CENNI ISTRUTTIVI DI PERFEZIONE

 

PROPOSTI A' GIOVANI DESIDEROSI DELLA MEDESIMA NELLA VITA EDIFICANTE DI GIUSEPPE BURZIO

 

DAL SAC. FELICE GIORDANO

O. DI M. V.

 

Operetta specialmente utile agli alunni d'ambi i Cleri.

 

 

 

TORINO

DALLA STAMPERIA DEGLI ARTISTI TIPOGRAFI

1846.

 

 

[è premesso alle opere ristampate solo parzialmente]

 

 

 

INDEX

Protesta dell’autore  2

Libro secondo. Cenni istruttivi di perfezione proposti nella vita chiericale di Giuseppe Burzio. 3

Capitolo primo. Giuseppe veste l'abito chiericale. Quanto ben gli calzasse quest'abito dall'averne tutti i contrassegni di vocazione. 3

Capitolo II. Giuseppe entra nel seminario arcivescovile di Chieri. Riconosce l'ingresso in seminario, quale una grazia speciale di Dio. 3

Capitolo III. Delle cautele di prudenza usate da Giuseppe nel soggiorno in seminario. 4

Capitolo IV. Degli studii di Giuseppe nel seminario. In qual modo attendesse a'medesimi. 7

Capitolo V. Allo studio debbe aversi la pietà collegata. Così Giuseppe. 9

Capitolo VI. Della pietà di Giuseppe nel governo di se medesimo. 9

Capitolo VII. Segue della pietà di Giuseppe nel governo di se medesimo; si dice in ispecie della sua chiericale modestia. 11

Capitolo VIII. Pietà di Giuseppe nel suo tratto col prossimo. 14

Capitolo IX. Pietà di Giuseppe relativamente a Dio. 17

Capitolo X. Si discorre intorno allo spirito ecclesiastico di Giuseppe. 19

Capitolo XI. Come Giuseppe si governasse nelle vacanze. 23

Indice. 24

 


Protesta dell’autore

 

            Per soddisfare a'decreti emanati dall'Apostolica Sede, protesta l'autore, di non pretendere a questo suo scritto, altra fede, che quella fondata meramente sopra l'autorità umana, sottoponendolo in tutto al giudizio della santa romana Chiesa, di cui si dichiara di voler vivere e morire obbedientissimo figliuolo.

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S'invocano dall'Editore i privilegi accordati dalle leggi.

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Libro secondo. Cenni istruttivi di perfezione proposti nella vita chiericale di Giuseppe Burzio.

 

Capitolo primo. Giuseppe veste l'abito chiericale. Quanto ben gli calzasse quest'abito dall'averne tutti i contrassegni di vocazione.

 

            Giuseppe Burzio che fin da' più teneri anni, come vedemmo, sentivasi trarre a Dio colle forti non meno che soavissime funicelle dell'amor suo, giunse finalmente a salutar quel dì sospirato che segnar gli doveva il principio d'una vita tutta di Dio, siccome tutte di Dio sarebbero le cose a cui senza più l'avria richiamato incessantemente l'abito chiericale.

            Ad appagar questo sprone di perfetta unione con Dio, che già da anni punzecchiavagli il cuore, aveva ben egli già sperimentato un interno presentimento {93 [3]} uscendo Giuseppe per via, vi fu uomo che pel gran concetto si avanzò a baciargli la mano, onde egli forte adontato lo riprese dicendo: « queste esser cose che « non con sè ma sì col paroco doveansi praticare ».

Addetto dunque alla sacra milizia, ad altro più non pensò fuor che a compiere que' sentimenti di alta e giustissima idea che se n'era da prima formato, dandosi applicatamente alla vita spirituale, a cui godea di poter attendere di proposito, come a sacro dovere, mentre per lo innanzi sembravagli d'esservisi adoperato solo furtivamente.

            Or, come si mantenesse fedele e costante a'suoi impegni con Dio, si vedrà dal seguito che siamo per riferire.

 

 

Capitolo II. Giuseppe entra nel seminario arcivescovile di Chieri. Riconosce l'ingresso in seminario, quale una grazia speciale di Dio.

 

            A ripigliare il racconto, venuta l'epoca dell'Ognissanti, trasferivasi Giuseppe Burzi o in Torino ad oggetto di venire in uno de' tre seminarii di codest'arcidiocesi assegnato. A lui, come aspirante alla filosofia, toccò quel di Chieri, dove entrò pieno l'animo d'un santo ardore d' informar se medesimo a tutte quelle parti che debbono fregiar un levita, onde possa un di cuoprir degnamente le pertinenze altissime del ministero. {94 [4]}

            L' ingresso in seminario non fu per lui un atto indifferente o tampoco di mera necessità, ma quale una grazia del Cielo lo ravvisò; siccome grazia ella è veramente il participare a' beni di questi recinti di ecclesiastica disciplina, dove non solo v'è riparo da' pericoli che talora nelle case secolari s'incontrano, ma dove anzi siete come legato a far bene, sì dall'indirizzo di savi regolamenti, si dall'accurata istituzione con che, a norma del Tridentino, venite scorto ad ogni dover dello stato, ed a questo quasi sospinto da tanti mezzi corroborati dalla vigilanza de'superiori, e dall'esimia pietà de'medesimi, che con ottimo discernimento sempre si pongono eletti tra mille da poter essere in omnibus exemplum bonorum operum, secondo l'Apostolo, e giusta il voler di Pietro, forma fatti gregis ex animo.

            Grazia tale codesta, che, trafficandola come può e deve qualunque levita, non puossi a meno di ripor, tarne abbondantissimo frutto. Verità che dall'esperienza in tanti vien dimostrata, i quali, se non sono tutti, bassi da riputare ad accidia e mala volontà di alcuni che infra un gran numero ognor ritrovansi, i quali non volendo usar degli aiuti, che quivi sono, non è meraviglia se non ne hanno la salutare influenza; non già da ascriversi sempre, come talora, a difetto de' seminarii, vedendo riuscirne uno scapestrato, quasi che manchi ognora in essi la debita disciplina e possan quindi fomentare il disordine (cosa che affermar non potrebbesi senza ingiuria al Tridentino, di cui lo spirito dee presiedere a siffatti stabilimenti. e senza oltraggio a questa trepida, e tra le cure de {95 [5]} vescovi, meritamente la prima). Per lo più non è la disciplina che manchi, ma sì pur troppo vi sono di quelli che alla disciplina ivi prescritta o apertamente rifiutansi, o celatamente la sdegnano, adempiendola così in apparenza qual mezzo necessario al fine intento, ma in realtà senza spirito e senza amore, onde ne partono senza sapere che sia vita mortificata, vita interiore; in somma, privi del precipuo scopo disciplinare, l'istituzione della mente e del cuore.

            Or di, che uno manchi dal lato suo, nè si dia pena, quanto è in sè, per far fruttare in ispirito i mezzi che vengongli somministrati; con tutta la vigilanza de' superiori ei rimarrà, se non peggio, un sepolcro imbiancato.

            Non così poteva avvenire a Giuseppe, il quale, entrato appena nel seminario di Chieri, e' fu il 2 novembre del 1840, subito appalesò quanto fosse verace e sincero il suo proposito di nulla tramettere che gli potesse far rendere abbondevolmente le due grazie testè ricevute, quella cioè dell'abito sacro or dianzi vestito, e questa singolarmente del luogo di analoga istituzione, che adesso aprivagli Providenza.

            «Fin dal suo entrare in seminario » (così un testimonio oculare qual fu il molto reverendo Don Giovanni Bosco, studente allora e prefetto nel prelodato seminario e sacerdote ora in Torino, direttore di fervente comunità. A questi siam debitori d'una prolissa notificazione sopra la vita tenuta dal Burzio in seminario, e questa di lui notificazione, assieme a tre altre graziosamente forniteci, l'una dal rettore degnissimo di quel seminario, l'altra da un tal Giacomelli {96 [6]} prefetto che fu della camerata di Giuseppe ed ora sacerdote al Convitto ecclesiastico di Torino; e la terza da un intimo di lui compagno di scuola e di sentimenti: somministrerà interamente il fondo al nostro discorrere circa quella sua dimora.

            Ritorniamo alle interrotte parole: «Fin dal suo  primo entrare in seminario dimostrò chiaramente l'alta idea della vocazione da lui abbracciata, ed il a suo fermo proposito di volersi in quella abilitare a e santificare, tanto s'appigliava egli con ardore a ed accudiva con diligenza ogni mezzo che ad un tal fine lo potesse condurre».

            Ma come questa sua ferma deliberazione conducesse egli praticamente ad effetto, sarà pregio dell'opera il farne cenno, per singulo, ne' seguenti capitoli, a vantaggio per avventura di chi si trovasse per anche in grado di poterla e volerla imitare.

 

 

Capitolo III. Delle cautele di prudenza usate da Giuseppe nel soggiorno in seminario.

 

            Chi entra nuovo in un seminario, sembra che due cose debba attendere principalmente, e sono:

            La prima, d'entrar ben addentro nello spirito, o vogliam dire nel fine del suo ecclesiastico tirocinio, a poter così conformarvi, quant'è da sè, ogni pensiere ed azione.

            La seconda, di star sull'avviso contro certi ostacoli {97 [7]} che, inciampandovi dentro, l'impedirebbero dall'ot tenere il fine anzidetto.

            Le regole d'un seminario ne abbraccian la vita e lo spirito: or queste non hanno nè possono avere altro fine da quello comunicato loro dalla Chiesa medesima net Tridentino, di formare cioè gli alunni al doppio rilevantissimo scopo che ne adegua la vocazione, vo' dire alle lettere e alla pietà.

            Dall'osservanza di tali regole, come dall'osservanza dell'ordine in ogni corpo sociale, pende tutto il bene dell'ecclesiastica disciplina; ma non è sempre che dall'instabile gioventù a ciò si rifletta, tuttochè l'impegno a compiere tale scopo sia creduto sì necessario negli aspiranti, che chiunque non volesse rassegnarvisi non verrebbe giammai accettato.

            Che Giuseppe si fosse pienamente di tale spirito rivestito, si ha dal vedere che tutti i suoi andamenti fino ad apice a quello conformava.

            «Dal mattino alla sera (così la precitata notificazione) non si trovava indicazione nell'orario, a cui non fosse puntualissimo. Ad ogni articolo del regolamento dava la più grande importanza, e tutto con eguale esattezza e fedeltà osservava; ed in ciò procedeva libero e sciolto, operando per coscienza, senza mai esimersi o rallentare per qualche umano  riguardo». Fin qui la notificazione.

            Ma per quanto siano grandi e reali i vantaggi de' seminari, non è però, in secondo luogo, che vadano esenti da certi scogli che l'umana debolezza suole suscitare nelle istituzioni anche più predare e più sante. {98 [8]}

            Felicissimo perciò quel levita, che, avendo occhi di colomba per riconoscere i beni sommi racchiusi nel suo tirocinio, solamente che sappia giovarsene; non manca poi dell'avvedutezza del serpe a premunirsi da' scogli nascosti a fior d'acqua, che nel porto medesimo potrebbero delle volte presentare il naufragio e la morte.

            Il primo scoglio da guardarsi è quello d'imbattersi in qualche reo compagno pervertitore che d'iniquità si faccia mezzano. Egli è caso in buona fortuna raro, non però ipotetico, che entrato uno, angioletto per l'illibatezza del cuore, sia tornato quindi un demonio per l'influenza malefica d'un seduttore collega, che, a dispetto della più gran vigilanza de'superiori, gli fe'bere il veleno o per un mal discorso ovver per un libro empio conservato fra le tenebre, ed alle più severe indagini trafugato.

            Ma il nostro novello chierico che in mente aveva fresco il monitorio ribaditogli le tante volte da' religiosissimi suoi precettori nel secolo, e da lui in ogni tempo osservato, di sommamente guardarsi da'mali compagni; quivi medesimo fu circospetto nel trattar co'suoi pari, schivandosi se non dagli apertamente scorretti, di che non v'era occasione, al certo da quelli che nel far loro non dimostrassero ecclesiastico spirito.

            Che se con bel garbo sapea cessarsi dal far lega co' non esemplari, era poi accortissimo nel far scelta di qualche sozio, di cui le doti gliel presentassero un vero amico secondo Dio; il qual procedere non è già fomentare certa particolare amicizia, che, perchè {99 [9]} fondata solo in natura, condannasi in chi vive collegialmente; ma sì procacciar l'amicizia stessa di Dio, che per sì fatto vincolo di cristiana carità perfezionasi, e cui niuno riprova, dicendo lo Spirito Santo: Qui timet Deum, ceque habebit amicitiam bonam[1]. Cum viro santo assiduus esto[2]. Amico fideli nulla est comparatio[3].

