottobre 1875.

Obbl.mo servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Si guardi bene alla data: 28 ottobre, vigilia della partenza dei Missionari per Roma. Dunque l'antivigilia il Beato fece visita all'Arcivescovo. Sarebbe assurdo supporre che nello scopo della visita non entrasse anche e, diciamo pure, soprattutto,  [381] il desiderio d'informarlo del grandioso avvenimento che si preparava e che con l'andata a Roma cominciava a svolgersi; ma fu trattato in malo modo. Allorchè Don Bosco parlò di “furie”, aveva quindi davanti al pensiero la scenaccia, di cui tacque a tutti e su cui sorvola discretamente perfino con l'Arcivescovo. Non ne tace pure nella “Esposizione” che si vide costretto di presentare nel 1881 alla Sacra Congregazione del Concilio? Ma ivi dichiara espressamente che passerà sotto silenzio “molti fatti e detti che riguardano solamente la sua persona”. È chiaro poi che l'Arcivescovo, rientrando in se stesso, dovette sentir rimorso e coscienziosamente cercò di riparare; onde non gli sarà sembrato vero di essere già da tempo in debito di una risposta intorno all'affare delle Suore. Fece dunque scrivere per le Suore e insieme per la benedizione ai Missionari, sebbene in termini rigidi.

                Il Beato aveva poi cose importanti da comunicare all’Ordinario. Quali? Si rilegga nella lettera del 31 dicembre, da noi riportata a pagina 305, il penultimo capoverso “Soltanto nel passato ottobre; là ci sembra che sia la risposta a questa domanda.

                Poteva il Beato Don Bosco nell'imminenza della nuova festa non volgere il pensiero a' suoi giovani e non trarne partito per procacciare alle loro anime qualche vantaggio spirituale? La funzione era fissata per il giovedì II novembre. Alla sera del 9 egli, accennato alla partenza dei Missionari e detto l'orario della giornata, annunziò per quel giovedì l'esercizio della buona morte, facendo una di quelle esortazioni che egli sapeva fare, quando toccava l'argomento del salvarsi l'anima.

                Sorse finalmente l'11 novembre, sacro al popolare San Martino di Tours. Oggi nell'Oratorio noi siamo avvezzi a vedere partenze e arrivi d'ogni fatta, senza che quasi vi poniamo mente; ma nel '75 si era appena ai primi albori della grande storia; una spedizione di Missionari in fondo all'America aveva cinquantacinque anni fa qualche cosa di epico [382] agli occhi di coloro che vivevano in questo remoto angolo di Torino chiamato Valdocco. Si guardava ai partenti come a generosi atleti, che movessero arditi incontro al mistero. Vedendoli aggirarsi per casa nel loro abito esotico, ognuno cercava di avvicinarli e di scambiare con essi una parola. Don Cagliero soprattutto, amato dai giovani più che un padre, era fatto segno a tenere dimostrazioni d'affetto. L'esercizio della buona morte portò tutta la comunità a una comunione generale che non poteva essere più fervorosa.

                Alle 10 il suono festivo delle campane chiamò Missionari, alunni ed invitati ad un'attraente funzione: al battesimo di un giovane Valdese, certo Giovanelli, diciottenne, che, entrato da poco tempo nell'Oratorio, abiurava in quel giorno gli errori di Pietro Valdo per entrare nel seno della Chiesa Cattolica. Don Cagliero ne ricevette l'abiura e gli amministrò il sacramento sub conditione. Cominciava così ai piedi di Maria Ausiliatrice la missione, che avrebbe continuata oltre l'Atlantico.

                Verso le 4 pomeridiane l'affluenza alla chiesa faceva prevedere un pienone senza precedenti. Il vespro fu cantato in semplice gregoriano, sposandosi alle melodie dell'organo centinaia di voci giovanili, che sotto le maestose volte del tempio risonavano alte, armoniose e divote. Antecedentemente però un'altra musica si era fatta udire nell'Oratorio. Scoccavano le 4 ed echeggiavano le prime note del concerto campanario, quando sorse nella Casa un impetuoso rumore con un violento sbattersi di porte e di finestre. Erasi levato un vento così forte, che sembrava volesse atterrare l'Oratorio. Sarà stato un caso; ma il fatto è che un vento uguale soffiò nell'ora in cui si pose la pietra angolare della chiesa di Maria Ausiliatrice; un vento simile si ripetè alla consacrazione del Santuario e poi di nuovo il giorno dell'arrivo del Beato Don Bosco da Varazze dopo la malattia; un vento furioso e improvviso allo stesso modo si scatenò sull'Oratorio dieci giorni prima di questa spedizione, mentre Don Cagliero faceva una sua predica [383] di commiato, e circa dieci anni dopo, proprio nell'istante che giungeva a Don Bosco il decreto dei privilegi. Altri dicono di altre volte ancora e sempre in momenti di qualche importanza. Non ci è stato possibile appurare la cosa; ma tanto basta, ci sembra, per dubitare che lì non entrassero solamente cause ordinarie.

                Appena il vespro fu al Magnificat, i Missionari fecero a due a due l'ingresso nel presbiterio collocandovisi nel mezzo, in posti per loro preparati: i preti vestiti alla spagnuola e col cappello a barca in mano, i secolari in abito nero e con in mano il cappello a cilindro. Vi assistevano in cotta tutti i preti dell'Oratorio e tutti i direttori.

                Per non tacere nulla, dobbiamo aggiungere che la deliberazione di chiamare a Torino tutti i direttori non passò senza discussione a motivo della spesa; prevalse però il concetto che, essendo la prima partenza per le Missioni così in corpo non solo da Torino, ma dal Piemonte intero, convenisse fare le cose con la massima solennità possibile; tanto più che i direttori avrebbero poi avuto agio di raccontar bene i particolari ai giovani dei loro collegi, risvegliando forse buone vocazioni.

                Terminato il vespro, montò in pulpito il Beato nostro Padre. Al suo apparire si fece in quel mare di gente profondo silenzio; un fremito di commozione passò per tutta l'udienza, che ne bevette avidamente le parole. Ogni volta che accennava direttamente ai Missionari, la voce gli si velava fin quasi a morirgli sulle labbra. Egli con isforzi virili frenava le lagrime, ma l'uditorio piangeva. Un giovane molto intelligente raccolse nelle sue linee essenziali il sermone, in cui l'oratore svolse i concetti qui condensati.

                Il nostro Divin Salvatore, quando era su questa terra, prima di andare al Celeste Padre, radunati i suoi Apostoli, disse loro: Ite in mundum universum... docete omnes gentes... Praedicate evangelium meum omni creaturae. Andate per tutto il mondo... insegnate a tutti... predicate il mio Vangelo a tutte le creature. [384] Con queste parole il Salvatore dava non un consiglio, ma un comando ai suoi Apostoli, affinchè andassero a portare la luce del Vangelo in tutte le parti della terra. Questo comando o missione diede il nome di Missionarii a tutti quelli che nei nostri paesi o nei paesi esteri vanno a promulgare, o predicare le verità della fede. Ite, andate.

                Salito al Cielo il Divin Salvatore, gli Apostoli posero fedelmente in esecuzione il precetto del Maestro. San Pietro e San Paolo si recarono in molti paesi, città e regni del mondo. Sant’Andrea andò nella Persia, San Bartolomeo nell'India, San Giacomo nella Spagna e tutti chi qua chi là predicarono il Vangelo di Gesù Cristo, a segno che San Paolo già scrive ai Romani: Fides vestra annunciatur in universo mundo.

                Ma non sarebbe stato meglio che gli Apostoli si fossero fermati prima a guadagnare gli abitanti di Gerusalemme e di tutta la Palestina, specialmente per avere comodità di radunarsi insieme e discutere i punti più fondamentali della Cattolica Religione e sul modo di propagarla in maniera che più nessuno restasse in quelle regioni che non credesse in Gesù Cristo? No, non fecero così; il Divin Salvatore aveva loro detto: Ite in mundum universum, andate per tutto il mondo. Perciò gli Apostoli, non potendo da sè percorrere tutte le regioni del globo, si associarono altri e poi altri evangelici operai, che mandarono qua e là a propagare la parola di Dio. San Pietro mandò Sant'Apollinare a Ravenna, San Barnaba a Milano, San Lino ed altri in Francia, e così fecero altri Apostoli nel governo della Chiesa.

                I Papi successori di San Pietro fecero altrettanto; e tutti quelli che andarono in Missioni, o partirono da Roma o andarono col consenso del Santo Padre.

                È questo tutto secondo le disposizioni di Dio Salvatore che stabilì, com'era necessario, un centro sicuro, infallibile, cui tutti dovessero riferirsi, da cui tutti dipendessero, ed a cui dovessero uniformarsi tutti coloro, che avevano a predicare la sua santa parola.

                Ora studiando noi nel nostro piccolo di eseguire, secondo le nostre forze, il precetto di Gesù Cristo, varie Missioni ci si presentavano nella China, nell'India, nell'Australia, nell'America stessa; ma per vari motivi, specialmente per essere la nostra Congregazione incipiente, si preferì una Missione nell'America del Sud, nella Repubblica Argentina. Per seguire l'uso adottato, anzi il precetto di Gesù Cristo, appena si cominciò a parlare di questa Missione, subito si interrogò la mente del Capo della Chiesa e tutte le cose si fecero con piena intelligenza di Sua Santità; i nostri Missionari, prima di partire per la loro Missione, si recarono ad ossequiare il Vicario di Gesù Cristo per prendere la sua Apostolica benedizione e quindi partire come inviati dal medesimo Divin Salvatore. [385] In questo modo noi diamo principio ad una grand'opera, non perchè si abbiano pretensioni o si creda di convertire l'universo intero in pochi giorni, no; ma chi sa, che non sia questa partenza e questo poco come un seme da cui abbia a sorgere una grande pianta? Chi sa, che non sia come un granellino di miglio o di senapa, che a poco a poco vada estendendosi e non sia per fare un gran bene? Chi sa che questa partenza non abbia svegliato nel cuore di molti il desiderio di consacrarsi a Dio nelle Missioni, facendo corpo con noi e rinforzando le nostre file? Io lo spero. Ho visto il numero stragrande di coloro che chiesero di essere prescelti.

                Per farvi un giusto concetto del gran bisogno di sacerdoti nella Repubblica Argentina, vi cito soltanto alcuni brani di una lettera testè ricevuta da persona amica che si trova in quei paesi. “Se mai in questi paesi si avesse la comodità, egli scrive, che si può avere, non dico nella Chiesa di Maria Ausiliatrice, ma nel più dimenticato luogo d'Italia o di Francia, eh! come si terrebbero fortunati questi popoli, e come si mostrerebbero pieghevoli e grati alla voce di chi per loro si affatica. Ma qui sovente, neppure in morte, si può avere alcun conforto di Nostra Santa Religione. Non pochi paesi sono assolutamente privi della Santa Messa”. Mi racconta di un suo parente, che volendo andare alla Messa in domenica partì al giovedì e per arrivare a tempo dovette viaggiare molto in fretta, servendosi di cavallo, di vettura e d'ogni mezzo possibile, e appena potè arrivare in quei paesi la domenica mattina per l'ora della Messa, i pochi preti che ci sono non bastano ad amministrare i Sacramenti ai moribondi sia per la grande popolazione a cui si estende la loro cura, sia per la lontananza dei paesi diversi in cui dimorano.

                Vi raccomando poi con insistenza particolare (disse volgendosi ai Missionari) la dolorosa posizione di molte famiglie italiane, che numerose vivono disperse in quelle città e in quei paesi e in mezzo alle stesse campagne. I genitori, la loro figliuolanza poco istruita della lingua e dei costumi dei luoghi, lontani dalle scuole e dalle chiese, o non vanno alle pratiche religiose o, se ci vanno, niente capiscono. Perciò mi scrivono che voi troverete un numero grandissimo di fanciulli ed anche di adulti che vivono nella più deplorabile ignoranza del leggere, dello scrivere, e di ogni principio religioso. Andate, cercate questi nostri fratelli, cui la miseria o la sventura portò in terra straniera, e adoperatevi per far loro conoscere quanto sia grande la misericordia di quel Dio, che ad essi vi manda pel bene delle loro anime, per aiutarli a conoscere e seguire quella strada, che sicura li conduca alla eterna loro salvezza.

                Nelle regioni poi che circondano la parte civilizzata vi sono grandi orde di selvaggi, tra cui non penetrò ancora nè la religione di Gesù Cristo, nè la civiltà, nè il commercio, dove piede europeo non potè finora lasciare alcun vestigio. [386] Questi paesi sono le Pampas, la Patagonia ed alcune isole che vi stanno attorno, e che formano un continente forse superiore a tutta, l'Europa.

                Ora tutte quelle vastissime regioni sono ignare del Cristianesimo ed ignorano affatto ogni principio di civiltà, di commercio, di religione. Oh! noi dunque preghiamo, preghiamo il padrone della vigna che mandi operai nella sua messe, che ne mandi molti, ma che li mandi fatti secondo il suo cuore, affinchè si propaghi su questa terra il regno di Gesù Cristo.

                A questo punto io dovrei dire a tutti quelli che mi ascoltano che preghiate pei nostri missionari; ma spero che lo farete. Noi qui non lasceremo passare mai giorno senza raccomandarli a Maria Ausiliatrice e mi pare che Maria, la quale ora benedice la partenza, non potrà far a meno che benedire il progresso della Missione.

                Dovrei anche, rivolgere parole di ringraziamento a tanti benefattori, che in tanti modi si adoperarono per la riuscita di questa Missione. Ma che dirò? Ci rivolgeremo a Gesù Sacramentato, che si espone ora per la benedizione e pregheremo che esso ricompensi tutto quello che fecero in favore di questa nostra Casa, della Congregazione Salesiana e di questa Missione.

                Dovrei parlare di un illustre personaggio il quale iniziò, proseguì e condusse a termine la pia impresa; ma di lui debbo tacere, perchè qui presente; mi riservo a parlarne in altri tempi.

                Rivolgerò ora qualche parola a voi, amati figli, che siete in punto di partenza.

                Prima di ogni altra cosa vi raccomando che nell’Europa, e vostre private e comuni preghiere non dimentichiate mai i nostri benefattori di Europa, e le prime anime che riuscirete a guadagnare a Gesù Cristo offritele al Padre celeste in omaggio e pegno di gratitudine ai benemeriti oblatori per questa Missione. A tutti in particolare ho già detto a viva voce quello che il cuore m'inspirava o che io credeva più utile; a tutti poi lascio scritti alcuni ricordi speciali che siano come mio testamento per coloro, che vanno in quei lontani paesi e che forse non avrò più la consolazione di vedere su questa terra.

                Ma la voce mi manca, le lagrime soffocano la parola. Soltanto vi dico che se l'animo mio in questo momento è commosso per la vostra partenza, il mio cuore gode di una grande consolazione nel mirare rassodata la nostra Congregazione; nel vedere che nella nostra pochezza anche noi mettiamo in questo memento il nostro sassolino nel grande edifizio della Chiesa. Sì, partite pure coraggiosi; ma ricordatevi che vi è una sola Chiesa che si estende in Europa ed in America e in tutto il mondo, e riceve nel suo seno gli abitanti di tutte le nazioni che vogliono venire a rifugiarsi nel suo materno seno.

                Cristo è Salvatore delle anime, che sono qui, come di quelle che sono là. Tale è il Vangelo che si predica in un luogo quale è quello che [387] si predica in un altro; di modo che sebbene separati di corpo abbiamo ovunque unità di spirito, lavorando tutti alla maggior gloria del medesimo Iddio e Salvatore Nostro Gesù Cristo.

                Ma dovunque andiate ad abitare, o figli amati, voi dovete costantemente ritenere che siete preti Cattolici, e siete Salesiani. Come Cattolici, voi siete andati a Roma a ricevere la benedizione, anzi la Missione dal Sommo Pontefice. E con questo fatto voi pronunciate una formula, una professione di fede e date a conoscere pubblicamente che voi siete mandati dal Vicario di Gesù Cristo a compiere la stessa missione degli Apostoli, come inviati da Gesù Cristo medesimo.

                Pertanto quegli stessi Sacramenti, quello stesso Vangelo predicato dal Salvatore, dai suoi Apostoli, dai successori di San Pietro fin ai nostri giorni, quella stessa religione, quegli stessi Sacramenti dovete gelosamente amare, professare ed esclusivamente predicare, sia che andiate tra selvaggi, sia che tra popoli inciviliti. Dio vi liberi dal dire una parola o fare la minima azione che sia o possa anche sol interpretarsi contro agli ammaestramenti infallibili della Suprema Sede di Pietro che è la Sede di Gesù Cristo, a cui si deve ogni cosa riferire, e da cui in ogni cosa si deve dipendere.

                Come Salesiani, in qualunque rimota parte del globo vi troviate, non dimenticate che qui in Italia avete un padre che vi ama nel Signore, una Congregazione che ad ogni evenienza a voi pensa, a voi provvede e sempre vi accoglierà come fratelli. Andate adunque; voi dovrete affrontare ogni genere di fatiche, di stenti, di pericoli; ma non temete, Dio è con voi, egli vi darà tale grazia, che voi direte con San Paolo: Da me solo non posso niente, ma col divino aiuto io sono onnipotente. Omnia Possum in eo qui me confortat. Andrete, ma non andrete soli; tutti vi accompagneranno. Non pochi compagni seguiranno il vostro esempio e vi andranno a raggiungere nel campo della gloria e delle tribolazioni. E quelli che non potranno partire con voi per accompagnarvi nel campo Evangelico, che la Provvidenza Divina vi ha stabilito, vi accompagneranno col pensiero e colla preghiera, e con voi divideranno le consolazioni, le afflizioni, i fiori e le spine, affinchè col divino aiuto possiate riuscire fruttuosi in tutto quello che dovrete sostenere per la salvezza delle anime da Gesù redente. Andate adunque, il Vicario di G. C., il nostro veneratissimo Arcivescovo vi hanno benedetti, io pure con tutto l'affetto del mio cuore invoco copiose le divine benedizioni sopra di voi, sopra il vostro viaggio, sopra ogni vostra impresa, ogni vostra fatica.

                Addio! Forse tutti non potremo più vederci su questa terra.

                Per un poco saremo separati di corpo, ma un giorno saremo riuniti per sempre. Noi lavorando pel Signore, ci sentiremo dire: Euge, serve bone et fidelis... intra in gaudium Domini tui. [388] Sceso il Beato dal pergamo, dal parroco di Borgodora fu impartita la solenne benedizione col Santissimo Sacramento. Scrive un testimonio oculare[153]: “L'altare magnificamente addobbato, le centinaia di faci risplendenti, la figura di Maria Santissima Ausiliatrice campeggiante nel gran quadro dell'ancona! aggiungevano un soave e imponente aspetto alla funzione”. Dopo il canto del mottetto Sit nomen Domini benedictum, musicato da Don Cagliero, un coro di voci argentine eseguì un bel Tantum ergo.

                Data la benedizione, i cantori intonarono il Veni Creator dopo il quale Don Bosco, recatosi all'altare, disse le bellissime orazioni, che la Chiesa mette sulle labbra de' suoi ministri, quando si accingono a viaggi, massime a peregrinazioni apostoliche. Il Beato chiuse le preci con la sua paterna benedizione ai novelli missionari, ricevuta in mezzo all'universale silenzio.

                Allora venne la parte più patetica della cerimonia, che in ogni angolo sollevò singulti e pianti e mise a dura prova la serenità dei giovani apostoli. Mentre un coro di giovanetti ripeteva dall'orchestra il mottetto Sit nomen Domini benedictum ex hoc nunc et usque in saeculum, nel presbiterio fra l'emozione generale l'amato Padre e tutti i sacerdoti assistenti davano l'estremo abbraccio ai peregrinanti. La commozione giunse al colmo, quando usciti per la balaustra, i dieci Missionari traversarono la chiesa, passando in mezzo ai giovani e ai conoscenti. Si faceva ressa attorno per baciar loro le mani e le vesti. Il Beato arrivò ultimo sulla soglia della porta, donde contemplò per brevi istanti uno spettacolo grandioso: la piazza gremita dalla folla e una lunga fila di carrozze aspettanti i Missionari, al chiarore di lanterne che illuminavano la notte e nei riflessi del torrente di luce che usciva dalla porta spalancata, sotto un cielo limpido e stellato, fra un'aura che aleggiava tranquilla su gli spettatori. Don Lemoyne non [389] potè contenere la piena dei sentimenti che gl'inondava il petto. - Ah! Don Bosco, esclamò. S'incomincia dunque ad avverare l'Inde exibit gloria mea? È vero - rispose Don Bosco, profondamente commosso.

                Quando Dio volle, i Missionari, accompagnati da Don Bosco e dal Console Argentino, presero posto nelle vetture, che prima lente e poi di trotto si diressero alla ferrovia. Ma più lesti furono i convittori di Valsalice, che, precedutili di corsa, vi si fecero trovare nella sala d'aspetto. Si partì quasi subito alla volta di Genova.

                Il Beato Padre nel suo discorso aveva promesso di lasciar ai Missionari alcuni ricordi speciali, quasi paterno testamento a figli che forse non avrebbe più riveduti. Li aveva scritti a matita nel suo taccuino durante un recente viaggio in treno e, fattene tirare copie, le consegnò di sua mano ai singoli, mentre si allontanavano dall'altare di Maria Ausiliatrice. Siano queste venti ammonizioni suggello del presente capo.

                1. Cercate anime, ma non danari, nè onori, nè dignità.

                2. Usate carità e somma cortesia con tutti; ma fuggite le conversazioni e la famigliarità colle persone di altro sesso o di sospetta condotta.

                3. Non fate visite se non per motivi di carità o di necessità.

                4. Non accettate mai inviti di pranzo, se non per gravissime ragioni. In questi casi procurate di essere in due.

                5. Prendete cura speciale degli ammalati, dei fanciulli, dei vecchi e dei poveri, e guadagnerete la benedizione di Dio e la benevolenza degli uomini

                6. Rendete ossequio a tutte le autorità Civili, Religiose, Municipali e Governative.

                7. Incontrando persona autorevole per via, datevi premura di salutarla ossequiosamente.

                8. Fate lo stesso verso le persone Ecclesiastiche o aggregate ad Istituti Religiosi.

                9. Fuggite l'ozio e le quistioni. Gran sobrietà nei cibi, nelle bevande e nel riposo.

                10. Amate, temete, rispettate gli altri Ordini Religiosi e parlatene sempre bene. È questo il mezzo di farvi stimare da tutti e promuovere il bene della Congregazione. [390]

                11. Abbiatevi cura della sanità. Lavorate, ma solo quanto le proprie forze comportano.

                12. Fate che il mondo conosca che siete poveri negli abiti, nel vitto, nelle abitazioni, e voi sarete ricchi in faccia a Dio e diverrete padroni del cuore degli uomini.

                13 Fra di voi amatevi, consigliatevi, correggetevi, ma non portatevi mai nè invidia nè rancore, anzi il bene di uno sia il bene di tutti; le pene e le sofferenze di uno siano considerate come pene e sofferenze di tutti, e ciascuno studi di allontanarle o almeno mitigarle.

                14. Osservate le vostre Regole, nè mai dimenticate l'esercizio mensile della buona morte.

                15. Ogni mattino raccomandate a Dio le occupazioni della giornata, nominatamente le confessioni, le scuole, i catechismi, e le prediche.

                16. Raccomandate costantemente la divozione a Maria Ausiliatrice ed a Gesù Sacramentato.

                17. Ai giovanetti raccomandate la frequente Confessione e Comunione.

                18. Per coltivare le vocazioni Ecclesiastiche insinuate: 1° Amore alla castità; 2° Orrore al vizio opposto; 3° Separazione dai discoli; 4° Comunione frequente; 5° Usate con loro carità, amorevolezza e benevolenza speciale.

                19. Nelle relazioni, nelle cose contenziose, prima di giudicare si ascoltino ambe le parti.

                20. Nelle fatiche e nei patimenti non si dimentichi che abbiamo un gran premio preparato in cielo.

                Amen.

 

 

CAPO XVII. Prima e dopo l'imbarco.

 

                La stanchezza di una giornata così piena di movimento e di emozioni dovette, nella penombra del loro compartimento, aver presto ragione degli affettuosi sensi, con cui i Missionari gustavano di stare per l'ultima volta e così a lungo vicini e stretti al caro Padre. Giunsero sulla mezzanotte a Sampierdarena, dove li aspettava Don Albera, direttore dell'Ospizio di San Vincenzo. Due giorni ci vollero a portare in battello il corredo e a completare le interminabili pratiche dei passaporti. In quei due giorni si vide da tutti quanto affetto i giovani apostoli portassero al loro Superiore e Padre. Egli non faceva un passo, che quelli non lo seguissero, quasi attratti da una forza misteriosa, che non li lasciava staccarsi dalla sua persona: lo tempestavano di domande, gli chiedevano sempre nuovi consigli, gli ridicevano i loro bisogni spirituali Ma si poteva anche vedere quale patema tenerezza egli nutrisse per ognuno di quei figli, tutti da lui cresciuti, istruiti e formati nell'Oratorio: con calma inalterabile si studiava di contentarli, comunicando ad essi i tesori della sua esperienza e de' suoi lumi superni.

                La mattina del 14, che era domenica, celebrata la Messa e compiute le divozioni consuete, s'incamminarono al porto. Appena il Beato stette per balzare dalla barca sulla scaletta che metteva alla tolda, discese il capitano Guidard a porgergli la mano; indi lo condusse a visitare il posto destinato ai Missionari e poi ogni angolo del bastimento. Apparteneva questo [392] piroscafo alla Società francese dei trasporti marittimi di Marsiglia e portava il nome di Savoie.

                Rientrati che furono nella sala di prima classe, il coadiutore Molinari, sedutosi al piano, sonò e intonò il Lodate Maria e gli altri seguitarono cantando. Nella sala vi erano già molti viaggiatori; il canto ne attirò altri. Allora Don Cagliero, profittando del momento, diede principio alla sua predicazione apostolica con un sermoncino, nel quale, rammentato come in quel giorno si celebrasse a Genova la festa del Patrocinio di Maria Santissima, disse parergli ben giusto che sul punto d'intraprendere un sì lungo viaggio s'invocasse la protezione di Colei che è stella del mare e guida sicura al porto. Soggiunse che durante la traversata dell'Atlantico, ognuno avrebbe avuto agio di ascoltare la santa Messa, di confessarsi e di comunicarsi... Le sue parole non solo vennero accolte con deferenza, ma produssero effetti immediati; poichè parecchi domandarono subito dove si confesserebbe, onde fu d'uopo improvvisare un confessionale con velo e cortina.

                Fin là il buon umore non era venuto meno ai Missionari; la presenza dell'amato Padre ne rinfrancava gli animi. Si avvicinava però il momento critico della separazione. Ecco infatti alle 11 il segnale, che ogni persona non viaggiante si dovesse ritirare. Il Beato aveva discorso a lungo col capitano, raccomandandogli i suoi cari. Quegli, persona compitissima, promise che avrebbe trattato con ogni riguardo i Missionari e che essi sarebbero sempre rispettati dall'equipaggio. Il Servo di Dio finalmente li radunò intorno a sè, diede loro gli estremi avvisi paterni e li benedisse.

                Il coadiutore Enria, che si trovava già da qualche mese a Sampierdarena e fu presente al fatto ha descritto così la scena della separazione: “

I Missionari non potevano distaccarsi dal loro Don Bosco. Egli, benchè profondamente commosso, li incoraggiò, ricordando lo scopo di quel viaggio: la gloria di Dio, tante anime da salvare, tanti infedeli da convertire... - Voi fortunati, che getterete il primo seme evangelico [393] in quelle lande! Quanti frutti questo arrecherà alla Chiesa e alla nostra Società Salesiana! Lavorerete indefessamente, e il vostro lavoro coopererà al trionfo della nostra santa religione e della Chiesa Cattolica Apostolica Romana e avrà larghissima retribuzione da Dio. Egli per mezzo mio vi assicura una messe innumerabile; siatene certi. Non badate a fatiche, a privazioni, a disprezzi del mondo. - I Missionari, come anche i presenti nella sala, s'inginocchiarono. Don Bosco li benedisse con voce ferma e li abbracciò, incominciando da Don Cagliero. Dopo scese dal piroscafo. Frano con lui Don Albera, Don Lemoyne, il fratello di Don Cagliero e altri. Quando fummo nella barca, gli occhi di Don Bosco e i nostri erano fissi sul bastimento per vedere ancora una volta i Missionari, che stavano sul ponte e ci davano l'ultimo addio. Don Bosco era tutto rosso per lo sforzo fatto a contenere la commozione”.

                I viaggiatori sedevano a mensa e facevano colazione, quando con grata sorpresa fu annunziata ai Missionari una visita: erano i giovani dell'Ospizio di Sampierdarena che venivano a salutarli ancora una volta. Li aveva mandati con tratto di delicata attenzione il Beato. Si ebbe appena tempo di scambiare poche parole, che quelli dovettero allontanarsi e i Missionari restarono nuovamente soli. Alle due il piroscafo si mise in moto.

                Il 15 essi scesero a Marsiglia, che poterono visitare per sei ore. Il 17 ancorarono in faccia a Barcellona e il 18 entrarono nel porto di Gibilterra. Qui Don Fagnano con il signor Gazzolo, che doveva essere il méntore dei Missionari in America, andò a far provvista di ostie e di candele; fecero anche visita al Vescovo, che manifestò vivissimo desiderio di essere coadiuvato dai figli di Don Bosco nell'educazione della gioventù. Ed ora lasciamo che entrino in pieno Oceano, accompagnati dalle fervide preghiere di tutti i giovani dell'Oratorio.

                Noi abbiamo udito dai contemporanei, quanto per questa partenza si ravvivasse nell'Oratorio lo spirito di preghiera. [394] Gli alunni classe per classe si accordarono a formare corone di comunioni giornaliere, finchè non si sapesse che i Missionari fossero arrivati sani e salvi alla loro meta. Vi fu perfino un giovanetto che si obbligò a digiunare tre giorni ogni settimana, fintantochè non ottenesse da Dio la grazia di partire anche lui, terminati gli studi, per le lontane Missioni; della quale austerità avuta contezza, i superiori gliela proibirono.

                Vogliamo ancora dire che Don Cagliero portava seco un pegno personale della paterna sollecitudine di Don Bosco in una serie di raccomandazioni e commissioni, scritte per lui dal Beato e consegnategli la vigilia dell'imbarco. Il documento è così concepito.

 

                               A D. Cagliero.

 

                1° Abbi cura della sanità e della moralità di tutti e fa in modo che ciascuno abbia il necessario riposo.

                2° Al Dott. Ceccarelli che ho ricevuto i f. 200 e che mi raccomando pel catechismo Argentino, cioè una copia che occorre nella stampa del Giovane Provveduto in lingua Spagnuola.

                3° Tomatis traduca la mia aritmetica in lingua spagnuola e me la mandi, che sarà stampata qui a Torino; si osservi se vi è un buon testo di Storia Sacra, in caso diverso ne prepareremo uno.

                4° Non si dimentichi un Cattolico o altro libro al signor Dottor Espinosa.

                5° Quando Allavena e compagni siano in bastimento a Marsiglia mi si scriva un dispaccio in questo senso. Tutti ben venuti e in sanità: diversamente si ometta tutti.

                6° Ogni volta che nel viaggio avvi occasione, scrivete quel che potete, ma tu unisci sempre un biglietto confidenziale per dirmi quello che fosse del caso.

                7° Usate ogni atto di ossequio al sig. Francesco Benitez, notandogli che egli pure è Francescano, cioè ha il nome del nostro patrono.

                8° Niuno decanti quel che sa o quello che fa; venendo alle prove, ciascuno faccia quanto a lui è possibile senza ostentazione.

                9° Se mai accadesse di poter mandare denaro, indirizzatelo a D. Rua con quel mezzo che sarà indicato dal Comm. Gazzolo.

                10° Nelle vostre lettere accennate sempre alle preghiere, gratitudine a chi vi ha beneficati e a tutti quelli che beneficano l'Oratorio. Su questo punto non si tema di dir troppo.

                11° Per istrada o al termine del viaggio scrivi qualche bigliettino ai principali benefattori, come Marchese e Marchesa Passati, Mamma [395] Corsi e famiglia, Contessa Callori, Contessa Teresa Bricherasio Via La Grange 20, ecc. ecc. Queste cose gioveranno molto a voi e a noi.

                12° Occorrendo personale, scrivi tosto tanto per le monache quanto pei Salesiani: ma di' anche il tuo parere intorno a chi si possa calcolare.

                Fate quello che potete: Dio farà quello che non possiamo far noi. Confidate ogni cosa in Gesù Cristo Sacramentato ed in Maria Ausiliatrice e vedrete che cosa sono i miracoli.

                Io vi accompagno colle preghiere ed ogni mattina vi ricorderò tutti nella S. Messa. Dio vi benedica dovunque andate; pregate per me e per la vostra Madre la Congregazione. Amen.

                Sampierdarena, 13 - 11 - 1875.

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Il Beato consegnò inoltre a Don Cagliero per l'Arcivescovo di Buenos Aires una lettera di presentazione e di raccomandazione in lingua latina, con allegata una nota specifica, nella quale s'indicavano i nomi, le qualità e gli uffici dei singoli. Gli diede pure una nota di spese da presentarsi alla Commissione di S. Nicolàs de los Arroyos[154], e à cui appose la seguente dichiarazione: “Per questa somma non si fanno domande alla prelodata Commissione: si fa soltanto un umile invito a venire per qualche parte in aiuto e ciò sarà un mezzo efficace al Superiore della Congregazione Salesiana per soddisfare alla pubblicità contratta in questa occasione e a preparare altri Salesiani che dovessero venire a lavorare coi loro compagni”.

                La mente del Beato non era mai così assorbita da un pensiero che non potesse tener dietro anche ad altre faccende in corso. Infatti subito il giorno dopo l'imbarco egli si occupava già di una nuova fondazione, della quale dovremo trattare fra breve. Scrisse a Don Rua:

 

                               Carissimo D. Rua,

 

                Sarà bene che tu scriva a Perret ch. a Lanzo, e dirgli che si faccia un fagottino per venirmi ad accompagnare a Nizza, dove siamo attesi pel giorno 20. Tutto preparato. Egli può andare direttamente ad Alassio, dove io l'andrei ad incontrare. [396] Fino ad ora D. Bonetti mi disse niente di S. Carlo[155], quindi continuo il cammino per la Riviera. Scrivendo o mandando lettere, prima del 20 ad Alassio, dopo a Nizza.

                Ieri accompagnai a bordo i nostri Argentini. Alloggio, vitto, tutto principesco. Erano tutti allegri e partirono alla 2 pom. per Marsiglia, donde faranno sapere notizie. Preghiamo. Dio farà quanto non possiamo noi. Amen.

                15 - 11 - '75,

Aff.mo  G. G.

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Di lì a poco ricevette da Marsiglia le prime nuove dei Missionari; le quali premurosamente a Torino.

 

                               Car.mo D. Rua,

 

                Buone notizie dei nostri Missionari. D. Cagliero scrive da Marsiglia questo dispaccio: “Ci siamo tutti e siamo tutti bene in salute, viaggio amenissimo”.

                Colle parole “Ci siamo tutti” allude a Gioia e ad Allavena[156] che andarono ad incontrar i loro confratelli in quella città. Danne notizia agli altri confratelli. Ringraziamo il Signore e continuiamo a pregare.

                Dimani parto per Varazze; sospendo di andare a Borgo S. Martino, perchè invece di giovedì prossimo fu fatta la festa di S. Carlo al lunedì passato; cioè ieri. Ed io ne seppi nulla.

                Vale in Domino e Valedic.

aff.mo in G. C.

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Partì il 17 per Varazze, donde scrisse questa interessante lettera alla contessa Callori.

 

                               Mia buona e car.ma Mamma,

 

                Ho accompagnato i nostri Missionarii fino a Genova, fino a bordo sul bastimento che doveva portarli in America. Erano allegri, commossi e rassegnati di darsi al Signore dove la Divina Provvidenza li chiamava. [397]

                Mentre io era per allontanarmi D. Cagliero a nome dei suoi compagni, prese la parola e mi disse: “Ci raccomandiamo di ringraziare da parte nostra la Signora Contessa Callori della carità che ci ha fatto. Dovunque andremo pregheremo sempre per Lei e per la sua famiglia e le anime che speriamo di salvare le apriranno certamente un giorno il paradiso. Speriamo che Ella ci continuerà i suoi favori, mentre D. Bosco ci manderà novelli operai evangelici in aiuto”.

                Dopo ciò un po' di lagrime, ed alle due pomeridiane lasciavano Genova per recarsi in altro continente.

                Giunti a Marsiglia, D. Cagliero mi scrisse questo dispaccio. “Siamo tutti giunti in buona salute. Viaggio amenissimo”.

                Appena avrò altre notizie, le farò pervenire a Lei, dove si troverà. Abbiasi adunque i comuni atti di gratitudine e preghi per questo poverello che le sarà sempre in G. C.

                Varazze, 17 - 11 - '75.

Umile servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                A Varazze lo attendeva una brutta sorpresa: un'esplosione di miliare, malattia che l'aveva già colpito tre anni addietro proprio nel medesimo collegio e nei medesimi giorni. Veramente dopo il primo attacco non gli era mai più scomparsa del tutto. Ogni due mesi e anche più di frequente, quando gravi fatiche lo opprimevano o lo sorprendeva il cattivo tempo, gli rispuntavano le pustolette, accompagnate da un paio di accessi febbrili con fortissimo mal di capo, insonnia e assai fastidioso sbadigliare. Ogni volta il male gli faceva cambiar la pelle su quasi tutta la persona. Ben pochi però se n'accorgevano, sia perchè egli sopportava il reo malore lavorando, sia perchè non rimaneva in letto più del consueto; eppure le eruzioni gli scoppiavano talora in forme violente.

                Il direttore Don Francesia fece subito conoscere all'Oratorio lo stato di Don Bosco. La sua relazione fu letta in pubblico al giovani che al sentire i patimenti del loro Padre si dimostrarono oltremodo accorati e si misero a fare grandi preghiere, temendo che il morbo fosse più pericoloso che in realtà non era e che quindi ne impedisse per lungo tempo il ritorno [398] Ma per il 20 egli fu a Nizza Marittima, come vedremo, e di là passò a Ventimiglia. Ai primi di dicembre rieccolo a Varazze, donde spedì tre lettere, che ci sono state conservate. Una era diretta a Don Reffo degli Artigianelli, che aveva una parte preponderante nella redazione dell'Unità Cattolica. Gli mandava il Breve del Santo Padre, perchè lo pubblicasse sul giornale.

 

                               Car.mo D. Reffo,

 

                Ti mando una lettera del S. Padre, perchè osservi se credi conveniente inserirla nella Unità Cattolica. La traduzione è di D. Francesia; le parole che precedono le ho messe io, affinchè siano modificate come meglio si crederà.

                Ti rinnovo qui vivi ringraziamenti del magnifico articolo intorno alla funzione per la partenza dei Salesiani[157].

                Da Roma, Firenze, Venezia e da molti siti ho ricevuto lettere da persone autorevoli che lo commendavano, e che sparsero non poche lagrime in leggendolo. Un distinto e non sospetto personaggio dice: - Io credo che questo sia il non plus ultra degli articoli dell'Unità Cattolica.

                Abbi tu questa soddisfazione e sia sempre benedetto il Signore.

                Io indirizzo a te questo piego, perchè non so se il T. Margotti sia già in Torino. Se vi si trova fagli tanti ossequi da parte mia. Dio ti colmi di sue benedizioni e prega per questo poverello che ti sarà sempre in G. C.

                Varazze, 2 - 12 - '75.

Aff.mo

Sac. GIO. BOSCO

 

                Il testo latino del Breve e la sua traduzione italiana, che è quella da noi riprodotta nell'altro capo, comparvero nel numero 285 (7 dicembre), con questo cappello di Don Bosco:

                I missionari Salesiani, prima della loro partenza per la Repubblica Argentina, come notammo nel nostro giornale, si recarono a Roma per fare ossequio al Capo supremo della Chiesa, per riceverne la benedizione e assicurarsi che la loro missione si fondava sulla pietra [399] angolare che è Cristo Salvatore, centro di ogni verità e di ogni bene. Il sacerdote Bosco, loro superiore, li muniva di lettere commendatizie, in cui dava eziandio cenni sui felici primordi dell'Opera di Maria Ausiliatrice, diretta a coltivare giovani grandicelli per lo stato ecclesiastico; opera dal medesimo Santo Padre già prima benedetta e commendata. Mentre ora i coraggiosi figli di Santa Chiesa compiono la traversata dell'Atlantico il Santo Padre ha l'alta degnazione di rispondere al sacerdote Bosco con un. Breve, che sarà certamente prezioso documento per la novella missione e per la nascente Opera di Maria Ausiliatrice.

                Una seconda letterina inviò da Varazze al direttore del Collegio di Borgo S. Martino, introducendovisi scherzevolmente con affettata solennità.

 

                               Carissimo D. Bonetti,

 

                Pensavami poter fare una gita fino a Borgo S. Martino prima di recarmi a Torino, ma ora qualche affare di premura mi chiama per domani, Probabilmente entro l'ottava del Natale vi ci andrò; ma lo f arò sapere.

                Dio conceda ogni bene a te, ai tuoi figli e ai nostri confratelli: salutali tutti nel Signore e prega per me che ti sono in G. C.

                Sampierdarena, 5 - 12 - 1875.

Aff.mo amico

Sac. GIO. BOSCO.

 

                La terza lettera, che presentiamo per ultima a motivo della sua maggiore importanza, fu scritta un giorno prima dell'antecedente. Come ci si vede, che il Beato non si dava mai posa!

 

                               D. Cagliero mio carissimo,

 

                Scrivo a te e tu darai notizie agli altri nostri Salesiani. Abbiamo avuto vostre notizie fino a Gibilterra e benediciamo Dio che il vostro viaggio sia stato buono. In tutte le nostre Case si prega, affinchè sia pur buona la continuazione di esso fino al campo di battaglia.

                Subito dopo la vostra partenza ossia al 29 di novembre mi giunsero le carte da Roma. Una lettera all'Arcivescovo di Buenos Ayres, il vostro decreto, una lettera del Papa, altra del Card. Antonelli. Le altre lettere ti saranno rimesse unitamente. [400] In breve tempo le cose nostre fecero vero progresso. Il giorno 21 dello scorso mese fu aperto il giardino di patronato a Nizza con un ospizio pei poveri ragazzi. Direttore D. Ronchail, maestro Perret pianista Rabagliati, cuoco Cappellano. Gli Algerini furono portati là.

                Nel mio ritorno ho dato cominciamento all'impresa contro i Protestanti di Bordighera. La Casa che deve aver cura dei ragazzi e del culto religioso è affidata a D. Cibrario cori alcuni altri borghesi. Le figlie di Maria Ausiliatrice avranno cura della cucina e delle fanciulle. Finora siamo a pigione, ma si è comperato un terreno proprio a fianco del tempio, scuole, asilo, ospizio protestante e colà nella prossima primavera, a Dio piacendo, daremo principio ad una chiesa col necessario edifizio annesso.

                Al 9 di questo mese sarà inaugurato il locale di Sampierdarena e vi sarà l'entrata dei figli di Maria che finora furono dispersi in varie Case.

                Il giorno 12 del corrente D. Rua col Sig. Mina andrà a Mornese per fare alcune vestizioni ed alcune professioni. Il loro numero è tuttora in aumento. Al principio di gennaio prossimo un drappello andrà a prendere cura della nuova casa di Alassio.

                Quando tu od altri scriverete abbiate cura di notare le più piccole particolarità che a voi si riferiscano, giacchè tutti desiderano di sapere le più minute notizie vostre.

                Tutte le nostre case sono piene; tutti vogliono mandare saluti ai Missionarii, anzi andarli a, vedere. Voi gradirete i pensieri e rimanderemo a suo tempo l'effettuazione dei progetti.

                Raccomanda che ognuno si abbia cura della sanità e scrivendomi dirai se niuno ha sofferto il viaggio e se presentemente si trovano tutti in buona salute.

                Nel dare notizie nostre agli altri cari nostri procura, se è possibile, che si leggano insieme i ricordi che vi ho dato prima della vostra partenza.

                Dio vi benedica tutti pregate anche per me che vi sarò sempre in G. C.

                4 dicembre, 1875.

Aff.mo amico,

Sac. GIO. BOSCO.

 

                PS. È inteso che ogni volta che si scrive si intendano sempre speciali saluti da comunicarsi al sig. Dott. Ceccarelli, Benitez, Espinosa ecc. ecc.

                Prima di servirsi dei privilegi dei missionarii, procurate che siano veduti dall'Arcivescovo vostro.

                Era sulle mosse per lasciare la Liguria, quando gli giunse da Lione una corrispondenza non conforme alla sua aspettativa. [401] Aveva egli rivolto una supplica all'Opera della Propagazione della Fede per ottenere anche di là qualche aiuto. Ma quel Consiglio Centrale non poteva favorirlo, perchè gli statuti dell'Opera non consentivano di sussidiare se non Missioni esistenti fuori degli Stati cattolici e non altrimenti che per il tramite dei Capi immediati delle Missioni stesse; quindi affinchè nel caso di Don Bosco si potessero destinare sussidi per le Pampas e la Patagonia, sarebbe stato necessario che quei due territori fossero già canonicamente eretti in Missioni con il loro Superiore ecclesiastico, Vicario o Prefetto apostolico e che perciò non fossero uniti all'Archidiocesi, della quale facevano parte[158].

                Partiva di là con una consolazione e ritornava a Torino con una speranza: la consolazione d'aver potuto assestare le finanze dei due collegi gravati da spese per le nuove fabbriche, e la speranza di fare il medesimo con l'Oratorio. Infatti comunicava a Don. Rua[159]: “Ho procurato di aggiustar le finanze di Alassio e di S. Pier d'Arena nel miglior modo possibile; giunto a Torino, aggiusteremo le nostre”. Evidentemente la Provvidenza l'aveva assistito.

                Fermatosi ancora un po' a Sampierdarena e a Genova, il 6 dicembre, verso le quattro pomeridiane, rimise piede nell'Oratorio, dond'era stato assente venticinque giorni. Giovani, chierici, e superiori lo attendevano con impazienza. Dice la cronaca: “È sempre caro l'avere Don Bosco con noi; ma quando sta via oltre i quindici giorni, il suo ritorno ci sembra più che carissimo”. La scuola volgeva al termine, quando si sparse la voce del suo arrivo e ch'egli stava già in camera. Prosegue la cronaca: “I giovani, conoscendo allora che la malattia era stata leggera, furono sorpresi da tale allegrezza, che in alcuni sembrava degenerasse in follia”.

                Sonata la cena, il Beato entrò nel refettorio, quando già si faceva la lettura. Don Rua dispensò subito il silenzio, e un [402] cordiale battere di mani si levò da ogni parte. La cronaca ne descrive così l'ingresso: “Egli, ridente, adagio adagio si avanza nel refettorio, dando a questo uno sguardo, a quello facendo una carezza, a un terzo indirizzando una parola. In quei pochi istanti rispondeva a molte lettere, con le quali gli si chiedeva consiglio. Sembrava che nel suo cuore avesse sempre pensato a ciò che gli era stato scritto, e a chi gli aveva scritto, riempiendo tutti di allegrezza”. Così, per esempio, passando vicino a Don Barberis, si fermò per pochi istanti e, dandogli uno di quegli sguardi che non si possono descrivere, gli disse: - Ho fatto gran conto del tuo progetto e studio il modo di attuarlo. - Tanto bastò per riempirlo di tale gioia da fargli dimenticare molti pensieri malinconici, che lo angustiavano da più giorni.

                Dopo cena ascoltò, al solito, quanto gli si venne a dire ed espresse il suo avviso su negozi lasciati in sospeso; fece contemporaneamente avvertire la comunità, che quella sera aveva belle cose da raccontare intorno al suo viaggio. Alle nove, studenti, artigiani, novizi, coadiutori, tutti insomma stavano radunati ad aspettarlo. Appena si affacciò, le grida di Viva Don Bosco e i fragorosi battimani si dovettero udire fino da chi sa dove, nè si ristabilì il silenzio, se non quando il Beato, salito sulla cattedra, fe' cenno di voler parlare. Parlò così:

                È da molto tempo, giovani miei cari, che non ci siamo più veduti. Io mi sono allontanato da Torino il giorno 11 del mese scorso per accompagnare i nostri Missionari a Genova. Dopo la loro partenza sono anche andato fino a Nizza per combinare varie cose per cui appunto voglio parlarvi. Comincierò stassera a dirvi delle particolarità che riguardano la partenza dei Missionari.

                Alle ore 7 e mezzo di sera, 11 novembre, giovedì, partivamo col convoglio e siamo giunti a S. Pier d'Arena dopo la mezza notte. Il viaggio fu buono; si parlò alquanto di varie cose; poi silenzio e alcuni dormirono: di tanto in tanto si udiva il mal represso singhiozzo di alcuno che piangeva. A S. Pier d'Arena eravamo attesi da Don Albera, che ci alloggiò nel suo ospizio di S. Vincenzo. I due giorni seguenti furono impiegati ad ultimare i preparativi del viaggio: alcuni avevano ancora da compiere qualche formalità pei passaporti, altri procurarsi alcune cose necessarie, poi scrivere lettere, dare disposizioni [403] e saluti alla gente di questo mondo prima di partire per l'altro (sorriso generale).

                Qui a S. Pier d'Arena si vide proprio l'affetto che essi nutrivano per D. Bosco. Io non potei neppure per un momento essere distaccato da loro. Andavo in chiesa, ed ecco essi in chiesa con me a pregare; andava io a far colazione, ed eccoli dietro a me in refettorio; andavo in camera, ed essi in camera con me; non facevo un passo che essi non mi seguitassero. Io poi devo anche dirvi che non poteva star diviso da loro e se non fossero essi venuti a cercar me, me ne andava io in cerca di loro. Molte cose io aveva da dir, loro; ma ben molte di più essi desideravano di ascoltarne e di domandare e dire a me. Sembrava proprio che dovesse riuscire impossibile la separazione. Molte cose io aveva già scritte per loro, come regole e ricordi del loro padre, per quando si troveranno tanto da lui lontani; ma qui sempre nuove cose a dirsi si vedevano opportune, che se le avessi dovute scrivere non mi sarebbero bastati più giorni. Diedi però tutti quei consigli, risultato di una lunga esperienza. Così avevamo passati in aspettativa i giorni 12 e 13.

                Sorse finalmente la domenica (14), in cui si doveva partire. Alcune vetture ci condussero tutti al porto. Il bastimento si trovava già ancorato fuori di porto. Questo piroscafo apparteneva alla società Francese dei trasporti marittimi di Marsiglia.

                Abbiamo preso una barca che ci condusse fin là. La traversata del porto e il giungere al bastimento durò mezz'ora. Arrivati ai fianchi della nave, per mezzo di una scala siamo montati sopra; perchè bisogna che sappiate come il bastimento esca molto fuori dell'acqua e bisogna montare molti gradini per salire alla tolda. Il capitano signor Guidard si affrettò a venirci incontro, discese per porgermi la mano e stette sempre vicino a me, affinchè non accadesse di scivolare per la scala.

                Ora immaginate voi quel bastimento che è uno dei più grossi. Io ne aveva già visti molti bastimenti, ma non uno come questo. Ecco: la sua lunghezza credo che fosse per lo meno come quattro volte questo parlatorio. Oh sì; piuttosto più che meno (105 metri) largo in proporzione (m 11), dimodochè al disopra del ponte, senza contare il posto occupato dalla macchina a vapore, possono stare comodamente mille persone, avendo anche posto per passeggiare a loro comodità. Fu cura del capitano di condurci a visitar tutto, sotto e sopra coperta.

                Qui bisogna che io vi dica che varie sono le classi delle persone che viaggiano, e sul bastimento i viaggiatori sono divisi in tre classi, secondo la somma pagata. Ma io ho dimostrato al capitano che cinque erano le classi. Ascoltate. Si chiamano di prima classe i signori: essi hanno ogni comodità sia nella tavola, sia nell'abbigliamento della stanza, come l'avrebbero in un albergo signorile. Sono di seconda [404] classe quelli un po' meno agiati, ma che tuttavia pagano ancora assai bene e sono anche ben trattati. Nella terza classe poi i più numerosi sono coloro che possono pagare poco. Per costoro le pietanze non fioccano, per sedia serve il tavolato della nave, e per dormire hanno tutti insieme un camerone e i letti a centinaia intorno, come le scansie di una biblioteca.

                 - Ecco le tre classi di viaggiatori, mi disse il capitano; altre non ci sono.

                 - A queste tre, io ripresi, altre due sono da aggiungersi.

                 - Si spieghi, rispose il capitano.

                 - Venga, sig. capitano: non vede qui sotto quanti polli, galli, galline, conigli, colombi, vacche, buoi, e persino questi due maiali? Non sono essi passeggeri da contarsi nel numero di coloro che hanno bocca e mangiano al par di noi? Questi, secondo me, formano la quarta classe.

                 - Oh! oh! ne ho imparata una nuova, riprese il capitano ridendo. È proprio vero ed io non ci badavo; ma, in grazia, la quinta classe non la vedo poi in nessun modo.

                 - Oh! veda, io gliela faccio, conoscere con tutta facilità; non si tratta che di fare un po' di lavoro di grammatica a somiglianza di quello dei maestri elementari di 2ª e di 3ª: ossia, non c’è da fare altro che cambiare il verbo attivo in passivo e mi spiego: non vede, signor capitano, qui quante pietanze, arrosti, bolliti, fritti, verdure, salse, intingoli? Non viaggiano anch'essi? Anzi senza di essi potrebbero gli altri viaggiare? No! Dunque bisogna anche contarle: queste formano la quinta classe, e se non fosse che voglio usare molta discrezione, numererei la sesta classe nelle valigie, nei bagagli e nei pesi più grandi che il bastimento trasporta.

                Rise tutta la brigata che mi ascoltava e intanto il capitano ci condusse a vedere le camere che dovevano servire di alloggio ai nostri Missionari. Si discendeva nell'interno della nave per una scala comodissima, coperta di un tappeto di velluto cremisi. Avendo io paura di sporcarlo, mi stava osservando se avessi le scarpe imbrattate; ma il capitano mi fece un cenno come dire: Se imbratta, che importa? i mozzi puliranno. Siamo arrivati in un salone grande, e non credo di esagerare, se lo dico vasto come più di metà di questo parlatorio.

                Quivi sedie di velluto, sofà, tappeti per terra, armadi, specchi, ed ogni comodità che possa aspettarsi. Tutt'attorno a questa sala sono i luoghi da dormire, cioè tanti piccoli stanzini che si chiamano cabine, In essi vi sono tanti piccoli letticciuoli sospesi uno sopra l'altro, di modo che l'uno si corica nel piano inferiore, l'altro monta più su, l'altro più ancora. Ve ne sono di quelli che ne hanno anche quattro; altri, tre o due; ed alcune, come per esempio, quella di Don Cagliero, ne ha un solo letto per sua maggior comodità. [405] Quella sala era piena di signori viaggiatori e di marinai che trasportavano i bagagli. Vedendo che vi era il pianoforte, Molinari incominciò a sonare una bella marcia e poi intonato il Lodate Maria, i suoi compagni lo seguitarono cantando sino alla fine. Quel canto attirò colà molte altre persone. Allora Don Cagliero si fece largo tra la folla e presa quell'occasione incominciò ivi stesso la sua missione con un sermoncino. Cominciò a dire: - Siccome oggi qui in Genova si celebra la festa del Patrocinio di Maria Santissima, è ben giusto che sul punto d'intraprendere un così lungo viaggio, s'invochi, cantandone le lodi, la protezione di Colei che è stella del mare e guida sicura al porto, secondo le parole di S. Bernardo... - E finì con una bellissima esortazione, dicendo che lungo il viaggio ognuno avrebbe avuto comodità di ascoltare la Messa, confessarsi e comunicarsi. Cosa maravigliosa! fra tante persone (erano circa 700) non solo in quella predica, ma anche in altre successive, come poi Don Cagliero mi scrisse, niuno mai mostrò avversione o disse parole di biasimo. Anzi parecchi domandarono subito dove si confesserebbe, e siccome non vi erano confessionali, fu d'uopo improvvisarne uno con sedie, velo e cortina.

                Ma intanto che noi guardavamo qua e là, si avvicinava il momento della partenza ed io doveva distaccarmi dai miei figli. Non mi avevano mai lasciato un momento, mi stavano sempre tutti attorno ed ecco uno incomincia a singhiozzare di qua, l'altro a pianger di là. Vi so dire, che sebbene io volessi fare il Rodomonte e star tutto fiero, non potei far sì che molte lagrime non scendessero dagli occhi miei. Ma devo eziandio proprio far ammirare il coraggio di tutti. È vero che si piangeva, ma era un pianto che diceva palesemente: Le lagrime non le posso trattenere, ma partiamo contenti, perchè andiamo nel nome del Signore a salvare anime in luoghi, dove vi è proprio mancanza di operai evangelici.

                Intanto era dato il segnale che i semplici visitatori scendessero dal bastimento. Oh! qui ci fu una vera scena. In quel momento tutti s'inginocchiarono intorno a me, chiedendo la benedizione. Anche il capitano e alcuni signori ivi presenti s'inginocchiarono. Io impartii loro la benedizione e ridiscesi nella barca che mi aspettava per condurmi a terra, portando meco il cuore de' miei figli, accompagnato dai loro sguardi e dai loro saluti, finchè disparvero ai miei occhi.

                Partirono da Genova domenica a sera, 14 novembre, circa alle 2. Ho già ricevuto varie lettere da Marsiglia, da Barcellona, da Cadice, ove si ferma il bastimento varie ore per prendere nuovi passeggieri e approvvigionarsi. Quei di Varazze, di Alassio che sapevano l'ora in cui passerebbe loro in vista, stavano osservando coi loro cannocchiali, sperando di poter discernere alcuni dei Missionari. Quando io passai in quei collegi, alcuni giorni dopo, li trovai ancora tutti [406] allegri, essendo persuasi d'aver potuto scorgere la nave che portava i nostri coraggiosi atleti, i quali avevano lasciato patria, parenti e tutto per andare a far conoscere ed amare la religione di Gesù Cristo a quei lontanissimi popoli.

                Ora ascoltate come andò il loro viaggio da Genova fino a Gibilterra, che è l'ultima città d'Europa, in cui si fermano un poco i bastimenti prima di entrare nel grande Atlantico e dalla quale abbiamo ricevute le ultime notizie dei nostri. Nessuno ebbe a soffrire mali d'importanza, se ne eccettuate alcuni incomodi che tutti soffrono nei primi giorni di viaggio in mare. Del resto tutto va magnificamente bene. Mangiano, come solitamente si dice, alla francese. Al mattino sono serviti di caffè o di the. Verso le 11 hanno la colazione, nella quale oltre a salame, butirro, mortadella, verdura, le quali cose servono d'antipasto, hanno la minestra con quattro pietanze; poi cacio, frutta, dolci a piacimento. Vedete che con questa colazione non hanno da patir di fame, prima che venga il tempo di pranzo il quale è imbandito alle 5 e mezza pomeridiane, con antipasto, otto pietanze ed ogni sorta di frutta e confetti dopo. Eppure Don Fagnano si lamenta di una cosa: dice bensì che sono trattati bene, che le pietanze sono buone, ma che con tutto ciò egli non può mai togliersi l'appetito, dandoci con ciò a vedere che il mal di mare non è ciò che più lo tormenti.

                Sul bastimento poi hanno già veramente cominciata la loro missione. Si dice messa tutti i giorni col concorso di molti passeggieri; alla domenica si predica in italiano per i più, e in ispagnuolo per gli altri e tre volte alla settimana il catechismo ai ragazzi ed alle fanciulle.

                A Marsiglia i Missionari andarono a visitare il famoso santuario della Madonna della Guardia e chi non aveva detto Messa sul bastimento, ebbe comodità di dirla qui.

                Il mattino del 19 arrivarono in faccia a Gibilterra, l'ultima città d'Europa, in cui si fermi il battello, e di dove abbiamo ricevute le ultime notizie dei nostri amici.

                Toccheranno quindi S. Vincenzo una delle isole del Capo Verde, per fare provvisioni di carbone. In questo momento in cui vi parlo, essi hanno già traversato l'equatore, sono entrati nell'emisfero meridionale e credo che siano sbarcati, o sbarchino in breve a Rio Janeiro, che è già una città dell'America, la capitale del Brasile. Di qui non c’è più che una sola fermata a Montevideo prima di arrivare alla sospirata Buenos Ayres. Da Rio Janeiro a questa città c’è ancora il viaggio di circa una settimana, dimodochè io credo che arriveranno a Montevideo al 7 a sera e passino in questa città la festa dell’Immacolata Concezione. Credo che domani o posdomani arriveranno lettere dalle isole del Capo Verde e poco dopo forse un telegramma, che annunzi l'esito finale del loro viaggio. [407] Ecco, miei cari giovani, quanto voleva dirvi stassera in riguardo al viaggio del nostri Missionarii. Un'altra sera poi vi racconterò altre cose che io feci durante la mia assenza da Torino. Intanto animiamoci tutti a fare veramente bene la festa dell'Immacolata Concezione, continuiamo a fare preghiere speciali per i nostri Missionari, ed anche supplichiamo il Signore perchè mandi in grande quantità operai evangelici a lavorare nella sua vigna ed a fare del bene. Naturalmente molti di voi sentono in questo momento gran desiderio di partire e di andare anche a fare il missionario; ebbene io vi so dire che, se vi foste pure tutti in questo numero, ci sarebbe posto per tutti ed io saprei benissimo dove occuparvi, visti i tanti bisogni che ci sono e le tante domande che io ricevo da ogni parte, che ci pregano, ci supplicano e ci dicono come varie Missioni già incominciate si devono lasciar cadere per mancanza di Missionari. Ma per ora incominciate a prepararvi colla preghiera, collo stare veramente buoni, col fare l'uffizio di missionari gli uni cogli altri, dandovi buon esempio; poichè anche collo studiare alacremente, adempiendo bene ai vostri doveri di studio e di scuola, coll'aiuto del Signore potrete riuscire nel vostro intento, amati da Dio e dagli uomini. Buona notte.

                La cronaca avverte che queste parole destarono un incendio nel cuore dei giovani, sicchè i più smaniavano di partire anche subito per dedicarsi alle lontane Missioni. Tanto entusiasmo per le Missioni non accese solamente gli animi giovanili nell'Oratorio. “Io stesso, depone Don Ascanio Savio, desiderava, benchè non aggregato alla sua Congregazione, di essere nel numero dei Missionari in quella prima spedizione e, se non ci andai, si fu per opposizione fattami dall'Arcivescovo monsignor Gastaldi”.

                Il Beato comprendeva benissimo le difficoltà speciali che i preti incontravano per venire alla Congregazione e farsi Missionari. - I poveri vescovi, diceva, si trovano imbrogliati; hanno un bisogno stragrande di sacerdoti; alcuni non sanno più come fare per avere un numero sufficiente di vice - parroci. Quando sono interpellati da un prete che vuole andare alle Missioni straniere, è impossibile che rispondano con un sì allegro come facevano una volta, lodandolo del buon proposito, confermandolo, incoraggiandolo, spingendolo ad eseguirlo. [408] Per lo più rispondono che c’è bisogno di Missionari nella propria diocesi.

                Ma il moltiplicarsi delle domande di entrare in Congregazione anche da parte di preti era appunto uno degli effetti prodotti dalla spedizione dei Missionari. Prima la Congregazione si sviluppava lentamente nell'oscurità: nulla o ben poco se ne conosceva lontano dal Piemonte. Allora invece, prima, durante e dopo la spedizione, giornali italiani ed esteri parlarono dei Salesiani e di Don Bosco, sicchè la notizia della Pia Società si diffuse in lungo e in largo, richiamando l'attenzione di molti e attirando soggetti sempre più numerosi.

                Così avvenne pure che anche da paesi remoti si guardasse all'Oratorio come a un vivaio di Missionari. Al Beato giunsero proposte per la California, per la Nigrizia, per Hong - Kong, per l'India; ma la più pressante veniva da Sidney. Il Vescovo della capitale australiana, monsignor Quin, fu due volte all'Oratorio per trattarne con lui; se non che il Servo di Dio, pur non diffidando della Divina Provvidenza, procedeva nelle cose con la massima prudenza e con matura ponderazione, e non credette che per tale impresa fosse sonata l'ora. Gli mancavano i soggetti; e poi per Sidney ci volevano preparativi assai maggiori che non per Buenos Ayres a motivo delle maggiori difficoltà. Difficoltà di lingua: per imparare l'inglese in modo da poter predicare e far scuola si richiedeva assai più tempo che per lo spagnuolo. Difficoltà religiose: là si sarebbe alle prese con i protestanti, i cui ministri, nemici acerrimi dei cattolici, avrebbero fatto fuoco e fiamme, e con loro bisognava essere armati di buoni studi teologici. Difficoltà da parte degl'indigeni; la loro indole non era mite come quella degl'Indi d'America, ma ferocissima. Difficoltà di clima, men confacente che non alla Plata. Egli prevedeva inoltre che, se la recente spedizione aveva tanto impressionato, col tempo mandare uno in America sarebbe stato come mandarlo in qualsiasi Casa d'Europa, mentre una spedizione a Sidney avrebbe fatto paura un bel po'. Pensava dunque di rimandare [409] d'un tre anni il cominciamento delle Missioni australiane. Ma l'Australia non vide i Salesiani se non nel 1923.

                Certo, se avesse dato ascolto al suo zelo, egli avrebbe abbracciato con la sua carità tutto il mondo; ma bisognava pur anche consolidare la Congregazione. È ben vero tuttavia che per il nostro Beato consolidare non voleva dire sospendere l'attività. Non si conoscerebbe a pieno il pensiero di lui su questo argomento, se noi trascurassimo di proporre alla considerazione dei lettori certe parole che egli disse al Capitolo Superiore la sera del 10 dicembre. Espresse così la sua idea: “Per riguardo alla Congregazione, io vedo, benchè si vada ripetendo essere necessario che ci consolidiamo, che, se si lavora molto, le cose vanno meglio: il consolidamento si può fare più lento, ma resterà fors'anche più duraturo. E noi lo vediamo proprio ad occhi chiusi: finchè c’è questo gran moto, questo gran lavoro, si va avanti a gonfie vele e nei membri della Congregazione c’è proprio una gran voglia di lavorare”. Onde, a volte, udendo proposte importanti e di attuazione difficile, rispondeva esclamando:

                 - Mah!... Vi manca una cosa sola.

                 - Quale?

                 - Il tempo! La vita è troppo breve. Bisogna fare in fretta quel poco che si può, prima che la morte ci sorprenda.

                Ecco perchè, nonostante la penuria di personale, vagheggiava sempre nuove imprese apostoliche e su vasta scala. Don Berto lo vedeva con l'occhio attentamente fisso su carte geografiche a studiarvi terre da conquistare al Vangelo. Fu udito anche esclamare: - Che bel giorno sarà quello, quando i Missionari Salesiani, salendo su per il Congo di stazione in stazione, s'incontreranno con i loro confratelli che saranno venuti su per il Nilo e si stringeranno la mano lodando il Signore!

                Don Francesco Dalmazzo depose d'averlo udito più volte egli stesso esclamare: - Quando i nostri Missionari andranno ad evangelizzare le varie regioni dell'America, dell'Australia,  [410] nell'India, nell'Egitto e in più altri luoghi, che bel giorno sarà quello! Io già li vedo avanzarsi nell'Africa e nell'Asia ed entrare nella Cina, e proprio in Pechino avranno una Casa.

                Sempre ardente per la propagazione della Fede, avrebbe voluto suggerire al Papa che nelle litanie dei Saliti aggiungesse la rogazione: Ut bonos et dignos operarios in messem tuam mittere digneris, Te rogamus audi nos. Ma non osò fare la proposta. Oggi, sebbene in altri termini, la cosa è fatta.

 

 

CAPO XVIII. Di qua e di là dalla frontiera francese

 

                PROPOSTE di nuove fondazioni si succedevano nel '75. Oltrealle già enumerate, il Servo di Dio ne ricevette per Cogoleto in quel di Savona, per Druent nella provincia di Torino, per Trinità di Mondovì, per il collegio Usuelli di Milano, per Susa, Lucca, Milano, Marsiglia. Ebbe altresì dal canonico Belloni una prima offerta della sua Opera in Terra Santa. Ma, pur prendendo in considerazione questi inviti, decise di limitarsi anzitutto a far paghi i voti del Vescovo di Ventimiglia per Vallecrosia e dell'avvocato Michel per Nizza di Francia. Dell'una e dell'altra fondazione egli parlò a lungo nel dare la "buona notte" la sera dell'Immacolata, quando adempiè la promessa di narrare la seconda parte del suo ultimo viaggio.

                Vi ho raccontato l'altra sera la prima parte del mio viaggio, dal quale ero ritornato in quel giorno medesimo; bisogna che questa sera io vi racconti l'altra metà. Dopo che furono partiti i Missionari da Genova, io mi dovetti recare a Nizza: non alla città di Nizza qui in Piemonte, detta Nizza Monferrato, Nizza della Paglia, che è nella provincia d'Alessandria, ma a Nizza Marittima, città che apparteneva una volta all'Italia ed ora è soggetta ai Francesi. In questa città io era molto aspettato e si trattava di aprire una Casa, specie di oratorio o collegio; ma per ora solo una cosa in piccolo. Ero già stato una volta in questa città l'anno scorso e vedendo che veramente molto ci desideravano, tanto il Vescovo, quanto vari buoni signori, io aveva deciso fin d'allora d'aprirvi una Casa ed ora sono andato a compiere le trattative e ad incominciare l'esecuzione del progetto. [412] Condussi con me D. Ronchail Giuseppe, che era l'anno scorso prefetto d'Alassio ed ora fa da direttore; venne anche un cuciniere, alcuni chierici e poi quegli otto affricani o algerini che erano qui. A Nizza lo scopo sarebbe questo: s'incomincia ad aprire un oratorio festivo per i ragazzi del popolo; il Vescovo mise a nostra disposizione parte del suo giardino, perchè servisse di luogo di ricreazione per questi fanciulli: poi si farà qualche scuola elementare sia diurna, sia specialmente serale. Intanto si vedrà come disporrà la Provvidenza. Ciò che si è incominciato non è gran che; ma spero che in poco tempo crescerà e sarà destinato a fare del gran bene. Domenica 28 si fece la solenne apertura; dico solenne per indicare che quanto si potè fare si fece tutto; basti il dire che v'intervennero molti signori e signore della principale nobiltà di Nizza con il Vescovo. Tutti vedono bene questa Istituzione. Quando io era là, feci visita al Sindaco, il quale sebbene protestante, notate bene questa parola, sebbene protestante, vide con molto piacere questa Istituzione, ne fu pieno di maraviglia e restò tutto entusiasmato sentendo parlare dello scopo e di quel che si faceva già qui in varii luoghi d'Italia. Andava esclamando: C'est une chose qui manque à la France, Ed in effetto scrisse subito, ed io vidi la lettera, scrisse a Parigi al Presidente della Repubblica Francese una relazione favorevolissima della Casa, indicando l'importanza di aprire qualcuno di simili Istituti anche in quella gran capitale. E vi posso dire che questa non è cosa mica tanto strana, perchè abbiamo già qualche proposta in questo senso.