            Tanto appunto viene assicurato di lui nella notificazione or or mentovata. Eccone le parole: «Con bella maniera o piuttosto con prudente avvedutezza si scansava da que'chierici, i quali ne' loro andamenti mostrassero poco spirito ecclesiastico e, sceltisi due o tre colleghi del medesimo corso e del medesimo genio, con questi procurava di trattenersi e di animarsi a vicenda nello stato intrapreso».

V'è altro scoglio nella convivenza de' chierici in seminario, contro cui frangesi talora una virtù anche robusta; quest'è un duplicato rispetto umano: l'uno in ordine a'compagni, l'altro in ordine a'superiori. Quello porta sovente ad ogni genere di rilassatezza e questo assai volte, ad un'abbominevole ipocrisia; e sì il primo che il secondo tien degli ordigni celati, difficilissimi da strigarsene.

            Dichiarisi un levita per un' aperta profession di bontà, mentre dimora nel seminario, e tosto contro gli si scaglierà la batteria degli umani riguardi, che {100 [10]} a guisa di saette acutissime, cercheran penetrargli nel cuore e stornarlo, quando con burle quando con motteggi ed ora con dicerie (talvolta ancor calunniose), non risparmiando rincrescevoli appellazioni, verbigrazia d'impostore, di spia, ed altri nomacci. Lo che, se è proprio solo degli impudenti, convien dire, che tanto e tanto vi partecipano in proporzione non pochi, che mostrando del rimanente appariscenza di virtù, perchè scevri da sconcerti notabili, non ne hanno poi la sodezza per confessar nella pratica la santità della sublime loro destinazione; anzi quasi arrossendone, sotto varii pretesti, almeno esternamente la deridono in que' che hanno il coraggio di portare scoverto in fronte il marchio della reverenda lor vocazione, e delle cento arriva il più delle volte, che arietata la volontà dagli impeti replicati di queste macchine infernali, se non cade affatto giacente, alla men triste diviene assai languida ed infiacchita nel bene intrapreso.

            Da questa miseria ne conseguita un'altra, che mentre non si ha forse nè punto nè fiore di perfezione propria dello stato, si studia di farla pur travedere agli occhi de'superiori. In questa, una morale di nuovo conio, e al tutto comodissimo si adotta, in cui sta scritto, che l'infrangere questo e quell'articolo del regolamento, l'omettere or l'uno or l'altro dovere (supponi della preghiera ovver dello studio), che il formar crocchi e combriccole per eludere su qualche punto la volontà o la vista di chi regge; che il rubacchiare ogni comestibile a cui possa con qualche frode pervenire la mano, sono cose tutte da non ingerirsene {101 [11]} scrupolo, rimettendosi ad un canone firmato forse da Satana; essere tutti questi argomenti (purché la si possa far franca), cose lecite ad un seminarista, se non anche oggetto di gloria. Del resto, basta salvar le apparenze, e ad ogni legger passo che si apprenda vicino il superiore, subitamente si affetterà un esterno sacrificato dall'adempimento incessante delle obbligazioni raccomandate.

            Oh i delusi! che così usando, più che non i superiori, ingannano se medesimi con quella maschera di ben posticcio, che di reale altro non ha che il marcio interiore d'una sordida ipocrisia.

            Giuseppe rimase trionfante di tali ostacoli; per ciò, ch'egli da gran tempo gettato avea nella virtù sode radici, ed operava al cospetto di Dio, a cui solo miravano non che le azioni, i pensieri. Nè da qualunque umano riguardo lasciavasi impigliare od illanguidire ne'suoi doveri.

            Che se a lui non mancarono certe molestie sensibilissime per parte de'condiscepoli, siccome noteremo a suo luogo, ei lasciavasi dire, nè per ciò torse mai piuttosto a sinistra che a destra.

            Del che se ne ha formale attestazione, dicendosi, come già sopra, che « Giuseppe operava per coscienza senza mai esimersi o rallentare per qualche umano riguardo ».

            E poco appresso, descritta per minuto la condotta irreprensibile di lui, vien detto, che «fossero poi o non fossero presenti i superiori, il pio procedere di lui era invariabilmente lo stesso, poiché ben si può dire che ambulabat coram Deo». {102 [12]}

            Un terzo scoglio, da cui si guardò, quello fu della leggerezza e della troppa famigliarità e diffusione cogli stessi amici, qual sarebbe, exempli grazia lo schernirsi a vicenda, l'urtarsi, il corrersi dietro folleggiando, o altro tale atto d'inconvenevole dimestichezza che rende l'uomo insipido come liquore che hai lasciato incautamente senza coperchio, ed ha perduto ogni miglior suo brio.

            Levato via il ritegno della mutua stima, la quale debb'essere sempre indivisibil compagna del vero umore, rimane il cuore svadato e disciolto ne'suoi affetti, svanisce ogni buon sentore di virtù, e dentrovi in cambio si annidano le specie della scioperatezza, del fatuo, del ridicolo, e di queste si spargono, lasciamo stare i ricreamenti, ma gli stessi sacri doveri che esigono la maggior gravità e la più santa apprensione; senza parlare d'altri sconcerti che ingenera un tal procedere, quali sarebbero dileggi, mormorazioni, e talora anche maggiori pericoli.

            Una giusta via di mezzo fu quella che tenne Giuseppe: col suo discreto e dolce contegno ricreava chiunque usasse con lui; all'occasione però possedeva una somma destrezza per sottrarsi, semprechè s'eccitassero delle melensaggini e scipitezze.

            Ma del quanto e del come ei si guardasse da questo anche troppo generalissimo scoglio, verrà l'acconcio ancor di parlarne, toccando della sua modestia.

            Tali furono, siccome sempre nel seguito, le prudenziali cautele che adoperò fin dal primo esordire la sua carriera nel seminario, ed in queste come in altre confermossi via più in que'pochi giorni di spirituali esercizii, {103 [13]} che ad ogni anno scolastico si soglion premettere, in cui si aggiungono in proposito stimoli ed avvisi i più efficaci e stringenti, sia per rimovere i cherici da quegli ostacoli che il corso di lor cultura contrasterebbero, sia ad affezionarli a que'mezzi che avrannosi in mano, capaci di ottenergli perfettamente lo scopo del loro assembramento, eminenza in pietà ed in lettere.

            Il buon giovane, uso a seguir gl' impulsi che lo scorgessero a virtù, gran profitto ritrasse da quel sacro triduo, rafforzando l'idea già concepita della santità di sua vocazione, e l'impegno di provedervi con porne sode le fondamenta.

 

 

Capitolo IV. Degli studii di Giuseppe nel seminario. In qual modo attendesse a'medesimi.

 

            Uno de'più sacri doveri nella carriera ecclesiastica, non v'ha dubbio, esser quello di attendere intensamente allo studio, solo ed unico mezzo a procacciare quel corredo di debita scienza, che mancando, sarebbe vana lusinga il poter compiere la vocazione nel suo scopo, di non pure glorificare Iddio con l'edificazione di se medesimo, ma e con quella de' prossimi.

            Egli è mio precetto, intimò Dio nel Levitico, e precetto questo, antico e nuovo, e senza eccezione duraturo, che tutti i figli di Levi facciano d'aver la scienza voluta a dovere un dì giudicar rettamente tra'l profano {104 [14]} ed il santo: Proceptum sempiternum est in generationes vestras.... ut habeatis scientiam discernendi inter sanctum et profanum, doceatisque filios Israel omnia legitima mea[4].

            Guai però nella nuova legge a quel levita, che di tal dovere troppo più importante, che nell'antica, un oggetto se ne fa di non curanza o di noia, e così abitualmente il trascura; che per ciò solo andrà parare assai male, siccome quegli che il marchio si meritò della solenne riprovazione fulminata da Dio contro simile negligenza: Quia scientiam repulisti, repellam te, ne sacerdotio fungaris mihi[5].

            Giuseppe apprendeva il dover dello studio, quale un'obbligazione strettissima del suo stato, e tutte di fatto le attestazioni ci manifestano, coni' egli ingegnavasi d'adempirla con massima sollecitudine.

            Quanto alla sostanza de' studii a farsi, ed egli cercavala, applicandosi a ciò, che Dio di presente da lui volea, e quindi unicamente ne' libri postigli in mano da' professori, a' quali cordialmente atteneasi. Nel che sfuggiva il mal vezzo, con che talora parecchi, i quali, più vaghi di ostentare fronde lussureggianti, che non di raccfir frutti maturi, dato un bieco e languido sguardo al proprio trattato, ch'esser dovrebbe il libro principalissimo; non san tenersi dallo svolazzare per questo e per quell'altro ramo geniale di letteratura, forse nemmeno ecclesiastica, se non anche pregiudiziosa. Miseri! che per siffatta guisa {105 [15]} divenuti quali que' stomachi sempre sdegnosi, nè mai capaci di cibo sodo, per ciò che dalla moltitudine e diversità degli intingoli son gravemente spossati, ad ogni vena di umano sapere appressan le labbra presuntuose, ed avutone un leggerissimo sorso, la faran da saccentuzzi in un crocchio di giovani inesperti; ma così versati in mille studii, senza il possesso di uno, resteran le più volte digiuni intorno a quello che formar dovea il pascolo principalissimo e cotidiano.

            Non è mai, che alcuna scienza s'acquisti, sfiorando ad un tempo, e delibando più libri, nè so, chi per questa via vi perverrebbe, chè già Pluribus intentus, minor est ad singula sensus.

            Meglio fia l'adagiarsi nella gran sentenza dell'angelico dottore, che, ricercato un dì del come fare per divenir molto dotto, ed egli: Leggendo un sol libro[6].

            Nè solo gli studii di Giuseppe erano nella sostanza quelli, che Dio volea da un pari suo, ma ciò che più fa, venivano da lui coltivati nel modo appunto, chelddio da lui ricercava, vo' dir con impegno, con costanza, e con ispirituale profitto.

            L'impegno del nostro chierico allo studio non poteva non vedersi in quel suo custodire con una specie d'avarizia tutti que' tempi, che ad applicazione scolastica son consacrati, come altresì in certo suo zelo per tutti quegli esercizii scientifici, che con gran vantaggio degli alunni, abbondano ne' seminari. {106 [16]} Siccome ancora, in quel suo voler utilizzare su'tempi stessi, che ad onesto ricreamento sono concessi, ne' quali, se già non era entrato in materie spirituali, immancabilmente studiavasi di elaborare a vicenda, con qualche sozio, l'ingegno, svolgendo alcun punto di scuola.

            Anzi, era ito tant'oltre questo suo desiderio di compiere, il meglio che in sè fosse, uno scopo tanto precipuo del seminario, quello d'avvantaggiar nelle lettere, che tolse a frodare dagli occhi il necessaro riposo per consacrarlo alle veglie sopra i Trattati; nel che, a dir vero, fu più incauto che consigliato; nè è già, che quest'ultimo suo trovato si rechi in mezzo ad esempio, che anzi, siccome una menda, lo condanniamo, perciocchè dannoso, non che alla salute, all'esito felice ed abbondante dello studio medesimo. In riguardo di cui deesi preferire un'applicazione diligente sì, ed intensa, ma ad un tempo da certi limiti circoscritta, conforme prudenza. Per tal modo gli spiriti vitali non si vengono violentando, e lo studente trovasi più atto d'assai alla percezion delle cose, e meglio a portata di ben afferrarle e ritenerle senza tema d'indigestione (la quale ha pur luogo ne' pascoli letterari), e per giunta, senza dispendio della sanità, come dovette costare a Giuseppe questa sua immoderazione, dal ritrovarsi il suo fisico già assottigliato di troppo dalla seria applicazione del giorno.

            L'eccesso d'applicazione, tuttochè ne' giovani si trovi rarissimo (mancando anzi i più per difetto) ad ogni modo è da guardarsene in tempo, da che, secondato l'eccesso, trapassa alle volte in passione, difficilissima {107 [17]} da sbarbicare, per certa speciosità di che vestesi, nè più riconosce alcun freno, finché giaccia vittima di se stessa, qual si vede in ingegni arrestati a mezza carriera, intisichiti ed inetti ad ulteriori incombenti del ministero.

            Giuseppe aggiugnea ne' tempi di studio uno speciale raccoglimento di tutti i sensi, e per tal via veniva egli potentemente aiutato ne'suoi progressi; essendo un gran vero, che un animo facile a spandersi fuori in leggerezze ed inezie, mai non potrà nelle scolastiche specolazioni addentrarsi.