                Subito varii giornali francesi parlarono di questa piccola Casa di Nizza ed ecco, che, essendo ancora io in quella città, mi arrivò una favorevole offerta da Marsiglia, nella quale città mi si proponeva di aprire una nuova Casa. Io ho risposto che l'offerta non è contro i miei disegni; che si maturasse bene la cosa e che facilmente, prima che terminasse l'inverno, io avrei fatto ancora un viaggio in Francia e mi sarei recato colà a vedere e ad ultimare le trattative.

                Partito che fui da Nizza, era aspettato con impazienza a Ventimiglia. Quivi il Vescovo e le autorità della città mi fecero tutte le accoglienze immaginabili. Ma e che cosa andò a fare D. Bosco a Ventimiglia? Ve lo dirò in una parola: a combinare per aprire un'altra Casa. Già, dall'anno scorso si era trattato di ciò; ma solamente ora si poterono ultimare le trattative. Tra Ventimiglia ed un paese non molto distante che si chiama Bordighera vi è un tratto di pianura che avrà oltre tre miglia di lunghezza. In questo luogo solo 30 anni fa non vi era alcuna abitazione; ma poco per volta si fabbricarono case, crebbero gli abitanti, ed ora questa superficie è tutta abitata, ma non vi è nessuna chiesa e nessuna scuola. I protestanti che sono numerosi in quei luoghi, vedendosi così padroni del campo, costrussero una lor chiesa, aprirono una specie di convitto con scuole gratuite, anzi pagando ancora i genitori perchè volessero mandare i [413] figli da loro. Non avendo altra comodità di scuole, la maggior parte dei genitori, per non lasciare la loro figliuolanza senza istruzione, la mandano a queste scuole che i protestanti fanno, sia per i fanciulli che per le fanciulle. Il Vescovo, vedendo le cose così male incamminate e non avendo preti e redditi per fare una chiesa e fondare una parrocchia, si rivolse a D. Bosco. Io l'anno scorso aveva già parlato molto col Vescovo a questo riguardo, ma non era andato a visitare il locale, nè si erano ancora prese le ultime intelligenze. Ora il Vescovo mi condusse a visitare tutto; si prese a pigione una casa che servirà per interposto ed intanto si sta contrattando per un terreno molto atto alla costruzione di una chiesa con una casa attigua. E quel che riesce proprio mirabile si è, che si può avere un sito per questo fine proprio accanto al tempio ed alle scuole dei protestanti. Siccome quivi si deve anche fare scuola alle ragazze, si aprirebbe anche la casa per monache. Si farebbe così: da una parte della chiesa vi sarebbe il direttore con i maestri e chierici, che si manderanno di qui per i ragazzi: dall'altra vi sarà posto per le monache e per la scuola delle ragazze.

                Spero che questa Casa si possa aprire o lungo la novena di Natale o nell'ottava, di modo che coi cominciare del 1876 comincerà anche questa. Per ora non si riceverebbero giovani in collegio; si farebbe solo una casa per esterni, o tutt'al più un semiconvitto per dare comodità della scuola anche ai lontani che non abbiano da andare e venire varie volte al giorno. Quando poi sia fatta la casa e la chiesa di cui vi ho parlato, allora si potranno eziandio accettare convittori.

                Sapete ora perchè io vi conto per minuto queste cose? Per due motivi. Primo: voi vedete che lungo l'anno, e l'anno scorso specialmente, vi dico di tanto in tanto che preghiate, e preghiate molto, perchè ci abbisognano molte grazie. Quando vi dico così, per lo più non posso dirvi il motivo, perchè son cose che vanno soggette ancora a mille traversie; ma allora voleva alludere a cose che ora vediamo che si effettuano ed a molte altre che neppure adesso vi posso dire. Pregate adunque di buon cuore, perchè si tratta sempre di affari di molta importanza.

                Il secondo motivo si è questo. Sono contento che sappiate le cose che si fanno e che sono da farsi: io non voglio tenervi allo scuro dei grandi bisogni che la Chiesa ha, del gran campo preparato per chi vuol fare del bene, quando si lavora proprio per la maggior gloria di Dio. Oh sì, ve lo so dire io con tutta verità che il campo da coltivarsi richiede molti e molti operai, che la messe è straordinariamente copiosa, che bisogna che noi ci moltiplichiamo grandemente per potere far tutto. Oh sì, come in questo momento mi sento spinto in vista dei grandi bisogni della Chiesa ad incitarvi, a farvi coraggio, affinchè ciascheduno si affatichi molto a crescere in virtù e santità Oh! se io vi vedessi in questo istante tutti preti, avrei già il posto da assegnare a ciascuno di voi e in modo che si avesse tanto lavoro da [414] non poterne più per la fatica. Sì! Avrei proprio bisogno di aver tanti direttori di case quanti siete qui e poi vedreste che del bene se ne farebbe! È vero che già voi siete tanti direttorelli nel sapervi comportar bene nei vostri uffizi e ne' vostri doveri. Ebbene, continuate così: chi non lo fosse per caso, si metta veramente di buon proposito e coll'aiuto del Signore spero che potrete fare del bene molto.

                Noi, invertendo l'ordine tenuto dal Beato, diremo prima di Bordighera e poi di Nizza.

                Bordighera[160] è impropriamente detto; di qui innanzi useremo la denominazione di Vallecrosia, perchè nel comune di questo nome sorge l'Opera Salesiana. Valle Crosia si chiamava una vasta pianura stendentesi fra Bordighera e Ventimiglia. L'amenità del sito, la mitezza del clima e la facilità delle comunicazioni dopo gl'impianti ferroviari attrassero italiani, e stranieri, che vi fabbricarono villette e palazzine, finchè, con l'aggiungere casa a casa, vi apparve in breve tempo un vero paese.

                Un paese però, dove nessuno aveva pensato a erigere chiesa e scuola. Se n'avvidero tosto i protestanti. Un disgraziato ex prete vi chiamò i Valdesi, che senza farsi pregare vi s'installarono nel centro, innalzandovi con enormi spese, fronteggiate merce il danaro della Società Biblica londinese, un magnifico edifizio con tempio. Aperto il tempio, aperto l'asilo infantile, aperte scuole maschili e femminili, aperto finalmente un ospizio per i fanciulli e le fanciulle abbandonati, ecco che alla chetichella diventarono essi i padroni del luogo.

                Il buon Vescovo, monsignor Lorenzo Biale, non dormiva. Pastore vigilante, avvedutosi dell'invasione protestantica, non se ne dava pace, tanto più che gli eretici dilatavano la loro influenza anche sulle terre all'intorno. Cercò maestri cattolici, implorò soccorsi, fece appello a Roma. Il Sommo Pontefice in un suo Breve si congratulò con lui, che, nonostante [415] l'inopia della sua diocesi avesse nei piani di Vallecrosia contrapposto le scuole cattoliche a quelle dei protestanti, i quali tentavano di fuorviare i fanciulli; anzi diede per il primo l'esempio, soccorrendo l'esimio prelato[161].

                Ma come poteva un povero vescovo italiano sostenere la concorrenza dell'oro straniero? Invitò dunque a Ventimiglia il direttore di Alassio Don Cerruti, a cui disse piangendo - Caro Don Cerruti, dica a Don Bosco che non mi abbandoni. Sono vecchio di oltre novant'anni, ho scarso il clero, tengo in seminario appena una diecina di chierici, e qui alle porte di casa, qui sotto i miei occhi i Valdesi fanno strage della fede. M sono cavato il pane dalla bocca per porvi un argine; ma non basta. Ho bisogno che Don Bosco mi venga in aiuto e presto.

                Commosso fino alle lacrime, Don Cerruti partì senz'altro per Torino in cerca di Don Bosco; ma Don Bosco gli fu detto che era a Cuneo. Corse a Cuneo; ma il Beato stava a Beinette, ospite del pio e benefico sacerdote Don Vallauri. Volò a Beinette, dove lo trovò in chiesa a recitare il rosario con la famiglia. La comparsa così improvvisa di Don Cerruti allarmò il Servo di Dio, che temette di qualche grave sciagura. Rassicurato e udita l'ambasciata, si raccolse un istante e poi rispose: - Ritorna a Ventimiglia e di' a monsignor Vescovo che noi siamo da questo momento a sua disposizione.

                Don Cerruti ripartì la mattina seguente per portare al Vescovo l'annunzio consolatore. Il venerando Pastore, alzate le mani al cielo, esclamò lagrimando: - Signore, vi ringrazio; ora muoio tranquillo. - Morì difatti non molto dopo; ma ebbe tempo di vedere le cose bene avviate.

                Allorchè il Beato fu a Ventimiglia, non ci volle nulla per intendersi con il venerando vegliardo. I Valdesi erano sue vecchie conoscenze, e Monsignore aveva riposta in Don Bosco una fiducia, diremmo così, cieca, perchè vedeva in esso l'uomo [416] della Provvidenza, colui che solo gli potesse porgere una tavola di salvezza in quella minacciosa invasione dell'eresia. Quanto a mezzi materiali, sebbene fosse persuaso che il Beato non disponeva di capitali, pure non ignorava quanto la Provvidenza fosse larga nell'aprirgli i suoi scrigni.

                Ecco dunque i capisaldi dell'intesa. I Salesiani si occuperebbero dei ragazzi e delle ragazze; Sua Eccellenza darebbe tanto per i maestri che per le maestre lire 700 annue, obbligandosi a lasciarle in perpetuo per testamento; pagherebbe il fitto di una casa provvisoria; penserebbe a tutta la mobilia, eccettochè al corredo personale.

                Il buon Vescovo chiese al Beato, se voleva che la mobilia fosse interamente nuova. Il Beato rispose: - Purchè le sedie sostengano uno seduto senza pericolo di cadere, e le tavole stiano sui loro piedi, e i banchi servano per scrivere, io non domando di più. - Monsignore fu oltremodo contento della sua discrezione.

                Regalò poi un terreno, dove i Salesiani potessero a loro spese innalzare dalle fondamenta chiesa e casa; ma promise di raccomandare con una lettera pastorale a tutta la diocesi di aiutarli con elemosine; anzi diede assicurazione che per mezzo di un suo fidato anche dopo morte li avrebbe soccorsi con generosità. Era presente a queste trattative il canonico Emilio Viale, suo Vicario Generale, ed esecutore testamentario, favorevolissimo ai Salesiani, il quale sorridendo assicurò il Beato con dire: - Io le conosco assai bene le intenzioni di Monsignore! -

                La pastorale fu pubblicata l'8 dicembre[162] e letta in tutte le chiese della diocesi. Più tardi se ne fece un'edizione a mo' di circolare, sottoscritta dal Vescovo, perchè fosse spedita a persone private e pubblicata sui giornali[163]; ma non se ne modificò affatto, il testo. Monsignore ci tenne a mandarne copie anche a Roma, per far conoscere nelle alte sfere ecclesiastiche [417] la nuova opera di Don Bosco[164]. Il Beato ne aveva mandato l'abbozzo, che il Vicario Generale trovò troppo breve e amplificò. “Ritenni, scrisse egli al Servo di Dio, i suoi, pensieri e posso dire anche le sue parole; ma l'allungai un pochino. Qui universalmente non dispiacque. Se Ella vi trovasse qualche menda, compatisca, accetti il buon cuore e rifletta che io son lungi le mille miglia dallo avere lo spirito di Don Bosco”[165].

                A Don Bosco si consigliava di far pagare un tenue minervale ai giovanetti che avrebbero frequentato le scuole, potendo i loro parenti dare qualche retribuzione; ma egli rispose essere sua intenzione che le scuole fossero del tutto gratuite. Lo esortarono anche ad aprire un semiconvitto per non costringere quelli che abitavano lontano ad andare e venire due volte al giorno; egli dichiarò che non vi aveva difficoltà di sorta, ma che si sarebbe risolta la cosa all'atto pratico.

                Si prese pertanto in affitto una casa, dove, in attesa di meglio, si potesse dar principio all'opera. Un magazzino nel pianterreno, aggiustato e ripulito, doveva diventare la cappella. Negli ambienti a destra e al primo piano si sarebbero aperte due scuole per i ragazzi; in quelli a sinistra avrebbero fatto altrettanto le Suore per le ragazze. I lavori di adattamento si eseguivano secondo le istruzioni che Don Savio mandava da Alassio; a suo tempo questi vi fece anche una visita per darvi l'assetto definitivo. Nell'ottava di Natale tutto era abbastanza pronto.

                Allora bisognava pensar al personale. Il Beato si prefisse di principiare, mandando da Mornese alcune Suore, del che erasi già inteso con la Superiora, e un prete con un paio di Chierici. Suore e Salesiani avrebbero sulle prime fatto le scuole elementari, le scuole serali e l'oratorio festivo. Il prete però sarebbe stato libero dalla scuola, per attendere a dirigere tutto, predicando alle Suore e nell'oratorio dei ragazzi e [418] confessando giovani e non giovani. Ma con quei tali vicini si richiedeva un prete, che maneggiasse bene la teologia e fosse dotato di posatezza e prudenza. Il Beato pose l'occhio su Don Nicolao Cibrario, direttore della chiesa di Maria Ausiliatrice, come allora si diceva, e confessore molto apprezzato per la sua dottrina.

                Era finito l'anno, volgeva alla fine anche il primo mese dei '76, nè ancora Don Bosco aveva designato le persone o fissato la data del cominciamento, quando il Vescovo, sollecitandolo, gli propose l'apertura della cappella per il giorno della Purificazione. Il Beato tagliò corto: fissò la partenza per il 10 febbraio e diede a Don Cibrario le norme opportune, assegnandogli per compagno un chierico di nome Cesare Cerruti, semplice ascritto, destinato a fare scuola. In quei beati tempi si ripetevano, sott'altra forma, le scene dei Fioretti. Narriamo le cose con la semplicità, con cui si fecero.

                Il mercoledì 26 gennaio Don Bosco, dopo pranzo, si volge a Don Rua, a Don Cibrario e a Don Barberis e dice loro: - Bisogna fare in fretta. Il Vescovo di Ventimiglia scrive che è tempo di andare. Le Suore e Don Cibrario si preparino. La partenza sarà per il 10 di febbraio. Tu, Don Cibrario, avrai con te il chierico Cerruti.

                Questo chierico, grande e grosso, già avanzato negli anni, desiderava moltissimo di aver tempo per studiare e diventar prete al più presto. Ma era anche molto obbediente.

                Don Bosco disse al maestro degli ascritti Don Barberis: - Prendi Cerruti in disparte e digli così: Tu hai domandato a Don Bosco che a motivo dell'età ti facesse abbreviare gli studi, per poter più presto aiutare la Congregazione, nella quale desideri di lavorare molto. Don Bosco ha già pensato come riuscire in questo; d'altra parte, conoscendo le tue buone spalle e la tua capacità negli affaroni, vuol cominciare a porti in opera”. Detto ciò, lo manderai da Don Cibrario a farsi dire e spiegare le cose. Forse andrò io stesso per l'apertura di quella Casa. Dunque, Don Cibrario, partiremo? [419]  - Io non so nemanco quello che dovrò fare.

                 - Vedi, non lo so nemmeno io ancora, che cosa dovrai fare. Ma non aver paura, lavoro non te ne mancherà. Per adesso, nei giorni feriali tu avrai poco da fare: la scuola alle ragazze la faranno le Suore, per la scuola dei ragazzi vi sarà Cerruti, tu avrai da dirigere tutto. La tua maggiore occupazione sarà al sabato e alla domenica. Al sabato confesserai le Suore, i ragazzi e le ragazze; alla domenica ti presterai ad ascoltare le confessioni di chiunque si presenterà e dopo la Messa farai un po' di spiegazione del Vangelo. Al dopo pranzo, catechismo agli adulti, un po' di predica, se lo stomaco te lo permette, e la benedizione col Santissimo Sacramento. Il vespro per ora si può tralasciare, perchè in Liguria non si costuma; ma tu procurerai a poco a poco d'introdurlo; questa è buona cosa. Il Vescovo voleva già erigere una parrocchia nuova; ma ho pensato che ciò complicherebbe la faccenda e per il momento si è giudicato meglio di soprassedere. Vi sarebbe subito da pensare ai registri di nascita, di morte, e poi altri imbroei (impicci). Quando sarà fatta la chiesa grande, che presto si dovrà mettere in costruzione, allora si potrà questa erigere in parrocchia. Così la rete dei collegi sulla riviera di ponente sarà compita.

                Don Barberis osservò che c'era S. Remo, città più grossa di Ventimiglia, dove purtroppo il malcostume e il protestantesimo facevano progressi; essere quello un posto strategico per fare del bene; perchè là i forestieri protestanti venivano in gran numero a passare l'inverno.

                Don Bosco rispose: - In questo caso bisognerà fare come Annibale, che porta guerra in Italia per salvare Cartagine e come Scipione che per salvar Roma vola su Cartagine. A S. Remo bisogna avvicinarsi a poco a poco, far le viste che si ha la mira a Bordighera, ma in realtà averla a S. Remo. Bordighera farà argine al protestantesimo, che non venga più in qua. A S. Remo bisognerà più tardi porre, a Dio piacendo, un nostro centro e sforzarci a tutt'uomo per fare del [420] bene. Riguardo ai libri che ti possono giovare, riprese voltandosi a Don Cibrario, credo che il più utile contro i protestanti sia Il Protestantesimo e la regola di fede, del Perrone, ed anche I Valdesi, del medesimo.

                La partenza avvenne all'una e mezza pomeridiana del 9 febbraio; i partenti non erano due, ma tre, essendosi aggiunto un secolare. A Don Cibrario il Beato disse accomiatandolo: - Ti prometto che non ti lascerò sempre a Bordighera. Adesso va', fonda quella Casa. Intanto si fabbricherà la chiesa, tu ne sarai parroco e avvierai la parrocchia. Poi maiora te exspectant.

                Il chierico Cerruti ci è presentato come dotato “di virtù a tutta prova, di pazienza ammirabile e di un gran criterio pratico”. Aveva scritto in quei giorni al Servo di Dio: “Io sono già vecchio e mi rincresce di essere solamente buono a scaldare i banchi d'una scuola. Non sono ancor capace di aiutarla in nulla; ma Le sono soltanto di aggravio. Spero che verrà il tempo di mostrarle in qualche modo la mia riconoscenza, lavorando con Lei alla maggior gloria di Dio per la salvezza delle anime”.

                L'altro, di cognome Martino, era un brav'uomo, che passava di poco i vent'anni. Interrogato se andasse contento a Bordighera, rispose: - Per me, che cosa ha da essere contento o malcontento? Se mi mandano, sono contento di andare; se non mi mandano, sono contento di star qui.

                I nuovi arrivati non perdettero tempo a orientarsi, come si dice, nel campo della loro missione. Subito la domenica dopo il loro arrivo venne benedetta la cappella e si diede principio al catechismo. Alla sera contarono 29 ragazzi e 45 ragazze. Quell'oratorio festivo fu la rovina dei protestanti, perchè attirava piccoli e grandi. Anche le scuole erano frequentate. I Valdesi le descrissero così in un loro opuscolo: “Si figuri il lettore un tugurio a qualche centimetro sotto il livello della strada, umido, privo d'aria e di luce sufficiente, ed avrà un'idea del locale che serve per la scuola, che D. Bosco ha impiantato [421] nei Piani di Vallecrosia”[166]. Intendevano con questo di rendere un pessimo servizio ai Salesiani; invece fornirono un argomento di più per stimolare la pubblica beneficenza a veni re generosamente in aiuto per l'erezione di scuole migliori. Il fatto è che gli abitanti, invitati per la Pasqua ai Sacramenti, risposero in buon numero, sicchè a breve andare scuole e chiesa protestantiche rimasero deserte. Quel sito, riguardato ormai come futuro centro dell'eresia in Liguria, fu salvo.

                La benedizione data da Pio VII a quel luogo doveva produrre i suoi effetti. Egli passò infatti di là l'11 febbraio 1814, reduce da Fontainebleau a Savona. Un tal G. B. Apronio, che Don Cerruti conobbe, assicurava sulla fede propria di testimonio oculare che l'augusto Pontefice, accolto festosamente dalla popolazione di Vallecrosia e chiesto e udito dove si trovasse, benedisse proprio il luogo, nel quale oggi sorge la Casa Salesiana dedicata a Maria Ausiliatrice.

                Il 1875, per dire come fu detto dinanzi a Don Rua venticinque anni dopo, è l'anno in cui Dio diede Don Bosco alla Francia. Un altro venerando vegliardo, pastore di anime al di là della frontiera occidentale, monsignor Pietro Sola, Vescovo di Nizza Marittima, fu visto quell'anno aggirarsi per le piazze e per le vie della sua città in cerca di un asilo, dove ricoverare la gioventù pericolante. Nizza abbondava di pie istituzioni, ma aveva scarsità di quelle destinate al bene degli orfani e dei ragazzi privi di assistenza; in certi casi urgenti non si sapeva dove dar del capo per ritirare dalla strada o togliere dall'abbandono un povero fanciullo.

                I soci della Conferenza di san Vincenzo, uomini zelanti e attivi, concepirono il disegno di colmare tanta lacuna. Due di essi, l'avvocato Michel presidente e il barone Héraud, fattane la proposta ai colleghi e avutone il voto favorevole, si rivolsero al Beato Don Bosco, visitarono l'Oratorio e sulla questione di massima non incontrarono difficoltà a intendersi. [422]

                Monsignor Sola che ve li aveva preceduti, benedisse la loro iniziativa, li assistette efficacemente e con ogni mezzo possibile li aiutò. Anche un ricco ebreo di nome Lates, conosciuto il Servo di Dio e affascinato dalle sue parole e dai suoi modi, mise con costante generosità mano alla borsa per soccorrerlo.

                L'avvocato Michel, che incontreremo altre volte lungo il cammino di Don Bosco in terra di Francia, merita che di lui si faccia qui più distinta menzione. Uomo di alto intelletto e cristiano di stampo antico, fu un vero amico di Don Bosco e uno dei primi e più insigni cooperatori francesi. Avendo compiuto i suoi studi giuridici nell'Università di Torino, vi aveva potuto conoscere e apprezzare l'opera del Beato. Due lettere da lui indirizzate a Don Bosco in data del 9 ottobre e 12 novembre 1875 attestano com'egli nulla risparmiasse per procurare a Nizza i benefizi dell'istituzione salesiana. Si deve specialmente alla sua carità e solerzia, se Don Bosco ebbe la gioia di procedere il 21 novembre all'apertura della sua prima Casa in Francia.

                Bisognò dunque anzitutto trovare dove aprire questa Casa. A comperare subito un edifizio fu giocoforza rinunziare. Un comitato di signori prese in affitto il locale di una filanda e provvide le masserizie più indispensabili. Il Vescovo per la ricreazione dei giovani mise a disposizione trecento metri quadrati del suo giardino. Il 9 novembre vi arrivavano, sine baculo et sine pera, due sacerdoti, un chierico e un coadiutore. Nessuna Casa fu mai aperta più modestamente. Don Rua si compiaceva di magnificare la povertà di quegl'inizi, ricordandone due particolari. Durante una visita, perchè tutti si potessero sedere, fu necessario far uso di letti, dopo esserne stati rimossi i materassi; e poi, essendosi da qualcuno dovuto uscire per prendere un oggetto, la comitiva venne lasciata al buio, perchè vi era un lume solo. Don Rua conchiudeva: - Queste Case sono poi le più largamente benedette dal Signore.

                Gran tatto ci volle a Don Bosco per evitare fin l'ombra di ciò che urtasse il sentimento nazionale; tanto più che un [423] partito cittadino, detto dei separatisti, vi agitava la bandiera della separazione di Nizza dalla Francia e della sua riunione all'Italia. Scelse pertanto a Direttore Don Giuseppe Ronchail, dal bel nome francese, perchè nativo di Usseaux nel circondario di Pinerolo, presso il confine; egli parlava inoltre speditamente la lingua, appresa da fanciullo. Entrato chierico nella Congregazione, vi si era imbevuto dello spirito di Don Bosco. Il Beato per una specie d'intuizione superiore l'aveva tratto a sè. Un giorno, essendo egli di passaggio a Usseaux, due seminaristi in vacanza andarono a visitarlo, conducendovi quasi per forza il loro compagno Ronchail. Appena i tre abbatini furono dinanzi al Servo di Dio, questi fissò con grande amorevolezza il Ronchail e, prendendogli le mani, disse ai circostanti: - Ecco un merlo da mettere in gabbia! - Parole così inaspettate colpirono il chierico e furono il germe della sua vocazione.

                Dei confratelli che accompagnarono il direttore, due erano in grado di fare classi elementari, perchè parlavano benissimo il francese. Il Beato inviò pure alcuni giovani nizzardi, che stavano nell'Oratorio, e un gruppetto di algerini mandati poc'anzi all'Oratorio da monsignor Lavigerie. Così il Beato chiuse l'adito a ogni sospetto di separatismo. Abbiamo già udito da lui stesso quali accoglienze siano state fatte ai Salesiani dalle autorità civili e politiche.

                Il Beato si recò a Nizza dopo la partenza dei Missionari, cioè il 20 novembre. Di là scrisse a Don Rua, che mandasse ancora un chierico per la musica, Evasio Rabagliati, il futuro apostolo della Colombia, e con lui gli algerini.

 

                               Carissimo D. Rua,

 

                Qui le cose sono incominciate e possiamo dare mano all'opera. Potrai pertanto dire a Rabagliati che può venire quando che sia, ma che prenda seco quegli Algerini che sono al principio del ginnasio e li conduca seco, ed in un fagottino i loro abiti africani, che quivi si possono portare. Gli altri poi siano buoni e verranno appena che io sia giunto a Torino. Rabagliati non si porti altro che un po' [424] di musica e il suo corredo strettamente personale. Quivi avvi un piano ed un Armonium che l'attendono. Se può si trovi per Domenica [28], perchè in tale giorno si dirà la prima messa nel Patronage de St. Pierre, Rue Victor 21. In caso diverso potrebbero fermarsi ad Alassio, dove mi troverò da Venerdì a Lunedì pross. [26 - 29]. Procura che non abbiano baule con loro, ed i fagotti li portino seco; ma se per caso dovessero portar baule, procurino di averlo seco per trovarsi presenti alla visita dei bagagli che si fa a Ventimiglia. Molta benevolenza, molto trasporto per noi e pel novello Ospizio, che ha tutte basi di quello di Torino. Preghiamo che Dio ci benedica in questa nuova impresa. Dopo dimani passerò a Nizza, [sic, Ventimiglia] e vedrò quello che è da farsi per Bordighera.

                Dio ci benedica tutti e credimi in G. C.

 

(senza data e senza firma).

 

                Venti giorni dopo egli potè dire nel Capitolo Superiore: A Nizza si destò un vero entusiasmo. - A ispirare simpatia e fiducia contribuì non poco il disinteresse da lui dimostrato. Si proponeva di assegnare per correspettivo ai maestri franchi 800; ma il Beato non volle, dicendo che era troppo e che bastava la metà. Fu conchiuso per franchi 450. Quel rifiutare metà dello stipendio offerto, saputosi nella città, vi sollevò un coro di lodi al suo indirizzo. Il Vescovo disse al Servo di Dio: - Ora capisco, perchè Don Bosco è cercato dappertutto. In questo modo certamente egli si tira dietro tout le monde. - Don Bosco dichiarò che in realtà egli di danaro aveva gran bisogno e che perciò gli sarebbe stato impossibile fare alcuna spesa per l'impianto; ma che, trattandosi del mantenimento, quel tanto bastava ai Salesiani, accostumati a vivere poveramente.

                Il Vescovo allora non tacque d'essere entrato in trattative con diversi Ordini religiosi per affidar loro simile Casa od Oratorio; ma che gli si era subito venuto fuori con domande di redditi fissi, esigendosi sui mezzi di sussistenza stipendi assai maggiori di quello offerto ai Salesiani. I signori di Nizza ivi presenti finirono con dirgli:

                 - Noi abbiamo paura che questi suoi maestri finiscano con morir di fame. [425] Stiano pur certi, rispose egli, che di fame non morranno, perchè io conosco in che mani li lascio. D'altra parte è meglio che, trovandosi in bisogno, vengano a bussare alle case loro e a domandare la carità. Io, sono persuasissimo che lor signori non si mostreranno insensibili e non li lasceranno morir di farne.

                I nizzardi, tocchi da tanta delicatezza in rifiutare il superfluo e ben consci dei reali bisogni, diedero la somma già stanziata, non però a titolo di debito, ma di elemosina.

                La domenica 21 il Beato aperse ufficialmente la Casa; la domenica seguente fu aperto l'oratorio festivo, intitolato a San Pietro, in onore del Vescovo, che portava quel nome. Monsignore celebrò la Santa Messa nell'umile cappella, con l'intervento di numerosi e distinti cittadini. Il giornale cattolico locale, La Semaine de Nice, nel numero del 27 novembre, annunziando la cerimonia del giorno seguente, s'introduceva così: “Abbiamo avuto la fortuna di avere nella nostra città sul principio della settimana il reverendo Don Bosco di Torino, l'apostolo della gioventù abbandonata, l'uomo di Dio umile e ammirabile nelle sue opere. È venuto a Nizza per installarvi tre suoi operai e porre le basi di un'opera, com'egli sa fare, con il solo aiuto della Provvidenza e senz'altro appoggio che Dio”. Come la Provvidenza l'abbia aiutato e Dio sostenuto, si vedrà nel seguito della nostra storia. Il Patronage St - Pierre crebbe rigoglioso sotto la benedizione del Signore, inviata li nei primordi dal suo Vicario in terra con parole poetiche e profetiche. Il Servo di Dio aveva incaricato Don Cagliero d'informare il Santo Padre che era imminente quella fondazione e di pregarlo che si degnasse benedirla. Pio IX, encomiando l'opera, disse: “Dio la benedica e sia essa quel grano di senapa che diventi un grand'albero, talchè molti colombi possano ricoverarsi sotto i suoi rami, e ne stia lontano lo sparviero”[167]. [426]

                L'albero, gettate profonde radici a Nizza e venuto su gigante, stese i rami per tutta la Francia, non abbattendosi nemmeno sotto l'impeto delle ultime tempeste. Dinanzi al primo santo Successore di Don Bosco, allorchè si festeggiò il venticinquesimo della fondazione, l'oratore ufficiale disse: “Confrontiamo con l'umile Betlemme di venticinque anni fa il comodo stabilimento di oggi, e con i suoi alunni e maestri che in sì gran numero vi fanno corona, e specialmente i sacerdoti che domani vi recheranno omaggi affettuosi da tutte le Case di Francia, e noi saremo costretti di ammirare con vivo sentimento di gratitudine l'azione onnipotente di Dio”.

                Dopo di che egli soggiunse: “Il Signore aveva per questo un servo fedele. Don Bosco seguiva amorosamente lo svolgersi dell'opera, dirigendone i superiori con i suoi consigli e largendo loro i suoi paterni incoraggiamenti, spesso anche il conforto della sua presenza”.

                Noi lo vedremo come il Beato confortasse della sua presenza i figli di Nizza; ma prima di passare oltre, dobbiamo offrire ai lettori un saggio de' suoi consigli e incoraggiamenti deplorando che molto e molto o sia perito o stia nascosto. Finora purtroppo appena due lettere di questo primo anno ci è dato di pubblicare. Una fu scritta dal Beato quattro giorni dopo il suo ritorno a Torino. Era fra le sue abitudini fare in modo che i suoi figli, spiccatiglisi da' fianchi, continuassero a sentirselo vicino; onde non lesinava nella corrispondenza.

 

                               Carissimo D. Ronchail,

 

                I giornali hanno fatto gran rumore della nostra casa di Nizza, e noi dobbiamo adoperare la massima sollecitudine, affinchè ogni cosa riesca bene.

                Intanto di quando in quando dammi notizie esatte delle cose e delle aspirazioni degli uni e degli altri. Saluterai da parte mia il principe Sanguwski e la signora principessa di lui madre, assicurandoli che qui noi facciamo particolari preghiere per ambidue.

                Molti ossequi al sig. Avv. Michel, da cui attendo lunga lettera: e al Barone Héraud, Conte e Contessa de la Ferté ed altri, con cui avrai occasione di parlare delle cose nostre. [427] Se avrai celebrazioni di Messe oltre il bisogno, mandane, e noi procureremo di celebrarle a beneficio dell'Ospizio di S. Pietro. Non tenerti denaro, se non ne hai stretto bisogno; rimanendone oltre a questo, mandalo all'Oratorio coll'indirizzo a D. Rua; e ciò servirà per le spedizioni che si dovranno fare. Parimenti se ti accadesse qualche inaspettato bisogno e non potessi altrimenti provvedere, chiedi tosto e faremo di provvederti.

                Nota sempre nome, dimora di chi ti fa limosine, ringrazia e tienti in relazione con essi, specialmente se ammalati.

                Credo che Mr. Sola avrà veduto Il Cittadino di Genova; se no, è bene che io lo sappia e gli spedirò i numeri che parlano di lui: va' qualche volta.

                Distribuisci gli uniti biglietti con un saluto a tutti, segnatamente a Cappellano[168].

                Riceverai la tua dimissoria[169] da presentarsi al Vescovo di Nizza. Occorrendo altro, scrivi.

                Di qui molti saluti e tutti godono della casa di Nizza, di Ventimiglia, della Repubblica Argentina. Amami, prega per me che ti sarò sempre in G. C.

                Torino, 10 - 12 - '75.

Aff.mo amico

Sac. GIO. BOSCO.

 

                L'altra lettera non ha nè firma nè data; ma è certamente sua, possedendola noi nell'originale; egli la scrisse senza dubbio verso il medesimo tempo della precedente, come appare dal contesto.

 

                               Caro D. Ronchail,

 

                1° Sarà bene di studiare quelli che ti sembra possano fare per la Congregazione e coltivarli colla benevolenza, per vedere se si possono guadagnare.

                2° Parla spesso coi chierici, coi confratelli, e per quanto puoi fatti anche accompagnare andando per qualche commissione. Invitali a dirti se hanno disturbo nelle cose temporali o spirituali, usando coi medesimi speciale apertura di cuore.

                3° Quel povero Algerino che non vuole frequentare i Sacramenti, fallo accompagnare altrove, o meglio fa' qualche volta alcun esterno confessare in famiglia. Sono miserie, ma bisogna avere pazienza. [428] Nota però che se qualche Algerino non fa per la casa, possiamo liberamente mandarlo al luogo primiero.

                4° Per la predicazione e se è possibile anche per la messa, invita qualche prete ad aiutarti come sarebbe D. Giordano, il T. Giovan ed altri.

                Intanto avrai quanto prima un prete o almeno qualche aiuto da un chierico.

                5° Abbi cura della tua sanità e di quella degli altri.

                6° Il Vescovo propose a Roma noi o gli Scolopi pel Laghetto[170], ma troverà accoglienza nè dagli uni, nè dagli altri; ma zitto.

                7° Nè il Padre Benigno nè altri per lui fecemi parola di sorta.

                8° I due Canonici spediti a Roma forse faranno poco o niente. Io mi sono adoperato per mettere il Vescovo in giusta posizione presso alla Santa Sede. Il Vescovo lo sa e ne è contento.

                9° Il Sig. C.te La Ferté ha fatto qualche cosa per le ferrovie francesi? Ne avrei veramente bisogno[171].

                Nella corrispondenza epistolare fra Don Bosco e i suoi regna la stessa “apertura di cuore” che negl'incontri e nelle conversazioni. Un ideale del Beato fu sempre la vita di famiglia; ora nella famiglia i figli parlano a cuore aperto col padre, e il padre non se ne adonta, anzi ne gode e seconda tale confidenza. Ecco perchè i suoi facevano a fidanza con lui, interrogandolo liberissimamente su qualsiasi argomento senza la menoma soggezione.

 

 

CAPO XIX. Apostolato della stampa.

 

                FRA i propositi del Beato Don Bosco uno dei più tenaci fu certamente quello di promuovere la buona stampa e di combattere la cattiva. Uno sguardo sintetico alla sua attività in questo campo ci sembra tornar opportuna ora, che col rapido dilatarsi della Congregazione anche i mezzi per opporre libri a libri si verranno sotto la mano di lui moltiplicando.

                Anzitutto i testi scolastici. Non solo spinse innanzi la Biblioteca degli scrittori italiani e i Selecta dei classici latini precristiani, gli uni e gli altri liberati da quanto offende il pudore, ma vi aggiunse ancora una Collezione di scrittori latini cristiani, dandovi principio con san Girolamo. Per suo ordine infatti Don Tamietti preparò e annotò dei Dottore di Stridone il così detto De viris illustribus, le Vite di san Paolo primo eremita, dell’eremita sant'Ilarione e del monaco Malco, più una scelta di lettere[172]. Quali fossero le idee che ispirarono al Beato la nuova impresa libraria, lo dirà egli, stesso fra qualche anno attraverso il fiorito latino del medesimo Don Tamietti, allorchè anche questi Selecta avranno avuto fortuna[173]. [430]

                Il momento era quanto mai propizio. Dopo il gran battagliare fattosi in Francia per opera di monsignor Parisis fino dal '46 intorno all'insegnamento dei classici, il Papa con l'Enciclica Inter multos del 25 marzo 1853 aveva risolto la controversia, raccomandando ai vescovi francesi di associare lo studio dei Padri greci e latini a quello degli antichi classici pagani. Riaccesasi la lotta al tempo del Ver rongeur di monsignor Gaume, il Papa ribadì la medesima raccomandazione in un Breve del 22 aprile 1874 al focoso polemista. Appresso Pio IX tornò sull'argomento in un altro Breve del 10 aprile 1875 a monsignor Bartolomeo D'Avanzo, vescovo di Calvi e Teano, poi Cardinale. Il dotto prelato italiano, sul principio dell'anno scolastico, aveva indirizzata ai professori del suo seminario di Calvi una lettera aperta, nella quale, ricapitolando lo stato della questione, li esortava a seguire le direttive pontificie. Il Santo Padre, confermando le cose prese a dimostrare dal vescovo, dichiarava essere la lingua latina cristiana non già una corruzione, sibbene una necessaria ed eccellente trasformazione della lingua pagana; il metodo misto nell'insegnamento di quella lingua essere stato ab antico e in ogni epoca usato dalla Chiesa; gli argomenti addotti dal vescovo porre in tanta luce la questione ormai decisa da persuadere agli istitutori della gioventù l'adozione di tal metodo; tale essere il voto del Papa[174].

                Il Beato si sentiva crescere la lena ad accelerare la completa attuazione del suo disegno. Ne abbiamo la prova in questa lettera del 26 aprile al direttore della nuova collezione, per stimolarlo ad affrettare la stampa del S. Girolamo.

                               D. Tamietti carissimo,

                Avrei bisogno di parruccarti[175], sgridarti e sollecitarti, perchè sia terminato quel benedetto lavoro, che è un imbroglio per la tipografia, ed una troppo lunga ed inutile aspettazione per tutti. [431]

                Concerta adunque col tuo Direttore e vieni un mercoledì, si fieri potest, di mattino e ritornerai venerdì, se la tua venerata persona è indispensabile, per quello che parte da Torino alle 7.20 di sera.

                Credo che qui avendo libri, persone e danaro ai tuoi cenni, potrai mettere la gran macchina in moto e così portare a termine la magna impresa.

                Amami in G. C. e credimi tuo

                Torino, 26 - 4 - 1875

Aff.mo amico

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Il libro uscì al principiare dell'anno scolastico 1875 - 76, nè passò inosservato. Il Servo di Dio che non lasciava le cose a mezzo, ma, lanciate che fossero, le teneva d'occhio per vedere se e come andassero, a monsignor Almerico Guerra di Lucca, che aveva ordinato due copie del S. Girolamo, scrisse:

 

                               Car.mo Sig. Canonico,

 

                Riceverà per la posta i due volumetti di S. Girolamo, di cui si compiacque farne dimanda.

                Mi fece un vero favore colle sue osservazioni, di cui si farà conto nella prossima edizione. La prego di notar qualunque altra piccola cosa a Lei parrà, anzi sembri doversi modificare o togliere; si desidera il bene, e l'esperienza sua unitamente ai suoi studi spesso vedono quello che un giovane autore o non capisce o non può rilevarne l'importanza. Qualunque consiglio, osservazione, o meglio ancora, qualunque lavoro Ella potesse assumersi per questa pubblicazione, sarebbe efficace aiuto il darne comunicazione.

                Dio La colmi di sue benedizioni e preghi per questo poveretto che Le sarà sempre in G. C.

                Torino, 10 - 12 - '75

umile servitore

Sac. GIO. BOSCO.

                Anche in questo Don Bosco agì come sempre. Si battagliava intorno a un'idea? Senza gettar parole al vento, studiava la questione, ne scopriva il lato buono e pratico e, mentre altri discutevano, egli faceva.

                Dopo i testi di letteratura, quelli di storia. Qui purtroppo ci dobbiamo arrestare a pii desideri, essendogli mancati gli [432] uomini atti o disposti a secondarlo. Da gran pezza egli toccava con mano i danni causati alla Chiesa dai travisamenti della storia. Su questo terreno era stata sua antica preoccupazione di elaborare per gli alunni del Santuario una buona Storia Ecclesiastica, tutta penetrata di spirito romano; dal ‘49 al '70 gli era riuscito di compilarla in quattro volumi. Considerata l'importanza dell'opera, non aveva fretta di darla alle stampe, sperando di condurla a una certa qual perfezione; ma così avvenne che perdesse irreperibilmente una dopo l'altra le parti del manoscritto, che soleva portare con sè nei viaggi per dedicarvi attorno il tempo libero. Verso il '75 affidò a Don Bonetti l'incarico di rifare da capo; ma la cosa rimase senza effetto.

                Poi veniva la Storia d'Italia, di cui nelle scuole medie i professori si facevano un'arma per combattere la Chiesa e il Papato. Don Bosco indusse il professor Antonio Terreno a scrivere un manuale per i licei. Questi cominciò a pubblicare nel '76 un Compendio della Storia d'Italia in due volumi, uno per la Storia Romana e l'altro per la Storia Medievale e Moderna, ma destinato alle scuole ginnasiali, tecniche e magistrali. Successivamente rifuse il suo lavoro e, incarnando meglio il concetto del Beato, diede nel '79 una più ampia Storia d'Italia, con cenni su gli altri Stati d'Europa, divisa in due bei volumi: Medio Evo e Storia Moderna. La Civiltà Cattolica la dice “un compendio che è certamente dei più pregevoli... bene ordinato... assai bene scritto”. Del precedente, quanto allo spirito, aveva detto: “Per ciò che riguarda la religione, la sana morale e i diritti della Chiesa, non ci è avvenuto di scorger nulla che stia in contraddizione co' buoni principii[176]”. Nè poteva essere diversamente, perchè stampandosi il testo nella tipografia salesiana, il Beato vigilava.

                Bisognava provvedere anche alla cultura popolare, che sempre più largamente si diffondeva. Qui pure una colluvie [433] di libercoli e di periodici faceva strazio della storia in odio alla Chiesa. Il Beato ideò una storia universale in tanti volumetti separati quante erano le nazioni, ma scritti con semplicità di forma e seguendo il metodo da lui tenuto nella sua Storia d'Italia. La serie sarebbe dovuta procedere così: Storia Orientale Antica, Storia Greca, Storia Romana, Storia d'Italia, Storia di Francia, Storia d'Inghilterra, Storia di Spagna, Storia della Germania, e via discorrendo. Commise i due primi volumi a Don Barberis, che si accinse con buona volontà al lavoro. Il Beato ne leggeva con la penna in pugno il manoscritto, via via che l'autore glie ne ammanniva, e con pazienza a correggere, a cancellare, a sostituire. Furono i due soli volumi che vedessero la luce,

                Col progredire dell'istruzione popolare cresceva la smania del leggere. I libri di storia propriamente detta, benchè narrata alla buona, non eran pane per tutti i denti; occorrevano per i giovanetti e per il popolo racconti ameni. Il Beato pensò anche a questi. Ne escluse però le forme romanzesche, ma li volle condotti sulle tracce della storia. Ed ecco la feconda e brillante produzione di Don Lemoyne. Fu Don Bosco a ordinargli di scrivere le vicende di Cristoforo Colombo, di Fernando Cortez, di Fernando Pizarro, di Bartolomeo Las Casas, e di altri conquistatori o civilizzatori; egli fu a suggerirgli le biografie di Lutero, di Calvino e di altri corifei dell'incredulità e dell'eresia. Ai loro tempi questi libri fecero furore e produssero del bene, e con l'andar del tempo, chi sa? potranno fors'anche rialzare il capo dall'immeritato oblio. Habent sua lata libelli.

                Torniamo alla scuola, dove un'altra categoria di libri vi era da epurare, per renderli inoffensivi alla costumata gioventù: i Lessici. L'esperienza aveva insegnato a Don Bosco che certe parole, certe frasi, certi esempi, cadendo anche senza cercarli sotto gli occhi dei giovani, ne feriscono le anime e sono incentivo al peccato. Dal momento che aveva una tipografia a sua disposizione, stimò essere giunta l'ora di liberare [434] le scuole da tale sconcio. Don Durando ebbe da lui il mandato di preparare i vocabolari della lingua latina, uno piccolo in un volume e uno grande in due; Don Pechenino quel della lingua greca; Don Cerruti l'italiano. Egli vagheggiava ancora un dizionario geografico a cura di Don Barberis, e un dizionario storico, che assegnò a un altro suo collaboratore; ma questi non furono recati a termine. I tre precedenti invece ebbero edizioni su edizioni, nè finora si può asserire che abbiano fatto il loro tempo. Don Cerruti vi faticò fino al '79. Don Durando e Don Pechenino, che già da lunga data venivano accumulando materiale, regalarono più presto alle scuole il frutto delle loro fatiche; poichè nel '76 i due volumi grandi del primo e il dizionario greco del secondo correvano già per le scuole ginnasiali e liceali. Le tre pubblicazioni incontrarono il plauso cordiale di quanti amavano davvero la cristiana educazione della gioventù. Don Cerruti precedette i lessicografi italiani nel dare ospitalità a moltissimi termini tecnici, facendo giustizia sommaria degli scrupoli accampati dai puristi; ma sotto l'aspetto morale, che più di tutto Don Bosco aveva a cuore, la Civiltà Cattolica disse quel Vocabolario “una manna”.

                Di Don Durando c’è una benemerenza che va qui segnalata. Allorchè Don Bosco verso il '70 cominciò a sussurrargli di un simile lavoro, dare lo sfratto ai vocaboli osceni e rimuovere il pattume degli esempi non era tutto; in fatto di Lessici Latini si stava abbastanza male dal lato scientifico. Il dizionario generalmente in voga e portante l'etichetta della Officina Regia, formicolava talmente di spropositi, che il Governo Subalpino aveva offerto tredicimila lire al Vallauri, se avesse accettato di emendarli; ma il Vallauri, forse perchè la somma gli pareva troppo piccola, rifiutò. Ci si mise il professor Bacchialoni; ma, corretto un centinaio di pagine, se ne stancò. Allora vi si accinse il professor Mirone, il quale ebbe la costanza di andare fino in fondo; ma l'opera riuscì ancora incompleta. Più tardi il Vallauri prese il lavoro del Mirone, vi appioppò [435] una sonante prefazione sua, vi piantò in fronte il suo nome, vi aggiunse poco o nulla di proprio, ed ecco i famosi Vocabolari Latini di Tommaso Vallauri, ai quali, stampati con varietà di tipi e su carta lucida e rilegati in tutta pergamena, arrise una fortuna immensamente sproporzionata al merito. Non diciamo poi nulla delle laidezze che li insozzano. Don Durando nella sua compilazione ambì pure di conseguire la maggiore esattezza scientifica possibile e sufficiente, nè gli fu estranea l'idea di raggiungere qualche originalità con l'arricchire il suo dizionario di voci riferentisi a cose cristiane. La solita cronaca narra così la presentazione dell'opera finita a Don Bosco: “Mentre, lodando Iddio, si discorreva di queste cose, entrò in refettorio Don Durando con una copia del secondo volume del suo Vocabolario Latino or ora ultimato. Ciò riempì tutti di consolazione... Don Bosco gradì molto il volume presentatogli da Don Durando e gli disse: - Ora riposati un poco; poi a tempo opportuno andrai a presentarne una copia al Santo Padre -”. Insieme lo stimolò a compier l'opera, mettendo mano a quello che doveva essere il Nuovo Mandosio per le classi del ginnasio inferiore.

                Qui arrestiamoci un istante per domandarci: - E che? Gli scrittori intorno a Don Bosco spuntavano come i funghi? - La risposta è molto semplice. Il Servo di Dio, come formava direttori, prefetti, predicatori, confessori, assistenti e quanti avevano nella Casa determinati uffici, così formò scrittori. Conosceva intus et in cute i suoi figli. Guardando alle attitudini e ai gusti dei singoli, insinuava loro l'idea di fare questo o quel lavoro, cercando d’imprimere bel bello in essi il proprio concetto e il proprio spirito intorno alla trattazione proposta. Indi suggeriva libri, correggeva tentativi, scendeva in questo ai più minuti particolari anche dello stile e della lingua, istradava mano a mano con avvisi orali o per iscritto, chiamava non di rado a collaborar seco in lavori da pubblicare. Ecco per esempio come affidava a Don Bonetti la revisione di un suo manoscritto: [436]

 

                               Caro D. Bonetti,

 

                Ho bisogno che col tuo occhio di lince, e col tuo sagace ingegno dia una occhiata a questi scritti prima di stamparli[177].

                Ma io li lascio alla tua responsabilità. Procura che la pietra pomice non solo lisci il legno, ma lo digrossi e poi lo pulisca. Capisci?

                Dio ci benedica tutti e sta' molto allegro.

                Prega pel tuo povero, ma in G. C. sempre tuo

                Torino, 15 - 1875.

aff.mo amico

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Così suscitava ne' suoi sacerdoti la coscienza di poter maneggiare utilmente la penna e la volontà di far gemere i torchi. Ma non amava che ponessero il titolo di Salesiano sui libri che stampavano. Nel giugno del '76 vide l'elogio funebre di monsignor Vallega, parroco d'Alassio, e sul frontispizio “D. Cerruti Sacerdote della Congregazione Salesiana”. La medesima cosa egli aveva visto farsi da Don Bonetti, da Don Francesia, da Don Lemoyne. Temette che questo chiamarsi “della Congregazione Salesiana” sapesse un po' di millanteria e non piacesse guari a molti. Disse perciò a Don Rua: - Sarà meglio che non si faccia più. Si può mettere Sacerdote, questo sì; anche, ad esempio, Direttore del Collegio tale; ma la parola Salesiano può tirarci dell'odiosità e far dire: Ecco, ora che tutte le Congregazioni e tutti gli Ordini religiosi navigano in cattive acque, essi alzano la testa e vogliono farsi vedere... Lasciamo che questo titolo ce lo diano gli altri. Vi sono molte cose che va bene far risaltare, far conoscere. Di queste si parli pure, perchè possono risvegliar vocazioni, attirare i cuori alla Congregazione, far del bene. Queste cose si stampino pure, si divulghino; ma quando non hanno uno scopo diretto di far del bene, lasciamole. [437]

                Dai testi di scuola assorgiamo alle Vite dei Santi. Qui Don Bosco incontrava una causa di grande afflizione. Era suo desiderio che nei collegi si leggessero Vite di Santi; quindi per darne ai giovani una conoscenza spicciola che li invogliasse a tali letture, avrebbe voluto combinare un annuario che offrisse ogni giorno una brevissima Vita di Santo; senonchè, esaminando leggendari o raccolte da cui scegliere il meglio, vide che erano tutte cose scritte con buono spirito, ma contenenti fatti ed espressioni che potevano suscitar pensieri cattivi o mettere malizia nei giovanetti. Vide pure che questi libri insistevano generalmente nel racconto di penitenze e di gesta straordinarie dei Santi, senza descrivere piuttosto il loro modo di praticare la divozione al Santissimo Sacramento e a Maria Santissima, i loro mezzi per vincere i propri difetti, i loro sforzi per ornarsi il cuore di virtù. Concepì dunque il disegno di una nuova raccolta secondo il suo spirito, incaricando parecchi di compilarla. Ne pregò il conte di Viancino, dandogli molte e minute istruzioni; ma quegli, composte le Vite dei Santi per i primi giorni di gennaio, si disanimò e abbandonò l'impresa. Si mise allora ai panni del dottor Gribaudi, medico dell'Oratorio; questi fece un notevole passo innanzi, arrivando sin verso alla fine di febbraio; ma poi non si sentì più di proseguire. Incaricò altri, che, fattogli perdere gran tempo per essere da lui istruiti sul come intendeva che l'opera fosse condotta, lo lasciarono in asso. Egli tuttavia non ne abbandonò mai l'idea.

                Sentendosi la necessità di far conoscere la vita e le opere di San Francesco di Sales, ma apparendo le biografie esistenti disadatte ai giovani o ai tempi, il Beato invitò pubblicamente nel gennaio del '76 i primari Salesiani a comporne due: una per il popolo e per la gioventù, in unico volume di piccola mole, da potersene tenere molte copie nei collegi e nelle sacrestie, e l'altra in due giusti volumi, raccolta dai migliori autori e diligentemente elaborata, per le persone istruite. Era suo avviso che giovasse trarre dai ragionamenti del Santo [438] e porre in azione tutto quello che valesse a confermar il principio cattolico di fronte al principio protestantico. Stampata la Vita, egli aveva in animo di procedere alla stampa delle Opere in comoda edizione; ma intanto desiderava che si pubblicasse presto la Filotea in buon formato, ritoccandola però in guisa che potesse essere “indirizzata alla gioventù ed alle Case di educazione”. Nelle Opere complete ne voleva naturalmente la pubblicazione integrale.

                Ardita impresa questa delle Opere complete di San Francesco in italiano, ma che ci rivela sempre più nel nostro Fondatore la grandiosità delle concezioni; arditezza e grandiosità che ci si appalesano ancor maggiori in un'altra sua aspirazione. Ci fa strabiliare la notizia che egli desiderasse ardentemente di ristampare i Bollandisti. Cade in acconcio parlarne qui, dove si tratta di agiografia. Egli lo disse e ridisse in più circostanze; ma il 7 gennaio del '76 ne ragionò a lungo, esponendo per filo e per segno il suo piano. Buona parte dei lettori ci saprà grado, che presentiamo loro la conversazione tale quale il cronista ce l'ha trasmessa.

                Si discorreva del Migne, della sua Patrologia e dei Bollandisti. Il Beato ripetè più volte: - Intraprendere queste stampe sono opere che proprio mi piacciono. - Poi proseguì: - Io desidererei ardentemente di ristampare i Bollandisti, e l'ho detto in varie circostanze. Ma vedo che quasi si ride alle mie spalle, come di cosa che porta una spesa immensa e che appena potrebbe fare una Società libraria sussidiata dalla munificenza di qualche Re. Ebbene io sostengo che con dodici mila lire di fondo mi sentirei di intraprenderne la stampa, sicuro che si verrebbe a guadagnare assai. Non è che si abbia torto a ridere un po' sull'attuazione dell'impresa; infatti sono tanto oppresso da altri lavori, che per ora mettermi attorno a questo progetto sarebbe un tradire gli altri affari, ma dico che la cosa in sè è attuabilissima. Andrei a Roma per ottenere la benedizione pontificia ed un Breve che mi autorizzasse ed incoraggiasse a ciò; si manderebbero manifesti a tutti i Vescovi [439] della cristianità; ci metteremmo in relazione con tutti i librai d'Italia ed i principali d'Europa; manderemmo attorno alcuni viaggiatori che trattassero personalmente coi nostri corrispondenti. Si farebbe un'associazione avvertendo che chi si associa all'Opera da principio, la otterrà a metà prezzo di quello che costerebbe quando fosse compiuta; e così con l'acquisto che molti farebbero del primo volume, potremmo far fronte alle spese del secondo. Condizione d'associazione sarebbe non pagare tutta l'Opera da principio, ma volume per volume in ragione di tanto per foglio, ed ogni anno uscirebbe un volume. Io credo che con queste precauzioni si arriverebbe a stampare, con un vantaggio immenso per l'Italia e per l'Europa, la più grande delle Opere che si possegga. Ora costa circa due mila lire o almeno almeno mille cinquecento; ed io mi sentirei di darla a seicento lire, prelevando ancora il mio guadagno netto di circa la metà. Quando io posso fare di questi calcoli, ghiribizzare intorno a questi progetti, mi trovo nel mio centro. Certo però che bisognerebbe fare un patto con la morte, che non venisse ad intorbidare le cose fino ad opera compiuta. Saranno sessanta volumi, uno per anno!

                Ingegno pratico per eccellenza, egli, fra i trattati di filosofia e di teologia che nelle scuole dei chierici andavano per la maggiore, non ne rinveniva alcuno rispondente insieme e all'età dei principianti e ai bisogni dei tempi. Ci volevano, secondo lui, testi che unissero brevità, facilità e precisione; quindi sviscerassero bene le questioni fondamentali e vive al dì d'oggi e sfiorassero appena od anche omettessero del tutto le altre, importantissime in se stesse, ma di cui rarissimamente o quasi mai accade di dover parlare. Chiarì il suo pensiero con Don Bertello, che sarebbe stato l'uomo da ciò; questi promise, ma poi non fece.

                Persuaso che la musica è possente mezzo educativo, poche opere musicali trovava che accoppiassero la religiosità con una facile piacevolezza. Recitò pertanto Don Cagliero a far [440] composizioni di vario genere, sacre e profane, ma che avessero le qualità anzidette. Don Cagliero vi riuscì a meraviglia; per lui l'Oratorio gareggiò in edizioni musicali con le prime Case editrici d'Italia.

                All'apostolato della stampa com'egli l'intendeva, erano indispensabili due cose: modicità di prezzi e larga diffusione. Non potè dire la sua ragione sui prezzi, finchè non ebbe una tipografia in Casa. Ne impiantò da prima una modesta, che a poco a poco ingrandì, mettendola a pari con le maggiori di Torino. Nel '75 la tipografia dell'Oratorio contava già dieci macchine, con fonderia di caratteri, stereotipia e calcografia. Nello stesso tempo aperse una libreria minuscola, cresciuta poi a segno da vincerla su tutte le altre di Torino in movimento librario. Al Beato Don Bosco sembrò di toccare il cielo col dito, quando fu padrone di lanciare i libri da lui editi in larga copia e in tutte le direzioni, dandoli a prezzi così modici, che anche le borse meno fornite li potevano comprare.

                Don Bosco andava dicendo da molti anni: - Prima una tipografia, poi una grande tipografia, poi molte tipografie. - Egli visse tanto da vedere con i suoi occhi mortali non solo una grande tipografia, ma anche il moltiplicarsi delle sue tipografie, e accanto ad esse librerie attivissime, che ne smaltivano i prodotti, e tutto questo con un tale crescendo di apostolato della buona stampa, che non si è arrestato mai più.

                Non abbiamo ancora detto nulla delle Letture cattoliche, perchè intendevamo di parlarne a parte, come si conviene ad una pubblicazione che fu costantemente la prediletta del Beato Don Bosco. Quanto non fece egli per diffondere in Italia ai quattro venti le sue Letture Cattoliche! E se è lecito giudicare dal successo, bisogna ritenere che esse rispondessero a reali necessità e che fossero redatte e amministrate in modo da rispondervi adeguatamente. Il 1875 ne segnava il ventitreesimo anno di vita; gli associati sommavano a più [441] di diecimila[178]. Avvicinandosi il tempo di rinnovare le associazioni, il Beato mandò attorno questa circolare.

                Ai nostri benemeriti Corrispondenti e benevoli Lettori.

                Siamo lieti di potervi annunziare, Benemeriti Corrispondenti, e Voi benemeriti Lettori, che le Letture Cattoliche e la Biblioteca dei Classici italiani, più volte raccomandati al vostro zelo, continueranno eziandio ad essere colla stessa regolarità pubblicate nell'anno 1876. Anzi possiamo assicurare che si aggiungerà speciale impegno su quanto concerne la carta, la stampa e la spedizione, e assai più ancora nella scelta delle materie, che saranno, per quanto è possibile, utili, amene, interessanti e morali.

                Abbiamo però bisogno che Voi ci continuiate il vostro appoggio nel promuovere e propagar e queste pubblicazioni in quei modi e luoghi che nella vostra illuminata prudenza giudicherete opportuni,

                Molti Vescovi, Arcivescovi, e lo stesso Santo Padre benedissero e raccomandarono la diffusione di questi libretti; e questo valga ad assicurare la bontà dell'Opera. Poichè le Letture Cattoliche sono dirette al bene della religione; mentre i Classici italiani purgati non potranno a meno che recare utilità alla studiosa gioventù.

                Ognuno badi alle triste conseguenze, che provengono dalla cattiva stampa, e i sacrifizi che taluni fanno per diffonderla, e poi dica in suo cuore: - Se tanto fanno i tristi per diffondere il male, non dovranno i buoni almeno fare altrettanto in favore del buon costume e di nostra santa religione?

                Un alto personaggio, non è gran tempo, ebbe a dire: - Quanto si spende per la diffusione di libri buoni, si può paragonare all'obolo che si porge al poverello affamato.

                Noi pertanto, facendo fidanza sulla vostra cooperazione, preghiamo Dio che vi colmi di sue celesti benedizioni e vi conceda lunghi anni di vita felice, mentre a nome di tutti ho l'onore di potermi professare

                Per la Direzione e pei Collaboratori

Obbl.mo servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Il prezzo dell'associazione non poteva essere più mite: con lire 2, 25 annue si ricevevano dodici fascicoli di circa [442] 108 pagine, più là strenna di un almanacco per l'anno in corso, il famoso Galantuomo: il primo almanacco cattolico pubblicatosi in Europa. Don Bosco ne intraprese la pubblicazione per contrapporlo ad un almanacco dei Valdesi.

                Quello del '75 era un volumetto di 96 pagine, cioè venti di calendario e il resto tutto sugo. Non si creda che fosse un'accozzaglia di amenità o di cose disparate: noi vi scorgiamo che una seria idea unificatrice lo pervade in una ragionevole varietà di argomenti. Vi si sente poi aleggiare da capo a fondo lo spirito del Beato, di cui si avverte ora lo stile genuino ora il tocco della penna. Per questo vogliamo prenderlo in esame.

                Il proposito era di radunare “alcuni fatti che ricordassero glorie patrie o cattoliche”, delle quali cadeva il centenario nel corso dell'anno; ciò viene annunziato in un dialoghetto molto bonario fra il galantuomo e un associato, che intanto vi dicono di gran belle verità. La parte istruttiva si apre subito con un episodio sulla potenza della confessione, confortato da una ben nota citazione del Pellico; vi segue un altro fatterello anch'esso sull'efficacia del medesimo sacramento, col titolo “Anche i ladri stimano i buoni preti”. Il buon prete si sa poi tosto che era San Paolo della Croce, da cui comincia la sfilata dei centenari.

                I primi sei sono questi. Centenario della morte di San Paolo della Croce con una notizia biografica in tre paginette, ridondanti di soave unzione. Centenario dell'elezione di Pio VI al Pontificato, con un cenno edificante sulla fine del conclave, sull'apertura della Porta Santa per il giubileo e sulle virtù del Pontefice. Secondo centenario della prima consacrazione al Sacro Cuore di Gesù, di quella cioè che il Beato Claudio De la Colombiére fece di se stesso, con un'ampia narrazione sulle origini e i caratteri di tale culto, tratta dall'autobiografia di Santa Maria Alacoque: dodici pagine di deliziosa lettura. Terzo centenario della traslazione delle Reliquie dei Santi Martiri Solutore, Avventore ed Ottavio, con le vicende toccate a quelle sacre spoglie e pittoresca descrizione della festa, il [443] tutto intercalato qua e là dall'affettuoso ricordo di glorie sabaude, massime del “nostro duca Emanuele Filiberto”, dice il galantuomo, che del suo duca esalta lo zelo nel “promuovere a tutto potere il lustro della nostra santa religione..., ben sapendo quell'eroe cristiano che la religione cattolica è il fondamento della prosperità degli Stati e che i sudditi non possono essere fedeli al principe se non sono fedeli a Dio”. Quarto centenario di “un fanciulletto italiano martirizzato dagli ebrei”, con il drammatico racconto dell'omicidio rituale compiuto nel corpicino del piccolo Simone da Trento, “città italiana”, come dice ivi il galantuomo in luogo di “città del Tirolo italiano”, del Rohrbaker, dal quale è desunta la narrazione intera. Quarto centenario della nascita del beato Nicolò Albergati, con la storia della sua vocazione religiosa avvolta in una luce simpatica e con le sue gesta in difesa del dominio temporale a Bologna e dei diritti della Santa Sede altrove.

                Viene quindi un centenario singolare: settimo centenario della nascita e sesto della morte di San Raimondo da Pennafort. Nel capitoletto destinato a questo Santo spagnuolo il galantuomo esordisce con un'allusione a Don Carlos, la cui causa, come vedemmo, appassionava molti, ma allusione altamente al di sopra della politica: “Ora che gran parte dei galantuomini d'Europa tengono gli occhi rivolti verso la Spagna, donde sembra voglia sorgere l'astro dissipatore delle nebbie del nord (che appunto perchè nebbie si gonfiano a segno di dire: La vecchia società europea sta Per crollare e nuovi focolari di civiltà si formano Bismark), mi si permetta che io, galantuomo anch'io rivolga i miei occhi verso la Spagna e additi un astro che, sorto nel 1175 da Pennafort, compì il suo giro in cento anni”. Condottolo a insegnare nell'Università di Bologna, il galantuomo ce lo presenta come “uno di quegli uomini, che insegnavano per amor di far imparare”. Finalmente nella chiusa egli tira la conseguenza che “questi sono quegli astri che si debbono aspettare e di cui abbisognerebbe la Spagna”. [444] Non mancano due centenari dal titolo umoristico: “Quanto costava una regina nel 1475”, che è un episodio avvenuto in Inghilterra sotto il regno dei Plantageneti d'Angiò, quando questi sovrani abbandonarono “la politica cristiana del medio evo per seguire lo spirito della politica moderna”, sentenzia il galantuomo, e “Un principe annegato in una botte di malvasia”, altro episodio della storia inglese.

                Torniamo ai centenari sacri. Dodicesimo centenario della morte di Sant’Armando, vescovo di Maestrickt, il quale “come pur fanno i vescovi d'oggidì, osserva il galantuomo, con ferma costanza fece nati al re Dagoberto i suoi vizi; per il che fu esiliato”. Undicesimo centenario della morte di San Romoldo, Vescovo, Patrono di Malines, e decimo di Sant'Adone, Arcivescovo di Vienna nel Delfinato, quello del Martirologio. Altro decimo centenario di... “Come la pensavano mille anni fa gl'imperatori”: sono quattro articoli proposti da Carlo il Calvo all'approvazione di un Concilio adunato a Pavia, per far riconoscere l'autorità e i diritti della Chiesa Romana, del Papa, dei vescovi e del clero.

                Facendosi poi a parlare del quattordicesimo centenario della morte di san Senatore, Vescovo di Milano, il nostro Galantuomo mostra sempre più chiaramente quale sia il patriottismo, accennato nel dialogo introduttivo; comincia infatti così “Ad un cattolico italiano, che gusti le patrie glorie, dopo Roma non v'ha forse nome di città che gli suoni grato quanto quello di Milano”. E lì a sciorinare i vanti religiosi della metropoli lombarda.

                In un episodio di ambizione e gelosia accaduto tredici secoli fa tra due re francesi e fratelli aizzati dalle loro mogli, ci salta fuori questo epifonema: “Com'è difficile trovar cognate che s'amino!”. E dopo, ecco “L'agricoltura praticata da un vescovo nel 475.”. I ruralisti odierni leggerebbero con piacere il vecchio esordio del galantuomo: “Sono da compiangersi certuni, i quali, non so per qual motivo, hanno in dispregio l'utilissima arte dell'agricoltura, e se possono fare dei figliuoli [445] altrettanti maestri comunali, od almeno dar loro un'altra qualunque arte, si tengono per fortunati”. Il Vescovo è Sant'Eutropio di Orange, che si diede all'agricoltura, benchè nobile di nascita, per sovvenire ai bisogni dei poveri diocesani; ma, avverte il galantuomo, “non trasandava mica per questo di aver cura dello spirituale del suo popolo”. Infine, quindicesimo centenario della elezione di San Savino a Vescovo di Piacenza; e anche qui il galantuomo vuol dire la sua. Narrato di un miracolo, dovuto alla fede del Santo, esclama: “Oh, se pur poca di quella viva fede avessimo noi oggidì!”.

                Dopo di che un po' d'insalata russa non dispiace nemmeno alla gravità del nostro galantuomo: fattarelli, motti, curiosità, notizie storiche, qualche nozione di utilità pratica: ma l'olio con cui condisce, è sempre puro olivo, con sale fino e senza droghe.

                Finita la lettura viene spontaneo di chiudere, riporre e conservare, per poi rileggere all'occorrenza ed anche far leggere. È proprio un gioiello.

                               L'annata comprende otto volumi, perchè di quattro le dimensioni sono due volte tanto del normale, con una somma totale di 1536 pagine e una media mensile di 128, cioè venti pagine al mese più del convenuto; una bella giunta alla derrata.

Due di essi portano in fronte il nome del Beato. Noi daremo prima un'occhiata rapida agli altri sei, che, se non furono scritti da lui, si possono considerare come da lui sottoscritti, ossia scelti ed approvati e quindi sotto la sua responsabilità pubblicati. Rappresentano dunque anch'essi un suo pensiero: il pensiero sulla natura degli argomenti e sulla maniera di trattarli, che meglio si addicono alle Letture Cattoliche. Ond'è che non ce ne potremmo disinteressare.

                Il primo della serie, intitolato Goffredo e con la intestazione secondaria Racconto morale per il popolo, è un racconto commovente e molto educativo. Un giovane contadino procura [446] la conversione del padre e di due fratelli, che da molti anni vivevano dimentichi di Dio e della sua legge. Essendo l'autore toscano, vennero annotate a piè di pagina le espressioni meno intelligibili, specialmente allora, alla comune dei lettori subalpini.

                Il secondo volume ha per titolo: La santificazione delle feste in esempi; autore, il canonico Gaetano Costamagna, professore di teologia nel seminario di Saluzzo. Sono centosettantatrè esempi, che in massima parte narrano i castighi, coi quali Dio punì i profanatori dei giorni festivi, specialmente quelli che nelle feste si abbandonano a lavori servili. Il Beato vi ha fatto seguire il Regolamento dell'Opera delle feste, posta sotto il Patrocinio di San Giuseppe e avente il suo centro presso la chiesa di Santa Teresa in Torino. Vi si espongono l'organizzazione dell'Opera, gli obblighi de' suoi membri e le indulgenze a lei concesse dal Sommo Pontefice Pio IX con Breve del 14 maggio 1861. Si aggiunge il programma di associazione alle Letture Cattoliche.