            Così riconcentrato in se stesso, dava un assoluto addio ad ogni altro pensiero, fino alla brama di trattenersi con Dio nell'orazione, cui più non permetteasi che a quando a quando, a foggia di fugace scintilla, pel mezzo di aspirazioncelle e giaculatorie brevissime.

            Non solamente però, erano gli studii di lui animati d'impegno, col non perdonarla a mezzo veruno di fatica, d'industria, di consiglio, ma erano per secondo continuati, che è quanto dire sostenuti dalla costanza.

            Giacche non era in lui quella mania degli infingardi, di rimandar alla prossimità degli esami, l'attuarsi di proposito ne' gravi studii, da'quali poi, per la immaturità loro, non traggono che paglia inutile, capace forse ad illudere col suo volume, non già ad arricchire, perché vuota nelle spighe di solide grana.

            Il suo studiare non era a salti, ma continuato, e sebbene al principio dell'anno si corrucciasse alquanto dal vedersi non affatto veloce, quanto avrebbe {108 [18]} desiderato, nel percorrer lo stadio de' filosofici studii, non però si smarriva, ma si implorava con più d'ardore l'aiuto dall'Alto, d'onde, più che dagli umani sforzi, ne può derivare il dono della sapienza ed intelligenza.

            Il perchè, da questa sua costanza, in modo speciale benedetta da Dio, giunse a segnare sul finir dell'anno singolari progressi. Lo che tutto ritroviamo a verbo indicato nella notificazione già menzionata, là dove, seguitando, così si esprime:

            «Sollecito quant' altri mai ne' doveri di studio, grandemente li amava, e faceva ogni suo possibile per profittarvi; impiegava tutto gelosamente il tempo dedicato a'medesimi, non vagando mai sopra altri libri, che non fossero quelli di scuola: volontieri partecipava a' circoli, ossia esercizii scientifeci della sua classe, e li animava del suo concorso; dove nelle dispute, se era commendevole per l'amore ed ansia che manifestava della verità, lo era anche più per quella discreta e rispettosa moderazione che osservava nel sostenerla.

            Nelle ricreazioni amava pure di avere con chi il laminarsi ed esercitarsi in materie scolastiche. Qualora poi qualcheduno proposta avesse materia indifferente, egli si contentava di udire gli altri a discorrere; che se la materia concerneva cose di studio o di pietà, tosto si vedeva allegro e prenderne parte.

            Nello studio comune non si vedea mai neghittoso (giacche l'ozio gli era affatto sconosciuto). Quivi postosi in un raccolto atteggiamento, e fissata la mente ad una applicazione la più intensa, attendeva solo a {109 [19]} se stesso, di modo che, avvenendo chi disturbasse con chiacchiere o altre leggerezze, egli pareva che nemmeno se ne avvedesse, alzando neppure gli occhi, chi a veder ciò che si fosse; la sua avversione poi al diffondersi fuori in cose inutili, l'abito di stare in raccoglimento e l'osservanza del silenzio ne' tempi debiti, credo che non poco giovassero a facilitargli, come si vede, i notabili suoi progressi ». Fin qui la relazione.

            Finalmente furono da lui coltivati gli studii, non solo senza danno allo spirito interiore, ma con positivo profitto; e ciò egli ottenne, dando sopra gli studii la precedenza a quell'altro scopo che è tanto precipuo d'un seminario; l'informarsi ad una specchiata pietà. E questo, come fosse da Giuseppe lodevolmente adempito, si vedrà ne' seguenti capitoli.

 

 

Capitolo V. Allo studio debbe aversi la pietà collegata. Così Giuseppe.

 

            Per quanto deciso sia in un Levita l'impegno alle scienze, scompagnato dalla pietà non gli basta, e corre anzi pericolo di averne una scienza che gonfia, come parla l'Apostolo, capace di levare in alto, con solo il mal pro, di sporre a caduta più rovinosa.

            Siccome del pari, la pietà sola in un chierico, dalla scienza, per lo men sufficiente, disgiunta, non {110 [20]} è bastevole che a farne un semplice eremita; e al tutto inutile tornerebbe per lui l'ecclesiastico ministero; quindi è, che solamente l'accordo di questi due pregi può intrecciar al Levita una perfetta corona. Vero è però, che a' molto studiosi avvien d'ordinario, che la sottigliezza delle speculazioni di scuola ruba fuormisura l'applicazione dell'intelletto, per cui la volontà meno si sente inchinare agli esercizi pietosi, e pian piano viene ommettendo, o trascurando i mezzi della divozione, con grave danno allo spirito.

            Una tale facilità che hanno i coltivatori delle lettere, d' essere soverchio tratti al desco delle medesime, in pregiudizio della perfezione, portò l'Angelico ad asserire, la divozione albergar per lo più ne' petti semplici e idioti, e che di raro ne' dediti alle scientifiche disquisizioni. Aggiunse per altro, esser pur pure in mano degli amatori della vera sapienza, il poter essere ad un tempo divoti, e in alto grado divoti, quando alla scienza avessero unita grande umiltà, e ad esempio delle anime semplici, studiato si fossero di tener alla divozione aperta la vena, colla stima e fedeltà alle pratiche religiose[7].

            Non è quindi poca lode pel nostro Giuseppe l'aver, con grande armonia, riunite in sè due doti, cui l'umana fralezza difficilmente comporta che vadano perfettamente accoppiate, impegno grande agli studii, e premura ancor più sollecita della pietà.

            Ad eccitare quest' ultima, era a lui di mestieri {111 [21]} la pratica non interrotta de' mezzi a pietà, a così risvegliare, e tener ognor viva e desta la fiamma d'un santo fervore; ad una tal pratica egli generosamente si attenne, e questa noi vedremo sotto un triplice aspetto; il primo nel governo di se medesimo, il secondo nel tratto col prossimo, ed il terzo nell'unione con Dio.

 

 

Capitolo VI. Della pietà di Giuseppe nel governo di se medesimo.

 

            Un chierico, che si fa exprofesso seguace di Gesù Cristo, dee troppo più, che non il semplice cristiano, adempire la condizione di tal sequela coll'annegamento di se medesimo, conforme all'invito del Salvatore: Qui vult venire post me, abneget semetipsum. Sarebbe quindi un intollerabile vitupero a chi, gloriandosi d'aver assunto uno stato che induce il predicar un Dio crocifisso, avesse la cristiana mortificazione, quale una voce barbara od ignota, sì che, ad un'occasione di tollerarsi in pace alcun chè afilittivo de'sensi, e subito brontolando si dimenasse, e solo, come tiratovi a forza, si suggettasse.

            Eppur, tanto avviene a colui, che nella sua ecclesiastica istituzione non cominciò a signoreggiare se stesso, contrariando sue voglie, e riportando vittorie sopra l'amor disordinato di sè, perciocchè e' sarà un arbusto, cui a suo tempo non si raddrizzò a dovere, perciò, così cresciuto, divenne affatto restio {112 [22]} ed indocile, che un miracolo riputerebbesi il fargli mutar direzione.

            In opposito, gran tesoro procaccia chi da' primi anni va aggiogando le sue passioni, ed avrà l'uso fatto di maneggiar l'arme potenti di Dio contro le imboscate che non lasciano di tramargli, mondo, carne, demonio!

            Il solo regolamento di un seminario, quando venga da un chierico, sì come da Giuseppe, perfettamente adempito in tutte e singole sue parti, è di tal natura, da formare, più che non pare, materia sufficientissima di esterna non meno che interiore mortificazione.

            L'avere ogni ora del dì ad un'occupazione, che forse non si vorrebbe, legata; balzar per tempissimo dal proprio letto nel verno; fra giorno, meditazioni ed altri esercizi non pochi, a pietà consacrati; prolissità di ore decretate allo studio. Aggiungi la smania giovanile di libertà, ammorzata dalla suggezione continua, senz'accennare alla moderazione del vitto; e quanto agli stessi necessari sollievi, la limitazione di tempo, di qualità e di modo, ed altri parecchi punti disciplinari, che giusta lo stretto debito di cui incumbe, vengono incessantemente zelati: sono cose tutte, le quali, sebbene talora giacciano scritte senza badarvisi più che tanto, nel caso però di loro perfetta osservanza, esigono grande annegamento di se medesimo, e manifestano nel suggetto un animo trionfator di se stesso, che la norma del suo operare non da'sensi ha tolta, ma sì dalla retta ragione, ciò che è un dirlo mortificato. {113 [23]}

            In questo particolar genere di mortificazione nel comandar a se stesso, rompendo in ogni occasione le voglie della natura, si rese sopra modo distinto il nostro Giuseppe, mentre tale e si fatta era la premura, la puntualità, la costanza, unitamente a certa amenità e grazia, con che ogni articoletto del regolamento ed ogni particella de' suoi doveri adempiva, che non solo (qual s'esprime il rettore di quel venerando seminario) giammai non porse argomento minimo a'superiori di dispiacenza; che anzi, di questi, con quella sua esattezza e soavità di maniere, avea provocato una speciale attenzione e benevolenza, per modo, che ne gioivano dentro, preconizzandolo giovane delle più liete speranze, da dover riuscire col tempo un ministro ottimo del santuario.

            «Ed in questa (segue a dire il mentovato rettore) che coll' irreprensibil condotta e coll'esattezza a' doveri scientifici di cui (sono sue parole) diede onorifico saggio alla metà e sul finire dell'anno, guadagnavasi l'affetto de'superiori, sapea, senza compromettersi con questi, farsi amare, e stimar da' compagni, i quali nel loro gran numero giammai non poterono rilevargli anche una leggerissima trasgressione».

            Il complesso adunque di quelle azioni che in un seminario vengono precettate, essendo, come accennammo, un freno continuo alla natura; sì par chiaro, che facendole egli tutte e singole con lo spirito loro proprio, e con alacrità e retta intenzione, ciò esser non potea fuorchè l'effetto di molta virtù, e d’un singolare dominio acquistato sopra di {114 [24]} sè, mediante la pratica dell'interiore mortificazione.

            Comparve ancora quanto nel suo operare e' fosse alieno dal secondar le tenerezze della natura, nello abbracciar con ispirito generoso, e con volontà dichiarata, la pena che sentesi in dover tollerar certe cose incomode ed a'sensi contrarie. Era pe'colleghi un punto notato di edificazione ugualmente e di maraviglia, vederlo sempre uguale a se stesso, allegro e sereno, senza una parola mai di lamento o corruccio, sia intorno all'esigenza de' superiori, ovvero alla lunghezza degli studii, o alla moltiplicità degli atti pietosi; siccome nè mai del poco solazzo, oppure delle vivande, quasi fossero scarse o non bene ammannite. Difetti, quanto facili a commettersi da chi vive collegialmente, altrettanto perniziosi, siccome quelli che pongono il germe ad abitudini non periture, di dare ascolto alle rivolte dei sensi, e così amar l'ozio, gli agi, fuggir la fatica e menar treni di lamentazioni ad ogni presentarsi di qualche penalità o disagio.

            All'interiore governo delle passioni aggiunse l'esteriore di tutti i suoi sensi.

            Di tutto, che al necessario loro sollevamento, nei seminarli è concesso, servivasi con molta moderazione, e per quanto da lui dipendeva, senza infrangere le comuni obbligazioni, cercava sempre d' immolarne una parte in sacrifizio a Dio.

            Quindi fu, che raro facea parte in que' divertimenti, che dopo mangiare vengono a'chierici accordati, preferendo più presto una modesta conversazione, {115 [25]} in cui meschiando l'utile col dolce, le forze non meno che l'animo veniva ricreando.

            Qualora poi per convenevolezza o condiscendenza, in che molto abbondava, a qualche giuoco si associasse, sfuggiva i clamori, gli schiamazzi, le gare, e per quanto fosse vivace, sapea a suo luogo cedere bellamente la propria ragione, per non ledere il troppo maggior ben della pace, e non iscemare giammai il lustro d'una virtù sommamente da lui apprezzata, e che de'solazzi esser dee sempre inseparabil compagna, l'eutrapelia.

            Ma quanto avesse egli dal ricreamento de' sensi l'animo distaccato, e per istudio di mortificazione positivamente anzi li reprimesse, si scôrse allora, quando, partitosi per alla volta di Chieri, e consegnatogli dallo zio un valsente proporzionato, perchè alla prima e miglior pensione del seminario si allogasse; egli, appena veduto che tenevasi una seconda, più modica e ristretta, a servigio de' chierici necessitosi; di moto proprio, senz'altro impulso che la gratitudine allo zio, e più, la brama di formarsi una occasione cotidiana a mortificare la gola; a quest'ultima s'accomodò fino allo spirare dell'anno.

            Intorno al quale operato, racconta lo zio, come non senza sua commozione e dolce sorpresa, rivenuto poi il nipotino Giuseppe, ne' tempi autunnali, a villeggiare seco lui alcun tempo, mentre gli altri giovani, reduci da'seminari o collegi, portano per lo più a'parenti note e memoriali per debiti qui e colà contratti, e non sempre da vera necessità giustificati, ed egli una somma cospicua presentavagli fedelmente {116 [26]} di franchi ben circa ottanta, prezzo della volontaria rinunzia a quelle comodità, di cui tutto l'anno avea appo di sè il mezzo a poterne fruire.

            Alla mortificazione della gola quella accoppiò della lingua. Quindi nella notificazione, che abbiamo detto, si vede anche per ciò commendato, perchè il silenzio, in tutti i debiti tempi prescritto, accuratamente osservava. E quando era tempo da poter parlare, sapea contenersi con quei modi che or ora vedremo della sua modestia. Ed è pure un gran vero anche questo, ma disconosciuto per lo più dalla giovinezza, che a ben parlare, o vogliam dire, a frenarsi nella volubilità della lingua è necessario prima l'aver imparato a tacere.

            Indizio ancora non fallevole di mortificazione de' sensi, egli è il governo degli occhi, massime se lo si abbia in abito derivato.

            Quanto l' instabilità e leggerezza degli occhi manifesta fondatamente nel chierico uno spirito mondano, diffuso, svagato, e talora anche peggio; tanto la composizion de' medesimi imprime l' idea d'un chierico, pieno di spirito interiore, raccolto, virtuoso.

            Segnalatissimo ei si rese per questa parte; di fatti, venendoci descritta la sua modestia, s'incontrano a questo proposito le seguenti parole: « Notevole sopra modo era la sua modestia degli occhi in qualunque circostanza; massime uscendo fuori del seminario per la passeggiata o altro: ma in chiesa poi, o nelle processioni l'avresti detto un angelo, per quel suo semplice e divoto contegno degli occhi ».{117 [27]}

            Mortificazione questa degli occhi, che non estragge dalla cute il sangue, ma a Dio piacesse, che venisse anche sola da tutti i Leviti con fedeltà praticata; che chiuse per tal modo le porte a' fieri ladri di certi oggetti esteriori, non mai avrebbero a lagrimar col Profeta d'essere stati, per la libertà degli occhi, nell'anima depredati!

 

 

Capitolo VII. Segue della pietà di Giuseppe nel governo di se medesimo; si dice in ispecie della sua chiericale modestia.

 

            La virtù della modestia che, conforme la definizion dell'Angelico, ha per ufficio di governar le membra e le azioni esteriori dell'uomo, avendo tra le altre virtù spiccato singolarmente in Giuseppe, ci corre dovere di accennare distintamente alle gemme, che risplendettero in questa sua corona.

            Ed in prima, per ciò che è degli abiti, era egli assai positivo; che, anche questo, al dire dello Spirito Santo, è un presagio delle qualità buone o ree dell'uomo. Amictus corporis et ingressus hominis, ertuntiant de illo[8]. Guardavasi ad un tempo dal rivestir abiti laceri o sconci, siccome da quelli, che per poco tenessero del profano, o nel colore, oppur nella forma. {118 [28]}

            Il gesto avea assai poco, ma regolato sempre da certa tinta di maturità e naturalezza. Le mani e le braccia non lasciava dondolar spenzoloni, indizio di fatua spensieratezza; nemmeno dimenavasi della persona o contorceva le spalle.

            E questa composizione di tutto sè, non solo in chiesa o in tempi di funzioni, ma nello studio osservava, e fin nella propria camera (quand'era a casa).

            Abborriva poi sommamente, nel gesto, ogni minima libertà; di qui è, che conteneasi dal metter, come talora si pratica per istolido affetto, le mani sopra la persona de' compagni; nel che se altri difettava in riguardo suo, incontanente schermivasi con molta risolutezza, di che abbiamo attestazione formale in queste parole:

            «Era nel tratto cortese ed amorevole con tutti, ma succedendo che qualcheduno, per quelle sue graziose fattezze, volesse fargli de' vezzi sopra le spalle od il volto, egli tutto adontato, lasciami, dicea, lasciami stare, e intanto subito spiccavasi di colà».

            Per quel che è del camminare, un giusto mezzo tenea, schifandosi dal puerile, dal frettoloso, dal lento. Oltra ciò, non lasciavasi andar al prurito di correre ogni volta che fra giorno un' occasion si presenti di muovere; così nè anche a quell'altro solletico della gioventù, di volteggiar leggermente la testa da questo lato e da quello.

            Nella sostanza poi, e nel modo de' suoi parlari, egli è forza il dire che resesi perfetto esemplare. Tuttochè di naturale gaio ed allegro, non piacevasi {119 [29]} di quelle puerilità e di certe facezie,che non s'addicono ad un chierico. Fremeva dentro, se udiva pronunziarsi parole a doppio senso, o di maldicenza o di mordacità contro qualche prossimo, massime se superiore.

            Nè solamente la sua lingua non isdrucciolava in discorsi mali, o non del tutto dicevoli; che anzi per lo più non entrava fuorchè in materie positivamente commendevoli, verbigrazia, di studio ed anche più spesso di spirito; lo che ben dice, di quale abbondanza fosse ricolmo il suo cuore.

            Come nella sostanza, così nel modo di parlare procedeva temperatissimo. In oziose parole, di cui sta scritto doversi render conto al divino giudizio, ei guari non inciampava; perciocchè, avendo ben imparato a tacere (che è via secondo S. Tommaso a saper parlare), non difettava per troppa loquacità, in cui raro è che le oziose parole, l'una dopo l'altra, a guisa delle ciliegie, non si succedano.

            E converso, siccome avea l'animo a soavità e gentilezza inchinevole, la nota non incorreva di selvatico o di misantropo, schivandosi dall'altro eccesso di troppa taciturnità ne' tempi in cui è bello di parlare a sua volta.

            In somma, questa virtù dovunque menava seco indivisibil compagna, e per poco non dissi che onninamente se l'avea insanguinata. Talchè ogni suo fare vestiva un ammanto grazioso, naturale e celeste, che rapiva il cuore; ciò che è proprietà esclusiva della vera virtù.

            Gl'influssi di questa virtù, che parve nell'animo di {120 [30]} Giuseppe aver fissata sua sede, trasparivano in lui e nelle cose sue per ogni verso.

            Se il vedevi allo studio, alla ricreazione, al diporto fuori di casa, od al refettorio, ovvero alla cappella, od in chiesa, notavi che ogni azione, propria di quel tempo e di quel luogo, prendeva una tinta proporzionata all'indole di quella, svariata si, ma conducente ad un compitissimo tutto.

            Fin lo studiolo ed il letto suo nel camerone, spiravano fragranza di questa virtù, mentre in quello non ogni cosa di scritti e di carte lasciava qua e là gettate alla ventura, e questo ultimo non rilasciava abbandonato, come talora dagl' indolenti, a foggia di canile; ma sì l'uno che l'altro, con gran destrezza, teneva in dicevole assetto; il qual procedere è pur un segno d'animo ben ordinato, cosa assai apprezzabile in un Levita, in quanto che, se l'esperienza non falla, chi nel suo chiericato lascia le cose sue andar al disordine, l'indole stessa porterà poi nelle appartenenze del ministero; giacchè raro egli è, che diversamente riescasi dal fondo di naturale, formatosi nella ecclesiastica istituzione.

            Ne' capelli stessi vedeasi la modestia del Burzio; portandogli al tutto corti circa la fronte, ed alcun che prolissi verso le spalle.

            Menomezze parranno queste non producibili in mezzo, quando non fossero rese importanti dalla miseria di alcuni, a cui s' intende giovare, i quali indossando un abito il quale dice un solenne addio alle vanità del secolo, apertamente smentisconlo portando nel volto i segni di leggerezza, con quel {121 [31]} crine o acciuffato nel vertice, o ben condotto sui polsi.

            In una parola; della modestia del nostro chierico avrebbe bastato il dire ciò che sta scritto nella notificazione di lui, e che riferiremo nelle precise parole tra poco; che nel Burzio veniva al vivo rappresentata tutta intera quella modestia, cui il Tridentino vien pennelleggiando minutamente, nel desiderio di stamparla nel cuore di tutti i chiamati nella sorte del Signore.

            E perchè sur ogni parete di dimora ecclesiastica meriterebbe quel testo di sfolgorare a caratteri colossali, comunque notissimo, non tornerà affatto inutile il porne ancor qui la lettura.

            Sic decet omnino clericos in sortem Domini vocatos, vitam, moresque suos omnes componere, ut habitu, gestu, incessu, sermone, aliisque rebus omnibus, nil nisi grave, moderatum, ac religione plenum prceseferant.

            Levia etiam delicta, quae in ipsis maaima essent, effugiant, ut eorum actiones, cunctis afferant venerationem.

            Modestia sì rara e compita, veniva in lui singolarmente promossa dalla fuga del mondo, o più veramente da tutto che sapesse di mondo; chè chi alle cose esteriori leggermente affezionasi, in quelle diffonde i suoi sensi, nè mai potrà esser modesto.

            Cosi ancora l'alto concetto che aveasi in mente scolpito dell'ecclesiastico stato, e l' intima persuasione di dovervi, a tutta sua possa, corrispondere, formavangli continuo uno svegliarino, non che alla {122 [32]} mente, a tutti i sensi, di vigilanza e moderazione.

            A questi mezzi efficacissimi di modestia chiericale, aggiugni quello spirito della divina presenza, che, com'è detto già sopra, presiedeva alle sue operazioni. Spirito, che raccoglie la via più compendiosa, non pure a rendersi in questa della modestia, ma in ogni altra virtù, quanto è lecito ad uomo, perfetto.

            Senza nulla qui accennare alla tenerissima divozione a Maria Vergine (ciò che sarà d'altro luogo), che consistendo precipuamente nella pratica imitazione di tutti i celesti suoi modi; non è a dire aiuto potente ch'ei n'ebbe in favore di questa virtù, cercando ognora di farne in se stesso più fedele ritratto.

            Non è da preterire un bellissimo mezzo da lui praticato, che meglio degli altri, chiaro ci appalesa la realtà dell'impegno suo pel progresso e perfezionamento di questa virtù.

            Il mezzo fu quello di sommettere sè, ed ogni azion sua, all'occhio attento di savio ammonitore.

            Indirizzatosi in fatti da certo suo collega e confidente del medesimo carattere, intavolò un trattato amichevole, pregandolo che volesse ogni suo procedere analizzar sottilmente, e vedendolo difformar la menoma cosa dalle regole della più esatta modestia, ed egli, coli' autorità e libertà di ammonitore ed amico, fedelmente gliela notasse senza risparmio; che quella avrebbe avuta squisitissima carità.

            Tanto appunto ci venne comunicato da quel collega medesimo, che pregato da Giuseppe, passò con {123 [33]}  lui tale officio di osservarlo bene in tutto, e di appuntamelo, se qualche menda gli fosse sfuggita.

            Esempio questo degnissimo d' essere imitato da chierici, e da chiunque intenda di cuore, non che alla virtù della modestia, alla perfezione evangelica,

            Ma pur troppo, se la giovinezza è sì sdrucciolevole al difettare, sventuratamente è schiva d'ammonizione, la sola che ripiegar la potrebbe a norma del retto!

            Imperò, non è a stupire, che essendo sì perfezionata la modestia di Giuseppe, fruttasse a'colleghi quale una predica non interrotta, che nel suo silenzio, alto gridava a'sensi di ognuno, perchè migliorasse, restandone Iddio glorificato, e così, adempito il precetto di Cristo, che alcuno, se tocca, al certo un Levita: Sic luceat lux vestra coram hominibus, ut videant opera vestra bona, et glorificent Patrem vestrum qui in ccelis est.

            Anche al dì d'oggi non se ne dileguò da'compagni la felice impressione, e volontieri rammentano la specialissima compostezza con che assisteva alle funzioni di chiesa, e il riservato contegno, misto di semplicità, e di gioia, con cui compariva nelle processioni, che un tre o quattro volte han luogo, in fra l'anno, fuori del seminario.

            Diffilando una di queste sacre processioni, vi fu volta, che s'udirono distinte persone additarlo, quale un'immagine espressiva di S. Luigi.

            Oh! fosse pure, che tutti i chiamati a'divini ministeri si riducessero, per tempo, quali sono in obbligo di figurare, uno spettacolo degno agl'occhi di {124 [34]} Dio, degli angioli, e degli uomini! Quanto maggior credito ne verrebbe alla religione, e peso alle eterne sue verità!