                Una supplica, sottoscritta da un milione di sacerdoti e fedeli con a capo cardinali e vescovi, aveva domandato a Sua Santità di consacrare solennemente il mondo al Divin Cuore di Gesù. La preghiera fu esaudita: il 22 aprile 1875 la Sacra Congregazione dei Riti approvò l'atto di consacrazione e il Papa concesse l'indulgenza plenaria, applicabile alle anime del purgatorio, a chiunque pentito, confessato e comunicato, lo recitasse il 16 giugno o, visitando qualche chiesa, pregasse per alcun tempo secondo l'intenzione della Santità Sua. Noi abbiamo detto della cerimonia compiutasi per tale ricorrenza nella chiesa di Maria Ausiliatrice. Il Beato Don Bosco aveva ispirato a Don Bonetti di scrivere per l'occasione un opuscolo sul Sacro Cuore. Don Bonetti aderì, dando alle Letture Cattoliche in giugno il quarto volume, intitolato: Il Cuor di Gesù nel secondo centenario della sua rivelazione. Egli vi propone i motivi, per cui si deve amare ed onorare il Sacro Cuore di Gesù; quindi accenna all'origine, alle vicende, alla [447] propagazione e allo scopo di questa divozione. Segue il programma di associazione alle Letture Cattoliche e alla Biblioteca della Gioventù.

                Il sesto volume è del padre Carlo Filippo da Po rino ed ha per titolo: L'acqua benedetta. Fa séguito ad un altro sul Segno della Croce, pubblicato nel fascicolo dell'aprile 1872. L'autore, date alcune nozioni intorno ai Sacramentali, espone il rito per fare l'acqua benedetta ordinaria e tratta degli effetti salutari e mirabili prodotti dall'uso di quella, respingendo a suo luogo la calunnia dei protestanti, che la Chiesa abbia preso questo rito dai pagani.

                Il settimo contiene due opuscoli: La verità della religione cristiana pel barone Manuel di S. Giovanni, e Pensieri d'un laico sul Cristianesimo per Sebastiano Vallebona. Il secondo è a dialogo fra un parroco e un suo parrocchiano. In entrambi si confutano anche errori dei protestanti.

                L'ottavo è il Fernando Cortez di Don Lemoyne, con la storia della scoperta del Messico. Alle svariatissime avventure dell'audace guerriero l'autore intreccia la descrizione dei costumi, monumenti e riti religiosi dei messicani e la narrazione degli sforzi fatti dal Missionario cattolico per frenare l'indole impetuosa del conquistatore e addolcire le sorti del popolo vinto. Il racconto, condotto sulla scorta di buoni autori Spagnuoli, si legge con utilità e diletto.

                Il terzo e il quarto volume sono del nostro Beato. Il terzo s'intitola: Il Giubileo del 1875. Sua istituzione e pratiche divote per la visita delle Chiese. Il libro non era nuovo del tutto. Il Servo di Dio nelle Letture Cattoliche del novembre 1854 aveva pubblicato, per il Giubileo straordinario di tre mesi indetto da Pio IX, un opuscolino diviso in tre parti: Enciclica del Papa, quattro dialoghi, e visite delle chiese. Nel 1865, per un altro Giubileo straordinario di un mese, ripubblicò il suo libretto, sostituendo naturalmente la nuova Enciclica alla precedente. I Dialoghi di quattro sono diventati sei, perchè l'autore, rimaneggiando i due primi, di due ne ha fatti quattro. Per [448] la visita di tre chiese nell'altro proponeva tre meditazioni: pensiero della salute, pensiero della morte, giudizio. In questo presenta due serie di tre meditazioni, ponendo nella seconda serie le tre meditazioni suddette; e nella prima tre nuove: confessione, comunione, limosina. Finalmente, dove il primo si chiudeva, con una Coroncina ad onore dell'Immacolato Concepimento di Maria e con la lode “Cuor di Maria che gli Angioli” del Pellico, il secondo termina con due esempi di grazie concesse dalla Madonna. È da notare che il Giubileo del '54 aveva anche per iscopo d'implorare i lumi celesti al Pontefice perchè potesse recare al più presto sulla Immacolata Concezione della Madre di Dio una decisione che ridondasse alla maggior gloria di Dio e della Vergine stessa; e il Giubileo del '65 fu indetto nel decimo anno della definizione dogmatica.

                Veniamo ora al Giubileo dell'Anno Santo. Il Beato utilizzò il contenuto del suo secondo opuscolo, mettendo l'Enciclica del '75 al posto di quella del '64 e aggiungendovi la Lettera Pastorale di mons. Lorenzo Gastaldi che spiegava le condizioni e le grazie del Giubileo; e, poichè le chiese da visitare erano quattro, ne scelse le seguenti meditazioni: confessione, comunione, limosina, pensiero della salute: ma a queste premise una brevissima istruzione sulle intenzioni della Chiesa nel promulgare il Giubileo, sui favori concessi e sulle condizioni per acquistare l'indulgenza plenaria. Dal volume estrasse contemporaneamente un manualetto per l'uso pratico, includendovi solo questa istruzione e le quattro meditazioni. E il manualino fu distribuito ai giovani, perchè se ne servissero nelle visite alle chiese e lo serbassero poi come ricordo. Il Beato in favore dei giovani dell'Oratorio e dei collegi aveva chiesto alla Sacra Penitenzieria la commutazione delle visite, per la ragione che non si potevano fare le processioni, essendo proibite. Il Sacro Tribunale non credette di accordare l'indulto. A facilitare però l'acquisto del Giubileo concesse che le processioni si facessero nel miglior modo possibile,  [449] anche senza Croce e senz'alcuna insegna ed anche in separati gruppi. Così i giovani dei collegi Salesiani si recavano a squadre, come per il passeggio, alle chiese designate dai rispettivi Ordinari dei luoghi, e là si radunavano e tutti insieme pregavano secondo che era detto nell'Enciclica dei Somino Pontefice[179].

                La parte più originale è costituita dai dialoghi, dei quali ecco i titoli: 1° Del Giubileo in generale. 2° Del Giubileo presso gli ebrei. 3° Il Giubileo presso i cristiani. 4° Prima pubblicazione solenne del Giubileo, ovvero anno santo. 5° Delle indulgenze. 6° Acquisto delle indulgenze. Interlocutori sono un parroco che rappresenta qui la fede viva e la bonarietà amabile del Beato, e un suo parrocchiano, convertito di fresco dal protestantesimo e desideroso di essere illuminato sui punti dogmatici che hanno attinenza con l'istituzione giubilare. Nelle brevi parole al lettore e in tutte tre le redazioni, con lievissime varianti, Don Bosco dice: “Mi sono fatto coscienzioso dovere di consultare i più antichi e i più accreditati scrittori fermo di nulla trascrivere, che presentasse alcun dubbio. Ciò servirà a confutare l'accusa che alcuni poco istruiti nella loro religione muovono alla Chiesa Cattolica, come se il Giubileo e le sante indulgenze fossero istituzione degli ultimi tempi”. Nei singoli dialoghi ha cura di citare gli autori consultati.

                Il Servo di Dio intitolò l'altro suo lavoro: Maria Ausiliatrice, col racconto di alcuna grazie ottenute nel Primo settenio della Consacrazione della Chiesa a Lei dedicata in Torino. Lo divise in due parti. Nella prima narra dell'origine della divozione a Maria Ausiliatrice, racconta come fu costruita la chiesa, descrive la chiesa stessa e le feste della Consacrazione; nella seconda riporta i documenti di centotrenta grazie concesse dalla nostra cara Madre, omettendone moltissime per difetto di spazio. Conclude con alcuni cenni intorno [450] all’Arciconfraternita dei divoti di Maria Ausiliatrice eretta nella chiesa omonima, compilati dal Beato.

                Due anni dopo si fece di questo libro una seconda edizione. Nel maggio dello stesso anno 1877 il fascicolo delle Letture Cattoliche era un'altra sua raccolta di grazie intitolata La Nuvoletta del Carmelo e stampata a Sampierdarena con l'approvazione ecclesiastica della Curia di Genova. L'Ordinario di Torino, avuta tra mano la nuova pubblicazione ed esumata la vecchia del '75, scrisse una vibrata lettera al Servo di Dio. “Si narrano fatti, diceva egli, che si presentano come Soprannaturali avvenuti in questa mia diocesi, riguardo ai quali correrebbe all'Arcivescovo l'obbligo accennato dal Concilio di Trento nella Sessione 25, capo De invocatione sanctorum. Prego quidem ufficialmente V. S. a dirmi se quei fatti erano appoggiati a tali testimonianze da poterne fare maturo esame dalla mia Curia[180]”. Il Beato gli rispose così:

                               Eccellenza R.ma,

                Nel libretto intitolato Maria Ausiliatrice uscito dalla tipografia Salesiana di Torino qualche tempo fa e nell'altro intitolato La Nuvoletta del Carmelo ho narrato alcuni fatti, che sono pervenuti a mia notizia, credendoli ben fondati e tali che vi potesse essere qualche utilità a farli conoscere. Nel fascicolo stampato a S. Pier d'Arena mi sono rimesso interamente alla revisione ecclesiastica di quell'Archidiocesi; quello poi stampato in Torino fu parimenti sottoposto alla revisione ecclesiastica, nè si diede al medesimo alcuna pubblicità se non dopo l'autorizzazione della stessa nostra Curia Arcivescovile.

                Noto poi che in questi libretti mi sono letteralmente tenuto alla esposizione fatta e sottoscritta da chi dichiara aver ottenuto tali grazie, e mi sono gelosamente astenuto dal qualificare quei fatti come soprannaturali; io non ho attribuito loro nessuna autenticità, nè indotto chicchessia a dare ai medesimi altra fede, che quella che si merita uno scrittore prudente. Ho creduto di aver seguito in ciò fedelmente le ingiunzioni di Papa Urbano VIII a questo proposito emanate, colla dichiarazione da me premessa in fronte a quei libri. Mi fo lecito di persuadermi che ho tenuta la strada praticata da tutti coloro che scrivono Vite di Santi, o raccontano fatti che possano [451] tornare a bene dei lettori e a venerazione e fiducia dei protettori celesti, e ignoro che tale uso sia stato riprovato da nessuno.

                A mia discolpa credo di osservare di non aver dato nessun appiglio a chicchessia di pensare che i libri suddetti siano stati approvati in questa Curia Arcivescovile di Torino, e molto meno che questi siano stati esaminati ed approvati canonicamente da questa o da qualsiasi altra autorità ecclesiastica.

                Io credo di essermi giustificato sufficientemente; in ogni caso però mi dichiaro sempre pronto a ritrattare qualunque cosa io avessi fatto contro il mio dovere e contro i diritti di V. Eccellenza Ill.ma e Rev.ma.

                Colgo questa occasione per raccomandarmi alla bontà ed indulgenza di V. E. Ill.ma e Rev.ma, ed alle premure del suo zelo, onde siano spediti con qualche sollecitudine dai RR.mi Revisori i libretti che man mano si vanno presentando, perchè a pregiudizio di quest'opera non ne vada interrotta la stampa.

                Col più profondo ossequio baciandole le mani mi professo

                Di V. E. Ill.ma e Rev.ma

                Torino, 18 maggio 1877.

Umil.mo servitore

Sac. GIO BOSCO.

 

                L'Arcivescovo non rimase contento di queste spiegazioni; onde tornò alla carica. “Io come Arcivescovo sono obbligato di esaminare i fatti che si narrano avvenuti per intervento soprannaturale della Onnipotenza di Dio nella mia Archidiocesi, per quindi conchiudere se questi fatti siano reali e realmente da attribuirsi ad alcuna delle classi dei portenti o miracoli Così reputo mio obbligo gravissimo di esaminare le narrazioni dei fatti soprannaturali che si dicono avvenuti nella mia Diocesi ad invocazione di Maria Santissima onorata come Ausiliatrice dei Cristiani nella Chiesa di V. S., in Torino”. Lo invitava pertanto a produrre le prove di quelli che credeva dimostrabili[181].

                Il lato debole della tesi arcivescovile stava nell'arbitraria interpretazione del decreto tridentino. Non trattasi ivi di ogni specie di miracoli, ma soltanto di quelli, che si attribuiscono ai Servi di Dio non ancora beatificati o canonizzati. [452] Così lo spiega Benedetto XIV[182]. Dunque non era applicabile ai miracoli e benefizi, che nei libretti censurati si dicono avvenuti per intercessione di Maria Santissima, la cui canonizzazione non si può davvero mettere in dubbio.

                Di questa controversia si racconterà tutta la storia a suo luogo. Qui ne diremo solo quel tanto che si riferisce al volume in questione.

                Il Servo di Dio si vide costretto a prepararsi una difesa modis et formis, la quale mandò alla Sacra Congregazione dei Riti nel '78 per iscagionare sè e l'opera sua, nell'eventualità di un ricorso a Roma da parte dell'Ordinario, come l'esperienza gl'insegnava poter succedere da un momento all'altro. Nè mal si appose. Infatti, essendo anche nel maggio del '79 uscito dalla tipografia di Sampierdarena per le Letture Cattoliche un volumetto di Don Lemoyne con cinquantatrè narrazioni di grazie ricevute, Monsignore prese i tre opuscoli, ne fece un pacco e li spedì al cardinal Bartolini, Prefetto della Sacra Congregazione dei Riti, accompagnandoli con una sua lettera, che principiava così: “Presento a V. Em. i Libri, in cui sono contenute le narrazioni di prodigi che si pretendono operati in Torino nella chiesa di Maria SS. Ausiliatrice, od operati altrove per la intercessione di Maria SS. invocata sotto il titolo suddetto; ed intorno ai quali io scrissi già al S. Padre, e poi anche a V. Eminenza, la quale gentilmente mi assicurò per lettera, che, ricevuti i Libri, avrebbe procurato un diligente esame di questo delicato ed importantissimo affare”.

                Il volumetto di cui ora ci occupiamo, l'unico stampato a Torino, e quivi pure ristampato, porta in fine tanto di approvazione ecclesiastica. Come si spiega ciò? Lo dice Monsignore al Cardinale: “Il primo di questi Libri... ha in fine queste parole: Con permesso dell'Autorità ecclesiastica. Questo permesso [453] consisteva tutto nell'avere il Padre Saraceno della Congregazione di S. Filippo, che esaminò il libro, dichiarato, che esso non trovava alcun impedimento alla stampa. Ma nè l'Arcivescovo, nè il Vicario Generale, nè alcuno degli Ufficiali della Curia aveva colla sua sottoscrizione licenziato il libro alla stampa[183]”. Il Padre Saraceno era pure stabilito Revisore sinodale dallo stesso Arcivescovo! Diremo di più: il libro era stato rimesso al P. Saraceno dalla Curia stessa per la revisione. Don Berto depone di aver visto la lettera originale dei teologo Maffei, scritta a nome dell'Arcivescovo al sullodato Padre. Nè si pensi che fra l'edizione del ‘75 e quella del '77 corressero differenze di rilievo: no, esse s'assomigliano come due gocce d'acqua.

                Il Cardinale rimise il plico a monsignor Salvati, scrivendo di suo pugno sulla busta: “1° luglio 1880. L'egregio Monsignor Promotore della Vede osservi i qui acclusi libretti e vedrà che l'Arcivescovo di Torino non ha torto. D. Card. Bartolini Pref.”.

                Al Beato non sappiamo in qual forma giunse comunicazione di questa denunzia; onde si fece stendere dal Padre Rostagno della Compagnia di Gesù una memoria, che inviò al medesimo Cardinale insieme con una copia di quella del'78. Accompagnò con questa lettera il plico.

 

                               Eminenza Rev.ma,

 

                Mi rincresce assai che un fatto privo di fondamento abbia già dato tanti disturbi alla S. Sede ed ultimamente sia anche andato a disturbare la E. V. già cotanto occupata del bene della Chiesa universale. Qui ho procurato di dare i dovuti schiarimenti sulle cose che precedettero ed accompagnarono la spiacevole vertenza, che credo senza alcun fondamento.

                Ad ogni modo io sono sempre stato e spero di essere costantemente in avvenire umile figlio di S. Chiesa; ubbidiente e sottomesso ad ogni ordine, consiglio od avviso che mi venisse dalla E. V. o da altra autorità che emani dalla S. Sede. [454]

                Dio conservi in buona salute la E. V. Le preghiere dei Salesiani e dei loro allievi sono ogni giorno innalzate al cielo con questo fine.

                Colla massima venerazione invoco la sua santa benedizione, mentre reputo al più alto onore di potermi professare

                Della R. V. Rev.ma

                Dalla nostra Casa di Nizza Monferrato

                17 agosto 1880.

Obbl.mo servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Scrisse pure a monsignor Salvati, Promotore della Fede: ma non abbiamo il testo della lettera, sebbene possiamo arguirne il tenore dalla cortesissima risposta[184]. Il Cardinale (si pensi alla canicola!) in un momento di malumore vergò sulla busta queste righe: “23 agosto 1880. Monsignore Assessore osservi bene se il sig. D. Bosco con tanti atti di umiltà abbia voluto, come pare a me, dar la lezione alla S. C. dei Riti col voto del suo Consultore ed allora conviene rispondergli per le rime dal Ministero Fiscale. D. Card. Bartolini Pref.°”. L'umiltà è nella lettera del Beato; la lezione dovrebbe essere nel “voto del suo Consultore”, cioè nella consultazione o memoria del padre Rostagno. Ma la lezione, se mai, è data ad una semplice Curia diocesana, alla presenza di una Congregazione romana giudicatrice. Comunque sia, la pratica andò a finire negli archivi, donde fu tratta durante i processi apostolici, che la seppellirono. Se ne riparla dopo mezzo secolo, perchè si vegga come gli amici di Dio passino davvero in questo mondo per multas tribulationes; e come Dio faccia vedere al mondo che attraverso a quelle li ha trovati dignos se.

                Il Servo di Dio due anni prima che nascesse questa briga, si consolava tutto, pensando ai buoni effetti che il suo libro produceva. Don Barberis nella sua preziosa cronachetta, sotto il 5 giugno '75, scrive: “Don Bosco dopo cena nel refettorio venne a parlare del fascicolo delle Letture Cattoliche di maggio, nel quale si narrano le tante grazie concesse da Maria SS. [455] Ausiliatrice. - Dopo questa pubblicazione e specialmente nella novena, accaddero tante altre meraviglie, che già potrebbero formare un altro libretto da intitolarsi: Nuove meraviglie di Maria Ausiliatrice; oppure, aggiungendosi alcune preghiere e pratiche di pietà, dirlo: Manuale dei divoti di Maria Ausiliatrice. Del fascicolo stampato molti Vescovi mi scrissero lettere di commendazione, facendone elogi straordinari[185]. Ne avevo mandata copia a tutti i Vescovi d'Italia. Ciò serve a far crescere gli associati alle Letture Cattoliche -”.

                Delle quali Letture Cattoliche noi abbiamo voluto esaminare partitamente l'annata del '75, non escluso l'umile almanacco, e ci sembra di poter asserire che quattro note caratteristiche contrassegnano i singoli fascicoli: sono popolari, sono istruttivi, sono edificanti, sono opportuni. Qui stette il segreto della possente vitalità che godettero per tanto tempo le modeste Letture Cattoliche, tanto care al cuore apostolico del Beato Don Bosco; questo sarà, speriamo, il lievito della loro auspicata palingenesi.

 

 

CAPO XX. Nella riapertura dell'anno scolastico.

 

                TORNIAMO a vedere il Beato Don Bosco tra i suoi figli dell'Oratorio poco dopo la riapertura dell'anno scolastico. Chi lo osservava in mezzo a loro, senza sapere tutto quello che noi siam venuti narrando, avrà pensato che egli non avesse altro da fare al mondo che badare ai suoi ragazzi. Di quel periodo ci restano solo poche "buone notti" che però sono sufficienti a mostrarcelo nell'atto d’incamminare i giovani a cominciar bene le cose loro.

                Gli artigiani trovarono sciolta la passata banda musicale. Ultimamente la sua indisciplinatezza aveva dato non pochi fastidi ai superiori; laonde, preso quel rimedio radicale, il Capitolo dell'Oratorio presieduto da Don Rua, verso la metà di ottobre discusse a due riprese uno schema di regolamento, che fu presentato a Don Bosco e da lui approvato. Si stabilì fra l'altro che a far parte del corpo musicale entrassero anche alcuni confratelli.

                Anche gli studenti trovarono una piccola novità: i ritornati e i nuovi arrivati ricevevano nella loro entrata un biglietto, che serviva loro per presentarsi nello studio, in refettorio e in camerata. Tale usanza non si dismise più.

                L'ingresso generale era fissato per la metà di ottobre; ma si sa bene che ci vuol sempre un po' di tolleranza, come si rileva anche qui dalle parole del Beato. Egli, assente già da molti giorni, arrivò quando la massima parte era a posto. Recò ai presenti il saluto paterno la sera del 20 ottobre.  [457] Com'era da aspettarsi, il suo dire finì nell'invito a fare una buona confessione.

 

                Ecco che ci rivediamo di nuovo, miei cari giovani. Voi arrivate da lontano ed anch'io arrivo. Godo nel vedere che in questi due giorni siete già rientrati in così bel numero. Ora in poco tempo arriveranno anche gli ultimi che o si lasciarono far paura dalla pioggia di oggi, o non poterono ancora partire da casa per qualche altro motivo. Quindi s'incomincerà subito ogni cosa regolarmente, come si continuerà poi per tutto l'anno.

                Vi dico davvero che io sono contento e godo, come gode un padre nel veder crescere la sua famiglia. Voi però, siccome siete stati nei campi e nelle vigne ed avete fatto viaggio, vi sarete impolverati e anche inzaccherati e chi sa che alcuno non sia caduto nel fango, rimanendo interamente imbrattato. Bisogna adunque che subito subito diate mano alla spazzola e procuriate di pulirvi, affinchè non abbiate a fare cattiva figura. Voi già ben capite di quali zacchere e di quale spazzoletta io parli. O più o meno, lungo le vacanze vi siete macchiati di difetti o di peccati. Alcuni non avranno che polvere, e per questi in un momento la cosa è fatta; non hanno che da togliere quel po' di polvere, cioè quei difettucci che pur troppo tutti hanno e che lungo le vacanze compaiono più che in altri tempi; e la cosa seguiterà bene come prima. Altri poi avranno macchie più o meno gravi: costoro non lascino che queste facciano presa nel loro cuore, ma si mettano subito di buona volontà; finchè la piaga è recente, più presto è sanata. Si adoperi ben belle la spazzola della confessione e si metta tutto a posto.

                Ora poi che le cose non sono ancora tutte sistemate, si procuri di evitare ogni disordine. Ciascuno abbia pazienza se gli manca qualche cosa, o se non la si può provvedere come si desidererebbe. Buona notte.

 

                Tornò a parlare la sera del 22. Pur usando altri termini, ribadì il suo argomento della confessione. Gli premeva troppo che tutti nella Casa fossero in grazia di Dio per meritare le benedizioni celesti sul nuovo anno.

 

                A Jove principium. Ricordate sempre, miei cari figliuoli, questa massima già tenuta persino dai pagani, che nelle vostre azioni bisogna sempre cominciare dal cielo. Si incomincia l'anno scolastico; si procuri di cominciarlo bene. C'è quel proverbio antico che dice: Dimidiunt facti, qui bene coepit, habet, e che il poeta traduce bene in italiano: Chi ben comincia è alla metà dell'opera; continuando poi: Non si comincia ben, se non dai cielo. Ora se è vero, come è verissimo,  [458] che quando uno comincia bene è come se fosse già alla metà dell'opera, considerate quanto importa il cominciar bene. Ma se desiderate di cominciar bene, bisogna che ciascheduno incominci a mettersi in grazia di Dio, se non lo è ancora; poi che domandi proprio di cuore al Signore la grazia di poter continuar bene, promettendo che occuperà bene il tempo e non si servirà mai e poi mai dello studio per offenderlo: ma anzi vorrà offerire tutto quello che fa o sarà per fare a maggior gloria di Dio per la salvezza dell'anima sua e di quella del prossimo.

 

                La "buona notte" del 26 tocca il vivo, rappresentando in modo insinuante ed efficace le gravi conseguenze a cui andrebbe incontro chi fin da principio non si mettesse a far bene. Si agiva con ponderazione; ma la sorte dei refrattari era decisa. Con la minaccia tempestiva e paterna dei Beato coincide un'osservazione espressa da Don Barberis nella sua piccola cronaca di quest'anno: “Vi ha regola nella Casa, scrive, di non tollerare assolutamente fra noi giovani discoli che in qualche modo possano dare scandalo ai compagni. Un solo cattivo discorso o atto immorale è sufficiente per far allontanare il colpevole dalla Casa. Ma ciò non si può eseguire senza prima parlarne con Don Bosco, e il giovane stesso, conosciuta la sentenza che gli pende sul capo, corre da Don Bosco a pregare e a supplicare perdono”.

                Calza anche a proposito ciò che il medesimo Don Barberis scrive Sotto il 23 gennaio del '76: “In quanto ai giovani, nei casi di offese alla moralità, si procede con ogni rigore. Basta sapere con certezza che si sono fatti discorsi cattivi o venir a conoscere atti anche non del tutto gravi, anzi direi, di sola fanciullesca malizia, perchè senza più si allontanino dalla Casa i colpevoli. Modicum fermentum totam massam corrumpit”, Ciò non significa che si ricorresse subito a espulsioni; Don Bosco dice qui, e i registri lo confermano, che, dove non ci fosse periculum in mora, certuni si eliminavano bellamente durante le vacanze.

                Al buon andamento, oltre i voti di condotta, giovavano moltissimo le conferenze che i superiori dell'Oratorio tenevano [459] ogni domenica dalle sei e mezza pomeridiane alle sette e mezza. Questo era la ruota maestra per far andare avanti le cose a dovere. In tali conferenze, formate dai membri del Capitolo locale e presiedute da Don Rua, i capitolari subivano una specie di mutuo esame sulla diligenza che mettevano nell'invigilare, ognuno entro la sfera della propria azione. Così tornava agevole prevenire disordini e rimediare a quelli avvenuti; così i superiori s'intendevano fra loro per operare con lo stesso metodo e con un solo spirito; così tutti rimanevano informati di quanto fosse accaduto; così infine mediante i consigli suggeritigli dai più provetti si aveva una vera scuola di prudenza, massime nell'andar adagio a prendere deliberazioni, quando le cose fossero un po' dubbie. Negli affari poi di maggior importanza la parola decisiva si riservava sempre a Don Bosco. Tanto traspare da un registro di verbali che sebbene ridotti alla più semplice espressione, pure sono assai preziosi per gli anni, dei quali noi ci occupiamo.

                Il numero vostro è ancora cresciuto. Oggi si incominciarono tutte le cose regolarmente. Dicono così che un uomo avvertito ne vale cento. Dunque ora che siamo a tempo, bisogna che io vi avvisi di alcune cose. E prima di tutto tenete bene a mente che si incomincia subito ora e si continua tutto l'anno a dare i voli di studio, di scuola, di dormitorio, refettorio e simili. Chi non si regolasse bene, riceverebbe un voto scadente e si sentirebbe nominare in publico, in faccia a tutti gli altri, con sua gran vergogna; chi non si sente nominare è segno che sul conto suo le cose vanno bene. Quelli poi che prendono voti scadenti, bisogna anche che sappiano, come saranno tollerati per un po' di tempo: ma poi non più. Mi rincresce, ma bisogna che tutti gli anni così si faccia con qualcuno, costretti a consegnarlo alla porta e a dirgli: - Là, guarda, tu non fai più per l'Oratorio. - Con altri si tollera un po' di più è si lascia andare alquanto più avanti per vedere se si ravvede; ma voi sapete quello che dice il proverbio: La secchia va tanto nel pozzo, che al fine vi lascia le doghe; cioè che una cosa unita all'altra fa una cosa grossa. Taluno si lascerà andare fino al fin dell'anno, ma a questo punto compaiono le marachelle unite insieme, si dà un voto scadente e poi lungo le vacanze gli si deve mandate un bigliettino a casa, dicendogli che si fermi pure a far le vacanze lunghe, perchè nell'Oratorio non c’è più posto per riceverlo. Così pur troppo sì dovette fare anche quest'anno e [460] se ne vedete mancare varii, si è anche per questo. Ora voi siete avvisati a tempo e spero che a nessuno di voi dovrà accadere questo.

                Nè credetevi che i voti che si danno settimana per settimana non abbiano ancor valore anche dopo più anni. Vi debbo dire che avviene con gran frequenza ciò che mi avvenne solo ieri o ier l'altro. Mi si presenta qualcuno, per lo più colla sua bella barba; io non lo riconosco più: egli mi saluta per nome e mi dice: - Non si ricorda più? Sono il tale, stato già tanto tempo nell'Oratorio. Ora abbisogno di un attestato di buona condotta. - Come fare? Io non fo altro che aprire i registri: saranno di 10, saranno di 15 o 20 anni fa; e secondo i voti, fo l'attestato, perchè altrimenti è impossibile ricordarci.

                Sappiatelo adunque che i voti si conservano e anche dopo tanti anni servono ancora di testimonianza in favore o contro di voi. Non voglio però che vi mettiate a prendere buoni voti, solo per isfuggire la vergogna, o per non essere castigati, o mandati via. C'è un altro motivo superiore a questi che vi deve spingere ed è la buona coscienza. Imparate a fare tutte le cose buone, perchè piacciono al Signore, il quale ve ne darà il premio, ed a fuggire le cose cattive, perchè al Signore dispiacciono e di queste vi castigherebbe. Facendo così sapete che cosa ne avverrà? Voi farete buona riuscita, sarete contenti, rispettati, amati su questa terra e quel che è più, vi preparate un bellissimo guiderdone lassù nel cielo, come spero e prego che avvenga a me ed a tutti voi insieme. Buona notte.

                La novena dei Santi ispirò al Beato una calda esortazione per la sera del 27. Ricordando Savio, Magone, Besucco, avrà detto assai più di quanto è accennato nella relazione conservataci. Di Domenico Savio specialmente non soleva far menzione senza intenerirsi. Don Trione attesta che, incontratolo una volta mentre camminava assorto nella correzione di bozze per la ristampa della nota biografia, si sentì dire dal Servo di Dio: - Vedi, ogni volta che fo questo lavoro, mi tocca pagare il tributo delle lacrime. -

                Siamo nella novena di tutti i Santi. Io desidererei tanto tanto che vi metteste tutti di grande impegno per farla bene. E sapete perchè? Lungo l'anno cade la festa del santo di cui portate il nome e voi fate festa in quel giorno. Ebbene nella festa d'Ognissanti cade la festa di tutti voi, di tutti i vostri nomi: dovete perciò prepararvi a farla bene. Oh quanti giovani vi sono già nel cielo, i quali si fecero santi, ed erano di carne ed ossa come noi! Anzi dirò di più; quanti giovani vi sono già in cielo, i quali non solo erano uomini come noi,  [461] ma vivevano in questa Casa in cui vivete voi, passeggiavano sotto questi portici, pregavano in questa chiesa, erano soggetti alle stesse regole ed ai medesimi Superiori. Essi si fecero santi, ora sono in paradiso, come abbiamo tutta la fiducia di sperare che sia avvenuto a Savio Domenico, Magone, Besucco ed a tanti altri. Or noi dobbiamo dire: Si isti et illi, cur non ego? Se si fecero tanto buoni quei là che erano nelle stesse circostanze che noi, perchè non lo potremo noi ancora? Animiamoci, figliuoli miei cari, animiamoci molto per battere la via della salute; e se ci tocca patire qualche cosa o di caldo o di freddo o incomodi di sanità o altro; oppure se dovrete farvi molta violenza per ubbidire, studiate o temperare il vostro carattere, fatelo con grande coraggio, fatelo volentieri, perchè in compenso della poca pena sofferta su questa terra ci meriteremo un guiderdone imperituro nel cielo.

                La "buona notte" del 28 ci è riferita con maggior copia di concetti che non la precedente. Il Servo di Dio viene in aiuto a' suoi giovani, perchè facciano bene l'esame della loro coscienza e si preparino con forti propositi a celebrare divotamente la festa dei Santi.

                Siamo inoltrati già nella novena dei Santi. Questa festa solennissima si avvicina a gran passi. Oh se tutti i miei cari figliuoli pensassero un po' sul serio al modo di farsi santi! Io vorrei che ora faceste tutti una cosa. Ciascuno pensasse: - Che cosa è che più di tutto mi abbisogna per farmi santo? - E notasse il vizio che più lo domina e che perciò più lo allontana dal suo scopo; o la virtù di cui più abbisognerebbe e più lo aiuterebbe a raggiungere questo scopo; e poi dicesse risolutamente: - Voglio fare questo regalo al Signore in così bella festa: cercare di sradicare dal mio cuore quel difetto e di porvi al posto quella virtù. - Io vi assicuro che, così facendo, il Signore sarebbe molto contento di voi.

                Tuttavia prima di ogni altra cosa bisogna diligentemente esaminare la vostra coscienza e cominciare a togliere da essa, se per caso vi fosse, qualche cosa di grave; perchè se voi vi deste pena di tappezzare bene le pareti d'una camera anche ammobigliata con ogni lusso, mentre nel bel mezzo vi fosse un immondezzaio o altra cosa schifosissima, voi fareste ridere, e si direbbe: - Comincia a togliere quell'immondezzaio e poi addobberai la camera. - Così è dell'anima vostra: se alcuno avesse il peccato grave sulla coscienza e volesse sforzarsi a togliere i piccoli difettucci, costui non farebbe bene; per agire da savio bisogna togliere il peccato e poi si penserà ad ornarla sempre più bene. [462] Il Signore ad un giovane che voleva salvarsi disse: Si vis ad vitam ingredi, serva mandata. Notate che prima di tutto disse: Si vis, il che vuol dire che per salvarsi per la prima cosa, bisogna volere; ma non volere come si dice del pigro, che vuole e non vuole, vult et non vult piger, ma volere fermamente, perciò mettersi proprio di buon proposito. E che cosa fare? Serva mandata. Voi che studiate il latino, sapete che serva è modo imperativo del verbo servo, servas, servavi, che vuol dire “osservare”. Dice adunque: Osserva i comandamenti della santa legge di Dio. E se noi potessimo interrogare tutti quelli che sono nel cielo e domandassimo loro che cosa fecero per venire in un luogo così fortunato, tutti direbbero: - Abbiamo osservato i comandamenti. - Se invece potessimo aprire l'inferno e domandassimo a coloro che là entro precipitarono, perchè si sono dannati, risponderebbero: - Non abbiamo osservato i comandamenti. Ora io dico a voi: volete salvarvi? Sì, è certo. Non c’è nessuno tanto minchione che dica: Io non voglio salvarmi. Ebbene, osserva i comandamenti. E se non li osservo? Miei cari, non c’è via di mezzo, costui si danna.

                 - Ma costa fatica!

                Ma tutti quelli che sono nel cielo, la superarono questa fatica. Adesso sono lassù che godono e dicono: Oh come fu poca quella fatica, quello che abbiamo sofferto, in confronto di quanto godiamo ora e godremo per tutta l'eternità! I dannati invece dicono: Abbiamo voluto fuggire un po' di fatica e adesso peniamo orribilmente e peneremo per tutta l'eternità.

                E chi sono coloro che non osservano i comandamenti? Non li osserva, per esempio, uno che in chiesa non sta ben composto, o non prega, e chiacchiera con altri. Non li osserva chi non sa sopportare i difetti dei compagni ed è sempre in rissa con qualcuno. Non li osserva chi va ai Sacramenti svogliato, senza divozione, o peggio chi non avesse un vero dolore dei suoi peccati. Non li osserva chi pronuncia bestemmie, chi non santifica le feste, chi non obbedisce e via discorrendo. Fate adunque passare uno per uno i comandamenti della legge di Dio, esaminate bene tutto ciò in che avete mancato, confessatevene, proponete proprio di non mancarvi più per l'avvenire. Così metteremo in pratica quel che disse il Divin Salvatore: Si vis ad vitam ingredi, serva mandata. E se qualche volta l'osservanza vi riesce grave, dite: Momentaneum quod cruciat, aeternum quod delectat; per un po' di pena posso guadagnarmi un'eternità di godimento. Su adunque, miei cari figliuoli, mettetevi proprio di buon animo e vedrete che il Signore vi aiuterà e farà in voi ciò che da voi non potete fare. Buona notte.

                Il 5 novembre andò a parlare di san Carlo, la cui festa nell'Oratorio era stata trasferita alla domenica seguente. [463] Parlò del Santo nel modo più acconcio al suo uditorio giovanile, battendo sulla Comunione; si noti però la discretezza, con cui nella chiusa esorta a comunicarsi.

 

                Domani San Carlo. Molti tra di voi ne portano il nome. Costoro specialmente e poi anche tutti gli altri procurino d'onorarlo molto questo gran Santo. Perchè la funzione riesca più solenne, domattina vi sarà la messa cantata. Una cosa specialmente aiutò San Carlo a venire quel gran Santo che fu. Sapete quale? L'aver incominciato proprio da giovinetto a dedicarsi tutto al Signore. Si racconta di lui che da giovinetto non conosceva se non due vie della città: quella che dalla casa lo conduceva alla chiesa e quella che lo conduceva alla scuola. Questa grande ritiratezza ed amore allo studio ed alla pietà, fece sì che ben presto diventasse molto dotto e santo. Si conobbero i suoi meriti e non aveva che 23 anni quando fu fatto Arcivescovo di Milano e Cardinale di S. Chiesa. Vi fu nella sua vita un bell'episodio. Quando San Carlo andò alla visita della diocesi, s'incontrò in S. Luigi che aveva circa 12 anni; e vedendolo di tanta pietà e fervore, sebbene non promosso alla comunione, lo promosse e volle esso stesso comunicatolo la prima volta, dimodochè il popolo di Castiglione era in dubbio se dovesse proclamare più santo il giovane che riceveva la comunione, o il prelato che lo comunicava.

                Èvero che San Luigi, come patrono speciale della gioventù, noi lo festeggiamo più solennemente; ma dobbiamo anche molto onorare e pregare San Carlo, sia perchè già nella sua giovinezza ornato di tante eroiche virtù, sia perchè tanto, tanto sollecito dell'educazione dei giovani, obbligando strettamente i parroci a far loro i catechismi opportuni, aprendo per loro collegi e piccoli seminari e adoperandosi in ogni modo per contribuire al loro bene e vantaggio sia spirituale che temporale. Preghiamo specialmente San Carlo che ci dia un po' di quel suo disinteresse che gli faceva disprezzare tutte le ricchezze e i beni di questa terra, dando in un sol giorno 40 mila lire in elemosina, ed un'altra volta un'eredità intiera. Ci dia eziandio San Carlo quell'amore del prossimo, in cui esso si distinse tanto; poichè sapete che in una pestilenza che devastò Milano, egli era sempre in mezzo agli appestati a soccorrerli nei bisogni corporali e massimamente nei bisogni spirituali; apri lo stesso suo episcopio per ricoverarvi gl'infermi di peste ed esso stesso fu quasi vittima del loro male e del suo zelo. Coloro che possono in onore di così gran Santo, facciano la Comunione Sacramentale; gli altri facciano la comunione spirituale ed altre preghiere per ottenere la sua intercessione.

 

                Al buon cominciamento mancava ancora una cosa: un fervoroso esercizio della buona morte. Questo esercizio pel [464] nuovo anno scolastico venne fissato la prima volta in un giorno molto suggestivo: l'II Novembre, data della partenza dei Missionari. La sera dell'antivigilia il Servo di Dio, annunziato l'ordine del giorno per la prossima festa, raccolse tutti i pensieri dei giovani intorno all'esercizio della buona morte, pigliando lo spunto dallo scopo che si prefiggevano i Missionari nell'imprendere il loro viaggio.

 

                I nostri Missionarii sono ardentemente aspettati in America e si spera da tutti che si farà un gran bene. Questo è l'unico scopo del viaggio: il cercare di salvar molte anime Salvar anime e niente altro! Solamente quest'oggi io ho ricevuto lettera dal Sindaco di Sali Nicolàs, luogo dove fisseranno la prima stazione i nostri Missionari, ci promette ogni aiuto anche materiale e ci dice che tutta la popolazione è in grande aspettativa pel bene che saremo per fare. Per voi, poi, la cosa principale in questa festa si è, che facciate bene l'esercizio di buona morte, il quale consiste specialmente in fare una comunione e confessione, proprio come se fosse l'ultima di nostra vita. Oh! tenetelo bene in niente, che quand'uno, è esercitato a far bene una cosa, data l'occasione, la farà bene quasi senza accorgersene; invece, quando uno non  è esercitato a far bene una cosa che sia difficile, anche con sforzo non riuscirà a farla abbastanza bene. Così colui che, esercitandosi a morir bene, fa confessioni proprio nel modo che le farebbe in punto di morte, fa comunioni fervorose come se fossero le ultime di sua vita, oh! costui quando si troverà nel letto dell'agonia, non troverà più difficoltà a morir bene; egli vi è già esercitato, sulla coscienza non  avrà più nulla che lo conturbi, o solo avrà ad esaminarsi delle disgrazie che gli successero in quell'ultimo mese, in quelle ultime settimane e non più. Costui morrà contento con ogni speranza di andar subito in paradiso.

                Invece che cruccio, che tribolazione, il morire per chi non si è mai preparato a morir bene! Io mi sono già trovato al letto di molti infermi e moribondi; ma vi so dire che è uno spettacolo terribile il vedere l'ammalato in questa circostanza con le cose della coscienza imbrogliate. Molte volte vorrebbe parlare e confessarsi e non può più; altre volte non ha la comodità di avere un prete accanto al suo letto; altre vi sono i parenti gli amici che non vogliono allontanarsi dal suo letto per lasciar posto al prete, che pur ci sarebbe, e l'opprimono col domandare del testamento, dell'eredità, del come dispone delle cose sue; ed il povero ammalato, tormentato ancora da orribili rimorsi di coscienza, molte volte muore più di affanno e di disgusto che di malattia.

                Voi avete tutto il tempo necessario; preparatevi bene; tenete la [465] vostra coscienza ed anche tutte le cose materiali ben disposte; ma specialmente, oh! per carità, specialmente che non teniate imbrogli di coscienza per quei momenti. Se avete qualche dubbio sulle confessioni passate, se avete qualche rimorso anche già da molti anni, parlatene in questa circostanza. Fate tutti in modo che se anche alla sera del giovedì doveste anche voi partire per l'altro mondo possiate con tranquillità di spirito dire: - Eccomi, o Signore; Son pronto; chiamatemi pure, che io ho già ordinate tutte le cose mie, sia temporali sia spirituali. Ecce venio.

                Il Servo di Dio aveva diramato ai principali benefattori e conoscenti un invito per la funzione, unendovi l'orario della giornata, nel quale però al primo posto volle che si mettesse: “Ore 7½: Esercizio della Buona Morte”. I giovani lo fecero con vero entusiasmo. Ormai si navigava a gonfie vele.

 

 

CAPO XXI. Nuovo passo per i privilegi.

 

                LA questione dei privilegi era per il Beato cosa di vitale interesse, come conditio sine qua non al pieno esercizio della personalità giuridica ormai accordata alla sua Congregazione; ottenuti poi che li avesse, sarebbe finita una buona volta coi tanti incagli che gli si frapponevano per il conferimento degli ordini sacri ai suoi chierici. Perciò, andatogli a vuoto il primo tentativo, non si perdette d'animo, ma si diede a escogitar la maniera di rimettere l'affare sul tappeto, ben sapendo che a questo mondo spesso l'importuno vince l'avaro.

                La possibilità di un reingresso alla discussione della causa dopo la sentenza pronunziata dalla Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari sembrava riposare in un inciso che l'accompagnava; dicevasi infatti nel rescritto communicationem, prout petitur, non convenire. Quel prout petitur indicava che, reformata l'istanza, era legittimo sperare, che la causa fosse ripresa in esame.

                Se non che per mantenere la causa nei medesimi termini e dare insieme all'istanza una forma diversa, occorreva che variassero le circostanze; altrimenti sarebbe stata follia pretendere che si variasse il diritto reso in quella sentenza. Bisognava cioè che sorgessero fatti nuovi, i quali mutassero aspetto alla specie della causa e con ciò producessero la revoca o la riforma della prima sentenza. Da parte dei Missionari, per esempio, o da qualsiasi altro lato potevano manifestarsi [467] nuove necessità, che offrissero elementi favorevoli a far rientrare nel merito.

                Ma per riaffrontare così la questione in pieno ci voleva tempo, si doveva aspettare il momento opportuno, conveniva guardarsi dalla fretta, che avrebbe compromesso un affare tanto delicato. D'altra parte, il cardinal Prefetto, oltrechè niente propenso alla concessione dei privilegi, pativa gravi incomodi fisici, che obbligavano a usare con lui speciali riguardi. L'andargli innanzi e così presto con nuove ragioni per rimettere in piedi una causa, sulla quale si era già pronunziato, sarebbe stato un dargli pena, un aggravargli il male che soffriva, e un esporre a rischio sicuro ogni cosa. Il Segretario poi della Sacra Congregazione succeduto al Vitelleschi non aveva ancora bene, come si dice, le mani in pasta; lo dipingevano anzi come imbarazzato. A tutto questo si aggiungeva una particolarità, ignorata dal Servo di Dio e comunicatagli dal cardinal Berardi. Il Cardinal Prefetto, il cardinal Patrizi e qualcun altro, “basati, scriveva Sua Eminenza, su non so quali ragioni”, opinavano che Don Bosco domandasse troppo e quindi le sue richieste venivano sottoposte ad un esame più lungo, e più accurato del consueto[186].

                Il Servo di Dio fu pertanto ben avvisato a girare la posizione. Quantunque occupatissimo negli estremi preparativi per la imminente partenza dei Missionari, non volle soprassedere, ma ai primi di novembre, mutata la sua domanda, chiese solo un determinato numero di favori, tredici in tutto, comprendendovi i più indispensabili, e cioè quelli riferentisi alle sacre Ordinazioni. Il motivo nuovo che corroborava e giustificava la presentazione dell'istanza a si breve scadenza, era che quelle grazie dovevano tornare specialmente a benefizio dei Salesiani prossimi a partire per Missioni estere. Avendo avuto la buona ventura di rinvenire il testo della supplica, la diamo qui per intero. [468]

 

                               Beatissimo Padre,

 

                Il Sac. Giovanni Bosco pieno di gratitudine verso di Vostra Santità che con tratto grande di bontà degnavasi approvare definitivamente la Congregazione Salesiana, si prostra ora umilmente ai Vostri Piedi., Beatissimo Padre, supplicandola di novelle grazie specialmente a benefizio dei Salesiani che devono quanto prima partire per Missioni estere.

                Le cose più necessarie sono che:

                1° I Sacerdoti Salesiani approvati per ascoltare le confessioni in una Diocesi possano confessare i Soci della stessa Congregazione anche fuori di questa Diocesi; e nei casi di viaggi specialmente sul mare possano indistintamente confessare, gli altri fedeli parimenti viaggiatori osservando in ogni cosa le prescrizioni ed i riti di Santa Chiesa.

                2° In tutte le Chiese della Congregazione possano celebrare la S. Messa, amministrare la Sacra Eucaristia, esporla alla venerazione dei Fedeli, fare Catechismo ai fanciulli, ed esporre la parola di Dio.

                3° Erigere Oratori nelle case urbane e suburbane della Congregazione sopratutto nelle infermerie ad utilità degli ammalati, ivi celebrare la Santa Messa, ed amministrare la Santa Comunione.

                4° Servirsi dell'Altare Viatico ossia portatile in tempo di navigazione, e nei casi di lunghi viaggi per le Missioni estere.

                5° Che il Superiore Generale possa concedere l'Extra tempus e presentare agli Ordini Minori, Maggiori ed al Presbiterato i suoi Soci nei giorni in cui Santa Chiesa suole permettere tali ordinazioni.

                6° Commutare le ore Canoniche in altre preci o pie opere quando i Soci fossero ammalati, oppure per la stanchezza non potessero recitarle senza grave incomodo.

                7° Dare la facoltà di leggere e ritenere libri proibiti a quei della Congregazione; e di impartire Indulgenza Plenaria in articolo di morte.

                8° Benedire abitini, corone, medaglie, Crocifissi colle Indulgenze di S. Brigida e di S. Domenico. Questi ultimi lavori furono già concessi al medesimo Superiore ad tempus.

                Indulgenze particolari.

                9° Che i Salesiani possano lucrare Indulgenza Plenaria nel giorno in cui comincieranno il Noviziato; della emissione e della rinovazione dei Voti religiosi; in fine degli Esercizi Spirituali, ed in articulo mortis; e nel giorno che i Salesiani partono per le Missioni Estere. Nel giorno del mese che verrà scelto per fare l'Esercizio della buona morte, secondo il prescritto delle Costituzioni Salesiane. [469]

                10° Indulgenza di giorni 300, ogni volta che si dirà: MARIA AUXILIUM CHRISTIANORUM, ORA PRO NOBIS; già concessa vivae vocis oraculo die 12 Febr. 1869.

                Indulgenze comuni.

                11° In ogni Chiesa della Congregazione tutti i fedeli, premessa la Sacramentale Confessione e Comunione, possano, visitando tale Chiesa, lucrare Indulgenza Plenaria nella festa titolare di ciascuna Chiesa della Congregazione. La stessa Indulgenza nel giorno di San Francesco di Sales si possa lucrare in tutte le Chiese dell'Istituto.

                12° In tutte le Solennità di N. S. G. C., nelle Feste della B. V. Maria, dei Santi Apostoli, di S. Giuseppe, e dei suo Patrocinio, di S. Anna, S. Gioachino, di S. Francesco Saverio, S. Luigi Gonzaga, del S. Angelo Custode, di tutti i Santi, nella Commemorazione di tutti i Fedeli Defunti, e nel giorno dopo la festa di S. Francesco di Sales, quando si fa un servizio religioso per tutti i Salesiani defunti e per tutti i Benefattori della Salesiana Società.

                13° Che nei giorni e nelle circostanze sopra descritte possano i Salesiani lucrare tali indulgenze sebbene non potessero visitare dette Chiese, purchè si accostino ai Sacramenti della Confessione e Comunione.

                Molte di queste Indulgenze furono già concesse alla Chiesa Principale della Congregazione; ora si supplica umilmente V. S. che con un atto speciale di Alta Clemenza si degni confermarle, estenderle ed accordarle nel modo umilmente richiesto.

                Andò egli per via ufficiale e per via ufficiosa. Ufficialmente si rivolse a monsignor Sbarretti, Segretario della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari; ufficiosamente, e prima che a lui, al cardinal Berardi, affinchè preparasse il terreno e soprattutto facesse da valido intermediario presso il Sommo Pontefice.

                Monsignor Sbarretti, che stentava a decifrare gl'irregolari caratteri del Beato, chiamò in aiuto l'avv. Menghini, che così fu messo a giorno della pratica e ne informò l'indivisibile monsignor Fratejacci, suo collega di coro nel Capitolo di Sant'Eustachio. “Se Ella udisse qualche volta che belle arie a due voci!” gli scriveva quest'ultimo a proposito del gran discorrere che facevano insieme delle cose di Don Bosco. Uno dei punti su cui si accordavano, era che il passo di Don [470] Bosco fosse intempestivo, ma che però giovasse “come un atto di appello dalla sentenza già resa o come una dimostrazione di non acquiescenza alla data sentenza”[187].

                Disgraziatamente un contrattempo ritardò l'opera del cardinal Berardi. Trovandosi egli fuori di Roma, la “carissima” lettera di Don Bosco gli giunse con più d'una settimana di ritardo, quando con immenso suo dispiacere “non si era più in tempo per fare i passi occorrenti”; poichè i Missionari, in nome dei quali si perorava, erano oramai partiti. Tuttavia umiliò le preghiere di Don Bosco al Santo Padre e questi, ricordandosi di avergli concessi taluni privilegi a mezzo della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari e non volendosi mettere in opposizione col rescritto antecedente, che più non ricordava, ordinò al Cardinale di mandare le suppliche alla Congregazione suddetta. “Checchè ne sia, conchiudeva l'Eminentissimo, nondimeno attenderemo il risultato, e come mi sarà dato di conoscerlo, mi recherò a premura di parteciparglielo”[188].

                Il benevolo Cardinale si adoperò a tutt'uomo, affine di vedere benignamente accolta la preghiera del Beato a mezzo della Segreteria della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari; ma ai 17 di dicembre non vi era ancora riuscito, e ciò per le seguenti ragioni da lui così enumerate e commentate: “1° Per la tuttora persistente indisposizione sanitaria dell'Emin.mo Prefetto Sig. Card. Bizzarri. 2° Pel cambiamento del Segretario della Congregazione suindicata. 3° Per una lettera scritta di recente a carico del suo pio Istituto da cotesto Monsignor Arcivescovo, la quale ha fatto molta impressione nell'animo del prelodato Monsignor Segretario, ignaro affatto dei precedenti. Venuto ciò in mia cognizione, ho procurato subito di abboccarmi col Segretario stesso e datigli tutti gli schiarimenti di cui abbisognava, ho fiducia che quanto prima si farà qualche cosa in proposito, e come avrà ciò avuto luogo, [471] mi recherò a premura di darlene contezza. Conviene intanto armarsi di santa pazienza, e non dimenticarsi che il diavolo si studia sempre di attraversare qualsiasi opera buona. Iddio però è più potente del demonio, e v'ha perciò a sperare che col divino aiuto si otterrà al fine la bramata vittoria”[189].

                Monsignor Fratejacci senza tanti complimenti ci spiattella queste altre notizie sul terzo ostacolo, avute da buona fonte: “Quel tale Prelato Arcivescovo che Ella ben sa, ogni giorno continuamente scrive contro i Salesiani alla Congregazione dei Vescovi e Regolari. È una mania furiosa in quell'uomo, che temesi riesca matto. In questi giorni a proposito d'un ricorso dato circa all'ascoltare le confessioni degli estranei dei Salesiani, la Santa Congregazione, ossia mons. Sbarretti, già persuaso che qui trattasi d'una vera persecuzione, e tutta gratuita, ha scritto a nome della stessa Sacra Congregazione a quel tale Prelato una lettera, che dice e non dice nulla, è un ibis redibis non, è una sonata di violino, e niente più. Ciò siale a notizia; e Le farà piacere, perchè invece di provocare contro di V. S. gli animi, come vorrebbe quel tale Arcivescovo, serve anzi a rivelar meglio la persecuzione, da cui tutti in ultimo concorreranno a liberarla una volta, e per sempre”[190].

                Il Beato certamente non teneva bordone a queste tirate. Il buon Monsignore nella presente si lagna che Don Bosco non risponde da ventitrè giorni a una sua assicurata, nonostante che nel frattempo abbia sollecitata già altra volta una risposta, non senza requisitorie in entrambe le lettere sul conto di persone altolocate. Egli lo faceva per affetto a Don Bosco; ma in quattro mesi Don Bosco gli scrisse solo un paio di volte, unicamente sopra inserzioni da farsi nell'Annuario della Gerarchia Ecclesiastica, e su cose dell'Arcadia, e per mandargli una fotografia dei Missionari. Così senza riscontro sono rimaste le due concitate lettere, che noi abbiamo pubblicate fra i documenti. Coloro che conoscono Don Bosco, [472] indovinano facilmente per quali ragioni questo suo silenzio fosse d'oro.

                La seconda domanda del Beato, trasmessa dal Papa alla Sacra Congregazione, fu riproposta alla speciale Commissione dei quattro Eminentissimi, che avevano già avuto l'incarico di esaminare la prima. L'articolo sulle dimissorie premeva più di tutti gli altri al Beato, per distrigarsi da tanti pensieri e liberarsi da tante spese, ogni volta che avesse da far ordinare i suoi. Quell'articolo, data la sua maggior gravità, fu distaccato e subito esaminato e giudicato. La questione purtroppo non avanzò di un passo. Il cardinal Berardi ne scrisse così al Beato il 28 dicembre: “Mi duole il parteciparle, che quegli Em.mi i quali sono stati interpellati sulla sua ultima domanda, non han creduto di annuire a quella relativa alle dimissorie, perchè han detto, che Ella gode già l'Indulto decennale accordatole il 3 aprile 1874. Conviene adunque aver pazienza anche in ciò, e quando Ella potrà dare una nuova corsa qua, vedremo insieme il da farsi sull'oggetto”. È l'identica motivazione addotta per il negative di ottobre. In questi negozi il timore di recar pregiudizio all'autorità vescovile ha sempre gran peso sulla bilancia.

                Furono distaccati pure alcuni articoli, sui quali poteva più speditamente pronunziarsi la Sacra Congregazione dei Riti e il settimo che spettava alla Sacra Congregazione dell'Indice.

                Le cose erano arrivate a questo punto, quando la notizia che Don Bosco chiedeva privilegi a Roma, conturbò l'Ordinario torinese, il quale sotto l'impressione del momento e fors'anche istigato da chi aveva interesse a pescar nel torbido, confidò, sfogandosi, i suoi timori al cardinal Bizzarri.

 

                               Eminenza Rev.ma,

 

                Il Signor Don Giovanni Bosco, fondatore e rettore della Congregazione Salesiana, è ricorso di nuovo a questa Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari per ottenere privilegi, non conformi ai diritti dell'Autorità vescovile; e ciò quantunque nell'ultimo scorso anno tali privilegi non gli fossero stati concessi, appunto per non recare disturbi [473] alla giurisdizione dei Vescovi. Io spero che la S. Congregazione, prima di concedere al Sig. D. Bosco quanto esso domanda in pregiudizio dei Vescovi, avrà la bontà di farmi conoscere le sue domande, affinchè se mai taluna di esse fosse per disturbarmi, io possa presentare le mie osservazioni; tanto più che io temo, esso per dimostrare la ragionevolezza di quanto chiede, abbia forse presentato richiami contro la mia amministrazione, come Arcivescovo, siccome pur troppo egli ha fatto con lettere dirette al S. Padre.

                Io sono stato e sempre sarò il difensore degli Ordini religiosi, e riconosco che essi abbisognano di qualche privilegio ed esenzione; ma se egli sono necessarie le esenzioni che ne riguardano la dipendenza e traslocazione e destinazione dei loro soggetti; e se possono essere loro necessari certi privilegi in certi luoghi dove sono le circostanze anormali, per es. nelle Missioni estere; la mia opinione, corroborata da lunghi studi e da ripetute osservazioni pratiche in diverse nazioni, è che i privilegi loro accordati in derogazione dell'Autorità dei Vescovi, servono solo a menomare questa autorità; la quale d'altronde ha ora più che mai bisogno di essere sostenuta e circondata di splendore e forza dalla S. Sede Apostolica, chè ad essa vien meno la forza civile. Lo spirito, di indipendenza, e quasi direi, di superiorità[191], che il Sig. D. Bosco venne dispiegando da alcuni anni in qua verso l'Arcivescovo di Torino, e che si trasfonde nei suoi discepoli, e dei quale la S. C. dei VV. RR. ha veduto una prova nella lettera del D. Bosco diretta a me li 29 Aprile 187, 5 e da me comunicata ad essa S. C. li 17 Ottobre stesso anno, per cui la stessa S. C. ebbe la degnazione di farmi scrivere li 30 Novembre 1875, che si era provato vero dispiacere per i fatti da me esposti in quella lettera[192]; quando fosse corroborato da nuovi privilegi contrari alla mia giurisdizione, mi cagionerebbe certissimamente un aumento ai dispiaceri ed alle tribolazioni che in questa vastissima Archidiocesi mi assediano tutti i giorni. Se il Sig. D. Bosco ha meritato e merita bene dalla Chiesa, io penso di non avere demeritato nè di demeritare, e quindi non veggo il perchè si debbano ad esso conferire dei privilegi, i quali divengano punizioni per me.

                L'autorità Arcivescovile in Torino, spogliata affatto di ogni lustro civile, privata dei quattro quinti delle sue rendite, svillaneggiata, derisa, schernita insultata ogni dì in quasi tutti i giornali di Torino, e ciò perchè l'Arcivescovo tien fermo nel mantenersi affezionato alla S. Sede e nel richiedere la osservanza della legge di Dio e della Chiesa, non deve ricevere ulteriori diminuzioni per parte di D. Bosco; il quale colle sue lettere e le sue parole ed i suoi fatti le si mostrò [474] opposto così, che in un giornale peggiore di Torino si manifestò allegrezza, perchè D. Bosco sapesse essere l'unico Sacerdote capace di resistere all'Arcivescovo. Che se si hanno da conferire nuovi privilegi alla Congregazione Salesiana in Torino in danno della mia giurisdizione, si aspetti almeno il mio decesso, il quale non può essere lontano che tutto al più di pochi anni; o mi si dia tempo di ritirarmi da questo posto, ove per lo accumularsi di nuove difficoltà io non potrò più rimanere a lungo.

                Prego V. Eminenza di comunicare questa mia alla S. Congregazione, nella cui sapienza e giustizia io ripongo la mia fiducia.

                Baciandole la sacra porpora, sono colla massima osservanza di V. Eminenza Rev.ma

                Torino, 24 Marzo 1876.

Umil.mo e Osseq.mo servitore

LORENZO Arcivescovo di Torino.

 

                Di questa lettera si dia cognizione al Sig. Avv. Sommista e mi si prepari per altra udienza da Sua Santità.

 

                E. SBARRETTI Segr.°

 

                A commento di questa lettera non abbiamo nulla di meglio che alcune parole dette dal Beato ai Superiori del Capitolo il 27 gennaio 1876 e raccolte da Don Barberis: “L'Arcivescovo di Torino mette sossopra ogni cosa a Roma per riguardo nostro. Esso cerca tutte le occasioni opportune e importune, fondate e non fondate, purchè possa mandare relazioni sul conto nostro, in nostro disfavore. Io non ho mai voluto rispondere nulla in discolpa, ad eccezione di quelle volte che Roma domandava schiarimenti. Ciò che mi servì di discolpa furono alcune lettere che io confidenzialmente mandava all'Arcivescovo, per pregarlo che cessasse da queste sue vessazioni. Egli, immaginandosi che quelle lettere costituissero il corpo del delitto, le mandava a Roma come nuovo capo d'accusa; ma invece quelle servivano a giustificarmi. Quando mi trovava a Roma, io parlava delle cose nostre, dava schiarimenti; ma rispondere [alle accuse dell'Arcivescovo scrivendo o parlando] direttamente a Roma in nostra discolpa non l'ho mai fatto”. [475] Quanto all'aspettare il suo decesso o la sua rinunzia prima che si concedessero nuovi privilegi, il Beato osserverà nel '81: “Qui si potrebbe fare questo dilemma: Se il conferimento di nuovi privilegi alla Congregazione Salesiana è una cosa buona, perchè non vuole egli che sia fatto fin d'ora? Se è cosa cattiva, perchè domanda egli che sia fatto dopo il suo ritiro o dopo il suo decesso?”[193].

                Il sommista, a cui si accenna nella nota del Segretario, opinò che fosse prudente ascoltare l'Arcivescovo, tanto più perchè questi nella sua lettera ammetteva essere necessaria la concessione di qualche privilegio, pur lamentandosi che la soverchia indulgenza potesse suscitare nuovi dissidi, si ascoltasse dunque l'Ordinario, perchè quand'anche fosse ritenuto poco benevolo verso la novella Società Salesiana, avrebbe nondimeno spiegato le sue ragioni di dubitare che non venisse tutelata la giurisdizione vescovile.

                Ma l'Ordinario non era stato pago di scrivere la lettera del 20 marzo; il 21 spedì alla Sacra Congregazione un Postulatum, nel quale, ripetuta la dichiarazione del non constare a lui ufficialmente che la Società Salesiana fosse stata approvata modo definitivo, ne lamentava la tendenza a ingerirsi nella disciplina del clero diocesano e di questo adduceva a prova che vi si accettavano individui dall'Arcivescovo dimessi come inabili al sacro ministero; la qual cosa esponeva l'autorità dell'Ordinario al disprezzo de' suoi seminaristi; la Sacra Congregazione vi mettesse dunque una buona volta efficace rimedio[194].

                La questione dei seminaristi licenziati dall'Arcivescovo e accolti da Don Bosco si riduceva a quest'unico caso, esposto limpidamente da Don Rua in una lettera a Sua Eccellenza: “Tornato ieri sera a casa, ho cercato chi potesse essere quell'allievo, di cui l'E. V. mi diceva che era stato accettato dal [476] Sig. Don Bosco a suo dispetto. Trovai che veramente avrei un allievo di Vinovo accettato nell'ultime autunnali vacanze. Mi trovo però in dovere di far notare che il Sig. Don Bosco noti si è per niente immischiato nell'accettazione di lui. Chi lo accettò è lo scrivente, il quale, vedendolo secolare e non sapendo che cosa fosse avvenuto precedentemente di lui, anzi avendone buone informazioni da persona conosciuta per degna di fede, credette conveniente l'accoglierlo e lasciargli continuare la carriera a cui diceva di aspirare, senza neppure sospettare che ciò potesse in qualche modo recar dispiacere all'E. V. Car.ma, a cui vorremmo poter rendere ogni servizio, e mai far la memoria offesa”[195].

                Impaziente di aver risposta tanto alla lettera che al ricorso, il 2 aprile interessò della cosa il sommista Menghini. “Mi piacerebbe averla, scriveva, per sapere come regolarmi; chè vorrei scrivere in proposito al Santo Padre. Domani Don Bosco si reca a Roma per questo affare”. Don Bosco veramente andava a Roma per altri motivi, come vedremo a suo tempo. Comunque sia, il Segretario della Sacra Congregazione diede ordine per iscritto il 10 aprile che dall'istanza del Sig. Don Bosco si estraesse la posizione di spettanza della sola Congregazione dei Vescovi e Regolari, e si scrivesse a monsignor Arcivescovo di Torino la nota dei privilegi e facoltà richieste dal Sig. Don Bosco essere quella che si comunicava, e quindi s'invitasse a farvi le osservazioni che credesse opportune. Altro non ci risulta intorno a questa incresciosissima vertenza, se non che ai 5 di maggio ancora non erano pervenute all'Arcivescovo comunicazioni in proposito, tanto che con quella data indirizzò al Sommista una geremiade, non inutile a leggersi per conoscere sempre meglio il suo pensiero e il suo stato d'animo[196]. Il Beato, quanto a sè, profittò dell'occasione che lo chiamava a Roma per regolare possibilmente le sue faccende. [477]

                Prima di far punto, noi torremo a imprestito da monsignor Fratejacci le parole di conforto, che seppe scrivere allora al Servo di Dio e per le quali saremo ognora grati alla sua memoria. “Le amarezze fin qui sofferte dalla S. V., gli diceva, non potranno molto a lungo durare. Dabit Deus his quoque finem. Altronde furono necessarie, come ci si rivela in tutte le grandi opere de' Servi di Dio, affinchè l'Istituto di Don Bosco, che sotto il peso e l'urto di tante umane contraddizioni avrebbe dovuto e dovrebbe spegnersi nel principio stesso della sua vita, sorga ed abbia incremento e dia copiosi frutti di virtù e di onore alla Chiesa e alla patria, e apparisca chiaro nel fatto stesso che ciò non è opera dell'uomo, ma di Dio; non è frutto della terra, ma del cielo, e così siane glorificato il Signore, cui soli honor et gloria. Quelle ostilità, quell'odio, proprio gratuito, di cui parla il Salmista, hodio habuerunt me gratis, sono nientemeno che il segno caratteristico di tutte le opere care a Dio... Temano, e forte, i nemici di V. S.; Ella siane certa, non ha nulla, affatto nulla a temere. Ciò che sembra ora male e ruina, frutterà fra poco vita e gloria!”[197].

 

 

CAPO XXII. Il Beato Don Bosco sospeso dalla confessione.

 

                IL Beato non cessava di fare del suo meglio in favore ed anche in difesa di monsignor Gastaldi. Nel mese di ottobre alcuni cotali mal intenzionati, immaginandosi per certe voci udite, ch'egli osteggiasse l'Arcivescovo, vennero a fargli visita, gli presentarono un'infame biografia del prelato, lo sollecitarono a stamparla nella sua tipografia e gli esibirono per le spese una vistosa somma di denaro. Il Servo di Dio, facendo lo gnorri, chiese che gli lasciassero il manoscritto per esaminarlo: erano più di mille pagine. Naturalmente consegnò tutto alle fiamme. Questo fatto gli tirò addosso le ire di quei signori, che per parecchi anni, col fine di estorcergli denari a titolo d'indennità, gli diedero molte noie; ma egli non solo non si pentì, ma si mostrò sempre contentissimo d'aver impedito un sì grave scandalo e tutelato l'onore del suo Arcivescovo.

                Non andò guari che seppe d'un giornalista, il quale teneva pronta una serie di articolacci prezzolati da stampare in un pessimo foglio cittadino contro la persona di Monsignore. Egli s'ingegnò tosto a cercar la via per avere nelle mani quegli scritti, sicchè non si facesse in tempo a cominciarne la pubblicazione. Vi riuscì, ma a caro prezzo; dovette rassegnarsi a ricoverare gratuitamente un figlio di quel miserabile ed a soccorrere lui medesimo. Ma fece ben volentieri l'una e l'altra cosa, in vista dello scopo. [479] Questi fatti ed altri simili, di cui si conobbe solo vagamente' l'esistenza, erano all'Ordinario notissimi; la quale circostanza rende assai più penoso l'ufficio dello storico che si accinge a narrare il tristo caso della sospensione. Fedeli alla verità, noi non diremo un ette, che non ci sia confermato da autentici documenti e da valide testimonianze.

                L'Arcivescovo Gastaldi aveva firmato nel marzo del '75 le patenti di confessione per Don Bosco e per i preti dell'Oratorio. Don Cagliero passò verso giugno in Curia a ritirarle; ma si sentì rispondere che sarebbero state mandate all'Oratorio. - Come? pensò fra sè e sè. Sono io qui, sono qui le patenti firmate, me le possono consegnare direttamente, e si vogliono prendere l'incomodo di mandarle più tardi. E poi è stato sempre costume di venirle a prendere. Qui gatta ci cova!

                Sul finire di ottobre il Servo di Dio se ne stava un giorno in cortile circondato da preti e da chierici, quando entra un servo della Curia con un pacco in mano e dice al Beato: Son contento d'averlo trovato subito, perchè devo consegnare a lei questo plico. - Ma Don Cagliero, che stava all'erta, s'avvide subito che vi erano le patenti dei confessori della Casa; onde fu pronto a stendere la mano e afferratele: - No, disse, questa roba tocca a me! - Il messo della Curia diede tutto a lui, che, tenuto per sè quello che gl'importava, gli disse di portare a Don Rua altre carte che gli restituiva. Pieno di curiosità, salì subito in camera, aprì l'involto ed ecco per prima la pagella di Don Bosco. Guarda e legge ad sex menses; poi osserva tutte le altre, e trova sempre ad annum. Dunque solamente per Don Bosco la facoltà di confessare era scaduta a settembre. Fremette il bollente Don Cagliero, ma si contenne e non fiatò con nessuno, tranne che con Dori. Rua, al quale confidò la cosa, esortandolo a provvedere, senza che Don Bosco ne avesse sentore. Poi egli se ne partì per l'America.

                Don Rua mandò allora Don Cibrario in Curia a parlare col canonico Zappata, Vicario Generale. Questi, non appena vide [480] la novità, scattò e: - Ma questo non va, disse, no, non va; son cose che si fanno con gli ubbriaconi. Dica, dica pure a Don Bosco che continui o confessare, gliene dò io la facoltà. - Diceva così, perchè in quei giorni l'Arcivescovo, come si accennò dove si trattava della visita dei Missionari, era andato fuori dì Torino.

                Don Rua, addoloratissimo, continuò a tener celata quell'odiosità, finchè, essendo ritornato il Servo di Dio dal suo viaggio in Liguria con i Missionari, non sarebbe più stato prudente temporeggiare. Ma d'altra parte si avvicinavano le feste natalizie, nel qual tempo il Beato aveva moltissimo da confessare e si sarebbe suscitato uno scandalo enorme, se avesse dovuto improvvisamente smettere senza un visibile perchè, Quindi Don Rua tacque ancora.

                Intanto però una chiamata del Vicario Generale invitava a presentarsi all'Arcivescovo. Vi si recò Don Rua, il quale vide facilmente che Monsignore non voleva sentir ragione.

                 - Perchè è venuto Lei e non Don Bosco? gli chiese.

                 - Perchè Don Bosco di nulla è informato, rispose Don Rua. .

                 - Ho mandato espressamente un messo, riprese sdegnato l'Arcivescovo, a portare nelle mani di Don Bosco quelle patenti e con ordine che non le consegnasse a nessun altro.

                 - Quel messo, osservò Don Rua, che ignorava le circostanze del fatto, non avrà avuto tempo di aspettare e, consegnate al segretario le patenti, venne a me con tutte le altre carte non credute confidenziali.

                Monsignore allora non volle sottoscrivere la pagella del Beato.

                Ma bisognava pur venire a una soluzione, la quale oramai non poteva aversi senza informare Don Bosco. La vigilia del santo Natale il venerato Don Rua, messa la cosa nelle mani di Dio, manifestò al Beato che le sue facoltà per le confessioni erano cessate da parecchio. [481] Don Bosco lasciò passare la festa: poi scrisse a Monsignore una di quelle lettere che solamente i Santi sanno scrivere e il cui autografo è venuto or ora nelle nostre mani.

 

                               Eccellenza Rev.ma,

 

                Soltanto la vigilia del S. Natale D. Rua mi mostrò la mia patente di confessione scaduta in settembre passato. Trovandosi la sacrestia piena di giovani interni ed esterni che attendevano per confessarsi, ho giudicato di potermi servire per quella volta di una facoltà ottenuta dal S. Padre di confessare nei casi speciali che mi fossero avvenuti ovunque. Oggi però ho cessato, e dimani mi allontano da Torino per esimermi dal rispondere alle dimande che cominciano a farsi intorno alla realtà di questo fatto.

                Ora Le fo umile preghiera di voler rinnovare tale facoltà per evitar chiacchiere e scandali; e siccome la presa misura suppone grave motivo, così e come povero sacerdote e come superiore di una congregazione definitivamente approvata dalla Santa Sede, nominatamente costituito superiore della medesima, La supplico rispettosamente a volermelo significare sia per mia regola e sia per fare emenda di qualche mancanza che di fatto gravitasse sul mio conto. Qualora poi questo motivo non giudicasse palesare a me, ma piuttosto a Roma, Le farei pure novella ed umile preghiera di volermelo significare per levarmi da una posizione che, se è dolor[os]a per tutti, è assai più per un superiore di congregazione che ha comunione di molte case.

                Qualunque risposta si degnerà farmi, La prego dirigerla qui all'Oratorio, che mi sarà tosto trasmessa al luogo di mia dimora.

                Ho l'onore di professarmi colla dovuta stima e venerazione

                Di V. E. Rev.ma

                Torino, 26 dicembre 1875.

dev.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

                Il 27 egli partì per Borgo S. Martino. È molto probabile che abbia trascorsa ivi la seguente notte in preghiera, perchè il chierico Nai, che al mattino fu incaricato di rassettarne la camera, vide il letto perfettamente intatto. Ma nè Don Nai nè altri della Casa penetrò il doloroso segreto; anzi Don Nai, che n'ebbe notizia parecchi anni dopo, ricorda ancora benissimo che durante quel soggiorno il Beato non solo non dava a divedere il menomo turbamento, ma riceveva secondo il [482] solito i confratelli, intrattenendosi con loro come se non avesse altro pensiero al mondo. Quanto a sè, il giovane chierico lo trovò tranquillo e scherzevole al pari di tutte le volte che aveva conferito con lui. Una diversità nel contegno di Don Bosco, se ci fosse stata, non sarebbe certamente passata senza attirare l'attenzione de' suoi figli, che ne conoscevano appuntino le abitudini.

                Il direttore nondimeno era stato messo al corrente dell'affare. Noi che abbiamo avvicinato Don Bonetti anche in qualche momento critico e sappiamo l'ardore del suo spirito e la vivacità della sua indole schiettissima, non siamo rimasti punto sorpresi nel trovare i documenti, che qui sotto riferiamo. La prima delle due lettere è per il Cardinal Antonelli, Segretario di Stato; la seconda, per il Santo Padre.

 

                               Eminenza,

 

                Le tante volte da me esperimentata Vostra bontà mi dà animo di ricorrere nuovamente alla Em.za Vostra Rev.ma per un favore.

                La supplico rispettosamente che voglia degnarsi di umiliare la qui unita lettera al S. Padre, cui ho bisogno di far note le mie pene ed implorare il suo aiuto sovrano.

                Nella fiducia di questo favore ne La ringrazio di cuore e pregandole dal cielo un felice termine del morente anno ed un buon principio del prossimo nascente, godo di potermi professare con alta stima e profonda venerazione

                Di V. Em.za Rev.ma

                Borgo S. Martino, 28 dicembre 18, 75.

Umil.mo ed osseq.mo servo

Sac. Gio. BONETTI

Direttore del piccolo Seminario

di Borgo S. Martino.

 

                               Santissimo Padre,

 

                Prima di tutto Vi domando perdono, o SS. Padre, se colla presente io aggiungo amarezza al Vostro già cotanto amareggiato animo; perdono, che io spero e dal Vostro bel cuore ed anche perchè sono quel figlio che nel colmo delle sue pene viene a cercare conforto dal migliore dei Padri, dal Supremo Moderatore della Salesiana Congregazione, a cui ho il bene di appartenere. [483] Vi sarà pur troppo nota, o Santità, la persecuzione, a cui da parecchi anni è fatto bersaglio l'ottimo mio Superiore D. Giovanni Bosco per parte del Rev.mo Arcivescovo di Torino, Mons. Lorenzo Gastaldi Ben so, e Ve ne ringrazio dal fondo del cuore, che Voi avete già cercato di por fine a questo disordine incaricando in proposito ragguardevolissimi personaggi; ma con vivissimo dolore l'esito non corrispose alle concepite speranze. Anzi pare che l'ira del detto Prelato vada di giorno in giorno disfogandosi più tremenda, ed ultimamente giunse perfino a fargli prendere l'inqualificabile risoluzione di sospendere questo degnissimo sacerdote dall'udire le confessioni nell'Archidiocesi Torinese. Vostra Santità che conosce appieno la virtù del mio Superiore, può bene immaginare se egli sia capace di commettere un delitto, da meritare una pena quale si infligge solamente ai Sacerdoti più scandalosi.

                Il povero D. Bosco soffre con pazienza e pur con calma; ma il suo fisico non può non risentirsene, e i suoi diletti figli vedono con sommo cordoglio prostrarsi ogni dì più la sua salute e consumarsi la sua esistenza cotanto preziosa.

                Santissimo Padre, Voi siete il mansuetissimo, ma nel tempo opportuno anche il fortissimo dei Pontefici. Deh! poichè sinora non servì la dolcezza, vogliate nella Vostra prudenza ed equità usare rimedii più efficaci, che pongano fine ad un tanto male. Io vi domando questa grazia nelle festa dei Santi Innocenti; nel dì natalizio di S. Francesco di Sales, glorioso Patrono della mia Congregazione.

                Forse con questa mia io commetto un atto d'indiscrezione verso di Voi, o SS. Padre: ma oltre che le Costituzioni Salesiane permettono ai Soci di scrivere al Romano Pontefice all'insaputa pur anche degli stessi superiori, io prego e spero che Voi condoniate cotanta confidenza al mio cuore afflittissimo, al timore che mi tormenta di vedere scandali e scoraggiamenti tra' miei confratelli, e al sentimento veementissimo di gratitudine verso il Sig. D. Bosco: imperocchè dopo Dio io debbo tutto a quest'uomo impareggiabile. Se io ho la felicissima sorte di trovarmi tra le diradate file dei Vostri combattenti, a lui lo debbo, che 20 anni sono mi sollevò dalla polvere, mi ricoverò nel suo Istituto, mi applicò allo studio, e mi formò alla carriera ecclesiastica; a Lui debbo se da io anni mi trovo alla testa di 200 giovinetti, che, la Divina Provvidenza raccoglie ogni anno in questo collegio per apprendere la scienza non disgiunta dalla Religione, per essere un giorno o zelanti Sacerdoti o per lo meno buoni cristiani; a lui insomma io debbo quanto so e quanto sono.

                Santissimo Padre, tanta è la fiducia che in Voi ripongo, che nella presente grave afflizione pur mi gode l'animo pensando che Voi non tarderete ad esaudire i voti del mio cuore, e darete una novella prova di Vostra Sovrana benevolenza alla Congregazione Salesiana, la quale si gloria di avervi a Padre e Protettore. [484] Colgo questa propizia occasione per augurare alla Santità Vostra un buon fine e capo d'anno con tutte quelle grazie che il Vostro gran cuore desidera e sospira. Oh! venga, sì, venga presto per Voi il giorno del trionfo, che è il giorno della pace e della tranquillità della Chiesa, di cui siete Capo e Maestro infallibile.

                Prostrato ai piedi di Vostra Santità mi professo con profondo ossequio

                Di Voi,; SS. Padre,

                Borgo S. Martino, 28 Dicembre 1875.

 

Umil.mo e Dev.mo figlio

Sac. Gio. BONETTI

Direttore del Piccolo Seminario

in Borgo S. Martino.

 

                Il Cardinale che tante prove di sincera stima aveva già date per Don Bosco, rispose con la massima sollecitudine possibile.

 

                               Ill.mo Signor. D. Gio. Bonetti Direttore del Collegio Seminario di S. Carlo - Borgo S. Martino,

 

                Venne da me senza indugio rassegnata nelle venerate mani di Sua Santità la lettera da Lei a tale uopo acclusami nel foglio del 28 decorso dicembre.

                Nel portare ciò a sua notizia, La ringrazio degli auguri contemporaneamente indirizzatimi pel nuovo anno, assicurandola che eguali sono i voti che io formo per ogni vero suo bene.

                Di V. S.

                Roma, 3 gennaio 1876.

Servitor suo

G. C. ANTONELLI.

 

                Il Beato, in sì grave distretta, non poteva non correre col pensiero a quel suo insigne Protettore che era il cardinal Berardi. Infatti, subitochè ricevette l'infausta comunicazione, gliene scrisse, pregandolo anche di fargli avere da Roma per ogni evenienza una patente generale di confessione. L'amplissima facoltà concessagli oralmente dal Papa era cosa, che serviva alla sua coscienza, ma inutile nel foro esterno. Alte parole di conforto furono la risposta immediata del Cardinale. [485] “Il gentilissimo suo foglio del 25, del cadente mese, giuntomi ieri sera ad ora ben tarda, mi riempì senza dubbio del più vivo ed inaspettato stupore, congiunto ad una forte tristezza derivante dal riflettere, che ora non si trovi modo di calmare cotesto Ordinario; sarà bene difficile di andare innanzi tranquillamente. In vista di ciò, quantunque fossi stato ieri dal Santo Padre, avrei nondimeno voluto tornarvi in questa mattina; ma mi sono astenuto pel riflesso che Sua Santità difficilmente sarebbesi indotta a prendere una determinazione senza aver prima intesi i motivi, pei quali l'Ordinario suindicato si è determinato a prendere una misura così grave. Ad onta di ciò io non mancherò di parlargliene accademicamente nella prossima udienza di sabbato, e Le ne darò poscia, ove occorra, speciale contezza. Stia intanto di buon animo, e non si avvilisca per siffatti deplorevoli incidenti, perchè si vede bene, che il Signore vuol provarla, ed è certo d'altronde, che crescit in adversis virtus[198].

                Abbiamo con tutto ciò la soddisfazione di aggiungere che l'autore del provvedimento non fu insensibile all'umiltà del Beato. Accortosi senza dubbio dello sproposito che aveva commesso, gli fece scrivere così:

 

                               Molto Rev.do Signore,

 

                S. E. Rev.ma il nostro rev.mo Arcivescovo mi incarica di scrivere a V. S. che esso ha ricevuto la sua lettera di ieri, di avvertirla che le sue facoltà di confessare continuano; e di soggiungerle, che esse non sarebbero mai state interrotte se a tempo debito fosse stato eseguito quanto in casi consimili si usa praticare.

                Con tutta la riverenza mi ripeto di V. S. molto rev.da

                Torino, il 27 dicembre 1875.

Dev.mo servitore

Can. CHIUSO Secret.

 

                Due giorni dopo fece scrivere a Don Rua un altro biglietto, per dire che andasse “al più presto da lui in Arcivescovado, [486] recando seco le patenti di confessione del signor D. Bosco”, certo a fine di correggerle.

                Ma qui dobbiamo farci una domanda: che cosa intendeva dire Monsignore con quella frase “se a tempo debito fosse stato eseguito quanto in casi consimili si usa praticare”? Quali erano i “casi consimili”? I casi di presentazione delle patenti in Curia per la conferma o i casi di colpevolezza? Voleva dunque egli riprendere Don Bosco e attribuirgli la causa del suo male, per non aver ritirate le patenti con maggior sollecitudine o per non aver riconosciuto prima non sappiamo quale sua colpa e fattane emenda? Mistero! Vi sono pur anco stratagemmi, a cui taluno ricorre, quando voglia tentare, come si dice, una ritirata in buon ordine. A la guerre comme à la guerre.

                Don Rua la sera del 29 si presentò a Sua Eccellenza, a cui l'indomani per lettera fornì schiarimenti non potuti dare nel colloquio, pigliando occasione per esprimere alcuni suoi sentimenti. “Sommamente addolorato, diceva, per la scissura che pare dividere l'E. V. da questa Congregazione e specialmente dal suo Fondatore, son persuaso che molte ragioni, che muovono l'E. V. a formarsi sinistro concetto di noi ed a credersi disobbedito od offeso, svanirebbero, qualora l'E. V. Rev.ma potesse sentire un'esatta esposizione delle cose. Perdoni se mai nel parlare o nello scrivere mi fosse sfuggita qualche parola meno riverente. Certo che sentendo parlare poco favorevolmente del caro nostro Superiore, provo gran pena, e per quanto vale la mia pochezza, ne prendo le difese, quando scorgo o mi par di scorgere che le cose non siano abbastanza conosciute. Sono tanti anni che gli sono al fianco, ognun vede il gran bene che va facendo e come il Signore va benedicendo le sue imprese; vedo eziandio come le cose che parrebbero più strane da lui proposte e dirette riescono a buon termine, e non posso fare a meno di conchiudere meco stesso che veramente il Signore gli concede la grazia dello stato; cioè che, avendolo destinato a compiere certe opere provvidenziali, gli è largo degli aiuti per farvelo riuscire, sebbene di tratto in tratto, come avvenne a tanti altri santi fondatori, abbia a trovarsi in contrasto con personaggi per [487] ogni lato rispettabili. Questo dico per ragione di aver osato ieri difenderlo forse un po' calorosamente; del resto, come diceva, intendo di chiedere umilmente scusa, se avessi parlato meno riverentemente, e spero che nella sua bontà non vorrà imputarmelo a colpa”. Ecco il linguaggio di un santo che, non dissociando giustizia da carità, si leva a difesa di un altro santo in contingenze di estrema delicatezza. Ora si confronti questo onesto parlare con il giudizio fattone dall'Ordinario e da noi riportato sopra (pag. 302).

                Oramai dunque la misura era stata revocata, e Don Bosco sentì il dovere d'informarne senza indugio il cardinal Berardi. Questi poi, mandandogli la patente limitata di confessare, poichè la facoltà dei casi riservati non si suole concedere da Roma, si affrettò a rispondergli:

 

                               Stimatissimo Sig. D. Giovanni,

 

                Non prima di ieri sera mi giunse l'altra sua carissima dei 29 del testè decorso Decembre, la quale mi arrecò la lieta notizia della revoca della consaputa misura. Un tale annunzio mi ricolmò di immenso piacere e mi fece sospendere ogni passo in proposito. Che se Ella desiderasse altrimenti, me ne dia subito avviso, e lo farò al più presto. In tale ipotesi però avrei bisogno di una relazione più dettagliata e più precisa.

                Intanto non v'ha che ad usare la massima prudenza e riservatezza, e se riavrò il piacere di rivederla qui, le aprirò allora sull'argomento tutto il mio cuore. Non mi sembra infatti troppo espediente che si affidi alla posta, la quale talvolta non è molto esatta, quel che amo di comunicarle. In tale intesa tomo a raccomandare me e i miei alle sue preghiere, e con sensi di distinta stima passo a dichiararmi

                Roma, li 3 del 1876.

Suo Dev.mo servitore

G. C. BERARDI.

 

                Per il Servo di Dio l'incidente era bell'e chiuso; tanto chiuso, che nella già citata Esposizione alla Sacra Congregazione del Concilio non ne fa più motto, riguardandolo sicuramente come semplice fatto personale. [488]

                “Fatto ridicolo”, glielo definì invece nel suo stile vivace monsignor Fratejacci, che aveva saputo tutto dal cardinal Berardi. A sollevare l'animo dei lettori leggiamo il fervorino del buon canonico. Sì, prosegue egli, “della sospensione Ella deve ridere. Fu sospeso qui in Roma dal Card. Vicario pro tempore anche l'Apostolo di Roma S. Filippo Neri! Egli accettò l'intimazione colla berretta in mano e disse: - Così va bene; adesso conoscerà il popolo che buona pelle sono io. Tutti mi stimavano, perchè non mi conoscevano; ma ora tutti conosceranno bene che buona lana è il P. Filippo. - Questi chiaro e oscuro servono mirabilmente nella vita degli uomini a chiarir meglio le virtù. Sono le ombre che danno migliore risalto alle arie e alle figure, che il valente pennello sa dipingere sulle tele più lodate”[199].

                La voce del caso aveva fatto qualche giro anche nel mondo ecclesiastico del Piemonte. Infatti il 30 gennaio fu dal Beato Monsignor Vescovo di Susa per informarsi e per consolarsi, diceva, di non essere solo a subire vessazioni.

                A poco a poco anche nelle sfere superiori della Congregazione la notizia della nuova avvisaglia era venuta a galla; [489] quindi i Direttori nell'adunanza annuale del '76 per la festa di San Francesco ne interpellarono Don Bosco fuor di seduta. Egli fra l'altro rispose loro: “Che farci?... [A Roma si] teme che precipiti in qualche eccesso e che salti il fosso... Spingerlo a nuovi passi falsi Roma non vuole, non Voglio io, nessuno vuole. È assai meglio patire qualche cosa noi, chinare il capo e tacere”.

                Ebbene, anche in ciò abbiamo una prova che Don Bosco era mandato dalla Provvidenza per una straordinaria missione nel mondo. San Giovanni della Croce scrive: “Ai capi delle famiglie religiose Dio dà le ricchezze e le grandezze della sua grazia proporzionate alle destinazioni provvidenziali della loro posterità spirituale, chiamata a ereditarne la dottrina e lo spirito”[200]. Ora la posterità spirituale del Beato Don Bosco doveva nel corso dei tempi guadagnare a Dio moltissime anime. Perciò il Signore lo arricchì dei tesori della sua grazia e lo fece crescere in perfezione mediante pene gravissime, che portarono lui all'apice della santità e valsero alla sua Congregazione tanta espansione accompagnata dal suo spirito.

 

 

CAPO XXIII. Certi giornali.

 

                SEBBENE, certi giornali, morti e sepolti, non meritino nemmeno la fama di Erostrato, tuttavia, poichè le loro infamie, non che maculare la riputazione del Servo di Dio, servono a farla maggiormente risplendere, così non sarà giudicato fuor di proposito chiamarli al redde rationem per inchiodarli al muro, segnati col marchio dei calunniatori.

                Per prima gli saltò addosso la Pulce, gazzettaccia che non si capisce come potesse impunemente assalire con insulti sì atroci le persone più rispettabili della città. Il numero 5, uscito la domenica 17 gennaio del '75, è il non plus ultra della violenza e della sfrontatezza. Sono vituperi, quali erutta soltanto la bocca sgangherata di una trecca inviperita.

                L'articolo è intitolato “L'avvoltoio di Valdocco” qualità dell'uccello di rapina per eccellenza, spigolate in tre autori di zoologia, somministrano gli elementi per tracciare del Beato Don Bosco un ritratto fisico e morale, che lo farebbe classificare fra i così detti delinquenti nati. La biografia è una caricatura sacrilega. Lo scopo dell'articolo scappa fuori dalle ultime righe: “I tribunali, ben presto, invece dei miracoli di Don Bosco, avranno ad occuparsi di una sua ladreria:, carpiva una eredità di circa mezzo milione al vecchio ed imbecille conte Belletrutti, mentre questi aveva un figlio superstite,  [491] a cui nulla lasciava!”. Velenosità di questo genere dovettero produrre i loro maligni effetti, se, come risulta da un documento dei nostri archivi, ancora nel 1918 una coscienza... timorata credette obbligo suo di denunziare in alto luogo proprio quest'accusa specifica e con termini più moderati, ma con sentimenti poco dissimili: motivo più che bastante, perchè la storia metta le cose a posto.

                Il conte Generale Filippo Belletrutti di S. Biagio morì il 17 settembre 1873, lasciando erede universale ed esecutore testamentario Don Bosco, “a fine, dice il testamento olografo, di giovarlo nelle molte opere di carità che egli sostiene a favore dei fanciulli poveri ed abbandonati”.

                Conosciutasi la volontà del defunto, un suo figlio naturale di nome Giuseppe Filippo Proton e due suoi nipoti sorsero a contestarla, come eredi del sangue, tentando d'insinuare accuse di captazione a carico del Servo di Dio e di farlo dichiarare incapace d'ereditare, perchè “qualificato nel testamento a capo di un istituto che non può ricevere”.

                Il tribunale di Torino pronunziò sentenza interlocutoria il 17 aprile 1874. Allora il Beato ricorse in appello. I due nipoti, opponendosi anch'essi al figlio naturale, proposero a Don Bosco un accomodamento amichevole od una transazione. Indubbiamente quei signori non avevano maggior diritto all'eredità che il figlio naturale; ma, siccome il testamento, oltre vari legati a favore dei suddetti e del Proton, ne aveva una moltitudine a favore di chiese e case religiose, parve al Beato minor male adattarsi ad un accomodamento.

                Il Proton, informatone, prese a insultare pubblicamente Don Bosco. E si noti bene che fin dal 29 settembre 1862 Costui in atto giudiziario era venuto ad una transazione col conte Belletrutti, in forza della quale egli ammise di non aver diritto a portarne il nome e cognome, come aveva fatto prima, e che altro non gli competeva fuori degli alimenti strettamente necessari. Ora questo sciagurato, imbattutosi il 10 ottobre [492] 1874 nel Servo di Dio per il Corso S. Maurizio a Torino, lo assalì con una serqua d'ingiurie, e con sì clamorose minacce, che alcuni soldati di cavalleria, trovatisi a passare di là, accorsero a trattenerlo. Don Bosco, rimasto tranquillo, tranquillamente proseguì la sua strada.

                E qui ci è caro incontrare l'energica e autorevole parola di monsignor Gastaldi. A Strambino, dove risedeva tino dei nipoti, la contestazione dell'eredità Belletrutti era divenuta così notoria, che il parroco Don Oglietti ne scrisse all'Arcivescovo, il quale gli rispose: “Le persone accennate dalla S. V. nell'ultima sua lettera, che muovono lite contro all'erede testamentario del Cav. Belletrutti, non hanno ragione alcuna, ledono la giustizia commutativa, ed avranno da rendere conto a Dio del danaro che faranno spendere, e che perciò sottraggono dal valore dell'eredità. Conosco tutto il pro e il contro di questo affare, e ripeto che hanno torto. Con ciò non conchiudo che V. S. debba loro negare la assoluzione sacramentale, dato che esse, fidandosi del consiglio di qualche ecclesiastico reputato prudente e zelante, potessero giudicarsi in buona fede. Ma il loro direttore di coscienza od il loro Parroco può e deve, in confessionale et extra, ammonirle dell'ingiustizia che commettono”[201].

                Il Beato dunque giudicò meglio di venire ad un accomodamento, perchè, diceva il memoriale presentato, “grave è il rischio della causa”. La transazione venne firmata il 10 gennaio 1875, lasciando a carico esclusivo di lui le spese relative alla vertenza con il Proton.

                Ma col Proton la vertenza non ebbe seguito. Egli riconobbe il torto e chiese scusa al Servo di Dio, che lo favorì come potè meglio; Don Rua poi gli procurò un impiego sufficiente alla vita presso la basilica del Sacro Cuore a Montmartre in Parigi. Abbiamo in archivio una sua lettera a Don Rua del 26 maggio 1890, lettera cordialissima, in cui lo chiama suo caro Padre [493] e Benefattore e si dichiara felice e fiero di chiamarlo così, Soggiungendo: “È una cosa ben dolce al mio povero cuore, che ha tanto sofferto per essere stato privo di ogni affetto paterno e materno, d'incontrare in te un vero padre ed un potente protettore. Sii mille volte benedetto”.

                Un secondo giornale che in questo medesimo anno aggredì il Servo di Dio fu La Nuova Torino. Nel frontispizio portava scritto “Giornale industriale”; ma dentro era pervaso da fobia anticlericale. Il numero 65 del sabato 6 marzo protestava con il seguente articolo contro l'erezione della chiesa di San Giovanni Evangelista; lingua e stile sono degni del contenuto.

 

D. BOSCO E I PROTESTANTI.

 

                Il Rev. D. Bosco che ha l'onore di confabulare una volta al mese con Domineddio e di annoiare il prossimo con sempre nuove questue, si è deciso di seminare per Torino tutte le chiese che egli sogna. Ad ogni momento col suo patrocinio ne sorge una, e pazienza fosse un monumento d'arte, la facesse col suo danaro e senza danno altrui; ma succede proprio alla rovescia. Sdegnato che vi esista in Torino una chiesa protestante, l'umile servo di Dio, mentre ne ha alcune delle sue in fabbricazione, si caccia in testa di edificarne una proprio vicino al tempio protestante, e brigando qua e là ottiene, lo diciamo con ripugnanza, un decreto di espropriazione per utilità pubblica, contro un proprietario cattolico che abita là intorno.

                Non vi sono altri luoghi per Chiese? È prudente mettere due oratorii diversi l'uno addosso all'altro? Ci fu giustizia in quanto abbiamo narrato? Nell'anno di grazia 1875 non è che a Torino, ove la setta nera predomina tanto ancora, che si poteva ottenere un decreto di espropriazione per utilità pubblica contro un protestante a favore di un prete intrigante.

                Vituperari ab iniquis laudari est. Rifacciamo brevemente, la storia anche di questa vertenza, evitando di diffonderci intorno a cose che appartengono al volume decimo.

                Sul punto di cominciare i lavori, si constatò che, se al terreno già acquistato non si fosse aggiunta una striscia, l'euritmia sarebbe venuta a mancare, non essendo possibile [494] rivolgere convenientemente la facciata sul Viale del Re, oggi Corso Vittorio Emanuele II. Ma quella striscia apparteneva ad un protestante. Erasi già quasi stipulato il contratto, quando i ministri Valdesi, saputa la cosa, promisero al proprietario un compenso, qualora mandasse a monte la cosa. Costui, comparso con Don Bosco dinanzi al notaio per la firma, rifiutò di stare ai patti già formulati, ma pretese nientemeno che centotrentacinque mila lire per soli trecentocinquanta metri quadrati di area. Un'esorbitanza simile aveva solo per iscopo di ottenere la rescissione del contratto, come era nei voti dei Valdesi.

                Ma il Beato non si sgomentò. Porse una supplica al Governo, chiedendo che la costruzione di quella chiesa fosse dichiarata opera pubblica. Il Ministero interrogò la Prefettura e questa il Municipio, che diede parere negativo, affermando che provvedeva abbastanza ai bisogni del culto il tempio Valdese. Allora la questione fu portata innanzi al Consiglio di Stato; ma ivi pure non spirava vento propizio. Il Ministro dei Lavori Pubblici Silvio Spaventa aveva assicurato la Prefettura e il Municipio di Torino che non avrebbe mai dato il suo parere favorevole. Il marchese della Venaria molto si adoprò per trarre i Consiglieri dalla parte della buona causa. Nel giorno in cui si doveva risolvere definitivamente la questione, tutti si aspettavano una ripulsa; invece per caso singolarissimo il voto riuscì favorevole al Servo di Dio. La chiesa di San Giovanni Evangelista venne così dichiarata opera pubblica; donde la conseguenza dell'espropriazione forzata di quella famosa striscia di terreno. Il decreto fu steso; ma ci vollero due anni perchè fosse presentato alla firma del Re, e bisognò che v'intervenisse personalmente Don Bosco.

                Infatti, recatosi a Roma nel febbraio di quest'anno 1875, provocò per mezzo del Ministro Vigliani la ricerca del documento, che finalmente il Re firmò. Ma le peripezie del decreto non erano ancora finite. Spedito quello a Torino, passarono [495] tre mesi senza che alcuno si facesse vivo con Don Bosco. Egli però della spedizione aveva avuto avviso da persona amica; quindi, atteso invano tanto tempo che gli fosse recapitato, si presentò al Prefetto della Provincia, chiedendone la pubblicazione. Il Prefetto gli rispose che non era ancora giunto.

                 - Eppure io so da fonte certa, che venne spedito, replicò il Servo di Dio.

                 - Da chi lo seppe?

                 - Perdoni, se non glielo dico; ma verifichi e vedrà che il decreto c’è.

                Il Prefetto chiama il segretario. Questi nega che il decreto sia arrivato in Prefettura. Don Bosco insiste, mostrandosi certissimo del fatto suo. Il segretario allora, messo con le spalle al muro, disse che sarebbe andato a cercare fra le carte. Andò, cercò o non cercò, e tornò col decreto, dicendo - Perdoni Eccolo, c'era davvero; ma stava nascosto sotto il polverino e io non ci aveva badato.

                Finalmente il decreto vide la luce, affinchè le parti interessate facessero i loro eventuali reclami. Ed ecco nuovi incagli per causa di molte pietre da lavoro esistenti sull'area da espropriarsi: per il trasporto di esse il proprietario esigeva un'altra somma abbastanza vistosa. Bisognò ricorrere ai periti, che, fatto un sopraluogo, giudicarono terreno e trasporto per il valore di ventiduemila e cinquecento lire.

                Tanto per finire questa storia, aggiungeremo qui ciò che avvenne più tardi. Il Beato volle in seguito comprare dallo stesso proprietario il resto che mancava a completare il quadrato di quell'isola, dove sorgeva una casina del protestante; per tal modo avrebbe potuto allargare l'Ospizio, in cui poscia collocò i Figli di Maria. Propose di pagare il doppio di quel che valesse il fondo. Il proprietario acconsentì; la sua famiglia era contenta: ma non erano contenti e non acconsentivano i Valdesi, che sobbillarono il proprietario ad accrescere il prezzo. Don Bosco si sarebbe rassegnato a fare qualunque [496] sacrifizio, se non era il malvolere altrui. Quando le parti interessate dovevano trovarsi nello studio del notaio, la prima volta il proprietario non comparve; la seconda, mandato a chiamare elevò le sue pretese alle stelle, sicchè l'ingegnere Vigna, procuratore di Don Bosco, andò fuor dei gangheri e fece in quattro pezzi la minuta del contratto, gridando: Questo è un burlarsi della gente! - Ma allora la chiesa si edificava già alla barba dei Valdesi.

                S'interessò del Beato anche la liberalissima Opinione, organo del partito che stava al potere. Sorta a Firenze nel '59 e trasferitasi a Roma dopo la breccia di Porta Pia, fu uno dei quotidiani che maggiormente influirono nel mondo politico d'allora. Parlò di Don Bosco non con malevolenza, ma in modo per lui alquanto compromettente. Basti dire che interloquì sulle relazioni fra il Servo di Dio e l'Arcivescovo di Torino, e non precisamente per dar ragione a quest'ultimo. Nel suo numero 271 del martedì 5 ottobre comparve una corrispondenza da Torino, intitolata “Discordie clericali”. Vi si dicevano del Beato cose verissime e lodevolissime: “In molte diocesi del Piemonte e della Liguria il pio e infaticabile prete fonda e tiene scuole, collegi, istituti. La sua fama è tanta che ha già valicato l'Atlantico, giungendo alle più lontane contrade dell'America Meridionale. Il fatto è che in quelle contrade... il Don Bosco venne richiesto di fondare due istituti d'istruzione cattolica, provvedendo programmi e maestri. Don Bosco accettò l'incarico, che al momento che vi scrivo è nella massima parte mandato ad effetto”.

                Poi per quell'agnosticismo ecclettico o meglio confusionario che è proprio dei liberali, “la pietà e l'operosità del prete torinese e i meravigliosi frutti che già ne sono derivati ricordano” al corrispondente un corifeo dei pietisti alemanni, del quale tesse l'elogio, per inferirne che “il prete cattolico torinese del secolo XIX non vuol essere da meno” del protestante Franke del secolo XVII, riconoscendo che “sino ad un certo punto vi riesce”. In fatti “senza censo proprio, senza [497] autorità ufficiale, il torinese, col solo concorso di private largizioni, innalzò chiese, aprì scuole, fondò ospizi, seminari e collegi. La chiesa, l'ospizio e la scuola di Valdocco costarono, essi soli, assai più di un milione. Mi fu detto che gli allievi, i quali frequentano le scuole e gli istituti di Don Bosco giungono agli ottomila. La cifra è forse esagerata; certo è che il numero degli allievi è ragguardevolissimo. Nè il Don Bosco è al fine della sua carriera”.

                Il corrispondente non s'illude di aver a fare con uno di quei preti liberali, pochini in verità, che erano portati in palma di mano dal liberalismo e adoprati come ausiliari preziosi nella sua guerra sorda e ostinata contro il Papa. “È superfluo l'avvertire, prosegue, che nella fortunata guerra mossa alla miseria e all'ignoranza il pio sacerdote intende soprattutto alla difesa e all'incremento della fede cattolica”. In prova di che adduce l'ultima sua impresa, “la fondazione d'uno speciale seminario destinato a fornire idonei ministri alla Chiesa cattolica”, alludendo all'opera di Maria Ausiliatrice.

                Egli però la guarda con l'occhio del liberale, che si compiace di vedere come qualcuno del clero si adatti alla nuova legislazione, violatrice delle libertà ecclesiastiche; sebbene il Beato Don Bosco partisse da un punto di vista assai diverso, che era di cavar bene dal male, anzichè esaurirsi in lotte sterili, cozzando con forze troppo superiori e intanto peggiorando sempre più le condizioni della vita religiosa in Italia. “Dotato di molto senno pratico, alieno da vani sogni, Don Bosco non crede che la legge sulla leva sia una nube passeggiera che il più leggiero soffio clericale basti fra poco a spazzar via. Perciò il suo seminario aveva appunto in mira di provvedere alle speciali condizioni che quella legge ha creato al clero cattolico. A tale effetto il seminario doveva essere aperto a coloro che intendessero dedicarsi al sacerdozio od al servizio ecclesiastico, dopo avere pagato alla patria il tributo della leva e del servizio delle armi. La Curia romana commendò altamente [498] il disegno del Don Bosco e gli concesse un apposito Breve”.

                In fine il corrispondente tira l'acqua al suo mulino, invitando i liberali a “non perdere di vista i progressi che questi (i clericali) vanno facendo nella parte più importante della vita sociale, l'educazione della gioventù, nè l'ardire e la perseveranza che vi dimostrano, nè gli straordinari mezzi di cui dispongono”. Quel “non perdere di vista” in un organo che dava l'imbeccata al partito dominante, è un eufemismo, il quale non ha bisogno di commento per essere inteso nel suo reale significato. Quello che segue sembrerebbe non autorizzare un'interpretazione odiosa; ma ivi si palesa il buon senso di chi scrive e non lo spirito che animava il suo partito nei rapporti fra Chiesa e Stato. “Il partito liberale deve rigettare e rigetta una gran parte dell'insegnamento che viene dato nelle scuole e negli istituti di Don Bosco. Però la pietà e l'operosità di questo è degna d'ammirazione e i liberali opererebbero saggiamente facendosene imitatori nell'interesse della civiltà, della scienza e della ragione”.

                Se tutto stesse qui, si potrebbe chiudere un occhio; ma il guaio si è che la corrispondenza torinese, lodando il Servo di Dio, tira a palle infocate contro l'Arcivescovo di Torino, rappresentato come un tiranno dispotico, che “nella sua diocesi esercita duro ed assoluto impero... Tutti i preti... debbono chinarsi ad ogni suo volere. Un solo prete è emancipato dalla sua legge. È il reverendo Don Bosco. È questa una spina... che punge acerbamente il cuore di monsignor Gastaldi, nè gli lascia goder pace”.

                Addentrandosi poi nel vivo delle questioni vecchie e recenti, da una parte ci rappresenta l’Ordinario che non vuol sapere nè di “esenzione dall'autorità e dalla giurisdizione vescovile” nè dell'Opera di Maria Ausiliatrice; dall'altra Don Bosco che “nelle cose sue è un piccolo vescovo”, con un'autorità che “non è chiusa nelle mura di Torino” e che “è assai grande in Roma stessa, presso il Papa ed un gran numero di [499] cardinali e di altri prelati”, e che cerca “luoghi e prelati più propizi all'attuazione del suo progetto”.

                Quanto deplorò il Servo di Dio che questo malaugurato screzio cominciasse così ad essere argomento di articoli su giornali di tal risma! Gli avversari dell'Ordinario, che fiutavano in Curia le notizie, erano quelli che le passavano di sottomano ai giornalisti, come chiaramente si vedrà negli anni successivi. Monsignore alludeva a un'infelice asserzione contenuta in quest'articolo, quando scrisse al Cardinal Bizzarri di un giornale rallegratosi “perchè Don Bosco sapesse essere l'unico sacerdote capace di resistere all'Arcivescovo”[202]. Noi amiamo credere che egli non abbia fatto al Beato Don Bosco il torto di dubitare che non sia stato proprio lui il primo a dolersi amarissimamente di un giudizio, il quale a un tempo offendeva la verità e feriva lui stesso nei sentimenti più delicati dell'animo suo.

                Era trascorsa poco più d'una settimana, che un foglio umoristico di Torino, il Fischietto, abituato non solo a fischiare su tutto, ma a infischiarsi di tutti, fece udire un suo beceresco zufolamento sopra un'ariaccia intitolata “Cose del giorno”. Sono freddure, sono villanie, ma sono ben anche insinuazioni da codice penale, come quella di “beccar testamenti al letto dei moribondi”. Chi sa quanti a Torino lessero si sguaiate sfrontataggini nel numero del giovedì 14 ottobre? È noto purtroppo quanta diffusione abbia la stampa satirica nelle grandi città e quanta presa vi faccia nel basso e nell'alto volgo. Onde fa tanto più stomaco vedere il nome immacolato di Don Bosco trascinato così sconciamente nel fango.

Ma nella chiesa

Co' santi ed in taverna co' ghiottoni[203].

 

                La canea giornalistica, che di quando in quando si levò [500] contro di lui e contro la sua Opera, non commosse mai il Servo di Dio, e fu prudenza lasciar abbaiare alla luna, ma fu anche commiserazione. A chi avrebbe voluto rimbeccare, non permetteva, contentandosi di dire: - Eh là, pazienza, anche questo passerà! Buona gente, se la prendono con Don Bosco, che non cerca che dì fare del bene! Avremo dunque da lasciare che si perdano le anime? Avversano, senza volerlo, l'opera di Dio. Egli saprà bene sventare le loro trame[204].

 

 

CAPO XXIV. Alcuni fatti straordinari.

 

                FATTI di ordine soprannaturale s'intrecciarono costantemente con la vita del Beato Don Bosco; per altro, dell'anno 1875 pochi sono quelli di cui ci fu tramandata notizia. Noi esporremo questi pochi; ma abbiamo ragione di credere che molto più numerosi siano quelli di cui purtroppo si è perduta la memoria. Alle cose che diremo sì presta naturalmente la semplice fede che si suole prestare a racconti umani corredati da attendibili testimonianze.

                Il 27 marzo morì nell'Oratorio un giovane di nome Salvatore Pagani da S. Giorgio Lomellina, alunno di Don Veronesi nella prima ginnasiale. Il Servo di Dio aveva annunziato che per il prossimo esercizio della buona morte uno avrebbe cessato di vivere. Era l'ultimo giorno di carnevale. Nevicava. All'uscir di chiesa anche Pagani prese il suo pane ed anche il suo salame, perchè era quello il giorno del suddetto esercizio. Poche ore dopo gli venne male. Si telegrafò al padre, che giunse verso notte; ma il figlio era già spirato. Don Bernardo Vacchina è testimonio della predizione e dell'avveramento.

                Quando il Beato partiva da Torino per accompagnare a Genova i Missionari, entrò nella vettura ferroviaria con lui il signor Cerrato di Asti, venuto appositamente per assistere alla funzione dell'addio: sant'uomo, già avanzato in età, gran benefattore dell'Oratorio. Nella sua patria spinto dalla carità del Signore, aveva fondata una Piccola Casa, a somiglianza [502] di quella del Cottolengo, quand'era ne' suoi esordi; ma gli bisognavano suore, che ne curassero il buon andamento. Due giorni prima a Piacenza aveva trattato con le Figlie di Sant'Anna, che gli davano buone speranze, senza però che vi fosse nulla di conchiuso. A Torino con un biglietto di Don Bosco si era presentato al Padre Anglesio, Superiore della Piccola Casa della Divina Provvidenza, per ottenere da lui alcune delle sue religiose. I1 Padre pure l'aveva accomiatato con buone parole e niente più. Ora egli sedeva già in vettura per tornarsene ad Asti, la macchina già cominciava a lanciare il fischio della partenza, quando all'improvviso il Servo di Dio gli dice: - Scenda, scenda; vada a ritentar la prova col padre Anglesio; finisca le cose. - Il Cerrato obbedisce, discende, ha appena tempo di mettere il piede a terra, che il treno in moto piglia la corsa. Non è ancora uscito dalla stazione, che s'imbatte in un signore venuto in cerca di lui per consegnargli da parte del padre Anglesio un biglietto così concepito: “Venga, che forse possiamo concertare subito tutto intorno a quelle cose, delle quali abbiamo parlato”

                Andò al Cottolengo la stessa sera, quantunque fossero le nove; in un batter d'occhio fu affar finito. Chiunque fosse stato in luogo suo; avrebbe attribuito la parola del Beato a lume superiore; egli più di tutti.

                Faceva patte della spedizione Don Valentino Cassinis. Nell'Oratorio al giorno della partenza; egli si sentiva profondamente afflitto e se ne stava in un angolo. Il Beato, passando di là, gliene domandò la causa. - Sono mesto, rispose, perchè devo abbandonare Don Bosco e non lo vedrò mai più. Don Bosco lo consolò dicendogli: - Caro Cassinis, stai tranquillo, chè ci vedremo ancora. Te l'assicuro.

                 - Lei me lo dice per farmi coraggio. In America non verrà lei, e io forse non tornerò più in Italia.

                 - Sta' sicuro; ci vedremo ancora prima di morire. Te lo assicura Don Bosco, te lo assicura Don Bosco!

                Al colloquio era presente Don Rua. [503] Don Cassinis partì rassicurato. Stette dodici anni laggiù, finchè nel settembre del 1887 monsignor Cagliero lo volle compagno di viaggio in Italia, senza che egli ne avesse fatto domanda, anzi meravigliato di quella disposizione.

                Giunto a Torino, passate le prime emozioni, il giorno dopo la festa dell'Immacolata Concezione, il Beato disse per il primo a Don Cassinis, che più non se ne ricordava: - Non te l'ho detto io che prima di morire ci saremmo ancora visti? - D. Cassinis si rammentò, gli baciò la mano e intenerito pianse.

                Il suo spirito di profezia si rivelò ancora in una circostanza singolare. Costanza Cardetti, fanciulla di quindici anni, aveva nella propria casa una persona che attentava continuamente alla sua virtù: il suo padrigno. Mercè la grazia di Dio sempre ella ne respinse gli assalti; ma le era impossibile allontanarsi dal luogo del pericolo. Manifestata la cosa al confessore, questi le ordinò di palesare tutto alla madre, la quale, ascoltata in silenzio la confidenza, venne senz'altro a Torino nel '75 per chiedere consiglio a Don Bosco.

                Il Servo di Dio le diede una medaglia di Maria Ausiliatrice e le disse:

                 - Consegnate questa medaglia a vostra figlia, che se la metta al collo. Per due anni e più la Madonna non le farà la grazia di essere liberata da quella persona; ma le farà l'altra più grande di proteggerla, sicchè non le accadrà nulla.

                La buona madre, tranquillata dalle parole di Don Bosco, fece ritorno a casa, consegnò la medaglia alla figliuola e le riferì quello che Don Bosco le aveva detto.

                Infatti per due anni interi, nonostante che la persecuzione continuasse e molte volte il pericolo fosse serio, la fanciulla ne scampò sempre quasi per miracolo. Passati due anni e otto giorni, la stessa persona, che, avendo autorità sopra di lei, non le aveva mai permesso di andar a stare fuori di casa, nella festa di Maria Assunta in cielo la mandò a lavorare stabilmente in un paese lontano dodici miglia. [504] La giovane, ringraziando la Madonna, non se lo fece dire due volte, ma si affrettò a raggiungere la sua nuova destinazione nè comparve mai più a casa. Poco dopo si fece suora nel Monastero delle Giuseppine di Cuneo, dove ancora viveva nel 1903, pronta sempre a confermare con giuramento le cose che abbiamo narrate.

                Come nell'avvenire i fatti contingenti, così il Servo di Dio leggeva negli animi i pensieri reconditi. I due episodi che ora narreremo, accaddero anch'essi nel 1875.

                Il sacerdote D. Maurilio Mandillo, Rettore di Bertolla[205], piccolo villaggio nelle vicinanze di Torino, fu mandato un giorno dal padre Carpignano filippino a chiedere confidenzialmente una cosa a Don Bosco. Il prete, che frequentava San Filippo e non aveva mai visto il Servo di Dio, venendo verso l'Oratorio, lo incontrò sul viale. Don Bosco gli si avvicinò e senza lasciargli aprir bocca lo salutò per nome e gli disse: - Lei viene da Dante del padre Carpignano a domandarmi questo e questo. Ebbene, riporti al Padre che è così e così. - Ciò detto, gli rinnovò il saluto, lasciandolo trasecolato, poichè nessuno al mondo poteva aver detto a Don Bosco quello, su che era venuto a consultarlo.

                Dal medesimo Rettore di Bertolla proviene la relazione del fatto seguente. Giaceva inferma, sembra per grave piaga ad una gamba, la Superiora delle Figlie della Carità in Torino. Due suore si recavano al santuario di Maria Ausiliatrice per raccomandarla alla Madonna, quando sulla piazza incontrarono il Beato, il quale, avvicinatele, disse loro che cosa erano venute a fare, e poi soggiunse che la Superiora sarebbe guarita e vissuta ancora lungo tempo. Infatti viveva ancora nel 1902[206].

                Un rubizzo vecchietto di Borgo S. Martino, per nome Pietro Cornelio, serbò fino all'ultimo viva memoria di un [505] fatto, che non si stancava di ripetere, terminando sempre il racconto con la chiusa obbligatoria: - E questo è vero come è vero che sono battezzato. - Il fatto accadde nel '75. Un giorno Don Bosco attraversava il paese in compagnia del parroco e fra molta gente uscita sulla strada per vederlo, quando giunse vicino a una povera donna, che lo supplicava accoratamente di benedirla. Da due anni aveva le gambe irrigidite da paralisi; si era fatta portare là, nella speranza che il Servo di Dio la guarisse. Don Bosco, udito il caso, n'ebbe pietà, le diede la benedizione e le disse: - Domenica andrete a Messa. - Infatti la domenica seguente si potè muovere e andare alla chiesa, perfettamente guarita[207].

                Una grazia straordinaria, non del '75, ma nel '75 resa di pubblica ragione, trovi posto in questo luogo. Il giovanetto Eugenio Ricci dei baroni des Ferres, giocando col fratello Carlo e con un cugino, fece per saltare una fossatella, ma, fallitogli il piede, cascò e si ruppe la gamba. Don Bosco, che amava il pio giovane e n'era riamato, andò a visitarlo. L'ammalato gli fece mille feste. Don Bosco, per usare l'espressione dell'anonimo Gesuita che narra il fatto, “con quel mansueto, umile e venerando aspetto che gioconda e soggioga i cuori”, gli disse sorridendo:

                 - Mio caro, quanto sarei contento che ti fossi rotta anche l'altra!

                 - Che dice, Don Bosco?

                 - Eh, sì, “continuò pacatamente l'uomo di Dio”, allora potresti apprezzar meglio il potere della Madonna a guarirti. Su, coraggio, spera in Maria Santissima; alla fine del mese ti potrai mettere in viaggio.

                E così fu; poichè doveva recarsi a Parigi nel Convitto di Santa Genoveffa[208]. [506]

                Il barone Carlo, suo fratello, completò la narrazione del Gesuita attestando che i medici subito dopo la caduta dubitavano di dover amputare la gamba; che ne fu tosto scritto a Don Bosco, il quale andò solamente dopo quattro o cinque giorni; che per la sua benedizione l'infermo si senti all'istante meravigliosamente sollevato, tanto che quasi subito o dopo brevissimo tempo si potè alzare da letto.

                Il Signore favoriva di grazie gratis datae il suo Servo, perchè gli fossero di aiuto nel procurare la divina gloria e la salvezza delle anime. Esse ne manifestavano anche a tutti l'esimia santità; ciò nondimeno la fama di santità che lo accompagnava, nacque primamente dalle virtù che dappertutto e sempre si vedevano in lui risplendere.

 

 

CAPO XXV. Fine d'anno.

 

                L’ULTIMO mese dell'anno, rallegrato in principio dal felice arrivo dei Missionari[209] e dai benefici effetti di quella spedizione tanto dentro che fuori di Casa, e contristato alla fine specialmente dall'episodio della sospensione, ci richiama ancora una volta all'Oratorio per conchiudere nell’intimità della pace domestica il racconto di tante vicende, che ce ne hanno così spesso allontanati. Poche cose veramente ci rimangono da narrare; ma in compenso ci parlerà a lungo il Beato Padre con quella sua parola che a mezzo secolo e più di distanza risuona pur sempre grata e opportuna.

                Il Noviziato, con l'isolarsi dal resto della Casa e passare alla dipendenza immediata di Superiori suoi, non partecipava più a tutte le pratiche religiose comuni e non poteva più essere nè presente a tutte le parlate pubbliche del Servo di Dio, nè fare a meno di speciali istruzioni, da lui espressamente a loro indirizzate per formare in essi lo spirito Salesiano. Ecco infatti che il 13 dicembre Don Bosco per la prima volta andò dai novizi a tenere una conferenza, nella quale mostrò la preziosità della vocazione, insegnò come regolarsi nelle dubbiezze e suggerì alcuni mezzi per conservarla. Un autografo di Don Giulio Barberis, maestro dei novizi, ce l'ha conservata nella forma seguente. [508]

                È la prima volta che io vengo a parlarvi. Sono molto contento di potere di tanto in tanto intrattenermi con voi, e mi piace di vedermi radunati attorno tutti, gli Ascritti dell'Oratorio, e che vi siate voi soli. Così potrò cercare di dirvi qualche parola che a voi in particolare sia appropriata.

                Quali vi dirò io in questa sera? Ecco, io sceglierò semplicemente alcuni pensieri che mi sembrano più importanti per voi e ve li esporrò senza fermarmi a fare digressioni od a voler fare una predica formata.

                Traggo questi pensieri dal Vangelo di questa mattina. Nella Santa Messa, leggendo il Vangelo stamane, mi feci a ponderare un momento quelle parole: Simile est regnum Dei homini negotiatori quaerenti bonas margaritas et inventa una pretiosa, vadit, vendit omnia quae habet et emit agrum illum. È simile il regno di Dio ad un negoziante che va in cerca di perle preziose e trovatane una, va a vendere tutto ciò che ha per comperarla.

                Quale sarà questa perla preziosa? Questa perla preziosa ha molti significati. Può intendersi in generale delle virtù. E che perla più preziosa si può mai possedere? In particolare molti per questa perla preziosa intendono la Fede; poichè quand'uno l'ha trovata, egli è fortunato, con essa può possedere il regno di Dio. Per voi è perla preziosa l'istruzione che in gran copia avete ricevuta e potete ricevere, sia istruzione letteraria, sia istruzione religiosa. E non a tutti è dato di acquistar tante cognizioni, le quali vi possono tornare di utilità stragrande per tutta la vita.

                Tuttavia quando io parlo con giovani, non trovo che altra perla possano essi cercare più preziosa che il conoscere la propria vocazione. Sì, la vocazione allo stato ecclesiastico ed allo stato religioso è perla così preziosa che parmi non possa trovarsene altra da poterla con essa paragonare. Notate però che quando si dice di andare in cerca e di tenere una perla preziosa, non si vuol già dire di lasciare le altre, no; dico che questa è così preziosa, che noi dobbiamo cercarla con tutta sollecitudine, perchè, se vi ha essa, ve ne saranno molte altre insieme; non può stare da sola; ma essa si conduce dietro le altre virtù, di modo che si può proprio dire di lei ciò che si legge nella Sacra Scrittura: Venerunt mihi omnia bona pariter cum illa.

                Un giovanetto, quando si tratta di deliberare della sua vocazione si trova in faccia il mondo che gli presenta mille lusinghe. Oh quante cose si presentano alla mente del giovane a quest'età! Si desidererebbe di godersela per una parte; ma dall'altra c’è l'amor di gloria, la voglia di fare carriera negli studi, la smania di guadagnare e diventar ricchi. Il demonio ancora pone in mente la monotonia della vita religiosa, i disprezzi, le mortificazioni, la continua obbedienza.

                Come fare con tutti questi pensieri a decidere della vocazione?

                Fare come insegnava S. Ignazio a S. Francesco Saverio, mentre entrambi erano studenti all'Università di Parigi. Fatta reciproca [509] conoscenza, vedendo S. Ignazio come il suo compagno era tutt'attaccato alla vanità, all'onore, alla gloria, gli andava dicendo: - A che giova tutto questo per l'eternità?

                 - Oh! io studierò, prenderò la laurea, diventerò professore; e chi sa che non diventi anche professore di Sorbona col tempo.

                 - Sì, bene, ma dopo la morte, ne farai ancora qualche cosa di tutto questo? che te ne rimarrà? La vita è un soffio, dura poco; l'eternità non finisce giammai. A che affannarsi tanto per fare poi una comparsa di pochi giorni su questa terra e non pensare a prepararsi un bel posto in quel luogo dove dovremo stare per tutta l'eternità?

                Un fatto simile avvenne a S. Filippo. Trovato un giovane, Francesco Zazzera... e poi... e poi... e poi... Sì, questo mondo è come, una scena di teatro: passa in un momento.

                Adunque per decidere della vocazione bisogna portarsi in punto di morte, di là si vede ciò che è realtà e ciò che è vanità.

                Bisogna vedere i veri nostri vantaggi: non i transitori e caduchi, ma i reali vantaggi ed eterni. Oh! come è fortunato un giovane, sì, non posso nasconderlo, come è fortunato un giovane quando, trattandosi di conoscere la propria vocazione, trova qualche persona santa che gli sappia proprio suggerire ciò che il Signore vuole da lui! Che sappia fargli considerare il punto della vocazione dal punto di morte; che sappia fargli vedere che, se sbaglia, è per lui un male in eterno; che sappia metterlo sull'e poi?

                Fin qui io ho supposto che un giovane, il quale forma i suoi progetti di fortuna, di felicità, di gloria, queste fortune le consegua realmente e vi ho detto che, sebbene vengano, esse sono un nulla. Ma per lo più accade poi realmente ciò che uno si pensa? Ci viene questa fortuna, questa gloria? Io son troppo pratico di questo: vi so dire che ben di rado. Eh sì! uno pensa: - Dopo quell'esame, dopo quella laurea, eccomi professore, e guadagno, guadagno! - Oh! oh! Ma a quell'esame sarai promosso? Ma hai mezzi sufficienti per portarti al punto da ottenere la laurea? Ma avuta la laurea, un posto ti è già assicurato? Io vedo che i progetti sono infiniti; ma quelli che si realizzano poi, sono ben pochi, e mentre tutto sembra sorridere, mille difficoltà insorgono e fanno cader tutto.

                Sta bene che io vi racconti uno di questi casi. Non è antico ma è avvenuto d'oggi stesso. Un giovane che anni scorsi era qui, nell'Oratorio, pesandogli un po' questa vita, fece mille progetti e credendosi che, in un istante si potessero effettuare tutti i suoi disegni, se ne uscì. Quest'oggi veniva a domandare aiuto con molta premura, poichè la miseria in cui era caduto l'aveva spinto ad atti ben disonoranti, sicchè doveva fuggire per non essere dato in mano alla giustizia. Piangeva i tempi andati e diceva: - Finchè uno è qui ritirato, si crede di trovar fuori chi sa che cosa, e fuori non c’è che inganno, insidie e miserie. Io sono uscito sperando di migliorare la [510] mia sorte; credeva più che facilissimo colorire varii miei disegni, i quali mi avrebbero reso ricco e potente; ma altro è fare i bei disegni, altro è poterli eseguire. Io non ho trovato che onta e rovina, sia dell'anima che del corpo.

                Ma questo è il punto dove nascono le difficoltà. - E se quel bene si conseguisce? Oh come sarò contento per sempre! condurrò la mia vita fortunata.

                Avete mai visto dei fanciulli che, sbattendo del sapone nell'acqua, ne fanno uscire tante bolle? Oh, il fanciullo vede andar sii in alto quelle bolle, ed è contento, batte le mani, gongola di gioia; fa per prendere una perla, e si trova in mano un po' d'acqua limacciosa. - Ma pure era tanto bella! - Sì bellissima, specialmente quando direttamente le batte il sole sopra, cioè quando si trova tra il sole e chi l'osserva. Tanto belli paion quei nostri sogni o progetti; ebbene, vi riusciranno, quando pure li possiate effettuare, come un po' d'acqua limacciosa che vi sporcherà le mani e niente più.

                Poi l'avete già sentito a ripetere più volte quel detto di S. Giacomo Apostolo: Mundus in maligno positus est totus. Non crediate che sia esagerata la parola totus. Prima di tutto è là nel Vangelo; poi... poi... Oh! quanta esperienza lo dimostra.

                Invece uno che lascia il mondo, l'abbandona, costui trova quella preziosissima perla che è la vocazione religiosa. Oh sì, sì, venda pur tutto per comperare questa perla, che sarà sempre comperata a buon prezzo. Uno a questo punto può dire: - Io mi son messo per la via buona, sono tranquillo. - Ebbene, io soggiungo a costui: - Sappi che nella vita religiosa tu non solamente troverai la pace, la salvezza dell'anima, ogni bene spirituale; ma anche quei beni temporali, che nel inondo non avresti trovati, qui li trovi.

                Lasciate che io vi dica anche questo: anche su questa terra chi vuole che nulla gli manchi, chi vuole onore e gloria, si faccia religioso, ma buon religioso. Porterò qualche caso tra noi, ma di persona assente, e toccherete questa verità con mano. Poniamo, ad esempio, Don Cagliero. Se egli non entrava nella Congregazione, poniamo, sarebbe venuto un buon prete, un zelante ecclesiastico, un maestro di pianoforte. Ma no, esso rinunziò ad ogni gloria mondana, si ritirò tra noi; ebbene guardate: la gloria ch'esso fuggiva, l'ha seguito e gli venne molto, molto più grande, tanto che ora quasi tutti i giornali, non solo d'Italia, ma di Francia, di Spagna, di Germania, d'Inghilterra, parlano di lui, e lo qualificano come eccellente maestro di piano, come musico... come predicatore solenne... come professore di teologia... È senza venire in Congregazione non avrebbe avuto per certo nulla di tutto ciò.

                Poniamo Gioia e Belmonte: il primo sarebbe divenuto un povero ciabattino, il secondo un povero domestico. Si consacrarono al Signore, ebbene anch'essi quanti onori ricevettero a Roma dal Papa,  [511] da Cardinali, da Monsignore poi per questa partenza d'America quanti elogi su tutti i giornali e da tutte le persone buone!

                E poi noi saremmo stati poveri nel mondo. Ora, se vengo ammalato, ho case, villeggiature, castelli in ogni luogo dove l'aria mi faccia bene, con domestici in ogni luogo, buoni e fidi, pronti a servirmi: cose che non hanno neppure i Re'.

                Voglio io ora dirvi che stiate nella religione per acquistarvi fama, comodità, ricchezze? Ben altro! Ma ve le ho dette queste cose e desidero che le teniate bene a mente, sia perchè ci facciano sempre più ammirare la bontà e benignità del Signore, il quale dà centuplum anche in questo mondo di tutto ciò che si fa per Lui; sia poi specialmente perchè noi ci troviamo in mezzo al mondo e dobbiamo parlare con gente del mondo, che le altre ragioni non le capisce e potremo capacitarlo con queste ragioni, che riguardano l'interesse e che sono le loro.

                Ma noi per qual motivo dobbiamo farei religiosi?

                S. Agostino dice ai Cristiani: - Attenti a Chi ci chiama! - Ebbene, ascoltate questa voce che vi chiama, ed è nella Sacra Scrittura: Manete in vocatione, qua vocati estis.

                E qui il maraviglioso si è che non dice il Signore: - Conosci, o cerca di conoscere la tua vocazione. No; oh! non è cosa malagevole il conoscerla, solo che non si chiudano le orecchie alla voce che il Signore ci fa sentire. Solo, che uno si procuri i requisiti di virtù, di buone opere o di scienza che si richiedono per secondarla questa vocazione, poi stiamo tranquilli che il Signore ce la fa conoscere ben facilmente; anzi fin dalla nostra nascita ci predispone le cose che ci hanno da condurre ad eseguire la sua vocazione o chiamata.

                Mi pare un error grave questo di dire che la vocazione è difficile a conoscersi. Il Signore ci mette in circostanze tali che noi non abbiamo che da andare avanti, solo che noi corrispondiamo. Riesce difficile a conoscersi, quando non si ha voglia di seguirla, quando si rigettano le prime ispirazioni: è lì che s'imbroglia la matassa.

                Uno comincia a non seguire la sua vocazione e poi non sa: gli pare, non gli pare... Si segua il primo impulso della grazia, e le cose cambieranno d'aspetto. Vedete, quando uno è indeciso se abbia da farsi religioso o no, io vi dico apertamente, che costui ebbe la vocazione, non l'ha seguita subito e si trova ora un po' imbrogliato, un po' indeciso. Ditegli pure che preghi, che si consigli; ma fin che non dà un calcio a tutto e si getta nelle mani di Dio unicamente, costui sarà sempre irrequieto. Fate che si decida a farsi religioso; egli entra, e con quell'atto finiscono tutte le sue irrequietudini. E perchè? Perchè ha finito col seguire quella voce del cuore che glielo imponeva.

                Di modo che a me par chiarissimo e naturale il consiglio dell'Apostolo: Manete in vocatione qua vocati estis. Perchè, se il Signore vi ha fatto venire il desiderio e vi ha condotti fino a questo punto, cioè [512] vi ha dato grazia già d'incarnare quel desiderio che esso vi ha dato, questo è segno evidente che è Esso che vi chiama qui.

                Ripeterà qualcuno: - Ma sono poi io veramente - certo di essere chiamato a fermarmi in Congregazione? - Non è stabilito apposta il noviziato in tutte le Congregazioni, affinchè il novizio nell'anno di prova veda proprio se è chiamato dal Signore a quella vita, e per dar tempo ai Superiori di poterlo conoscere e poi consigliare e dirgli: - Tu entra pure, noi conosciamo che hai la vocazione; - oppure: - Esci, chè ci siamo accorti che tu la vocazione non l'hai?

                Rispondo al primo dubbio: - L'ho io proprio la vocazione? E chi ne dubita? Certo che l'hai. Questo ve lo dico apertamente a ciascuno in particolare ed in generale a tutti. Certamente voi tutti siete chiamati a servire il Signore nella Congregazione di S. Francesco di Sales; e chi non corrisponde, mette ben in pericolo la sua eterna salute. Ma come? Due motivi.

                1° Se io od i vostri Superiori avessimo veduto un qualche dubbio, non vi avremmo accettati. Quasi tutti i giorni vi è chi chiede di venire o di entrare, ed i Superiori vedono che taluno non ha le condizioni richieste, cioè non ha la vocazione, e non lo accettano. Se voi siete stati accettati, è segno che i vostri Superiori, i quali son posti da Dio a dirigervi, ed i quali reddere debent rationem pro animabus vestris, conobbero essere questa la volontà di Dio. Ma dirà qualcuno: - Forse che il Superiore non opera in causa propria? - E credete che il Superiore voglia perder l'anima sua e tradire l'anima vostra per avere uno di più in Congregazione? uno che, non essendo chiamato da Dio, non farà altro che dare disgusti in Casa? Anche voi vedete che questa supposizione sarebbe poco felice.

                2° Se il Signore non vi avesse chiamati a questo stato, non vi avrebbe dato il desiderio illuminato sul da farsi, nè la volontà di abbracciarlo; non vi avrebbe messi nella circostanza di poter eseguire il vostro desiderio; non vi avrebbe fatto provare quel piacere e quella pace che provaste quando sentiste d'essere stati accettati. Non crediate che queste siano ragioni da poco; sono ragioni essenziali. Iddio è padrone delle cose tutte, come di ciascuno dei nostri pensieri.

                 - È dunque al tutto certo che tutti noi siamo chiamati a quello stato? - È al tutto certo, sì. Il mettere in dubbio ciò, sarebbe mettere in dubbio quello che il Signore ha fatto od ha giudicato ben fatto. State adunque tutti tranquilli e certi che la vostra vocazione è assicurata, e che se osservate le regole della Congregazione, avete avanti la via aperta, che vi conduce diritto al Cielo.

                Rispondo a un secondo dubbio: - Il noviziato non è stabilito per dar tempo a conoscere la propria vocazione? - No, il noviziato non è stabilito per ciò. Io credo che quando uno è condotto da buono spirito, cioè consigliato a ciò dal suo Direttore, e che non inganna i Superiori della Congregazione riguardo al suo stato, ma apre loro [513] sinceramente il cuore, costui, entrando in noviziato, ha già certa la sua vocazione.

                Ma non basta avere la vocazione per far bene in una Congregazione; bisogna anche avere forze sufficienti per eseguirla. C'è chi ebbe la vocazione e non la seguì subito e si diede a vizi, si lasciò condurre dalle sue cattive inclinazioni, ed in questo modo diede padronanza alle sue passioni, le quali lo tiranneggiano, ed egli quasi non si trova più padrone di esse. Il noviziato fu stabilito affinchè l'ascritto misuri le sue forze, se cioè la sua debolezza, prodotta specialmente dal non aver eseguito subito la sua vocazione, non lo rende inabile a quella santa vita; è stabilito perchè il Superiore veda se l'individuo ha realmente in sè la forza, la virtù e la voglia risoluta di seguire la sua vocazione.

                Il noviziato è stabilito perchè ciascuno si impratichisca bene delle Regole e dopo possa disimpegnare i suoi doveri con facilità e prontezza. Il noviziato è stabilito perchè ciascuno si fortifichi nelle virtù affinchè dopo di avere colla professione religiosa riacquistata l'innocenza battesimale, non abbia di nuovo, in forza delle ancor vive ed immortificate passioni, a perderla.

                Ma ora, si supponga ciò che avviene con frequenza in tutte le religioni, che cioè uno dopo di essere stato per un po' di tempo in religione tranquillo e contento, adesso non stia più volentieri, trovi motivo di lagnanza; gli rincresca il caldo, il freddo, il cibo, l'obbedienza; tutto gli venga a noia. Questo è segno che costui non aveva la vocazione?

                Notate prima di tutto, essere vero che chi si mette a servire il Signore, non ha sempre da camminare sulle rose, e troverà sterpi, cardi e spine. Il Signore non ci disse mai: - Chi mi seguita avrà a camminare sulle rose. - Anzi, invitandoci alla sua sequela, ci dice: Si quis vult venire post me, abneget semetipsum, tollat crucem suam. Il Signore c'invita a rinnegare noi stessi e metterci in collo la croce. Cioè noi, mettendoci alla sequela del nostro Divin Maestro, dobbiamo mostrarci pronti a sopportare ogni pena per amor Suo. E se c’è da soffrire caldo o freddo o disagio, e se non ci gusta tanto il cibo od altro, dobbiamo essere ben contenti di poter patire un poco per quel nostro Gesù che patì assai più per noi. Ma Gesù Cristo stesso, nostro Divin Maestro, ce lo fece noto che non ci mancheranno le tribolazioni e ci disse: - Chi Vuol godere poi con Cristo, deve esser crocifisso con Lui.

                Noi adunque dobbiamo patire, e molto, anzi bisogna che siam crocifissi con Gesù; la croce è la sua bandiera, è il suo stendardo; chi non la vuol seguire, non è degno suo discepolo. - Ma, dice qualcuno, il freddo in questi paesi, in questa stagione! ma quel cibo e quella bevanda così scarsa e niente appetibile al gusto! quell’ufficio poi che mi han messo a fare! Poi quel lavorare tutto il giorno senza requie! [514] Ci sono altri che hanno da fare meno di me, e se esce qualche lavoro, ancora lo addossano a me! Tutto questo finisce per pesare.

                Eh! poveretto, sì, ti compatisco; ma che cosa vuoi tu fare a questo mondo, se un po' di caldo, un po' di freddo serve a farti perdere la pace? ma come sarai tu seguace di Gesù Crocifisso, se ti lagni e ti accori, perchè il cibo non è tutto di tuo gusto o se l'impiego che ti hanno dato, ti pare un po' gravoso?

                Oh! meditiamolo frequentemente Gesù Cristo crocifisso; riflettiamo, venendoci di questi pensieri, ai grandi patimenti che sopportò Gesù per noi, e dopo non troveremo più gravosa quell'obbedienza, vedendo Gesù obbediente usque ad mortem; non ci dispiacerà più la povertà, osservando che Gesù per amore di quella morì poverissimo in croce senza neppur avere di che coprirsi.

                Malgrado tutto ciò, avviene molte volte che il demonio si mette attorno a qualcuno, e sembra proprio che cerchi appositamente di tribolarlo. Comincia dal dirgli: - Potresti far del bene anche nel mondo. - Poi passa a fargli veder dura la vita della religione; poi gli dipinge dolce quella che fuori si conduce. Così un poco per volta gli insinua pensieri di libertà, di sconfidenza, e viene al punto da farlo dubitare sul serio della vocazione, finchè gli dice: - Tu veramente non sei chiamato a questa vita; se vi fossi chiamato, saresti più tranquillo. Se il Signore ti avesse veramente chiamato, non proveresti per parte tua tanta difficoltà, e per parte di Dio più abbondante sarebbe la grazia. - E tanto lavora il demonio che lo mette in pericolo di perdere sul serio non solo la vocazione ma la grazia di Dio e forse l'anima.