            Una cosa vuol essere ancor qui ribadita, e nol sarebbe abbastanza giammai; chè a sì compita modestia egli sapea accoppiare certo chè di naturale, di sciolto, di soave, di ameno, che punto nulla non riesciva a chicchessia di noia o d'aggravio. Tanto più, che attendendo egli così diligentemente alle cose sue, non era poi di quegli aristarchi dall'occhio torvo, che le azioni altrui vanno guatando, e talora malignamente frugando, e quando ancora, con dispettose maniere criticando e mordendo; che anzi, vivendo quasi che isolato fra molti, non parea aver occhi, fuor solo per incontrare alcun che di buono, che in altri fosse, e così a foggia di ape industre farne copia per sè, e intanto lui esser cieco a tutto, che non tornasse di sua piena edificazione.

            A compimento di questo capitolo, pogniamo in esteso il suffragio che intorno a questa virtù del Burzio, ce ne porse in iscritto un testimonio oculare, il già prefetto nel suo seminario, in quella più volte addotta notificazione.

            «Una virtù poi, così egli, che segnalatamente lo distingueva, era la sua modestia, così rara e compita, che io non la saprei esprimere fuorché chiamandola una modestia più celeste che umana. Nè per ciò si vedea in lui ombra di caricatura, anzi grande cordialità e schiettezza, per cui mentre formava la gioia de' superiori, rapiva l'ammirazione degli stessi seminaristi, e per me lo confesso {125 [35]} che per l'attrattiva del suo modesto trattare, per la candidezza del suo parlare, che mostrava la sincerità e purezza dell'anima sua, io dico, mi sentii più volte portato ad avvicinarlo, e trattenermi con lui, tuttochè un notabile intervallo di studio e di età ci separasse, giacchè io era allora sul finire del corso di teologia.

            Notevole sopra modo (continua il medesimo) era cc la custodia degli occhi suoi in ogni qualunque circostanza, massime uscendo fuori del seminario per la passeggiata, o altro, ma in chiesa poi, o nelle processioni, l'avresti detto un angelo, per quel suo semplice e divoto contegno degl' occhi; in somma, non sembrami alcuna esagerazione il dire, che nel Burzio si vedea effigiata quella modestia, con tutti i suoi atti descritta, e caldamente a' chierici raccomandata dal Tridentino in quel noto decreto Sic decet omnino clericos etc. ».

 

 

Capitolo VIII. Pietà di Giuseppe nel suo tratto col prossimo.

 

            Ci venne, fin qui, rilevata la pietà di Giuseppe nel governo da lui esercitato sopra se stesso, o vogliam dire ne'doveri con sè; or è da notarla ne' doveri da lui compiti co' prossimi.

            Se è da prestar fede a coloro, che nel seminario di Chieri hanno avuto comune col Burzio la convivenza, ben è forza il dire, che non pure i doveri {126 [36]} della carità nella sostanza, ma nella perfezione, adempisse egli co' prossimi.

            Con tutti, che avesse a trattare, era Giuseppe affabile, mansueto, garbato, presto sempre ad apportar loro aiuto, quando non venisse per ciò dalle sue obbligazioni stornato. Fosse pur umile il servigio richiesto, e di qualche suo peso, tanto che il potesse, non rifiutavasi. Circa di che, ci venne osservato, che la sola perizia sua nel maneggiare il rasoio, o nel far altre correlative funzioni, esercitate già una volta nel secolo, diegli materia non poca di praticare sovente la virtuosa sua condiscendenza e piacevolezza.

            Ma, guarda mai, che l'umanissimo suo tratto tralignasse un pochissimo in troppa dimestichezza; scintilla capace talora a risvegliar grand' incendio; anzi, quest'una era la volta, come già notammo, ch' ei mettevasi sopra se stesso, quando abusando altri, per avventura, delle graziose di lui maniere, si fosse ardito di menargli sopra, carezze o altrettali modi leziosi, che ancor di lontano s'opponessero alla santità e riservatezza di chi s'è addetto agli altari.

            Comechè Giuseppe sortito avesse spiriti vivaci e ardenti, non però lasciavasi, ne'disgustosi incontri, facili ad avvenire nel convitto di molti, trasportar a parole di dispetto, o a sentimenti di sdegno, tanto meno a progetti di qualche vendetta. Tutt'al più si vedea lui non esser di bronzo, in quel tignersi d'un primo moto d'involontario rossore; ma tale era il governo ottenuto su le proprie passioni, che i limiti della ragione e virtù non valicavano mai.

            Lo che, anche meglio potrà vedersi al fatto seguente, {127 [37]} il quale ne dice qual fosse la disposizione del Burzio, non solo in favore de' prossimi a lui inclinati, ma e verso que'medesimi, che ebbero a calunniarlo e perseguitarlo.

            Vi fu tempo nell'anno, che la specchiata bontà del Burzio, che non potea non vedersi e non essere da tutti notata, trassegli addosso, unitamente a certo suo compagno, con cui era solito usare nelle ricreazioni, l'invidia e l'astio di alcun malevolo, che forse, in si savia condotta, leggeva un troppo cocente rimprovero alla sua. Or questi arriva a tanto, che compone calunnia, e mena ciurmerie contro il Burzio e compagno; essi quindi sono tradotti spie da ben guardarsene, essi delatori malevoli presso de' superiori, e che so io. Non basta: si fabbrica un commento, che essi sono i medesimi, che certe insolenze nello studio han praticate, e certe mancanze al regolamento, di cui se ne vuol dar parte al rettore del seminario.

            Quel misero calunniatore comunica agli altri dell'atra sua bile il veleno, e passa di chierico in chierico, di camerata in camerata, fino a che, appena più trovasi in seminario chi prevenuto non sia, e non dichiarisi contro del Burzio e del suo collega.

            Se ne avvede il buon giovane, e dapprima ne palpita, come è proprio di buona coscienza, nell'ansietà di non forse avervi posto argomento; e rivolto al compagno, si scambiano confidentemente l'affanno «sopra noi è levata grande tempesta; che fare? che dire? che risolvere? come sedarla? »

            Cercano a vicenda di riconfortarsi l'un l'altro alla {128 [38]} meglio; in fine, Giuseppe, che nel testimonio della propria coscienza ha scoperto un porto sicuro, ove riparare, allegramente dice al compagno: « lasciamo che dica ognuno a sua posta, giacchè non ti ricorda ciò che nell'etica abbiamo studiato jer l'altro? Conscia mens recti, fanace mendacia risit? »

            Cresce intanto la burrasca, e i due chierici sono minacciati da questi e da quegli: loro dover tra poco ricevere una buona castigatoia da' superiori. Questi, di fatto, alle udite imputazioni, tuttochè non sappiano darsene pace, già intendono chiamare a sè i due denunziati come colpevoli.

            Nel suo silenzio stupiva il buon giovane a tale condotta in alunni del Santuario, ed appena potea credere a'suoi occhi che fosse vera. Solamente esprimea al compagno un sentimento di suo dolore, che più che al proprio, mirava al torto che a Dio faceano, ed a se medesimi, gl'autori de'loro danni, dicendo, stupefatto altamente: «Ah no, che questo non è un fare da chierici, chiamati a predicare agli altri! »

            In questo mezzo tempo, il compagno gli disse: che era da doversi andar, eglino stessi, da' superiori, e così premunirsi da ulteriori sinistri, invocando, ed attestando la propria innocenza; ma Giuseppe a lui, con prudente non meno che avveduto consiglio: «Se noi ci farciamo da' superiori a trattar nostra causa, avranno allora gli avver sani nostri un argomento alle mani in pro loro, e noi più non potremo, come finora, affermare che giammai non furono per noi fatti de'rapporti a'superiori, a conto de'nostri compagni; e poi vi {129 [39]} è altro: che, scoprendosi la verità, i caporioni della trama ne avrebbero, certo, una punizione esemplare; il meglio è, che lasciamo ogni cosa in mano alla Providenza, e ricordiamoci in fine che Gesù Cristo ha patito qualcosa di più».

            In questa, la Providenza accorse ella stessa a proteggere gl'innocenti. Il già citato prefetto di seminario viene in chiaro di tutta la cosa; si reca quindi a dovere di sincerarla presso de' superiori, i quali in cambio di biasimo a'pretesi delinquenti, danno ad entrambi, significazioni di lode ed amorevoli eccitamenti a voler sempre continuare con pari saviezza.

            Ed ecco, per tal via, ogni tempesta sedata.

            Ottenuto così il trionfo, tanto più debito, quanto men ricercato alla loro innocenza, restava a Giuseppe la riserva di qualche vendetta sopra de' suoi nemici, e la si tolse ad effettuar di presente: però nella foggia de'Santi, esternando con tutti sentimenti di sincerissimo affetto, e prodigando graziosi servigi a'calunniatori medesimi, i quali, da tanta mansuetudine ed umiltà, finirono d'esser costretti a venerare la sua virtù, e professarsigli, più che prima non erano, buoni amici.

            Nel che tutto, non saprebbesi ben definire quale meglio campeggiasse virtù, se la carità del prossimo suo, o veramente l'umiltà e la mansuetudine; virtù tutte e tre indispensabili da aversi, perchè nel tratto co' nostri simili si riesca in ogni circostanza conforme gli esempi del gran prototipo Gesù Cristo.

            Al fatto narrato, che s'ebbe per singolo di buona {130 [40]} via, dovette alludere la notificazione già detta, quando così s'esprimea: «Spiccò altresì in lui una singolare umiltà e mansuetudine, mentre quella sua irreprensibil condotta gli tirò addosso per qualche tempo il mal animo di alcuni, i quali, come a pretesa spia, fabbricarongli delle imputazioni presso a de' superiori; ma egli coll'umiltà, pazienza, mansuetudine, tutto tollerò, e seppe vincere col bene il male, sicchè ben tosto cessò a lui la tempesta, ed a' malevoli, il sentimento di livore dovette cangiarsi in quello di venerazione, e della più affettuosa amicizia».

            In quella guisa poi, che verso i colleghi le parti tutte della carità con perfezione adempiva, cosi a quelle soddisfaceva, che l'obbedienza riguardano, e l'ossequio verso de' superiori.

            La sua osservanza verso i medesimi, animata da spirito interiore, portavalo a riconoscere in essi, Dio stesso; quindi quella sua cieca sommessione a quali si fossero i loro ordinamenti e disposizioni; quindi quel sommo rispetto nello avvicinarli, e trattar con loro, siccome quel comportarsi, in assenza loro, invariabilmente il medesimo che presenti; quindi ancora il parlarne co' sensi di specialissima gratitudine e considerazione; quindi in fine, se abborriva a più non posso, che nelle ricreazioni altri uscisse in parole inconvenevoli, o lesive della carità verso qualunque prossimo, non trovava più luogo, e fuggiva, se udito avesse sparlarsi de' superiori.

            Fosse in piacer del Cielo, che un tale abbominio alla detrazione così s'appigliasse profondo all'animo {131 [41]} di tutti i chierici, nel corso di lor tirocinio, da non aprire più mai, negl'anni futuri, le porte a vizio sì mostruoso e maligno, che pur pure agogna di fissare sua sede entro le divise di chiesa! Guai però all'incauto, che comincia dargli ricetto! spesso ne verrà punito, fin della vita presente, se è da credere a ciò che affermò s. Bernardo: Prœlatis tuis non detrahas, nec libenter audias alios detrahentes, quia specialiter Deus hoc vitium punit, etiam in prcesenti (S. Bern., Opusc. ad quid ven.).

            Di questo riservato procedere tanti ebbe testimoni oculari, quanti compagni. Udiamo in proposito la notificazione: «Nelle ricreazioni usava la più grande cautela nel parlare, e trattar co' compagni. Co'superiori poi, siccome usava con sommo rispetto, cosi di essi parlava sempre con grande stima; nè fu udito mai lamentarsi degli apprestamenti di tavola, come avviene talora, o di altro; non sapea darsi pace, che ad un alunno del santuario potessero uscir di bocca parole o men oneste, o contro la carità del prossimo, o di critica verso de' superiori».

            Piace qui di conchiudere il capitolo dicendo sommariamente la pratica da lui tenuta nel tratto col prossimo.

            Imprima: sentirla di sè bassamente, ciò che serve ad attuar il cuore ad umiltà e mansuetudine, con grande aiuto alla pratica e perfezione della carità.

            Poi, di parole, di maniere, e di tratto esser cortese generalmente con tutti.

            Per terzo, sapersi con avvedutezza scansar da {132 [42]} que' cherici, che nel loro tutto non mostrassero di ecclesiastico spirito.

            Finalmente, promuover discorsi co' prossimi, in cui la carità, l'illibatezza, l'onore, la gravità, lungi dal ricevere appannamento, ottenessero, in tutto il proprio lustro, la precedenza.

 

 

Capitolo IX. Pietà di Giuseppe relativamente a Dio.