                Altre volte il demonio si trasforma in angelo di luce. - La vita contemplativa piacerebbe forse più al Signore; qui non si fanno penitenze; io ho tante inclinazioni cattive che, se non faccio maggiori penitenze, guai! - Anche questa è tentazione: manete in vocatione qua vocati estis.

                In questi dubbi che cosa adunque si avrà da fare? Oh! tenete a mente che se il demonio vi conducesse fino a questo punto, egli avrebbe già fatto assai su di voi; perchè, se non state più che attenti a usare i mezzi che vi suggerirò, siete in grave pericolo di soccombere. Io non farò altro che esporvi ciò che sant’Alfonso, seguendo altri Santi e Dottori della Chiesa, ci dice.

                Primo grande consiglio: tenere il segreto, cioè non parlare con nessuno di questo vostro dubbio, o di questa tentazione, o di questa già quasi vittoria che il demonio ha riportato sopra di voi. Per carità non promovete lagnanze coi compagni. Io vi diceva testè che la vocazione è una perla preziosa; ora se voi ne parlate con altri, il demonio si mette in mezzo ai sussurroni e vi fa quella strage che io al certo non vi desidero. E sapete perchè insisto sul secreto? Perchè Papa S. Gregorio Magno ci ammonisce in questo modo: Depraedari desiderat,  [515] qui thesaurum publice portat in via. Essendo la Vocazione un gran tesoro, se si manifesta ovunque, lo si perde. Dunque, secreta la vocazione, secreto il dubbio.

                Secondo grande consiglio: quando siete così agitati, non prendete nessuna deliberazione. Tenetelo bene a mente ciò che si legge in Isaia: - non in commotione Dominus. Il Signore non si trova mai a parte delle risoluzioni che si prendono quando si è così agitati.

                Invece pregate, pregate molto; si pensi alla vanità delle cose di questo mondo, come con la morte passa tutto, e le deliberazioni si prendano portandosi là in punto di morte. - In quel punto sarei poi contento di aver abbandonata la Congregazione? di non essere stato capace a sopportare quell'impiego, quell'obbedienza, quella mortificazione?

                Si vada ai SS. Sacramenti. È con Gesù nel cuore che bisogna deliberare. Sì, si parli con Gesù, si dica con Lui quel che si vuole, o meglio si chiegga a Lui la fortezza e la perseveranza; ma al tutto non se ne parli coi compagni; il parlarne, per me, mi pare che sia come commettere un assassinio. Rovini l'anima tua ed assassini l'anima del tuo compagno.

                Ma dunque come fare? Non parlarne con nessuno, non prendere deliberazioni essendo agitati, non far qui, non far là, e intanto ci viene il gozzo se non mettiam fuori quello che abbiamo nel cuore. E poi non si dice ordinariamente che niente serve di più a sollevare il cuore, che manifestare ad altri la cagione del nostro dolore? -

                Se mi parlate in questo modo, ascoltate il terzo consiglio. Non parlare con nessuno vuol dire non parlare coi vostri compagni, non parlare con chi non sa o non vuol consigliarvi bene. Ma avete paura del gozzo? Oh, fate così. Vi sono i vostri Superiori, qui pro animabus vestris rationem sunt reddituri.

                Nasce qualche dubbio? C'è il Direttore degli Ascritti; a lui potete manifestarvi, aprirgli intieramente il cuore; ci sono io, venite da me, dite pure palesemente e senza timore quello che vi agita, che troverete sempre un padre amoroso, un consigliere fedele.

                 - E se si andasse da qualche persona esterna? Se si domandasse consiglio al proprio parroco, a qualche parente prete, canonico, o simili?

                Guardate, se io vi consigliassi questo, io commetterei un sproposito gravissimo. No, non consigliatevi mai con persone estranee alla Congregazione. Essi prima di tutto non sono coloro che Iddio ha stabilito a consigliarvi; per questo ci sono unicamente i vostri Superiori, qui, lo ripeto, qui pro animabus vestris rationem sunt reddituri. Secondariamente poi, sebbene dotati di molta scienza teologica e di santità, per lo più non sono in grado di darvi un consiglio, sia perchè non conoscono l'interno dell'anima vostra, sia perchè non [516] comprendono che cosa sia la Congregazione, sia perchè molte volte sono spinti da motivi terreni, umani, d'interesse o di parentela.

                Tenete dunque questo importantissimo consiglio: nascendo qualche dubbio, si venga da me, e generalmente si vada dal proprio Superiore; egli è illuminato da Dio nel consiglio che vi dà, e voi non la sbaglierete.

                Quello però che vorrei che si facesse venendo a domandare consigli di tal genere si è questo: non si esponga semplicemente il dubbio o la tentazione, ma si esponga anche candidamente la causa del dubbio, il motivo della tentazione. Per esempio, non basta dire: - M venne questo dubbio della vocazione. - Ma: - Mi venne questo dubbio, perchè mi pare che altrove posso fare più del bene, o perchè altrove posso più facilmente salvarmi l'anima, o perchè posso vivere ancor meglio nel mondo.

                Potranno anche esser vere queste ragioni; ma vieni un po' qui tu che dici che nel mondo potrai vivere meglio. Dimmi un po': prima di venire tra noi, mentre eri nel mondo, come vivevi? - Oh! già, allora!... ma ora!.. - Ma ora? E credi tu che nel mondo non ci siano più i pericoli che c'erano una volta? O credi tu di essere divenuto tanto più forte contro le seduzioni del demonio, tu che non sei capace di tollerare per debolezza la vita religiosa?

                Oh! di' piuttosto l'altro motivo, che è più vero: - Io voglio uscire perchè mi pesa la vita regolare; perchè mi pesa l'obbedienza, mi pesa la povertà; in una parola, perchè mi piace e desidero d'andare. - Si dica così, e il dubbio sarà presto appianato; cioè compare manifestamente che non hai dubbio di vocazione; ma che l'hai perduta, l'hai tradita la vocazione che avevi.

                Ma dirà qualcuno: - L'unico motivo da cui cominciò a nascere in me il dubbio, e la quasi certezza che il Signore non mi vuol qui, si è il bisogno in cui sono i miei parenti; io son loro molto affezionato; vedo che potrei soccorrerli stando con loro e far sì che abbiano a condurre meno disagiatamente quel po' di vita che il Signore loro concede ancora; e poi essi stessi mi consigliano ad andare con loro.

                Qui non mi rimane a darti altro consiglio che quello di S. Tommaso, il quale dice apertamente: In negotio vocationis parentes amici non sunt, sed inimici.

                Alla tenerezza che hai verso i parenti, hai già rinunziato domandando di entrare in Congregazione, in cui hai scelto Dio come tua eredità, tuo amore, tuo tutto. Dio poi è tuo parente prima di tuo padre e tua madre. Dio è colui che ha creato te e tuo padre e tua madre e tutte le cose, e perciò è padrone di tutto; e se Egli ti chiama, non c’è padre, non c’è madre che tenga.

                Ma consiglierei io a fuggire di casa, come si legge che hanno fatto molti Santi, aiutati anche miracolosamente nella loro fuga dal Signore? [517] Io non vi consiglio questo; ma dal momento che tu sei già qui, e vorrebbero farti tornare al secolo, io ti dico schiettamente, che tu non sei tenuto ad obbedire, anzi sei tenuto a non obbedire: Obedire magis oportet Deo quam hominibus.

                 - Ma, dice uno, e chi penserà a loro? poichè sono nel bisogno.

                Penserà a loro il Padre nostro che è nei Cieli. Pensa a loro Colui che pensa a vestire ed a sfamare gli uccelli. Pensa a loro Colui che non lascia perire un giglio del campo od un filo d'erba, se così egli non ha predisposto.

                 - Ma io potrei trovar loro qualche benefattore, rallegrarli un poco; poi lavorerei anche di più nel sacro ministero per far sì che di tutto sieno provvisti. - Sei tu venuto in Congregazione per guadagnare, vuoi che si tenga in Congregazione qualcuno, il quale cerca il guadagno? Se qualcuno così mi volesse consigliare io gli direi: Vade retro, Satana! Tu ti sei venduto al Signore e devi cercare di guadagnare anime al Signore. Salvar anime, questo solo deve essere il nostro guadagno.

                Oh, quante vocazioni ha già fatto perdere questo disordinato amore ai parenti! Molte volte pur troppo si perde la vocazione in vacanza, in quelle case dove sembra non esservi neppur l'ombra di pericolo: solo perchè l'affetto che i parenti ci dimostrano, fa sì che noi con la speranza di aiutarli restiamo presso di loro od anche ci facciamo sacerdoti fuori di religione. Ma sacerdoti fatti in questo modo restano più trafficatori o mercanti che Sacerdoti di Nostro Signor Gesù Cristo.

                Ora veniamo ad un altro punto, cioè a cose che, oltre la già accennata, fan perdere per lo più la vocazione, e sarò breve.

                Dovendo io quasi sempre trovarmi in mezzo al mondo e visitando con molta frequenza monastari e conventi, ed essendo molto consultato da religiosi, io trovo che gli altri motivi, che più di tutti servono ad. allontanare dalla vita religiosa sono: la gola, la poca volontà di lavorare, e il malcontento prodotto dalla mormorazione.

                1° Per carità, non accostumatevi golosi. Si sia sempre contenti degli apprestamenti di tavola, non si desideri di più. Oh per me, quando vedo che colui, se può avere un boccone speciale, lo prende, e per trovarlo cercherebbe lontano un miglio; quando vedo che, se .può avere una bottiglia, gode e ne fa festa, io mastico subito, pensando alla perseveranza di costui, perchè, dicono i maestri di ascetica, gola e castità, e specialmente, vino e castità non possono andare insieme giammai.

                2° Buona volontà di lavorare. Si dirà: - Ma alcuni lavori sono noiosi, pesano! - È ben qui dove noi dobbiamo esercitarci; sono queste continue occupazioni, che ci conservano la vocazione. .

                3° Dice S. Francesco di Sales che d'un'azione di cento faccie, se novantanove sono manifestamente cattive ed una sola si può [518] prendere in senso buono, sotto questo aspetto si deve prendere l'azione, e non mai mormorare nè criticare.

                Procurate, o miei cari figliuoli, di mettere in pratica queste cose che dalla lettura del Vangelo di questa mattina mi vennero in mente. Se farete così, avrete la vera contentezza, la vera pace del cuore; farete anche del gran bene a voi ed alle anime dei prossimi; e dacchè pare che in modo tutto speciale il Signore ci voglia benedire, procuriamo di non renderci indegni di queste benedizioni del Signore con fare tutto quello che possiamo per ornare il nostro cuore di belle virtù lavorando assiduamente, sempre alla maggior gloria di Dio.

                Oh, sì, che si possa dire che, dove vi è un figlio di S. Francesco, ivi vi sia una luce che risplenda su tutti quei che l'attorniano, vi sia un calore che riscaldi d'amor di Dio tutti coloro che con noi hanno relazione, vi sia un sale di quella Sapienza eterna che serva a condire e conservare e confortare nel bene tutti.

                Leggete le cose che venni dicendovi, sul principio delle nostre Regole, dove, in compendio, quasi tutte sono accennate. Il vostro Direttore ve le spieghi poi di nuovo un poco alla volta e più diffusamente.

                Chi incontra qualche difficoltà venga a parlare. Se vi fosse ancora qualche compagno che volesse venire su discorsi dei quali abbiamo parlato, vi sia subito chi lo avvisi e lo consigli al bene.

                Così facendo, benedetti ora, benedetti per tutta l'eternità; benedetti voi, benedetta tutta la Congregazione. Benedetti quei che ci sono e benedette le Case che si apriranno e gli individui che verranno.

                L'avvicinarsi del santo Natale procurò al Beato da parte del tanto benemerito Cardinal Berardi insieme con gli auguri anche una comunicazione che dovette un po' temperare l'amarezza causatagli dalle difficoltà insormontabili a ottenere le grazie, di cui abbiamo parlato nel capo ventunesimo. “Mi è grato, scriveva il Cardinale[210], il parteciparle, che al pari di me è riuscito anche al S. Padre di consolazione somma l'apprendere quanto da Lei si è fatto e si va facendo a bene della nostra Religione SS.ma e della Chiesa in Nizza ed in Bordighera, e benedice Egli di tutto cuore la di Lei nuova intrapresa, confidandosi, che il Signore nella infinita sua misericordia sia per farle raccogliere frutti ubertosi” [519]

                La festa del Natale, preparata con la patetica novena, diffondeva sempre nell'Oratorio una mistica letizia, che culminava nella funzione della mezzanotte. La chiesa era splendidamente ornata e illuminata. Il Servo di Dio cantò la Messa, assistito da Don Bologna e da Don Cipriano; i loro nomi sono stati consegnati alla cronaca, perchè i preti ambivano l'ufficio di diacono e suddiacono in tale occasione e i prescelti da Don Bosco si stimavano degni poco meno che di passare alla storia.

                Il Beato distribuì la santa Comunione a tutto il piccolo clero ed ai chierici, mentre due sacerdoti comunicavano i giovani e i fedeli, percorrendo mezza balaustra ciascuno. Contemporaneamente i cantori in due cori si rispondevano e intrecciavano le voci da due estremità opposte, cioè dall'orchestra e dall'abside. Nei verbali del locale Capitolo, sotto il giorno 26 dicembre si nota “la calca della gente”nell'accostarsi alla sacra Mensa, sicchè si studiava il modo di facilitarne in avvenire l'accesso.

                Finita la cerimonia, i giovani consumarono la solita busecca e poi andarono a riposo. Anche la busecca ormai non è più che un ricordo lontano nell'Oratorio. “Greve, rozzo e indigesto cibo”, la qualifica Alfredo Panzini nel suo Dizionario moderno; ma è pur costretto di soggiungere che ne “sono i milanesi assai ghiotti, poveri e ricchi, nobili e plebei, gentili dame e donne del popolo”. Dice ancora che questo cibo “rimane tradizione in questa città, ove pur molte cose si mutano”. Piaceva anche a Torino, e il Beato, gran conoscitore dei gusti popolari, sapeva a tempo e luogo farli servire ai suoi fini, concigliando il contentamento de' suoi ragazzi con le sue possibilità economiche.

                In quella funzione capitò un incidente, il cui ricordo desta tuttora l'ilarità nei rari superstiti dei testimoni auricolari. Il diacono, cantando l'Ite missa est, giocò sull'i di ite un ghirigoro di note, tutto un salire e scendere che gli fece perdere la tramontana. Il suddiacono in un piemontese d'occasione [520] gli diceva di smettere; gli astanti, sulle prime esterrefatti, cominciavano ridere; il Servo di Dio calmo e rassegnato, in tono supplichevole ogni tanto ripeteva al traviato cantore: - Lascia, Don Bologna, lascia! - Ma l'altro la durò imperterrito oltre il verosimile. Si possono ben immaginare a quanti commenti si diede la stura durante la giornata. Don Bosco la sera appresso, parlandosi del fatto alla sua presenza, lasciò che i presenti si sbizzarrissero; quindi al momento buono narrò un caso occorso a lui stesso. Una volta egli doveva cantare in chiesa, ma non rammentava l'intonazione. Allora prese un tono qualunque, traendosi d'impaccio con alcune note di sua invenzione. Dopo si aspettava le osservazioni del parroco; questi invece ne lo lodò, assicurandolo che egli non se la sarebbe cavata così bene come lui. La morale della favola era trasparente: mettersi nei panni altrui, per imparar a compatire.

                L'ultimo giorno dell'anno Don Bosco diede la strenna a tutta la comunità raccolta per le orazioni della sera nel grande parlatorio che si apriva nel piano terreno del corpo avanzato, che porta le stanze del Beato. I giovani lo ricevettero con grandi applausi ed evviva. Siccome non la finivano più, fe' cenno con la mano e disse: - Sarà bene che facciate un po' di silenzio, se volete udire quello che io vi dirò. - Si fece subito un profondo silenzio. Allora cominciò:

                Noi ci siamo qui tutti radunati per dar un addio all'anno che è vicino ad andarsene. Da qui a poche ore sonerà il fine del 1875, e questo anno non verrà più. Ne verranno molti altri anni e altri ancora, ma il 1875 non ritornerà. Egli si nasconderà nell'eternità e di lui non avremo che una lieve rimembranza. Se però non sarà più in nostra mano il 1875, abbiamo tuttavia un anno di più che si aggrava stille nostre spalle ed un anno di meno di vita. È questa l'ultima volta che Don Bosco vi parla e vi saluta in quest'anno, e può darsi anche che l'anno venturo, in questo stesso posto, e in questo stesso giorno venga un altro a parlare in mia vece. - Ma e Don Bosco, direte voi, dove è andato? - D. Bosco? vi si risponderà: che? Don Bosco è già all'eternità e noi non lo vedremo più su questa terra.

                Ma riandiamo un po' colla memoria le vicende che nel 1875 si [521] succedettero fino a questo punto. Voltiamoci un po' indietro a guardare la nostra vita che fugge, e la morte che davanti a noi si avvicina colla falce in resta. Che cosa vediamo? Noi vediamo grazie innumerevoli, benefizi ricevuti dal Signore e da Maria Santissima; noi vediamo le opere buone che abbiamo fatte, le virtù nelle quali più risplendemmo. Noi vediamo tante belle cose, ma anche tante cose non belle dobbiamo vedere; cioè a dire i peccati, le mancanze, le disubbidienze, le offese che facemmo a Gesù e a Maria. Nè questo solamente noi vediamo. Noi vediamo ancora molti amici, molti fratelli che l'anno scorso erano qui con noi, in questo stesso luogo ed ora non ci son più. Noi li vediamo mancare: sono andati all'eternità. Infatti varii ne morirono in quest'anno 1875. Il giovane Collo Bartolomeo, Cotta Pietro il vecchio prestinaio, Para Giacomo, Lantieri, il ch. Barberis Defendente (non Giulio, quello che è qui con noi), Pagani, Perini, Falletti, vari dei quali erano professi e vari studenti o coadiutori. Ma sia come si vuole: essi morirono e noi non ne sappiamo più nulla: solo Iddio lo sa dove sono essi. Si spera bene però, perchè tutti ricevettero i santi Sacramenti, cioè si confessarono e si comunicarono; e dalle notizie che abbiamo avute di coloro che non morirono qui, si può arguire che fecero ogni cosa da buoni Cristiani ed ora si troveranno a godere il Signore. E per un altro no? Chi sa se tra noi tutti che ora siamo qui, un altro anno non manchi alcuno che si debba annoverare nel numero dei più? Certo che un altro anno non saremo più tutti in vita. Non dico chi: ma più di uno dei presenti noti ci sarà più. E per asserir questo non fa bisogno essere profeta. Vediamo che tutti gli anni avviene così e che vari nostri compagni partono per l'eternità. Dio solo lo sa. Noi non possiamo neanco assicurarci di vivere queste quattro ore che mancano al fine dell'anno, e tanto meno ci possiamo assicurare il fine del 1876.

                Ma questi nostri compagni che andarono all'eternità e che qui più non sono, mi pare che stiano ad ascoltare quanto sono per esporvi e che dicano: - Ma, Don Bosco, lei l'altro anno diceva anche a noi tante belle cose; ora ella parla di noi... ma... non sarebbe meglio che facesse qualche preghiera in suffragio dell'anima nostra?

                Sì che la faremo, ed in suffragio dell'anima loro, perchè se alcuno di essi non si trovasse ancora al possesso del paradiso, possa arrivarvi presto; perciò noi diremo un Pater ed un Ave con un Gloria Patri; oltre alla stessa preghiera che faremo per quelli che in quest'anno avranno da lasciare questa terra di sospiri per andare nella loro eternità. E quale eternità si meriteranno? Stiamo preparati.

                Ora che abbiamo discorso un poco dell'anno scorso, credo che sarà meglio dare alcuni avvisi, onde noi possiamo passare l'anno venturo nella pace del Signore. Tutti i miei avvisi si restringono in questa strenna che vi dò: Una cosa da fare e due amici. Questi avvisi praticateli,  [522] non per un sol giorno, non per un mese, ma per tutto l'anno.

                Due amici i quali debbono essere i vostri più cari, i vostri più affezionati e sono un amico da praticare, un amico da frequentare. Vi offro in primo luogo un amico da praticare, che vi seguiti sempre, che teniate sempre con voi; un amico che vi deve essere indivisibile in ogni luogo, in ogni circostanza, in ogni tempo, che vi deve essere tanto e tanto caro, si è il buon esempio. E questo in molti modi lo possiamo praticare. Lo possiamo praticare col frequentare i Sacramenti e con grande divozione, coll'avvisare quei tali compagni che si mostrano avversi alle regole e restii agli inviti di Gesù Cristo e dei Superiori; col non aver paura di alcuno che ci trattasse da bigotti, voglio dire di non aver rispetto umano, coll'essere fedeli alle regole, diligenti nei nostri doveri, modesti nelle nostre azioni. Oh sì! tenetelo caro questo amico e sarete fortunati. Sarà quello che vi aiuterà a passare felicemente l'anno 1876.

                Ma una cosa che io vorrei fosse ben bene impressa nelle vostre menti si è di evitare ad ogni costo lo scandalo, il nemico del buon esempio. Procurate per carità di fuggirlo in ogni modo possibile, mentre si presenterà sotto aspetto di amico. Oh miei cari figliuoli, se sapeste che cosa è lo scandalo e che male produce, non lo vorreste nemanco sentire nominare. Eppure si commette con tanta facilità. Una regola, un ordine non eseguito, una crollata di spalle, un discorso, una parola cattiva, possono far un danno immenso. Voi ben sapete come Gesù Cristo inveì contro gli scandalosi! Ma poi ancor più grande si è il danno che reca a noi stessi, se lo commettiamo. Fa perdere in primo luogo un'anima, ci getta sulle spalle la più tremenda condanna di Dio, ci rende disonorati per tutta la vita, e ci fa tenere come uomini perduti, indemoniati. Vorrei potervi descrivere un poco al vivo questo mostro che è lo scandalo. Ma voglio esser breve; quindi vi dirò solo quanto so e posso: Evitate lo scandalo e più di tutto ogni parola, ogni atto, ogni discorso, ogni segno che possa esser contrario alla virtù della castità ossia della modestia o che in qualunque modo possa essere altrui d'inciampo nel far il bene. State sicuri che sarete dal Signore benedetti, se conserverete questa bella virtù e fuggirete ogni cosa che ad essa sia contraria.

                Un altro amico che io vi diedi, onde passare bene quest'anno, si è l'amico da frequentare, da amarsi, da riverirsi, da coltivarsi. Oh quanto bene vi procurerà questo amico! Voi già capite che vi parlo di Gesù Sacramentato. Vedete, questo è e deve essere l'unico ed il vero vostro amico, Egli la consolazione nelle afflizioni, Egli il distributore delle grazie e delle allegrezze Dalle sue mani provengono ogni sorta di doni ed anche di croci; ma queste Egli ce le manda, per provare la nostra fede, la nostra costanza e poi donarci in cielo la sua gloria. Ditemi un poco, cari figliuoli: non è vero che Gesù Cristo, il Santissimo [523] Sacramento è il conforto dei moribondi? Sì, mi rispondete. Infatti osservate uno che è moribondo: voi vedete gli amici, i quali mesti ed afflitti se ne stanno nella camera, ma non hanno voglia di avvicinarsi al letto per paura di attaccarsi il male e aspettano l'occasione per potersela svignare. Non così invece fa il Santissimo Sacramento. Egli si parte dalla Chiesa per andare a visitare l'infermo, sì accosta a lui e non contento di confortarlo colla dolce sua vista, vuole immedesimarsi con lui e per bocca del sacerdote gli dice: Accipe. frater, viaticum, qui custodiat et perducat te ad vitam aeternam. Ricevi, o fratello, il viatico, il corpo del nostro Signor Gesù Cristo, il quale ti sarà il vero amico che ti ha da condurre alla vita eterna, alla gloria del paradiso.

                Nè Egli solamente nelle liete fortune ci dà pegno della sua amicizia, come fanno gli amici del mondo, ma anche nelle avversità, in tutte le nostre miserie con più amore ci soccorre, ci mostra le sue piaghe, e c'invita ad imitarlo e a far penitenza dei nostri peccati. E noi, se vogliamo che proprio da amico sia la visita che ci ha da fare in punto di morte, andiamolo a ricevere con frequenza, ma bene nel Santissimo Sacramento, custodiamolo nel nostro cuore; andiamogli a far spesso qualche piccola visita fervorosa nei tempi che siamo liberi; offriamogli il nostro cuore, la nostra volontà, diciamogli che Egli di noi faccia ciò che più gli va a grado. Esso è tanto buono che ci proteggerà sempre e non ci abbandonerà mai.

                Una cosa poi da fare a tutti e che forma anche la parte principale della strenna che intendo suggerirvi stassera è questa: che si abbiano care quelle piccole compagnie che vi sono in casa, come quella dì San Luigi, del Santissimo Sacramento, del piccolo clero, di San Giuseppe, di Maria Ausiliatrice e dell'Immacolata Concezione. In queste compagnie non si domanda danaro, e perciò da esse non si può avere del danno. Ciascuno si scelga quella, in cui potrà esercitar meglio la sua divozione. Raccomando specialmente ai catechisti, ai maestri, ai direttori di queste compagnie che le rinnovino, e le accrescano; che esortino i giovani a farsi inscrivere; ho detto male: no non esortino, ma lascino la via aperta ai giovani, affinchè chi vuole possa entrarvi; perchè, io lo so, di esortazione non ne avete il bisogno. Quindi tutti coloro che ne fanno parte, procurino di dare buon esempio agli altri, di essere luce nelle tenebre, di fuggire il cattivo esempio, di mettere in pratica tutti i mezzi onde estirparlo di mezzo ai compagni, di comunicarsi e visitare spesso Gesù durante la giornata e d'invitare anche gli altri ad andarvi. Altre pratiche di pietà o di mortificazione io vado adagio a consigliarle, poichè fra il bene che fanno possono nascondere dei pericoli. Invece io raccomando continuamente il farsi ascrivere a queste compagnie, perchè ciò farà sempre del bene grande a tutti.

                Non mi dilungo di più, ma vi replico caldamente di mettere in [524] pratica i miei avvisi, se vorrete passar bene quest'anno nella pace del Signore e se vorrete avere la visita del Santissimo Sacramento in punto di morte. Intanto adesso diremo un Pater, Ave e Gloria per i nostri poveri compagni defunti ed un altro Pater, Ave e Gloria per quelli che qui sono radunati con noi in questo momento, e che morranno nell'anno venturo. È dato dalle statistiche che ordinariamente nei paesi e nelle città ogni 100 persone ne muoiono tre all'anno. Essendo noi qui circa 900, il numero di quelli che dovrebbero morire ascenderebbe circa a 26 o 27; ma voi che siete giovani, non avete tanta voglia di morire presto, ed è perciò che tra noi la proporzione è quasi sempre solo dell'uno per 100: quindi soli 8 all'anno e basta. Io sono contento così; anzi spero e desidero che un tal numero diminuisca e non si vada moltiplicando per l'avvenire. Tuttavia, dovendo alcuni di noi certamente morire nell'anno prossimo, bisogna che ciascuno pensi a passar bene il tempo che ancor gli rimane. Intanto il sig. Villanis è pregato d'incaricarsi della recita di quelle brevi preghiere.

                Tutti s'inginocchiarono. Si dovette manovrar bene per porsi in ginocchio, tanto era zeppo il salone. Finita la preghiera, Don Bosco si alzò, augurò il buon fine e il buon capo d'anno con la buona notte. Al grido di Viva Don Bosco! i giovani sfilarono e andarono a riposo.

                Il Beato Don Bosco diede per altre dodici volte la strenna ai suoi figli. Ogni volta, rivolgendo indietro lo sguardo, constatò il progredire sempre più largo nell'incremento e sempre più profondo nel consolidamento della sua opera. Nè è a dire che sempre egli navigasse, come si dice, col vento in poppa! Ma anche nelle burrasche la mano di Dio lo sorreggeva. Il P. Felice Giordano, degli Oblati di Maria Vergine, accompagnando verso questo tempo il Servo di Dio da Genova all'Oratorio gli chiese come mai le sue intraprese, cominciate tutte dal niente, prosperassero cotanto. Don Bosco bonariamente rispose: “Sappia che io c'entro per niente. È Nostro Signore che fa tutto. Nostro Signore, per esempio, vuol fare per la sua misericordia la tale e tal cosa; e ben, come fa per dimostrare che quella tal cosa è sua? Si serve per metterla in esecuzione dello strumento più disadatto. Questo è il mio caso. Ed io assicuro lei che mi conosce da lungo tempo, che quando [525] Nostro Signore avesse trovato nell'Archidiocesi di Torino un Sacerdote più povero, più meschino, più sprovvisto di qualità, quello e non altri avrebbe scelto a strumento di quelle opere di cui mi parla; ed il povero Don Bosco l'avrebbe lasciato da parte, affinchè seguitasse la sua natural vocazione di Cappellano semplice di campagna”[211].

                Ogni passo apre al Servo di Dio una nuova visione, che non lo invita già ad arrestarsi, ma lo chiama a procedere oltre. È questa la ininterrotta vicenda di tutta la sua vita.

 

 

APPENDICE  DI  DOCUMENTI

 

I.

 

Opera per le vocazioni ecclesiastiche.

 

                Sono più anni da che si lamenta il bisogno di operai evangelici, e la diminuzione delle vocazioni allo stato Ecclesiastico. Questa deficienza di vocazioni è sentita in ogni Diocesi d'Italia e in tutta Europa; è sentita nelle corporazioni religiose, che mancano di Postulanti; nelle missioni estere, che ripetono incessantemente le parole di S. Francesco Saverio: Inviateci degli operai Evangelici in aiuto. Anzi sappiamo non poche missioni estere in procinto di estinguersi per la sola ragione che mancano di operai Evangelici. È dunque necessità di pregare il Padrone della messe che mandi operai nella sua mistica vigna: ma alle preghiere unire la nostra cooperazione. Già in Germania, in Francia, in Inghilterra, ed in molti paesi d'Italia si fondarono opere di beneficenza a questo fine e se ne ottennero buoni effetti, ma insufficienti ai molti ed urgenti bisogni. Mentre noi altamente lodiamo queste opere cominciate, e di tutto cuore pregheremo Dio, che le faccia ognor più prosperare a sua maggior gloria, sembra opportuno proporne un'altra che forse ci potrà più prestamente venire in aiuto. È questo un corso di studio per giovani adulti che intendano di consacrarsi a Dio nello stato Ecclesiastico.

                Dall'esperienza si potè conoscere come di dieci fanciulli, che comincino gli studi con animo di consacrarsi a Dio nello stato Ecclesiastico, in media appena due giungono al sacerdozio, mentre dei più grandicelli, che hanno già ponderata e studiata la loro vocazione, sopra dieci se ne hanno otto.

                Si osservò pure che in assai più breve tempo, quindi con assai minore spesa, compiono i loro corsi letterarii, perciocchè separati dai piccolini, che devono gradatamente percorrere le loro classi, mercè corsi abbreviati possono assai più presto giungere alla meta.

                Per queste ed altre ragioni si propone un corso di studi secondari per giovani adulti anche di condizione meno agiata, ma che intendano esclusivamente di percorrere la carriera Ecclesiastica. [530]

 

ACCETTAZIONE,

 

                1. Ogni allievo deve appartenere ad onesta famiglia, essere sano, robusto, di buon carattere, nella età dai 16 ai 30 anni.

                2. Abbia un certificato che dichiari la condotta edificante, la sua frequenza alle funzioni parrocchiali, ed ai santi Sacramenti, e la decisa volontà di abbracciare la carriera ecclesiastica, ed abbia fatto almeno i Corsi Elementari della lingua Italiana.

                3. Attestato di nascita, di sofferto vaiuolo, notandosi pure se può almeno in parte pagare le spese prescritte dal programma.

                4. Non si andrà in vacanza nelle Ferie Autunnali. Il necessario sarà procurato nel Collegio, oppure in altro sito a quest'uopo.

                5. Terminati i corsi letterarii ogni allievo è libero di ritornare in Diocesi presso al proprio ordinario, farsi religioso o recarsi nelle missioni estere.

 

MEZZI.

 

                Non ci sono mezzi stabili, l'opera è totalmente affidata alla pietà dei fedeli. Ognuno può concorrere come Oblatore, Corrispondente, Benefattore.

                1. Gli Oblatori si obbligano per due soldi al mese oppure per un franco all'anno. Pei sacerdoti basta che celebrino una S. Messa cedendone la limosina a benefizio dell'opera.

                2. 1 Corrispondenti sono quelli, che in onore dei dodici apostoli si fanno capi di una o più dodicine di Oblatori, ne raccolgono le offerte indirizzandole al Direttore dell'opera.

                3. Benefattori si appellano quelli, che a piacimento fanno qualche offerta in danaro od in natura p. e in commestibili, in biancheria, in libri e simili.

                Quelli che offrono f. 300 annui possono a loro scelta inviare gratuitamente un allievo all'Istituto. Se poi l'offerta fosse di f. 800 l'allievo sarebbe tenuto per tutto il tempo dei Corsi Letterarii. Le offerte saranno indirizzate al Sac. Gio. Bosco Direttore della Chiesa di Maria Ausiliatrice in Torino. In fine di ogni anno si darà ai corrispondenti un conto particolare del numero degli allievi, delle offerte ricevute, e dei risultati ottenuti.

 

OSSERVAZIONE.

 

                Quest'opera è posta sotto gli Auspizi della S. Vergine Ausiliatrice, perchè Maria dalla Chiesa è proclamata Magnum et singulare in Ecclesia praesidium; e perchè in questi tempi Iddio concedendo innumerabili grazie a chi invoca l'augusta sua Madre sotto il titolo di aiuto dei Cristiani, concederà certamente anche questa di provvedere [531] alla Chiesa buoni ministri. Si aggiunge ancora che il luogo scelto per questo Collegio forma quasi parte della Chiesa a Lei dedicata in Torino.

                Quest'opera non reca danno ad altre già esistenti?

                Non solo non reca danno ma le sostiene. Senza preti, senza predicazione, senza Sacramenti, che diverrebbero l'opera della Propagazione della fede e della S. Infanzia e tutte le altre opere pie?

 

VANTAGGI SPIRITUALI.

 

                I. Il merito d'aver contribuito ad una grande opera di carità. Non si può fare opera migliore, dice S. Vincenzo de' Paoli, che contribuire a fare un prete.

                2. Ogni giorno nella Chiesa di Maria Ausiliatrice si celebrerà la santa Messa: gli allievi faranno delle Comunioni con particolari preghiere pei loro benefattori.

                3. I medesimi Oblatori partecipano ai meriti di tutte le messe, predicazioni, delle altre buone opere e del merito grande delle anime, che i preti, formati dalla loro carità, guadagneranno a Dio nell'esercizio del sacro Ministero. Di modo che saranno loro applicate le parole di S. Agostino: Animam salvasti, animam tuam praedestinasti.

                4. Indulgenza plenaria ecc.

                Le indulgenze saranno notate a parte.

 

2.

 

Opera di Maria Ausiliatrice per le vocazioni allo sfato Ecclesiastico benedetta e raccomandata dal Santo Padre Pio Papa IX.

 

                               Ill.mo Signore,

 

                Prego V. S. Ill.ma a voler con bontà leggere quanto qui espongo intorno all'Opera di Maria Ausil. di cui unisco il progetto e il programma. Senza che a lungo mi spieghi Ella può di leggeri comprendere quale ne sia lo scopo; preparare giovani grandicelli a divenire col tempo buoni sacerdoti. Credo poi che ella mi possa prestare efficace appoggio in due maniere:

                1. Col farsi corrispondente di quest'opera, col sostenerla, farla conoscere, promuoverla con quei mezzi morali e materiali, che con zelo e carità la S. V. sa usare a tempo opportuno.

                2. Conoscendo qualche allievo in cui si avverino le condizioni dei programma, sia benevola di indirizzarmelo. [532] Pieno di fiducia nella sua cooperazione, prego Dio a volerla ricompensare, mentre con profonda gratitudine ho l'onore di professarmi Di V. S. Ill.ma

                Torino, 30 Agosto 1875.

Obbl.mo servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                (Si omettono le parti identiche a quelle del n. 1).

 

PROGRAMMA.

 

SCOPO DELL'OPERA.

 

                Scopo di quest'Opera è di raccogliere giovani grandicelli, che abbiano decisa volontà di fare gli studi letterari mercè corsi appropriati, per abbracciarlo stato ecclesiastico.

 

ACCETTAZIONE.

 

                1. Ogni allievo deve appartenere ad onesta famiglia, essere sano, robusto, di buon carattere, nell'età dai 16 ai 30 anni. Saranno preferibilmente accettati coloro, che sono sciolti dal servizio militare oppure hanno qualche probabilità di andarne esenti[212].

                2. Abbia un certificato che dichiari la condotta edificante, la frequenza alle funzioni parrocchiali ed ai santi Sacramenti, la decisa volontà di abbracciare la carriera Ecclesiastica, ed abbia almeno compiuti i corsi elementari della lingua Italiana.

                3. Attestato di nascita, di sofferto vaiuolo, notandosi pure se può almeno in parte pagare le spese prescritte dal Programma.

                4. Non si andrà in vacanza nelle ferie autunali. Il necessario sollievo sarà procurato nel collegio, od in altro sito scelto a quest'uopo.

                5. Terminati i corsi letterari ogni allievo è libero di farsi religioso, recarsi nelle missioni estere o ritornare nella rispettiva Diocesi, per chiedere al proprio vescovo la facoltà di vestire l'abito chiericale. In quest'ultimo caso il Direttore dell'Opera si farà premura di raccomandare umilmente i candidati al rispettivo ordinario, affinchè secondo il merito si degni prenderli in benevola considerazione.

 

STUDIO.

 

                1. Lo studio abbraccia il Corso classico fino alla filosofia esclusivamente; ma l'insegnamento si estende soltanto alla lingua italiana, lingua latina, storia, geografia, aritmetica, sistema metrico, ed agli elementi della lingua greca. [533]

                2. Da queste classi restano esclusi quelli, che non hanno l'età sopra descritta, o non intendono consacrarsi allo stato ecclesiastico.

                3. La retta è fissata a fr. 24 per ogni mese, e si pagano a trimestri anticipati. Per un anno fr. 300. Per tutto il tempo degli studi letterari fr. 800.

                4. Con questa retta viene soddisfatta ogni spesa di scuola letteraria, scuola di canto fermo, di musica, declamazione, vitto, alloggio, medico, parrucchiere. Restano a carico degli allievi le spese di vestiario, calzatura, riparazione, medicine e libri.

                5. Il trattamento del vitto sarà come segue: A colezione e a merenda pane sufficiente: a pranzo minestra, pietanza, vino e pane a piacimento; a cena minestra, companatico e pane a piacimento.

 

CORREDO.

 

                Gli allievi andranno vestiti in borghese, nè avvi divisa obbligatoria. Entrando porteranno seco due mute per la stagione estiva e due per l'inverno; delle quali una da portarsi nei giorni feriali in casa, l'altra pei giorni di festa e nei casi d'uscita.

                Il corredo comprende almeno 6 camicie - 4 lenzuola - coperta e coltri per l'inverno - guanciale con tre foderette - 6 paia di calzette - 3 paia mutande - corpetto a maglia - 8 fazzoletti 4 asciugamani - 2 paia di scarpe - 2 cappelli o berretti - baule materasso lungo m. 1.75, largo 0.70.

                Lo stabilimento somministra solo la lettiera e pagliericcio, per cui si pagheranno franchi 12 per una volta sola.

                N.B. Le domande per l'accettazione saranno fatte al sac. Giovanni Bosco in Torino, oppure al sac. Paolo Albera Direttore dell'Ospizio di S. Vincenzo in Sampierdarena Con approvazione della revisione ecclesiastica.

 

3.

 

Supplica al Sommo Pontefice Pio IX e Breve dei medesimo in favore dell'Opera di Maria Ausiliatrice per le vocazioni allo Stato ecelesiastico.

 

                               Beatissimo Padre,

 

                La necessità di operai nella mistica Vigna del Signore mosse molti Vescovi ed altri zelanti Cattolici ad aprire piccoli Seminari, Scuole Apostoliche per le Missioni, ed altri privati Istituti o Pie Opere a fine di coltivare i giovanetti nello studio, nella pietà, e conservare nei loro cuori i germi di vocazione Ecclesiastica, qualora Dio ve li avesse seminati. Agli sforzi di costoro pare si possa anche aggiungere l'Opera di Maria Ausiliatrice per le vocazioni allo Stato Ecclesiastico. [534] Ha questo per fine di raccogliere giovani adulti, che forniti delle qualità necessarie e di attitudine allo studio, mercè corsi per loro preparati, possano compiere gli studi letterarii. Terminati questi studi e cerziorata la vocazione, gli allievi restano affatto liberi di ritornare in Diocesi presso ai rispettivi Ordinarii, abbracciare lo stato religioso, oppure dedicarsi alle Missioni estere.

                Molti Vescovi accolsero benevolmente questo Progetto, e colle loro Commendatizie inviarono l'umile esponente a supplicare V. S. perchè si degni benedirlo e commendarlo. Tale scopo essendo affatto caritatevole e religioso, fanno umile preghiera a V. S. ad usare un grande atto di Clemenza e di aprire il tesoro delle Sante Indugenze e concedere ai religiosi della Congregazione Salesiana e agli Associati di quest'Opera:

                1° Indulgenza Plenaria in articolo di morte, purchè facciano sacrifizio della loro vita a Dio accettando quel genere di morte che a Lui piacesse inviare;

                2° Le Indulgenze e i Favori Spirituali dei Terziarii di S. Francesco d'Assisi;

                3° Le Indulgenze relative alle Chiese e alle feste di S. Francesco d'Assisi possano lucrarsi nelle feste di S. Francesco di Sales e nelle Chiese della Congregazione Salesiana.

                Pieno di fiducia che V. S. si degni di benedire i deboli sforzi dell'umile esponente e concedere gl'implorati favori, si prostra colla massima venerazione e con figliale ossequio

                Di V. S.

                Torino, 4 Marzo 1876.

Umile figlio di S.. Chiesa,

ed Obbligatissimo Supplicante

Sac. GIO. BOSCO.

 

PIUS PP. IX.

AD PERPETUAM REI MEMORIAM.

 

                Cum, sicuti relatum Nobis fuit, quaedam Christifidelibm Sodalitas, seu Pium Opus, ut vocant, sub tituto B.M. Virginis Auxiliatricis, canonice instituta sit, cuius Sodales hoc sibi animo proposuerunt bonae indolis iuvenes et ad vitam Ecclesiasticam amplectendam inclinatos conquirere, in hac vocazione confirmare, ac litteris et Ecclesiasticis studiis erudire; Nos, ut Sodalitas huiusmodi maiora in dies suscipiat incrementa, de Omnipotentis Dei misericordia, BB. Petri et Pauli Apostolorum eius auctoritate confisi, omnibus utriusque sexus Christifidelibus ad hanc Sodalitatem adscriptis vel pro tempore adscribendis in cuiuslibet eorum mortis articulo, si vere poenitentes et confessi ac S. Communione refecti, vel quatenus id facere nequiverïnt, saltem contriti Nomen Iesu ore, si [535] potuerint, sin minus corde devote invocaverint, et mortem tamquam peccati stipendium de manu Domini patienti animo susceperint,

                Plenariam; nec non iisdem Sodalibus vere poenitentibus et confessis,  qui uno quo cuique eorum libeat cuiuslibet mensis die in aliqua Ecclesia aut Oratio publico Sanctissimum Eucharistiae Sacramentum sumpserint, et Ecclesiam aut Oratorium ipsum devote visitaverint, ibique pro Christianorum Principum concordia, haeresum extirpatione, peccatorum conversione ac S. Matris Ecclesiae exaltatione pias ad Deum preces effuderint, Plenariam similiter onmium peccatorum suorum Indulgentiam et remissionem, quam etiam animabus Christifidelium, quae Deo in charitate coniunctae ab hac luce migraverint, per modum suffragii applicare possint misericorditer in Domino concedimus.- Praeterea peculiari supradictos Sodales benevolentia prosequi volentes, omnes iisdem Indulgentias tum Plenarias tum Partiales, quas Tertiarii S. Francesci Assisiensis ex concessione Apostolica consegui possunt, elargimur; atque ut quas Indulgentias Tertiarii diebus festis et in Ecclesiis S. Francisci Assisiensis lucrari possunt, diebus festis S. Francesci Salesii et in Ecclesiis Congregationis Presbyterorum Salesianae consegui licite et libere valeant, dummodo quae pro Indulgentiis huiusmodi lucrandis iniuncta sunt pietatis opera rite in Domino praestiterint, Auctoritate Nostra Apostolica concedimus. In contrarium facientibus non obstantibus quibuscumque. Praesentibus perpetuis futuris temporibus valituris. Volumus autem ut praesentium Litterarum transumptis seu exemplis etiam impressis, manu alicuius Notarii publici subscriptis et sigillo Personae in Ecclesiastica Dignitate constitutae munitis, eademprorsus adhibeatur fides, quae adhiberetur ipsis praesentibus si forent exhibitae vel ostensae.

                Datum Romae apud S. Petrum sub Annulo Piscatoris,

                               die IX Maii MDCCCLXXVI.

                Pontificatus Nostri Anno trigesimo.

 

Pro. D. Card. ASQUINIO

D. IACOBINI Substitutus.

                Loco sigilli.

 

4.

 

Secondo programma per l'Associazione di opere buone, ossia pei Cooperatori Salesiani.

 

ASSOCIAZIONE DI OPERE BUONE.

 

I. - Unione Cristiana nel bene operare.

 

                Quest'associazione è intitolata Unione Cristiana o di opere buone, perchè ha per fine di associare tutti i buoni affinchè uniscano insieme le loro forze aiutandosi vicendevolmente ad operare il bene. [536] È questo, l'esempio che ci lasciarono i fedeli della Chiesa primitiva. Alla vista dei gravi pericoli che ogni giorno loro sovrastavano senza punto sgomentarsi univansi in un cuor solo ed in un'anima sola per animarsi a star saldi nella fede e superare gl'incessanti assalti da cui erano minacciati. Questo è pure l'avviso dato dal Signore che dice: Le forze deboli, se unite diventano più forti, e se una cordicella presa da sola facilmente si rompe, è assai difficile romperne tre unite: vis unita fortior, funiculus triplex difficile rumpitur. Simile esempio seguono altresì gli uomini del secolo nei loro affari temporali. Dovranno forse i figliuoli della luce essere meno prudenti, che i figliuoli delle tenebre? No certamente. Noi Cristiani dobbiamo parimenti unirci in questi difficili tempi, ed unirci nello spirito di preghiera, di carità e di zelo adoperando tutti i mezzi che la religione somministra per rimuovere quei mali che oggidì ad ogni momento possono mettere a repentaglio l'importante affare della eterna salvezza. Come vincolo stabile di unione si propone l'associazione alla Congregazione di S. Francesco di Sales.

                II. - Congregazione Salesiana.

                Questa Congregazione venne definitivamente approvata dalla S. Chiesa il 3 Aprile 1874. Fine principale de' suoi membri si è di lavorare a benefizio del prossimo in genere e in specie della gioventù. Sebbene il loro numero sia già cresciuto notabilmente, tuttavia non possono che in minima parte corrispondere al bisogno, ed alle quotidiane richieste, che di loro si fanno. In varii paesi d'Italia e di altre parti d'Europa; nella China, nell'Australia, nell'America e segnatamente nella Repubblica Argentina furono chiesti operai Evangelici per aprire case religiose o Collegi per l’educazione di giovanetti, iniziare o almeno sostenere missioni, che incessantemente invocano la venuta di Evangelici operai.

                I poveri Salesiani non possono accorrere a tante necessità e perciò mentre fanno quanto possono dal canto loro, si rivolgono a quanti amano la nostra santa cattolica religione e la salvezza delle anime, e li invitano, anzi li scongiurano per amor di N. S. G. C. a voler dar mano e seco loro cooperare nelle opere speciali di carità, che formano lo scopo di questa Congregazione. Moltiplicate così le braccia si spera di estendere la coltura di più vasta e copiosa messe, e riportar quindi maggior frutto a gloria di Dio e a vantaggio delle anime.

                III. - Associazione Salesiana.

                1. Questo pio istituto pertanto essendo definitivamente approvato dalla Chiesa, sembra potersi proporre quale vincolo stabile di unione.

                2. Suo scopo generale è di stabilire una maniera di vivere da [537] buon cristiano, che desidera sinceramente salvar l'anima propria, e nel tempo stesso procurarsi al cuore quella pace che invano si cerca nel mondo.

                Molti certamente andrebbero volentieri in un chiostro, ma chi per età, chi per sanità o condizione, moltissimi per difetto di opportunità ne sono assolutamente impediti. Costoro anche in mezzo alle ordinarie loro occupazioni, in seno alle proprie famiglie, possono unirsi a quelli, che vivono di fatto in Congregazione merce quest'associazione. Laonde essa potrebbesi considerare come una specie di Terz'Ordine degli antichi, colla differenza che in quelli si proponeva la perfezione Cristiana nell'esercizio della pietà; qui si ha per fine principale la vita attiva nell'esercizio della carità del prossimo e specialmente della gioventù pericolante. Ciò costituisce il fine particolare dell'Associazione.

 

IV. - Maniera di cooperazione.

 

                Gli associati Salesiani non devono limitarsi a parole, ma venire alle opere. Facciano quindi consistere il loro zelo nel coltivare segnatamente la messe della Congregazione, cui intendono associarsi.

                1. Sia pertanto uffizio dell'associato promuovere novene, tridui, esercizi spirituali e Catechismi, sopratutto in quei luoghi dove si manca di mezzi materiali e morali.

                2. Siccome in questi tempi si fa gravemente sentire la penuria di vocazioni allo stato Ecclesiastico, così coloro che ne sono in grado prendano cura speciale di quei giovanetti, che forniti delle necessarie qualità morali e di attitudine allo studio dessero indizio d'esserne chiamati, giovandoli coi loro consigli, indirizzandoli a quelle scuole, a que' collegi, in cui sarebbero coltivati e diretti a questo scopo.

                3. Opporre la buona stampa alla stampa irreligiosa, mercè la diffusione di buoni libri, di pagelle, foglietti, stampati di qualunque genere in quei luoghi e fra quelle famiglie cui paia prudente di farlo.

                4, In fine la carità verso i fanciulli pericolanti, raccoglierli, istruirli nella fede, avviarli alle sacre funzioni, consigliarli nei pericoli, condurli dove possono essere istruiti nella Religione, sono la messe in cui si invita ogni associato ad esercitare il suo zelo. Chi non può prestar queste opere per sè, potrebbe farle per mezzo d'altri, come sarebbe animar un parente, un amico a volerle prestare. Si può cooperare colla preghiera o col somministrar mezzi materiali dove ne fosse mestieri. I fedeli primitivi portavano le loro sostanze ai piedi degli Apostoli, affinchè se ne servissero a favore delle vedove, degli orfani e per altri gravi bisogni. [538]

 

V. - Costituzione e governo dell'Associazione.

 

                1. Chiunque ha compiuti i sedici anni può farsi ascrivere in quest'Associazione, purchè abbia ferma volontà di conformarsi alle regole in essa proposte.

                2. L'Associazione è umilmente raccomandata alla benevolenza e protezione del Sommo Pontefice, dei Vescovi, dei Parroci, dai quali avrà assoluta ed illimitata dipendenza in tutte le cose che si riferiscono alla religione.

                3. Il superiore della Congregazione Salesiana è anche superiore di quest'associazione.

                4. Il Direttore di ogni casa della Congregazione è autorizzato ad ascrivere gli Associati, trasmettendo di poi Nome, Cognome e dimora al superiore, che noterà ogni cosa nel comune registro.

                5. Nei paesi e città dove non esiste alcuna di queste case, e dove gli associati giungono a dieci, dal Superiore sarà stabilito un capo col nome di Decurione.

                Dieci Decurioni possono avere un capo che si chiamerà Prefetto dell'Associazione. Prefetto e Decurione saranno preferibilmente scelti nella persona del Parroco, o di qualche esemplare Ecclesiastico. Essi corrisponderanno direttamente col Superiore. Dove gli associati fossero meno di dieci, corrisponderanno col Direttore della casa più vicina o direttamente col Superiore.

                6. Ogni Decurione comunicherà co' suoi dieci, ogni Prefetto co' suoi cento socii; ma ogni associato occorrendo può indirizzarsi al medesimo superiore ed esporgli quelle cose che giudica doversi prendere in considerazione.

                7. Ogni mese con un bollettino o foglietto a stampa si darà ai soci un ragguaglio delle cose proposte, fatte o che si propongono a farsi. Sul fine poi di ogni anno il superiore comunicherà ai soci le opere che nel corso dell'anno successivo sembrano dovere di preferenza promuovere, e nel tempo stesso darà notizia di tutti quelli, che nell'anno trascorso fossero stati chiamati alla vita eterna, e li raccomanderà alle comuni preghiere.

                8. Ogni prima Domenica del mese od in altro giorno che torni più opportuno, i Decurioni ed i Prefetti avranno cura di radunare i membri della propria decuria o centuria per trattare del buon andamento delle opere intraprese specialmente dei Catechismi nelle Parrocchie, ma sempre col beneplacito dei Parroci.

                9. Ogni Centurione o Decurione procurerà di radunare nel giorno di S. Francesco di Sales o nella Domenica seguente i membri delle proprie Decurie o Centurie, per animarsi reciprocamente alla Divozione verso il Santo Patrono, ed alla perseveranza nelle opere cominciate secondo lo scopo dell'associazione.[539]

 

VI. - Obblighi particolari.

 

                1. Ogni socio coi mezzi materiali suoi proprii o con beneficenze raccolte presso a persone caritatevoli farà quanto può per promuovere e sostenere le opere dell'associazione.

                2. I soci fanno ogni anno un'offerta di L. 1 per le opere promosse e da promuovere dell'associazione. Queste offerte saranno indirizzate al Superiore, oppure ai Decurioni, ai Prefetti, ai Direttori che le faranno al medesimo pervenire.

                3. Regolarmente poi si farà una colletta nell'occasione delle conferenze e specialmente in quella di S. Francesco di Sales. Chi non potesse intervenire a questa conferenza può in qualche altra maniera fare pervenire la oblazione al superiore.

 

VII. - Vantaggi.

 

                1. Gli associati possono lucrare molte Indulgenze, delle quali sarà mandato a ciascuno l'opportuno elenco.

                2. Parteciperanno di tutte le messe, Indulgenze, preghiere, novene, tridui, esercizi spirituali, delle prediche, dei catechismi e di tutte le opere di carità, che i Salesiani compieranno nel sacro ministero. Saranno parimente partecipi della Messa e delle preghiere, che ogni giorno si fanno nella Chiesa di Maria Ausiliatrice in Torino per invocare le benedizioni del Cielo sopra gli associati, le loro famiglie, specialmente sopra coloro che cadessero ammalati o si trovassero in pericolo di vita.

                3. Il giorno dopo la festa di S. Francesco di Sales tutti i Sacerdoti della Congregazione e dell'associazione celebreranno la S. Messa pei confratelli defunti. Quelli che non sono sacerdoti procureranno di fare la Comunione o recitare almeno la terza parte del Rosario.

                4. Quando un confratello divenisse ammalato, se ne dia tosto avviso al superiore, affinchè siano a Dio innalzate particolari preghiere per lui. Lo stesso facciasi pel caso di morte di qualche associato.

 

VIII. - Pratiche religiose.

 

                1. Agli Associati Salesiani non è prescritta alcuna penitenza esteriore, ma loro si raccomanda la modestia negli abiti, la frugalità nella mensa, la semplicità del suppellettile domestico, la castigatezza nei discorsi, l'esattezza nei doveri del proprio stato, adoperandosi che le persone dipendenti osservino e santifichino il giorno festivo.

                2. Sono consigliati di fare ogni anno almeno alcuni giorni di esercizi spirituali. L'ultimo giorno di ciascun mese od altro giorno di maggior comodità, faranno l'esercizio della buona morte confessandosi e comunicandosi come se realmente fosse l'ultimo della vita. [540]

                3. I soci reciteranno ogni giorno un Pater ed Ave a S. Francesco di Sales secondo l'intenzione del Sommo Pontefice. I sacerdoti e coloro che recitano l'uffizio della B. Vergine o le ore canoniche sono dispensati da questa preghiera. Per essi basta che nella recita del divino ufficio aggiungano a quest'uopo speciale intenzione.

                4. Procurino di accostarsi colla maggior frequenza ai santi Sacramenti della Confessione e della Comunione.

                5. Sebbene si raccomandi vivamente l'osservanza di queste regole pei molti vantaggi che ognuno si può procacciare, per togliere tuttavia ogni dubbio di coscienza si dichiara che l'osservanza delle medesime non obbliga sotto pena di colpa nè mortale nè veniale, se non in quelle cose, che fossero in questo senso comandate o proibite dai precetti di Dio e di santa Madre Chiesa.

                Ogni Associato riempirà la scheda seguente, e dopo averla firmata la farà pervenire al Superiore:

                Io sottoscritto abitante in

                Via         Casa       ho letto le regole dell'associazione Salesiana e colla divina grazia spero di osservarle fedelmente a vantaggio dell'anima mia.

                Torino (oppure) N. N.

                Nome        Cognome           qualità

 

5.

 

Cooperatori Salesiani ossia un modo pratico per giovare al buon costume ed alla civile società

 

I.

UNIONE CRISTIANA NEL BENE OPERARE.

 

                In ogni tempo si giudicò necessaria l'unione tra i buoni per giovarsi vicendevolmente nel fare il bene e tener lontano il male. Così facevano i Cristiani della Chiesa primitiva, i quali alla vista dei pericoli che ogni giorno loro sovrastavano, senza punto sgomentarsi uniti, con un cuor solo ed un'anima sola animavansi l'un l'altro a stare saldi nella fede e pronti a superare gl'incessanti assalti da cui erano minacciati. Tale pure è l'avviso datoci dal Signore quando disse: Le forze deboli quando sono unite diventano forti, e se una cordicella presa da sola facilmente ne rompe, è assai difficile romperne tre riunite: Vis unita fortior, funiculus triplex difficile rumpitur. Così sogliono fare eziandio gli uomini del secolo nei loro affari temporali. Dovranno forse i figliuoli della luce essere meno prudenti che i figliuoli delle tenebre? No certamente. Noi cristiani dobbiamo unirci in questi difficili tempi, e di comune accordo promuovere lo [541] spirito di preghiera, di carità Con tutti i mezzi, che la religione somministra per rimuovere o almeno mitigare i mali che ad ogni momento possono mettere a repentaglio il buon costume, senza cui va in rovina la civile società.

 

II.

 

LA CONGREGAZIONE SALESIANA VINCOLO DI UNIONE.

 

                Questa Congregazione essendo definitivamente approvata dalla Chiesa può servire di vincolo sicuro e stabile pei Cooperatori Salesiani. Di fatto essa ha per fine primario di lavorare a benefizio della gioventù sopra cui è fondato il buono e tristo avvenire della società. Nè con questa proposta intendiamo dire che questo sia il solo mezzo per provvedere a tale bisogno, perciocchè ve ne sono mille altri; anzi noi raccomandiamo vivamente che ciascuno si adoperi con tutti quei mezzi che giudica opportuni per conseguire questo grati fine. Noi a nostra volta ne proponiamo uno ed è l'opera dei Cooperatori Salesiani, pregando cioè i buoni cattolici che vivono nel secolo a venire in aiuto ai soci di questa Congregazione. È vero che i membri di essa sono cresciuti notabilmente, ma il loro numero è assai lontano dal poter corrispondere alle quotidiane richieste, che si fanno in vari paesi d'Italia e d'Europa, della China, dell'Australia, dell'America e segnatamente della Repubblica Argentina. In tutti questi luoghi si fanno quotidiane richieste di sacri ministri, affinchè vadano a prendere cura della pericolante gioventù, che vadano ad aprire case o collegi, ad iniziare o almeno sostenere missioni, che sospirano la venuta di evangelici operai. Egli è per accorrere a tante necessità che si cercano cooperatori.

 

III.

 

SCOPO DEI COOPERATORI SALESIANI.

 

                Scopo fondamentale de' Cooperatori Salesiani si è di fare del bene a se stessi mercè un tenore di vita, per quanto si può, simile a quello che si tiene nella vita comune. Perciocchè molti andrebbero volentieri in un chiostro, ma chi per età, chi per sanità o condizione, moltissimi per difetto di opportunità ne sono assolutamente impediti. Costoro anche in mezzo alle loro ordinarie occupazioni, in seno alle proprie famiglie, possono farsi Cooperatori e vivere come se di fatto fossero in Congregazione. Laonde dal Sommo Pontefice quest'Associazione è considerata come un Terz'Ordine degli antichi colla differenza che in quelli si proponeva la perfezione cristiana nell'esercizio della pietà; qui si ha per fine principale la vita attiva nell'esercizio della carità verso il prossimo e specialmente verso la gioventù pericolante. [542]

 

IV.

 

MANIERA DI COOPERAZIONE.

 

                Ai cooperatori Salesiani si propone la stessa messe della Congregazione di S. Francesco di Sales, cui intendono associarsi.

                1. Promuovere novene, tridui, esercizi spirituali e catechismi, 'sopratutto in quei luoghi dove si manca di mezzi materiali e morali.

                2. Siccome in questi tempi si fa gravemente sentire la penuria di vocazioni allo stato Ecclesiastico, così coloro che ne sono in grado prenderanno cura speciale di quei giovanetti ed anche degli adulti, che forniti delle necessarie qualità morali e di attitudine allo studio dessero indizio di esserne chiamati, giovandoli coi loro consigli, indirizzandoli a quelle scuole, a que' Collegi in cui possono essere coltivati e diretti a questo scopo. L'opera di Maria Ausiliatrice tende appunto a questo scopo.

                3. Opporre la buona stampa alla stampa irreligiosa, mercè la diffusione di buoni libri, di pagelle, foglietti stampati di qualunque genere in quei luoghi e fra quelle famiglie, cui paia prudente di farlo.

                4. In fine la carità verso i fanciulli pericolanti, raccoglierli, istruirli nella fede, avviarli alle sacre funzioni, consigliarli nei pericoli, condurli dove possono essere istruiti nella religione, sono altra messe dei Cooperatori Salesiani. Chi non fosse in grado di compiere queste opere per sè, potrebbe farle per mezzo di altri, come sarebbe animare un parente, un amico a volerle prestare. Si può cooperare colla preghiera o col somministrare mezzi materiali dove ne fosse mestieri ad esempio dei fedeli primitivi che portavano le loro sostanze ai piedi degli Apostoli, affinchè se ne servissero a favore delle vedove degli orfani e per altri gravi bisogni.

 

V.

 

COSTITUZIONE E GOVERNO DELL'ASSOCIAZIONE.

 

                1. Chiunque ha compiuti sedici anni può farsi Cooperatore, purchè abbia ferma volontà di conformarsi alle regole quivi proposte.

                2. L'associazione è umilmente raccomandata alla benevolenza e protezione del Sommo Pontefice, dei Vescovi, de' Parroci, dai quali avrà assoluta dipendenza in tutte le cose che si riferiscano alla religione.

                3. Il Superiore della Congregazione Salesiana è anche il Superiore di quest'Associazione.

                4. Il direttore di ogni casa della Congregazione è autorizzato [543] ad ascrivere gli associati, trasmettendo di poi nome, cognome e dimora al Superiore, che noterà ogni cosa nel comune registro.

                5. Nei paesi e nelle città, dove non esiste alcuna di queste case, e dove gli associati giungono a dieci, sarà stabilito un Capo col nome di Decurione, che sarà preferibilmente un prete o qualche esemplare secolare. Esso corrisponderà col Superiore, o col direttore della casa più vicina.

                6. Ogni Cooperatore occorrendo può esporre al Superiore quelle cose, che giudica doversi prendere in considerazione.

                7. Ogni tre mesi ed anche più sovente con un bollettino o foglietto a stampa si darà ai soci un ragguaglio delle cose proposte, fatte o che si propongono a farsi. Sul fine poi di ogni anno ai soci saranno comunicate le opere che nel corso dell'anno successivo sembrano doversi di preferenza promuovere, e nel tempo stesso si darà notizia di quelli, i quali nell'anno decorso fossero stati chiamati alla vita eterna, i quali verranno raccomandati alle comuni preghiere.

                8. Nel giorno di S. Francesco di Sales, e nella festa di Maria Ausiliatrice ogni Decurione radunerà i membri della propria Decuria per animarsi reciprocamente alla divozione verso di questi celesti protettori, invocando il loro patrocinio a fine di perseverare nelle opere cominciate secondo lo scopo dell'Associazione.

 

VI.

 

OBBLIGHI PARTICOLARI.

 

                1. I membri della Congregazione Salesiana considerano tutti i Cooperatori come altrettanti fratelli in G. C. e a loro si indirizzeranno ogni volta che l'opera di essi può giovare in cose che siano della maggior gloria di Dio e vantaggio delle anime. Colla medesima libertà, essendone il caso, i Cooperatori si rivolgeranno ai membri della Congregazione Salesiana.

                2. Quindi ogni socio coi mezzi materiali suoi propri, o con beneficenze raccolte presso a persone caritatevoli, farà quanto può per promuovere e sostenere le opere dell'Associazione.

                3. I Cooperatori non hanno alcuna obbligazione pecuniaria, ma faranno mensilmente oppure annualmente quella oblazione che detterà la carità del loro cuore. Queste offerte saranno indirizzate al Superiore in sostegno delle opere promosse dall'Associazione.

                4. Regolarmente poi si farà una colletta nell'occasione delle conferenze nella festa di Maria Ausiliatrice e in quella si San Francesco di Sales. Nei luoghi dove il numero non potesse costituire la Decuria, e quando alcuno non potesse intervenire alla conferenza farà pervenire a destinazione la sua offerta col mezzo a lui più facile e sicuro. [544]

 

VII.

 

VANTAGGI.

 

                1. Sua Santità, il regnante Pio IX, concede con decreto in data 30 luglio 1875 ai promotori di quest'opera tutti i favori, grazie spirituali e indulgenze, di cui possono godere i religiosi salesiani, eccettuate quelle che si riferiscono alla vita comune. Di ogni cosa si spedirà un elenco a parte.

                2. Parteciperanno di tutte le messe, preghiere, novene, tridui, esercizi spirituali, delle prediche, dei catechismi e di tutte le opere di carità, che i religiosi salesiani compieranno nel sacro ministero in qualsiasi luogo ed in ogni parte del mondo.

                3. Saranno parimenti partecipi della messa e delle preghiere, che ogni giorno si fanno nella chiesa di Maria Ausiliatrice in Torino a fine d'invocare le benedizioni del Cielo sopra i loro benefattori, le loro famiglie, e specialmente sopra coloro, che moralmente o materialmente fanno qualche benefizio alla nostra Congregazione.

                4. Il giorno dopo la festa di S. Francesco di Sales tutti i Sacerdoti della Congregazione, tutti i sacerdoti Cooperatori celebreranno la Messa pei confratelli defunti. Quelli che non sono sacerdoti procureranno di fare la 5. Comunione e di recitare la terza parte del Rosario.

                6. Quando un confratello divenisse ammalato, se ne dia tosto avviso al Superiore affinchè faccia innalzare a Dio particolari preghiere per lui. Lo stesso verrà fatto nel caso di morte di qualche Cooperatore.

 

VIII.

 

PRATICHE RELIGIOSE.

 

                1. Ai Cooperatori Salesiani non è prescritta alcuna opera esteriore, ma affinchè la loro vita si possa in qualche modo assimilare a quella di chi vive in comunità religiosa, loro si raccomanda la modestia negli abiti, la frugalità nella mensa, la semplicità nel suppellettile domestico, la castigatezza dei discorsi, l'esattezza nei doveri del proprio stato, adoperandosi che le persone dipendenti da loro osservino e santifichino il giorno festivo.

                2. Sono consigliati di fare ogni anno almeno alcuni giorni di esercizi spirituali. L'ultimo giorno di ciascun mese, od altro giorno di maggior comodità, faranno l'esercizio della buona morte confessandosi e comunicandosi come realmente fosse l'ultimo della vita.

                3. Ciascuno reciterà ogni giorno un Pater, Ave a S. Francesco di Sales secondo la intenzione del Sommo Pontefice. I sacerdoti e coloro che recitano le ore canoniche o l'uffizio della B. Vergine sono [545] dispensati da questa preghiera. Per essi basta che nel divino ufficio aggiungano a quest'uopo la loro intenzione.

                4. Procurino di accostarsi colla maggior frequenza ai santi Sacramenti della confessione e della comunione.

 

AVVISO.

 

                Sebbene si raccomandi vivamente l'osservanza di queste regole pei molti vantaggi che ognuno può procacciarsi, per togliere tuttavia ogni ansietà di coscienza si dichiara che l'osservanza delle medesime non obbliga sotto pena di colpa nè mortale nè veniale, se non in quelle cose, che fossero in questo senso comandate o proibite dai precetti di Dio e di santa Madre Chiesa.

                Ogni associato riempirà la formola seguente, e dopo aver firmata la scheda separata, la farà pervenire al Superiore:

                Io sottoscritto abitante in

                via                  casa

                ho letto le regole dei cooperatori salesiani e colla divina grazia spero di osservarle fedelmente a vantaggio dell'anima mia.

                Torino, oppure N, N.

                dei mese di                 anno

                Nome                 cognome                      qualità.

                Torino, 1876, Tipografia Salesiana.

 

                COOPERATORI SALESIANI

 

                Io sottoscritto abitante in

                                       mese                anno

                Ho letto le regole dei Cooperatori Salesiani e coll'aiuto di Dio spero di osservarle.

 

                NB. Ogni cooperatore compierà i vuoti di questa scheda, e dopo averla firmata la manderà al Superiore della Congregazione Salesiana in Torino.

                Firma del Cooperatore.

 

6.

Grazie a pro dei Cooperatori.

 

PIUS PP. IX.

AD PERPETUAM REI MEMORIAM.

 

                Supplices Nobis preces admotae sunt, ut Pio Instituto seu Societati sub titulo S. Francesci Salesii nonnullas facultates et gratias spirituales concedere dignaremur. Nos autem ut haec Societas maiora in dies suscipiat incrementa, et Sociorum aliorum Christi fidelium [546] religio ac pietas magis magisque augeatur, praefatis precibus, quantum quidem in Domino possumus, benigne annuendum esse censuimus. Quamobrern de Omnipotentis Dei misericordia; ac BB. Petri et Pauli Apostolorum eius auctoritate confisi, Superioribus Generalibus pro tempore dictae Societatis facultatem facimus Indulgentias et gratias spirituales Societati ipsi ab hac S. Sede concessas insignibus Societati Benefactoribus communicandi, perinde ac si Tertiarü essent, iis tànnen exceptis, quae ad vítam communem pertinent. Praeterea iisdem Superioribus Generalibus pro tempore concedimus, ut Superioribus domorum Societatis facultates, quae spirituales gratias respiciunt, delegare possint et valeant. Tandem ut in omnibs dictae Societatis Ecclesiis, in quibus Sanctissimum Eucharistiae Sacramentum adservatur, in Nocte Nativitatis D. N. I. Ch. tres Missae ab eadem 'Sacerdote celebrari possint elargimur; et omnibus et síngulis utriusque sexus Christifidelibus, qui eadem. Nocte Nativitatis Domini in qualibet ex praefatis Ecclesiis vere poenitentes et confessi Sacra de altari libaverint, et Ecclesiam ipsum devote visitaverint, ibique pro Christianorum Principum concordia, haeresum extirpatione,  peccatorum conversione ac S. Matris Ecclesiae exaltatione pias ad Deum preces effuderint, Plenairiam omnium peccatorum suorum Indulgentiam et rcmissionem, quam etiam animabus Christifidelium, quae Deo in charitate coniunctae ab hac luce.migraverint, per modum suffragii applicare possint, misericorditer in Do-mino concedimus. In contrarium facietibus non obstantibus quibuscumque. Praesentibus perpetuis futuris temporibus valituris. Volumus autem ut praesentibm Litterarum transumptis seu exemplis etiam impressis, manu alicuius Notarii publici subscriptis et sigillo Personae in Ecclesiastica Dignitate constitutae munitis, eadem prorsus adhibeatur fides, quae adhiberetur ipsis praesentibus  si forent exhíbitae vel ostensae.

                               Datum Romae apud S. Petrum

                sub Annulo Annulo Piscatoris die XXX Julii MDCCCLXXV.

                               Pontificatus nostri Anno trigesimo.

F. Card. ASQUINIUS.

 

7.

Indulgenze ai Cooperatori.

PIUS; PP. IX.

 

AD PERPETUAM REI MEMORIAM.

 

                Cum sicuti relatum est Nobis, Pia quaedam Christifidelium Sodalitas, quam SODALITATEM seu UNIONEM COOPERATORUM SALESIANORUM appellant, canonice instituta sit, cuius Sodales tum [547] alia plurima pietatis et charitatis opera exercere, tum praesertim pauperum ac derelictorum puerorum coram suscipere sibi proponunt; Nos, ut Sódalitas huiusmodi maiora in dies suscipiat incre-menta, de Ournipotentis Dei misericordta; ac BB. Petri et Pauli Apostolorum eius auctoritate confisi, omnibus utriusque sexus Christifidelibus ad hanc Sodalitatem adscriptis vel pro tempore adscribendis, in cuiuslibet eorum mortis articulo, si vere poenitentes et confessi ac S. Communione re£ecti, vel quatenus id facere nequiverint, saltem contriti Nomen Iesu ore si potuerint, sin minus corde devote invocaverint, et mortem tamquam peccati stipendium de manu Domini patienti animo susceperint, Plenariam; nec non iisdem Sodalibus, vere poenitentibus et confessis, qui uno quo cuique eorum libeat cuiuslibet mensis die in aliqua Ecclesia aut Oratorio publico Sanctissimum Eucharistiae Sacramentum sumpserint, et Ecclesiam aut Oratorium ipsum devote visitaverint, ibique pro Christianorum Principum concordia, haeresum extirpatione, peccatorum conversione ac S. Matris Ecclesiae exaltatione pias ad Deum preces effuderint, Pleneriam similiter omnium peccatorum suorum Indulgentiam et rcmissionem quam etiam animabus Christifidelìum, quae Deo in charitate coniunctae ab hac luce migraverint, per modum suffragii applicare possint, misericorditer in Domino concedimus. Praeterea peculiari supradictos Sodales benevolentia prosegui volentes, omnes, iisdem Indulgentias tum Plenarams, tum Partiales, quas Tertiarii Sancti  Francisci Assisiensis ex concessione Apostolica consegui possunt, elargimur; atque ut, quas indulgentias Tertiarii diebus festis et in Ecclesiis S. Francisci Assisiensis lucrari possunt, diebus festis S. Francisci Salesii et in Ecclesiis Congregationis Presbyterorum Salesianae consegui licite ac libere valeant, dummodo quae pro Indulgentiis buiusmodi lucrandis iniuncta sunt pietatis opera rite in Domino praestiterint, Auctoritate Nostra Apostolica concedimus. In contrarium facientibus non obstantibus quibuscurnque. Praesentibus perpetuis futuris temporibus valituris. Volumus autem ut praesentium Litterarum transumptis seu  exemplis etiam impressis, manu alicuius Notarii publici subscriptis, et sigillo Personae in Ecclesiastica Dignitate constitutae munitis, eadem prorsus adhibeatur fides, quae adhiberetur ipsis praesentibus si forent exhíbitae vel ostensae.

                               Datum Romae apud S. Petrum

                sub Annolo Piscatoris, die IX Maii MDCCCLXXVI.

                               Pontificatus nostri Anno trigesimo.

Pro D. Card. ASQUINIO

D. IACOBINI Substitutus.

Loco sigilli. [548]

 

8.

 

Mons. Fissore al Card. Berardi.

 

                               Eminenza Rev.ma,

 

                Mi sono interessato con doverosa sollecitudine per tentare un componimento delle differenze fra il Rev.mo Monsignor Gastaldi arcivescovo di Torino ed il M.to Rev.do Sig. D. Giovanni Bosco Rettore della Congregazione di S. Francesco di Sales di Torino in ubbidienza ai venerat.mi cenni del S. Padre che V. Em.za Rev.ma ebbe la bontà di comunicarmi coll'ossequiata sua del 9 corrente anno, ed essendomi portato a Torino ho parlato coll'uno e coll'altro separatamente, ed unitamente, e qualche buon esito spero averlo ottenuto. Primieramente nel colloquio venne a risultare con soddisfazione comune che certe disposizioni date dall'arcivescovo riguardo ai sacerdoti forastieri che stavano per entrare nella casa di D. Bosco sebbene toccassero in qualche modo la congregazione, avevano però motivi indipendenti dalla medesima; e certi urti e contrasti si potranno prevenire con spiegazioni che si sono date e con previe intelligenze a prendersi all'avvenire ed all'occasione, che si concertarono. Di certe piccole contingenze disgustose del passato non si fecero pure più parole.

                Il punto su cui insisteva maggiormente Monsignore si è che D. Bosco non accetti nelle sue case que' certi chierici[213] che siano stati dichiarati indegni dell'Ordinazione e comandati a deporre l'abito chiericale. In realtà vi sono certe ragioni particolari. D. Bosco ne ha accettati alcuni, i quali, come mi consta, avevano realmente demeritato[214], e li ha accettati senza pur trattarne con Monsignore, ed anche subito dopo che erano usciti dal seminario. Se in altre Diocesi od anche in altri tempi volesse, o potesse l'ordinario Diocesano non darsi per inteso di tale avvenimento, e lasciare che i suoi ex - chierici vadano dove vogliono con riserva di spiegarsi poi a suo tempo siccome creda nella sua prudenza, non può prendere attualmente questo contegno di indifferenza Monsignor Gastaldi, perchè quell'esempio mostra ai discoli uno[215] scampo, ed eludere in parte o pel momento, o in apparenza gli ordini superiori, e dà luogo a dire che entrando nelle case di D. Bosco, vi è mezzo a ritenere l'abito, ed a continuare gli studi, e conservare le speranze per la carriera Ecclesiastica: e se non altro vi ha un mezzo di palliare l'onta e di tenere [549] nascosto ai parenti il castigo, facendo un passaggio alle case di D. Bosco[216].

                Per parte sua D. Bosco ha molte case da lui dipendenti, nelle quali vi ha posto per giovani di ogni categoria, buoni o meno buoni, avviati agli studi, o alle arti, ed è pronto a soccorrere al bisogno di chi si presenti, ed anche a fare subito la prova se un naturale infelice, che abbia dato malamente i primi saggi, sia per dame altri migliori. Egli inoltre per le sue case e massimamente per quelle di studi abbisogna, di maestri e di assistenti, e preferisce che abbiano l'abito chiericale, perchè siano più rispettati ed approfitta volentieri de' chierici, ed anche di quelli che siano stati rimandati dai loro prelati, forse senza conoscerne sempre tutti i precedenti. A questi non presenta, è vero, promessa di accettarli nella sua Congregazione, nella quale non vorrebbe mai giovani o soggetti indisciplinati, ma i giovani si lusingano di ottenere la aggregazione od una raccomandazione a qualche altro vescovo per le ordinazioni se si portano bene un po' di tempo[217]. Nel seminario di Torino una tal voce o lusinga comincia già correre. È vero che D. Bosco que' certi ex - chierici d'una diocesi li manda in un'altra[218]; ma ciò non basta. Monsignore non ha difficoltà che accetti questi chierici in abito secolare, e fuori della carriera degli studii Ecclesiastici. Non ha difficoltà di permettere che i suoi chierici entrino nella Congregazione di D. Bosco se paiono chiamati, come ripetutamente ha dichiarato, e godrebbe perfino che andassero a provare certi soggetti di dubbia vocazione. Ma che D. Bosco gliene parlasse prima per quelle osservazioni che possono essere convenienti. D. Bosco ha dichiarato che non prenderà più[219] alcuno degli ex chierici di Torino, e non lascerà loro portare l'abito chiericale, o proseguire la carriera Ecclesiastica, e Monsignore fu soddisfatto. Quanto a quelli che ora si trovano nelle case di D. Bosco si presero i concerti d'accordo[220]. Monsignore ha promesso che di buon grado, previo però l'esame, ordinerà i soggetti che siano vincolati con voti perpetui alla Congregazione ed abbiano le dimissorie, ma non quelli che hanno solo i voti triennali[221]. Io confido che le cose per l'avvenire andranno di buon accordo, e si potranno prendere: concerti se insorgeranno difficoltà, ed, ove d'uopo, ben volentieri m'adoprerò sempre per una conciliazione. Avrei proposto di [550] stabilire qualche punto in iscritto: ma Don Bosco amò meglio che tutto si terminasse verbalmente, e così fu[222].

                Favorisca V. Em.za implorarmi dal S. Padre una apostolica Benedizione per me, e per i miei Diocesani, ed onorarmi sempre de' suoi cenni, perchè prostrato al bacio della sacra porpora riverentemente mi reco ad onore di protestarmi coi sensi di più profonda venerazione

                Di V. Em.za Rev.ma

                Vercelli, li 12 Febbraio 1875.

Umil.mo ed Osseq.mo Servitore

CELESTINO arcivescovo.

All'Em.mo Cardinale

Giuseppe Berardi - Roma.

 

9.

Mons. Gastaldi al Card. Bizzarri.

 

                               Eminenza Reverendissima,

                Ho ricevuto la lettera sottoscritta da V. E. Rev.ma delli 13 corrente mese relativa alla Congregazione Salesiana, la cui sede principale è in questa Archidiocesi. In essa V. F. mi scrive che questa Congregazione fu definitivamente approvata da S. S. li 3 aprite 1874 insieme con le sue Costituzioni; lo che io non devo ignorare, dappoichè Ella ha motivo a ritenere con sicurezza che il Superiore Generale della medesima abbia dato a me comunicazione del Decreto Pontificio relativo e soggiungere che dall'altro a me noto, e precedentemente, sull'approvazione dell'Istituto stesso, quale sia la condizione fatta al detto Istituto io posso rilevare.

                Mi duole il dovere osservare a S. F. che io non ebbi mai comunicazione alcuna dei Decreti Pontifici coi quali sia stata approvata la detta Congregazione, o sieno state approvate le sue Costituzioni, e perciò nella relazione della Diocesi che li 31 decembre feci alla Congregazione del Concilio toccando dell'Istituto Salesiano ho dovuto dire, che questo mi si affermava definitivamente approvato, ma io non aveva ancora veduto il Decreto Pontificio relativo. Mi si comunicò una copia del Rescritto di questa sacra Congregazione dei V.V. e R.R. in cui si dichiara che il S. Padre li 3 Aprile 1874 concede al Rettore Generale della detta Congregazione Salesiana la facoltà di dare le Lettere Dimissoriali per gli ordini sacri a tutti i membri [551] legati alla Congregazione con voti perpetui, e ciò per anni dieci. Ma io non vidi, nè potei mai vedere altro Decreto in cui si esponesse l'approvazione definitiva della detta Congregazione, e quella limitazione di dieci anni mi dava anzi ragione a supporre il contrario.

                V. E. soggiunge che l'Istituto Religioso non è soggetto alla giurisdizione degli Ordinarii solo in ciò che è contenuto nelle Costituzioni dalla S. Sede approvate. È dunque necessario che io conosca queste costituzioni e ne abbia una copia autentica in Curia dovendo essa servire di Regola pratica di condotta per me, ed i miei successori e impedire dei penosi conflitti che potessero sorgere.

                Ora io non ricevetti fin'ora altro che la copia stampata, la quale unisco alla presente lettera, in cui si dice sieno esposte le Costituzioni suddette, secondo il Decreto di Approvazione delli 3 Aprile 1874; ma questa copia stampata non contiene il Decreto di approvazione e manca di qualunque sia sottoscrizione, così che è impossibile a me il darle un valore, e ciò tanto più in quanto vi ha chi suppone che lo stampato non vada pienamente d'accordo coll'Originale che si conserva nell'Archivio della S. Congregazione. Perciò V. E. R.ma mi farà un segnalato favore se mi procurerà una copia autentica manoscritta di dette Costituzioni, od almeno fatta confrontare questa copia stampata coll'Originale mi sarà assicurato in modo autentico che questa è una fedele riproduzione del Manoscritto accennato nel Decreto Pontificio.

                Osservo poi a Vostra Eminenza che nelle case della Congregazione Salesiana non sono solamente i membri della medesima o come professi o come Novizi, ma anche altri e laici, ed Ecclesiastici i quali sono là come maestri od assistenti od in altri uffizi senza nessuna intenzione di legarsi mai con voti perpetui alla Congregazione. Riguardo a questi non mi sembra che estendasi la Costit. Ex quo Dilectus di B. XIV, ed è di questi Ecclesiastici che io ho mosso, e prosieguo a muovere lagnanze, che cioè senza il mio consenso sieno ricoverati in quelle case, conciossiachè il ricoverarli non sia senza sfregio della mia autorità in faccia al mio Seminario, ed ai miei Diocesani e senza grave scapito della disciplina del Clero, e non senza mantenere una opposizione, e come uno scisma tra i Superiori del mio Seminario, e la detta Congregazione. Finora non accadde mai che uno dei miei seminaristi sia uscito per recarsi ad ascriversi alla detta Congregazione: alcuni di essi furono a mia insaputa incitati dai Superiori della detta Congregazione a recarsi nelle loro case per farvi da maestri, vi si recarono senza dimandare parola, alcuni anni dopo uscirono.

                Altri poi espulsi dal Seminario si ricoverarono in alcuna di quelle case non già come membri della Congregazione, questa essendo abbastanza prudente di non volere comparire composta di chierici espulsi dal Seminario, ma come distinti da essa Congregazione in [552] luogo di difesa contro il giudizio del loro Vescovo. Certamente la espulsione dal Seminario non fu mai riguardata qual mezzo da conoscere la vocazione allo stato religioso. La detta Congregazione lo sa, e perciò non riceve tali Chierici come suoi membri, ma come suoi ricoverati. Ma questi, come è manifesto, proseguono ad essere sudditi del Vescovo, e debbono osservare i suoi ordini, e perciò debbon deporre l'abito Ecclesiastico secondo, il comando che n'ebbero, e la Congregazione suddetta non dovrebbe aiutarli nella loro disubbidienza siccome fa, non senza grave scapito dell'Autorità Vescovile.

                Se V. E. ponesse efficace rimedio a questo stato di cose mi solleverebbe da un grave disturbo. Le bacio riverentemente la Sacra Porpora, e sono colla massima osservanza

                Di V. E. Rev.ma

                Torino, 24 maggio 1875.

Umil.mo Dev.mo Servitore

LORENZO, Arcivescovo di Torino.

 

10.

Deposizione della Mazé De La Roche.

 

                (Proc. ap. Posit. sup. virt. Summ., pag. 743 - 8).

                Attesto che purtroppo vi furono, a cominciare dall'anno 1873 delle vertenze dolorose tra il Ven. D. Bosco e Mons. Arcivescovo Gastaldi, mio venerato zio. Esse riguardavano i diritti di giurisdizione che l'Arcivescovo credeva di poter esercitare sui membri della nascente Congregazione Salesiana, mentre il Ven., alla sua volta credeva di esserne esente per i privilegi speciali che aveva ottenuti dalla Santa Sede.

                Io appresi questi dissensi e dalla voce pubblica e dalle confidenze che il Ven. faceva a mia madre ed a me, all'unico scopo di esortarci a trovare modo di informare direttamente Monsignor Arcivescovo delle dicerie che si propagavano, specialmente in mezzo al Clero, anche per mezzo della Stampa con danno per ambe le parti. Queste vertenze furono una spina costante al cuore di mia madre ed al mio.

                Nel mio diario, sotto la data di Domenica 5 Settembre 1875, trovo segnate queste mie impressioni e memorie: “La croce dolorosa che da oltre due anni Dio volle mandarmi, nell'essere cioè a parte delle discordie che vi sono tra due persone che tanto amo e rispetto, una delle quali è a me legata con stretti vincoli di parentela, venne ieri maggiormente aumentata nel sentire che quest'ultima non volle [553] ammettere alla sua presenza il Santo Personaggio (cioè, aggiungo ora il Ven. D. Bosco), che altra volta riguardava fedele amico, quale suo consigliere, ed al quale professava altissima stima e venerazione insieme alla numerosa comunità che questi dirige”.

                Questa notizia del rifiuto di udienza l'appresi direttamente dal Venerabile, il quale ci, metteva a conoscenza di queste cose penose, unicamente perchè, bene informate, potessimo trovar modo di prestare i nostri caritatevoli uffizi, onde dissipare gli equivoci insorti.

                Io sono pienamente convinta che il Ven. non abbia dato causa ai detti dissensi, poichè sempre lo conobbi contrario a qualsiasi litigio ed animato per evitarli anche con sacrifizio. Anzi aggiungo che in tutti i discorsi tenuti con mia madre e con me su tale proposito si vedeva quanto intensamente pativa di tutte queste prove come quando doveva giustificare la sua condotta intorno all'uso dei privilegi ottenuti dalla Santa Sede.

                Il Ven., sempre che ebbe a trattare cose di questo argomento, , ci accennava appena il necessario, tantochè alcune volte non comprendevamo dove mirasse, di guisa che noi eravamo costrette ad interrogarlo. Ma egli in tutto ci parlava di Monsignor Arcivescovo con tanto rispetto e carità da restarn edificate. Talvolta poi lasciava meglio intravedere la sua pena vivissima, di non essere compreso nel suo modo di agire, tutto indirizzato alla maggior Gloria di Dio.

                Ritornando al mio diario sotto la data sopra citata, dove ho riferito del rifiuto d'udienza, trovo così notata l'impressione avuta dalla narrazione fattami dal Venerabile: “Quale mansueto agnello riceve l'annunzio che non potrà parlare a chi desidera. Egli non mormora, ma alzando quasi sorridendo gli occhi al cielo (e mi ricordo che era pieno di mestizia), con santa rassegnazione esclama Sia fatta la volontà di Dio! I benefizi innumerevoli compartiti all'amico vengono ricambiati in tal maniera, eppure, quanto si amavano una volta! Perchè cambiò così lo zio Monsignore? Ahi! chi ha fatto il tristo uffizio di suscitare tale discordia, dovrà certo averne un gran rimorso. Perchè dunque non si disdice di quanto asserì, e che non ha ombra di vero?”.

                A me risulta che uno dei principali suscitatori di tali dissensi era il Segretario di mio zio Arcivescovo, cioè il Teol. Tommaso Chiuso, già defunto da vari anni, ed è a lui che alludo nelle surriferite parole. Invitata ben sovente a mensa da mio zio Arcivescovo, udivo il di lui Segretario, avere soventi frizzi e sarcasmi diretti a quei di Valdocco, oppure: son quei di laggiù. Dichiaro che sebbene io abbia patito [554] danni pecuniarii e provati dispiaceri per causa di lui, tuttavia non conservo contro di lui alcuna amaritudine, avendo tutto perdonato per amore del Signore, e quando seppi che si trovava in condizioni di strettezze feci sentire a qualcuno dei suoi congiunti o conoscenti che ero pronta a soccorrerlo. Dopo la sua morte feci celebrare Messe e pregai a suffragio dell'anima sua.

                A me non risulta e sono anzi convinta che il Ven. non facesse confidenze intorno a questo argomento con altre persone estranee, e quando ne parlava con noi, diceva: “Ne parlo a loro, perchè so con chi parlo e perchè so che loro non possono fare che buoni uffizi”.

                Aggiungo ancora che il Ven., quando accennava alla persona di mio zio Arcivescovo, usava abitualmente il titolo di Monsignor Arcivescovo, e raramente “tuo zio”.

                Io sono convinta che il Ven. abbia costantemente sopportato con pazienza e rassegnazione piena queste dolorose prove come tutte le altre. Posso dire che giammai, durante questa lunga controversia, non lo vidi mai alterato, sibbene afflitto profondamente.

                Quando mi riferì il rifiuto di udienza, di cui ho sopra parlato, io registrai nel mio diario queste mie impressioni e parole da lui udite: “Io vidi D. Bosco, oh, come era rassegnato! ma come era afflitto il suo cuore! Mi sentii commuovere al sommo, udendo dalla sua bocca queste parole: Si ha bensì tutta la volontà di essere forti, di farsi coraggio nelle avversità, ma a forza di accumulare disgusti su disgusti il povero stomaco si risente e si rompe”. Mai vidi in vita mia D. Bosco cambiare di fisionomia, ma questa volta, alternativamente mentre parlava, diveniva pallido e poi infiammato in volto. Non ho mai udito alcuno che dicesse avere il Ven. manifestato risentimento per causa di queste controversie.

                A me consta che il Ven. desideroso di un'intesa con l'Arcivescovo si raccomandò più volte a noi affinchè, presentandosi occasione propizia, potessimo adoperarci presso il nostro congiunto Monsignor Arcivescovo. Come già dissi, a questo unico scopo miravano le confidenze che ci faceva in proposito, anzi aggiungo che una volta mi pregò di scrivere allo zio Arcivescovo per riuscire a questo intento. Lo zio mi rispose che questi non erano affari di mia competenza. Tale lettera venne da me distrutta anteriormente.

                Altra volta il Ven. mi disse che da Roma era stato interpellato intorno a queste controversie, e disse dolente: Bisogna bene che io risponda: e mi duole perchè ciò che dovrò riferire, saranno cose dispiacenti all'Arcivescovo. Mentre ciò diceva, si capiva che nel suo cuore conservava sempre gli antichi sentimenti di venerazione e di [555] amicizia per Monsignor Arcivescovo. D'altra parte posso e devo attestare che anche il mio zio Veneratissimo, parlando con me si dimostrava dolente più che con le parole, con l'espressione di pena, che i suoi rapporti attuali con D. Bosco non fossero più simili a quelli dell'inizio dell'Oratorio: io poi ricordo che allora, quando mio zio era ancora canonico, si recava regolarmente a Valdocco a fare scuola di Teologia ai Chierici, ed alla sera in casa faceva ripetizione ai medesimi, predicando pure e facendo il catechismo ai giovani dell'Oratorio stesso.

                Inoltre io posso attestare, che parecchie volte in quel tempo mio zio soccorse finanziariamente il Ven., e conservo una ricevuta di L. 1000, che aveva offerto per la costruzione della Chiesa di Maria Ausiliatrice, ricevuta vergata tutta di mano del Venerabile.

                Nel mio diario sotto la data del 13 Novembre 1876, trovo riferito che il Ven. mi diede partecipazione di avere ricevuto una lettera e di data recente di Sua Eminenza il Card. Nina, riferentesi a quanto veniva esortato a fare per venire ad un accordo. Ricordo che mi disse che il Card. Nina gli suggeriva di scrivere una lettera in cui esprimesse il rammarico se mai Lui stesso o qualche membro della Congregazione avesse menomamente mancato di rispetto all'Arcivescovo e glie ne chiedesse scusa.

                Seppi in seguito che anche Monsignor Arcivescovo aveva ricevuto esortazione dallo stesso Card. di rispondere alla lettera che il Ven. gli avrebbe scritto. Questo mi fu riferito da qualche Superiore Salesiano. So pure che nella lettera diretta al Ven. l'Eminentissimo Cardinal Nina lo avvisava di avere scritto all'Arcivescovo per dirgli essere desiderio del S. Padre che dopo ciò tutto fosse finito.

                Quando il Ven. mi confidò queste notizie lo vidi che era tutto pieno di gioia, perchè tutto era appianato. Trovai pure negli scritti, di mio zio una lettera al suo Segretario, Teol. Tommaso Chiuso, che mostrava soddisfazione.

                So che nel tempo delle controversie, furono pubblicati alcuni opuscoli contro l'Arcivescovo. Ignoro a che cosa si riferissero. Ricordo soltanto, come fosse oggi, d'aver sentito il Ven. dirmi: Si dice e si crede che D. Bosco abbia scritto o stampato articoli, opuscoli contro l'Arcivescovo di Torino; ma D. Bosco ne sa proprio di nulla. E parmi soggiungesse: Dillo pure pubblicamente che queste cose mi sono estranee; ho altre cose più urgenti e più importanti da pensare.

                Queste ultime parole le ricordo precisamente.

                Altro al riguardo non avrei a deporre. [556]

 

11.

Don Bosco alla Direzione delle Ferrovie.

 

                               Ill.mo Sig. Commendatore,

                Ho consegnato al Capo Stazione di Torino il mio libretto di abbonamento e quello del Sac. Angelo Savio, che questa benemerita Direzione mi aveva gratuitamente concesso. Mentre ora porgo a V. S. i più sentiti ringraziamenti e fo preghiera per, la rinnovazione del favore, La supplico per la concessione dell'antico biglietto, se è possibile, o per qualche libretto o biglietto in cui la tassa governativa sia pagata in proporzione dell'uso che se ne fa.

                La ragione è questa: l'imposta governativa di ciascun trimestre monta a 40 franchi circa, mentre in complesso non fo viaggi che raggiungano tale somma. Per esempio, nell'ultimo trimestre del 1874 mi sono servito del libretto soltanto per una gita a Borgo S. Martino ed un'altra a Genova. Alle volte si passa un trimestre senza viaggiare, sebbene in altro trimestre possa occorrere di più. E poichè questa Direzione concede il favore coll'onere della tassa governativa, supplico la nota e provata bontà di V. S. a voler fare in modo, sempre che si possa, che la tassa sia proporzionata all'esercizio che si fa sulle linee delle ferrovie dell'A. I.

                Torino, 6 gennaio 1875.

Obbl.mo servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                               Ill.mo e Benemerito Sig. Commendatore,

                Premessi i più vivi ringraziamenti per la beneficenza che V. S. Ill.ma è disposta di farmi, cioè o di concedermi un libretto d'abbonamento per le linee di cui occorre dovermi specialmente servire, o di domandare volta per volta il favore, io scelgo volentieri la prima proposta.

                La supplico pertanto del libretto di abbonamento per le linee seguenti:

                Torino - Susa

                Torino - Pinerolo

                Torino - Milano

                Chivasso - Strambino

                Torino Genova - Ventimiglia

                Genova Spezia - Firenze

                Troffarello - Bra - Savona

                Troffarello - Chieri

                Bra - Alessandria [557]

                Alessandria - Casale

                Cantalupo - Acqui

                Qualora poi mi occorra di dovermi servire di altre linee, farò ogni volta ricorso per ottenere biglietti per quella linea e per quel tratto determinato.

                Il nome dei titolari del libretto sono: Sac. Gio. Bosco Direttore degli Oratorii Maschili; Sac. Angelo Savio Economo.

                Prego Dio di voler colmare di sue celesti benedizioni Lei, Signor Commendatore, e tutti i Signori di questa benemerita direzione, mentre ho l'alto onore di potermi professare con profonda gratitudine

                Della.S. V. Ill.ma

                Torino, 15 gennaio 1875.

Obbl.mo servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

12.

D. Lemoyne a Don Bosco.

 

                               Padre mio in G. C.,

                Abbiamo in parte fatte le visite a questi veramente nobili e santi prelati, ricevendo ovunque le più gentili e cordiali accoglienze.

                Mons. Ricci promise che ci avrebbe procurato una udienza dal Santo Padre, benchè in questi giorni le continue occupazioni ed anche la stanchezza di quel Venerabile Apostolo la rendessero alquando difficile.

                Il Card. Antonio De Luca assicurò che avrebbe sempre tenuta a cuore la nostra Congregazione.

                Il Card. Berardi sembrocci un vero padre; s'interessò molto delle notizie ultime riguardanti l'Oratorio, entrò nei particolari dell'opposizione dell'Arcivescovo con molta confidenza, e con evidente disapprovazione per quel che fa contro di noi. Noi però mentre ascoltavamo le sue parole, notammo come D. Bosco e la Società siansi sempre dimostrati obbedientissimi ai sinodi ed agli ordini arcivescovili, sempre pronti a difenderlo quando non trattavasi di andare contro all'evidenza dei fatti, fatti che dolorosamennte metterebbero il Clero Torinese in urto col superiore, se la virtù di tanti preti non fosse virtù consumata. Sua Eminenza approvava e disse sorridendo: - il Sommo Pontefice lo ha già detto allo stesso D. Bosco: “Non siete voi che lo avete voluto?”. Del resto, concluse, è una croce, è una prova.

                Avrebbe ancora continuato, ma giunse il Card. Billio. Avevaci però già riferito che Sua Eccellenza M. Vitelleschi era venuto quello [558] stesso mattino per chiedergli spiegazione intorno alla Società e che esso lo aveva illuminato su qualche punto. Non ci disse parola e noi non chiedemmo. Sua cognata è guarita perfettamente, e sua madre sta bene.

                Il Card. Martinelli ci trattò, direi così, da fratelli. S'intrattenne sulla lunghezza delle pratiche per i nostri privilegi, dando però buone speranze.

                Il Card. Consolini colla sua gentilezza ci mandò in estasi, Che cuore! Ci prese per mano e la tenne fra le sue per non breve tempo. Quanto amore porta a D. Bosco ed alla Congregazione! Prima di partire volle darci una limosina di 30 franchi per l'Oratorio, protestando che avrebbe fatto di più se avesse potuto.

                Noi lo ringraziammo prima con una semipreghiera a non disagiarsi perchè erasi alzato per andare a prendere la sua offerta e poi con tutta la riconoscenza promettemmo la più viva eterna ricordanza e preghiere continue.

                In ultimo Sua Ecc. Vitelleschi. Qui ci toccò fare due passeggiate. - Monsignore ha molto da fare - ci dicevano i servi!

                L'ultima volta, soggiunsero che sua Eccellenza era per andare a pranzo. Io che sapevo dal Sig. Alessandro che Sua Eccellenza pranzava alle 2 e ½, ed allora erano solamente le 2 e 10, pregai che almeno si annunziasse all'Arcivescovo come due preti di Don Bosco chiedessero udienza. Sua Eccellenza in persona ci venne incontro e ci introdusse nel salotto. Si parlò della Casa, dei giovani, di D. Bosco e di N. N. Questo Prelato è proprio tutto per noi. Ci assicurò che nella prima metà di giugno, l'affare dei privilegi sarebbe messo in discussione. Ci disse che aveaci visto in Vaticano.

                In quattro giorni abbiamo girato correndo da un capo all'altro di Roma. Tanto più che non di raro questi prelati non erano in casa. Altri abbiamo cercato di visitare, ma fin'ora non ci fu dato trovarli in casa.

                A tutti abbiamo porto la lettera di D. Bosco ed offerto i libri. - Come contraccambiarvi per sì bel dono? - divevano questi buoni prelati. Ègià una preziosa degnazione ad accettare questo segno del nostro rispetto, e questa degnazione servirà a noi d'incoraggiamento per continuare i nostri lavori. Del resto già abbastanza han fatto per noi colla loro protezione e pregheremo a volercela continuare. E li abbiamo assicurati che in tutte le nostre Case si prega per essi.

                Ecco la relazione della nostra missione diplomatica.

                Riprendo la lettera per dirle che fummo da Mons. Fratejacci. Un diluvio di complimenti, un torrente di aneddoti e un fiume di eloquenti discorsi che durò per tre ore. Ci baciò, volle a tutti i costi darci un bicchiere di vin bianco, e ci invitò a pranzo per mercoledì. Era stato ammalato di bronchite per 40 giorni, motivo che lo impedì [559] a fare ciò che D. Bosco desiderava. Però mi assicurò che presso l'avv. Menghini aveva fatto la parti della Società; che domani sarebbe andato espressamente dall'avvocato; che avrebbe esaminato la posizione perchè riuscisse in modo da ottenere i voti della Congregazione; che avrebbe aggiunto nelle domande quei specialissimi privilegi, dei quali esso se ne avvedesse che siano stati omessi; ne disse delle grigie sul conto di N. N., etc., etc.

                Andammo eziandio dalla madre Galeffi e vedemmo la nipote di Pio IX Maria Pia. Tanti saluti da parte di queste buone madri e suore.

                D. Bosco, preghi per noi, chè Dio sa quanto amiamo il nostro Superiore. Appena veduto il Papa partiremo a grande velocità per ritornare vicino a Lei. La signora Matilde ed il signor Alessandro mandano a Lei un milione di saluti. Così pure tutti i Cardinali e Monsignori che abbiamo visto. Il gatto, il pappagallo ed il signor Alessandro unitamente alla Perpetua di Mons. Fratejacci salutano D. Berto.

                Roma, 16 - 5 - 75.

Sono il suo aff.mo figlio

Sac. LEMOYNE B.

 

                NB. D. Bonetti sta bene e non vuole sottoscrivere perchè ci ho messo i pappagalli.

 

13.

Settembre 1875. - Missioni salesiane dell'America del Sud.

Corredo necessario ai missionari.

 

                Corredo delle cose principali che occorrono ai religiosi Salesiani che nel finire del prossimo Ottobre dovranno recarsi nella Repubblica Argentina per aprire un Ospizio a Buenos Ayres: un Collegio per le Missioni, e scuole pubbliche, di S. Nicolas de los Arroyos: chiesa pubblica in questa città.

                I missionari saranno non meno di dieci che verranno di poi seguiti da altri.

                Vasi e paramentali sacri.

                Calici n. 5 prezzo circa fr. 300 - Pissidi 2 fr. 200 - Raggio i fr. 100 - Corporali 50 fr. 100 - Purificatoi 100 fr. 100 - Piccoli asciugamani 100 fr. 100 - Pianete per tutti i colori con cingolo, manipolo, borsa e stola fr. 500: Verdi 4 fr. 500; Bianche 4 fr. 500; Rosse 4 fr. 500; Nere 4 fr. 400 - Paramentali (cioè pianeta, tunicella, piviali, continenza per solennità) fr. 1000 - Camici 20 fr. 800 [560]  - Amitti 100 fr. 200 Tovaglie per altare 20 fr. 200 - Turibolo - Navicella 2 fr. 40 Cotte o rocchetti 15 fr. 300 - Piviali ordinarii per varii colori 3 fr. 500 - Messali 8 fr. 150 - Cartelle per messe da Requiem 8 fr. 60 - Per la benedizione 3 fr. 20 - Breviarii Copie 12 fr. 150 - Antifonarii 2 fr. 160 - Ferro per ostie i fr. 150 Campanelli per le S. Messe fr. 50 - Leggii pel Messale 5 fr. 40 Lampade 4 fr. 200 - Candellieri: due mute in tutto 50 fr. 1000 - Ampolline paia 10 fr. 30 - Due sottane d'estate per caduno in tutto 20 fr. 1000 - Sottane per la fredda stagione fr. 1000 - Mantelline 20 fr. 400 - Pastrano per caduno10 fr. 800 - Per caduno calzette 18 paia in tutti 180 fr. 400 - Calzoni estivi 6, in tutti 60 fr. 600 - Calzoni pel freddo fr. 600 - Corpetti per caduno 6 in tutti 60 fr. 600 - Maglie 60 fr. 300 - Mutande per cad. 12 = 120 fr. 600 - Fazzoletti cad. 30 = 300 fr. 200, - Camicie cad. 24 = 240 fr. 800 - , Lenzuola 8 = 80 fr. 800 - Scarpe paia 6 = 60 fr. 600 - Cappelli 2 = 20 fr. 200 - Berette per Chiesa 4 = 40 fr. 240 - Spazzole per abiti 3 = 30 fr. 50 - Spazzole per scarpe 3 = 30 fr. 25 - Pettine, pettinette 6 = 60 fr. 30 - Forbici 3 = 30 fr. 20 - Harmonium 1 fr. 800 - Pianoforte 1 fr. 800 - Giovane Provveduto 500 fr. 300 - legati in fino So fr. 100 - Chiave dei Paradiso 500 fr. 150 - legati in fino 50 fr. 50 - Cattolico istruito 50 fr. 100 - Asciugamani per tavola 80 fr. 60 - Il Cattolico provveduto 25 fr. 50 - Piccola Storia Ecclesiastica 50 fr. 40 - Storia d'Italia 25 fr. 60 - Piccola Storia Sacra 100 fr. 20 - più grossa 50 fr. 5 - Nostri libretti anon. 1000 fr. 150 - Horae diurnae 20 fr. 60 - Metodi per canto fermo, per la musica vocale, per organo, varii pezzi fr. 150 - Teologia Moralis, Scavini, copie 10 fr. 200 Th. dogm. del P. Perrone copie 10 fr. 200.

                Predicazione.

                Liguori Opere etc. copie 5 fr. 250 - Segneri opere 5 fr. 100.

                Ascetica.

                Da Ponte e Rodriguez 5 fr. 200.

                Quadri di Maria SS., di S. Francesco, di S. Luigi fr. 300 - Collari, collarini, cravatte fr. 10 - Cortine per la finestra della Capella etc. fr. 200 - Tappeto per predella fr. 100 - Contraltare fr. 100 Metà del Viaggio 4000 - Totale 26.355.

                NB. Il Municipio di S. Nicolas paga l'altra metà del viaggio. [561]

 

14.

Supplica di D. Bosco al Papa.

 

                               Beatissime Pater,

 

                Inter ea quae in Ecclesiasticis Institutis ad animarum salutem conferre possunt, recensendo esse videtur facultas praesentandi ad Sacros Ordines loco et tempore opportuno. Qua in re, Beatissime Pater, (3 aprilis 1874) Salesianae Congregationi iam concedere dignatus es Dimissoriales Litteras relaxari posse ad Episcopum dioecesanum juxta Decretum Clementis VIII die I5 martii 1596. Nostris vero temporibus, quum ob sacerdotum de deficientiam summopere urgeat eorum necessitas in nostris regionibus, eoque magis in exteris Missionibus suscipiendis atque domibus ibique (sic) adaperiendis, ad Sanctitatis tuae pedes pervolutus, pro lucro animarum, pro Missionum necessitate, et pro Ecclesiae utilitate tamquam singolare donum Salesianae Congregationi concedas suppliciter peto:

                Ut clerici Nostrae Congregationis, dummodo necessariis praediti sint requisitis, suorum Superiorum literis dimissorialibus Sacros ordines extra tempora a sacris canonibus instituta a quocumque catholico Episcopo gratiam et communionem habente cum Apostolica Sede suscipere libere ac licite servatis servandis, possint et valeant.

                Huiusmodi privilegium praelaudatus Clemens VIII die 23 novem-bris I596 iam concesserat pro Congregatione S. joannis Evangelistae in Portugallia. Postea multi alii religiosi hoc idem sunt consecuti.

                Quo demum privilegio Sanctitas Tua adnotatis verbis ditare dignabaris Congregationem Missionis. Brevi Religiosas familias 'I3 maji 1859. Ut hoc magnum bene beneficium addas aliis fere sine numero nobis benefactis, tamquam singolare donum Sanctitatis Tuae pro Salesiana Congregatione humillime provolutus supplex postulo.

JOANNES Bosco

                Sacerdos.

 

15.

 

Supplica di Mons. Vitelleschi al Papa.

 

                               Beatissimo Padre,

 

                Il Sacerdote Gioanni Bosco, Superiore Generale della Pia Società di S. Francesco di Sales, dopo aver riportato dalla benignità della Santità Vostra l'approvazione delle Costituzioni del suo Istituto, animato ora da precedenti concessioni già fattegli dalla V. Beatitudine,  [562] si presenta umilmente al suo Apostolico Trono esponendole come tornerebbe a maggior incremento e vantaggio della sua Congregazione che le venisse conceduto il privilegio attribuito dalla S. Sede Apostolica agli Ordini Regolari di rilasciare la lettere dimissoriali per le promozioni ai Minori e Maggiori Ordini inclusivamente al Presbiterato a forma del Decreto del Pontefice Clemente VIII dei 15 marzo 1596. Essendo già la Pia Società Salesiana estesa in non meno di sette Diocesi e non potendo i socii tenere una stabile e costante dimora in certe determinate case, ma invece occorrendo loro d'essere trasferiti di luogo in luogo, si frappongono da ciò non lievi ostacoli a che i rispettivi Ordinarii possano avere quella assicurazione de' promovendi per ammetterli alle Ordinazioni quando pure già siano dotati de' debiti requisiti. Oltre a ciò la concessione che si implora meglio conduce a quella unità di regime che è un elemento indispensabile alla conservazione dello spirito e dello scopo di un Istituto. Supplica quindi vivamente l'Oratore la Santità Vostra perchè a somiglianza eziandio di qualche altro consimile istituto si degni accordare al Superiore Generale pro tempore della Società Salesiana la facoltà di rilasciare le lettere dimissoriali in favore dei Socii d'essa promovendi ai Minori e maggiori ordini, i quali abbiano già emesso i voti semplici perpetui, estendendogli cioè quel privilegio medesimo di cui godono i Regolari propriamente detti in forma del surrichiamato Decreto di PP. Clemente VIII.

 

VITELLESCHI.

 

16.

 

Supplica per i privilegi.

 

                               Beatissime Pater.

                Joannes Bosco Sacerdos ad Sanctitatis Tuae Pedes provolutus humillime pro Salesiana Congregatione exponit:

                Die 3 aprilis elapsi anni I874 haec pia Societas a Clementia Tua absolutam et specificai constitutionum adprobationem consecuta est variisque inde privilegiis donata. Post tale ac tantum beneficium licet hujus Congregationis Socii toti in eo essent, ut per regularem observantiam optatum ammarum profectum referrent, plures tamen ac frequentes difficultates exortae sunt in sacro ministerio esercendo, atque in domibus, Collegiis et Ecclesiis administrandis.

                Etenim in nostris regionibus, quum omnes Ecclesiasticae Congregationes praeter propter iisdem privilegiis fruantur, saepe de nobis Dictitatur eadem privilegia, quibus allae Congregationes gaudent, fuerint etiam nobis concessa.

                Qua de re haud facile Aesponsum dari potest. [563] Huius generis difficultates jam occurrerunt Redemptoristis, quibus quamvis ex Rescripto Benedicti XIV, Clcmentis XII, Clementis XIV plures concessiones directae factae fuerint, nihilominus eliminari non potucrunt nisi per Pii VI Rescriptum, quo Rcdemptoristis privilegia Passionistarum per communicationem concessat sub die Zo Octobris I781.

                Pere eadem obstacula habuerunt Oblati Beatae Mariaè Virginis, quae omnia Leo XII sustulit, quum vialn cognttam iisdem signans per communicationem privilegia et gratias spirituales Redemptoristarum concesserit.

                Nunc vero quum nostra humilìs Societas sive quoad Constitutiones et finem. sive quoad messem in Evangelico agro colendam praelaudatis Congregationibus assimilari possit, eadem etiam privilegia suppliciter postulantur. Huiusmodi supplicationis addi etiam possunt nonnullae rationes particulares quas adnotare juvat.

                1. Natura Congregationis, quae cum sit temporalibus subsidiis omnino destituta, specialibus privilegiorum auxiliis indiget, ut inter tot temporum tempestates se constituere seque sustinere valeat.

                2. Multitudo Sociorum, Alumnorum, Collegiorum, Hospitiorurn, quorum rectores per viam pariformem atque locorum Ordinariis cognitam incedentes in novis casibus et in gravioribus dubiis ad Sanctam Sedem illis sit recurrendum.

                3. Missiones in dissitis orbis terrae partibus jam susceptae, variaeque domus, de quibus aperiendis illilic agitur, perdifficilem reddent frequentem recursum ad Romanum Pontificem, ut opportueas facultates consequantur.

                4. Specialla locorum et temporum adjuncta, quae prudenter consulere videntur multa lacere sed non patefacers.

                Hisce breviter adnotatis, Salesiani omnes ad pcdes Tuos provoluti, Beatissime Pater, supplices postulamus, ut nostrue Congregationi per communicationem concedas privilegia, facultates, gratias spirituales, quibus generatim aliae Congregationes et nominatirn Congregatio SS. Redemptoris fruuntur, hoc est: Perinde ac si specialiter et expressa ac pariformiier et acque principaliter Salesianae congregationi concessa fuissent, tam'quam de verbo ad verbum expressa et inserta fuissent et specialem mentionem requirerent.

                Per hujusmodi communicationem, Beatissime Pater, Salesiana Societas tutam et cognitam viam habet quam sequatur: facillime Ordinariis locorum, innotescent privilegia, quibus fruatur praecipue in Missionibus suscipiendis et doiibus in exteris regionibus adaperiēndis. Dum uno ore haec postulamus, toto corde preces ad Deum fundimus, ut Tu, Beatissime Pater, ea dumtaxat concedas, quae ad utilitatem nostram, lucramque animarum melius in Dono judicaveris.

JOANNES BOSCO, Sacerdos. [564]

 

17.

 

Mons. Fratejacci a D. Bosco.

 

                               Veneratissimo e Car.mo D. Bosco,

                Sul mezzodì si è sciolta la Commissione de' Cardinali Patrizi, Bizzarri, De - Luca, e Martinelli, fin dalle ore 9 riunita per discutere sulla Istanza di D. Bosco, presente il Seg.rio Mons. Vitelleschi. Io era già nell'anticamera del Cardinal Patrizi, per cui accostatomi nell'uscire al Cardinal Martinelli ho saputo in brevi cenni le risoluzioni del Congresso. Ma non pago di ciò ho chiesto l'udienza al Card. Vicario, da cui sono entrato il primo dopo detto Congresso e riferitogli brevemente un mio affare d'officio, l'ho di poi interpellato per sapere qual esito aveva avuto l'istanza di D. Bosco. Ed egli gentilmente mi ha detto che la cosa è ancora sotto alto segreto, perchè la commissione dei Cardinali si è rimessa in tutto a ciò che definitivamente deciderà il Santo Padre, a cui ne sarà fatta la Relazione. M ha soggiunto poi che in quanto al primo dubbio, formulato nella Consultazione del bravo Avv. Menghini, circa le dimissorie de' Chierici ad quemcumque episcopum etc., non è stato possibile di ammetterla per le troppo gravi difficoltà che presenta. E una delle principali tra queste, indovini Ella qual è? La opposizione ostile e ferma d'un certo Prelato che Ella ben conosce!!! Potrebbe temersi da quel lato qualche serio conflitto colla S. Sede, che, in questi momenti in cui è necessaria la più salda unione tra tutto l'Episcopato, deesi assolutamente allontanare. Circa poi l'altro dubbio concernente i privilegi, e le grazie, ad instar, etc., sebbene la Commissione non abbia aderito a questa formola ad instar, etc., ha opinato però favorevolmente in favore della dimanda, individuando i privilegi e le grazie, etc.

                Uscito appena dal palazzo del Card. Patrizi ho comunicato all'Avv. Menghini, che aspettava nella strada, tutte le surriferite notizie, e ho avuto con lui un lungo colloquio, del quale forse Ella avrà qualche cenno nella lettera, che mi ha assicurato di scriverle oggi stesso.

                Spiacemi che in una lettera io non posso, nè altri potrebbe, porle in vista tutte le Persone de' Giudici, le particolari convinzioni d'ognuno, e le, pratiche da me fatte, prima per conoscere le difficoltà e poi per diluirle una per una. Anche l'Avvocato Menghini non ha preterito nulla di ciò che potevasi fare con leale amicizia con Lei. Ella ha letta la sua bella consultazione!

                Nel tornare a casa ieri sera dall'ultima visita alle 6 ½ pomeridiane da me fatta al Card. Martinelli, dopo quella del Card. De - Luca parvemi d'essere ben soddisfatto della buona impressione lasciata nell'animo dell'uno e dell'altro E.mo, mostratosi non inclinato solo, ma vivamente interessato a favorire in tutto la buona ed ottima causa di D. Bosco; per cui (lo confesso) io mi aspettava una decisione [565] generalmente favorevole in tutto, sebbene non ignorassi che uno dei Cardinali, e un altro non Cardinale erano pienamente d'accordo per contrariarla. Si vede che lo spettro abilmente messo innanzi di qualche scissura tra quel Prelato N. N. e la S. Sede, ha fatto breccia nell'animo dei timidi Giudici, e laddove faceva d'uopo resistere col petto di bronzo, e dimostrare che, mentre la Chiesa si rallegra di vedere il Giansenismo oramai spento in tutta la Francia, ove sì a lungo e con tante tristi conseguenze dominò, non può affatto tollerare, che voglia da un qualche prelato risuscitarsi nel Piemonte, si è invece subita buonamente e senza strepito l'azione malefica di quest'incubo della paura non affatto giustificata: illic trepidaverunt timore ubi non erat timori!

                Quidquid sit di tutto ciò, e di varie altre specialità, che manifestai con amica sincerità a Menghini, e che furono da lui pienissimamente consentite, posso assicurarla con certezza, che, sommate insieme e le persone, e le narrate circostanze, e massime quelle del tempo in cui fu trattata e discussa la sua Istanza, possiamo stimare d'avere ottenuto almeno il 90 per 100 in ciò che la Commissione ha deciso. Imperocchè in primo luogo non si esclude assolutamente il privilegio delle dimissorie, ma si è solo opinato non essere opportuno concederne ora la perpetuità come richiedevasi. In secondo luogo quando l'Istituto Salesiano abbia i privilegii che nel secondo dubbio proponevansi, a che monta se sieno conceduti colla formola ad instar etc. o se gli stessi privilegii dati agli altri Istituti sieno specificamente individuati, e concessi? Risulta dagli atti, a mo' d'esempio, che i Liguorini ottennero cosa per cosa con se parate dimande per ottenere i privilegii che hanno. Risulta che il privilegio di dispensare per gli interstizi fu conceduto la prima volta da Pio IX ai Sigg. della Missione che vantano circa tre secoli d'esistenza. In terzo luogo mentre resta sempre aperta a D. Bosco la via per aggiungere nuova istanza e chiedere, ed ottenere ciò che oggi la Commissione opinò non essere opportuno di decretare, d'altra parte l'opinamento stesso della Commissione è, come ho inteso, sì fluttante, e sospeso, che lascia al S. Padre tutto intieramente il compito di decidere come Egli crederà. Ella ricorda che fece il S. Padre nella precedente decisione, in cui trattavasi dell'approvazione definitiva dell'Istituto? Non potrebbe adesso verificarsi altrettanto? E perchè no?...

                Solo mi dispiace l'assenza dell'E.mo Berardi da Roma. Inutilmente sono stato a ricercare le di Lui notizie anche questa mattina, nulla si sa sino ad oggi del quando ritornerà in Roma.

                S'Ella credesse impegnare in questo caso il Cardinal Antonelli perchè ne tratti col S. Padre, e di scrivergli subito una lettera, .. se vuole che io vada a parlargli... per buona fortuna domani, stante il Concistoro, non v'è udienza. Dunque il risultato del Congresso oggi tenuto dalla Commissione non potrebbe riferirsi che oggi a otto. Ma [566] per la promozione di Vitelleschi è vacante il posto di segretario dei VV. e RR.: dunque la relazione al Papa non sarà fatta, io credo, che dal nuovo Segretario, e quindi altri giorni passeranno utili a poter operare presso il S. Padre. Se qui era il Card. Berardi!!!... Ciò non pertanto è qui sempre Dio e Maria nostra buona Madre Ausiliatrice, che come in altri bisogni e circostanze, così ora persuaderà al S. Padre il da farsi, alla maggior gloria del Signore, ed incremento del suo nuovo Istituto, a tutti caro ed accetto.

                Il Cardinal Vicario, il Card. Martinelli mi hanno confidenzialmente comunicate le sue lettere. A che non scriverne un'altra al Card. Antonelli, molto più che Menghini fu a presentargli una copia della sua consultazione? Ella pertanto veda ora il da farsi. Qualunque cosa io possa fare per lei, già lo sa, io sono sempre in parata, sempre in fazione. Ella ordini, e sarà tutto f atto di gran cuore, e col più vivo piacere.

                La mia salute è alquanto migliorata, ma sta sempre in ribasso il mio stato morale. E come diversamente in questo penoso teatro, in cui dobbiamo tutti aggirarci o spettatori, o attori?

                Mi abbia presente nelle sue orazioni, e mi raccomandi alle preghiere di cotesti buoni fanciulli, Gradisca tanti miei saluti, e rallegramenti per quella vittoria già ottenuta, e senza pregiudizio di altra prossima. Agnesina e tutti di mia casa uniscono particolari ossequi e complimenti.

                Prego la di Lei bontà a volermi salutare con tanti e particolari complimenti miei e di tutti di mia casa codesti suoi rispettabili Professori Lemoyne, Bonetti, D. Berto e Francesia.

                Il buon Graziano venuto da me due volte, ed ora in campagna per gli esercizi militari fa particolari saluti a Lei e a D. Berto.

                Rinnovandole i sentimenti della mia più affettuosa venerazione e vera stima, mi dò il vanto di confermarmi

                Di Lei Ven.do e Car.mo D. Bosco

                Roma, li 16 settembre 1875.

Umili.mo servo ed amico aff.mo

GIOV. BATT. Can. FRATEJACCI.

 

18.

Mons. Frotejacci a D. Bosco.

 

                               Veneratis.mo e Car.mo D. Bosco,

                Alla lettera di ieri ecco unisco questa seconda che non avrei pur sospettato doverle scrivere! Tanto mi dispiace a di Lei riguardo per l'affetto, ma vero, e l'illuminata stima che confesso di professare a Lei e al suo Istituto. [567] Non posso però incominciarla senza prendere a prestito le prime parole del sacro Libro di Tobia: quia acceptus eras Deo, necesse fuit, ut tentatio probaret te!

                Sì, con questo solo criterio può giudicarsi il fatto della Commissione de' Cardinali, il raffinato lavoro del Segretario della Commissione, e ciò che precedette, e ciò che accompagnò, e peggio poi quel che seguì il congresso dei Cardinali E.mi. Cose incredibili, più, che vere! insolite, straordinarie, e che muovono la bile a chiunque le osserva. Ma viva Dio, ci consoliamo anche in ciò, appunto perchè mostra, che acceptus eras Deo.

                È inutile ch'io Le ripeta ciò che contemporaneamente Le scrive l'avv. Menghini, dolente assaissimo con me, circa i termini definitivi della decisione, che facto verbo cum Sanctissimo, ha oggi lo stesso (ora E.mo) Monsignor Segretario finiti e comunicati col medesimo.

                Mi occuperò solo a farle osservare che finissimo lavoro si è fatto intorno a questo affare. Non contento Mons. Segretario di diffidare l'avv. Menghini a non volere scrivere che pochissime parole invece di quella piena, e concludente consultazione ch'Egli ha scritto, e distribuito ai Cardinali, si è dato di più la premura di bloccare anche il Card. Vicario, e farlo suo, sapendo per certo il pensare del Bizzarri. Ella fece bene a scrivere le lettere che scrisse, ma il Mons. Segretario era qui per neutralizzare l'azione che avrebbero esse prodotto. Ne venne perciò che il Card. Vicario, il quale facilmente avrebbe appoggiato il parere più benigno e favorevole di Martinelli e De - Luca, si gettò invece risolutamente dal lato di Bizzarri e del Segretario, il quale è primo a parlare con voto consultivo solamente, ma che in questo caso divenne decisivo per la influentissima e delicatissima circostanza che nell'indomani avrebbe dovuto vestire anch'Egli quel tal colore ch'Ella sa. Sviata così l'opinione di tutti i congregati, e allarmati tutti dallo spettro fatto giocare abilmente di una probabile scissuta di quel tale Prelato (M. G.) colla S. Sede, ebbero poco da dire il Martinelli e De - Luca, e fu, ripeto, il 90 per 100 se poterono pur ottenere in favor suo ciò che si è ottenuto.

                E tutto ciò da chi? Da un uomo, che vantavasi amico sviscerato di D. Bosco, e che forse moltissimo gli deve anche in quel tal colore, che oggi riveste!! E quando? Appunto quanto era cessato in lui l'officio di Segretario. Appunto due giorni dopo aver consegnato tutte le carte d'ufficio al sostituto M. Trombetta, dicendogli nel firmare non so quale carta: - Ecco qui l'ultima mia firma come Segretario. E come dunque ritenere la sola posizione di D. Bosco? E come intervenne due giorni dopo al Congresso della Commissione? Dato anche che per sua intima convinzione fosse stato Egli contrario alla dimanda di D. Bosco, e perchè non profittare della favorevole occasione della cessazione dall'ufficio per tacere affatto, e dare ad altri il compito di trattare questo affare? [568]

                Ma ciò non è tutto, Affinchè il lavoro di questa tentazione (ut tentatio probaret te) fosse undequaque polimentato, e forbito, Volle il Segretario assumersi anche l'incarico, che per la delicatissima ragione sopra indicata nessuno gli contradisse, sebbene fosse contro ogni uso, e consuetudine, di portare la sera stessa tutto il risultato della Commissione all'Udienza del S. Padre in via straordinaria, non aspettato cioè il corso consueto delle Udienze prese e prestabilite, onde l'affare venisse jugulato e finito appunto com'Egli voleva, e come chiaramente assicurò a Menghini e a chiunque trattò questa causa. E neppure ciò bastò, se non anche alla slealtà e durezza, d'animo del Segretario si unisce il cinismo, quando rispondendo questa mattina' a Menghini, che lo interrogò sull'esito della Commissione, gli disse ridendo, e molto soddisfatto, queste stesse parole: - Certo, quando D. Bosco la saprà (questa decisione), non ne resterà molto contento!! - Ecco, mio caro D. Bosco, gli amici, che presenta questo secolo, e la fatica degli uomini di Dio! Ecco in quale conto è tenuto il bene delle anime, l'onore della Chiesa, il vantaggio della civile società! Sembrami proprio il caso del martirio del Battista con aurea eloquenza esposto da S. Ambrogio. Il fatto sopra narrato del Segretario n'è copia fedele, e conforme.

                Chi non avrebbe creduto, che in die natalis sui (della sua promozione) Mons. Segretario non avesse voluto realizzare sì bella circostanza in favore dell'Amico, e forse grande Benefattore, D. Bosco? E vedendolo ritenere presso di se questa unica posizione riguardante l'amico D. Bosco, smessi e consegnati tutti gli altri affari in mano del sostituto, chi non si sarebbe aspettato, che volesse inaugurare la sua nuova dignità con un bell'atto di favore e protezione verso il nascente Istituto, quasi geloso da non permettere che altri gli rapisca di mano sì bella gloria? E il vederlo correre, e ricorrere più volte dal Card. Vicario, da Bizzarri, a che altro alludeva se non al favore che l'amico ha in cuore di mostrare al suo amico, e dirò meglio al Chiericato, alla Chiesa, alle anime, a Dio? Tutt'altro però, fino al punto che laddove un'altra mano recise il capo del Profeta e non quella d'Erodiade, in questo caso la stessa mano jugulò la nostra causa in via straordinaria, la presentò, la seppellì, e si dilettò d'averla morta e sepolta. Quanta in uno facinore sunt crimina!

                Ma viva Dio, se le ossa profetarono sul campo d'Ezechiello, non sarà sempre morta la causa di D. Bosco. Essa ha in sè il cedro che la rende incorruttibile, il cedro dell'amor di Dio e del prossimo, il cedro della virtù, e della protezione di M. SS. Ausiliatrice! Se, ha pazienza, il Segretario vedrà forse fra poco, che ossa pariter prophetaverunt!

                Nel toccare con mano tuttociò nè io nè il Menghini credevamo a noi stessi. Io me ne addolorai come di una somma sciagura a me colta; anzi se fosse stata cosa tutta mia, molto minore ne avrei provato il rammarico e il dolore. Ella mi conosce; sa ciò che penso, e che giudico! [569] Sì, è così proprio. Si rinnova quasi ogni giorno la scena descritta nel sacro libro di Giobbe, in cui si presentano i buoi, che trafelati dall'ardore del sole e dal sudore traggono lentamente il passo sotto il giogo per fendere con diritti solchi la terra, e preparare a beneficio dell'uomo una messe copiosa. Boves arabant. Quivi attorno però certi altri animali scorrazzano, ed oziano e varino in pingui pascoli, sfiorando le migliori erbe, e ricalcitrano, e ogni dì più s'impinguano ed ingrassano: et asinae pascebant secus ipsos, insultando quasi alla fatica e al sudore benefico del bue paziente e laborioso!

                Ma basta, se così fanno gli uomini, parlerà alla sua volta Iddio! E sarà tremenda la sua voce! Io nel furore della collera parlando colla buona Agnesina, che tanto lacrima, mi sono lasciato scappar di bocca questa espressione non so come: - - Vedete, le ho detto, non passerà quest'anno, e forse quel tal Segretario sarà giudicato da Dio!!! Avessi da essere anch'io uno degli ossi, che profetò!? Dio nol voglia, e conceda anzi anche ai nostri nemici tutto il bene che desideriamo per noi; ma ci liberi una volta da tanti mali, che affannano, ed opprimono l'anima e crucciano le viscere di chi vive, e non vegeta.

                L'avvocato Menghini credeva bene dopo l'accaduto di avanzare una Istanza pro esenzione affinchè il rescritto non passi in causa giudicata. Io l'approvai; ma riflettendovi meglio, credo che ciò possa farsi sempre, e che forse sia più spediente l'aspettare momenti più propizi. Lascio però a Lei ciò che giudicherà meglio.

                Oggi non era a Roma Berardi, anche questo doveva accadere: quia acceptus eras Deo, necesse erat ut tentatio probaret te. Ma dopo le tentazioni avvenute a Tobia sappiamo anche quali furono le sue consolazioni, e qual sorte toccasse al Demone Asmodéo, nemico di Sara, e come tornasse tutta in fiore la sua casa, figura od immagine dell'Istituto di D. Bosco, che, malgrado le contrarietà di alcuni uomini, vivrà, e starà e immenso bene produrrà nella Chiesa e nella società.

                Prego la di Lei bontà a gradire questo sfogo del mio animo, quasi tributo a Lei dovuto dalla mia stima ed affezione illimitata. E con esso i saluti miei, e della buona Agnese e di tutti di mia casa, che, insieme con me pregano di esserle presenti nelle orazioni sue, e di cotesti buoni suoi giovani. Un particolare saluto a D. Lemoyne, D. Berto, D. Bonetti, e D. Francesia.

                Le bacio riverentemente le mani, e di tutto cuore mi raffermo per sempre

                Di Lei Car.mo Ven.mo D. Bosco

                Roma, 17 settembre 1875.

Umil.mo Dev.mo Servo ed Amico Aff.mo

GIAMB.STA Can. FRATEJACCI [570]

 

19.

 

Mons. Fratejacci e D. Bosco.

 

                               Car.mo e Venerat.mo, mio D. Bosco,

                Io sono stupito! e quasi non credo alla verità e certezza, di ciò che qui mi affretto a scriverle. Caro D. Bosco, Deus Dominus loquulus est! .....

                Il Cardinale Vitelleschi non è più. Assalito da una tifoidea, oggi sulle tre ant. naturae debitum solvit! Erano appunto trenta giorni dalla sua promozione. Trenta giorni circa dal suo noto rescritto sulla causa dei Salesiani e di D. Bosco!

                Nel parossismo del mio sommo disgusto e dispiacere che in vero sperimentai per quel decreto o rescritto, che non mi sarei mai aspettato, ricordando la profezia della ven. Anna Maria Taigi, che trovatasi presente al grande corteo del nuovo Cardinal Mazzarino, quando recavasi in porpora per la prima volta a S. Pietro - Oh, perchè, disse, tutta questa pompa, se fra quaranta giorni il Cardinal sarà sotto terra?... - non sapendo pur quello ch'io mi parlava dissi alla buona Agnesina, a cui confidava l'amarezza del mio animo a di Lei riguardo: - Ricordate il giorno in cui siamo, ed abbiate in mente che Vitelleschi oggi eletto Cardinale, prima che quest'anno 1875 termini, già non sarà più tra i vivi. - Posso assicurarla che io nel pronunciar queste parole non avevo alcun desiderio di questa morte, nessuno spirito di vendetta, niente affatto di cui possa richiamarmi la coscienza. Io parlai d'un avvenimento futuro, tutto nelle mani di Dio e perciò impervio alla coscienza degli uomini, come parlerebbe freddamente uno storico d'un fatto dell'antichità. Mi pareva che dopo quel rescritto, in cui era esaurito il giudizio degli uomini, e specialmente del Vitelleschi, dovesse dire qualche parola Dio stesso, e ripetei alla buona Agnesina: - Ricordatevi che l'anno non finirà e il Cardinal d'oggi non sarà più in vita

                Bisogna, se le grazie gratis datae non suppongano virtù, nè santità nel soggetto, a cui sono applicate a piacere di Dio, così che narra la Scrittura che anche l'asina di Balaam profetò, che in quel momento, in cui io parlai, fosse Dio che movesse la mia lingua a dire ciò che manifestai alla buona Agnesina, che potrebbe attestarlo e ciò che credo avere scritto anche a Lei a tempo certamente non sospetto. Trattavasi d'un giovane nella maggior gaiezza della vita, nel giorno della sospirata tanto sua promozione alla porpora. Come poter asserire colla certezza ch'io mostrava, un sì remoto ed improbabile evento, e precisarne sì breve termine di tempo che poi nel fatto si osserva di gran lunga abbreviato? Entro a quattro mesi avea [571] io ristretta la godità dell'onor della porpora e della vita e qui nel fatto non è stato maggiore che di un solo mese!!

                Che fatto! che meditazione! Io, ripeto, ne sono stupito, senza rimorso però d'aver desiderato per nulla questa morte o di rallegrarmene dopo avvenuta! La deploro anzi e mi dispiace l'altrui male, sebbene sia verissimo ch'io l'ho predetta e ne sono stato veridico profeta prima che avvenisse, quando niuno al mondo avrebbe potuto prevederlo, o pensarlo, non dico credere, perchè sarebbe sembrato un paradosso, un assurdo, un che quasi impossibile. E quante altre annotazioni debbono poi farsi di questo fatto!

                Egli è certo che l'ultima posizione che il defunto si riservò dopo cessato l'ufficio di Segretario fu la posizione riguardante D. Bosco, e che il rescritto dato su quella causa (del tenore che Ella sa in termini, come mi assicurava il nostro avv. Menghini, ora mio collega Eustacchiano) fu l'ultimo atto ufficiale che egli scrivesse colla qualifica di Segretario. Ebbene dopo quest'atto non ha potuto farne un altro; non ha potuto aver tempo d'intervenire a qualsiasi altro congresso o Congregazione, non ha potuto più emanare rescritti dei decreti di sorta.

                Dunque quell'atto ebbe per anello di congiunzione la morte. Dunque quel rescritto fu per l'E.mo defunto il visto hono per l'altro mondo. Quell'ultima udienza del S. Padre fu il segnale della prossima udienza di Dio, che nel giudizio particolare decide della sorte eterna di quanti muoiono quaggiù.

                Caro D. Bosco, io sono così penetrato, così colpito da tutto questo fatto e da tutte le circostanze che lo contornano, che debbo per intima convinzione ripetere quel del Poeta benchè gentile: Caelo tonantem credidimus Deum….. regnare!

                Pace però e requie sempiterna ai defunti. Io già ho pregato e pregherò pel Cardinale estinto, come credo farà anche Lei, ed i suoi buoni alunni. Il Signore ricco di misericordia lo abbia nei gaudii eterni. Requiescat in pace. Amen.

                Dopo questo gran tatto io credo, caro il mio Don Bosco, che la causa sua sia vinta. L'ha giudicata Dio stesso. Ella lo vedrà.

                Per ora io son di parere non debba muoversi passo. Bisogna prima informar bene il nuovo Segretario del VV. e RR. Mons. Sbarretti. Egli viene dopo lunga contraddizione, intenderà meglio le cose che gli si diranno circa la causa di D. Bosco. Quando da questo lato possa sperarsi giustizia, potrà allor molto un officio del Card. Berardi, e con questi due soli elementi potrà benissimo tornarsi da capo, e ottener tutto ciò che il defunto non volle concedere.

                Quando il S. Padre si pose in capo di far Card. S. Filippo, Neri, che non voleva tal dignità, tanto si raccomandò a Maria SS. che Essa rimediò a tutto chiamando ai gaudii del Cielo quel S. Pontefice. [572] Il Successore conscio del fatto non insistette Più Mica a voler Card. S. Filippo.

                Così sarà dei Salesiani, e di D. Bosco. Quando si vedrà che ai decreti contrarii al medesimo sta in compagnia la morte, vedrà ella col fatto, che tali rescritti non avranno più a temersi. Quando parla Dio, gli uomini non hanno più voce: debbono per necessità tacere. Dominus Deus, Deus Deorum loquutus est!!!

                In questo foglio non so scriverle altro. Non sono ancora riavuto dallo stupore!... La saluto di gran cuore e con me anche Agnesina. Ella preghi per noi. Saluti tutti gli amici Salesiani, i monelli tutti, e baciandole le mani mi ripeto mezzo in estasi

                Roma, 17 ottobre 1875.

Aff.mo Obbl.mo servo ed A.

G. B. Cav.. FRATEJACCI.

 

20.

 

Condizione per l'accettazione nell'Oratorio

di San Francesco di Sales, in Torino - Valdocco.

 

                Artigiani.

                Affinchè un giovane possa essere accettato nella Casa detta: ORATORIO DI S. FRANCESCO DI SALES in Valdocco, come artigiano, sorto necessarie le seguenti condizioni ricavate dal Regolamento della casa medesima:

                1° Che il giovane abbia dodici anni compiuti, e non oltrepassi i diciotto.

                2° Sia orfano di padre e di madre, nè abbia fratelli o sorelle, od altri parenti, che possano averne cura.

                3° Totalmente povero ed abbandonato. Qualora, avverandosi le altre condizioni, il giovane possedesse qualche cosa, dovrà portarla seco alla Casa, e sarà impiegata a suo favore, perchè non è giusto che goda la carità altrui chi può vivere del suo.

                4° Sia sano e robusto, e ben disposto della persona.

                5° Presenti certificati comprovanti le condizioni suddette unitamente ai certificati di nascita, battesimo, vaccinazione, o sofferto vaiuolo, e di buona condotta dal parroco.

                Studenti.

                Affinchè un giovanetto possa essere accettato in qualità di studente è necessario:

                1° Abbia lodevolmente compiuto il corso elementare.

                2° Intenda percorrere le scuole ginnasiali. [573]

                3° Sia in modo speciale commendevole per la sua morale condotta.

                4° Sia sano e robusto, e ben disposto nella persona.

                5° Si presentino documenti comprovanti le precedenti condizioni, unitamente ai certificati di nascita, battesimo e vaccinazione.

                6° Riguardo alle condizioni di interessi, si tratterà appositamente secondo i casi.