 

            Se la pietà di Giuseppe si segnalò, come vedemmo, nel governo di se medesimo, e nell'usare co' prossimi; più che altro era ciò effetto di quel suo impegno incessante di procacciare l'unione con Dio, nella cui amicizia e pace solo è che sia dato ad uomo il trovar requie all'anima sua, e la vena dischiudere della verace carità verso il prossimo.

            Fanciullo ancora, se ci ricorda, prevenuto qual era dal Cielo con ogni benedizione di soavità e dolcezza, già ponea, dal canto suo, ogni opera, onde innalzarsi, colla sua corrispondenza alla grazia, a più stretta unione con Dio; chierico, non è da dire, quanto più intendesse all'adesione perfetta di quel Signore, cui s'era eletto ad unica porzione in eterno.

            Perciò in lui quella premura sollecita nel rimuovere da sè tutto che potesse alle divine comunicazioni porre un ostacolo; di qui ancora la costanza nel derivare alla pratica tutti quegli amminicoli di {133 [43]} religione, capaci di risvegliare e depurar la fiamma dell'amor verso Dio.

            In pari modo lo spirito di orazione che all' nom di chiesa è necessario, giusta l'Angelico, e con lui san Vincenzo di Paolo, quale al combattente la spada, e senza cui altri non potrà lusingarsi, secondo l'illuminatissimo d'Avila, di poter esser nato al ministero degli altari, formava a lui, quasi non dissi, il respiro, tanto le era cordialmente affetto.

            A quest'orazione o vocale fosse o di mente, se applicatamente intendea in tutti que' tempi che le erano destinati, alla medesima, come da potente attrattiva, sentivasi stimolato fra giorno; non però che le scolastiche occupazioni gli facesse tramettere, ben sapendo, colui seguitar a pregare, che non cessa da'suoi doveri ben adempiti per Dio.

            Con tutto ciò non sapea tenersi dallo smozzicare talora gl'intervalli consecrati a comune diporto, e dar que' ritagli all'orazione, nel secreto della cappella, dove più volte venne dal prefetto scoperto.

            Inoltre, come altrove fu notato da lui praticarsi, al genio di trattenersi più prolissamente con Dio, sopperiva lungo il dì con islanci d'affetto e cordiali giaculatorie, le quali, mentre dicono, in chi le pratica, un grande avviamento all'unione con Dio, così, giusta l'asserir che ne fa il venerabile Blosio, sono una via compendiosa ed efficacissima per ottenerla. Una, di que' tempi, a lui assai famigliare, era il prorompere: Paradiso, quanto sei bello! Dal che si par par chiaro, che, stando li suoi sensi fissi ne' suoi {134 [44]} doveri in terra, la mente sua spesso s'ergeva a conversare nel cielo.

            Di questa elevazione di mente, indettata dalla speranza cristiana, servivasi egli massimamente ne' disgustosi incontri d'aver a tollerare alcun chè di penoso all'umana fralezza.

            Così ne attestano gli zii, che, passate da Giuseppe, in casa loro, alcune delle ferie autunnali in momento ch' ei credevasi solo, proferiva spiccate dal fondo del cuore le anzidette espressioni. Della medesima via sappiamo, che una tal formola adoperava per reprimere i subitanei moti di bile, affermando lo zio, che in certa emergenza, in cui Giuseppe dovette soffrire non so quale ripulsa, che acerbamente gli dolse al cuore, rintuzzò di presente l'impeto dell'irascibile uscendo in quelle parole: oh Paradiso quanto sei bello! non lasciando per altro di manifestare nel volto i sintomi involontari del combattimento interiore tra la ragione ed il senso.

            Dopo di che, egli è facile d'argomentare lo studio, e il modo con che attenevasi agli altri mezzi che ne' berninarii abbondano, a nutrire ed accrescere in sè il culto divino.

            I sacramenti son quelle fonti salutari di vita eterna, cui debbe appressar soventemente le labbra chiunque desidera ottenere in sè la maggior nitidezza, che compatibile sia col frale che lo circonda, cioè la volontà ingagliardire nell'odio alla colpa, e nell'amore fermarla delle cose dell'anima e del cielo.

            A questi, se mai altre volte, tanto più ivi accostavasi frequente e diligentissimo. Quinci era, d'onde {135 [45]} fontalmente derivava al suo cuore quella piena d'interno spirito, che, come per altrettanti rigagnoli, si riversava a santificare tutte le cose sue.

            Ed in vero, per un addetto al Signore, mal troverebbesi altro mezzo più fecondo di perfezione, e quasi non dissi esclusivo, da quello in fuori, dell'appressare ogni otto dì alla confessione ed alla sacra Mensa, praticato, siccome da lui, a dovere.

            Or non sarà d'uopo il discorrere, per ciò che è manifesto, del rimanente di sue azioni a pietà ordinate, quali, le visite al Sacramento, gli esami di coscienza, le spirituali letture, di cui oltremodo piacevasi, ecc.

            Solamente si vogliono tocche due divozioni che, perchè di specialissimo suo gusto, gli rubavano distinti ossequii, semprechè riuscivagli d'avere alcuni minuti d'avanzo; la prima al divinissimo Sacramento, la quale quanta fosse, già si è veduto, ed anche si vedrà più lontano; la seconda alla gran Madre di Dio, di cui altre volte, ed anche presto vi sarà luogo da riparlarne.

            Nutriva pure un affetto speciale a sant'Alfonso Maria de Liguori, natogli in cuore dall'averne letta con attenzione la vita. E per verità tale un'indole attraente presentano gli atti di questo Santo, che oggimai sembrerebbe esser tutt'uno, il ben conoscerlo e professarsegli divotissimo.

            Lo spesso riandar questa vita dovette rendergli il perfezionamento di certe divozioni a lui già sì care, verbigrazia l'amore a Gesù, il riceverlo in sacramento, il visitarlo spessissimo, il rammemorame {136 [46]} la dolorosa passione; cosi la confidenza in Maria, la divozione al Santo, donde egli chiamavasi, ecc.

            Si ebbe da un collega suo confidente, aver egli affermato, che come sarebbe in Teologia, e subito pria d'ogni altra, le opere morali di quel santo, in ogni conto avrebbe fatto di procacciarsi.

Opere in vero degnissime di ottenere in tal genere il principato, siccome non aventi per ripetuto giudizio apostolico, il menomo chè meritevole di censura: Nihil censura dignum.

            L'inclinazione a questo Santo gli durò fin che visse, nè contentavasi d'averla egli solo, ma ne'socii, quando presentavasi il bello, studiavasi d'ingenerare, e si sa che, procuratone due copie della vita, una la regalò ad un compagno più intimo, che l'ebbe doppiamente gradita, per lo rappresentargli, ei ci disse, oltre a buon pascolo, un pegno della più preziosa amicizia, che al mondo avesse, e questi è quel suo collega a cui ci professiamo debitori di non pochi lumi, che ci servirono altresì di scorta in varii periodi di questo libro.

            Tale si fu lo studio d'unione con Dio coltivato da Giuseppe nel seminario.

            A confermazione però di quanto sopra è narrato, non tornerà disaggradevole il notarne ancora un giudicio competente, quanto il debbe essere di chi la cosa analizzò co' suoi occhi; egli è del signor D. Giovanni Bosco, sacerdote degnissimo, e come si disse, già prefetto in quel seminario.

« Richiesto (così il medesimo in una lettera che fu {137 [47]} del 16 aprile 1843 all'estensore delle presenti memorie) Richiesto dalla R. V. carissima di manifestare il mio sentimento riguardo la condotta tenuta, nel seminario di Chieri, dalla felice e sempre cara memoria del chierico Giuseppe Burzio, tanto più volentieri m'induco a farlo, in quanto che la mia posizione di prefetto, siccome diedemi opportunità di osservarlo bene, così al presente mi mette in caso di poter esprimere con tutta esattezza la felice impressione che ne ho ricevuta.

            A dir tutto in breve, io non saprei come meglio dipingere questo impareggiabile chierico per tutto quell'anno, che passò a Chieri nel seminario, fuorchè dicendolo (e questa è voce unanime di tutti i suoi colleghi) un perfetto modello chiericale, giacchè, quanto ne' libri e nelle istruzioni s' inculca relativamente alle doti convenevoli a un chierico, egli le aveva; di modo che, da quanto io vidi e potei più volte osservare, sembrami che nel suo stato niente lasciasse a desiderare di più.

            Ad ogni modo, ciò che eccitava spesso in me un sentimento di particolar maraviglia, era il notare, com' egli fosse impegnatissimo, non solo ad iscansare nelle sue azioni ogni cosa menomamente disdicevole ad un chierico, ma ben più nel compierle con certa prontezza, grazia e ilarità, che innamorava.

            Fino dal suo primo entrare in seminario, dimostrò chiaramente l'alta idea della vocazione da lui abbracciata, ed il suo fermo proposito di volersi in quella santificare, tanto s'appigliava egli con {138 [48]} ardore, ed accudiva con diligenza ogni mezzo che ad un tal fine lo potesse condurre».

            E qui passa a contare in ispecie della osservanza di lui al regolamento, e dell'impegno e progresso ne' studii, le quali tutte testimonianze già abbiamo interpolatamente collocate a suo luogo. Segue poi in questi termini: «Ma ancor più grande fu il suo impegno alla pietà, in cui si rese veramente singolare; io non posso riferire, fuorchè ciò che cadde sotto gli occhi di tutti; ma chi conobbe la sincerità di questo chierico, e la costanza nel bene, potrà facilmente conghietturarne il più ed il meglio degli atti nascosti di sue interiori virtù.

            Adunque, non fu mai, che alle pratiche religiose egli si portasse, o vi attendesse con aria d'indifferenza, o per ispirito di costumanza; al contrario, era mirabile per la contentezza e desiderio, che ne mostrava nel volto; anzi, appena cominciava qualche sacra funzione, od esercizio consueto, per esempio, della preghiera, o della meditazione, o pur solamente metteva il piede in cappella, componeva subito ad una santa apprensione tutti i suoi sensi, pel qual suo divoto contegno, ognun ben vedeva quanto vi partecipasse il suo cuore, e quanto fosse lo spirito di fede, che lo animava. Fossero poi, o non fossero presenti li superiori, il pio procedere del Burzio era invariabilmente lo stesso, poichè ben si può dire di lui, che ambulabat coram o Deo.

            Quanto a'sacramenti, non solo osservava la frequenza, che a tutti è prescritta in quel seminario, {139 [49]} ma con gran premura in se stesso la promovea, coltivandone tutte le occasioni, che venissero confessori, ciò che in tutti i sabati e nelle vigilie delle maggiori feste avveniva.

            Oltre le pratiche religiose, comuni a tutti, e da lui con gran fervore eseguite, potei accorgermi, e dalle parole e da' fatti, eh' egli era divotissimo di Gesù sacramentato e della Madonna, a' quali, se alcun tempo di sopravvanzo gli rimaneva, consacrava tosto in affetti di amore e di gratitudine. Laonde, più volte il vidi, in tempo di ricreazione, e sopra tutto ne'giorni di vacanza, allontanarsi con bel modo da' suoi compagni, recarsi in chiesa, e trattenersi in dolci colloquii con Gesù sacramentato e colla pietosissima sua madre.

            Il suo studio di perfezione lo portò a concertare con un confidente e pio compagno, che minutamente l'osservasse in tutti gli adempimenti de'suoi doveri, e d' ogni difetto lo correggesse senza risparmio.

            Ma riguardo alla pietà, basti il dire, che venuto il fine dell'anno, ottenne, per l'esemplarità di sua condotta, un egregie da'superiori, onor singolare, e che raramente si concede in detto seminario ».

            E qui discende al particolare della sua modestia, umiltà e mansuetudine, cose tutte già accennate, ed a qualche osservazione altresì, riferentesi all'ecclesiastico di lui spirito, del quale, non sarà senza frutto lo stenderne uno speciale capitolo. {140 [50]}

 

 

Capitolo X. Si discorre intorno allo spirito ecclesiastico di Giuseppe.

 

            Abbenchè necessaria sia la vocazione a convenientemente servire Iddio nell' ecclesiastico stato, non basterebbe però scompagnata da certo superiore instinto, che ue dee essere siccome l'anima e la vita, e che suolsi denominare ecclesiastico spirito. Ciò è chiaro da' figliuoli di Eli e dall' Apostolo traditore, chiamati bensì, ma perchè destituiti, lor colpa, di tale spirito, la finirono miseramente.