                NB. Chi raccomanda un giovane all'Oratorio, nel consegnarlo, deve lasciar dichiarazione di ritirarlo qualora, per qualsiasi causa, non potesse continuare a rimanervi.

 

21.

Tre istruzioni del Beato negli esercizi spirituali

del'75 a Lanzo.

 

A) SULLA VOCAZIONE.

 

                La parola vocazione nel suo senso letterale non vuol dire altro che chiamata. Viene in primo luogo la gran chiamata che tutti già abbiamo avuto alla religione cristiana. Oh quanti non ebbero questo benefizio! Quanti poi nascon nell'eresia! Noi no! Dio ci ha fatto questa grazia a preferenza di centinaia di milioni d'uomini che nacquero in paesi infedeli. Ma ora io non parlo di questa vocazione; parlo d'altro. Questa parola si usa specialmente per indicare la chiamata che il Signore fa a ciascun uomo riguardo all'elezione del suo stato. Datemi adunque un giovane che, giunto all'età della discrezione, vuol decidere a che stato appigliarsi; egli si trova aperte davanti molte vie. Il Signore chiama quel giovane che venga a Lui, passando per una particolare di quelle vie. Questa chiamata che a ciascuno fa il Signore, affinchè lo serva in un modo piuttosto che in un altro, è quella che propriamente chiamasi vocazione. È poi di grande importanza il cercar di conoscere la propria vocazione? Come fare a conoscerla? E di che mezzi servirci per conservarla?

                Oggi il primo punto; ad altra volta il secondo.

                E per primo, c’è S. Paolo che si dice: Satagite.

                In due grandi gruppi si dividono queste vie; chi intraprende a servir Dio nello stato secolare e chi è chiamato a servir Dio nello stato ecclesiastico o religioso.

                Ora per vedere se uno sia chiamato a vivere nel secolo, io direi: - Tu ti senti inclinato ai commerci, ai lavori, ai negozi?

                 - Io per me, sì ho molta propensione per queste cose.

                 - Ancora: Non ti piacerebbe servir Dio da ecclesiastico? non ti dan gusto i servizi di chiesa? non ti senti inclinato a questo?

                 - Per me, non ho alcuna inclinazione a queste cose. [574]

                 - Non ti pare che, stando ritirato, condurresti una vita migliore? che invece così ti trovi esposto a mille pericoli? anzi a diverse cadute?

                 - Oh questo poi sì.

                 - Allora qui comincia a farsi luogo a dubbio; ma non basta ancora. Ho ancora una domanda a fare prima di dirti che puoi star tranquillo nel tuo stato laicale. Hai tu già fatto ciò che dice S. Paolo: Satagite, fratres, ut per bona opera vocationem et electionem vestram certiorem  faciatis? Cioè, ti sei già sforzato colla preghiera, colla frequenza ai sacramenti, colle buone opere di conoscere questa tua vocazione? Poichè non in commotione Dominus. Se tu non hai ancora fatto ciò, come vuoi che il Signore abbia potuto farti sentire la sua voce?

                Conosciuto che uno non è chiamato allo stato ecclesiastico o religioso, allora di poca importanza, sarà il fare piuttosto il fabbro che il falegname, il calzolaio che il sarto, l'impiegato che il negoziante.

                Ora veniamo all'altro. Esso dice: - Io vorrei sapere se ho la vocazione ecclesiastica o religiosa.

                 - Hai tu desiderio e propensione a farti prete o religioso?

                 - L'ho.

                Seconda domanda: ti compiaci nel servizio delle funzioni, nell'ascoltar messa, accostarti ai sacramenti, imparar ceremonie?

                 - Mi compiaccio.

                 - Allora io vengo alla terza domanda: come stai riguardo a probità di costumi? - E qui tenete ben a mente: se uno non è moralmente certo, mediante la grazia del Signore, di poter conservare la castità, costui per carità non cerchi di farsi nè prete nè religioso. Uno adunque mi risponde: - Mi pare che colla grazia del Signore, come non ho mai gravemente mancato, così non mancherò contro questo.

                Allora bene. Ma uno mi dirà: - Pur troppo io devo lamentare cadute gravi; ma conosco il male, propongo assolutamente...

                 - Non basta, mio caro, non basta... Accertiamoci meglio: da quanto tempo non sei più caduto in queste cose? Son più mesi o più anni? Se sì, c’è già speranza.

                 - Ma no, è da poco tempo.

                 - Allora abbi pazienza, non andare avanti.

                Ma il dolore, il pentimento che costui ne ha, il proponimento fermo di non più peccare non bastano? Bastano per ottenerne il perdono da Dio nel Sacramento della Confessione; ma per questo no., Finchè non passarono parecchi mesi, o qualche anno, per maggior sicurezza, cioè finchè uno non può dirsi moralmente certo di poter conservare la castità che è il fondamento, la base, delle altre virtù, io non consiglierei mai alcuno ad andare avanti.

                Ora che abbiamo visto il modo di conoscere la vocazione sarebbe [575] a dirsi dell'importanza di corrispondervi, secondo quel che dice S. Agostino, che il Signore cosparge delle sue grazie la strada per cui ci chiama e che chi si mette per quella via per cui è chiamato, va avanti tranquillo, chi invece vuol fare il renitente, resta per lo più infelice su questa terra e ben difficilmente si potrà salvare. Ma di questo si parlò già altre volte; d'altronde tutti ne siete abbastanza persuasi. Io invece voglio stamane suggerirvi due ricordi che aiutino a coltivare la vocazione.

                Il primo è il secreto. Vedi S. Alfonso .....

                Il secondo si è questo: il corrispondere subito alla divina chiamata. Il Signore per lo più fa dipendere le sue grazie dalla corrispondenza alle antecedenti. È proprio l'ibunt de virtute in virtutem, oppure di male in peggio.

                Per lo più ad una grazia ben corrisposta ne succede un'altra e poi altre. Il Signore poi sembra solito far passare per molte trafile coloro che chiama a grandi cose.

                Vediamo cosa mirabile che successe agli apostoli. Il primo chiamato fu Andrea. Passa il Divin Salvatore, lo chiama, ed egli che era già stato discepolo di San Giovanni ed aveva sentito parlare di Gesù, relictis retibus subito lo seguì. Passa un'altra volta, vede San Pietro, poi altri; li chiama, faciam vos fieri piscatores hominum, ed essi relictis retibus lo seguono. Vedete che mirabile obbedienza. Non salutarono nemmeno gli amici, nemmeno i proprii genitori, niente. Eppure avevano il padre, la madre, vecchi, necessitosi: niente! Il Signore li aveva chiamati ed essi lo seguirono.

                Levi era al telonio: il Signore lo chiama, ed egli lascia i denari, tutto, e seguita il Signore. Ecco San Matteo.

                Bisogna adunque corrispondere prontamente, senza esitazione alcuna, anche nelle cose difficili.

                Ma, dice alcuno: - E mio padre, i miei fratelli?... - Che padri! che fratelli! In cose di vocazione per lo più non abbiamo maggiori nemici che essi: inimici hominis domestici eius.

                Una cosa da notarsi si è che gli Apostoli avevano il loro padre, la loro madre; alcuni avevano anche dei figliuoli; di più erano tutti necessitosi. Quasi essi soli sostentavano tutta la famiglia. Eppure non si legge nemmeno che siano andati a salutarli. Altro che domandar loro il permesso! E da quando proprio si misero alla sequela del Salvatore, non andarono neppur più a trovarli.

                Non vorrei ora che alcuno mi dicesse: - Ma io vorrei solo saper di sicuro che il Signore mi vuole così, e poi direi, e poi farei, - Costoro vorrebbero che il Signore venisse in persona proprio ad invitarli. Non fa bisogno di questo.

                Ecco: delle vocazioni, altre sono ordinarie, altre straordinarie. Straordinarie furono le vocazioni degli Apostoli, di Sali Paolo, che [576] in un istante da persecutore divenne ferventissimo apostolo. Era per la via da Gerusalemme a Damasco... Anche straordinaria fu la vocazione di Sant'Agostino. Egli condusse una vita dissipata e scostumata fino ai trent'anni; ma in quell'età, stando a Milano in un giardino, sente una voce: - Prendi e leggi. - Apre la Sacra Scrittura e legge: Neque impudici.. regnum Dei possidebunt...

                Invece ordinaria fu la vocazione di Sant'Antonio, il quale, entrato un giorno in chiesa a' sentir messa, ode leggersi il vangelo: Vade. vende omnia quae habes, da pauperibus et veni, sequere me….. Egli prese le parole come dette a sè...

                Non bisogna aspettarsi una vocazione straordinaria per eseguirla, anche le ordinarie van coltivate e seguite.

                In molti modi ci chiama a sè il Signore. Un giovane qualche anno fa venne a fare gli esercizi, ma già prevenuto di non voler farsi prete o religioso. Anzi, prima che partisse da Torino, suo padre gli disse: - Guarda che Don Bosco ti attirerà, e tu ti farai prete, e questa sarebbe una vera rovina per tuo padre. - No, no, non temete: vedete che cosa ho scritto ora prima di partire; che assolutamente non mi sarei lasciato attirare a farmi prete. - Disse il medesimo anche a me.

                Partì con quest'intenzione assoluta. Il terzo giorno degli esercizi io lo vedo tutto malinconico in un canto. Domando che cos'ha. Prima non vuol parlare; poi resta titubante; poi mi dice schiettamente: - Io vorrei farmi prete.

                 - E che cos'è che t'impedisce?

                 - Veda quel che ho scritto.

                Io lo confortai. Fatto sta che va a casa deciso di farsi prete. Lo dice a suo padre, che assolutamente non vuole; gli ricorda le promesse, lo scritto; ma egli dice: - Oh, io ho provato abbastanza com'è traditore il mondo e non si può vivere sicuro stando in esso. Io voglio mettere al sicuro l'anima mia, ritirandomi in religione. - E si fa chierico.

                Il secondo fratello poco dopo dice: - Che io abbia a lasciare che mio fratello solo si assicuri la salvezza dell'anima e che io debba star attaccato a questi quattro palmi di terreno? - Ne parla col padre, il quale smania; ma esso tien fermo e fa. Due mesi dopo la sorella, l'unica che ancora fosse in casa, dice lo stesso. Il padre arriva al punto di batterla, perchè non eseguisca il suo disegno. Ma non ci fu verso. Essa è monaca; uno dei figli ecclesiastico, l'altro religioso.

                Questo per farvi vedere come succedano le vocazioni ordinarie allo stato religioso. Questo fa vedere la benignità del Signore, che si serve anche di uno che è risoluto di ricalcitrare contro lo stimolo per far una famiglia di religiosi. Si vede anche come in molti e vari modi può nascere la vocazione, e come il corrispondervi [577] subito ottenga grazie tutte speciali dal Signore e grazia di perseveranza.

                Ora finirò con esporvi un pensiero, non più cavato dalla sacra Scrittura o dai Santi Padri, neppure tolto da nessun libro. Un pensiero mio, che mi colpisce in questo momento.

                Il Signore si serve di mille mezzi per chiamare a sè e quando uno corrisponde ad una prima grazia vengon dietro mille.

                Ebbene io son di parere che solo l'avervi chiamati voi tutti qui, radunati insieme per questi esercizi, sia un segno che il Signore vi vuol tirare a sè in questo stesso luogo, in questa stessa Congregazione. Questo solo esser qui io lo tengo già per un segno di vostra vocazione. Non l'unico, ma un vero segno. Eh! il Signore non la fa a tutti questa grazia di poter venire, di poter togliersi da qualunque altra occupazione; non dà a tutti il desiderio di venir a fare qui gli esercizi, non a tutti dà un desiderio di abbandonare il mondo, non a tutti fa vedere la nullità delle terrene cose e la preziosità delle eterne. A voi fece veder chiare queste cose, vi diede questo desiderio. È segno che vi vuol suoi tutti, suoi in questo stesso luogo, dove vi fa sentir la sua voce.

 

B) MEZZI PER CONSERVARE LA VOCAZIONE.

 

                Abbiamo visto ieri il modo di conoscere la vocazione e di coltivarla. Ora desidero dire il modo di conservarla.

                Molte regole e molti mezzi danno gli scrittori d'ascetica a questo riguardo. C'è l'orazione ben fatta, continua, che ci ottiene da Dio tutte le grazie. C'è il frequentare i Sacramenti della confessione e comunione, che sono i due più grandi sostegni per un buon Cristiano. C'è il frequentare la Messa, fonte di mille benedizioni per chi l'ascolta divotamente. Ci son tante cose suggerite dai direttori di spirito.

                Ma io credo di ridurre la cosa a maggior semplicità, andando alla radice, e procurando proprio di porre un rimedio alla radice del pericolo e del male.

                Io adunque credo che il tutto stia nel troncare ogni relazione con le persone e con le cose che possono impedirla, farcela perdere od indebolire.

                Troncare ogni relazione estranea alla vocazione ecco quel che mi pare principalissimo per conservare la vocazione.

                Le relazioni esteriori possono essere coi luoghi, cioè colla patria; con le cose, cioè coi possessi o ricchezze; con le persone, cioè coi conoscenti e genitori. Si tronchino queste relazioni, e la vocazione sarà in salvo. Pare che niente di più inculchi il Signore, che per servirsi di qualcuno a grandi cose comincia a provarlo, se è capace di questo distacco. [578] E ce lo fa vedere con mille fatti; chè questo che vi dico non è solo per i religiosi o per gli ecclesiastici, ma per tutti: prima di scegliere uno a grandi cose, lo prova e vuol che dimostri proprio che il suo cuore è distaccato da tutto.

                Si veda Abramo, che è come il tipo della legge naturale. Il Signore gli dice: Exi de domo tua, de cognatione tua, de terra tua et veni in locum, quem monstravero tibi et ibi eris pater multarum gentium. Ecco: vuole che si distacchi dalla patria, punto primo, de terra tua; che si distacchi dalle ricchezze, de domo tua, che si distacchi dai genitori e parenti, de cognatione tua. E dove andrai, o Abramo? - Io non lo so. - Di che cosa ti ciberai, chi ti aiuterà? e i tuoi possessi? e i tuoi beni? - Io non so nulla; il Signore mi chiama, io vado, non so dove, non so a che fare, non so fin quando. - Ebbene, il Signore, vedendo il suo distacco da ogni cosa, persino dai suoi genitori, per ascoltar la sua voce, lo prospera infinitamente e da lui nasce il Messia.

                Vediamo ora lo stipite della legge scritta: Mosè. Apriamo il Deuteronomio, da lui scritto. Verso la fine egli dice così. (XXXIII, 9): Qui dixit patri suo et matri suae, nescio vos: et fratribus suis: ignoro vos: et nescierunt filios suos; hi custodierunt eloquium tuum et pactum tuum servaverunt. E Mosè non solo lo diceva, ma l'aveva fatto, separandosi da' suoi.

                Ora veniamo alla legge nuova. Gesù Cristo che cosa ci dice? che cosa fece? che cosa fecero gli Apostoli? come predicarono ai primitivi fedeli? ed i primitivi fedeli come si comportarono?

                Io non ho tempo di far passar tutto questo. Vediamo le cose principali.

                Prima di tutto, Gesù Cristo che cosa disse? Si quis non odit patrem suum et matrem suam... non est me dignus. Vade, vende omnia quae habes et veni et sequere me et habebis thesaurum non deficientem in caelo. E parecchi altri testi.

                Egli poi come si comportava? Un giorno predicava alle turbe accalcate intorno a lui; si avvicina qualcuno e gli dice: Mater tua et fratres tui quaerunt te. Rispose: Quis est mater mea et fratres mei? Amen dico vobis, qui audit... haec est mater mea, hic frater meus. E da giovinetto quando si fermò tre giorni a Gerusalemme coi dottori? Ecce pater tuus et ego doientes quaerebamus te. Quid est quod me, quaerebatis? Nesciebatis quod in his quae pertinent... Quasi noi diremmo che li rinnega. Riguardo poi alla patria, Egli l'abbandonò e predicava a Gerusalemme, in Samaria...

                Una volta finalmente va a Nazaret. E notate che se qualcuno poteva far del bene alla patria era lui; ma neppur lui non ci riuscì, poichè gli abitanti dicevano: Non est hic filius  fabri? Egli, uscendo di là, ci diè una potente lezione, esclamando: Amen dito vobis, quod nemo propheta in Patria sua. [579] Patria, patria! La nostra patria è il cielo: questa non è che luogo di relegazione; di esilio. Far più bene qua che là è lo stesso: Domini est terra et plenitudo eius. E se vedo che posso far più bene lontano, perchè non ci vado?

                C'è poi un'altra ragione pratica per allontanarci dalla patria. La maggior parte ci ha conosciuti da piccoli, conosce le nostre gherminelle e voglia Dio che non conosca i nostri scandali. Ora che ci veda in pulpito e che predichiamo della sobrietà, uno dice: - Oh! mi ricordo io d'averlo veduto lui delle belle volte ai tai pranzi, ai tali alberghi, e come era capace a servirsi bene! - Un altro dice: - Mi ricordo che da giovane, andando a scuola insieme, abbiamo cessato e glie ne ho date giù delle belle che le ricordò per un pezzo. Altri altre cose. Che frutto potrà fare la sua predicazione? E poi vi sarà qualche lite, qualche contesa che qualcuno ha co' suoi parenti, e restano alienati anche dal parroco, nè più vanno a confessarsi.

                Vediamo un po' gli Apostoli. Che distacco ebbero dai loro genitori, dalle loro cose!... Si dirà: - Abbandonarono ben poche cose, poichè erano poveri. - Ma io dico che fecero molto, perchè abbandonarono tutto quel che avevano, lo abbandonarono intieramente, lo abbandonarono subito che sentirono la voce del Signore, e, quel che è molto, abbandonarono ogni speranza ed ogni affetto a cose che avrebbero potuto guadagnare. Avevano pure il padre e la madre la moglie e figli. Lasciarono tutto. I loro erano poveri, bisognosi; la famiglia la sostentavano tutta essi; non importa niente, lasciarono tutto subito. Non è questa una crudeltà abbandonare i genitori vecchi, poveri?... Il Signore li ha chiamati, essi vanno. Io vedo un sacrifizio immenso. Il Signore voleva questo per provarli; vistili superiori ad ogni interesse, si servì di loro per le cose maggiori del mondo.

                Ora vediamo un po' che cosa richiedesse da chi voleva essere suo discepolo e seguirlo. Noi leggiamo nel Vangelo di tre giovani che gli si presentarono per seguirlo. Avendo sentito le parole di vita eterna del Dio Salvatore, un giovanetto gli si accosta e dice: Magister, sequar te quocumque veris. Che cosa ho da fare? - Vade: vende omnia quae habes et veni et sequere me. - Il giovane che era ricco, abbassò il capo; gli parve duro quel discorso e se ne andò; nè più si legge che sia ritornato. Gli si presenta un altro: Sequar te... Gesù gli risponde: Filius hominis non habet ubi reclinet caput suum. Egli che per fini temporali voleva seguirlo, abbassa il capo e parte. Un terzo non volle dimostrarsi da meno degli altri nelle profferte: Sequar te... Il Signore lo accetta, e l'altro dice: - Ma una cattiva notizia ho da manifestare. Ieri è morto mi o padre... vado, lo seppellisco, poi tomo. - Relinque mortuos sepelire mortuos suos, tu vero veni et da gloriam Deo. Cioè lascia quei del mondo, che son morti alla grazia, a seppellire gli altri morti... - Si crede che abbia ascoltato la voce del Signore e sia divenuto uno dei più grandi discepoli. [580] Ora se qualcuno di voi ha motivi superiori di costoro per andare a casa venga a domandare che io lo lascerò andare. Motivo maggiore che di dar sepoltura al proprio padre, assestar le cose di famiglia...

                A questo riguardo io son solito dire: Se la necessità o la carità lo richiede, si vada pure; ma se non è la carità o la necessità che ci spinge, non si vada a casa.

                Oh quanti pericoli incontra la vocazione al paese nativo! Non si fan altri discorsi che d'interessi, se non si viene a peggio. - Guarda come le cose van male! debiti qua, debiti là! Oh se ci fossi anche tu a casa! - Oppure: - Puoi fatti prete qui nel paese. Guarda la tal famiglia; coll'aiuto del prete han comperato qua, han fabbricato là. Vedi come se la gode tutta la famiglia. E, vedi, noi potremmo comperar qui, che ci andrebbe tanto bene... Poi dappertutto si può condurre vita da santo prete e far del bene. Fa forse bisogno di chiudersi tra quattro mura? - San Tommaso dice chiaro: In negotio vocationis parentes inimicos, non amicos se praebent; ideo nec consulendi sunt.

                Alcune volte il fratello più maligno soggiunge: - In fin dei conti il Signore dice di onorare il padre, la madre. - E come ha da fare il povero chierico o giovane a mantenersi saldo tra questi assalti?

                Molte volte entra ancor in scena il parroco: - Oh! vuoi star là da D. Bosco? Ma vedi in diocesi che bisogno di preti! E poi io contava su te. Poi chi sa? io son vecchio, tu potrai succedermi...

                San Girolamo dice che esso una volta che andò promise di non andarci mai più, perchè per diverso tempo fu tormentato dalla tentazione di abbandonare il deserto per andare a soccorrere suoi parenti. Ponete che fosse andato: la Chiesa avrebbe il suo maggior dottore? Egli sarebbe diventato quel gran Santo?

 

C) MEZZI NEGATIVI PER CONSERVAR LA CASTITÀ.

 

                Non posso, miei cari figliuoli, trattenermi in quest'anno a parlare con voi di molte cose, intorno a cui bramerei proprio di potermi intrattenere. Convenientissimo sarebbe il parlarvi dei voti, che grandi beni arrechino; qual vantaggio ne derivi a chi li fa e qual bene alla Chiesa stessa essendo essi che formano le religioni, poichè senza i voti le religioni cadono. Vorrei anche parlarvi della povertà religiosa che noi dobbiamo amare, e non solo far vedere la bellezza della povertà in sè, ma ancora discendere ai particolari e far amare gli amici della povertà, affinchè non avvenga tra noi ciò che dicevano di certi monaci dei loro tempi, San Girolamo e San Bernardo, che ad alcuni piace il nome della povertà, purchè non ne sentano gli effetti: cioè non amano gli amici, i compagni della povertà. Cosa più ancora utile il parlare dell'obbedienza religiosa. Necessità di essa e come, posta quella, una casa possa andar avanti prosperamente e [581] senza quella non solo una casa, ma nulla al mondo può sostenersi, perchè il Signore ha fatte tutte le cose con una certa gerarchia in modo che una sola ruota che non giri, cioè un sol individuo che non obbedisca, può far andar male tutto un macchinismo. Ma di tutte queste cose, in parte vi si parla dagli altri predicatori, parte le conoscete abbastanza, e parte vi sarai poi dette altre volte. Io credo bene di venire oggi a parlarvi di una virtù che secondo me è la base di tutte, che deve servir di fondamento pratico di tutto l’edificio religioso, di quella virtù che per la sua preziosità vin chiamata la virtù angelica. Io non so se dica uno sproposito; ma son di parere che chi la possiede, è sicuro di avere tutte le altre, e chi no, può ben possederne alcun'altra, ma tutte restano offuscate e senza questa ben presto spariranno.

                Molti mezzi si possono dare per conservare così preziosa virtù. Si possono ridurre a due categorie: mezzi negativi e mezzi positivi.

                I mezzi negativi si possono tutti compendiare in quella regola che ci diede S. Agostino: Apprende fuga, si vis referre victoriam. Per combattere gli altri vizi bisogna prenderli di fronte; per questo, la vincono i poltroni, dice San Filippo, cioè chi fugge.'

                Mezzi negativi si chiamano quelli che ci indicano che cosa si deve evitare, che cosa fuggire: perchè noi non ci troviamo più in pericolo di perderla.

                A molti si potrebbero ridurre i mezzi negativi. Ma io riduco tutto a quella parola fuggire: Apprehende fugam, si vis referre victoriam.

                Fuggire persone d'altro sesso. E prima di tutto fuggi il trattenerti (la famigliarità) con persone di altro sesso. Non si avranno mai troppe precauzioni. Come faranno coloro che con tutta libertà desiderano di uscire e dan piena libertà ai loro occhi di spaziarsi ovunque? Ecco lì un chierico che si reca a casa de' suoi genitori. Si dirà: - Oh non c’è nessun pericolo!... - Eppure, ecco, bisognerà che vada a trovare la cognata, la zia, la cugina. Si incontrano donne prudenti ma non tutte lo sono; molte amano mostrarsi vezzose, altre son mal vestite; qui un gesto, là un atto, e quel tale, se non cade, si trova in pericolo ben grave. Nè si dica neppure: - Oh è mia sorella! oh è persona religiosa! oh è fanciulla ancora! - Poichè il demonio è furbo, ha studiato ben bene la logica e sa a meraviglia far l'astrazione. Toglie la parola sorella e lascia solo la parola donna; toglie la parola religiosa, parente, e lascia la parola figlia; toglie la parola bambina, giovinetta, e resta la parola zitella e, se non si cade, uno si mette in pericolo; e se il pericolo non c’è lì presente, aspetta a vedere come saranno i tuoi pensieri quando tu sia poi da solo.

                Fuga delle conversazioni secolaresche. Viene in secondo luogo la fuga delle conversazioni scolaresche. Oh come sono rare quelle conversazioni, in cui per nulla neppur si alluda a cose di questo genere! Per lo più saranno giovinastri che parlano un po' di tutto, e accostumati [582] a trovarsi in ogni luogo e parlare con ogni sorta di gente non pensano neppure allo scandalo che possono dare. Poi sì viene a contare storielle, poi episodi, poi si viene a ridere su questo o su quello; e quella povera persona consacrata al Signore che vorrebbe tenere il cuore puro e mondo, come farà?

                Fra le conversazioni quelle che mi paiono più pericolose sono gli inviti a pranzo, specialmente a nozze. Si tratterà del fratello, del cugino, della sorella, tutta gente onesta; eppure, che volete ch'io vi dica? Quelle conversazioni unite al mangiare, al bere a sazietà, finiscono sempre per lasciar mille pericolose sensazioni, specialmente per quando uno dopo di questi pranzi si trova solo o riposa, e sensazioni tali che, se non si è più che forti, non si resiste.

                Fuga terza: le visite ricevute. Anche quando vengono a trovarvi senza che andiate voi a trovar loro. Si usi pure in questo cortesia: si ricevono, si danno i saluti: si domandi nuova di questo, di quello; vedete, qui c’è questo, qui c’è quello. Si sta un momento, e poi: - Là, ora ho qualche cosa di premura che mi attende; statemi allegri. - Ma il fermarsi a lungo, il conversar prolisso, il condurre a veder qua e là, queste sono cose che cominciano ad esser pericolose.

                Nè si dica che i visitatori resteranno offesi, se uno non si trattiene più a lungo o se uno non accetta l'invito d'andare a pranzo altrove. Per lo più partono edificati, e dicono: - Qui c’è ordine, e quando c’è una regola, si eseguisce. - Non è gran tempo che vennero i genitori d'un chierico con un fratello già ufficiale, perchè lasciassi uscire quel tale. Risposi non potersi. Ed essi insistettero fino quasi a dirmi insolenze. Io feci notare, essere tale il regolamento e non preterirlo per nessun conto. Non si contentarono ancora: allora presi sul serio quell'ufficiale e gli dissi: - Veda, ascolti un momento. Ella è dell'esercito e capirà la cosa. Che direbbe il suo colonnello se andasse a dirgli: Sig. Colonnello, so che il regolamento dell'esercito proibisce questo e quello; ma io vorrei che per me trasgredisse il suo regolamento? E non consentendolo il colonnello, ella insistesse a premerlo: Ma trasgredisca, trasgredisca il suo regolamento?... Io sono il colonnello, ho il mio regolamento; che mi direbbe ella stessa se io fossi debole e lo trasgredissi per far piacere ad un terzo? - La capì l'ufficiale e disse: - Don Bosco ha gran ragione; noi abbiam fatto male ad insistere. Andiamo! Sono ben fortunato che mio fratello sia sotto la sua disciplina. - E qui a farmi elogi, a chiamar fortunati coloro che son così diretti.

                Questo per farvi vedere che, sebbene a prima vista sembri scortesia il non secondarli in tutto, quando vedono che questo è per conservare l'ordine e che quando si tratta d'ordine noti si transige ne restano sorpresi e se ne vanno ben contenti.

                Fuggire poi dagli spettacoli, teatri, balli, radunanze, e generalmente, star molto ritirati. [583] Fuga delle amicizie tra noi e i giovani. Andiamo sempre oltre: non basta fuggir la famigliarità con persone d'altro sesso, i pranzi, le conversazioni, ecc. Io dico che dobbiamo anche fuggire la famigliarità con le persone d'ugual sesso, e prima di tutto, tra voi medesimi confratelli mai amicizie tenere.

                Poi coi compagni più discoli: se uno ha da andar via di casa, eccoglielo insieme; se viene uno scapestrato, gli si associa subito. Poi coi giovani; e qui veniam subito al caso pratico. Io raccomando sempre di stare in mezzo ai giovani, e ora dico di fuggirli? Intendiamoci bene. Si deve stare con loro, in mezzo a loro, ma non mai da soli a soli, non mai con uno più che con un altro. Diciamo francamente: la rovina di Congregazioni religiose addette all'istruzione della gioventù deve attribuirsi a ciò. Per certo sono esagerate certe calunnie di questi ultimi anni in riguardo ad alcuni religiosi ed alla chiusura di alcuni dei più fiorenti collegi d'Italia; ma diciamo anche che senza sospetti fondatissimi e di molti casi successivi non si sarebbe per certo osato venire a questi eccessi.

                Io son venuto fino all'età di 50 anni senza conoscere questo pericolo e pur troppo ho dopo d'allora dovuto convincermi che questo gravissimo pericolo c’è e non solo c’è, ma è instante, e tale da metterci molto in guardia.

                Adunque io dico: assolutamente, non mai baci ai giovani, non quelle carezze di metter loro le mani sulla faccia, lisciarli e simili. Non amicizie particolari con alcun giovane più che con un altro, specialmente coi più avvenenti. Non quello scriversi lettere. Se sapeste come questo scriversi letterine sdolcinate guastò già tanti e come si dissero anche solo di quest'anno sciocchezze e bambolaggini tali; lettere che girarono per le mani di più e poi caddero nelle mie. Non mai regalucci particolari. I regali d'immagini, di commestibili, di altro ai giovani son pericolosissimi, quando fatti così per simpatia e privatamente. Si possono dar piccoli premii nella scuola a chi studiò di più, a chi fu più buono per un dato tempo, a chi fece meglio il tal lavoro: questo sì, si può fare ad incoraggiamento dei giovani, ma altro no. Che dire poi di chi anche con motivo buono si conducesse in camera giovani e si chiudessero in camera, per far loro parrucche od altro, per trattenerli con sè a parlar di cose segrete? Non si faccia mai... Neppure nessuno si dimostri più amico di questo che di quello. Mi piace tanto quel che vedo già praticarsi assai e che desidero vada tanto estendendosi; cioè uscendo di refettorio, di chiesa ecc. associarsi col primo giovane che ci si presenta senza distinzione d'età o di scuola, trattenersi con loro sopra un po' di tutto. Ma chi è costui? Non lo so. Che fa? Non lo so. Che vuol fare? Non lo so. Con tutto ciò associarsi insieme.

 

                (Ecc. ecc. ecc. Non so più dove rubare un istante per scrivere. N. di D. Barberis). [584]

 

22.

 

Mons. Gastaldi a D. Bosco.

 

                L'Arcivescovo di Torino è disposto a dare il suo consenso per l'ammissione di alcune delle Suore della Congregazione esistente n Mornese, Diocesi d'Acqui, acciò esse attendano a suole gratuite femminili nel locale appartenente alla Congregazione di S. Francesco di Sales in questa città, e che è a brevissima distanza dalla Chiesa di Maria SS. Ausiliatrice, alle seguenti condizioni:

                1° Che presentino le regole già approvate per loro da Monsignor Sciandra Vescovo d'Acqui, e queste ricevano efficacia da M.r Arcivescovo di Torino per le Suore che risiederanno in questa Diocesi;

                2° Esse dipendano dall'Ordinario di questa Diocesi come tutte le altre Suore residenti nella Diocesi, specialmente per quello che spetta il Confessore sia ordinario che straordinario, ecc.

                3° Che esse non abbiano Oratorio domestico; ma stante la distanza di pochi metri dall'abitazione alla Chiesa suddetta, in questa esse assistano alla Messa ed alle prediche ed in questa si accostino alla Sacramentale Penitenza.

                4° Che nessuno dei Sacerdoti, Chierici od altri membri della Congregazione venga a visitare queste Suore se non il Superiore Generale della Congregazione ed il Sacerdote da esso specialmente deputato per avere cura di esse e sorvegliare la loro condotta: ed il loro Confessore non venga se non in caso di malattia.

                5° Che la scuola si apra e si chiuda almeno un quarto d'ora prima o dopo di quella dei maschi, se questa è in vicinanza di quella.

                6° Che non si faccia alcun rumore di ciò sui giornali; ma semplicemente se ne dia avviso dal pergamo nella Chiesa di Maria Ausiliatrice.

                Torino, li 30 ottobre 1875.

 

23.

 

Lettere da Roma per i missionari.

 

a) Il Card. Antonelli a Mons. Aneyros.

 

                               Illustrissimo e Reverendissimo Signore,

 

                Il Padre Giovanni Cagliero, e alcuni altri della Congregazione Salesiana, recansi in cotesta Repubblica Argentina per esercitarvi l'apostolico ministero e per procurare il bene delle anime, insegnando e catechizzando. [585] Abbenchè lo scopo, pel quale intraprendono il lungo e penoso viaggio, sia di per se stesso titolo bastevole onde ottenere protezione ed aiuto in qualsivoglia eventualità, pur tuttavia li desidero più particolarmente raccomandati alla S. V. Ill.ma e Rev.ma, nella certezza che, mercè la utile di Lei Direzione, e sotto il valevole suo patrocinio, si renderà ad essi più agevole di conseguire quanto desiderano, e di poter dar opera sollecita ed efficace ai loro intendimenti.

                Quest'appello alla S. V. Ill.ma e Rev.ma mi viene inspirato dalla conoscenza che io ho della squisita sua cortesia, alla quale mentre andrò debitore di un nuovo favore, rendo fin d'ora sentiti ringraziamenti, godendo anche del nuovo incontro per raffermarmi con sensi della più distinta stima

                Di V. S. Ill.ma e Rev.ma

                Roma, 10 novembre 1875.

Servitor vero

G. Card. ANTONELLI.

                A Mons. FEDERICO ANEYROS

                Arciv. di Buenos Ayres.

 

b) Il Card. Antonelli a Don Bosco.

 

                               Ill.mo Signore,

 

                Terminate le ferie autunnali, e fattosi luogo alla riapertura delle varie Congregazioni ecclesiastiche, mi viene rimesso dalla Propaganda l'acchiuso foglio contenente le grazie e privilegi che V. S. implorava dalla benignità del S. Padre pei Religiosi Salesiani condottisi nella Repubblica Argentina.

                E poichè nella commendatizia da lei scrittami figurava solamente il nome del loro superiore il P. Giovanti Cagliero, è così che ad esso fu intestato il foglio, facendosi semplice menzione degli altri compagni, ai quali pur si concedono in pari tempo eguali grazie e privilegi.

                Desidera per altro la Sacra Congregazione di avere i loro nomi per poterli notare nei suoi registri. Al quale desiderio non dubito che V. S. mi porrà quanto prima in grado di far seguito. Memore poi dell'invito da lei fattomi di accompagnare i buoni Religiosi con una mia lettera a Monsignor Arcivescovo di Buenos Ayres io  approfitto di questo incontro per rimetterle la qui acclusa, come mi fo doverosa premura di accompagnarle una lettera pontificia al suo indirizzo[223] e coi sensi di stima distinta mi confermo

                Di V. S. Ill.ma

                Roma, 24 novembre 1875.

firmato G. C. ANTONELLI. [586]

 

c) Decreto di propaganda sulla qualità di missionari opostolici.

 

DECRETUM

S. CONGREGATIONIS DE PROPAGANDA FIDE.

 

                Referente R. P. D. Ioanne Baptista Agnozzi pro Secrctario, Sacra Çongregatio Missionarios Apostolicos in Republica Argentina ad suum beneplacitum declaravit R. P. Ioannem Cagliero e Congregatione Salesiana, aliosque novem Patres eiusdem Congregationis sub directione tamen et dependentia R: P. D. Ordinarii, cui omnino parere debeat, ac necessarias facultates ad Missiones exercendas ab eodem iuxta sibi tributam auctoritatem in totum vel in partem recipiat, servata semper ispius R. P. D, Ordinarii tam circa facultates, quam circa loca et tempus easdem exercendi moderatione; nullo vero modo extra fines suae Missionis iis uti queat, ad quam donec et quousque pervenerit nulla prorsus exemptione aut 'privilegio gaudere possit.

                Datum Romae ex Aedibus dictae Saccre Con-

                               gregationis, die 14 Novembris 1.875.

                Gratis sine ulla omino solutione quocumque titulo.

ALEX. Card. FRANCHI Praefectus.

I. B. AGNOZZI Pro Secretarius.

 

d) Facoltà concesse da Propaganda.

 

                Ex Audientia Sanctissimi habita die I4 Novembris I875. Sanctissimus Dominus Noster Pius Divina Providentia Papa IX, referente me infrascripto Sacrae Congregationis de Propaganda Fide pro secretario sequentes facultates benigne concessst R. P: Ioanni Cagliero, e Congregatione Salesiana, aliisque novem Patribus eiusdem Congregationis Missionariis Apostolicis in Republica Argentina:

                I. Vescendi per iter tam in accessu, quam reditu ex Missione, et in locis, ubi necessitas ac salutis incommoda exegerint, carnibus, ovis, et lacticiniis in dìe ieiunü ab Ecclesia, et eius Regula, praescripti, ita ut ob salutis incommoda etiam ab observantia ieiunii exemptus remaneat, omni tamen scandalo remoto, onerata conscientia super veritate et gravitate causae;

                II. Recitandi quindecim decades Rosarii B. M. V. si quandoque itineris causa, vel absque gravi incommodo Divinum Officium recitare nequeat, onerata conscientia super veritate et gravitate causae;

                III. Celebrandi per,mare Missam in navibus anchoratis super altari portatili, cum• assistentia tamen alterius sacerdotis dummodo sit coelum serenum et mare tranquillum; [587]

                IV. Celebrandi pariter Missam etiam in terra super altare portatile in locis tamen ubi non erunt Ecclesiae vel Oratoria privata, et ubi erunt Oratoria privata absque praeiudicio Indultariorum; V-. Faciendi Sacrum vel una hora ante auroram, vel alia post meridiem;

                VI. Indultum personale perpetuum Altaris Privilegiati ter in hebdomada, dummodo intuitu huius Privilegii nihil praeter consuetam eleemosynam percipiat;

                VII. Benedicendi ad quinquennium extra Urbem Coronas precatorias, Cruces, et Sacra Numismata; eisque applicandi Indulgentias iuxta folium typis impressum atque insertum, nec non Divae Birgittae nuncupatas, de consensu R, P. D. Ordinarii;

                VIII. Impertiendi Benedictionem cum Indulgentia Plenaria Christifidelibus in articulo mortis constitutis, iuxta folium impressum ac pariter insertum;

                IX. Induendi se linea interiori tunica, femoralibus, et calceamentis ad se tuendum ab aëris. intemperie, si aliter transire, vel permanere non poterit;

                X. Equitandi, vel alio modo progrediendi, donec ad Missionis loca pervenerit, et in aliis ubi necessitas urget;

                XI. Deferendi, recipiendi, ac expendendi pro suis urgentibus, ac aliorum necessitatibus pecunias, quae a p1is benefactoribus ipsi fuerint oblatae, vel alio legitimo modo ad eum perveneint;

                XII. Legendi ac retinendi libros ab Apostolica Sede prohibitos etiam contra Religionem ex professo agentes ad effectum eos impugnandi, quos tamen diligenter custodiat, ne ad aliorum manus de

                veniant, exceptis astrologicis, iudiciariis, superstitiosis, ac bbscenis ex professo, de consensu R. P. D. Ordinarii:

                Gratis sine ulla omnino solutione quocumque titulo.

I. B. AGNOZZI Pro-Secretarius.

 

24.

Breve di Pio IX a D. Bosco.

PIUS PP. IX.

 

                Dilecte Fili, salutem et Apostolicam Benedictionem. - Binas litteras exeunte Octobre mense a te datas libenter accepimus, et Missionarios quos Nobis commendabas cum dilecto Filio Ioanne Baptista, Gazzolo coram Nobis sistentes paterna benevolentia complexi sumus. Ex eorum conspectu et alloquio aucta in Nobis spes est, quam fovebamus, fore ut ipsorum labores in dissitis regionibus, quo proficiscuntur, fructuosi sint et fidelibus salutares. Itaque zelum eorum laudavimus, illisque opem divinam adprecantes benediximus. [588] Iucunde nos affecerunt, quae renunciavisti de progressu et incrementis pii Operis a Maria Auxiliatrice noncupati, et exinde etiam, favente Deo, optimos salutis fructus confidimus extituros. Interim sensus paternae dilectionis Nostrae iterum tibi testamur, et auspicem coelestis gratiae Apostolicam Benedictionem tibi et universae Congregationi, cui praees, peramanter impertimus.

                Datum Romae apud Sanctum Petrum,

                               die 17 Novembris I875.

                Ponti Pontificatus Nostri Anno trigesimo.

Pius PP. IX.

 

                Diletto Filio IOANNI Bosco

                Presbytero - Augustam Taurinorum.

 

25.

D. Bosco a Mons. Aneyros.

 

                               Excellentia Rev.ma,

                Religiosi viri Salesiani, de quibus pluries sērmo factus est, Italiae litora deserunt Argentinam Rempublicam petituri. Licet omnes toto animo parati sint vineam Domini pro viribus excolere vel in pueris edocendis, vel in ministerio Sacro exercendo, tamen bonitatem tuam summopere in Domino deprecor, ut eos veluti patiens pater accipias, eis consilia prudentiae eroges, eos denique adiuves, corrigas quotiescumque ad majorem Dei gloriam id conferre posse iudicaveris.

                Usque modo fuerunt filü mei, in posterum vero erunt. filii tui, et quidquid pro illis facturus es, pro me factum hàbebo. In cartula hic separatim eorum nomina, gradus, dignitates adnotata habebis, quae ad vitam tum civilem, tum ecclesiastieam respiciunt. Cetera pietas tua perficiet.

                Una cum filiis meis in C. carissimis adest benevolentissimus commendatarius Ioannes Gazzolo Consul Argentinus, qui tot nobis beueficia detulit, quique rerum nostrarum rite conscius nomine meo plurima tibi referet atque patefaciet.

                Deus bonus, Deus clemens omnia fausta faciat tibi, atque diutissime te sospitem servet, dum humillime obtestor, ut orationibus et sacrificio tuo matutino me atque adolescentulos meos commendes. Vale.

                Datum Taurini, die I5 Novembris I875.

IOANNES Bosco Sacerdos

Salesianae Cong. Sup. Gen. [589]

 

***

 

                Nomina et qualitates Salesianorum, qui ad Archidioecesim Boniaëris se conferunt.

                Sac. Cagliero Joannes, Sacrae Theologiae Dottor, Moralium Collationum Praefectus; atque omnibus facultatibus regulariter praeditus, quae ad actus tum civiles, tum ecclesiasticos spectant.

                Sac. Fagnano  josephus, Politiorum Litterarum Dottor. Hoc est, regulariter approbatus ad edocendas Litteras Graecas, Latinas, Italicas, Historiam, Geographiam, et alia quae ad humaniorum scientiam referuntur. Ipse adsignatus est Director futuri Collegii S. Nicolai.

                Sac. Tomatis Dominicus, Politiorum Litterarum Doctor, ut supra:

                Sac. Baccino Ioannes Baptista, Methodi Superioris Professor.

                Sac. Cassinis Valentinus, Methodi professor.

                D. Alavena Ioannes Baptista, Ludi Magister.

                Molinari Bortholomaeus, Ludi Magister, atque Musicae instrumentalis et vocalis Praeceptor.

                Scavini Bartholomaeus, Magister Faber Lignarius.

                Gioia Vincentius, Sarcinatoris atque Sutoris artis Magister. Belmonte Stefanus, Ludi Magister et rei domēsticae dispensator. Omnes insuper musicam sacram agnoscunt, necnon in pueris scientiis ac Chatechesi erudiendis operam dederunt.

                Taurini, die I4 Novembris I875.

IOANNES Bosco Sacerdos.

                Sup. Gen.

 

26.

 

Nota di spese.

 

                Pei Salesiani destinati alla Repubblica Argentina il loro superiore ha speso: per viaggi diversi, provvista di libri spagnuoli, e scuola analoga, viaggio a Roma, dimora e ritorno; per tre passaggi di prima classe da Genova fino a Buenos Aires; pel corredo personale e spese accessorie all'imbarco e all'attuale viaggio, in tutto franchi 26.355.

                Ridotti in oro 24.350.

                Cambiale del sig. Francesco Benitez, presidente della Commissione del Collegio di S. Nicolas de Los Arroyos, in oro L 3.000

                Rimangono ancora……………………….” 21.359 [590]

 

27.

 

Partenza dei Missionari Salesiani

per la Repubblica Argentina.

 

                Dall'Unità Cattolica (14 novembre 1876).

 

                Giovedì 11 corrente, siccome già si era annunziato, avveniva la partenza dei Missionari Salesiani per la Repubblica Argentina nell'America Meridionale. La commovente funzione chiamava alla Chiesa di Maria Ausiliatrice un gran concorso di gente, fra cui in bel numero gli amici dei Missionari, a cui si desiderava dare un ultimo abbraccio e augurare felice il lungo viaggio e prosperoso l'esito della Missione. Essi erano in numero di dieci, di cui, cinque sacerdoti, un chierico e quattro laici, membri tutti della Congregazione di S. Francesco di Sales, la quale, nata testè, va gareggiando per numero di soggetti, per vastità d'imprese, per vigore di spirito colle più provette istituzioni.

                I novelli Missionari, reduci da Roma, dove il primo novembre erano stati paternamente accolti e benedetti dal Sommo Pontefice Pio IX, aveano pure avuto la mattina del giorno 11 la consolazione di un'amorevole accoglienza per parte di S. E. Reverendissima Monsignor Lorenzo Gastaldi, Arcivescovo di Torino, il quale con tutta l'effusione del suo cuore paterno diede loro, nel suo privato Oratorio, la pastorale benedizione e con essa un prezioso ricordo da portare nella loro lontana Missione.

                Verso la sera del medesimo giorno, essendo già la Chiesa di Maria Ausiliatrice affollata oltre all'usato, collocatisi essi, in abito già di partenza, in luogo distinto nel presbitero, insieme al Commendatore Giovanni Battista Gazzolo, promotore precipuo di questa missione rivestito delle sue insegne di console dell'Argentina cominciò la funzione con alcune brevi ed opportunissime parole del loro superiore e padre D. Giovanni Bosco, il quale nella sua eloquenza facile ed affettuosa congedava i suoi figli, loro indicando l'origine dell'apostolato cristiano e lo scopo speciale di quella missione, i bisogni di quei nostri lontani fratelli e mostrando speranza che alla prima spedizione altre ne succederebbero e che l'azione apostolica dei Salesiani si sarebbe col tempo dalla Plata distesa alle regioni vicine e massime in quelle, come la Patagonia, che sono ancora quasi inesplorate dalla religione e per conseguenza dalla civiltà; egli terminò commendando alle loro preghiere i confratelli che restano, ed alle preghiere di questi raccomandò i missionari, affinchè sieno sostenuti nelle loro apostoliche fatiche e continui in unità di spirito a progredire la Salesiana famiglia.

                Datasi di poi la benedizione del SS. Sacramento, s'intuonò il Veni Creator, dopo il quale il molto reverendo Superiore D. Bosco recossi all'altare e disse quelle sempre care orazioni che la Santa [591] Chiesa mette in bocca de' suoi figli allorchè si accingono ad un viaggio, e prendono il nome di Itinerarium clericorum, le quali si chiusero colla benedizione data dallo stesso D. Bosco ai novelli Missionari. Si fu allora che cominciò la parte più commovente della funzione che sollevò in tutto il tempio singulti e pianti e vinse la stessa serenità dei giovani apostoli; poichè non è virtù il non sentir pietà, chè la religione cristiana non ismorza gli affetti, ma dà il coraggio a superarli perchè non ci trattengono dall'eseguire la volontà di Dio; il missionario che parte reca con sè l'amore alla patria e alla famiglia, ma nobilitato e perfezionato, nè ci vuole meno d'un cuore sensibilissimo per rinunziare a' propri comodi, alle più geniali affezioni, alla vita stessa a fine di portare a lontani fratelli il beneficio incomparabile della fede.

                Un coro di giovanetti cantava sull'orchestra il Sit nomen Domini benedictum ex hoc nunc et usque in saeculum, mentre nel presbitero si procedeva al bacio ed all'abbraccio dei confratelli viaggiatori; fu un punto di sublime commozione, la quale crebbe ancora quando i dieci missionari, usciti per la balaustra, ebbero non poco a fare per isbrigarsi della folla che si precipitava sui loro passi, e li abbracciava e baciava con tanta tenerezza da ricordarci il Magnus fletus factus est omnium et procumbentes super collum Pauli osculabantur eum.

                Fuori della Chiesa aspettavano le carrozze che condussero i Missionari alla stazione ferroviaria, donde partirono la sera stessa per Genova. Ieri s'imbarcarono essi col sullodato Comm. Gio. Battista Gazzolo ed una squadra di Suore di N. S. della Misericordia di Savona, alla volta della Repubblica Argentina.

                Sia loro propizio il viaggio e coronato di esito felice l'eroico sacrifizio!

 

28.

L'opera della Propagazione della Fede a D. Bosco.

 

                CEUVRE DE 1,A PROPAGATION DE IA FOI

                EN FAVEUR DES MISSIONS ÉTRANGÈRES

                DES DEUX MONDES

 

                Conseils Centraux de Lyon et de Paris.

                Monsieur le Supérieur Général,

                Le Conseil de l'oeuvre de la Propagation de la Foi était assemblé, quand lui a été remise votre lettre-du 28 Novembre dernier. Ce Conseil désirait beaucoup pouvoir Vous être agréable, mais il ne saurait, dans la circostante présente, faire fléchir les principes sur lesquels [592] repose l'oeuvre confiée à ses soins et qui ont été confirmés par l'autorité du Saint Siège: D'après les principes, les secours de notre eeuvre ne sont destinés qu'aux états non catholiques et aux chefs immediats des Missions.

                Pour que les subsides de la Propagation de la Foi fussent applicables à la Pampasie età la Patagonie, il faudrait que,ces deux pays fussent d'abord érigés en Missions par le Saint Siège, avec son chef spirituel, Vicaire ou Prefet apostolique, et détachés par conséquent de l'Archidiocèse dont elles font partie aujourd'hui.

                Veuillez donc agréer la nouvelle expression de nos regrets et l'hommage des sentiments -de respect avec lesquels

                Nous avons l'honneur d'être

                Monsieur le Supérieur Général

 

                Lyon, le 3 Décembre 1875.

 

Vos très humbles et obéissants Serviteurs

pour le Conseil Central de Lyon: le Président

R. DES GUREY.

 

                Monsieur le Supérieur Général

            du Collège de Varazze.

Le secrétaire de Conseil

                M. MEGNIS pr.

 

29.

 

Il Vescovo di Ventimiglia a D. Cerruti.

 

                               Molto Rev.do Signore,

 

                Trattandosi di cosa piuttosto importante faccio mia la lettera datata del 10 corr. che V. S. M. R. a nome del cotanto benemerito D. Bosco si compiacque scrivere al mio Segretario, e di conseguenza, spero, non Le tornerà discaro, che la riscontri io stesso.

                Venendo dunque al progetto di Don Bosco, a dir vero, io preferirei la fondazione di un oratorio per i giovanetti, con Chiesa pubblica anco per gli adulti, trattandosi, che il vasto piano tra la Nervia e Bordighera non ha sgraziatamente una Chiesa, se vogliamo eccettuare la Cappella di S. Rocco, distante però dalla strada provinciale, ed altra Cappellina di pochi metri, di giuspatronato. Non pertanto vedendo che D. Bosco opinerebbe per una fondazione di ricovero per le figlie specialmente abbandonate, e per la speranza ch'Ella mi dà, che un Oratorio festivo pei giovani verrà forse in seguito, io non dissento dal progetto di un ricovero femminile diretto dalle Suore della Congregazione Salesiana.

                In questo intento, di fare cioè io in seguito un qualche progetto [593] al ven.do D. Bosco; se non ne fossi stato graziosamente prevenuto, mercè una limosina avuta dal Santo Padre, ed altre da pii fedeli, ho comperato nel mese scorso un pezzo di terreno lungo la strada provinciale, nel bel mezzo tra lo stabilimento dei protestanti, e la casa Lavagnino, (località ch'Ella conosce), terreno di trenta per sessanta metri all'incirca, in cui può benissimo capire un comodo stabilimento con Chiesa, con un po' d'orto o giardino d'avanzo.

                La località secondo le viste di D. Bosco e mie, di far cioè un contr'altare ai protestanti, non può essere migliore, distando dallo stabilimento dei protestanti medesimi un quindici o venti metri; e mi sono risoluto di fare questa compera, perchè trovare un sito con casa m quel piano non era per me fattibile presentemente, costando i terreni e case cari assai.

                La casa con Chiesa adunque bisogna fabbricarla, ed io non solo sono pronto a cedere a D. Bosco il terreno comperato, ma mi propongo altresì di aiutare la fondazione con tutti i mezzi possibili, che sono a mie mani, studiandomi cioè di procurare limosine dai fedeli nostrali ed esteri. Dico di procurare limosine, perchè la mia mensa, (già la più povera forse fra tutte d'Italia), ora è maggiormente depauperata, dopo la spogliazione venuta a seguito della legge 1867, per cui il vitto e le limosine pel poveri già mi assorbiscono ogni cosa.

                Confido non pertanto nella divina Provvidenza e nella carità dei fedeli; anche gli abitanti di quel piano, spero, coadiuveranno alla fabbrica con la mano d'opera, specialmente quando sappiasi che l'iniziatore della fondazione è D. Bosco.

                Tra gli altri quesiti la S. V. fa questo: se, cioè, le suore potranno avere le scuole femminili di Bordighera. Rispondo: Ciò non sarebbe difficile a mio avviso, ma forse è troppa la distanza tra il luogo della fondazione e Bordighera; eppoi suppongo non siavi che una sola maestra. Col tempo però io penso che le Suore, conosciute che siano, saranno chiamate a maestre nei paesi di questi dintorni, e nel luogo stesso della fondazione, essendo indubitato, che nel piano tra Ventimiglia e Bordighera va presto a sorgere una città e ciò è facile argomentarlo dai prezzi favolosi che si pagano i terreni, dalle abitazioni di lusso, ed altre più modeste, che vi sorgono ad ogni tratto, dagli Hótels, che già vi sono, e che alloggiano le famiglie signorili d'Inghilterra, di Francia e di Germania, che vengono a svernare in questo sito deliziosissimo.

                Oh! io ho ferma fiducia, che si potrà qui fare molto bene, e quantunque sarò io già nella tomba, D. Bosco, e la Santissima Vergine con quanti coadiueranno, avran da benedire il momento in cui si pensò a questo stabilimento.

                Parmi aver risposto degnamente alla riverita sua precitata. Non mi resta adunque che pregarla di comunicare il contenuto di questa [594] mia al suo Ven.mo Superiore e parteciparmi poi le sue intenzioni, mentre prima di morire vorrei almeno vedere l'Opera iniziata.

                Favorisca di presentare al sullodato D. Bosco i miei ossequii, ed Ella aggradisca i sentimenti della mia massima stima e considerazione.

                Di V. S. m. R.

                Ventimiglia, 23 Febbraio 1875.

Dev.mo e Obbl.mo servitore

GIO. BATTISTA VESCOVO.

 

30.

 

Pastorale e circolare di Mons. Biale.

 

                Se coloro, che lo Spirito Santo pose a reggere la Chiesa di Dio, debbono avere gran cura del gregge loro affidato, per istretto dovere incombe più specialmente loro di tutelare quelle pecorelle, che per avventura si trovassero in pericolo di perdere il più prezioso dei tesori, la Fede.

                In tale dolorosa condizione versa appunto sgraziatamente una frazione notabile della nostra diocesi, donde in Noi il dovere di vigilare e provvedere.

                Tra Ventimiglia e Bordigliera esiste una vasta pianura detta Piani di Vallecrosia, poco abitata in passato, ed ora coperta di frequenti caseggiati, che costituiscono una vera popolazione.

                I protestanti accortisi, che in questa località non vi era nè Chiesa, nè scuola pubblica, attrattivi anche dall'amenità del luogo e dalla dolcezza del clima, furono solleciti di recarvisi, di aprirvi una cappella pel culto di loro setta, un convitto con scuola maschile e femminile, ed liti ospizio pei poveri, che incautamente, e per opera di genitori snaturati vi fosser ricoverati.

                Non è a dire quanto lusinghiere ed insidiose siano le condizioni di accettazione; scopo principale però si è di far, ai ricoverati, abbandonare la religione dei loro maggiori, ed indurli a seguire l'errore; e la maggior parte, di regioni lontane, ma parecchi anche del vicinato già si lasciarono adescare.

                Obbligati noi pertanto dal nostro pastoral ministero di provvedere al grave ed urgente bisogno, abbiamo da alcuni anni fondate in quel luogo due scuole cattoliche, l'una maschile, l'altra femminile e, se non altro, abbiamo tolto a quegli abitanti il pretesto di mandare i loro figli, in mancanza d'altra, alle scuole d'errore.

                In vista dell'ognor crescente popolazione però, volendo dare all'opera nostra uno sviluppo maggiore, ed un fondamento che perduri anche dopo di Noi, ma specialmente volendo opporre al  [595] proselitismo protestante un antemurale permanente, ci siamo rivolti a quel venerando Sacerdote ed apostolo della gioventù che è il Rev.mo D. Giovanni Bosco di Torino, pregandolo che ci voglia prestar mano al cominciamento ed al buon progresso dell'Opera: ed egli di buon grado accettò di provvederci alcune Suore del suo Istituto, che vengano a prender cura delle fanciulle; più, d'inviare alcuni suoi Sacerdoti e Maestri non solo per l'istruzione dei giovinetti, ma altresì per ciò che riflette l'istruzione religiosa del popolo, per l'amministrazione dei Sacramenti, per compiervi in una parola le funzioni tutte proprie d'una cura d'anime. A tal uopo abbiamo preso a pigione nel bel centro di quella località un corpo di casa, ove i prelodati Sacerdoti e Suore risiederanno per l'istruzione; e per il servizio religioso fu preparata una Cappella provvisoria.

                È però di tutta necessità costrurre in quella pianura una Chiesa con edificio atto a provvedere a tutte le esigenze suenunciate, e a questo speriamo por mano entro il più breve termine, appoggiandoci alla provvidenza del Signore, che mai vien meno nella necessità.

                Ma una grave difficoltà nasce, dall'assoluta mancanza di mezzi pecuniari, cui è forza procacciarci; si sa d'altra parte, che l'esimio Sacerdote che preponiamo all'opera nostra, vive della carità dei fedeli.

                Laonde noi sentiamo il dovere e il bisogno di adoperarci con tutti quei mezzi che sono a noi possibili, di venirgli in aiuto, eziandio raccomandando l'Opera alla pubblica beneficenza, come appunto colla presente facciamo.

                Pertanto pel grande amore, che il Salvatore portò alle anime nostre, caldamente raccomandiamo al Venerabile Clero, ed ai fedeli dilettissimi di questa nostra diocesi, e a tutti quelli che amano il belle della religione e la salvezza delle anime, specialmente alle persone facoltose ed agiate, di venirci in aiuto con  tutti quei mezzi, che il caritatevole loro cuore saprà ispirare, aggiungendo, che l'Opera, cui Noi imprendiamo, fu già benedetta dal S. Padre Pio IX, e da Liti incoraggiata con generosa offerta, perchè debba progredire e compiersi felicemente.

                Notiamo qui alcuni modi con  cui ognuno può concorrere a tanto bene:

                1° Con offerte in danaro di qualunque, anche tenue somma.

                2° Con suppellettili di scuola, mobili di casa, arredi e paramenti sacri, ecc.

                3° Con commestibili di qualsiasi genere, con legnami per la Chiesa e locale annesso, ecc., ecc.

                Le quali offerte si potranno far pervenire a noi direttamente, o, che torna la stessa cosa, al nostro Segretario Can. Emilio Viale, oppure al Sacerdote D Giovanni Bosco in Torino o ai direttori delle varie sue Case, indicando essere destinate per l'Opera mentovata.

                Intanto a Voi, Ven. Fratelli e Figli in Cristo carissimi, auguriamo [596] ogni bene celeste e terreno, e con tutta l'espansione del cuor nostro compartiamo la pastorale benedizione.

                Ventimiglia, dalla Nostra Residenza, il giorno dell'Immacolata Concezione, 8 dicembre 1875.

 

                PS. La presente lettera sarà letta al popolo della nostra diocesi in una delle domeniche susseguenti al giorno in cui sarà pervenuta ai RR. Parrochi e Curati soccorsali, sullo zelo dei quali contiamo, perchè la lettura non si protragga oltre il corrente anno, e perchè venga accompagnata da quelle migliori esortazioni sia pubbliche, che private, che possono influire sul buon successo dell'opera.

GIO BATTISTA Vescovo.

Can. E. VIALE Segr.

 

31.

Commendatizia di D. Bosco per D. Ronchail.

 

IOANNES BOSCO

 

                Superior generalis Salesianae Congregationis dilecto in Christo filio R. Iosepho Ronchail in Domino salutèm. ,

                Cum tu de nostra licentia ob ministerii sacri exercitium, nec non ad caritatis officia obeunda Nièensem dioecesim petiturus sis ibique mansurus, ideo pro tua utilitate et pro ordinarii loti securitate libenter declaramus te esse nostrae Congregationis sacerdotem professum, bonis moribus praeditum, ad verbum Dei exponendum et fidelium confessiones utriusque sexus audiendas rite a pluribus ordinariis approbatum; insuper in disciplinis classicis, technicis et gallicis tradendis publico diplomate munitum.

                Quapropter apud benevolentissimum Petrum Sola huiusmodi dioe- cesis episcopum humillime te commendamus, ut benigne te excipiat, tibique praecepta et consilia eroget; eas facultates et gratias spirituales tibi; novo Hospitio a S. Petro dìcto concedat, quemadmodum ad maiorem Dei gloriam conferre melius judicaverit.

                Datum Taurini die 10 decembris 1875.

Sac. Io. Bosco.

 

32.

Scrittori Latini Cristiani.

JOANNES BOSCO SACERDOS, CANDIDO LECTORI S. D.

 

                Libros circumspicienti, qui in scholis ordinis secondi teruntur, mirum profecto videbitur adolescentulos, christianum nomen professos, historias, orationes et poëmata tantummodo evolvere veteribus [597] passim superstitionibus imbuta. Non sum equidem nescius neminem ferme esse cum TVLLIO in eloquentia comparandum; ut que poetas omittam, satis constat CAESAREM, LIVIVM et. SALLU-STIVM eo styli nitore probari, qui vel seniores.a scribendo deterreant. Sed cum Volo latinae linguae studiosos ad optima exemplaria confugere, quo tutius bene dicendi artem arripiant, tum idem ipse contendo eis omnino non esse catholicae doctrinae auctores invidendos qui primis post Christum natum saeculis floruerunt. Quum enim multa peccent romani superioris memoriae scriptores in iis quae ad mores, ad germanam humanitatem, atque praesertim ad ipsam Dei creatoris et providentis notionem pertinent, omnino decet tenellos alumnos illis studiorum monitoribus uti, qui sibi credentem minime fallant, quique perversis veterum praeceptionibus sapientissima documenta apponant, mox laetissimos fructus latura.

                Caeterum nemo tain hospes est in litteris latinis qui nesciat, complures christianae sapientiae scriptores, tametsi altius spectabant, quarn ut extima styli parte famam consequerentur, se tamen ad veterum imitationem cum laude composuisse. Quare et SVLPICIVM SEVERVM memorant, qui de brevitate cum SALLVSTIO contendit, et MINVCIVM FELICEM, haud sane inelegantem dictionem dialogis suis conciliantem, atque LACTANTIVM, qui Tulliani styli virtutes est consecutus, plane ut merito Christianus Cicero sit appellatus.

                Quae cum ita sint, propositis jam pridem praestantissimis scriptorum voluminibus ad legendum, optimum facto existimavi, si adolescentulos in patriae spem succrescentes ad eos latinos quoque scriptores deducerem, qui christianam doctrinam professi, de litteris et de religione optime meriti sunt.

                Jamque in vulgus prodiere, cum adnotationibus Joannis Tamiettii, Salesianae Familiae alumni, Doctoris politiorum litterarurn diligentissimi, Sancti Hieronymi Scripta selecta et Historia Sacra Sulpicii Severi, nec non Sancti Martini Vita ejusdem scriptores. Nunc Vero en idem Joannes Tamiettius edidit: Lactantii De mortibus persecutorum, Sancti Augustini De civitate Dei et S. Cypriani De Mortalitate libros quos tibi propono, ut, si alumnis tuis prodesse videas, apud meos alumnos librarios scias excusos prostare, ut multorum manibus terantur. Vale.

 

33.

Pio IX al Vescovo di Calvi e Teano.

 

                Quo libentius ab orbe catholico indicti a Nobis Jubilaei beneficium fuit exceptum, venerabilis Frater, eo uberiorem inde fructum expectandum esse confidimus, divina favente clementia. Grati propterea sensus animi, quos hac de causa prodis, iucunde excipimus [598] Deoque exhibemus, ut emolumentum laetitiae a te' conceptae respondens dioecesibus tuis concedere velit. Acceptissimam autem habemus eruditam epistolam a te concinnatam de mixta latinae linguae institutione. Scitissime namque ab ipsa vindicatur decus christianae latinitatis, quam multi corruptionis insimularunt veteris sermonis; dam patet linguam, utpote mentis, morum, usuum publicorum enunciationem, necessario novam induere debuisse formam post invectam a Christo legem, quae sicuti consortium humanum extulerat et refinxerat ad spiritualia, sic indigebat nova eloquii in-. dole ab eo discreta, quod societatis carnalis, fluxis tantum addictae rebus; ingenium dia retulerat. Cui quidem observationi sponte suffragata sunt recensita a te solerter monumenta singulorum Ecclesiae saeculorum; quae dum exordia novae formae subiecerunt oculis eiusque, progressum et praestantiam, simul document constanter in more fuisse posituin Ecclesiae, iuventutem latina erudire lingua per mixtam sacrorum et classicorum auctorum lectionem. Quae sane lucubratio tua cum diremptam iam disceptationem clariore luce perfuderit, efficacius etiam suadebit institutoribus adolescentiae, utrorumque scriptorum opera in eius usum esse adhibenda. Hunc Nos labori tuo successum ominamur; et interim divini favoris auspicem et praecipuae Nostrae benevolentiae testem tibi, venerabilis Frater, universoque clero et populo tuo benedictionem apostolicam peramanter impertimus.

 

                Datum Romae apud S. Petrum die I apritis anno MDCCCLXXV, Pontificatus Nostri XXIX.

                PIUS PP. IX. 34.

 

Mons. Salvati a D. Bosco.

 

                               Reverend.mo Signore,

 

                La sua venerata lettera del 17 corrente mi ha trovato assente da Roma, mentre mi era recato a Montefalco per l'Apostolica ricognizione e nuova vestizione del Sacro Corpo mirabilmente conservato della B. Chiara della Croce. È stata funzione di cinque giorni, devota, commovente, solenne, ma pure laboriosa.

                Tornato dunque in Roma, credo mio dovere di esprimerle i sensi di alta stima che nutro verso la sua degnissima persona, e di riconoscenza per il modo nobile e compito col quale ha voluto scrivermi, mentre io non ho fatto altro che esercitare tenuemente il mio officio.

                Sul merito della vertenza mi porto alle osservazioni già esposte,  [599] dopo l'esame dei fatti e ragionamenti hinc inde per quanto apparivano dai documenti. La parte più interessante mi è poi sembrata quella pratica onde tracciare possibilmente una qualche via per togliere le disgustose divergenze. E godo di sentire dalla S. V. che la cosa infine manca di fondamento. Non è la prima volta che il demonio suscita gran mole di ostacoli contro le più belle opere di Dio senza fondamento. Conosciuto quindi l'inganno, tanto più è facile guardarsene e colla prudenza nella quale Ella tanto si distingue, riportarne piena vittoria.

                L'Em. Caid. Bartolini trovasi ora in Tivoli per evitare gli eccessivi calori di Roma. Quando potrò vederlo, sentirò degli schiarimenti che la S. V. mi dice avergli inviati in proposito. Intanto adoperiamoci efficacemente perchè l'esimio Arcivescovo di Torino non abbia a dolersi sul fatto nostro. Egli domanda che i noti opuscoli non veggano la luce senza il suo nihil obstat; e questo è giusto. L'unione amorevole con Lui è sotto ogni rispetto necessaria per la sussistenza e fecondità delle preziose instituzioni Salesiane. Perciò è da procurarsi a qualunque costo, e sarà certamente una delle più belle grazie di cui non cesserà essere largo con V. S. la eccelsa Vergine Ausiliatrice.

                Quanto al venire a Torino, accetto con molta gratitudine la sua cordiale offerta, e ne profitterò a tempo ed occasione opportuna, se si presenterà. Avrò allora la soddisfazione e l'onore di conoscere la S. V. anche di persona. Vedrò pure l'illustre Arcivescovo, che potei vedere una sola volta qui in Roma alla presenza della sa. me Di Pio IX.

                Mi raccomando calorosamente, e per ogni giorno, alle sue orazioni. Le ripeto i miei affettuosi ringraziamenti, e pronto a servirla nelle poche cose che posso, ho il piacere di dichiararmi

                Della S. V. Rev.ma

                Roma, 26 agosto 1880.

Umil. servo

LORENZO SALVATT.

 

35.

Mons. Gastaldi alla S. Congr. dei V V. e RR.

 

                Postulatum circa Cong.em a S. Francisco Salesio.

                Ex Relatione status Ecclesiae Taurinem ad S. Cong.em-transmissa habetur ut infra. Nova Congregatio Clericorum et laicorum nunc exurrexit, scilicet S. Francisci Salesii, fundata abadmod. R.D. Sac. Joannes Bosco, quae viginti circiter abhinc annis incoepta, nunc dicitur approbata [600] a S. Sede modo definitivo; etsi Responsum Pontificium, quod eam hoc modo approbet, mihi nondum fuerit ostensum.

                Haec Congregatio possidet amplam domum cum spatiosa et pulchra ecclesia publica in civitate Taurinensi; in qua etiam habet collegium pro adolescentibus familiarum divitum: habet etiam aliud Cóllegium in loco Lancei huius Dioecesis.

                Sius scopus praecipuus est instituere in religione et letteris vel artibus pueros et adolescentes pauperes.