            Di questo spirito (che insomma altro non è, che una distinta partecipazione dello spirito di Gesù Cristo, allo scopo di compir prontamente, e con tutta convenevolezza le pertinenze dello stato), di questo spirito, dissi, indispensabile senza più in ogni addetto agli altari, avendo Giuseppe raccolto in se stesso i più bei contrassegni, ne faremo succinta parola: tuttochè il finora narrato già altro non siane che un effetto assieme ed un lampante prognostico.

            Indizio adunque apertissimo di ecclesiastico spirito fu in lui la cura sollecita di serbar illibata la purezza del cuore; per ciò era, che atteneasi forte e costante a tutti i mezzi in proposito, tanto di fuga da qualunque pericolo, come di amminicoli preservativi, quali sono la mortificazione de' sensi, l'orazione, {141 [51]} lo spesso accostare della Penitenza ed Eucaristia.

            Parimente, quell'assidua composizione di tutto sè, cui già vedemmo dicendo della sua modestia, era tutto una conseguenza di questo suo amore alla celestial purità. Siccome ancora n'era un segnacolo quel cotidiano frenare degli occhi, massimamente nel pubblico, con che ogni specie, anche fugace, di voluttà tenea dall'animo suo lontana. Grande contrassegno, questo, in un giovane chierico, di ecclesiastico spirito, come la libertà degli occhi apertamente ne denota la mancanza ( se pur lo Spirito Santo, fra le cose a sè odibili, non sottrasse per anche la prima, quella dell'oculos sublirnes[9].

            Ci venne osservato da' parenti medesimi di Giuseppe, ch'egli era ito tant' oltre nel contegno degli occhi, che, novello Luigi, trovandosi in casa, non alzavali nè a rimirar sua madre, del che fu notato da' famigliari come eccessivo; quantunque tal eccesso, in pari suo, più presto fosse di lode, che non di riprension meritevole.

            Già è detto il quanto da ogni. parola o maniera, che ancor di lontano appannar potesse il lustro della virginal verecondia, ei sommamente abborrisse; ora si accennerà cosa da significar per avventura anche meglio la sua dilicatezza per questa virtù. La sorella maggiore, che in altri tempi era usa a tosto ricevere i riscontri alle lettere che inviava al fratello, per incitarsi a vicenda nelle cose di spirito, non vedendosi {142 [52]} corrisposta di quelle che indirizzavagli al seminario, prese a menar seco lui non poche doglianze, perché l' avesse così col silenzio dimenticata. Veggasi ora, come Giuseppe, in una sua de' 16 marzo 1841, le rispondesse.

            «Viva Gesù nostro amore, e Maria nostra speranza.

            Già molto tempo prima ti avrei scritto, ma ora ti spiegherò il perchè non l'ho fatto. Tutte le lettere che scriviamo bisogna che passino per le mani del portinaio, affinché loro dia corso, e così le medesime potrebbero esser vedute da molti compagni, i quali osservando che ve ne fosse una diretta alla signora damigella, ne resterebbero giustamente scandolezzati, onde per evitar queste cose ho tralasciato di scriverti; venendomi poi ora propizia occasione di mandartela senza questo timore, subito mi determinai a queste due linee». E quivi, secondo l'usato, entra nelle sue conferenze di spirito. Dove si vuole osservato quanto per lui fosse adempito allo scrupolo l'ammonimento importantissimo dell'Apostolo nel presente riguardo, ab omni specie mala abstinete vos.

            Lo spirito di fede è pure non dubbio indice del ritrovarsi in un chierico l'ecclesiastico spirito, se ancor non vuol dirsi, che l'uno dall'altro, senza più, s' inferisca.

            Ogni azione di Giuseppe, avresti detto ragguagliarsi co' dettami della fede. Si è detto più cose della esteriore di lui modestia; ma questa era nulla a petto di quella, che dentro coltivava nel cuore. Tanto solo che il vedessi in chiesa, od in cose di chiesa, {143 [53]} la sua persona abitualmente, già sì composta, vestiva una tal santa apprensione, una vena di sacro, che è quanto dire, subito si sprigionava dall'intimo suo quello spirito di fede, che forma il respiro alla vita del giusto.

            Questo spirito di fede ingrandivagli in mente, il concetto delle anche menome appartenenze della vocazione, cui, se in quel seminario, per esser nuovo, non ebbe troppe occasioni di esercitare, ben dimostrollo ne'tempi autunnali, mentre, come vedremo nel capo seguente, il poter catechizzare, il servir agli altari, era per lui una sempre nuova delizia. L'esser fatto carico d'incombenti di chiesa, talora abietti agli occhi degli uomini, era cosa che a lui tornava di gusto non meno che di onore. Il torre i ragnatelli, comporre li paramenti sacri, spolverare gli altari, ordinare gli ornati, scopare la chiesa, erano tutte cose eseguite con tale spirito, da meritargli esteso quel panegirico di s. Girolamo, che già in commendazione di Nepoziano: Erat sollicitus, si niteret altare, si parietes absque fuligine, si pavimenta tersa... si sacrarium mundum, si vasa luculenta, et in omnes cœremonias pia sollicitudo.

            In proposito ci affermò il fratello di Giuseppe, che in Moransengo, luogo della dimora paterna, il sacrestano di quella parochia riguardava Giuseppe siccome un angelo, e tale il nominava, tant'era la riverenza, la prontezza, la facilità con che entravagli a parte nello spacciare checchè occorresse di servigi di chiesa.

            Lo stesso paroco di Moriondo, stato già suo maestro, {144 [54]} notò in lui primaticcio questo spirito di cui parliamo, mentre in una sua lettera de'18 luglio 1842, tra le altre cose, manifesta compiacimento che era il suo, nel vederlo (sono sue parole) intento «a ripulire le imagini in chiesa, gli altari, le pareti, ed a preparare le suppellettili, avendo sempre dato a conoscere un'industria particolare per lo decoro della casa di Dio».

            Finalmente dal cuor di un Levita, dove annidi l'ecclesiastico spirito, esser non può, che come da ardente fornace, non erumpano fuori scintille di zelo, a procurar la gloria di Dio, e la salvezza delle anime. Fu questo il segno, che agli altri appose il suggello.

            Da intero il contesto di questo libro è nota la premura con che adoperavasi in questa parte. Il primo zelo per la gloria di Dio l'avea per sè, essendo appunto carattere del vero zelo, quando altri comincia da sè. Basta per ciò ricordare il modo, onde governava il proprio interno, e quello onde compiva gli atti del culto che a Dio più dirittamente miravano.

            Ombra di noia o di svogliatezza, o d'altro che sapesse di mero complimento, o di pretta costumanza, da questi atti non trapelava, anzi tale una vita, un' anima, loro comunicava che fuori per la via de' sensi riverberava, per cui, ad usar le parole già citate di un testimonio oculare, ognun ben Medea quanto vi partecipasse il suo cuore, e quanto fosse lo spirito di fede che lo animava.

            Con lo zelo della propria, quello accordava della edificazione altrui, Il virtuoso suo tratto n' era un {145 [55]} indizio parlante. Sopratutto non potrebbesi a sufficienza asserire, quanto venisse questa promossa da discorsi di spirito, che ivi medesimo, ne'tempi di ricreazione, sapea introdurre a tempo e luogo. Nella qual circostanza, siccome suolsi all'interno levare il coperchio, così meglio appare, se buona o difettosa sia l'abbondanza del cuore, dall'eco fedele del labbro.

            Giuseppe, che delle cose di Dio avea in realtà pieno l'animo, godea, per l'edificazione reciproca, di farne spesso spesso materia a'suoi ragionamenti, e ne parlava con certa spontaneità ed allettamento, che lungi dal riuscire molesto, l'amor egualmente e l'ammirazione si cattivava.

            «Sceltisi, cosi ci viene attestato, sceltisi due o tre colleghi del medesimo corso, e del medesimo genio, con questi procurava di trattenersi, ed animarsi a vicenda nello stato intrapreso, ed il loro parlare, se già non era in materie scolastiche, era subito in cose spirituali appartenenti al fine sublime della vocazione ecclesiastica, e massime circa la fuga del mondo, e lo zelo delle anime.

            E per me lo confesso (continua il già prefetto « di quel seminario, ed or sacerdote dianzi accennato) che per l'attrattiva del suo trattare, per la candidezza del suo parlare ecc., mi sentii più volte portato ad avvicinarlo, e trattenermi con lui, tuttochè un notabile intervallo di studio e di età ci separasse.

            Piacerai (segue il medesimo), piacemi quivi riferire alcuni detti, usciti più volte dalla sua bocca, {146 [56]} il che servirà sempre più a mostrare la bellezza di quel cuore.

            Una volta mi domandò con tutta confidenza, qual mezzo io giudicassi più sicuro, per avanzarsi nell'amore di Maria; al che risposto come meglio ho saputo, feci a lui questa interrogazione: giudica ella, che Maria possa molto in nostro favore? Egli guardandomi con aria di ammirazione: - Oh sì che sarei un bel chierico, mi rispose, quando ne dubitassi! - Soggiunse poi:- Se non fosse un far torto a Dio, direi, ch'Ella è a lui eguale, perché: quod Deus imperio, tu prece, Virgo, potes, e il ripetè più volte, e volea dire, secondo il sentimento de'Santi a Padri, esser divenuta Maria onnipotente per grazia, a come Gesù di lei figlio lo è per natura».

            «Un'altra volta (soggiunge lo stesso), il dimandai, se stesse volontieri in seminario - Volontierissimo, mi rispose: perché quivi posso veramente imparare a riuscire buon prete. - Desidera molto, io ripigliai, di farsi prete - Lo desidero, mi disse, moltissimo, ma l'imbroglio sta, che prima di diventar prete, bisogna che io diventi santo.... che diventi santo... santo - nè si stupisca la R. V. di tal parlare, poichè, con chichessia avesse avuto un po' di confidenza, parlava da persona la più assennata, e di virtù la più sperimentata; ed io ben posso dire d'aver più volte avuto occasione di restarne grandemente edificato».

            Un tal Giovan Battista Comori, secolare in allora, e poi fratello coadiutore nella Congregazione degli Oblati di Maria Vergine, trovandosi in Chieri, sua {147 [57]} patria, avea sovente occasione da trattenersi in quel seminario. Or questi assicurò, che fra tutti que'chierici, egli avea fissato il Burzio, che per la rara modestia, ed aria angelica, necessariamente gli rapiva gli sguardi. Dice di più, che i seminaristi glielo additavano, dicendo con maraviglia: «vedete, quegli sì, che è proprio chierico quale si dee».

            Inoltre aggiunse al proposito nostro, che avendo avuto la sorte di parlargli alcune volte, e di trattenersi assieme in ricreazione, subito introduceva discorsi di spirito, e ciò con tanta persuasione, e con si bel garbo, che ne restava rapito, e finisce con una sua pratica osservazione, che trovasi in simil caso notata nella vita del Ven. Berkmans, sentirsi cioè più portato alle cose di Dio dall'aver passato seco lui una ricreazione, che non dall'aver udito una predica.

            Da quel suo antico tesoreggiare sopra lezioni spirituali, avea in sè derivata come una sacra cisterna, d'onde potea attingere, all' uopo, aque salutari di vita soprannaturale per sè, e pe' prossimi.

            Carattere questo fulgidissimo di ecclesiastico spirito, quando il parlar delle cose di Dio e dell'anima non è limitato a que' pochi istanti, che si debbe discorrerne catechizzando, o sermonando in chiesa, ma come di tesoro, su cui sta il cuore, si cerca in ogni occasione di farne, parola.

            Dove poi non potesse spiritualmente giovar con la voce, suppliva con ispirituali discorsi in iscritto. Non era lettera, ch' ei vergasse, di quel seminario (e parecchie ci fu dato di poter ràccogliere), in cui {148 [58]} non facesse tosto calar alla penna il nettare di qualche bel pensiero cristiano.

            I parenti al ricevere di tali scritti, ne lagrimavano di consolazione e di tenerezza; ed il padre, in un riscontro, che fu del 1° marzo 1841, e noi l'abbiamo sott'occhio, così rispondeagli: «Con sommo piacere abbiamo ricevuto le tue tre care lettere; le lagrime ci grondavano di consolazione: se ci fosse possibile di poter adottare que' tuoi belli sentimenti, ben presto noi diventeremmo tutti beati».

            In fine, sensibilissimo qual egli era, agl' interessi della gloria di Dio, facea quel poco, ch'era in man sua, non solo perchè nelle patrie terre venisse dilatato il regno di Dio ne' cuori, ma e perchè appo gli infedeli portato ne fosse il felicissimo annunzio. Così udendo leggere in seminario i fascicoli della propagazione della fede, associato egli stesso, prendea occasione di far novelli associati, parlandone con grande entusiasmo a' compagni. Ma di questa grand' opera, quant' e' fosse caldo, verrà il bello di parlarne anche una volta.

E qui facciam punto, chiudendo questo capitolo con alcune testimonianze del buon concetto lasciato di sè da Giuseppe ne' suoi condiscepoli.

Finalmente (così termina la prolissa notificazione diretta al relatore di queste pagine, cui abbiamo sì spesse volte prodotta) «Finalmente voglio notarle alcuni epiteti, che diedero al nostro chierico alcuni miei colleghi, da me a tal riguardo interrogati; uno il chiamò modello di 'virtù, un altro, esemplare di modestia chiericale, un terzo, degno di sempre vivere, {149 [59]} per dar buon esempio; chi ancora, giovane singolare, ed incomparabile per virtù. Molti mi domandarono, se non era ancora stampata la storia di sua vita, pregandomi di fare, che ciò presto avvenisse. Un seminarista di Chieri, con lettera de 24 febbraio ora scorso, mi scrive: «La prego caldamente di significarmi, se la storia del Burzio, già sia, o no data alle stampe, e quando ciò fosse, di mandarmene delle copie. E di questo la prego ben di cuore, non solo per me, come per molti altri».

            Ecco quanto mi son ricordato circa la condotta di lui in seminario, sebbene sia anche poco alla realtà, e pienezza di quella bell'anima cara a Dio ed agli uomini, di cui la memoria è in benedizione, e lo sarà ognor più, se, come è grandemente desiderabile, ne uscirà in luce l'edificante sua vita.

            Gradisca ecc.

            Dal Convitto di s. Francesco, Torino a dì 16 aprile 1843.

Sacerdote GIOVANNI Bosco.

 

            Poscritta. Mi parve anche bene di far leggere questa mia notificazione dal suo prefetto di studio e di dormitorio, il quale volle sottoscriversi, come segue:

            «Io lessi la presente lettera del sig. sacerdote D. Bosco, intorno alla condotta irreprensibile del fu sig. chierico Burzio, e dico contenere la verità, anzi dico aver detto, a mio parere, molto meno di quel che realmente ne era. {150 [60]} Posso aggiungere ancora, che essendo io stato di lui prefetto, e nello studio, e nel dormitorio, giammai un'ette ebbi a rimarcare di difetto in lui, ond'è, che in sul cadere dell' anno scolastico, richiesto dal superiore del voto di pietà e di studio de'giovani, giunto al Burzio, risposi al superiore, scrivendo egregie, lagnandomi tra me e me, che più in là di questo voto non si potesse andare.

            Mi rallegro poi, e mi consolo grandemente, che la S. V. M. R. si occupi a scrivere una vita sì degna d'essere mandata alla memoria de' posteri».

            Gradisca ecc.

Sacerd. Don ANTONIO GIACOMELLI.

 

 

Capitolo XI. Come Giuseppe si governasse nelle vacanze.

 

            Tuttochè lo studio di perfezione e l'impegno alle lettere abbiano, nel decorrere del seminario, gettate sode radici nel cuor d'un Levita, raro è però, che un sì pregiato innesto non torni ad inselvatichire, esposto ancor tenero alle crudezze d'un aere libero, siccome quello delle ferie autunnali.

            Nè fosse vero pur mai, che tolto il ritegno d'un periodico regolamento, lungi dalla suggezione di occhio vigilatore, e dall'istanza di dover presentar buone prove di sè, la memoria delle tollerate fatiche, l'esigenza di un qualche sollievo, l' invito per ogni parte ad un vivere men ritenuto, non facesse {151 [61]} sprigionare nella gioventù incauta la già sopita energia de' sangui vivaci, e delle inchinazioni gagliarde a libertà, ad ozio, a scioperatezza, a diffusione, e cosi portata non fosse, a tutta abbandonarsi al solazzo, senza rispettarne alcun limite!

            Per tal via, rimesso il calore della pietà, in su le prime se ne trascurano i mezzi, poscia si vengono smozzicando, e fra pochi dì interamente tralasciansi.

            Quanto agli studii fatti, se ne sveste perfino il pensiero. A' trattati e quaderni si dà l'addio, nè ben so, se ancor s'apriranno una volta, forse all'approssimare di que' benedetti Ognissanti! Ed ecco talora mandarsi a monte la coltura d'interi anni scolastici.

            Motivo, al certo, degnissimo, dietro cui. al di d'oggi gl'Angioli delle diocesi con tanto impegno si argomentano di poter riuscire, come lor venga fatto, di tôr da' piè de' seminaristi questo rovinoso trabocchetto delle vacanze in patria, col provido mezzo di case da villeggiare in autunno, con non meno gran prò de' corpi, che degli spiriti.

            Giuseppe, ciò non però, fu un di que' rari, cui la palma, in istagione sì critica, non isfrondò; appunto perchè ei seppe attenersi, quivi medesimo, a ciò che da' più s'intermette.

            Appena ripatriatosi, si recò tosto in Casalborgone, dove ansiosamente stava lo zio aspettandolo, dopo averlo ottenuto, non senza qualche fatica, dal padre.

            Là fu, che Giuseppe, persuaso che un chierico, nelle vacanze, non lascia già d'esser tale, e che quindi la vita sua dee pur continuare ad esser vita tutta di Dio, s'avvisò, che a non iscaderne, dovrebbero le {152 [62]}

 

 

Indice.

 

LIBRO PRIMO. Circa l'infanzia e puerizia di Giuseppe Burzio.

 

CAP. I. d'Introduzione

3

CAP. II. Patria, nascimento, genitori, infanzia di Giuseppe Burzio; colpa da lui commessa in quella prima età

9

CAP. III. Cenno della puerizia di Giuseppe; reato da fai commesso in tal tempo

14

CAP. IV. Dello studio di devozione e purezza coltivato da Giuseppe nella puerizia; mezzi perciò da lui praticati

19

CAP. V. Del suo accostarsi la prima volta a' Sacramenti. Che disposizione vi premettesse

21

CAP. VI. Giuseppe fa la sua prima comunione, come vi si diportasse; che frutto ne avesse

25

CAP. VII. Desiderio di Giuseppe d'iniziarsi più avanti negli studii: come gli vengano difficoltati dalle circostanze della famiglia; vi supplisce del suo impegno

27

CAP. VIII. Singolare obbedienza di Giuseppe a' genitori; prove che ne dà nel sommettersi in cose cui di natura abborriva.

33 {401 [63]}

CAP. IX. Giuseppe riceve il Sacramento della Confermazione; effetti salutari che quinci a lui ed a' prossimi ne derivarono

38

CAP. X. Continuazione della stessa materia

42

CAP. XI. Giuseppe, per ordinamento del padre, toglie a farsi impratichito nella flebotomia; sua condotta nel nuovo stato

49

CAP. XII. Giuseppe trovandosi in casa dello zio in Casalborgone, questi gli apre la via di effettuare le antiche brame

52

CAP. XIII. Giuseppe si reca alla Mandria Reale di Chivasso. Breve cenno de' suoi studii e de'suoi portamenti; esterna la brama che ha di rendersi religioso

57

CAP. XIV. Continua la condotta di Giuseppe alla Mandria Reale di Chiasso

67

CAP. XV. Giuseppe si trasferisce a Moriondo. Sua condotta ivi, mentre prosegue la carriera degli studii

73

LIBRO SECONDO. Cenni istruttivi di perfezione proposti nella vita chiericale di Giuseppe Burzio.

 

CAP. I. Giuseppe veste l'abito chiericale. Quanto ben gli calzasse quest'abito dall'averne tutti i contrassegni di vocazione

85 {402 [64]}

CAP. II. Giuseppe entra nel Seminario Arcivescovile di Chieri. Riconosce l'ingresso in Seminario quale una grazia speciale di Dio

94

CAP. III. Delle cautele di prudenza usate da Giuseppe nel soggiorno in Seminario

97

CAP. IV. Degli studii di Giuseppe nel Seminario. In qual modo attendesse a' medesimi

104

CAP. V. Allo studio debbe aversi la pietà collegata; così Giuseppe

110

CAP. VI. Della pietà di Giuseppe nel governo di se medesimo

113

CAP. VII. Segue della pietà di Giuseppe nel governo di se medesimo; si dice in ispecie della sua chiericale modestia.

118

CAP. VIII. Pietà di Giuseppe nel suo tratto col prossimo

126

CAP. IX. Pietà di Giuseppe relativamente a Dio 133 CAP. X. Si discorre intorno allo spirito ecclesiastico di Giuseppe

141

CAP. XI. Come Giuseppe si governasse nelle vacanze

151

CAP. XII. Si continua delle vacanze di Giuseppe

158

CAP. XIII. Giuseppe, in tempo di vacanze, ottiene dalla Providenza adempito un antico suo desiderio

161

CAP. XIV. Difficoltà obbiettate contro la vocazione di Giuseppe. Soluzione delle medesime

169 {403 [65]}

LIBRO TERZO. Cenni istruttivi di perfezione proposti nella vita religiosa di Giuseppe Burzio.

 

CAP I. Giuseppe si reca al noviziato di Pinerolo, veste ivi l'abito degli Oblati di M. V.; sua gioia nel nuovo stato; stima che fa della vocazione, e giusto concetto dell'essere religioso; sue risoluzioni

185

CAP. II. Si discorre sopra due pratiche feconde di santità osservate da Giuseppe nel suo noviziato

194

CAP. III. Si viene al particolare sopra il modo con cui Giuseppe faceva e santificava le opere quotidiane e comuni della religione

204

            §. 1° Del levar su il mattino e dell'andata al riposo, indi circa la refezione del corpo

ivi

            §. 2° Circa il modo tenuto da Giuseppe nelle ricreazioni e nel tratto co'confratelli

212

            § 3° Delle divote pratiche quotidiane,

 

                        e 1º Della meditazione.

215

                        2° Della Santa Messa.

223

                        3º Dell'Officio della B. V.

225

                        4º Degli esami di coscienza

227

                        5° Della lettura spirituale

230

            §. 4º De' Sacramenti

231 {404 [66]}

CAP. IV. Si dice dell'obbedienza, e come questa virtù fosse da Giuseppe esattamente praticata

234

CAP. V. Cenno intorno alle virtù piccole

243

CAP. VI. Si continua lo stesso argomento. Si dice come Giuseppe si esercitasse nelle virtù piccole, e quanto fosse alle medesime affezionato

252

CAP. VII. Si discorre sopra lo spirito religioso, e come da questo spirito Giuseppe fosse animato

258

CAP. VIII. Dell'allegrezza spirituale; premura con che Giuseppe ne zelava in se stesso e ne'compagni il salutare esercizio

268

CAP. IX. Dell'umiltà d' intelletto e di volontà che era in Giuseppe. Prove di questa virtù dal continuo pazientare e confidare in Dio. Se ne tocca la pratica

279

CAP. X. Amore di Giuseppe a Dio, segnatamente ne'misteri di Gesù infante, di Gesù paziente, di Gesù nel SS. Sacramento; sua nettezza di coscienza ed illibata purità

291

CAP. XI. Saggio della carità di Giuseppe verso il prossimo, massimamente nello zelo per la salvezza delle anime

299

CAP. XII. Circa la divozione alla Beatissima Vergine, come Giuseppe in essa si distinguesse; breve cenno della sua speciale ad alcuni Santi

306 {405 [67]}

LIBRO QUARTO. Cenni istruttivi di perfezione proposti nell'infermità e morte di Giuseppe.

 

CAP. I. Giuseppe ammala in Pinerolo. Virtuosi esempi da lui lasciati in tal tempo

325

CAP. II. Giuseppe infermo a Torino; racconto dell'esimia pietà da lui mostrata ne' nove giorni che durogli la malattia al Santuario della Consolata. Sua preziosa morte

342

CAP. III. Dopo la morte di Giuseppe

360

 

 

APPENDICE.

 

Alcone, testimonianze relative alla condotta di Giuseppe nel tempo del suo noviziato in Pinerolo  367

Indulgenze annesse a' principali esercizi di pietà .   373 {406 [68]}

 

pag.

lin.

Errata Corrige

 

19

3

il suo più gran

il più gran

48

27

Ecclesiastico ammiratore

Ecclesiastico

90

22

dal Redentore

del Redentore

93

24

tributavisi

tributasi

134

30

si par par chiaro

si par chiaro

166

5

e a questa voce

e questa voce

 



[1] Eccli, VI, 17

[2] Ib, XXXVII, 15

[3]  Ib, VI, 15

[4] Levitic, X, 10, 11

[5] Os, IV, 6

[6] Frigerio, in vita, lib. I, cap. XI, no 6

[7] V. Frigerio, Vita di S. Tomm

[8] Eccle, XIX, 27

[9] Prov. VI. 17




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