                Plurimum boni jam obtulit, et erit allatura. Sed compulsus sum conqueri de eius inclinatione ad` se ingerendum in disciplina Cleri mei dioecesani. Nam quot Clericos ego judico dimittendos a Seminario meo uti inhabiles ad sacra ministeria, ipsa recipit in sinu suo, et nihili exstimans sententiam meam, haec Congregatio eos mittit ad Collegia, quae habet in aliis Dioecesibus, ibique promovet ad Sacros Ordines. Quo fit ut iudicium meum de idoneitate Clericorum despiciatur coram Clero meo: et Alumni Seminarii, quibus comminatio indicitur, nisi resipiscant, eos esse dimittendos, irrident comminationem et respondent, se, ubi dimittantur, jam stive in quo loco tute se se recipiant, ibique Ordinibus insigniantur. Quapropter rogo S. Cong.em ut huic gravi, perturbationi remedium efficax tandem afferat.

 

                Die 21 marcii 1876.

 

                Di mano del segretario:

                Transmittatur ad S. Cong. Epûm et Regularium 11 aprilis 1876 - ad Summistam Sac. Con. E.um et Regularium.

 

36.

 

Mons. Gasfaldi all'Avv. Menghini.

 

                               Ill.mo, motto Rev.do Signore,

 

                Ho ricevuto l'ultima lettera di V. S. e ne La ringrazio assai.

                Per me non ho alcuna difficoltà da opporre ai privilegi che D. Bosco possa chiedere alla S. Sede, purchè non si disturbi la giurisdizione Vescovile.

                Ora questa giurisdizione verrebbe gravemente disturbata, quando si sottraesse dal Vescovo una parte del suo gregge, per darla a D. Bosco, e sottometterla a questo, rendendola su certi rapporti indipendente dal Vescovo. E ciò si farebbe, quando si desso ai giovanetti, fanciulli, garzoni ecc. di una diocesi qualunque facoltà di recarsi alle Chiese od Oratorii pubblici o privati di D. Bosco, per quivi attendere ai Catechismi, e compiervi anche il precetto pasquale, e [601] ricevervi la Cresima, invece di portarsi alla propria Parrocchia, e ciò etiam contradicente Parocho aut proprio Episcopo.

                Le conseguenze di una tale facoltà sarebbero di una gravità incommensurabile.

                Il Vescovo non potrebbe più richiedere dai Parroci che vegliassero attentamente sui ragazzi della Parrocchia quanto all'istruzione catechistica e all'adempimento del precetto Pasquale ed alla confermazione. Essi risponderebbero che i giovanetti loro parrocchiani in ciò non sono più loro soggetti, ma sono in libertà di andare a D. Bosco.

                Una tale facoltà deve essere in mano del Vescovo, e concessa coi dovuti limiti più o meno ampii o ristretti secondo la sua prudenza e le circostanze locali.

                E tale facoltà fu concessa a D. Bosco in questa mia Diocesi dai Monsignori Franzoni e Riccardi, miei predecessori, e confermata da me l'anno 1874 li 17 novembre con apposito Decreto Arcivescovile: in cui si concede a tutti i giovani convittori dei Collegi della Congregazione Salesiana, a tutti i giovani esterni che frequentano le scuole di detta Congregazione, a tutti i giovani che vengono alle Chiese della medesima per le conferenze od istruzioni quotidiane o festive, ed anche a tutti i giovani che non frequentano nè le scuole nè gli Oratori, ma vengono a confessarsi alle Chiese o Case della Congregazione Salesiana, siavi certezza morale che non andrebbero a fare la Pasqua nelle proprie parrocchie; che possano compiere il precetto Pasquale e ricevere la Cresima nelle dette Chiese e nei detti Oratorii.

                Però io restringerei tale facoltà, e dovrei restringerla, quando un Parroco di Torino mi venisse ad assicurare che stante la piccolezza della sua Parrocchia esso può prendere e si prende realmente cura di tutti i ragazzi e giovani adulti suoi Parrocchiani; ma le sue cure sarebbero inefficaci, quando a questi suoi parrocchiani si lasciasse la libertà summenzionata.

                Prego quindi caldamente V. S. di avere la bontà di adoperarsi a ciò i Privilegi che si vorrebbero concedere a D. Bosco mi vengano comunicati per le mie preventive osservazioni.

                Le raccomando anche di informarmi dell'affare di D. Gaude, che è alla C. del Concilio.

                Di V. S. Ill.ma e Molto Reverenda

                Torino, il 5 maggio 1876.

Dev.mo Obbl.mo Servitore

LORENZO Arcivescovo [602]

 

37.

 

Lettere dall'America.

 

(a) Lettera di Monsignor Ceccarelli.

 

                               Reverendissimo D. Bosco,

 

                In questa capitale come in tutta la Repubblica Argentina sì fa il mese di Maria dal 14 di Novembre al 14 di dicembre. Il 14 di novembre alle ore 9½ del mattino i cari figli di V. S. Reverendissima lasciavano la S. V. R. e l'Europa; io li accoglieva alle 9½ della mattina del giorno 14 dicembre in America; il mese del viaggio fu prodigiosamente diretto da Maria Santissima loro e nostra dolce madre. Che bella coincidenza! Circostanze preziose sono queste che non passeranno per certo dimenticate dalla S. V. R., poichè per questa si fa manifesto il favore di Dio pei nostri figliuoli.

                Monsignor Arcivescovo, i Vicarii generali, tutto il personale della Curia hanno ricevuto con onore i nostri figli ed hanno concesso loro tutte le grazie che possono abbisognare pel completo esercizio del santo Ministero.

                Il martedì andremo a S. Nicolas, dove incomincieremo i lavori pel collegio. La chiesa degli Italiani è già destinata alla Congregazione e il P. Caglierà ha preso già possessione precaria fino a che sia firmato il contratto analogo.

                Preghi, Rev.mo Padre, per me che con fretta mi professo

                Buenos Ayres, 18 dicembre 1875.

Suo devotissimo figlio in G. G.

PIETRO B. CECCARELLI.

 

(b) Lettera del Dott. Antonio Espinosa, Vic. Gen.

 

                               Reverendissimo D. Bosco,

 

                Ho avuto una grande consolazione nel ricevete la pregiatissima lettera di Vostra Riverenza raccomandandomi i suoi carissimi Padri. Monsignore è contentissimo, e può V. R. star sicuro che da parte nostra faremo del tutto per favorirli, perchè non abbiano a sentire la lontananza della S. V. e della patria.

                Godo di sapere pel sig. Commend. Gazzolo che V. S. R. desiderava la fondazione di una casa a Buenos Aires. Qua c’è proprio bisogno. Abbiamo una popolazione Italiana di trenta mila anime, e i preti italiani comunemente detti preti napolitani, nella maggioranza pensano a far quattrini e niente altro. Così credo che i suoi figli faranno [603] costì un bene immenso e mi pare convenga accettare almen per adesso la chiesa della Misericordia della confraternita italiana.

                Stia adunque V. R. tranquillo riguardo ai suoi figli; saremo con essi altrettanti fratelli.

                V. R. mi faccia la carità raccomandarmi al Signore nei suoi santi sacrifizi ed orazioni, e mi creda di tutto cuore in ogni cosa

                Buenos Ayres, 18 dicembre 1875.

Affez.mo e devot.mo servitore

Dott. ANTONIO ESPINOSA.

 

c) Lettera di Mons. Federico Aneyros, Arciv. di Buenos - Ayres.

 

                               Reverendissimo D. Bosco,

 

                Non è a dire con quanto piacere ho abbracciato i suoi figli, che con sì eroica risoluzione hanno lasciato l'Italia per condursi in queste lontane regioni. Il nostro buon Dio benedirà certamente il suo istituto fra noi, ed un pegno di questa celeste benedizione è quello che sì amorevolmente ha dispensato il nostro Santissimo Padre Pio IX. Fortificati da esso faranno certo gran bene non solo a S. Nicolas ma anche in questa dominante, dove è convenientissimo che abbiano una casa, non solo per facilitarne la comunicazione con V. R., ma ancora perchè il bene che potranno fare qua è immensamente maggiore di quello che potranno far a S. Nicolas. Solo gli Italiani sono un trenta mila a Buenos - Ayres e la maggioranza dei preti italiani vengono, mi stringe il cuore al dirlo, per far quattrini e niente altro. Credo dunque convenientissimo che prendano i suoi figli la direzione della chiesa italiana che quei buoni confratelli loro offrono. Così presteranno un servizio immenso non solo agli Italiani, ma ancora ai nostri. V. R. può stare tranquilla riguardo a' suoi figli; già ho date tutte le licenze per l'esercizio del ministero ed essi troveranno sempre in me un padre amorevolissimo e zelante del loro bene sì spirituale che materiale.

                Il Signore conservi per lunghi anni la preziosa vita di V. R. e voglia raccomandarmi al nostro buon Dio ne' suoi santi sacrifizi ed orazioni. Intanto gradisca i sensi di dovuta stima con che mi confermo

                Di V. R.

                Buenos - Ayres, dicembre 18 del 1875.

Devot.mo ed obbl.mo Servo

ANEYROS FEDERICO.

Arzobispo di Buenos - Ayres. [604]

 

d) Lettera del Comma Gius. Franc. Benitez.

 

                In nomine Domini Iesu Christi. - Bonis Auris in urbe SS. Trinitatis,  19 decembris anno 1875.

 

                Salve, Reverendissime Pater Ioannes Baptista Bosco, ut bene valeas vehementer exopto.

                Parce mihi, Domine, .quod, omisso vernaculo sermone, abutar ` romanorum idiomate, ut tibi sint clariora verba mea in testimonium gratitudinis et' reverentiae. Perlegi litteras tuas et accepi nobilia munera tamquam pignus amicitiae et benevolentiae tuae.

                Advenerunt, brevi et fausta navigatione, fratres tut ad litora huius argentini fluminis super Pyroscaphum Savoie. Parati videntur alacri animo ad obeundos labores, qui. proficient populo, maxime in educatione puerorum, in cathechizandis rudibus iisque ad mores informandis. Idcirco sperandi sunt optimi fructus, auspice Deo eiusque Deipara Immaculata V. M.

                Non solum hisce laboribus eorum exercitabitur patientia; sed difficultates loquendi, contumelias audire, iniurias vel calumnias legere, et varia quae ad victum, vestem, habitationem pertinent, tolerare cogentur. Non erit melior vita discipulorum quam magistri.

                Ascendemus in civitatem Sancti Nicolai a rivis, et inveniemus gentes nobili et benigno animo erga fratres dispositas.

                Nunc te prosequitur voluntas mea propter tuam maximam caritatem. Vale, optime vir, sacerdos venerabilis; esto robustus in corde Iesu Christi.

Servus obsequens ero V. R.

IOSEPHUS FRANCISCUS BENITEZ.

 

38.

Lettere varie del 1875.

 

a) A Don Giuseppe Quaranta[224].

                                Fili mi,

                Litteris mandans secreta cordis tut optime te gessisti. Nonnulla nunc consilia accipe. Noli pertimescere, fili mi, si pulsant tentationes. Casum tantum time. Idest cum post tentationem malum opus sequatur. Preces jaculatoriae frequentes sint in ore tuo. Oscula Sacrarum [605] Numismatum SS. Crucifixi persaepe elice. Usque in praesentem diem de tua conscientia securus esto.

                Si diligis me, ora pro me. Gratia D. N. I. Ch. sit semper nobiscum.

 

                Taurini, 4 febbraio 1875.

Conservus tuus

JOANNES BOSCO Sacerdos.

 

b) Manda l'abbozzo d'un panegirico.

 

                               Caris.mo D. Borgogno,

 

                Ecco qui il mio panegirico bello e fatto. Ho mostrato ai gal a rampiè[225], ma non fa niente, ho ubbidito. Montini poi ne faccia quel che giudica meglio.

                Mi rincresce però che Montini sia incomodato di sanità; spero che sia niente, tuttavia ho disposto che per questa novena del patrocinio di S. Giuseppe si facciano speciali preghiere per Lui all'altare di Maria A. ogni giorno. Gli faccia tanti ossequii e ringraziamenti da parte mia.

                Terrò conto della sua lettera e farò quanto mi dice, purchè migliori e mi abbia sempre in G. C.

                Torino, 13 - 4 - 75.

aff.mo amico

Sac. GIO. BOSCO.

 

c) A un Vescovo[226].

 

                il Sig. Teol. Colomiatti mi scrive la lettera che credo opportuno che sia rimessa a mani di V. E. Rev.ma. Attesa la carica di pubblico funzionario, che può fare molto bene o molto male, pare si possa tener conto della buona sua disposizione, e qualora non costassero cose indegne, proporgli una muta d'esercizi spirituali e quindi osservare se e quando convenga dargli il regolare exeat.

                Comunque sia per fare, La prego à darmi compatimento del disturbo che Le cagiono e di permettere che mi professi

                Della E. V. Rev.ma

                Torino, 4 maggio 75.

Umile servitore

Sac. GIO. BOSCO. [606]

 

d) A persona forse di Lodi.

 

                               Carissimo nel Signore,

 

                Assai volentieri accetterei il Chierico assistente che mi propone; ma il personale è completato abbondantemente in tutte le case.

                Qualora vi si manifesti qualche probabilità, ne la renderò tosto avvertita.

                Ricordo con gran piacere i momenti di cristiana conversazione, tenuta nella casa della Sig. Luigia di Lei sorella. Chi sa se non li possiamo rinnovare in Lodi o a Torino?

                Raccomando me, le nostre pubblicazioni, i nostri giovani alla carità delle sante sue preghiere. Io farò altrettanto nella mia pochezza a di Lei riguardo.

                Dio La benedica e Le conceda tre S. S. S. maiuscole, Sanità, Santità e Sapienza, e mi creda tutto suo in G. C.

                Torino, 7 - 5 - 1875.

Umile Servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

e) Alla Signora Veronica Ved. Casetta (S. Damiano d'Asti).

 

                               Preg.ma Signora,

 

                Pur troppo mi è nota la dolorosa perdita del compianto dì Lei marito, per cui si fecero particolari preghiere nella chiesa di Maria Aus. Non ho però saputo i particolari delle ultime sue ore.

                Se Ella desidera di parlarmi di qualche cosa, venga pure qualunque giorno di questa settimana. Se poi vuole un giorno determinato, sarebbe il mattino del venerdì prossimo.

                Venga pure con Lei la Signora sua sorella che ambedue saranno le benvenute.

                Dio benedica Lei e tutte le opere sue e raccomandandomi alla carità delle sue preghiere mi professo con gratitudine

                Di V. S. Pregiat.ma

                Torino, 28 - 6 - 1875.

Obbl.mo Servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

f) Alla Signora Albertina Fasolis, Convittrice dell'Opera Milliavacca (Asti).

 

                               Preg.ma Signora,

 

                Non pensi più alle Confessioni passate; per l'avvenire dica quanto si ricorda senza fermarsi ad esaminare nè pensieri, nè desiderii. [607] Io pregherò per Lei; Dio La benedica e preghi pel povero scrivente che si professa

                Torino, 7 luglio 1875.

Sac. GIO. BOSCO.

 

g) Alla medesima.

 

                               Preg.ma Signora,

 

                Non mancherò ogni giorno di raccomandare l'anima sua nella Santa Messa, affinchè Dio la conservi sempre in grazia sua. Ella poi preghi anche per me e pei miei poveri giovanetti.

                Dio la benedica e mi creda in G. C.

                Torino, 18 - 7 - 1875.

Umile servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

h) Al Sig. Boassi[227]

 

                               Car.mo Sig. Boassi,

 

                Con sommo piacere ho ricevuto la sua lettera e sue notizie, e benedico Iddio che la conservi in buona salute e che l’abbia collocato in una onesta posizione. Il Sig. Gonella, che graziosamente mi portò il piego, è già collocato e niente più gli occorre che coi poter continuare. Da lungo tempo vagheggio il progetto di aprire una casa al Cairo, ma adesso abbiamo accettato delle Missioni in Australia, e tre Collegi in America nella Repubblica Argentina, perciò dobbiamo differire l'esperimento per l'Egitto, In quanto alle Onorificenze di cui mi parla, il Governo è tuttora ben disposto a favorirmi; ma vuole queste due condizioni:

                1° Largizione di f. 10.000 per la Croce di Cavaliere. Tale somma può ridursi qualora l'individuo abbia coperto cariche, od abbia prestato qualche importante servizio alla patria.

                2° Che prima di cominciare la pratica si mandi una dichiarazione che faccia constare la beneficenza essersi effettuata, perchè si vuole assolutamente che la onorificenza sia un premio dell'opera benefica compiuta, ma non eccitamento a farla. Delle altre cose farò il dovuto conto e a suo tempo me ne servirò. [608]

                Sig. Boassi, Ella si trova in mezzo ai Turchi, ma mi assicura che è sempre buon cristiano e questo mi fa gran piacere.

                Lavoriamo per essere felici nel tempo, ma non sia mai dimenticato il fine sublime dell'uomo, che è di essere felice per sempre nella beata eternità.

                In quello che la posso servire mi creda sempre con tutta stima

                Di V. S. Car.ma

                Torino, 21 luglio 1875.

Aff.mo amico

Sac. GIO. BOSCO.

 

i) A Michele Coppino.

 

                               Onorevole Sig. Commendatore,

 

                Sarà sempre un gran piacere aprire questa casa ai giovanetti raccomandati dalla sua carità. Se pertanto il Verna Carlo può entrare nelle nostre classi (1ª Ginnasiale) io lo accoglierò a metà pensione ossia a quindici mensili. In progresso di tempo l'allievo può avere qualche altro vantaggio come premio meritato collo studio.

                Le scuole cominciano il 18 Ottobre prossimo, ma il suo raccomandato venga quando vuole. Quando il ragazzo possa venire e fissare il giorno, gli si spedirà da Torino una piccola nota del corredo con un biglietto cui mercè godrà metà tariffa sulle ferrovie.

                Godo della propizia occasione per augurarle ogni bene e professarmi con profonda gratitudine

                Di V. S. Onorevole

                Lanzo Torinese, 13 - 9 - 1875.

Umil.mo Servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

l) Al Teol. Gius. Scofferi (Alassio).

 

                               Car.mo Sig. Teologo,

                Per riuscire a qualche cosa pel povero leproso che raccomanda, è bene che facciasi scrivere una lettera dal parroco col visto del Sindaco, più la dichiarazione del medico. Si mandi ogni cosa al Can. co Anglesio, ma mi si dia cenno della pratica ed io solleciterò la risposta che giova sperare favorevole. Fu già fatto così con altri ed è riuscito

                Dio la benedica, caro Teologo, stia allegro, preghi per questo poverello che le sarà sempre in G. C.

                Lanzo, 14 - 9 - '75.

aff.mo amico

Sac. GIO. BOSCO. [609]

 

m) Alla Signora Veronica Ved. Casetta per la Signora Orsola Franco (S. Damiano d'Asti).

 

                               Preg.ma Signora,

 

                Continuiamo le nostre preghiere: Dio ci esaudirà certamente, a meno che la nostra domanda sia contraria al bene dell'anima. Io pure continuerò.

                Dica alla sua sorella Casetta che sera e mattino la raccomandiamo all'altare di Maria Ausiliatrice; abbiamo fede. Ma si ritenga che il vero frutto delle nostre preghiere è la perseveranza per la via del Paradiso.

                Raccomando me e li miei giovanetti alla carità delle sante sue preghiere, ed augurando a tutti la benedizione del cielo, mi professo

                Di V. S. Preg.ma

                Torino, io novembre 1875.

Umile servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

n) Istanza per onorificenza.

 

                               Eccellenza,

 

                L'anno scorso io avevo l'onore di rimettere nelle mani della V. una memoria diretta, ad ottenere una onorificenza pel Sig. Michele Lanza, Consigliere Municipale e Signore molto caritatevole di Torino; e la E. V. si degnava di venirmi in appoggio con una parola presso a S. E. il Comm. Aghemo, capo del Gabinetto di Sua Maestà.

                Fondamento della pratica erano molte opere di carità e specialmente una beneficenza di fr. 10.000 fatta dal medesimo per mitigare le strettezze in cui versavano i nostri ricoverati, segnatamente quelli che in numero di circa 850 sono raccolti in questa città nella casa di Valdocco. Ora il benefico Lanza, avendo fatte altre non piccole largizioni, come consta dalle due unite dichiarazioni, rinnovo la preghiera presso l'E. V. affinchè si degni di raccomandare la pratica presso al benemerito Capo del Gabinetto del Re.

                La prego eziandio di ritenere che questi giovanetti sono dei più poveri ed abbandonati dello Stato e per la maggior parte indirizzati dalle varie autorità governative alle nostre case.

                Pregando Iddio che li voglia ambidue largamente ricompensare, ho l'alto onore di potermi professare

                Dell'E. V.

                Torino, 16 novembre 1875

Umil.mo servitore

Sac. GIO. BOSCO. [610]

 

                Titoli commendevoli del Sig. Michele Lanza.

                Il Sig. Michele Lanza di Torino, di anni 48, è figlio del Cav. Vittorio. Egli tenne sempre la vita di onesto e onorato cittadino. Abita piazza Solferino, casa propria N. 10. Fra i titoli che lo rendono degno della pubblica benemerenza vuolsi notare come:

                1° Egli è proprietario della Ditta Industriale, Astearica sotto il suo nome.

                20°Da più anni compie lodevolmente l'uffizio di consigliere municipale della città di Torino.

                3° È da più anni membro, della commissione per le imposte.

                4° Non si è mai rifiutato ad opere di beneficenza che fossero compatibili col suo stato ed ora mantiene alle scuole parecchi fanciulli poveri.

                5° Come operatore ed oblatore è benemerito verso l'opera di patronato dei giovani discoli che escono dalle carceri correzionali.

                6°Da molti anni è azionista a favore del ricovero di mendicità.

                7° Tanto esso quanto suo padre beneficarono più volte i giovani che frequentano gli Oratorii festivi, le scuole serali ed anche diurne di questa città.

                8° Finalmente essendo pervenuto a sua notizia che in questa critica annata i poveri fanciulli ricoverati nell'Ospizio di S. Francesco di Sales per le gravi strettezze mancavano assolutamente di mezzi per pagarsi alcune scadenze e procacciarsi i necessarii alimenti, venne spontaneamente in loro soccorso colla vistosa largizione di franchi 10.000 che vennero immediatamente spesi a questo scopo.

                9° La sua speranza di venire altre volte in soccorso di questo e di altri pii Istituti.

 

o) Supplica al Ministro di Grazia e Giustizia in favore di un condannato.

 

                               Eccellenza,

 

                Lo sventurato Giovanni Battista Coda detenuto da più anni nel Penitenziario d'Alessandria supplica umilmente la E. V. di voler ascoltare il fatto che lo rese colpevole e di Voler prendere in benevola considerazione il deplorabile suo stato e quello della sua famiglia infelice.

                Con sentenza della Corte d'Assisie di Torino in data delli due Giugno 1873 il Gio. Coda d'Azeglio già usciere presso la Direzione del Lotto in Torino veniva condannato alla pena della reclusione per anni dieci.

                Il reato del quale il Gio. Batt. Coda veniva accusato, e per il [611] quale pativa condanna era di prevaricazione per mezzo di alterazione fraudolenta dei Registri dell'Amministrazione del Lotto, ed uso doloso delle Polizze che vi si riferivano.

                Dal procedimento che ebbe a svolgersi dinnanzi alla Corte d'Assisie ebbe a risultare:

                1° Che in seguito all'Estrazione del Lotto fattasi in questa Città nel giorno 23 Settembre 1871, il Coda Gio. Battista, d'accordo e col concorso di un tal Pietro Stella usciere egli pure presso la Direzione del Lotto, ebbe ad impadronirsi dei registri a matrice sui quali vengono iscritte le giuocate, e dopo di avere sopra un foglio di quelli appartenenti al Banco di Carignano N. 24 fatto figurare due false giuocate, avere in seguito alterate le Polizze staccate a tal uopo da quei Registri, e presentatele quindi alla Direzione per ottenerne, come di fatti ne ottenne il pagamento nella somma l'una di L. 86.800 e la seconda di L. 60.760.

                2° Che lo stesso Gio. Coda d'accordo e col concorso di Luigi Polli gerente di un Banco del Lotto in Torino ebbe con eguale procedimento, alterando i Registri di altro Banco, e falsificando la relativa Polizza a sottrarre alla Direzione del Lotto la somma anche più rilevante di L. 264.760; e così in seguito all'Estrazione del 14 Ottobre 1871.

                1giurati riconobbero il Gio. Coda colpevole di tutte le imputazioni che gli erano ascritte, senza ammettere a di lui favore alcune circostanze attenuanti d'onde necessariamente la pena, alla quale venne condannato.

                Esposto così il fatto e la sentenza giustamente proferita contro di lui senza fare osservazioni in contrario, e rassegnato va scontando la sua pena, prega e scongiura la E. V. a voler un istante considerare quanto può renderlo degno di compassione.

                1° La sua condotta di onesto impiegato che per molti anni servì fedelmente il suo sovrano, che stretto dalle passività in cui versava la propria famiglia in un momento che può dirsi di alterazione mentale fece quello ch'egli ha sempre biasimato in altri, e di cui esso ne è altamente pentito.

                2° La sua moglie unico sostegno della famiglia male andata di sanità, si trova nella massima miseria; a segno che essa con fanciulli mancano di pane per levarsi la fame.

                3° La giustizia ha già fatto il suo corso e furono già scontati presso che quattro anni di pena; e il ravvedimento del pentito colpevole è certamente assicurato. Quindi per mezzo di V. E. si volge alla Clemenza Sovrana supplicando che preso in considerazione il nissun vantaggio materiale che a lui è pervenuto dal reato avuto riguardo alla pena sofferta, alla moglie ammalata e piangente, ai suoi figli sofferenti ogni genere di privazione si degni concedergli la grazia della condonazione della pena che ancora dovrebbe scontare. [612] La sua gratitudine sarà imperitura, ed ogni giorno esso e tutta la sua famiglia memori di tanto favore invocheranno le benedizioni del Cielo sopra della E. V., sopra l'Augusta Persona del Re e sopra tutta la Reale famiglia.

                Che della grazia[228].

 

p) Risposta del Sig. Curcio.

 

                GABINETTO DEL MINISTRO.

 

                               Veneratissimo Sig. D. Giovanni,

 

                La ringrazio di cuore che siasi ricordata di me, che ho tanta venerazione per la sua degnissima persona. Disponga pure senza riguardi di sorta delle mie povere forze e mi farà sempre sommo piacere.

                Se capiterà a Roma, La prego avvertirmene, perchè mi procurerò così il bene di venirla a salutare.

                Ho ricevuta la istanza del Coda ch'era acclusa nella sua lettera, ed io l'ho subito raccomandata e fatta mettere in corso e fin dal giorno 20 del passato giugno si è scritto a cotesto Procuratore Generale per informazione, ma non c’è ancora venuta nessuna risposta.

                Veramente Le dico, e mi dispiace dirle cosa che Le rincrescerà, che a me pare impossibile che il Coda condannato per gravissimo reato e che finora ha fatta poca parte della pena, possa essere rimandato a casa. Potrà avere una diminuzione di pena se le informazioni saranno favorevoli; e ad ottenerle tali credo che potranno influir molto le ragioni che Ella ha scritte a me e che potrebbe esporre a cotesto uomo tanto buono, tanto rispettabile, tanto giusto, tanto modesto che è il conte Barbaroux, Procuratore Generale costì.

                Ella certo lo conoscerà e se non lo conoscesse potrebbe cogliere questa occasione per avvicinarlo e farebbe un bene al Coda e un regalo a se medesimo; e sono certo che farebbe piacere anche al Procuratore Generale.

                Se potrà sapere quando verrà la risposta, me ne avvisi.

                Preghi Dio che mi conservi sempre l'animo amico degli uomini malgrado che dal posto ove mi trovo abbia la sventura di vedere spesso il loro lato cattivo e pettegolo.

                Gradisca le assicurazioni del mio profondo rispetto.

                Roma, 15 luglio [1875].

Obbl.mo

GIORGIO CURCIO. [613]

 

q) A Don Rua.

 

                               Carissimo D. Rua,

 

                Molto volentieri tratto col Sig. Peretti intorno alla vendita delle Colline[229] di Strambino, e in quanto alle more non avvi difficoltà; ma per fare una cosa che possa assicurare il troppo e il poco io sarei di parere che si lasci la cosa a due persone pratiche, le quali studino di fissarne il valore reale. Giunto a Torino potrò anche parlare col medesimo. Però tu puoi anche conchiuder su queste basi. Lunedì a Dio piacendo, vado a pranzo con D. Vallauri e se alle due e mezzo puoi trovarti colà, faremo ritorno a casa insieme.

                Ho procurato di aggiustar le finanze di Alassio e di S. Pierdarena nel miglior modo possibile: giunto a Torino aggiusteremo le nostre.

                Dio ci benedica tutti, saluta i nostri cari confratelli e credimi in G. C.

                Sestri ponente 4 - 12 - '75

aff.mo amico

Sac. GIO. BOSCO. [614]

 

CINQUE LETTERE DEL BEATO AL CARD. DE ANGELIS.

 

                In appendice all'Appendice diamo lietamente ospitalità a cinque lettere della massima importanza, scritte dal Beato al Cardinal De Angelis nel 1867 - 8, quando si trattava di ottenere il decreto di approvazione della Società Salesiana. Queste lettere han veduto la luce in uno splendido Numero Unico pubblicato il 1° giugno di quest'anno a Fermo, quale “Omaggio del Venerabile Seminario Arcivescovile” al Beato Don Bosco. Nella Prima di esse furono ivi omessi per ragione di opportunità alcuni periodi, siamo grati alla cortesia del Rev.mo Rettore monsignor Giuseppe Potentini, che ci favorì il testo mancante e fece un nuovo riscontro del rimanente con l'originale, rettificando alcune inesattezze occorse nella prima lettura. Per chiarimenti rimandiamo i lettori alle “Memorie Biografiche” oppure alla “Vita”, di Don Lemoyne. L'Arcivescovo di cui ripetutamente si parla, era monsignor Riccardi di Netro.

 

1.

 

                               Eminenza Reverendissima,

 

                Ecco a V. E. Reverendissima un pacco in cui si contengono tutte le miserie di D. Bosco. Quella del Centenario[230] credo che sia terminata, imperciocchè da una lettera del padre Modena apprendo che non si parla più di ritrattazione, ma solamente di sopprimere espressioni verso la fine del libro, la qualcosa non racchiude alcuna difficoltà. Certamente in questo affare non si badò alle fonti da cui fu tratta la materia del libro, altrimenti si sarebbe andati un po' più a rilento. Adesso mi fu scritto che si vuole fare lo stesso del libro di S. Giuseppe. Qui la cosa tornerebbe da capo, e si dovrebbe prima esaminare i libri da cui io ricavo le notizie; e noti che l'operetta di S. Giuseppe non è mia, io l'ho solamente raccolta dai libri pubblicamente conosciuti, divolgati, approvati dall'autorità ecclesiastica e specialmente dal maestro del Sacro palazzo. Io non so darmi ragione, che mentre si stampano miglioni di libri nefandi e niun se ne cura per farli mettere [615] all'indice, ed io che non risparmio nè spesa nè fatica per tenermi ai fonti, agli autori sommi con romane approvazioni e si dissi ciò nonostante tanto rigore.

                Veniamo ora alla Società. Il novello Arcivescovo è tutto propenso per la medesima; credo che una sua parola potrebbe risolverlo a qualunque cosa V. E. giudicasse opportuno per questo affare. Il Card. Antonelli mi scrive che non ometterà le sue sollecitudini in questo proposito. Lo stesso mi assicura il Card. Patrizi. Ora mi raccomando a Lei affinchè perori presso il Card. Quaglia e Mons. Svegliati, i quali si professano meco ambedue favorevoli, per quanto da loro dipenderà. Io credo che V. E. non potrà occuparsi molto di questa cosa in questi giorni in cui si trattano affari di alta importanza, e perciò io La prego di valersi in quello che crede del Sig. Don Pellegrino[231], con cui sono in pienissima confidenza e che si offrì di adoperarsi a mio favore per quanto potesse occorrere in Roma. Se mai Ella credesse, che io dovessi scrivere, raccomandarmi od anche fare una gita a Roma, non avrebbe che a farmi dire una parola. Se questa Società è approvata adesso, è certamente opera di V. E. Rev.ma; ma se nol fosse adesso, chi sa quando ciò potrà avvenire. Ad ogni modo, io mi raccomando a Lei; queste nostre case pregano continuamente affinchè in ogni cosa Dio conceda quello che giudica tornare a Sua maggior gloria.

                Voglia gradire gli atti della più sentita gratitudine e di me e di tutti i sacerdoti, chierici e giovani di questa nostra casa, e facendo ogni giorno speciali preghiere per la conservazione della preziosa di Lei sanità, ho l'alto onore di potermi professare di V. E. Rev.ma

                Torino, 18 giugno 1867.

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI BOSCO.

 

                PS. Se mai vedendo il S. Padre si degnasse dimandargli la S. Benedizione come ci ha con bontà promesso, quando fu tra noi, sarebbe a tutti noi della più grande consolazione.

 

2.

 

                               Eminenza Rev.ma,

 

                Avuta in grande considerazione la lettera che nella sua grande bontà degnavasi di scrivermi e confrontatone il tenore con quanto mi scriveva Mons. Berardi da Roma, credo opportuno di appoggiare la dimanda della nostra approvazione con  quel maggior numero di [616] autorevoli commendatizie che si potrà avere; tanto più che il Vescovo di Casale, nella cui Diocesi abbiamo una casa, approvò definitivamente questa nostra società come congregazione diocesana.

                Fra le commendatizie io desidererei ardentemente di averne una di V. E. Rev.ma che riputerei di sommo valore. Mentre pertanto le fo rispettosa preghiera di questo favore, Le mando copia del decreto della Congregazione dei Vescovi e Regolari con un cenno delle cose che nella commendatizia sembrano tornare al nostro scopo. Io sono qual poverello che vado in cerca di pane, ma il padrone può darlo nella misura e nel tempo che giudicherà più opportuno. Ella pertanto faccia come il Signore le ispirerà.

                Sembra che le cose nostre si vadano migliorando; il professore di storia ecclesiastica fu avvisato e sembra che abbia totalmente cambiato sistema; l'Arcivescovo mi fa eziandio sperare una commendatizia pel nostro scopo. Deo gratias.

                Noi continuiamo a fare speciali preghiere per V. E. e spero che Iddio la conservi ad multos annos pel bene della Chiesa ed anche, chi sa? per vedere la nostra società definitivamente approvata.

                Raccomando me e questi nostri giovanetti alla carità delle sante Sue preghiere, mentre colla più sentita gratitudine ho l'alto onore di potermi professare della S. V. Rev.ma.

                Torino, 9 febbraio 1868.

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI BOSCO.

 

3.

 

                               Eminenza Rev.ma,

 

                Fra i molti che spesso recano disturbi a V. E. Rev.ma avvi certamente il povero Don Bosco che ne ha sempre qualcuna nuova. Faccia adunque un atto di pazienza. Il Card. di Pisa ed altri cui feci richiesta di una commendatizia per la definitiva approvazione della nostra Società, mi hanno detto ripetutamente di pregare Vostra Em. Rev.ma affinchè volesse loro precedere come conoscitore della casa, delle persone e dello spirito che informa quelli che appartengono a questa Società. Egli è questo lo scopo di questa mia lettera: supplicare cioè l'Eminenza Vostra a fare una commendatizia sulla Società di San Francesco di Sales; in che sarebbe senza fallo seguita da quanti conoscono Lei e questa casa. I Vescovi della provincia ecclesiastica di Torino compreso l'Arcivescovo, son tutti pronti a farmela, anzi parecchi me l'hanno già inviata. Quello di Casale ha giudicato bene di dare la Sua diocesana approvazione, di cui unisco copia. Questa è l'umile dimanda che io fo a V. E. a nome mio e di tutti quelli che fanno parte delle nostre case. E vostra E. che tanto propende in beneficarci, non vorrà certamente rifiutarci questo favore, a meno che [617] nell'alta Sua sapienza credesse più opportuno fare altrimenti. E in ciò Le sarei ugualmente obbligato, nè cesseremo di invocare nella nostra pochezza le benedizioni del Cielo sopra l'augusta di Lei persona.

                Si degni in fine di volerci compartire la santa Sua Benedizione, mentre colla più sentita gratitudine ho l'alto onore di potermi professare della E. V. Rev.ma

                Torino, 9 marzo 1868.

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI BOSCO.

 

4.

 

                               Eminenza Rev.ma,

 

                So che V. E. Rev.ma è assai occupata in gravi affari per la Chiesa, tuttavia bisogna che estenda la Sua carità a questa nostra nascente Congregazione. Dalle note fatte in foglio a parte vedrà quanto sia critica l'attuale nostra posizione; per buona ventura abbiamo tutte le Diocesi, ove sono relazioni, propense a beneficiarci e ci lasciano i loro chierici a piena soddisfazione, perchè diamo loro il cento per uno. Ma è per noi di grave bisogno portare le cose in uno stato più tranquillante. L’Eminenza Vostra abbia la bontà di leggere le carte unite e poi consigliarmi se sia il caso di dare la memoria diretta al Santo Padre oppure prescindere.

                Avrei bisogno di una delle seguenti cose:

                1. Definitiva approvazione delle nostre costituzioni secondo la dimanda di oltre a 22 Vescovi che qui Le unisco. Questo sarebbe il passo regolare di queste regole. Dopo 28 anni di prova, dopo il decreto di commendazione della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, dopo l'approvazione diocesana del Vescovo di Casale e di altri che fanno vive istanze perchè tale Congregazione sia introdotta nelle loro rispettive Diocesi, sembra naturale la preghiera di una definitiva approvazione.

                2. Qualora Ella giudicasse inopportuna tale preghiera, almeno sia concesso che i chierici appartenenti alla casa di probazione dì Mirabello possano essere ordinati dai Vescovi di quella Diocesi, Casale, che approvò la Società di S. Francesco di Sales come Congregazione religiosa. Codesti chierici possano essere da lui ordinati sebbene appartengano ad altre Diocesi.

                3. Qualora poi non si giudicasse opportuna nè l'una nè l'altra di queste cose, sia almeno fatta facoltà di potere educare tali chierici nella scienza e nelle regole di questa Società, fatte facoltà ai Vescovi di cerziorarsi della scienza e della moralità in caso che si dimandassero le Sacre ordinazioni, La disposizione notata nel 3° numero è [618] soltanto necessaria per la Diocesi di Torino, per le altre Diocesi avrei pieno favore.

                Lo stesso Mons. Svegliati e di poi l'Eminente Card. Quaglia mi ripetono verbalmente che quando una Congregazione religiosa ha un decreto di commendazione ed è costituita nella persona del suo superiore per esistere bisogna che possa educare i suoi allievi secondo lo spirito delle regole della Società. Ora rimetto tutto nelle sue mani; una sua parola è per me direzione invariabile.

                L'assicuro che questo disturbo procureremo di ricompensare con preghiere quotidiane e speriamo che Dio ci ascolterà e che benedirà le sue opere e La conserverà ad multos annos pel bene della Chiesa. Amen.

                Coi sacerdoti Cagliero, Rua, Savio, Francesia poeta, col cav. Oreglia le professiamo la più profonda gratitudine, mentre a nome di tutti i nostri giovani le dimando la salita sua Benedizione ed ho l'alto onore di potermi professare della E. V. Rev.ma

                Torino, 2 giugno 1868.

Umil.mo Obbl.mo Aff.mo Servitore

Sac. GIOVANNI BOSCO.

 

                PS. Se occorresse, ad un solo cenno io andrei a Roma.

 

5.

 

                               Eminenza Rev.ma,

 

                Io fo come il povero figliuolo che quando ha gravi fastidi ricorre alla bontà del padre, come ricorro alla E. V. Rev.ma.

                Ecco adunque la cosa di cui si tratta:

                Il nostro Arcivescovo credendo di seguire un buon consiglio stabilì che niun chierico di sua Diocesi potesse rimanere fuori del Seminario; ciò posto io ed il Cottolengo eravamo al punto di chiudere le nostre case dove gli allievi sono assistiti ed ammaestrati da chierici, o disubbidire al superiore.

                Per buona sorte io prevedevo da qualche tempo questa disposizione ed i miei chierici erano tutti di altre diocesi ad eccezione di alcuni pochi che intendono far parte della Società di S. Francesco di Sales.

                L'Arcivescovo dopo qualche riflesso fece per questi una eccezione ma venuta l'epoca delle ordinazioni rivocò il permesso e non volle più ammettere alcuno se non andasse in Seminario. Erano solamente tre in tutti ed appartenenti tutti alla Società ed essendo tutti e tre Professori e rappresentanti una classe in faccia al governo, non ho potuto obbedire quindi niuna ordinazione. [619] Eppoi se io mando i chierici in Seminario, dove sarà lo spirito di disciplina della Società? dove prenderò oltre a cento catechisti per altrettante classi di fanciulli? Chi passa un quinquennio in Seminario avrà volontà di rivenire a chiudersi nell'oratorio?

                Mentre io era travagliato da questi pensieri, nacquero più gravi difficoltà della cosa notata a parte.

                Posso in coscienza mandare questi chierici in Seminario alla Scuola? Mi; sembra di no. Finora andavano, ma con timore di rovinare tutto lo spirito della nostra Società.

                Ho dato un cenno di questo anche a Mons. Berardi; egli esaminò bene la cosa e poi scrisse che si poteva tentare l'approvazione della Società e che a tale uopo mi fossi procurato qualche commendatizia degli Ordinari che in peculiare maniera usufruttano di questa istituzione. Ella in Roma ha esaminato tutto e saprà precisamente quale sia la volontà del S. Padre e del Card. Quaglia, e quindi darmi un paterno consiglio, che io seguirci senza fare il minimo riflesso.

                Noi in questa casa conserviamo la più viva memoria di V. E. ed ogni giorno facciamo preghiere al Signore, affinchè la conservi lunga serie di anni per il bene della Chiesa e per la maggiore gloria di Dio.

                A nome di tutti chiedo la sua santa Benedizione, e dimandando benigno compatimento alla confidenza che ho usato in questa lettera, ho l'alto onore di potermi professare colla più sentita gratitudine

                Della E. V. Rev.ma

                Torino, 9 settembre 1868.

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI BOSCO.

 

                PS. Le fo umile preghiera di salutare da parte mia l'ottimo D. Pellegrino e la rispettabile famiglia di V. E.

 

 

                ERRATA.                                            CORRIGE.

                pag. 330 e 331: Cornalense             Cornalese

                pag. 115 in nota: case                       cose romane



[1] BOISSIER, Mme de Sévigné Hachette, p.155. Paris, Hachette, 1896

[2] Non abbiamo alcuna ragione di credere che anche le biografie siano state scritte da Don Bosco; anzi lo stile sembra quello di Don Durando. Nella loro eloquente semplicità sono edificantissime. La personale conoscenza che tutti avevano degli estinti, avrebbe sconsigliato chicchessia dalle amplificazioni laudatorie. Si possono unite ad altri documenti comprovanti la sodezza della pietà religiosa che informava gli antichi figli di Don Bosco. Il Beato soleva rivedere gli scritti de' suoi, quando toccassero cose dell'Oratorio della Congregazione

[3] Vol. V, pag. 388 e seg.

[4] VOL 1, pag. 293

[5] Proc. inform. Summ., pag. 324, n. 409

[6] Noto che da prima non disse il Signor Don Bosco se la voce fosse d'uomo o di donna, ma sul fine disse precisamente: - Io mi volli alzare per vedere chi fosse Colei che mi aveva parlato. - Allude manifestamente alla Madonna. (Nota del segretario)

[7] App., Doc. 1

[8] Lett. di Mons. Moreno, 7 agosto 1875, e postilla di Don Bosco in lett. del Teol. Chiuso, 9 agosto. Finora, per quante ricerche siansi fatte, di quei Primi numeri non è stato possibile rinvenire neppur un esemplare.

[9] Non abbiamo rinvenuto nè originali nè copie di queste due lettere, il cui tenore si arguisce facilmente dalle relative risposte.

[10] Lett. 2 e II giugno 1875.

[11] App., Doc. 2

[12] Lett. del segret. Teol. Chiuso, 29 luglio 1875

[13] Lett. 2 agosto 1875.

[14] In quanto che avrebbe fatto diminuire le elemosine che si raccoglievano per lo scopo ivi accennato

[15] Data la possibilità dì un Istituto interdiocesano per la preparazione di chierici appartenenti a più diocesi, veniva meno uno dei motivi accampati per iscongiurare minacciate soppressioni di seminari diocesani: il motivo cioè che essi erano tutti egualmente necessari alla formazione del clero locale

[16] Lett. del Teol. Chiuso, segret., 5 agosto 1875

[17] Lett. del Teol. Chiuso, 9 agosto 1875

[18] Lett. a mons. Vitelleschi, io agosto 1875. La stampa si fece presso la tip. Saccone

[19] Lett. del Teol. Chiuso, 11 agosto 1875

[20] Lett. citata

[21]S. E. m'incarica di dirle, che esso dà il suo consenso alla detta opera vi avrà anche quello di tutti indistintamente i suoi suffraganei se si appongano esplicitamente queste due condizioni: 1° Che i giovani da ammettersi nel detto collegio abbiano Compiuto 20 anni. 2° Il Collegio sia sempre sotto l'alta sorveglianza dell'Arcivescovo e dei due Vescovi più anziani, nel cui seno esso sarà aperto ” (Lett. 11 agosto).

[22] Nel 1875 Don Soldati, canonico onorario e pro - direttore del seminario, una domenica facendo la conferenza del mattino a tutti i chierici e spiegando un capo dell'Imitazione, colse il destro per parlare del rispetto dovuto all'Arcivescovo e dell'educazione data in certi istituti, dove si distoglievano i giovani dall'obbedienza al superiore ecclesiastico e dall'aggregarsi alla diocesi, con iscandalo e detrimento del clero. Non nominò Don Bosco; ma gli uditori intesero benissimo ove andasse a parare e n'ebbero sgradevole impressione.

Infatti, durante la ricreazione del pomeriggio, nella camerata degli anziani, caduto il discorso sulla conferenza, l'assistente Don Berrone, che era stato educato nell'Oratorio, invitò i chierici a dividersi in due gruppi: gli ex - allievi di Don Bosco, intorno a lui, e gli altri in disparte. Di 38 presenti, 35 circondarono l'assistente.

Pregatili di restare così un momento, andò a chiamare il superiore, dicendogli che urgeva la sua presenza nella sala degli anziani. La bellamente gli fece notare quanti di loro soli Don Bosco avesse dati alla Diocesi.

Il canonico parve alquanto confuso, tanto che li assicurò non essere stata sua intenzione di offenderli. Soggiunta qualche altra parola di scusa, si ritirò.

Testimonio del fatto fu Don Augusto Amossi, fattosi poi salesiano e morto all'Oratorio nel 1926.

[23] Lett. 15 agosto 1875

[24] Un gruppo di 27 lettere, venute in potere del Teol. Giuganino durante la dispersione della biblioteca del defunto Teol. Chiuso e passate poi nel nostro archivio, ci permettono di colmare parte delle lacune che tuttora esistono nella corrispondenza di Don Bosco con l'Ordinario e con la Curia

[25] Cronachetta manoscritta di Don Barberis (23 gennaio '76)

[26] Lett. al Santo Padre, 12 aprile '75

[27] Lett. al card. Berardi, 12 aprile '75

[28] Lett. al card. Berardi, 15 aprile '75

[29] Lett. 16 aprile '75

[30] Lett. a Don Bosco, 16 aprile '75

[31] Lett. al Santo Padre, 18 aprile '75

[32] Lett. al Santo Padre, 18 aprile '75

[33] Così è avvenuto. Dopo la guerra, per esempio, anche in Francia, in Germania e altrove sono sorti istituti di tal genere per opera di zelanti Pastori

[34] Cron. citata. febbraio '76

[35] Cron. citata, settembre '75

[36] Cron. citata, 27 marzo '76

[37] LUC., XII, 48

[38] Vuol dire che anche i più mediocri per ingegno non si lasciano vincere da difficoltà

[39] App., Doc. 3

[40] Cron. di Don Barberis, 1° ottobre 1876

[41] Infatti nel numero del 23 agosto si era letta questa nota a un articolo sulle Missioni Salesiane in Patagonia: “ L'Unità Cattolica è sempre piena d'affetto e di venerazione verso Don Bosco, e sa che in ogni suo operare lo muove solo la gloria di Dio, l'amore alla Chiesa ed al Papa ed il desiderio di guadagnar anime a Gesù Cristo. Noi ci riputeremo fortunatissimi ogni qual volta potremo favorire col nostro giornale le sue venerande apostoliche fatiche ”

[42] Lett. al card. Bizzarri, 25 agosto 1875

[43] Processicolo o Positio super dubio etc., 1921, pag. 126.

[44] Lett. a Don Barberis, 10 novembre 1876

[45] Cron. di Don Barberis, 6 dicembre 1875

[46] Il P. Grisar S. I. in Die Katholischen Missionen di Friburgo pubblicò nel 1915 vari articoli sulle Missioni dei Salesiani di Don Bosco che raccolti in volume formano una solida monografia. Cfr. Boll. Sal., ottobre 1915, pag. 305

[47] Per il 1° programma, cfr. Vol. X; per gli altri due, App., Doc. 4 C 5

[48] Cron. di Don Barberis, 19 febbraio '76

[49] Boll. Sal., agosto 1880, pag. 9

[50] Boll. Sal., agosto 1886, pag. 4

[51] Boll. Sal., marzo 1878, pag. 3

[52] Lett. 16 aprite 1875

[53] Pag. 36

[54] App., Doc. 6

[55] App., Doc. 7

[56] Lett. del Teol. Chiuso, segret., 16 luglio 1876

[57] Lett. 2 agosto, 1876

[58] Eccli., L, 1

[59] Lett. del card. Berardi a Don Bosco, 9 gennaio 1875

[60] Lett. citata.

[61] Lett. del card. Berardi a Don Bosco, 16 gennaio 1875

[62] Chi scrive, ebbe questa notizia da persona molto autorevole, testimone del fatto. La medesima persona, in assenza del direttore Don Barberis, paventando le possibili conseguenze di una probabilissima visita minuziosa alla Casa e non volendone portare la responsabilità, stimò prudente eclissarsi e far scomparire le chiavi degli ambienti principali.

[63] Lett. del card. Berardi a Don Bosco, 9 gennaio 1875

[64] Lett. del medesimo a mons. Fissore, medesima data.

[65] Lett. di monsignor Fissore a Don Bosco, 14 gennaio '75

[66] Cron. di Don Barberis

[67] Cfr. Lett. di Don Bosco al card. Berardi, 28 febbraio '75

[68] App., Doc. 8

[69] Lett. di mons. Fissore a Don Bosco, 7 marzo '75

[70] Lett. del procancelliere can. Caviani, 18 aprile '75

[71] Lett. del 26 e 27 aprile '75

[72] App., Doc. 9

[73] Proc. apost., Sup. Viri., Summarium, pag. 738, § 27

[74] Processo apost. sopra citato, pag. 731, § 10; pag. 736, § 20. Si veda anche in App., Doc. 10, la nobile deposizione della contessa Lorenzina Mazé de la Roche, nipote di mons. Gastaldi

[75] App., Doc. 11

[76] La lettera non è datata; ma il suo contenuto non permette di collocarla altrove

[77] Sac. G. VESPIGNANI. Un anno alla scuola del Beato Don Bosco, pag. 105. S. Benigno Canavese, 1930

[78] Cfr. Cronaca delle Case Romane nella Civiltà Cattolica

[79] Cfr. GIRAUDI, L'Oratorio di Don Bosco, pag. 266

[80] Ossia: è compito vostro di eseguire questo. Sopra, con “ Costui è de' miei ” a proposito di De Vecchi, alludeva scherzosamente alla propria età avanzata

[81] I professori universitari Bacchialoni e teol. Roda insegnavano rispettivamente greco e matematica ne liceo di Valsalice

[82] Lemoyne, Mem. biogr., VI, pag. 393 - 6

[83] LEMOYNE, Mem. biogr., VIII, pag. 304

[84] Perchè i lettori più giovani si facciano un'idea della fobia antipapale che allora dominava i dirigenti dell'opinione pubblica, riprodurremo qui una lettera scritta da Giuseppe Garibaldi a Carlo Blind, scrittore ed agitatore politico tedesco, nell'aprile del '75]

 

                “ Mio caro amico,

 

Credo che non esista in tutto il mondo una nazione così poco cattolica come l'Italia. Il Governo e le classi colte affettano una devozione al cattolicismo che non esiste. Quanto alla massa del popolo, essa non crede per nulla al cattolicismo e nelle chiese papali non vedete che vecchie bigotte. Sarebbe per ora assai difficile ottenere dal Governo e dalla maggioranza della Camera un decreto che ci liberasse dal Papato. Tuttavia siate intimamente convinto che la gran maggioranza della nazione italiana simpatizza colla Germania nella sua energica guerra ad oltranza contro il gesuitismo in tutte le sue forme ”. (Cfr. Unità Catt., 13 aprile 1875)

[85] Con gl'interni dell'Oratorio e degli altri collegi egli sommava anche i giovani che frequentavano assai numerosi gli oratori festivi

[86] Leggi, monsignor Gastaldi. Nel febbraio Don Berto seppe che il Cardinale Segretario di Stato aveva detto di esserne ormai “ stufo ”

[87] Qui Don Bosco intendeva dire che col card. Berardi essi potevano parlare liberamente di ogni cosa

[88] Le due pratiche cioè che dipendevano da lui per la concessione dei privilegi e per la facoltà delle dimissorie assolute

[89] Come sopra, si allude all'Ordinario torinese

[90] Vuol dire della Commissione Cardinalizia, nominata da Pio IX per esaminare le regole e poi la domanda dei privilegi. Se ne riparlerà

[91] Intendasi, di libri

[92] Che cioè non mette soggezione

[93] Si dà questo nome ai minutanti presso le Congregazioni Cardinalizie. I minutanti sono segretari che preparano le prime stesure di lettere, brevi o atti di cancelleria

[94] Gateau, italianizzato inutilmente da molti in gatò per dolce, focaccia, schiacciata, sfogliata ecc. ”, secondo i casi. Il 18 maggio l'avv. Menghini scriveva a Don Bosco: “ Riprendo la lettera dopo pranzo, in cui ho avuto l'onore di avere in compagnia i due ottimi rettori G. B. Lemoyne e G. Bonetti. Prima dei frutti è comparsa un'improvvisata di squisita zuppa inglese che è stata una lontana previsione e graditissimo pensiero di lei: - Evviva D. Bosco, si è acclamato da tutti, il quale in mezzo a gravissimi pensieri sa calcolare anche le più piccole circostanze ”

[95] Probabilmente perchè alquanto corrivo ad attaccar bottoni

[96] Spedizioniere apostolico, al par del signor Sigismondi. Spedizionieri sono ufficiali che attendono alla spedizione dei brevi, rescritti e bolle, emanati dalla cancelleria, dataria e penitenzieria apostolica e dalla prefettura dei brevi

[97] Lett. di Don Lemoyne, App., Doc. 12

[98] Giovane sacerdote, nel 1823, andò al Chilì come uditore del delegato pontificio mons. Muzzi. Sbarcati a Buenos Aires, attraversarono le Pampas e le Cordigliere, e giunsero a Santiago dopo stenti d'ogni fatta

[99] CHIALA, Da Torino alla Repubblica Argentina, pag. 20 - 8. Torino, Tip. Sal., 1876

[100] App., Doc. 13

[101] Is., V, 2: Sepivit eam et lapides elegit ex illa... et aedificavit turrim in medio eius

[102] Per questo capo, oltrechè dei documenti citati di mano in mano o riportati nell'Appendice, noi ci varremo di 15 lettere del sommista Menghini e di 6 di mons. Fratejacci, tutte inedite, scritte fra l'aprile e il dicembre del '75

[103] Cfr. c. Il, pag. 23

[104] Cfr. e. VIII, pag. 158

[105] APP., DOC. 14, 15, 16

[106] Ecco chiaramente spiegato il senso di quelle parole della seconda supplica al Papa (Doc. 15), dove dice che oggi è prudenza multa lacere, sed non patefacere

[107] Erano i seguenti, tutti ben conosciuti nella Congregazione: 1. Albano Stefano da Verolengo (Ivrea); 2. Borio Erminio da Canelli (Acqui); 3. Mazzarello Agostino da Mornese (Acqui); 4. Cassini Valentino da Varengo (Casale); S. Farina Carlo da Valle Lomellina (Vigevano); 6. Riccardi Antonio da Porto Maurizio (Ventimiglia); 7. Campi Giuseppe da Mornese (Acqui); 8. Beauvoir Giuseppe da Torino; 9. Leveratto Giuseppe da Genova; 10. Pesce Luigi da Fontanile (Acqui);11. Villanis Giuseppe da Torino.

Supplicavano per la dispensa dell'età: ch. Albano Stefano per 16 mesi; ch. Borio Erminio per 18 mesi; ch. Riccardi Antonio per 16 mesi; ch. Farina Carlo per 12 mesi

[108] Lett. 10 agosto '75

[109] Lett. 10 agosto '75

[110] Lett. 15 agosto '75

[111] Avrebbe dovuto farne domanda con apposita istanza. (Lett. di mon signor Vitelleschi, 10 agosto '75

[112] Riccardi, Borio e Farina

[113] Oltre i precedenti, Cassinis e Leveratto

[114] Attribuita dal Relatore erroneamente a Don Bonetti

[115] Lett. di Don Bosco a mons. Vitelleschi, 10 agosto '75

[116] Si legga la lunga lettera nell'Appendice, Doc 17

[117] Lett. di Menghini a Don BOSCO, 26 settembre '75

[118] App., Doc. 17 Cfr. anche Doc. 18 e lettera di Menghini a Don Bosco, 26 settembre '75

[119] App., Doc. 19

[120] Lo riferiamo sulla testimonianza di Don Giuseppe Vespignani, che l'ebbe da buona fonte

[121] Vie spirituelle, luglio - agosto 1929, pag. 2181. In Gerarchia (luglio 1929, pag. 574) abbiamo letto un articolo intitolato “ La pedagogia di un

Santo italiano ”, che finisce così: “ La famiglia salesiana ha davanti a sè un campo vasto, con poche leggi scritte: ma, in cambio, uno spirito e un esempio ”.

[122] Lett. a Pio IX, 9 aprile '75

[123] Presente al fatto era Don Giuseppe Vespignani, che l'ha narrato a chi scrive

[124] P. GIRAUDI, L'oratorio di Don Bosco, pag. 197 - 8. Torino, Soc. Ed. Int., 1929

[125] Allude ai portici dietro il coro di Maria Ausiliatrice (Cfr. pag. 208)

[126] Il Tribunale di Torino con sentenza 4 ottobre 1873, lo condannò alla multa di £. 3500 “ colla sussidiaria del carcere in caso di non effettuato pagamento e alle spese ”. La Corte d'Appello con sentenza 16 febbraio 1875 ridusse la pena a £. 1500 più metà valore del quadro - premio, confermandone il sequestro e revocandone la confisca. Fu condannato anche alle maggiori spese. All'appello Don Bosco comparve in persona del causidico Giacinto Pipino; relatore della causa il giudice avv. Dedominici. Don Bosco vi è sempre nominato con la qualifica di Cavaliere, perchè realmente nel '52 gli fu conferita la Croce di Cavaliere dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro (LEMOYNE, Mem. biogr., vol. IV, pag. 489)

[127] App., Doc. 20

[128] Questo periodo è trascritto dall’avv. Menghini in una sua lettera a Don BOSCO, 26 agosto '75

[129] Al R. Ginnasio “ Monviso ” si presentarono candidati anche dagli altri Collegi di Don Bosco. Eccone i risultati:

Provenienti dal Collegio di Lanzo            candidati   11 licenziati   9

                “              “              Varazzo   “              7              “              6

                “              “              Alassio    “              6              “              5

                “              “              Borgo S.Martino“    5              “              5

                “              “              Valselice  “              4              “              4

[130] Il superbo tappeto, logoro dal tempo e dall'uso, faceva ancora mostra di sè appena due volte all'anno, nelle feste dell'Immacolata e di Natale. Quest'anno l'abile solerzia delle Figlie di Maria Ausiliatrice l'ha ripulito e rammendato in modo, che sono riapparse le straordinarie bellezze del lavoro

[131] VESPIGNANI. l. c., pag. 34

[132] Termine piemontese: “ allocco ”

[133] Da un brano di lettera del sullodato Ordinario, citato in una dell'avvocato Menghini a Don Bosco, 8 settembre '75

[134] Il povero Gaia, divenuto pazzo, fu dovuto chiudere nel manicomio verso la fine di marzo del '76

[135] VESPIGNANI, l. c., pag. 225 - 6

[136] Cron. di Don Barberis, 25 marzo 1876

[137] I Cor., XIII, 4

[138] Lett. a Don Lemoyne da Santiago, 20 dicembre 1898

[139] Positio super dubio: An adducta contra Ven. Servum Dei obstent, quominus in Causa procedi possit ad ulteriora. Roma, Poliglotta Vaticana, 1921

[140] OV., Trist., I, I 261: Una causa cattiva diventa, col difenderla, peggiore

[141] Così denominavasi semplicemente la signora Francesca Armonico, l'ultima donna che convisse con Giuseppe Garibaldi.

[142] Lett. da Pianezza, 20 giugno '75

[143] Durante la muta precedente il Beato aveva fatto alcune conferenze, tre delle quali, più o meno sommariamente riprodotte, abbiamo trovate nei quaderni di Don Giulio Barberis. Le pubblichiamo nell'appendice (Doc. 21)

[144] Verbali delle deliberazioni capitolari dell'Oratorio, 31 ottobre 1875

[145] App., Doc. 22

[146] Lett. di Don Bosco al teol. Chiuso, 7 novembre '75. Nella seconda lettera all'Ordinario quel “ manda copia, ecc. ” va inteso, non contemporaneamente alla lettera stessa, ma come un “ manderà ”. Infatti nella citata lettera dei 7 novembre leggiamo: “ Riguardo alle monache, potendosi effettuare un oratorio per le povere ragazze, io mi accingo al lavoro, trasmettendo al medesimo Mons. Arcivescovo copia delle regole loro, appena mi sia stata mandata copia ”

[147] App., Doc. 23

[148] Ved. testo latino in App., Doc. 24

[149] Lett. del teol. Chiuso a Don Bosco, 31 ottobre '75

[150] Lett. del teol Chiuso a Don Bosco, 5 novembre '75

[151] Lett. di Don Bosco al teol. Chiuso, 7 novembre '75

[152] Che era addì 10 novembre

[153] CHIALA. I. c., capo V

[154] App., Doc. 25 C 26

[155] La festa del Patrono del collegio di Borgo S. Martino era stata trasportata. Il 13 (sabato) il Beato aveva scritto a Don Bonetti: “ Se mai si facesse giovedì prossimo [18] la festa di S. Carlo, farò in modo di trovarmi. In caso affermativo scrivimi per telegrafo, affinchè io non mi prenda altro impegno ”

[156] Il ch. Allavena e il coad. Gioia, fecero il viaggio per terra fino a Marsiglia; a motivo dell'età non potevano avere il passaporto... la lettera è senza data; ma è del 16, perchè appunto il 16 era martedì.

[157] Allude a un articolo in cui si descriveva la funzione della partenza, comparso nel numero 266 (14 novembre). Ved. App., Doc. 27

[158] App., Doc. 28

[159] Lett. da Sestri Ponente a Don Rua, 4 dicembre '75

[160] Chiesa e scuole di M. A. nei Piani di Vallecrosia, Sampierdarena, 1880 (opuscolo anonimo, con pochissime notizie delle origini). - Boll. Sal., aprile, 1901 (un art. sul 25°). - Documenti d'Archivio, fra cui ved. App., DOC. 29

[161] Acta Pii IX, vol. V, pag. 67

[162] App., Doc. 30

[163] L'Unità Cattolica la pubblicò nel num. 25, (1° febbraio) 1876

[164] Lett. del Vescovo a Don Bosco, 24 del '76

[165] Lett. a Don Bosco, da Ventimiglia, 11 del 1875 (sic).

[166] L'asilo evangelico di Vallecrosia e le scuote di Don Bosco. Risposta agli articoli del Bollettino Salesiano

[167] Unità Cattolica, num 284, 5 dicembre 1875

[168]Tutti ” cioè quei di Casa. Cappellano era il confratello coadiutore

[169] App., Doc. 31

[170] Santuario della Madonna, nella diocesi di Nizza. Fervevano intorno ad esso gravi controversie nel clero e altrove. Ne riparleremo nel vol. XII. Anche ciò che dice nei numeri 7° e 8° si riferisce a questo spinoso affare

[171] Vorrebbe anche sulle ferrovie di Francia biglietti di riduzione

[172] SANCTI HIERONYMI, De viris illustribus liber singularis, Vitae S. Pauli primi eremitae, S. Hilarionis eremitae, Malchi monachi et epistolae selectae, cum adnotationibus Joannis Tamietti sacerdotis, politior. litt. doct., Augustae Taur., 1875

[173] App., Doc. 32

[174] App., Doc. 33

[175] Piemontesismo, umoristicamente: “ sgridarti ”

[176] Fase. 707, pag. 607 (1879), fasc. 633, pag. 340 (1876)

[177] Nel '75 il Beato, di nuovo, pubblicò soltanto un volume delle Letture Cattoliche. Questa lettera deve riferirsi alla prima parte di detto volume. Avremo da parlarne prima che finisca il presente capo

[178] Don Lemoyne (M. B., vol. VI, pag. 535), basandosi sui registri, che noi non possiamo più consultare perchè disgraziatamente mandati al macero, dice che dal '70 il numero degli associati oscillò sempre fra i dodici e i quattordici mila. Tanto ci è confermato da autorevoli testimonianze orali. In questi ultimi anni c’è stato un forte tracollo, a cui ora si cerca di rimediare

[179] Rescritto della Sacra Penit., 10 agosto 1875

[180] Lett. 17 maggio 1877

[181] Lett. 19 maggio 1877

[182] De Servorum Dei beatif. et canon., 1. II, c. I: Textus Concilii loquitur de miraculis sanctorum, qui tantum Pie in Domino mortui sunt, necdum vero a Sancta Sede beatificati aut canonizati

[183] Lett. 26 giugno 1880

[184] APP., Doc. 34

[185] Anche il card. Martinelli gliene scrisse elogi (Cfr. pag. 194).

[186] Lett. 20 novembre '75

[187] Lett. 5 dicembre '75

[188] Lett. 20 novembre '75

[189] Lett. 17 dicembre '75

[190] Lett. 24 dicembre '75

[191] Qui, come altrove, le parole in corsivo sono quelle sottolineate negli autografi di Monsignore, da noi posseduti.

[192] Non siamo riusciti finora a rintracciare queste lettere

[193] Esposizione del sac. Gio. Bosco agli Eminentissimi Cardinali della S. Congregazione del Concilio. S. Pier d'Arena, Tip. Sal., 1881

[194] App., DOC. 35

[195] Lett. 30 dicembre '75

[196] App., Doc. 36

[197] Lett. 5 dicembre '75

[198] Lett. 28 dicembre 1875

[199] Lett. 9 gennaio 1876

[200] La fiamma viva dell'amore, C. 2; Milano, Lega Eucaristica

[201] Lett. 26 novembre 1874

[202] Citando a memoria, scambiava giornale: non uno di Torino, ma l'Opinione di Roma scrisse così (pag. 474 e 498).

[203] Inf, XXII, 14 - 5

[204] Positio super introd. causae, Summarium, pag. 533, § 70

[205] Fino a questi ultimi tempi “ Berthoulla ”

[206] Il rev. Mandillo vive tuttora a Cava dei Tirreni, molto stimato per il suo zelo e spirito sacerdotale

[207] AI Beato Don Bosco. Omaggio del Collegio di Borgo S. Martino, pag. 26, Casale Monferrato, Unione Tipografica Popolare, 1930.

[208] Vita di Eugenio Ricci della Compagnia di Gesù, scritta da un padre della medesima Compagnia. Speirani, Torino, 1875

[209] Pubblichiamo nell'Appendice, Doc. 37, quattro lettere, da cui si rilevano i particolari del loro arrivo nella Capitale dell'Argentina

[210] Lett. 17 dicembre 1875

[211] Lett. da Nizza Marittima, a Don Lemoyne, 25 marzo 1888

[212] Si ricevono anche oltre i trent'anni, purchè abbiano già fatto qualche corso letterario

[213] Postilla: “Finora niun chierico, niun prete che abbia appartenuto alla Diocesi o seminario di Torino, fa parte della Congregazione Salesiana”

[214] Postilla: “Si prega a dire il nome di un solo!”.

[215] Postilla: “Ciò non è contrario alla libertà delle vocazioni religiose?”

[216] Postilla: “Nemmeno uno”.

[217] Postilla: “Casi ipotetici”.

[218] Postilla: “Perchè non nominarne uno solo?”

[219] Postilla: “Siccome non ne ha preso in passato”.

[220] Postilla: “Di uno che accettato dal Vescovo di Albenga fu collocato in una delle nostre case momentaneamente per torlo di mezzo di una strada”

[221] Postilla: “Se tutti gli istituti sono approvati colla prova dei voti triennali, può un vescovo rifiutare a costoro le ordinazioni? In fine è il vescovo che debba giudicare se uno abbia la vocazione religiosa?”

[222] Postilla: “Parmi che tutte le pretese sovra esposte ledano essenzialmente i sacri canoni che vogliono tutelare la libertà delle vocazioni religiose

[223] È il Breve che si può leggere qui sotto (Doc. 24)

[224] Fra allora studente. Divenuto chierico e fatta la professione triennale, andò poi in seminario

[225] Ho insegnato “a rampicare ai gatti”

[226] L'originale proviene da Sondrio

[227] Questo signor Boassi Andrea pare fosse un agente segreto del Governo od un convertito dalla Massoneria, il quale veniva spesso a visitare Don Bosco e gli dimostrava venerazione, stima e confidenza, e Don Bosco lo trattava bene anche per indurlo a pensare un poco all'anima sua. (Nola di Don Berto, segretario particolare del Beato)

[228] Il Beato presentò questa supplica per mezzo del sig. Giorgio Curcio, Capo gabinetto del ministro. La copia che noi abbiamo è senza data. Il signor Curcio rispose al Servo dì Dio

[229] Provenivano dall'eredità Belletrutti (cfr. e. XXIII)

[230] Allude al suo opuscolo intitolato: Il Centenario di S. Pietro e alle relative controversie (LEMOYNE, Mem. Biogr., vol. VIII, da pag. 639 a pag. 886, passim). Ciò che dice del libro su S. Giuseppe ci giunge nuovo. È il fascicolo di marzo 1867 delle Letture Cattoliche, intitolato: Vita di S. Giuseppe, Sposo di Maria SS. e Padre putativo di Gesù Cristo, raccolta dai più accreditati autori, colla novena in preparazione alla festa del Santo. Vi premette una bella prefazione, riprodotta dal LEMOYNE (VOI, VIII, pag. 568)

[231] Don Pellegrino era allora segretario particolare di Sua Eminenza fu poi Rettore di questo Seminario e morì Vescovo di Assisi (N. del Num.Un.)




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